Tesi in formato pdf - associazione fulvio ciancabilla

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Tesi in formato pdf - associazione fulvio ciancabilla
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
ALMA MATER STUDIORUM
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN GEOSCIENZE APPLICATE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA E GEOLOGICO-AMBIENTALI
DIRETTORE: PROF. PIERMARIA LUIGI ROSSI
MATERIA DI TESI: STABILITÀ DEI VERSANTI
DINAMICA DI FRANE QUIESCENTI
TRAMITE
ANALISI DI DATI INCLINOMETRICI
TESI DI LAUREA DI:
SIMONE DALLAPOZZA
RELATORE:
PROF. MATTEO BERTI
CO-RELATORI:
DOTT. GEOL. ALDO FANTINI
DOTT. GEOL. ROSARIO BONASSO
III SESSIONE
ANNO ACCADEMICO 2007-2008
i
“tera, tera incazada che la se lamenta per ogni mè pass”
Davide Van de Sfroos,
La terza onda
ii
RIASSUNTO
Questo lavoro di tesi è stato reso possibile grazie alla borsa di studio proposta
dall’Associazione Fulvio Ciancabilla che ha previsto la collaborazione della
Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno di Vergato, e Comunità Montana
Cinque Valli Bolognesi di Pianoro.
Con il presente lavoro di tesi si è posto l’obiettivo di analizzare lo stile di velocità di
15 fenomeni franosi quiescenti situati nelle valli del Reno e del Savena, nella zona
Appenninica Settentrionale della provincia di Bologna.
L’area di studio della valle del Reno è caratterizzata da terreni prevalentemente
argillosi delle unità Liguri e Toscane, mentre per quanto riguarda il grande
fenomeno franoso posto nella valle del Savena si ritrovano litologie
prevalentemente arenaceo – marnose.
I dati inclinometrici forniti dalla Comunità Montana Cinque Valli Bolognesi di
Pianoro e dalla Comunità Montana Alta Media Valle del Reno di Vergato hanno
permesso così di stabilire un tipico range di velocità per le frane quiescenti.
Attraverso l’ausilio di foto aeree e grazie alle informazioni sulle cronistorie dei
dissesti, sono stati cartografati i fenomeni d’instabilità e i relativi depositi in un
intervallo di tempo trentennale e classificati sulla base dello stato di attività.
Successivamente è stata realizzata una tabella generale nella quale sono state
inserite le informazioni geologico – tecniche relative ad ogni inclinometro.
I parametri presi in considerazione sono stati usati in analisi statistiche come termini
di confronto con le velocità medie di spostamento. Sono state inoltre analizzate le
velocità della grande frana di Scascoli in relazione alle tipiche velocità dei dissesti
posti nella Valle del Reno.
Viene eseguita infine un’analisi di stabilità al fine di poter confrontare i valori del
coefficiente di sicurezza con le tipiche velocità di ogni frana; in seguito viene
confrontata la relazione velocità – fattore di sicurezza con dati sperimentali di
letteratura.
Parole chiave: frane in terra, inclinometri, velocità, analisi statistiche, Valli del F.
Reno e del T. Savena.
iii
INDICE
1. INTRODUZIONE ...................................................................................... 1
1.1
Scopo del lavoro .................................................................................. 1
1.2
Ubicazione dell’area in studio ............................................................. 2
1.3
Fasi di lavoro ....................................................................................... 5
2. INQUADRAMENTO GEOLOGICO ...................................................... 7
2.1
Cenni di geologia regionale................................................................. 7
2.2
Unità sratigrafiche presenti nell’area in studio.................................. 11
Successione Neogenica – Quaternaria......................................................... 11
Unità Epiliguri ............................................................................................. 12
Unità Liguri.................................................................................................. 14
Unità Toscane .............................................................................................. 16
3. CLASSIFICAZIONE GEOMORFOLOGICA DI 15 FENOMENI
FRANOSI ....................................................................................................... 19
3.1
Scelta dei fenomeni franosi rappresentativi....................................... 19
3.2
Criteri classificativi............................................................................ 20
3.3
Definizione dello stato di attività ...................................................... 27
3.4
Frana di Baigno ................................................................................. 30
3.5
Frana della Berzantina ....................................................................... 37
3.6
Cà Zama............................................................................................. 47
3.7
Frana della Carbona-Carboncina....................................................... 50
3.8
Frana di Casa Marsili......................................................................... 59
3.9
Frana di Casa Volpini........................................................................ 66
3.10 Frana di Castel di Casio..................................................................... 73
3.11 Frana della Chiusa ............................................................................. 77
3.12 Frana di Malpasso.............................................................................. 83
3.13 Frane di Maranina-PonteVaina-Vaina............................................... 90
3.14 Frana di Rocca Pitigliana................................................................. 101
3.15 Frane di Silla Giovanni XXIII......................................................... 108
iv
3.16 Frana di Silla Montecchi - Industriale............................................. 116
3.17 Frana di Scascoli.............................................................................. 126
4. ANALISI STATISTICA DEI DATI INCLINOMETRICI................ 137
4.1
Il sistema di monitoraggio inclinometrico ...................................... 137
Procedimento di lettura ed elaborazione dei dati inclinometrici ............... 138
Restituzione dati ed elaborati grafici ......................................................... 139
4.2
Metodologia e scopo dell’analisi..................................................... 141
4.3
Distribuzione complessiva della distribuzione di velocità.............. 149
4.4
Correlazioni tra le velocità di spostamento e altri parametri .......... 154
4.4.1
Tipo di movimento ................................................................... 155
4.4.2
Stato di attività.......................................................................... 157
4.4.3
Evoluzione recente del versante ............................................... 159
4.4.4
Pendenza ................................................................................... 161
4.4.5
Posizione morfologica .............................................................. 163
4.4.6
Tempo di installazione della strumentazione ........................... 164
4.4.7
Antropizzazione........................................................................ 167
4.4.8
Velocità di spostamento della “grande frana” di Scascoli ....... 169
4.5
Sintesi dei risultati ottenuti dalle analisi statistiche ........................ 171
5. CORRELAZIONE TRA VELOCITÀ DI SPOSTAMENTO E
CONDIZIONI DI STABILITÀ ................................................................. 173
5.1
Premessa .......................................................................................... 173
5.2
Calcolo del fattore di sicurezza ....................................................... 174
5.3
Confronto con dati sperimentali di letteratura................................. 182
6. CONCLUSIONI ..................................................................................... 187
BIBLIOGRAFIA......................................................................................... 191
SITOGRAFIA.............................................................................................. 196
v
1. INTRODUZIONE
1.1
Scopo del lavoro
Il seguente studio si pone l’obiettivo di analizzare il tasso di spostamento di alcuni
versanti in frana situati nella Valle del Reno e nella Valle del Savena (Appennino
Emiliano – Romagnolo, provincia di Bologna).
La presenza di numerosi fenomeni franosi quiescenti, che talvolta hanno previsto
anche lavori di consolidamento importanti, ha permesso di indirizzare questo studio
verso una valutazione della convivenza con le strutture presenti.
I dati del monitoraggio inclinometrico forniti dalle Comunità Montane Alta e Media
Valle del Reno di Vergato e Cinque Valli Bolognesi di Pianoro, sono risultati
indispensabili al fine di questo lavoro.
È stata dunque valutata l’evoluzione geomorfologica di 15 tipici corpi di frana in un
arco di tempo trentennale, con lo scopo di valutare il range caratteristico di velocità
e definire una scala di riferimento relativa.
Allo scopo di determinare eventuali relazioni tra i parametri geologico – tecnici con
le relative velocità degli inclinometri sono state rese necessarie analisi statistiche.
Viene inoltre eseguita un’analisi di stabilità in diverse condizioni al fine di
individuare la variazione delle velocità in funzione del fattore di sicurezza. Questa
relazione viene confrontata con dati sperimentali di letteratura.
Sulla base dei risultati ottenuti, viene infine proposta una metodologia di lavoro
finalizzata alla valutazione del dimensionamento delle opere di drenaggio.
1
1.2
Ubicazione dell’area in studio
L’area di studio è collocata nell’Appennino Settentrionale, in provincia di Bologna
nelle zona delle valli del fiume Reno e del torrente Savena (fig. 1.1).
BOLOGNA
Casalecchio di Reno •
Sasso Marconi •
Vergato •
• Pianoro
• Rioveggio
• Gaggio Montano
Porretta Terme •
• Castiglione dei Pèpoli
10 Km
Figura 1.1 Ubicazione geografica dell'area di studio con evidenziati i più importanti centri abitati,
(da www.pcn.minambiente.it).
Le zone prese in esame sono state caratterizzate da colate e scorrimenti in terra con
un caso presente nella valle del torrente Savena che coinvolge litologia arenacea.
In particolare i 15 fenomeni franosi considerati ricadono nelle valli del F. Reno e
del T. Savena prendendo in considerazione molteplici comuni (fig. 1.2):
1. Baigno (comune di Camugnano a 700)
2. Berzantina (comune di Castel di Casio)
3. Cà Zama (comune di Porretta Terme)
4. Carbona – Carboncina (comune di Vergato)
2
5.
6.
7.
8.
9.
Casa Marsili (comune di Porretta Terme)
Casa Volpini (comune di Camugnano)
Castel di Casio (comune di Castel di Casio)
La Chiusa (comune di Vergato)
Malpasso (comune di Vergato)
10. Maranina (comune di Gaggio Montano)
11. Rocca Pitigliana (comune di gaggio Montano)
12. Silla Giovanni XXIII (comune di Gaggio Montano)
13. Silla Montecchi – Industriale (comune di Gaggio Montano)
14. Vaina (comune di Gaggio Montano)
15. Scascoli (comune di Loiano)
10 Km
Figura 1.2 Ubicazione dei fenomeni franosi in studio. A sinistra i fenomeni franosi della Valle del Reno
mentre a destra il grande corpo di frana quiescente nella valle del Savena (foto da Google Earth).
3
Nella cartografia redatta dall’Istituto Geografico Militare Italiano (I.G.M.I.) le zone
in oggetto sono inserite nei fogli 1:100.000:
• Foglio N°98 “VERGATO”
• Foglio N°87 “BOLOGNA”
nei fogli 1:50.000 della Regione Emilia Romagna (RER):
• Foglio N°220 “CASALECCHIO DI RENO”
• Foglio N°221 “BOLOGNA”
• Foglio N°237 “SASSO MARCONI”
• Foglio N°251 “PORRETTA TERME”
• Foglio N°252 “BARBERINO DEL MUGELLO”
nelle sezioni 1:10.000 della Regione Emilia Romagna (RER):
• Sezione 237100 “VERGATO”
• Sezione 237130 “RIOLA”
• Sezione 237140 “MONTEACUTORAGAZZA”
• Sezione 251040 “PORRETTA TERME”
• Sezione 251080 “GRANAGLIONE”
• Sezione 252010 “CASTEL DI CASIO”
• Sezione 252050 “SUVIANA”
• Sezione 252060 “CASTIGLIONE DEI PEPOLI”
• Sezione 237080 “VADO”.
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1.3
Fasi di lavoro
Il lavoro di tesi si è articolato nelle seguenti fasi:
a) Si è proceduto alla raccolta di tutti i dati inclinometrici in possesso delle
Comunità Montane relativi a quindici fenomeni franosi rappresentativi.
b) Attraverso l’ausilio di foto aeree, e grazie alle informazioni disponibili sulla
cronistoria delle aree in dissesto, è stata effettuata una ricostruzione
dell’evoluzione morfologica delle frane considerando anche eventuali opere
di consolidamento successive alle ultime riattivazioni.
c) Sono stati effettuati sopraluoghi sui corpi frana, in parte con l’ausilio di una
stazione GPS, al fine di ubicare correttamente i punti inclinometrici in
considerazione.
d) Tramite il programma Autocad 2004 sono state digitalizzate tutte le letture
dei 96 inclinometri presi in considerazione, disponibili in formato cartaceo o
pdf.
e) Si è proceduto quindi al calcolo della velocità media di ogni inclinometro in
corrispondenza di alcuni punti caratteristici della deformata (testa tubo,
superficie di scorrimento).
f) Ad ogni tubo inclinometro sono state associate informazioni riguardanti la
litologia del substrato, la significatività del movimento, il tipo di profilo
inclinometrico, lo stato di attività, il tempo d’installazione rispetto ad una
riattivazione, pendenza e la posizione geomorfologica sul versante.
g) È stata eseguita un’analisi statistica al fine di definire una scala di
riferimento delle velocità e per valutare l’influenza di ognuno dei singoli
parametri sopraccitati sulla velocità di spostamento di ogni inclinometro.
h) È stata effettuata un’interpretazione delle misure nell’ottica delle analisi di
stabilità al fine di valutare una relazione tra il fattore di sicurezza e le
velocità. Questa viene confrontata con dati sperimentali.
5
6
2. INQUADRAMENTO GEOLOGICO
2.1
Cenni di geologia regionale
L’evoluzione geologica della penisola italiana è legata all’ultima delle grandi
orogenesi, in seguito alla quale si sono individuate le maggiori catene montuose
oggi esistenti, dalle Alpi all’Himalaya (www.regione.emilia-romagna.it).
L’Appennino è una catena orogenica relativamente giovane (45 Ma) posta in
direzione NNW-SSE lungo tutto l’asse italiano; esso viene distinto in tre porzioni
chiamate rispettivamente settentrionale, centrale e meridionale (Boccaletti et al.,
1980).
Figura 2.1 Schema tettonico dell’ Appennino Settentrionale Tosco – Emiliano (da note illustrative della
carta sismotettonica della regione Emilia Romagna).
L’Appennino Settentrionale in senso stretto si è formato tra l’Oligocene superiore
ed il Pliocene ed è costituito da un’unità di crosta africana alle quali si sono
sovrapposte unità oceaniche.
Considerando che l’impilamento delle varie Unità Tettoniche (falde) ha una
vergenza verso i quadranti NE ed E (fig. 2.1), risulta possibile distinguere
7
all’interno della catena, da Ovest verso Est due grandi insiemi di domini, distinti per
litologia, struttura ed origine paleogeografia (Martelli, 2003).
Partendo dalle aree più occidentali possiamo riconoscere due grandi gruppi di
domini (Bortolotti, 1992):
• ad Ovest, substrato costituito da crosta oceanica, dominio interno (Oceano
Ligure-Piemontese);
• ad Est, substrato costituito da crosta continentale, dominio esterno (Adria).
Da ciò risulta che uno dei caratteri distintivi che differenziano questi
raggruppamenti di domini è il tipo di substrato nettamente differente.
I domini prettamente oceanici sono tre, uno delle Liguridi Interne e due delle
Liguridi Esterne (Bortolotti, 1992).
Le loro unità si sono originariamente depositate in bacini oceanici o sul margine
continentale assottigliato e sono state successivamente staccate dal loro substrato
scomparso in subduzione, andando così a costituire una coltre alloctona in seguito
al loro sovrascorrimento da Ovest verso Est sull’insieme esterno dei domini
continentali (Dominio Toscano e Dominio Umbro-Romagnolo e MarchigianoAdriatico) (Elter, 1994).
Figura 2.2 Schema concettuale della progressione verso NE dell'alloctono Ligure e sub-Ligure sulle
successioni di avanfossa dei differenti domini dell'Appennino Settentrionale esterno. I sedimenti
deposti sulla coltre Ligure durante il suo avanzamento formano le successioni dei bacini satelliti
epiliguri (da RICCI LUCCHI 1986, modificato in CASTELLARIN et al. 1992).
8
Su questi terreni Liguri intensamente tettonizzati si impostano bacini minori entro
cui si depongono sequenze ricche di detriti silicoclastici chiamate Successioni
Epiliguri, coeve temporalmente con i domini continentali più esterni (G.B. Vai,
1992), (fig. 2.2).
Nella zona di transizione fra i due raggruppamenti è localizzato un altro dominio
denominato Sub-Ligure e rappresentato da unità discordanti sulle sottostanti unità di
dominio continentale.
L’Appennino Settentrionale è un edificio strutturale di forma arcuata ed allungata in
direzione NW-SE (fig. 2.1), convenzionalmente delimitato dalla fossa adriatica ad
Est e compreso tra due grandi lineamenti tettonici trasversali (Bortolotti, 1992) :
1) a NW la linea Sestri – Voltaggio
2) a SE la linea Ancona – Anzio
Tali lineamenti sono interpretati come strutture a forte componente trascorrente
(Bortolotti, 1992) e perciò considerati elementi, funzionanti da cerniera, che
permettono il raccordo fra l’Appennino Settentrionale con il sistema Alpino a nord
ed il piccolo blocco dell’Appennino Centrale a Sud.
La formazione dell’Appennino Emiliano - Romagnolo ebbe inizio a partire dal
Cretaceo superiore in seguito alla chiusura dell’Oceano Ligure – piemontese, che
faceva parte della Tetide, e alla successiva collisione da parte della placca europea
(Corso – Sarda) con quella adriatica (Adria, Insubria) inizialmente connessa alla
zolla africana (Coli, 1992).
In questa complessa storia tettonica si possono distinguere dunque una fase
oceanica e una continentale (Coli, 1992).
La fase oceanica inizia al limite tra il Cretaceo inferiore e il Cretaceo superiore (c.a
100 Ma), con la subduzione della litosfera secondo un piano di immersione verso E,
verso il margine appenninico (Coli, 1992). Tale piano si trova al confine tra il
bacino piemontese, ad ovest, e quello Ligure, ad est; questa prima fase termina
quando la placca oceanica piemontese è completamente consumata (Boccaletti et
al., 1980).
La seconda fase inizia nel Cretaceo sup. e termina nell’Eocene medio (Boccaletti et
al., 1980) e prevede la ripresa della subduzione secondo un piano immergente verso
Ovest di crosta oceanica Ligure sotto il Massiccio Sardo – Corso portando la
completa chiusura dell’Oceano Ligure - Piemontese (Bortolotti, 1992).
9
Durante questa fase venne a generarsi un prisma d’accrezione costruito
dall’impilamento, per sottoscorrimento verso Ovest, delle coperture oceaniche e di
parte del loro basamento (Coli, 1992).
Nell’Eocene medio ebbe inizio la fase continentale (ensialica) dove si ha la
collisione fra margine Sardo – Corso europeo e margine adriatico che dà origine
all’orogenesi appenninica (Boccaletti et al., 1980).
In questa fase si ha uno sviluppo di una tettonica a thrust e falde (fig. 2.3) con
sottoscorrimento verso Ovest delle Unità Toscane prima, e di quelle Umbro –
Marchigiane poi, sotto le unità precedentemente impilate (Coli, 1992). La catena
deriva così dalla complessa deformazione di sedimenti deposti nei diversi contesti
paelogeografici meso – cenozoici: il Dominio Ligure, corrispondente in larga
misura all'area oceanica, il Dominio epiligure, che si imposta a partire dall'Eocene
medio sulle Unità Liguri già tettonizzate, il Dominio subligure, sviluppato sulla
crosta assottigliata africana adiacente alla zona oceanica, e il Dominio tosco-umbro,
di pertinenza africana (www.regione.emilia-romagna.it).
Figura 2.3 Schema di sovrapposizione delle unità tettoniche che costituiscono l'Appennino
Settentrionale (Elter.P, 2000).
La formazione della Catena Appenninica Settentrionale è sostanzialmente
riconducibile a cinque specifici momenti evolutivi che hanno sconvolto l’intero
assetto dell’area mediterranea:
1) Collisione continente – continente, fra Iberia ed Adria e formazione del
sistema Alpi – Appennini, in cui la proto-catena appenninica aveva uno
sviluppo in direzione NE-SW, non coincidente con l’attuale assetto (Eocene
Superiore).
2) Fase distensiva del settore occidentale della placca iberica con conseguente
apertura del Bacino Algero – Provenzale e distacco del Blocco Sardo –
Corso (Oligocene inferiore).
3) Rotazione antioraria del Blocco Sardo – Corso, che raggiunge la sua
posizione attuale dopo aver subdotto il margine continentale adriatico, alle
10
cui spese si è definitivamente costituita la paleo-catena appenninica (fine
Oligocene e il Miocene medio)
4) Nuova fase distensiva, che causa l’apertura del Bacino Tirrenico interposto
fra il Blocco Sardo – Corso e la paleo-catena appenninica smembrata e
traslata verso SE-E-NE (Miocene superiore).
5) Riattivazione della collisione coinvolgente i resti della placca iberica ed
adriatica con migrazione del fronte compressivo verso NE nell’Appennino
Settentrionale (Pliocene).
Importante è sottolineare come all’interno dell’Appennino Settentrionale si possano
distinguere unità flyschoidi derivanti da avanfosse geneticamente legate a due cicli
orogenetici differenti.
Nelle Unità Liguri e Sub-liguri i flysch si sono deposti tra il Cretaceo superiore e
l’Oligocene, per opera dell’Orogenesi Alpina, mentre nei restanti domini sono
riconducibili al periodo compreso tra l’Oligocene ed il Pliocene, in relazione
all’Orogenesi Appenninica (Martelli, 2003).
Relativamente a questa ultima fase deformativa il fronte compressivo è spostato
progressivamente verso NE, implicando la migrazione delle avanfosse ed
imprimendo alla catena il peculiare aspetto a pieghe e sovrascorrimenti (Martelli,
2003).
Contemporaneamente sulle Unità Liguridi si sono formati bacini tettonici minori
(“piggy back basin”), dove si sono deposte le Unità Epiliguri (Ricci Lucchi & Ori,
1985), precedentemente definite come “successioni semi-alloctone” (Merla, 1951) o
“successione tardo-geosinclinale” (Sestini, 1971).
2.2
Unità sratigrafiche presenti nell’area in studio
All’interno del settore investigato si individuano da N verso S unità stratigrafiche
rispettivamente appartenenti a: Dominio Epiligure (oceanico), Dominio Ligure
(oceanico) e Dominio Toscano (continentale).
Successione Neogenica – Quaternaria
RUM – FORMAZIONE DI MONTERUMICI; insieme di sedimenti terrigeni in
successione verticale a tendenza trasgressiva, riferibili ad ambienti continentali, di
transizione e marini.
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Conglomerati e arenarie argillose bioturbate generalmente poco cementate e con
cementazione differenziale (cogoli).
Cementazione scarsa. Contatto inferiore discordante su ABI.
Pliocene inferiore.
RUM1 Membro di Scascoli: conglomerati eterometrici in matrice sabbiosa,
scarsamente cementati, in strati lenticolari spessi e molto spessi, talora gradati, con
ciottoli embriciati; stratificazione incrociata concava, spesso interrotta da docce
erosive; strati mal strutturati; localmente si alternano strati sabbiosi sporchi medi e
spessi; subordinate arenarie da mediamente a poco cementate. I ciottoli dei
conglomerati sono per lo più calcareniti fini grigie, calcilutiti grigie e chiare, marne,
arcose e calcareniti medie nocciola, provengono da litotipi appartenenti al dominio
Ligure ed Epiligure; nella parte più alta del membro possono essere presenti anche
ciottoli di arenarie fossilifere. Più raramente sono presenti ciottoli di ofioliti, graniti
e metamorfiti.
Nella parte bassa del membro affiorano corpi discontinui, di spessore variabile fino
a qualche decina di metri, costituiti da strati medi e spessi, con base conglomeratica
erosiva e tetto arenaceo. Nell’area del Foglio 237 localmente è presente una facies
arenaceo - pelitica, caratterizzata da sottili livelli arenacei e pelitici al tetto dei
banchi conglomeratici.
Ambiente deposizionale fluviale, con trasporto in massa. Il limite inferiore è erosivo
sui depositi della successione epiligure.
Potenza fino a 300 m circa.
Unità Epiliguri
ABI – FORMAZIONE DI BISMANTOVA; unità litologicamente eterogenea
costituita nella sua parte inferiore da sedimenti arenitico - marnosi di piattaforma,
che nella parte superiore evolvono verso sedimenti pelitico - arenitici di scarpata bacino. A scala regionale è stata suddivisa in numerose sotto-unità, talora
eteropiche tra loro. Nell’area in esame affiorano solo le due sotto-unità descritte di
seguito (dal basso all’alto).
ABI4 Membro di Pantano: areniti in prevalenza finissime, generalmente ricche in
matrice marnosa, in strati da medi a spessi generalmente poco evidenti, colore
grigio chiaro, a geometria piano-parallela senza strutture interne conservate a causa
della intensa bioturbazione. Cementazione medio-elevata.
12
Nella parte inferiore del membro la granulometria è particolarmente fine, associata
ad una stratificazione mediamente più sottile e ad una diffusa silicizzazione. Sono
presenti strati o pacchi di strati di areniti ibride da fini a medie. I più potenti sono
stati cartografati in un’unità arenitico - marnosa (ABI4c).
Contatto inferiore stratigrafico in discontinuità con ANT1.
Burdigaliano sup. – Serravalliano sup.
ABI4c Unità arenitico-marnosa: alternanze arenitico - marnose con 1<A/P<10.
Areniti ibride da medie a fini, localmente grossolane in strati da medi a molto spessi
fino a banchi, di colore grigio, bruno se alterate, con grado di cementazione
generalmente elevato alternate ad areniti finissime grigie bioturbate in strati da
sottili a spessi, in tutto simili ad ABI4.
Burdigaliano sup. –Langhiano inf..
CTG – FORMAZIONE DI CONTIGNACO; marne carbonatiche e selciose, più o
meno siltose, di colore grigio-verdognolo o grigio azzurro, con patine
manganesifere nerastre e ocracee, o arenarie risedimentate fini grigie. Gli strati sono
generalmente di spessore medio, spesso poco evidenti; sono presenti intervalli
arenacei biancastri, gradati, da sottili a spessi, con base netta. Diffusa fratturazione
scheggiosa. Nella parte alta, localmente, aumenta la frequenza delle areniti e si può
osservare una stratificazione tabulare. Talora sono presenti torbiditi
vulcanoclastiche, grigie e verdi, o nerastre in strati medi gradati, localmente
differenziate nella litofacies vulcanoclastica (CTGa). Ambiente di sedimentazione
di scarpata e piattaforma esterna, con sporadici apporti torbiditici. Il limite inferiore
è netto su ANT4 e sfumato per alternanza con ANT. La potenza varia da qualche
decina di metri a circa 150 metri.
Aquitaniano terminale - Burdigaliano
ANT – FORMAZIONE DI ANTOGNOLA; unità litologicamente eterogenea a
dominante marnosa, suddivisa in sotto-unità rappresentate da varie facies di
scarpata-bacino. Le marne sono frequentemente argillose, grigio-verdognole,
talvolta siltose, spesso con patine nerastre manganesifere, a stratificazione
generalmente mal definita, a volte evidenziata da sottili intervalli arenacei a grana
fine. Fratturazione di tipo globulare o poliedrico. Rapporto A/P<<1.
Nell’area in esame affiora solo il membro sommitale della Formazione, descritto di
seguito.
13
ANT1 Membro delle Marne selciose: marne selciose, talvolta siltiti o arenarie fini
grigie, biancastre se alterate, con frequenti e caratteristiche patine superficiali
nerastre e ocracee, in strati da molto sottili a medi, ben cementati.
Rapporto A/P<<1. Alle marne si intercalano localmente livelli argillosi, in parte
derivati dall’alterazione di orizzonti cineritici.
Aquitaniano - Burdigaliano inf.
ANT4 Membro di Anconella: prevalenti torbiditi arenaceo - pelitiche; arenarie
quarzoso-feldspatiche, generalmente poco cementate, gradate con grana da
grossolana a fine, di colore grigio chiaro alterate in giallastro; marne argillose,
argille siltose grigie, grigio verdi, grigio scuro o nerastre; A/P sempre > 1, fino a
>>10. Gli strati variano da sottili a spessi, raramente banchi; talvolta amalgamati.
La geometria del membro è complessa, con spessore che può raggiungere i 600 m.
Unità Liguri
MOH - FORMAZIONE DI MONGHIDORO; torbiditi arenaceo - pelitiche in
strati generalmente spessi, raramente molto spessi, con rapporto A/P ≅ 2/1.
Si intercalano intervalli metrici di strati sottili e medi con rapporto A/P = 1/2. Le
arenarie sono gradate con base a granulometria da media a grossolana, talora
microconglomeratica, localmente poco cementate, di colore grigio scuro ma
generalmente marroni o giallastre per alterazione ed ossidazione dei minerali
femici; passano ad argilliti più o meno siltose di colore nerastro. Nella parte bassa
della formazione sono presenti torbiditi a base arenacea e tetto calcareo-marnoso
con abbondanti tracce di fucoidi, talora cartografate. Localmente distinte: la
litofacies arenacea (MOHa), caratterizzata da strati da sottili a spessi con rapporto
A/P>>1, potente fino a 300 m; la litofacies pelitico - arenacea (MOHb),
caratterizzata da strati sottili pelitico - arenacei con rapporto A/P<1; la litofacies
calcareo-marnosa (MOHca), caratterizzata da banchi plurimetrici di marne
calcaree intervallate a spessori decametrici di strati arenacei - pelitici (A/P variabile
da 1/1 a 1/2). Torbiditi di piana bacinale. Limite inferiore graduale su MOV, dove
non tettonizzato. La potenza geometrica massima è di qualche centinaio di metri.
Maastrichtiano sup. - Paleocene
14
APA - ARGILLE A PALOMBINI; argilliti ed argilliti siltose grigio scure, più
raramente verdi, rossastre o grigio azzurrognole, fissili (nella pelite è spesso
presente un clivaggio scaglioso a carattere pervasivo), alternate a calcilutiti
silicizzate grigio chiare e grigio-verdi, biancastre in superficie alterata, talvolta con
base arenitica da fine a grossolana, in strati da medi a spessi (molto spesso
discontinui per motivi tettonici) e più rari calcari marnosi grigi e verdi in strati
spessi. Rapporto Argilla/Calcare quasi sempre >1. Frequenti intercalazioni di siltiti
ed arenarie torbiditiche fini (talora manganesifere) a tetto pelitico in letti molto
sottili e sottili di colore grigio scuro (o beige se alterate) e di calcareniti mediogrossolane in strati da medi a spessi. La formazione in genere è intensamente
deformata
con
perdita
dell’originario
ordine
stratigrafico
alla
scala
dell’affioramento; gli strati calcilutitici sono spesso “boudinati”, a luoghi silicizzati,
pervasivamente fratturati e caratterizzati da una fitta rete di vene di calcite,
spalmature verdastre sulle superfici di strato e frattura concoide.
All’interno della formazione sono talora stati cartografati lembi di ofioliti (of)
giurassiche, fino a decametrici, spesso distinte in: brecce ofiolitiche (bo), basalti: β,
basalti brecciati (Bb); gabbri: ga, serpentine: Σ.
Sedimentazione pelagica argillosa, intervallata da risedimentazione di fanghi
carbonatici. Contatti ovunque tettonici o non affioranti. Potenza geometrica
variabile da alcune decine ad alcune centinaia di metri.
Cretaceo inf. - Turoniano
APAa litozona argillitica: argilliti grigie e a luoghi verdognole, con fissilità spesso
molto evidente e in qualche caso silicizzate; sono alternate a calcilutiti grigie in
strati medi e spessi con subordinati pacchi di strati sottili di alternanze arenacei pelitiche giallastre e nocciola. La litozona può essere caratterizzata da diagenesi
spinta fino al limite dell’anchimetamorfismo.
APAcm litofacies calcareo-marnosa: torbiditi a base arenitico fine-siltitica (spessore
variabile da 10 a 50 cm) e tetto calcareo-marnoso o marnoso-siltoso con potenza
variabile da 50 cm a qualche metro.
AVT – ARGILLE VARIEGATE DI GRIZZANA MORANDI; argilliti e argille rosso
violacee, verdastre, grigio-scure e grigio azzurrognole, con subordinate siltiti grigioscure o nere manganesifere, in strati sottili o molto sottili e calcilutiti grigio-verdi in
strati sottili e medi. Nell’area del Foglio 252 presenti inclusi da metrici a
15
decametrici di ofioliti talora cartografabili. Formazione intensamente deformata con
perdita dell’originario ordine stratigrafico alla scala dell’affioramento. Pelagiti e
torbiditi distali di ambiente di piana abissale. Contatto inferiore non preservato.
Potenza fino a 200 m circa.
Cenomaniano - Santoniano superiore
Unità Toscane
AVC – ARGILLITI VARIEGATE CON CALCARI; argilliti, talora marnose,
bruno verdastre o grigio-verdi, talora in bande blu, nocciola in superficie alterata, in
strati sottili con intercalate calcilutiti grigie (bianco-giallastre in superficie alterata),
in strati da sottili a molto spessi, a volte marnose al tetto, e siltiti e arenarie fini in
strati sottili. Rapporto A/C >1. Strati calcareo-marnosi grigi, biancastri se alterati,
da spessi a molto spessi, con base calcarenitica fine; brecce a matrice argillosa
bruna a prevalenti clasti di calcari tipo palombini; argilliti grigio-piombo in livelli di
spessore decimetrico alternate a calcari silicei grigio-bluastri in strati sottili e medi.
Localmente è stata distinto un intervallo, spesso 80-100 m, costituito
prevalentemente da torbiditi, di spessore variabile da 50 cm a 3-4 m, a base
calcarenitica fine e tetto marnoso molto sviluppato.
Deformazione tettonica molto intensa che dà origine ad una foliazione ben marcata
estremamente pervasiva nelle argilliti, mentre i livelli più competenti si presentano
sottoforma di boudins e cerniere sradicate; solo molto raramente la stratificazione
originale è preservata. Deposito di ambiente marino profondo. Contatto inferiore
non affiorante; interdigitazioni con BAP.
Potenza fino a circa 800 m.
Cretaceo inf. - Eocene
STA - FORMAZIONE DI STAGNO; torbiditi da arenaceo-pelitiche a pelitico
arenacee. Sulla base del rapporto A/P e dello spessore degli strati la formazione è
stata suddivisa in membri.
Aquitaniano - Burdigaliano
STA2 - Membro pelitico-arenaceo: alternanze pelitico-arenacee in strati gradati
sottili e medi a base siltitica o arenitica fine e tetto pelitico - marnoso cui si
intercalano megatorbiditi, spesse fino a 10 metri, a base arenitica medio-fine e tetto
marnoso molto sviluppato.
16
Rapporto A/P complessivo da << 1 a < 1. Al tetto del membro è spesso presente un
deposito caotico, che localmente raggiunge un centinaio di metri di spessore
(litofacies caotica – STA2a), con depositi da slumping e da debrisflow a elementi
argilloso - calcarei, argillosi e marnosi provenienti da AVC, FIU e MMA. Contatto
inferiore graduale con STA1.
Potenza di 300-350m.
Burdigaliano
BAP - BRECCE ARGILLOSE POLIGENICHE; brecce poligeniche a matrice
argillosa nerastre o grigiastre, nocciola in superficie alterata, con clasti di calcari
micritici grigio - giallastri, di argilliti di dimensione millimetrica, siltiti nerastre,
areniti e marne calcaree grigie. Stratificazione indistinta. Nell’area del Foglio 252
sono presenti inclusi costituiti da grossi lembi di successioni stratigrafiche (metrici
o decametrici) riferibili a MMA e AVC. Depositi di colate miste di fango e detrito
(debris flow) in ambiente marino profondo. Potenza variabile da 0 a 200 m.
Cretaceo inferiore- Miocene inf.
Numerosi sono i fenomeni franosi che coinvolgono le argille dell’Unità Ligure e
Toscana; più precisamente, e per la maggior parte, questi coinvolgono le
Formazioni delle Argille a Palombini, Argille Variegate di Grizzana Morandi e
delle Argille Variegate con calcari, generando nella Valle del Reno colate e
scorrimenti importanti.
Il fenomeno franoso che coinvolge parte della successione Quaternaria locale e le
Unità Epiliguri è presente nella Val Savena interessando corpi arenacei della
Formazione di Bismantova, di Antognola e conglomeratici di Monterumici.
I fenomeni franosi analizzati e le rispettive litologie sono localizzate come da fig.
2.4.
17
La Chiusa
Malpasso
Scascoli
Carbona
Rocca
Pitigliana
Maranina
Vaina
Silla Mont.
& Giov.XXI
Berzantina
Castel di
Casio
Cà Zama
Baigno
Casa Volpini
Casa Marsili
10 Km
Figura 2.4 Carta geologica RER schematica (con legenda) della zona in studio.
18
3. CLASSIFICAZIONE GEOMORFOLOGICA DI 15
FENOMENI FRANOSI
3.1
Scelta dei fenomeni franosi rappresentativi
Nel programma di monitoraggio e sistemazione di alcuni versanti in frana delle
Valli del Reno e del Savena eseguiti dalle Comunità Montane Alta e Media Valle
del Reno di Vergato e Cinque Valli Bolognesi di Pianoro, sono stati distinti i casi
che si prestavano maggiormente ad un’analisi sulle velocità di spostamento al fine
di stabilire una relazione con i caratteri geologici e geotecnici locali e le condizioni
per cui questi fenomeni si presentano instabili.
La disponibilità da parte di questi enti a fornire dati di spostamento (per la maggior
parte inclinometrici) per diverse località è stato il fattore discriminante che ha
permesso lo sviluppo del presente lavoro di tesi. Questi dati, presentano una
frequenza semestrale o annuale e hanno reso possibile l’individuazione di una tipica
velocità di movimento dei fenomeni franosi analizzati.
Al fine di poter individuare un collegamento tra velocità di spostamento e altri
fattori, importanti sono state le ulteriori informazioni recuperate per ognuno dei casi
in studio presso le Comunità Montane, il servizio geologico della regione Emilia –
Romagna e da ulteriori precedenti studi compiuti sui casi in analisi.
Sono state prese in atto segnalazioni di riattivazioni o documenti che attestavano la
presenza di movimenti, informazioni sulla presenza o meno di interventi con cui è
stato effettuato il ripristino della zona in frana, lo stato geomorfologico del versante
su differente scala temporale e tutte le informazioni possibili per avere al meglio
una precisa cronistoria del dissesto.
L’ubicazione dei fenomeni franosi è rappresentata in fig. 3.1.
19
La Chiusa
Scascoli
Carbona - Malpasso
Rocca Pitigliana
Silla Mont . e GiovXX
Marano-Vaina
Castel di Casio
Berzantina
Cà Zama
Baigno
10 Km
Cà Marsili
Casa Volpini
Figura 3.1 Modello digitale del terreno con le ubicazioni dei fenomeni franosi in studio (da Google
Maps).
3.2
Criteri classificativi
Il termine frana può definirsi come “movimento di una massa di roccia, terra o
detrito lungo un versante” (Cruden, 1991).
Per quanto concerne la nomenclatura e classificazione dei movimenti franosi si è
fatto riferimento alla classificazione di Cruden & Varnes del 1996.
20
Questa classificazione, originariamente proposta da Varnes nel 1978, si basa su
criteri che prendono in considerazione il tipo di movimento e il tipo di materiale
coinvolto.
Tipo di materiale
Il materiale coinvolto dal movimento franoso deve essere classificato secondo il suo
stato nella fase antecedente al movimento iniziale oppure, se il tipo di movimento
cambia nel tempo, secondo lo stato che lo caratterizza prima del momento in cui
avviene detto cambiamento.
Il materiale coinvolto dal movimento franoso viene suddiviso in roccia, terra e
detrito, a cui corrispondono i termini inglesi di rock, earth e debris (tab. 3.1).
TERRE
Terreni granulari (debris)
Ghiaia > 20%
ROCCE
Terreni fini (earth)
Ghiaia < 20%
Ammassi rocciosi
(rock)
Tabella 3.1 Suddivisione del tipo di materiale coinvolto.
Tipo di movimento
Il cinematismo è il principale carattere classificativo ed è distinto in cinque classi:
crollo, ribaltamento, scivolamento, espandimento laterale e colata.
Crolli (falls, fig. 3.2) : “definito come un distacco di
suolo o roccia da un versante ripido, che inizia con uno
scorrimento di taglio nullo o poco limitato e che
discende principalmente in aria con un moto di caduta
libera seguito da rimbalzo o rotolamento”.
L’accumulo di roccia franata tende ad agire come
limitante per l’evoluzione del fenomeno. Generalmente i
crolli si verificano in versanti interessati da
discontinuità naturali preesistenti (faglie e piani di
stratificazione) o di neoformazione.
Ribaltamenti (topples, fig. 3.3) : movimenti simili
ai crolli e caratterizzati dal “ribaltamento frontale
del materiale che ruota intorno ad un punto al di
sotto del baricentro della massa”. I materiali
Figura 3.2 Crollo.
Figura 3.3 Ribaltamento.
21
interessati sono delle rocce lapidee che hanno subito un intenso processo di
alterazione e/o che presentano delle superfici di discontinuità prevalentemente
verticali.
Espandimenti laterali (lateral spreads, fig. 3.4 ):
si innescano tipicamente quando una massa
rocciosa lapidea e fratturata è sovrapposta ad una
roccia dal comportamento plastico. L'espansione
laterale è generata dal flusso del materiale plastico
sottostante che provoca la progressiva fratturazione Figura 3.4 Espandimento laterale.
del materiale rigido sovrastante.
Scorrimenti (slides, fig. 3.5,
fig. 3.6) : “uno
scorrimento è un movimento di suolo o roccia che
avviene lungo una superficie di rottura o una zona
relativamente sottile di intensa deformazione di
taglio”. Tra gli scorrimenti si possono distinguere,
Figura 3.5 Scorrimento rotazionale.
in base alla forma della superficie di scorrimento,
due tipologie: scorrimenti di tipo rotazionale (fig.
3.5) e scorrimenti di tipo traslativo (fig. 3.6). Lo
scorrimento di tipo rotazionale avviene in terreni o
rocce dotati di coerenza e si sviluppa lungo una
superficie generalmente concava, che si produce al
momento della rottura del materiale. Lo
scorrimento traslativo invece consiste nel
movimento di masse rocciose o di terreni, lungo una
superficie preesistente inclinata nella stessa
direzione del pendio. Questa superficie è una zona
di discontinuità o comunque di debolezza
meccanica e, in genere, è rappresentata da una
Figura 3.6 Scorrimento traslativo.
frattura, un piano di strato o un contatto tra litotipi a
diversa competenza.
Colate (flows, fig. 3.7) : “è un movimento
spazialmente continuo in cui le superfici di taglio
Figura 3.7 Colata.
sono temporanee, fittamente spaziate, e generalmente non preservate”.
Questi movimenti franosi si verificano tipicamente nei terreni e sono evidenziati da
un comportamento simile a quello quello di un fluido viscoso.
22
In base alla velocità di movimento, alla percentuale d’acqua nel terreno e alla
cernita dei sedimenti si possono distinguere colate di terra, (earth flow) come un
“flusso relativamente meno umido in un terreno plastico…comune in argille o rocce
argillose alterate…su versanti moderatamente inclinati” (Varnes, 1978) e colate di
detrito (debris flow) classificate come “una miscela d’acqua, sedimenti
scarsamente selezionatie altro detrito che si muove per gravità ad elevata velocità
(Iverson, 1987).
La classificazione di un fenomeno franoso può divenire più elaborata quando si
dispongono di più informazioni sul fenomeno. Oltre al tipo di movimento e
materiale coinvolto nel fenomeno franoso si può aggiungere una sequenza di
termini che descrivono l’attività, la velocità e il contenuto d’acqua.
Nel termine “attività” sono incluse le informazioni sullo stato, la distribuzione e lo
stile di attività della frana, come di seguito descritto nella tabella 3.2:
ATTIVITÀ
Stato
di attività
Distribuzione
di attività
Stile
di attività
Tabella 3.2 Suddivisione del parametro “attività”.
Stato di attività
Lo stato di attività definisce, tramite informazioni di carattere geomorfologico e
storico, le caratteristiche dell’evoluzione temporale di un fenomeno franoso.
Viene definita dunque una frana:
• Attiva: attualmente in movimento;
• Riattivata: di nuovo attiva dopo essere stata inattiva;
• Sospesa: si è mossa durante l’ultimo ciclo stagionale ma inattiva
attualmente;
Se l’ultima fase di attività risale a prima dell’ultimo ciclo stagionale, la frana,
secondo gli autori citati è da definirsi inattiva. Queste sono divise ulteriormente
nelle seguenti sottoclassi:
• Quiescente: le cause del movimento sono ancora presenti;
• Abbandonata: le cause del movimento non sono più presenti;
23
• Stabilizzata: il movimento è stato arrestato da apposite misure si
stabilizzazione;
• Relitta: movimento che si è sviluppato in condizioni geomorfologiche o
climatiche considerevolmente diverse da quelle attuali.
Distribuzione di attività
La distribuzione delle attività descrive dove la frana si sta movendo e permette di
prevedere il tipo di evoluzione, in senso spaziale, del dissesto; in base alla
distribuzione di attività una frana si definisce:
• In avanzamento: se la superficie di rottura si estende nella direzione del
movimento;
• In retrogressione: se la superficie di rottura si estende in senso opposto a
quello del movimento (verso monte);
• In allargamento: se la superficie di rottura si estende su uno o entrambi i
margini laterali;
• In diminuzione: se il volume del materiale spostato decresce nel tempo;
• Multi-direzionale: se la superficie di rottura si estende in due o più
direzioni;
• Confinata: se è presente una scarpata ma non è visibile la superficie di
scorrimento al piede della massa spostata;
Stile di attività
Questa proprietà indica come i diversi meccanismi di movimento contribuiscono
alla frana; in base allo stile di attività una frana si definisce:
• Singola: se è caratterizzata da un singolo movimento del materiale spostato;
• Multipla: se si tratta di una molteplice ripetizione dello stesso tipo di
movimento;
• Successiva: se è caratterizzata da un movimento dello stesso tipo di quello
di un fenomeno precedente e adiacente, e se le masse spostate e le superfici
di rottura si mantengono ben distinte;
• Complessa: se è caratterizzata dalla combinazione, in sequenza temporale,
di due o più tipi di movimento (es: prima scivolamento e poi colata);
• Composita: se è caratterizzata dalla combinazione di due o più tipi di
movimento (crollo, ribaltamento, scivolamento, espansione, colamento)
simultaneamente in parti diverse della massa spostata;
24
Velocità di movimento
Nel 1996 Cruden & Varnes hanno proposto anche una scala delle velocità di
movimento tipiche dei fenomeni franosi (fig. 3.8).
Figura 3.8 Classificazione di Cruden & Varnes per la velocità per i fenomeni franosi.
Si tratta di una scala relativa che, fornendo precise soglie di velocità,
progressivamente copre un intervallo che va dai mm/anno fino ai m/sec delimitando
così diverse classi di spostamento.
In molti casi una determinata classe di velocità corrisponde un preciso tipo di
movimento; si passa generalmente dai mm/anno per i scorrimenti in terra fino ai
m/sec per le rock avalanches (valanghe di roccia).
Una stima approssimata della velocità può essere ottenuta dalla tipologia del
fenomeno e dal suo stato di attività individuabile in fig. 3.9.
Figura 3.9 Suddivisione dei principali tipi di movimenti in base alle loro classe di velocità.
25
Contenuto d’acqua
Per descrivere il contenuto d’acqua di un movimento franoso si fa riferimento allo
stato di umidità del materiale spostato:
• Secco: non si notano segni di umidità;
• Umido: contiene acqua capillare ed è priva di acqua a pelo libero, il
materiale può comportarsi plasticamente ma non come un fluido;
• Bagnato: contiene abbastanza acqua tale da comportarsi come un liquido e
talvolta il mezzo risente di significativi flussi d’acqua attraverso di esso;
• Molto bagnato: contiene abbastanza acqua tale da fluire come un liquido
anche su basse pendenze.
La sequenza di aggettivi per la descrizione di un movimento franoso e di seguito
riportata:
attività velocità contenuto d’acqua materiale tipo di movimento;
esempio: attiva, in retrogressione, complessa, lenta, umida, scorrimento-colata in
terra.
Lo studio in questione prende in considerazione 15 fenomeni franosi i quali nella
loro storia presentano dei brevi periodi di riattivazione connessi a rapide velocità di
movimento e seguiti da prolungati periodi di quiescenza, con spostamenti
percepibili attraverso adeguata strumentazione, che variano per la maggior parte in
relazione alla piovosità locale.
La capacità dei terreni in considerazione a trattenere acqua è sempre importante; dai
rilievi piezometrici presenti risulta una tendenza media della falda ad assestarsi
pochi metri sotto il piano campagna secondo le variazioni stagionali.
I fenomeni franosi analizzati presentano dei cinematismi che possono essere
ascrivibili a dei fenomeni di scorrimento o colate e talvolta con i due fenomeni in
sequenza (movimento complesso); questi tipi di movimenti avvengono per la
maggior parte nei terreni fini dei casi analizzati.
L’unico fenomeno franoso in materiale arenaceo è caratterizzato da un movimento
tipo scorrimento roto – traslativo.
26
3.3
Definizione dello stato di attività
Attraverso le informazioni reperibili presso gli enti precedentemente citati, la
comprensione della cronistoria dei fenomeni franosi associata allo stato di attività è
risultata di più semplice interpretazione.
Nella classificazione dei movimenti franosi presi in considerazione, per garantire
una corretta ed omogenea determinazione dello stato di attività attraverso l’analisi
di tipo morfologico è necessario stabilire l’approccio volto a rilevare effetti indotti
sulle forme del rilievo.
I fenomeni analizzati, generalmente caratterizzati da movimenti complessi, sono
fenomeni che esplicano la loro attività in modo permanente sia nel tempo sia nello
spazio; la loro evoluzione è caratterizzata da cicli in cui si alternano periodi di
inattività a periodi di forte ripresa del movimento. Per questa categoria di fenomeni
gravitativi si ricorre all’analisi oggettiva dello stato di conservazione delle forme
come manifestazioni superficiali del movimento definibile attraverso un grado di
attività.
Questo tipo di analisi risente molto dell’esperienza e della sensibilità dell’operatore;
i concetti ed i criteri presi in considerazione non devo essere intesi come assoluti ma
come strumenti utili a rendere la definizione dello stato di attività meno soggettiva
possibile.
Il grado di attività, esprime un indizio di un mutamento morfologico in funzione dei
processi gravitativi locali; questo si può registrare attraverso caratteristiche
oggettive che il fenomeno franoso tende a dare, quali:
• grado di rimaneggiamento del terreno, esso esprime quanto un terreno
risulta scompaginato e smosso dall’azione del fenomeno gravitativo;
• presenza o meno di vegetazione, questo fattore funge da indicatore della
stabilità geomorfologica dell’area offrendo così un riscontro sulla frequenza
dei dissesti;
• attività antropica nell’area, la presenza di un area urbanizzata in un
determinato contesto viene interpretata come indicazione di movimenti del
terreno pressoché assenti.
Generalmente sul corpo di frana di in un ipotetico movimento franoso caratterizzato
da numerose riattivazioni negli anni, questo presenta terreno scompaginato, scarsa o
assente vegetazione, e in generale l’urbanizzazione è assente, se non presente ai
bordi di tale contesto.
27
Al contrario, in un corpo di frana quiescente, non riusciamo a distinguere a prima
vista gli elementi del fenomeno franoso. Abbiamo indicazioni di modesta attività,
sono presenti testimonianze morfologiche sull’avvenuto dissesto come zone
concave e convesse, ma queste per la maggior parte saranno caratterizzate da
copertura vegetale o arborea anche ad alto fusto. Generalmente l’urbanizzazione è
modesta.
In relazione a questi parametri, vengono suddivise quattro classi di attività che
testimoniano lo stato di del versante al momento del rilievo:
• A (grado di attività elevato)
• B (grado di attività medio)
• C (grado di attività basso)
• D ( grado di attività pressoché nullo)
Vista l’importanza dello stato di attività di un fenomeno franoso sulla sua velocità,
in questo studio tale parametro è stato determinato in dettaglio analizzando foto
aeree su diverso intervallo temporale. Sono stati presi in considerazione i voli
compiuti nei seguenti anni:
• 1973 (volo PIC 1973, Col);
• 1996 (volo AIMA 1996, B/N);
• 1999 (volo 2000 RER, Col);
• 2003 (volo Quick Bird 2003, B/N);
• 2006 (da www.pcn.minambiente.it);
Per ciascun volo, lo stato di attività superficiale è stato definito facendo riferimento
alle 4 categorie informali riportate in tabella 3.3:
A
zona non vegetata, evidenza di terreno rimaneggiato,
colore chiaro, recente
B
alternanze di terreno vegetato e non, privo di copertura
arborea con evidenze di colori chiari e scuri
C
completamente vegetato con arbusti e copertura erbosa,
assenza di alberi ad alto fusto
D
completamente vegetato con alberi ad alto fusto e aree
urbanizzate (abitazioni, strade)
Tabella 3.3 Classificazione dello stato di attività dei fenomeni franosi analizzati.
28
Inoltre sono stati cartografati gli elementi geomorfologici principali di ogni frana,
quali nicchie di distacco e accumuli per ogni anno in considerazione.
29
3.4
Frana di Baigno
Ubicazione geografica; la frana di Baigno ricade negli elementi n. 252051 e 252064
della CTR della Regione Emilia-Romagna (Tav. 1-2) e si trova in prossimità della
località “Serra di Baigno” (comune di Camugnano, Bo) ad una quota media di 640
m slm.
La zona fa parte del bacino idrografico del Fiume Reno e si trova in sinistra del
T.Torbola.
Geologia e geomorfologia; il movimento interessa terreni appartenenti alle Brecce
Argillose Poligeniche (BAP) e parzialmente le Argilliti Variegate con Calcari
(AVC) che affiorano a nord dell’abitato di La Serra con contatto di natura tettonica.
Nei versanti posti ad est di Baigno, ma non interessati dai fenomeni franosi in
studio, sono presenti i termini marnoso - siltosi della marne di Baigno (BGN).
L’evoluzione geomorfologia del versante risulta influenzata dalla presenza delle
suddette litologie: le unità delle Brecce Argillose Poligeniche e le Argilliti
Variegate con Calcari hanno caratteristiche meccaniche scadenti rispetto alla marne
di Baigno e questo si riflette con una differente acclività fra le due litologie e una
maggior propensione da parte delle unità argillose ad essere interessate da fenomeni
franosi.
Il movimento franoso risulta classificabile prevalentemente come scorrimento
traslativo e/o roto-traslativo, con evoluzione, a colata nella porzione terminale. La
parte medio alta è impostata entro piccoli impluvi che raccolgono le acque
provenienti dai rilievi sovrastanti, in cui sono presenti lembi arenacei permeabili per
fratturazione (permeabilità secondaria).
Le zone di impluvio sono separate da rilievi e/o dossi strutturali orientati
perpendicolarmente al pendio, che costituiscono aree di relativa maggiore stabilità.
La circolazione idrica superficiale è caratterizzata dalla presenza di un collettore
principale, il Torrente Torbola (affluente sinistro del T. Limentra) e da alcuni rii
secondari, tra i quali il Rio della Serra, che assieme al Torbola delimita l’area di
frana.
30
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazione
Impluvio Nord
Impluvio Sud
Figura 3.4.1 Rilievo dello stato di attività in località Baigno da foto aeree del 1973.
Dalle testimonianze dei proprietari dei terreni coinvolti, il movimento franoso
risulta essersi attivato intorno agli anni 1930-1940 con più riattivazioni del
fenomeno nel tempo
Analizzando gli elementi geomorfologici nelle foto aeree dell’anno 1973 si è potuto
notare un accumulo di frana di forma allungata con limitato stato di attività (fig.
3.4.1). Sul versante non sono stati infatti riscontrati segni di mobilizzazioni o
dissesti tali da poter essere rilevati in stereoscopia. A valle della strada erano già
presenti due impluvi (che chiameremo nord e sud, fig. 3.4.1), probabilmente
interessati da eventi di frana nei già citati anni 30-40 e da successive riattivazioni. A
monte della strada si nota un leggero impluvio che continua fino ad incontrare la SP
40 Suviana - Zanchetto, interpretabile come canale d’alimentazione inattivo del
corpo di frana sottostante.
31
Figura 3.4.2 Rilievo dello stato di attività in località Baigno da foto aeree del 1996. Il poligono rosso
rappresenta l’elevato grado di attività in seguito al fenomeno di riattivazione.
L’ultima riattivazione importante è quella del 1996: tale riattivazione è visibile
chiaramente nelle foto aeree del 1996 ed è stata cartografata come poligono ad
elevato stato di attività (fig. 3.4.2). La zona di nicchia è a quota 640 m slm e il piede
raggiunge la confluenza del Rio della Serra con il Torrente Torbola .
Nelle foto del volo AIMA 1996 l’area coinvolta si estende interamente a valle della
strada comunale, nella porzione di versante compresa tra i due citati corsi d’acqua.
Particolarmente intensi risultano gli effetti entro l’impluvio sud, dove si osserva una
completa rimobilizzazione del pendio.
Il piede della frana ha portato a modificare in parte il corso del T. Torbola, così
distruggendo e danneggiando alcune briglie.
Segni di deformazione minori si osservano nell’impluvio nord dove si nota la
presenza di fratture/fessure di trazione ma che non costituiscono chiaramente una
mobilizzazione.
A monte della strada comunale non abbiamo chiari indizi di movimento ma solo
segni di deformazione come avvallamenti e dossi.
32
Figura 3.4.3 Rilievo dello stato di attività in località Baigno da foto aeree del 1999.
Nell’immagine del 1999 (fig. 3.4.3) si osserva ancora chiaramente l’area coinvolta
nel movimento franoso, oggetto di alcuni interventi di livellazione e regimazione
idrica superficiale.
Nella foto si nota inoltre un fenomeno deformativo con modeste fasce in
denudamento anche nell’impluvio nord, per cui l’area è stata classificata con un
unico poligono rappresentante uno stato di attività B.
Figura 3.4.4 Rilievo dello stato di attività in località Baigno da foto aeree del 2003.
33
L’analisi del volo Quick Bird 2003 (fig. 3.4.4) non mostra particolari evidenze di
movimenti. Si può notare comunque che la zona dell’impluvio sud è sempre in lenta
deformazione (stato di attività B) mentre nell’impluvio nord l’attecchimento della
vegetazione indica una diminuzione del grado di attività passando dal grado B al
grado C. Nel settembre del 2003 è segnalato un lieve movimento che purtroppo in
foto non viene riconosciuto, probabilmente perché il volo è stato eseguito prima
dell’evento di frana.
Figura 3.4.5 Rilievo dello stato di attività in località Baigno da foto aeree del 2006.
La foto del 2006 (fig. 3.4.5) testimonia la presenza di parziali denudamenti
superficiali a valle della strada comunale dove una ripresa della deformazione negli
impluvi nord e sud definisce un poligono con grado di attività B.
I movimenti non sono interpretabili come fenomeni di riattivazione ma solo
deformazioni superficiali riconducibili a fratture di trazione, ondulazioni ed
avvallamenti.
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Nel giugno 2001 sono stati messi in opera tre inclinometri (S1, S3, S5) e tre
piezometri (S6N, S4N, S2N) ubicati come da fig. 3.4.5. La successione stratigrafica
risultante dai sondaggi conferma la presenza di un corpo di frana che interessa
l’intero pendio nel tratto compreso tra la località La Serra e il T.Torbola. In ciascun
sondaggio si distinguono chiaramente due unità riferibili rispettivamente alla coltre
34
alterata rimobilizzata ed al substrato. Il passaggio tra le due unità si rinviene ad una
profondità media di -6,5 m dal p.c.
I primi interventi di sistemazione dopo la riattivazione del 1996 hanno previsto il
ripristino dei gabbioni danneggiati in prossimità della strada comunale. Tra il 2003
e il 2004 è stato attuato un progetto di stabilizzazione più importante. A scopo di
ridurre l’erosione al piede dell’accumulo operata dal torrente sono state ripristinate
le briglie danneggiate; è stato inoltre eseguito un drenaggio del corpo di frana
tramite più di 800 m di trincee drenanti profonde circa 5 m e ripristinato il
drenaggio superficiale con fossi di scolo in parte impermeabilizzati.
Dati geognostici disponibili
L’inclinometro S5, posto a valle della strada comunale nell’impluvio sud si è rotto
subito dopo la posa e dunque non è stata possibile alcuna lettura.
Sull’inclinometro S3, posto sempre a valle della strada comunale ma nell’impluvio
nord, è stata eseguita una sola lettura nel marzo 2002; successivamente si ruppe. Le
letture testimoniano una superficie di scivolamento a profondità di -7,5 m e una
velocità media di 9,42 mm/mese.
L’inclinometro S1, posizionato a monte della strada, è stato letto 5 volte nel periodo
giugno 2001 - febbraio 2006 fornendo una velocità media pari a 0,86 mm/mese e
una profondità della superficie di scivolamento di -5,5 m.
Due letture di controllo del livello della falda hanno indicato un’oscillazione
stagionale compresa tra –1.5 m (06/06/01) e -2.5 m (12/09/01) dal piano campagna
in tutti e tre i piezometri.
35
Figura 3.4.5 Foto aerea della località Baigno; in verde è rappresentato il poligono di corpo di frana
quiescente, in rosso la riattivazione del 1996. È riportato inoltre il posizionamento della
strumentazione inclinometrica (rosso) e piezometrica (blu).
36
3.5
Frana della Berzantina
Ubicazione geografica; l’area di frana è posta in corrispondenza del nucleo abitato
della Berzantina (nei pressi di Porretta Terme, comune di Castel di Casio, Bo) e
ricade nell’elemento n. 251042 della CTR della Regione Emilia-Romagna.
Il versante è esposto ad O ed è attraversato dalla S.P. 40 Porretta Terme - Castel di
Casio.
Geologia e geomorfologia; l’area di Porretta Terme è caratterizzata dal contatto tra
le unità appartenenti al dominio Toscano ed al dominio Ligure esterno. Questo
contatto si sviluppa a sud dell’area in esame, in prossimità della
località
“Granaglione”.
Il movimento, classificabile come scorrimento in terra, interessa terreni appartenenti
alla Formazione delle Argilliti Variegate con Calcari (AVC) e risulta essersi attivato
nel 1992. Poco sopra (quota 560 m slm) è presente il contatto per sovrascorrimento
con le Argille a Palombini (APA).
L’assetto geomorfologico del versante è fortemente controllato sia dai litotipi
presenti che dalla vicinanza del fiume Reno. Le forme sono per la maggior parte
riconducibili a depositi di frana per scorrimento o colata, evidenziati da marcate
forme mammellonate, ondulazioni e concavità, sviluppatisi nei primi metri di
terreno.
Sono state cartografate due scarpate di frana principali che bordano il bacino in cui
è posta la zona in studio, una a 485 m e l’altra a 520 m slm.
La maggior parte dell’area in studio è condotta a seminativo, in parte è urbanizzata
e in parte è ricoperta da boschi con acclività molto basse specialmente in prossimità
del Fiume Reno.
Non sono presenti canali collettori principali e di conseguenza la circolazione idrica
superficiale risulta piuttosto diffusa.
L’area a valle si presenta particolarmente urbanizzata e senza segni di movimenti
significativi. A monte al contrario, dove si ha una densità abitativa più ridotta, si
sono rilevati indizi di instabilità: le mura perimetrali dell’abitazione sita lungo la
Strada Provinciale ad una quota di 420 m slm circa presentano lesioni ed un muro di
recinzione, sempre lungo la stessa strada ma ad una quota di 475 m, si presenta
inclinato verso valle e fratturato.
Un’altra indicazione di movimento è presente, sia a valle che a monte della stessa
strada ad una quota di 480 - 495 m e consiste in una area con larghezza di 100 m
circa di forma concava in lieve denudamento.
37
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazioni
Figura 3.5.1 Rilievo dello stato di attività in località Berzantina da foto aeree del 1973.
Le prime notizie sull’attivazione della frana risalgono al gennaio 1962, con una
successiva riattivazione nel dicembre 1992. Dalle foto in stereoscopia del 1973 non
si sono riscontrati segni di dissesto del versante (fig. 3.5.1): la zona dell’accumulo
di frana è interamente caratterizzata da campi, vegetazione a medio/alto fusto e
abitazioni.
Dato ciò si è potuto così suddividere il corpo di frana in 2 porzioni (fig. 3.5.1): una
superiore, classificata con valore di attività C, priva di piante ad alto fusto ma con
copertura erbosa, arbusti e caratterizzata da un movimento avvenuto in passato
testimoniato dalla nicchia di distacco a quota 520 m; una inferiore, con classe di
attività D, caratterizzata da una nicchia di distacco a quota 485 m che borda, oltre
alla strada Porretta Terme – Castel di Casio, anche alcune abitazioni.
Per quanto riguarda la riattivazione del 1992, dalle analisi con le foto aeree del 1996
e 1999 non sono emersi indizi di movimenti e non si riscontrano differenze
sostanziali di grado di attività rispetto al 1973.
38
Figura 3.5.2 Rilievo dello stato di attività in località Berzantina da foto aeree del 2003.
L’analisi dell’immagine del 2003 (fig. 3.5.2) evidenzia un piccolo dissesto, posto
sotto la corona di distacco a quota 485 m slm, caratterizzato da terreno denudato
specie a ridosso delle abitazioni di Cà del Brusco. A tale dissesto è stato assegnato
un grado di attività B.
In questo periodo non si hanno però vere segnalazioni di riattivazioni, ma solo
lettere da parte di privati che testimoniano danni e lesioni alle abitazioni sui terreni
in studio.
Figura 3.5.3 Rilievo dello stato di attività in località Berzantina da foto aeree del 2006.
39
L’ultima foto disponibile del 2006 testimonia la continua instabilità della zona
direttamente a ridosso del tornante della strada Porretta – Castel di Casio e delle
adiacenti abitazioni (fig. 3.5.3)
Il movimento, testimoniato in foto da chiazze di terreno smosso e vegetazione
discontinua, presenta una tendenza in allargamento verso il lato destro sotto il
nucleo abitato di Cà del Brusco e ha portato alla distruzione parziale di un vigneto.
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Dalle analisi delle foto fra gli anni 1999 e 2003 si è potuto constatare come siano
stati eseguiti interventi per la regimazione delle acque superficiali tramite canalette,
che si uniscono ad un collettore principale realizzato nell’impluvio sottostante al
nucleo abitato di Cà del Brusco.
La regimazione interessa i terreni posti direttamente sotto la scarpata a 485 m,
quest’ opera interessa proprio la zona soggetta a movimento in quegli anni.
Nell’anno 2006 la Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno ha effettuato
una campagna geognostica realizzando sondaggi con penetrometrie SPT abbinati a
tubi inclinometrici e piezometrici, una prospezione geofisica tramite sismica a
rifrazione e una rete di capisaldi per rilievi topografici.
In tutti i punti d’indagine (fig. 3.5.12), ad esclusione di uno, è stata eseguita una
coppia di sondaggi a carotaggio continuo e a distruzione, strumentati con
piezometri, sia a tubo aperto che Casagrande, ponendo in alcuni casi due celle. La
profondità media d’indagine è stata di 20 m.
I piezometri S2PA, S14PA e S4PA sono a tubo aperto, mentre i piezometri S4C1_2,
S14CN, S6CN, S12C, S8C e S10C sono celle Casagrande (fig. 3.5.12).
Gli inclinometri eseguiti sono otto: S1, S3, S15, S13 nella parte alta e S5, S11, S7 e
S9 nella parte bassa del corpo di frana, ubicati come da fig. 3.5.12.
Dati geognostici disponibili
La successione stratigrafica rilevata nei diversi sondaggi è simile. In tutti i fori si
distingue la coltre alterata dal substrato inalterato e talora è possibile fare delle
ulteriori distinzioni in base al grado di alterazione e consistenza del materiale. Nel
complesso la coltre è caratterizzata da un elevata consistenza raggiungendo una
profondità media di -7 m dal p.c. Dai valori di pocket penetrometer (PP) e Torvane
40
(T) il passaggio coltre - substrato è marcato da un netto aumento dei valori che si
portano a fondo scala in entrambi i casi.
Nel corso dei sondaggi sono state eseguite tre prove SPT in ogni sondaggio a
carotaggio continuo, privilegiando l’indagine all’interno della coltre. Le prove SPT
hanno permesso di definire lo stato di consistenza dei terreni investigati; il numero
di colpi per l’avanzamento di 30 cm della punta è riportato nella tabella sottostante
(tab. 3.5.1):
S1I
S3I
S5I
S7I
S9I
S11I
S13I
5,00-5,45 m
(3,22,31) 53
3,50-3,95 m
(1,6,11) 17
4,55-5,00 m
(5,11,14) 25
1,50-1,95 m
(6,11,14) 25
4,50-4,95 m
(4,10,9) 19
3,00-3,45 m
(12,19,21) 40
3,00-3,45 m
(9,16,23) 39
10,00-10,12 m
> 50
6,00-6,45 m
(7,12,19) 31
6,90-7,35 m
(3,6,13) 19
4,60-5,05 m
(14,21,23) 44
8,60-9,05 m
(14,23,>50) > 50
5,00-5,45 m
(8,14,14) 28
7,25-7,70 m
(4,11,14) 25
18,00-18,45 m
(11,32,26) 58
24,00-24,30
(21,>50) > 50
10,50-10,95 m
(16,27,33) 60
8,00-8,30 m
(21,>50) > 50
16,00-16,12 m
> 50
9,00-9,45 m
(16,34,26) 60
11,50-11,95 m
(16,27,33) 60
Tabella 3.5.1 N° dei colpi da prova SPT a diverse profondità nei vari sondaggi (su gent. concessione
della C.M.A.M.V.R.).
Dall’andamento dei risultati NSPT si osserva come lo stato di consistenza del
materiale sia compreso tra molto compatto ed estremamente compatto, ed anche nei
tratti più superficiali la consistenza è elevata con un valore minimo misurato di NSPT
= 17.
Gli inclinometri sono stati installati nell’aprile 2007 e sono stati letti 4 volte fino a
maggio 2008. Le misure del tubo S11 sono state scartate per la non uniformità del
suo azimut con la direzione di movimento principale.
Il monitoraggio inclinometrico ha indicato che la superficie di scorrimento, si trova
quasi sempre al passaggio tra coltre alterata e substrato.
L’inclinometro S1 posto nella zona di corona, denota un movimento graduale della
coltre che tende a diminuire di velocità con la profondità arrestandosi a quota -7 m;
nell’arco temporale fra le letture l’inclinometro mostra una velocità media di 0,97
mm/mese.
Nel tubo S3, posto a sinistra del tubo S1, si rileva un movimento estremamente
lento a partire da -10 m di profondità, coincidente con la base della coltre a -9,5 m;
41
nell’arco temporale fra le letture l’inclinometro mostra una velocità media di 0,36
mm/mese.
Il tubo S5, posto sul corpo di frana, mostra un evidente spostamento in
corrispondenza di -15 m di profondità (il dato si correla con la successione
stratigrafica rilevata) e la velocità di spostamento del punto di rottura è pari a 1,32
mm/mese.
L’inclinometro S7, posto a valle del precedente, mostra una superficie di
scorrimento a quota -5 m dal piano campagna coerente con la stratigrafia rilevata e
mostra una velocità media di 1,01 mm/mese.
L’inclinometro più a valle, denominato S9, mostra due distinti punti di scorrimento
a -6 m e -14 m dal piano campagna. Il primo piano è coerente col passaggio
coltre/substrato a -6,5 m, mentre il secondo indica un movimento all’interno del
substrato. La velocità media calcolata è pari a 0,76 mm/mese.
Il tubo S13, installato nella zona di corona più a valle, presenta una superficie di
scorrimento a -8 m di profondità in accordo con lo spessore della coltre e mostra
una velocità media di 1,71 mm/mese.
Il tubo S15, installato a fianco del precedente, mostra i maggiori spostamenti
rilevati. Il piano di scivolamento è posto a -8 m di profondità e la velocità media è
pari a 4,14 mm/mese. Anche in questo caso c’è coerenza tra il dato inclinometrico e
la successione stratigrafica.
Nel versante sono stati installati, a fianco di ogni tubo inclinometrico, (ad
esclusione di S15), dei tubi piezometrici sia aperti che Casagrande. Il filtro è
generalmente posto nelle porzioni più superficiali della coltre ed in alcuni fori è
stato realizzato un secondo filtro a profondità maggiori, alla base della coltre o alla
sommità del substrato.
Nel grafico sottostante di fig. 3.5.4 si riportano le misure effettuate nei piezometri
nel periodo ottobre 2006 – ottobre 2007.
I rilievi evidenziano come la superficie piezometrica nell’area sia uniformemente
distribuita nella coltre e posta a profondità comprese tra -3 m e -4 m dal p.c., senza
variazioni stagionali significative.
I filtri posti a profondità maggiori indicano una soggiacenza della falda compresa
fra -7 m e -9 m, con locali risalite ed andamento non concordante fra loro e con i
piezometri più superficiali.
42
0,00
-1,00
-2,00
S4C1
Soggiacenza (m)
-3,00
S4C2
S6N
-4,00
S6C
-5,00
S8C
S10C
-6,00
S12C
-7,00
S14N
S14C
-8,00
-9,00
11
/
10
/
20
07
20
07
02
/
20
/
11
/
30
/
11
/
10
/
20
06
20
06
-10,00
Data m isura
Figura 3.5.4 Andamento del livello di falda analizzato in località Berzantina nei vari piezometri nel
periodo 10/2006 – 10/2007 (su gent. concessione della C.M.A.M.V.R.).
La prospezione geofisica tramite sismica a rifrazione è consistita nello stendimento
di 10 linee sismiche sul versante in modo da formare una rete di profili longitudinali
e trasversali (fig. 3.5.5).
Figura 3.5.5 Traccia in pianta delle linee geofisiche eseguite.
43
Le sezioni fornite dalla Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno mostrano
l’esistenza di due strati, riferibili rispettivamente ad uno strato areato-superficiale
con Vp comprese tra 600 e 800 m/sec (coltre), a cui fa seguito uno strato profondo,
mediamente compatto con Vp comprese tra 2200 e 2600 m/sec (substrato). Gli
spessori di coltre variano lungo i profili investigati: lungo l’allineamento dato dalle
linee 2 e 4 si osserva il rapido passaggio da spessori modesti di coltre, dell’ordine di
3-4 m presso il tornante della strada Porretta Terme – Castel di Casio a spessori
mediamente compresi tra 10 e 12 m poco a valle della SP 40 in località il Brusco
(fig. 3.5.6, fig. 3.5.7).
Figura 3.5.6 Sezione longitudinale della linea sismica 4 (su gent. concessione C.M.A.M.V.R).
Figura 3.5.7 Sezione longitudinale della linea sismica 2 (su gent. concessione C.M.A.M.V.R).
Le linee trasversali (fig. 3.5.8, 3.5.9, 3.5.10, 3.5.11) evidenziano le variazioni
laterali dello spessore di coltre, in particolare si osserva una riduzione di spessore
spostandosi verso i dossi strutturali che delimitano l’impluvio della Cappona
(spessori di pochi metri).
44
Figura 3.5.8 Sezione trasversale delle linee sismiche 1 – 3 (su gent. concessione C.M.A.M.V.R).
Figura 3.5.9 Sezione trasversale delle linee sismiche 8 – 9 (su gent. concessione C.M.A.M.V.R).
Figura 3.5.10 Sezione trasversale delle linee sismiche 6 – 7 (su gent. concessione C.M.A.M.V.R).
Figura 3.5.11 Sezione trasversale delle linee sismiche 5 – 10 (su gent. concessione C.M.A.M.V.R).
Al fine di monitorare gli spostamenti superficiali è stata realizzata una rete di
monitoraggio topografico costituita da tre piastrini/stazioni posti lungo il dosso
strutturale che delimita in destra l’impluvio e 16 capisaldi distribuiti lungo il
pendio, sia in corrispondenza dei sondaggi che in altri punti a integrazione della
rete. I risultati confermano movimenti lievi nella zona alta del versante.
45
Figura 3.5.12 Foto aerea in località Berzantina; è rappresentato il poligono del corpo di frana
quiescente in verde, la zona denudata e più colpita da dissesti superficiali del 2003-2006 in rosso. È
riportato il posizionamento della strumentazione inclinometrica (rosso) e piezometrica (blu).
46
3.6
Cà Zama
Ubicazione geografica; l’area in frana è posta a Sud-Est dell’abitato di Gaggio
Montano, in destra idraulica del Torrente Silla nei pressi del nucleo abitato di Cà di
Zama (comune di Porretta Terme, Bo). L’area ricade negli elementi n. 251043,
251044 della CTR della Regione Emilia Romagna.
Geologia e geomorfologia; la zona si colloca ad una quota di 485 m slm sul
versante destro del torrente Silla e interessa i terreni della Formazione delle Argille
a Palombini (APA). In generale i versanti dell’area risultano soggetti a numerosi
fenomeni gravitativi che, nella maggior parte dei casi, raggiungono il fondovalle e
coinvolgono anche il T. Silla.
L’area è delimitata da due impluvi ad Ovest e ad Est ed è caratterizzata da due
importanti fenomeni franosi per scorrimento in terra che evolvono in colata; questi
sono visibili in carta in maniera netta dato il loro elevato grado di attività
superficiale (fig. 3.6.1).
Lo studio si concentra comunque sulla zona dove è presente un nucleo abitativo
denominato “Cà Zama” il quale, posto su di un alto morfologico e leggermente in
contropendenza rispetto all’assetto del versante, è soggetto a lesionamento di alcune
infrastrutture (un abitazione e un ricovero per animali).
Dalla cartografia del dissesto della RER la zona non risulta direttamente soggetta a
movimenti franosi, ma l’effetto combinato della scarsa regimazione delle acque
superficiali, di una zona in contropendenza e di una spessa coltre argillosa, può
sicuramente favorire lievi movimenti superficiali del terreno. La situazione potrebbe
aggravarsi ulteriormente se su questi appezzamenti venissero edificate abitazioni
con fondazioni superficiali (com. pers. A. Fantini).
47
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazioni
Figura 3.6.1 Rilievo dello stato di attività in località Cà Zama. La freccia nera indica l’ubicazione degli
inclinometri e gli edifici lesionati.
Dall’analisi delle foto aeree emerge che la zona in studio non ha subito riattivazioni
o variazioni dello stato di attività nell’intervallo temporale 1973÷2006 (fig. 3.6.1).
Sull’intero versante, ma al di fuori della zona in studio, al contrario sono presenti
importanti movimenti franosi anche di recente riattivazione.
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
A seguito delle lesioni avvenute agli inizi degli anni 2000 e delle successive opere
di ripristino, e al fine di monitorare ulteriori movimenti del terreno, nel novembre
del 2002 sono stati realizzati due sondaggi a carotaggio continuo e installati due
inclinometri (S1 e S2) posti rispettivamente a valle e a monte dell’abitazione (fig.
3.6.2).
Dati geognostici disponibili
Per l’inclinometro S1 non è stato possibile effettuare alcuna lettura a causa del
bloccaggio della sonda.
48
L’inclinometro S2, installato nel novembre del 2002 e seguito da 2 letture fino a
febbraio 2006, non indica superfici di rottura evidenti e testimonia una velocità
media in testa tubo pari a 0,21 mm/mese.
Figura 3.6.2 Foto aerea in zona Cà Zama. Sono indicati i fenomeni franosi attivi (in rosso) e i corpi di
frana quiescenti (in verde); è riportata l’ubicazione della strumentazione inclinometrica (rosso).
49
3.7
Frana della Carbona-Carboncina
Ubicazione geografica; l’area in frana ricade nell’elemento n. 237103 della CTR
della Regione Emilia-Romagna ed è situata a 35 Km da Bologna in prossimità delle
località Carbona e Carboncina (comune di Vergato, Bo).
In questa zona verranno descritti 3 movimenti gravitativi che per semplicità
verranno distinti da N a S come frana della Carbona (1), frana intermedia (2), frana
della Carboncina (3).
Geologia e geomorfologia; i movimenti franosi interessano i terreni appartenenti
alle Formazioni delle Argille a Palombini (APAa e APA) nelle zone più elevate,
mentre verso il fondovalle, quasi al piede delle 3 frane, è presente il contatto con le
Argille Variegate di Grizzana Morandi (AVT).
Sul fondovalle, a ridosso di modesti lembi di alluvioni terrazzate recenti o
direttamente sull’alveo fluviale, sono presenti abbondanti coltri detritiche argillose
derivanti da estesi movimenti di massa.
Il versante in oggetto è caratterizzato da una porzione superiore caratterizzata da
numerosi piccoli impluvi, sede di colate di terra che creano una morfologia pseudocalanchiva. Tali vallecole, coalescenti verso il fondovalle, sono poi occupate da
estesi accumuli di frana il cui equilibrio è reso precario proprio dai nuovi apporti di
materiale dalle aree di monte.
Modesti lembi di alluvioni terrazzate recenti (sede delle infrastrutture viarie di
fondovalle) impediscono alle acque fluviali di esplicare un’azione erosiva sui fronti
dei vari accumuli detritici.
La frana della Carbona (1), è un imponente accumulo di frana polifasica che
nell’anno 1979 fu sede di una riattivazione con coinvolgimento di alcune abitazioni
e della sede stradale SS64 “Porretana”. La frana è limitata sui fianchi da impluvi in
costante erosione, convergenti sul falsopiano a Sud di Caselina. Verso valle poi, il
Rio Rimessa presenta un’incipiente erosione di fondo con la capacità di generare
dissesti superficiali sulle sponde dello stesso Rio. Sul grande accumulo di
paleofrana sono presenti i centri abitati di Carbona e Rimessa.
La frana della Carbona, è stata sicuramente coinvolta in numerose riattivazioni nel
passato, come testimonia il grande accumulo alla base.
Ad ovest di Rimessa, (frana 2), è presente un bacino di colata caratterizzato da
scorrimenti e colate superficiali nella parte alta generalmente in erosione, da uno
50
stretto canale di flusso in quella centrale, e da un deposito di accumulo di colata a
ridosso della SS64. La frana non ha coinvolto abitazioni.
La colata di Carboncina (3) è caratterizzata da un bacino di alimentazione che si
articola in più bracci che convergono a quota 265 m in uno stretto canale di flusso e
termina con il deposito di accumulo a ridosso dell’abitato di Carboncina.
Evoluzione dei fenomeni franosi e riattivazioni
Frana 1
Frana 2
Frana 3
Figura 3.7.1 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Carbona da foto aeree del 1973.
La parte alta della frana della “Carbona” (1) è composta da due rami che nelle foto
del 1973 (fig. 3.7.1) mostrano un’attività molto elevata (A) fino al loro
congiungimento. La parte inferiore non appare interessata da movimenti e gli si è
potuto assegnare un valore di attività basso (C). Si possono notare inoltre dei canali
di alimentazione laterali con carattere meno attivo e in parte già vegetati.
Dai dati dell’Autorità di Bacino del Reno (http://www.regione.emiliaromagna.it/bacinoreno/frane/agg_fra_sto/aggiornamento_catalogo_frane.htm),
questa grande frana risulta essere stata riattivata nel 1901, 1937 e 1965, con
51
distruzione continua della strada sottostante e riattivazioni minori del fenomeno nel
tempo (1993).
Il più importante dissesto osservabile nelle foto del 1973 (fig. 3.7.1) è compreso tra
“la Carbona” e “la Carboncina” (frana 2) dove si nota un deposito di colata che
raggiunge la SS64 caratterizzato da un elevato grado di attività (A).
La frana della “Carboncina” (3) mostra uno stato di attività diverso in due settori
(fig. 3.7.1). Nella parte alta, a valle del toponimo “Ronzone” è visibile uno stretto
canale di flusso con vegetazione e alberi a bassi fusto caratterizzato da modesta
attività (C). La parte mediana è invece caratterizzata dalla presenza di due impluvi
che convergono in un unico canale; questi presentano vegetazione rada e costanti
denudamenti fino all’abitato di Carboncina, classificabile quindi con un valore di
attività B.
Figura 3.7.2 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Carbona da foto aeree del 1996.
Alla base del grande accumulo di frana, nei pressi dell’abitato di Rimessa, si può
notare l’intensa attività (A) di una piccola area in dissesto. Nel 1979 ci fu un
importante riattivazione della frana “Carbona” (1) con distruzione di una parte della
52
strada “Porretana” e gravi danni ad alcuni edifici. Di tale riattivazione non si hanno
ulteriori informazioni e foto aeree idonee.
Con la foto del 1996 (fig. 3.7.2) viene messa in risalto l’attività dei canali di
alimentazione della frana “Carbona” (1): il ramo di sinistra (guardando a valle con
le spalle verso monte), dal confronto con la foto del 1973, risulta essere meno
attivo (cambio di attività da A a B); con tutta probabilità la riattivazione del 1993 ha
coinvolto solo il canale di destra.
Nella frana “intermedia” (2), il canale d’alimentazione principale risulta più stretto
e meno esteso longitudinalmente ma sempre in attività (A) (fig. 3.7.2). Le zone in
dissesto del ’73 (in nicchia e al piede) lasciano spazio a leggeri denudamenti di
terreno con comparsa di vegetazione e alberi (B-C).
I rilievi aerei del 96 (fig. 3.7.2) della frana della “Carboncina” (3) mostrano un
ampliamento della vegetazione circostante del vecchio canale d’alimentazione che
sottostava l’abitato di “Ronzone” (493 m slm).
Sul fianco destro del bacino è presente un area in forte dissesto, contrariamente a
quanto visto nel 1973; questa zona è quasi sicuramente l’area di una riattivazione
documentata nel 1995.
In tutto il corpo di frana della “Carboncina”, dalla zona di monte al piede, è
attribuibile un indice di attività B, che rispetto alle analisi con le foto aeree del ‘73
testimonia una retrogressione del fenomeno franoso verso monte.
53
Figura 3.7.3 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Carbona da foto aeree del 1999.
Dal 1996 al 1999 nella frana “Carbona” (1) non si osservano ulteriori cambiamenti
o movimenti importanti, a parte la continua erosione calanchiva nei pressi di
Rimessa (fig. 3.7.3).
Nella frana intermedia (2) si nota l’interruzione della forte attività di trasporto nel
canale di alimentazione, testimoniata dall’attecchimento della vegetazione (fig.
3.7.3). Quasi al piede del deposito di colata, è visibile un piccolo movimento,
classificato come attività A, quasi certamente dovuto alla retrogressione di una
piccola nicchia di distacco precedentemente in posto visibile in fig. 3.7.1.
La frana della “Carboncina” (3) non è interessata da apprezzabili movimenti; si può
sempre notare l’impluvio sulla destra in costante dissesto e il cambio di stato di
attività della parte sottostante la nicchia principale, che passa da B a C causa dello
sviluppo della vegetazione (fig. 3.7.3).
54
Figura 3.7.4 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Carbona da foto aeree del 2003.
Dal 1999 al 2003 la frana “Carbona” (1) resta immutata nel suo complesso (fig.
3.7.4).
È continuo il movimento ad O di Rimessa visibile in questa foto esteso più a valle;
inoltre, poco più a nord di questo, è stato rinvenuto un dissesto sulla sponda sinistra
del rio.
Nella frana intermedia (2) si ha la ricongiunzione del canale di alimentazione
principale tornato in dissesto caratterizzato da elevata attività (A). Pur presentando
sulla destra un dissesto in continua evoluzione nel tempo (grado di attività A), la
zona di piede si distingue per la sua modesta attività (B) (fig. 3.7.4).
Nella frana della “Carboncina” (3) si assiste alla continua rivegetazione della zona
di piede e di quella di monte col continuo dissesto nell’impluvio di destra (fig.
3.7.4).
55
Figura 3.7.5 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Carbona da foto aeree del 2006.
L’attuale stato del versante, (foto del 2006, fig. 3.7.5) è così descrivibile: nella frana
della “Carbona”(1) è presente un canale di alimentazione (destro) in continuo
dissesto e un canale sinistro caratterizzato da modesti denudamenti di terreno
alternati a zone con vegetazione (attività B). I due canali confluiscono in una zona
di falsopiano dove si accumulano i depositi di colata (fig. 3.7.5).
Alla base è presente il grande accumulo di frana a cui viene assegnato un grado di
attività modesto (C). Sul Rio Rimessa, a monte e non distante dall’omonimo centro
abitato, sono presenti zone attive con evidenze di dissesti di sponda o piccole frane
con un grado di attività da tenere in considerazione (B).
La frana intermedia (2) è caratterizzata da un bacino di alimentazione con forti
dissesti mentre la zona sottostante, comprendente il canale di alimentazione
principale, è caratterizzata da alternanza di aree denudate e vegetate (fig. 3.7.5).
Il piede è contraddistinto da una zona di intensa attività posta in destra e di una zona
di accumulo delle colate provenienti da monte classificata con un grado di attività
B.
56
L’area a ridosso della SS64 “Porretana” è priva di dissesti evidenti.
La frana della “Carboncina” (3)è caratterizzata dalla presenza di vegetazione
superficiale con sporadici segni di ripresa dell’attività. Nella zona di piede, in
vicinanza del centro abitato e della strada, non si osservano segni di movimenti
franosi (3.7.5).
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Nel febbraio del 2004 sono stati installati alcuni inclinometri come da fig. 3.7.6, al
fine di poter controllare l’evoluzione delle frane che potrebbero coinvolgere
abitazioni sottostanti
È stato posizionato un inclinometro S1 a monte dell’abitato di Carboncina (3), sul
deposito di colata a quota 230 m slm; un inclinometro S4 alla base della colata della
frana intermedia (2) a quota 230 m slm; un inclinometro S6 alla confluenza dei due
impluvi della frana “Carbona” tra l’abitato di Caselina e Pianellina a quota 306 m
slm (1).
Nell’intervallo di tempo intercorso fra le foto del 1973 e 1996, nell’area posta a
monte di Carboncina (sul canale di alimentazione e sul deposito di colata) sono stati
eseguiti movimenti terra e regimazione superficiale delle acque con fossi di scolo.
Dati geognostici disponibili
Tutti e 3 gli inclinometri risultano funzionanti, e nel periodo febbraio 2004 novembre 2007 sono state eseguite 4 letture.
L’inclinometro S1, a monte di Carboncina, testimonia una profondità della
superficie di scorrimento a -9 m con una velocità media di 0,91 mm/mese.
L’inclinometro S4, a monte della SS64 “Porretana”, mostra una profondità della
superficie di scorrimento a -9 m con una velocità media di 0,14 mm/mese.
L’inclinometro S6, posizionato fra gli abitati di Caselina e Pianellina testimonia una
profondità della superficie di scorrimento di -17 m con una velocità media di 0,43
mm/mese.
57
Figura 3.7.6 Foto aerea in zona Carbona. Sono indicati i corpi di frana quiescenti (in verde), in rosso i
dissesti del 1973, in viola le riattivazioni del 1995 e in blu le zone dissestate del 2003. È riportata
l’ubicazione della strumentazione inclinometrica (rosso).
58
3.8
Frana di Casa Marsili
Ubicazione geografica; l’area in frana è situata a Sud dell’abitato di Capugnano, nei
pressi di Cà di Marsili e Cà di Minghetto (comune di Porretta Terme, Bo) e ricade
nell’elemento n. 251084 della CTR della Regione Emilia Romagna.
Geologia e geomorfologia; il materiale coinvolto nel fenomeno franoso è
riconducibile alla F.ne delle Argilliti variegate con calcari (AVC) dell’unità Sestola
Vidiciatico su cui sovrascorrono le Arenarie di Monte Cervarola del Monte Pella.
Le evidenze geomorfologiche che caratterizzano l’area sono nella maggior parte
riconducibili a forme, processi e depositi generati per gravità.
Movimenti rotazionali in nicchia abbinati a evoluzione in colata verso la zona di
piede, porta a classificare il fenomeno come frana complessa per scorrimento colata. Il deposito di frana, che in tempi storici probabilmente è stato oggetto di
riattivazioni multiple, interessa tutto il versante estendendosi sino al Rio Maggiore
il cui corso, come si può vedere dalle foto, è stato deviato in modo accentuato.
La zona di nicchia, caratterizzata da un modesto bacino di alimentazione, è situata
ad una quota di 650 m slm c.a e il corpo di frana, in pianta, forma una leggera curva
che lambisce sul fianco sinistro i nuclei abitati di “Cà di Marsili, la Torre, le Croci”,
e sulla destra il nucleo di “Camparenda”;
Sul corpo di frana è presente la strada comunale Capugnano – Croci che costituisce
un elemento potenzialmente vulnerabile.
Le ultime riattivazioni hanno riguardato essenzialmente la parte alta del fenomeno
franoso, mentre la zona di colata che va da quota 555 m slm c.a al raggiungimento
del Rio Maggiore (480 m slm), è classificabile come quiescente.
Secondo gli studi della Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno, il
principale meccanismo di innesco del movimento franoso sembra essere legato al
fenomeno locale della ricarica di acqua in nicchia, provocata dal contatto Arenarie –
Argilliti nella coltre detritica superficiale, abbinata all’infiltrazione diretta favorita
dalla presenza di fratture superficiali e zone in contropendenza.
Ulteriori cause delle ultime riattivazioni sono state individuate nello scalzamento
operato dal Rio Maggiore sul piede del corpo di colata, nella mancanza del
drenaggio a tergo sui muri di sostegno e nell’infiltrazione nel corpo di frana dei
liquami provenienti dalla condotta fognaria danneggiata dai primi movimenti.
59
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazioni
Figura 3.8.1 Rilievo dello stato di attività del corpo di frana in località Casa Marsili da foto aeree del
1973.
Gravi danni a quasi tutti gli edifici si segnalano a partire dal novembre 1940,
successivamente altre segnalazioni sono datate febbraio 1950 e ulteriori movimenti
sono avvenuti negli ultimi decenni. Dai rilievi eseguiti con l’ausilio della foto aeree
per l’anno 1973, si è potuto constatare che l’attività della zona di alimentazione è
limitata a dissesti superficiali nei settori più acclivi (fig. 3.8.1); la frana appare
inattiva, ma sono visibili due scarpate (in rosso) di forma arcuata che rappresentano
molto probabilmente le nicchie di movimenti (scivolamenti rotazionali) precedenti.
Il lungo corpo di colata sottostante i nuclei abitativi di La Torre e Le Croci si
presenta vegetata con aree condotte a seminativo ed alberi anche ad alto fusto.
60
Figura 3.8.2 Rilievo dello stato di attività del corpo di frana in località Casa Marsili da foto aeree del
1996.
Nell’esame con la foto del 1996 (fig. 3.8.2) non vengono riscontrati cambiamenti
importanti nel grado di attività, anche se nell’intervallo di tempo ’73 - ‘96 ci siano
state ben 3 segnalazioni di riattivazioni della frana con danni ad alcuni edifici: 1983,
gennaio 1988 e gennaio 1996. La parte interessata dai movimenti descritti riguarda
la zona di alimentazione con un interesse dei dissesti lungo il fianco sinistro.
La foto del 1999 non mostra differenze con quella del 1996.
61
Figura 3.8.3 Rilievo dello stato di attività del corpo di frana in località Casa Marsili da foto aeree del
2003.
La foto aerea del 2003 testimonia invece un’importante riattivazione avvenuta in
occasione degli eventi piovosi intensi nell’ottobre – novembre del 2000 (fig. 3.8.3).
In tale occasione si è avuta sia la rimobilizzazione della parte sommitale della
vecchia frana, sia l’innesco di un piccolo scivolamento in sinistra frana, ai piedi di
uno degli edifici di Ca’ di Marsili. Quest’ultimo movimento, è responsabile del
danneggiamento di due opere murarie di sostegno.
62
Figura 3.8.4 Rilievo dello stato di attività del corpo di frana in località Casa Marsili da foto aeree del
2006.
Attualmente, l’attività è rappresentata dalle conseguenze dell’ultima riattivazione
del 2000. Come si può vedere dalla foto del 2006 (fig. 3.8.4), nell’area di
alimentazione è presente in modo costante un’attività di dissesto in gran parte
superficiale, testimoniata da terreno smosso, alternato a zone vegetate.
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
La frana è stata oggetto negli anni ’90 di lavori di consolidamento, consistenti nella
risagomatura del versante e nella sistemazione idraulica di superficie con fossi di
scolo.
Successivamente all’ultimo importante evento franoso, negli anni 2001-2002 la
Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno ha realizzato ulteriori lavori di
consolidamento al fine di migliorare le condizioni idrauliche del versante e
contrastare lo sviluppo di vie preferenziali d’infiltrazione nella coltre argillosa
alterata.
La fase di esecuzione dei lavori di consolidamento è stata preceduta da una
campagna geognostica volta a definire l’assetto geologico del versante ed in
particolare l’assetto stratigrafico e lo stato del movimento franoso.
Gli interventi sono dunque consistiti principalmente in opere volte a ridurre le
pressioni interstiziali: trincee drenanti, fossi di scolo superficiali, eliminazione delle
contropendenze e dei ristagni idrici. Sono state realizzate anche opere di sostegno
63
entro il corpo di frana utilizzando tecniche di ingegneria naturalistica e quattro
briglie in gabbioni nella parte alta del collettore principale posto lungo il margine
destro del movimento franoso. A valle degli edifici danneggiati è stata prevista un
opera strutturale consistente in una palificata collegata in testa da una trave in
cemento armato.
Il progetto ha previsto inoltre il monitoraggio del livello della falda freatica, tramite
2 piezometri (P3, P5) e degli spostamenti, tramite 3 inclinometri (S1, S2, S4)
ubicati come da fig. 3.8.5.
Dati geognostici disponibili
Nel corso dei sopralluoghi effettuati sul posto nel marzo e nel dicembre 2004 dalla
Comunità Montana, gli scarichi delle trincee risultavano vuoti, non si rilevano
comunque segni di attività sul corpo di frana.
Le misure del piezometro P5 situato a quota 540 m slm e del piezometro P3 a quota
580 m, hanno rivelato la presenza di una falda che costantemente si mantiene a
piano campagna.
L’inclinometro S1, ubicato in sinistra del movimento a valle delle abitazioni alla
quota di 605 m slm, non ha mostrato chiari segni di movimento. Il suo
posizionamento risulta adiacente alla palificata innestata nello stesso periodo a valle
delle abitazioni, perciò l’assenza di movimenti è pressoché attribuibile alla messa in
posto di tale opera.
Situato al centro del corpo di frana a quota 580 m slm, il tubo inclinometrico S2 è
stato installato ad ottobre 2001 e letto 2 volte fino a novembre 2002. Le letture
evidenziano una superficie di rottura alla profondità di -8 m dal piano campagna e
una velocità media di 2,38 mm/mese.
L’inclinometro S4, (quota 540 m slm) installato il novembre 2002 e seguito da una
sola lettura effettata a maggio 2003, rivela anch’esso una superficie di scorrimento
ad una profondità di -6,5 m, e fornisce una velocità più elevata pari a 10,17
mm/mese.
Dall’analisi dei dati inclinometrici emerge che nel periodo successivo agli interventi
si è riscontrata una progressiva accelerazione dei movimenti negli inclinometri
situati da monte verso valle.
64
Figura 3.8.5 Foto aerea in zona Casa Marsili. Sono indicati i corpi di frana quiescenti (in verde), in
rosso la riattivazione manifestatasi nel 2000. È riportata l’ubicazione della strumentazione
inclinometrica (rosso) e piezometrica (blu).
65
3.9
Frana di Casa Volpini
Ubicazione geografica; l’area in frana è situata ad Est del lago di Suviana, in
località Casetta Volpini (comune di Camugnano, Bo).
L’area ricade nell’elemento n. 252050 della CTR della Regione Emilia Romagna.
Il movimento franoso si è sviluppato sul versante nord del Monte di Stagno e
interessa un tratto della Strada Provinciale 40 Suviana - Zanchetto.
Geologia e geomorfologia; l’assetto geologico dell’area è caratterizzato dalla
presenza di un contatto discordante per sovrascorrimento delle torbiditi del dominio
Tosco – Umbro (membro pelitico - arenaceo della Formazione di Stagno, STA2)
sulle Argilliti Variegate con Calcari dell’Unità Sestola-Vidiciatico (AVC) del
dominio Ligure.
In corrispondenza del contatto tra le due unità si è sviluppata un’ampia fascia
detritica, prodotta dal disfacimento delle arenarie che costituiscono il versante
settentrionale del Monte di Stagno e consistente in blocchi di areniti immersi in una
matrice argillosa deformata.
Il movimento franoso che ha interessato la località Casetta Volpini viene descritto
come un vasto fenomeno gravitativo complesso multiplo le cui cause sono da
ricondurre all’assetto geologico-strutturale dell’area e alla notevole presenza di
acqua di corrivazione superficiale proveniente dall’ampia coltre di detrito arenaceo
soprastante la corona di frana (Andreis, 2006).
Il dissesto coinvolge essenzialmente i terreni costituiti da litotipi argillosi
appartenenti all'Unità Argilloso-Calcarea, oltre alle coltri detritiche delle formazioni
al contorno (Andreis, 2006)
La zona d’instabilità è situata sul fianco occidentale di un grande corpo di frana
quiescente la cui zona di alimentazione parte a quota 750 m slm e che, tramite uno
stretto canale di flusso, termina con un deposito di colata a ridosso del Rio Torbola
ad quota compresa tra i 525 m e 460 m slm.
Il movimento d’interesse è caratterizzato da una nicchia di distacco a quota 750 slm,
da dove si diparte il corpo di frana che a quota 675 m slm coinvolge la Strada
Provinciale 40 Suviana – Zanchetto; a valle di questa il movimento continua per
150-200 m fino a quota 630 m slm.
Storicamente i primi eventi franosi sono testimoniati negli anni ‘70 e consistono di
movimenti roto-traslativi misti a colate che hanno coinvolto a più riprese la strada
provinciale.
66
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazioni
Figura 3.9.1 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Casa Volpini da foto aeree del
1973.
I rilievi dalle foto del 1973 mostrano le conseguenze delle riattivazioni avvenute in
questi anni (fig. 3.9.1); nella zona a monte e a valle della strada bianca che
attraversa il versante a mezza altezza, si osserva un corpo attivo e privo di
vegetazione che si estende fino a quota 715 m slm, limitato lateralmente dalle
incisioni dei due rii locali.
A monte e a valle della strada provinciale un probabile fenomeno di erosione
spondale da parte del rio senza nome che delimita il grande corpo quiescente,
interessa con limitato denudamento dei terreni soprastanti, la pista da cross e il
tratto sottostante la curva della strada.
Non viene resa necessaria un analisi della foto del 1996 in quanto la zona in
questione risulta totalmente vegetata e priva di qualunque tipo di segno di
riattivazione.
67
Figura 3.9.2 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Casa Volpini da foto aeree del
1999.
L’anno 1999 è contrassegnato da una evidente riattivazione del movimento franoso
(fig. 3.9.2). Nella foto aerea è visibile la parte in dissesto della corona di frana a
quota 730 m slm e una zona a valle caratterizzata da un’alternanza di aree vegetate
con alberi ad alto fusto e aree denudate. Sembra probabile che la foto sia stata
scattata poco prima della fase parossistica, per cui l’immagine mostra i caratteri
geomorfologici salienti di un principio di movimento.
Questa importante riattivazione, avvenuta nella seconda metà di gennaio del 1999,
ha interessato la sede stradale e ha distrutto, a valle di questa, l’edificio Casetta
Volpini, da cui la frana prende il nome.
68
Figura 3.9.3 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Casa Volpini da foto aeree del
2003.
Nella foto del 2003 è visibile il grande corpo di frana del movimento del 1999 il
quale ha una corona di distacco più arretrata rispetto agli indizi delineati dalla foto
precedente, cioè a quota 750 m slm circa. In figura 3.9.3 si possono notare le
infrastrutture che sono state coinvolte nel fenomeno: pista da cross, sede stradale e
Casetta Volpini.
69
Figura 3.9.4 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Casa Volpini da foto aeree del
2006.
L’ultima riattivazione in ordine di tempo si è registrata nel dicembre 2004, nella
quale il movimento è retrocesso nella zona di nicchia di alcuni metri bordando una
strada bianca sovrastante.
Il movimento è stato in prevalenza rotazionale, e solo subordinatamente traslativo,
come si deduce dall’inclinazione della maggior parte degli alberi presenti (Andreis,
2006).
I rilievi dalla foto del 2006, in fig. 3.9.4, mostrano inoltre un allargamento sia della
corona, sia del corpo di frana sul fianco sinistro con la presenza di numerose
fratture radiali tra il limite del distacco e l’inizio dell’accumulo.
Le dimensioni del movimento franoso del 2004 coinvolgono un’area con una
lunghezza complessiva di circa 500 metri e una larghezza variabile: circa 100 metri
nella parte più a monte, (subito a ridosso della corona), circa 150 metri nella parte
centrale e attorno ai 50 metri a valle della strada (Andreis, 2006).
70
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Successivamente agli eventi franosi del gennaio 1999, in tutto il corpo di frana è
stata realizzata una regimazione delle acque superficiali tramite fossi e sono stati
impermeabilizzati i due rii laterali che fungono da collettori principali al fine di
allontanare le acque. È stata eseguita una riprofilatura del pendio in prossimità della
strada e nella zona di monte, in abbinamento a quest’ ultima opera è stata eseguita
una risagomatura del fosso di guardia a monte della corona e, parallelamente,
realizzata una trincea drenante. Inoltre sono stati eseguiti lavori di arginatura e
spostamento del rio a monte della corona per evitare infiltrazioni sotterranee in
direzione del versante.
In seguito alla riattivazione del 2004 e in vista dell’esecuzione di altri interventi in
di consolidamento, la Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno e il
Consorzio di Bonifica Reno – Palata hanno predisposto una serie di indagini quali
una prospezione geofisica mediante sismica a rifrazione, una tomografia elettrica,
una tomografia “mise a la masse” e sondaggi meccanici abbinati a strumenti di
monitoraggio inclinometrico e piezometrico.
Dopo la riattivazione del 2004 sono stati ripristinati i fossi di scolo delle acque
superficiali.
Dati geognostici disponibili
Sono stati eseguiti tre sondaggi a carotaggio continuo, due a valle e uno a monte
della scarpata di frana.
Le due perforazioni di a valle, S1 e S3, testimoniano un passaggio coltre – substrato
intorno agli -11/-12 metri da piano campagna, mentre il sondaggio S6 è
caratterizzato da una stratigrafia più complessa che nella parte superficiale è
rappresentata da un alternanza di areniti e argilliti, mentre più in profondità da
arenarie compatte e cementate (Andreis, 2006).
Le indagini sismiche e tomografiche suddividono il versante in più orizzonti ed
evidenziano così una possibile superficie di scorrimento ad una profondità variabile
tra i -15 e i -18 m dal piano campagna.
Il monitoraggio del livello di falda è stato eseguito da agosto 2005 a febbraio 2006
grazie all’installazione di 2 piezometri Casagrande (S2C e S4C) e 3 piezometri
Norton (S5N, S6N, S7N) individuabili in figura 3.9.5. I dati mostrano che la falda si
mantiene prossima a piano campagna, con oscillazioni non particolarmente rilevanti
71
comprese tra un massimo di -3,62 m e un minimo di -1,15 m nei piezometri Norton
e un massimo di -1,90 m e un minimo di -0,23 m nei piezometri Casagrande.
Il monitoraggio inclinometrico consiste di 2 tubi inclinometrici installati nei fori di
sondaggio S1 e S3 nell’agosto 2005 identificabili in fig. 3.9.5.
L’inclinometro S1, posto a quota 680 m slm a monte dalla sede stradale, e letto 3
volte fino al settembre 2007, mostra un evidente piano di scorrimento ad una
profondità di -11 m dal piano campagna con una velocità media calcolata di 3,65
mm/mese.
L’inclinometro S3, posto ad una quota di 702 m slm sul corpo di frana, e letto una
sola volta nel febbraio 2006, denota un piano di rottura compreso tra -13 e -15 m
dal p.c. con una velocità media calcolata di 10 mm/mese.
Figura 3.9.5 Foto aerea in zona Casa Volpini. Sono indicati i corpi di frana quiescenti (in verde), in
viola il dissesto del 1973, in blu la riattivazione del 1999 e in rosso quella del 2004. È riportata
l’ubicazione della strumentazione inclinometrica (rosso) e piezometrica (blu).
72
3.10 Frana di Castel di Casio
Ubicazione geografica; la zona in frana coinvolge direttamente il centro abitato di
Castel di Casio, Bo, e ricade negli elementi n. 252012, 252013 della CTR della
Regione Emilia Romagna. La zona è situata nella parte alta del versante posto in
sinistra idrografica del Torrente Limentra di Treppio.
Geologia e geomorfologia; l’area ricade all’interno della Formazione di
Monghidoro (MOH) costituita localmente da un alternanza di arenarie quarzose e
marne argillose e inglobata nel complesso alloctono delle Argille a Palombini.
Il versante si presenta con un profilo morfologico variamente articolato ed
irregolare, costituito da displuvi stretti ed allungati, orientati ONO-ESE a cui si
intercalano ampi impluvi poco acclivi, ma caratterizzati dal tortuoso profilo
morfologico. Queste sono zone interessate da cospicui spessori di materiali detritici
coinvolti da movimenti gravitativi quiescenti e relitti.
Il complesso roccioso si presenta variamente fratturato e scompaginato. La scarsa
competenza del substrato lo rende particolarmente disgregabile e facilita la
formazione di importanti spessori di materiali detritici, utilizzati nel centro abitato
di Castel di Casio come inerte per i fabbricati esistenti.
L’unico movimento franoso che interessa l’abitato è presente lungo la fascia nord
del capoluogo situata sulla destra idrografica del Rio Ricavo; questo importante
movimento gravitativo, classificato come scorrimento rotazionale; alla frana è
attribuita una prima attivazione storica risalente al 1874, una seconda riattivazione
nel maggio 1939 e l’ultima negli anni ’90.
Sul versante sinistro del Rio Ricavo sono inoltre visibili frane quiescenti e relitte.
Queste consistono essenzialmente in colate in terra costituite da argille sabbiose con
inclusi litici di arenarie e marne con rari blocchi da metrici a decametrici.
73
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazione
Figura 3.10.1 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Castel di Casio da foto aeree
del 1973.
Lo stato del dissesto nel 1973, visibile in fig. 3.10.1, è stato ricostruito per la
maggior parte su base della morfologia della carta CTR, causa l’impossibilità di
individuare chiaramente i fenomeni gravitativi su foto aerea.
Sulla sinistra idrografica del Rio Ricavo sono presenti versanti in frana quiescenti
totalmente vegetati e in parte condotti a seminativo, che confluiscono con il Rio già
citato.
La genesi di questi dissesti è probabilmente legata all’erosione di fondo del Rio
Ricavo che pregiudica l’equilibrio statico dei versanti con il fenomeno dello
scalzamento al piede. Lungo la fascia nord del paese si è possibile individuare un
lungo corpo di frana quiescente che presenta una corona di distacco a quota 635 m
slm e attraversa l’abitato terminando nel Rio Ricavo. Dalla foto aerea la zona
compare vegetata e priva di caratteri che ci possono far supporre ad un movimento
attivo; questa porzione del centro abitato è stata comunque interessata da un
fenomeno deformativo nel 1990. Tale dissesto si è manifestato con la comparsa di
lievi lesioni sul piano campagna, sulle strade e sugli edifici; si è trattato di un evento
74
limitato che non ha avuto effetti distruttivi sulle infrastrutture esistenti. Nella
porzione a monte sono stati realizzati nuovi edifici, alcuni dei quali anche con
fondazioni superficiali e non si sono più evidenziate lesioni.
Le successive foto hanno confermato la sostanziale staticità della zona in termini di
stato di attività. Permane tuttavia la perplessità della presenza di un movimento
gravitativo profondo i cui riflessi in superficie non sono ancora ben visibili.
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Confrontando le foto aeree del 1996-1999 si è riusciti ad intravedere che sulla
sponda sinistra del Rio Ricavo, al piede del movimento quiescente presente su
questo lato, è stata creata un opera di difesa spondale per limitare l’erosione al
piede. Non abbiamo ulteriori informazioni in riguardo.
Nel novembre 2002 la Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno redige un
progetto di indagini geognostiche riguardanti la stabilità dei versanti in sinistra
idrografica del Limentra nei pressi dell’abitato di Castel di Casio.
Vengono eseguiti 2 sondaggi a carotaggio continuo in centro paese (S2, S3, fig.
3.10.2) e un carotaggio a distruzione di nucleo (S5) a monte dell’abitato ed in tutti
vengono installati tubi inclinometrici. Inoltre, viene eseguito un sondaggio a
carotaggio continuo con inclinometro (S1) in sinistra idrografica del Rio Ricavo, nei
pressi della strada che porta al nucleo abitato di Faie.
Dati geognostici disponibili
Dei quattro inclinometri realizzati, solo due sono effettivamente disponibili (S2 e
S5).
La lettura dell’inclinometro S2, avvenuta nel dicembre 2004 in un tubo con
profondità di -36 m, mostra un piano di rottura a quota -35 m. Dato lo scarso
ancoraggio che ha l’inclinometro su di un ipotetico substrato stabile (solo 1 m) il
dato risultante può però non essere significativo, sebbene l’azimut rilevato sia
concordante l’immersione del versante.
L’inclinometro S5, installato a quota 560 m slm nella zona di fianco sinistro e letto
2 volte fino ad agosto 2005, mostra un piano di rottura ad una profondità di -10 m
con una velocità media di testa tubo pari a 1,68 mm/mese.
75
Figura 3.10.2 Foto aerea in zona Castel di Casio. In verde sono indicati i corpi di frana quiescenti, in
rosso viene mostrato il corpo di frana principale che ha prodotto movimenti nel’90; tuttavia non sono
visibili segni della riattivazione. Viene riportata l’ubicazione della strumentazione inclinometrica.
76
3.11 Frana della Chiusa
Ubicazione geografica; l’area in frana è situata 1 Km a nord dell’abitato di Vergato,
Bo, e ricade negli elementi n. 237101 e 237104 della CTR della Regione EmiliaRomagna. La zona è compresa fra i nuclei abitati di Cà di Malta e Cà del Bosco
rientranti nel comune di Grizzana Morandi.
Geologia e geomorfologia; il materiale coinvolto nel fenomeno franoso è
riconducibile alla coltre di alterazione della F.ne delle Argille a Palombini (APA).
Solo verso la porzione sommitale del versante compaiono estesi affioramenti con
banchi arenacei - marnosi appartenenti alla F.ne di Bismantova.
Anche in questo caso, le evidenze geomorfologiche che caratterizzano l’area sono
nella maggior parte riconducibili a forme, processi e depositi generati per gravità.
La frana della Chiusa è situata accanto alla nota frana di Cà di Malta, oggetto in
questi ultimi anni di tre riattivazioni e di continui fenomeni di instabilità (Biavati,
2005).
La zona in frana si estende dal letto del F.Reno, (quota di 185 m slm), fino a quota
275-300 m slm dove sono presenti una serie di corone di distacco che delimitano
una zona di alimentazione dall’aspetto pseudo - calanchivo.
La zona di monte è caratterizzata da numerosi rami di alimentazione più o meno
attivi e stretti, che si intersecano fino ad unirsi a quota 225 m e formare un
accumulo ampio e convesso a ridosso della strada sottostante che costeggia il Reno.
Da dati storici non si rinvengono informazioni di riattivazione dell’intero corpo di
frana, ma solo piccoli fenomeni di dissesto superficiale avvenuti per la maggior
parte nella zona di monte, con modesti movimenti e deformazioni nella zona di
accumulo.
La frana si può classificare come complessa, ossia scorrimento rotazionale in
nicchia che evolve in colata al piede.
77
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazione
Figura 3.11.1 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località La Chiusa da foto aeree del
1973.
La foto del 1973 evidenzia la presenza di due corone di distacco, la prima ad una
quota di 275 m slm, la seconda a valle della S.P. Vergato – Grizzana a quota 315 m
slm, che presentando una copertura vegetale più accentuata, fungeva probabilmente
da punto di innesco di un movimento antico (fig. 3.11.1).
Il corpo di frana risulta parzialmente denudato lungo l’impluvio e presso
l’accumulo. Quest’ ultimo si può dividere in due corpi, uno a Sud più vegetato e
condotto a seminativo con scarso grado di attività, delimitato da una leggera
depressione dal corpo nord che si contraddistingue da un grado di attività
leggermente più intenso.
Il fianco destro della frana è interessato da una marcata instabilità, sono presenti
segni di scivolamenti di zolle di terreno e materiale rimaneggiato.
78
Figura 3.11.2 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località La Chiusa da foto aeree del
1996.
Rispetto alla foto precedente, nel 1996 la zona di accumulo appare meno attiva con
la presenza di alberi a basso fusto e una rigogliosa vegetazione.
Al contrario, la zona di monte appare affetta da un costante dissesto superficiale ed
il confronto con i rilievi del 1973 testimonia una retrogressione della sua posizione
originaria. L’attività di quest’area si esaurisce alla congiunzione di un ulteriore
canale posto sul fianco destro risultando però in questo vegetato e quiescente (fig.
3.11.2).
79
Figura 3.11.3 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località La Chiusa da foto aeree del
1999.
Nella foto del 1999 la zona di accumulo risulta totalmente vegetata mentre quella
superiore, con grado di attività B, dominano i fenomeni di instabilità di versante
(fig. 3.11.3).
I rilievi per l’anno 2003/2006 non mostrano differenze sostanziali del grado di
attività (fig. 3.11.4).
80
Figura 3.11.4 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località La Chiusa da foto aeree del
2003 e 2006.
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Nell’estate del 2002, la Protezione Civile ha stanziato un ingente quantità di fondi
per la messa in sicurezza sia della frana di Cà di Malta sia di quella della Chiusa. I
lavori sono consistiti nella realizzazione di un opera di regimazione idrica profonda
tramite trincee drenanti realizzate negli impluvi a valle della S.P. Vergato –
Grizzana e in opere di regimazione delle acque superficiali tramite canalette di
scolo e pulizia dei fossi esistenti. Gli ulteriori interventi quali riprofilatura del
versante, installazione di palificate, cordonate e una ingente opera di difesa
spondale hanno riguardato prevalentemente la frana di Cà di Malta. Inoltre, al fine
di tutelare la sponda destra del F.Reno in prossimità della briglia, la Comunità
Montana Alta e Media Valle del Reno fa installare un inclinometro sull’accumulo di
frana della “Chiusa”.
81
Dati geognostici disponibili
L’inclinometro S1 è stato installato nel marzo 2001 a quota 200 m slm sulla zona di
piede della colata e letto 4 volte fino al maggio 2004. I dati testimoniano una
superficie di scorrimento ad una profondità di -14 m dal piano campagna con una
velocità media di 0,18 mm/mese.
Figura 3.11.5 Foto aerea in zona La Chiusa (Vergato). In verde sono indicati i corpi di frana
quiescenti, in rosso e in viola sono visibili le zone in dissesto rispettivamente per l’anno 1973 e 1996.
Non vengono documentate e rilevate riattivazioni importanti. Viene riportata l’ubicazione della
strumentazione inclinometrica.
82
3.12 Frana di Malpasso
Ubicazione geografica; l’area in frana ricade negli elementi n. 237103, 237144 della
CTR della Regione Emilia-Romagna, a Sud dall’abitato di Vergato, Bo, in
prossimità della località Malpasso.
Geologia e geomorfologia; il movimento coinvolge i terreni della F.ne delle Argille
a Palombini (APA e APAa) e, in parte, le Argille Variegate di Grizzana Morandi
(AVT).
Il contatto tra APA e APAa si colloca longitudinalmente al corpo di frana fino al
fondovalle Reno.
Si tratta di una frana complessa, che parte come scorrimento rotazionale ed evolve
in colata nella parte finale. La nicchia di distacco, posta a quota media di 370 m slm
ca, è rettilinea e borda pericolosamente la strada bianca che collega le località “La
Spiaggia” e “Spareda di sopra”.
L’area sorgente è in costante dissesto ed è formata da un bacino le cui frane si
immettono in un lungo canale di flusso per poi accumularsi a monte della SS64.
Non abbiamo informazioni storiche e databili sul coinvolgimento della strada in
questione da parte della frana, ma con tutta probabilità, come conferma la
Cartografia IFFI con l’estensione dell’accumulo fino alla confluenza col F.Reno,
questo tratto di versante ha verosimilmente subito repentine instabilità con
l’interessamento della sede stradale e dell’alveo sottostante.
83
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazioni
Figura 3.12.1 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Malpasso da foto aeree del
1973.
Le foto del 1973 mostrano lo stato di attività tipico di queste frane (fig. 3.12.1);
nella zona di nicchia abbiamo un continuo dissesto superficiale con elevato grado di
attività, mentre nel canale di flusso dove i movimenti, a giudicare dai leggeri
denudamenti e scarsa vegetazione, sono più modesti. Il deposito presenta invece
una buona copertura vegetale e scarsi indizi di movimenti attivi. Il limite inferiore
del corpo di frana si estende a valle della SS64. Quest’ ipotesi è sostenuta dalla
Cartografia IFFI che conferma il raggiungimento in passato dell’alveo del Reno da
parte della frana.
84
Figura 3.12.2 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Malpasso da foto aeree del
1996.
Le foto aeree del 1996 denotano una diminuzione dell’attività sull’intero corpo di
frana con comparsa di vegetazione e alberi a basso fusto (fig. 3.12.2).
Nella parte a maggiore acclività prevale costante l’attività di dissesto superficiale.
85
Figura 3.12.3 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Malpasso da foto aeree del
1999.
Nella foto del 1999, la frana mostra una netta riattivazione (fig. 3.12.3): da
comunicazioni del personale tecnico della Comunità Montana Alta e Media Valle
del Reno, il movimento in questione riguarderebbe l’anno 1996. Come per la frana
di Vaina, dunque, probabilmente la foto del ‘96 è stata scattata poco prima della
riattivazione. La frana attiva si estende dalla zona di nicchia fino a quota 270 m slm
senza il coinvolgimento di alcuna abitazione, strada e senza rimobilizzazione del
deposito a valle.
86
Figura 3.12.4 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Malpasso da foto aeree del
2003.
Nella foto del 2003 si nota come la zona di alimentazione e il canale di flusso siano
caratterizzati ancora da una intensa attività (fig. 3.12.4). Nella porzione inferiore
della riattivazione del 1996 si vede invece un rinverdimento con lievi denudamenti,
probabilmente frutto dei lavori di sistemazione eseguiti. Infine la zona al piede
appare pressoché inattiva.
87
Figura 3.12.5 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Malpasso da foto aeree del
2006.
La foto del 2006 testimonia il rinverdimento della zona alta del canale di flusso; nel
complesso non si notano differenze sostanziali del grado di attività (fig. 3.12.5).
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Dopo il verificarsi dell’evento franoso del 1996 è stato realizzato un progetto di
regimazione delle acque. Il progetto è consistito nell’esecuzione di canalette in
grado di captare e allontanare le acque superficiali in un collettore principale a valle
dei terreni interessati. È stata inoltre realizzata la livellazione del corpo di frana in
modo da evitare il formarsi di possibili ristagni di acque.
Per monitorare i movimenti sul corpo di frana a monte dell’abitato di Malpasso
sono infine installati 4 inclinometri, S1, S2, S3, S4 ubicati come da figura 3.12.6.
88
Dati geognostici disponibili
L’unico inclinometro per cui abbiamo informazioni utili è posto direttamente a
monte della SS64 “Porretana” e al centro abitato di Malpasso.
L’inclinometro S2, installato nel luglio 2002 e letto 3 volte fino all’agosto del 2005,
testimonia un basso valore di velocità, pari a 0,09 mm/mese, e non mostra nessuna
superficie di rottura evidente.
Figura 3.12.6 Foto aerea in zona Malpasso. In verde sono indicati i corpi di frana quiescenti, in rosso
vengono indicati i limiti della riattivazione del 1996. Viene riportata l’ubicazione della strumentazione
inclinometrica.
89
3.13 Frane di Maranina-PonteVaina-Vaina
Ubicazione geografica; le tre frane ricadono nell’elemento n. 237133 della CTR
della Regione Emilia Romagna, sui versanti in sinistra idrografica del Fiume Reno.
Le località Maranina, Ponte Vaina e Vaina rientrano tutte nel comune di Gaggio
Montano.
Geologia e geomorfologia; le tre frane coinvolgono terreni appartenenti alla F.ne
delle Argille a Palombini (APA).
Per meglio suddividere questi tre movimenti, questi verranno distinti da N a S in
numerazione progressiva: Maranina (1), Ponte Vaina (2), Vaina (3).
Il movimento che ha riguardato la zona a monte del centro abitato di Maranina,
considerata la morfologia della zona di nicchia e il tipo di espansione della zona di
deposito, è ascrivibile ad una frana complessa in terra, costituita da scorrimenti
roto-traslativi che evolvono in colata.
L’area in questione è posta su di un versante dove nella parte mediana si nota la
presenza di un leggero spartiacque, sede dell’abitato di Palazzina, che separa due
zone: una attiva verso S dove si hanno i movimenti più intensi e una inattiva verso
N dove è presente un deposito di frana ormai quiescente da tempo.
La colata di Ponte Vaina si colloca leggermente a Sud di Maranina e comprende un
ampia area di alimentazione caratterizzata da più impluvi (quota massima di 600 m
slm) che a quota 450 m slm confluiscono in un lungo e stretto canale di flusso. Il
materiale franato si deposita nei pressi del nucleo abitato di Ponte Vaina posto nel
fondovalle.
La frana di Vaina, ascrivibile anche essa ad un fenomeno di colata, è composta da
una zona di alimentazione con due impluvi (quota massima di 400 m slm) che si
uniscono in un canale di flusso di modesta lunghezza al termine del quale si ha la
classica espansione del deposito di colata.
90
Evoluzione dei fenomeni franosi e riattivazioni
Partendo da N a S si analizzeranno in seguito l’attività delle frane (Maranina, Ponte
Vaina e Vaina) nell’arco di tempo compreso tra il 1973 e 2006, facendo particolare
riferimento ai fenomeni di riattivazione.
Frana 1
Frana 2
Frana 3
Figura 3.13.1 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Maranina - Vaina da foto aeree
del 1973.
Dalla foto del 1973 si può notare che nel complesso le porzioni più attive, anche se
non in maniera intensa, sono le aree a Sud dell’abitato di Vaina di sotto (frane 2 e
3), la zona che comprende l’area di alimentazione e il canale di flusso della colata di
Ponte Vaina (2), e tutta l’area di frana di Vaina (3), (fig. 3.13.1). La frana di
Maranina (1) presenta invece un deposito di frana ricoperto da vegetazione indice di
scarsa attività.
91
Figura 3.13.2 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Maranina - Vaina da foto aeree
del 1996.
La foto del 1996 è stata scattata nell’anno in cui, in questa zona dell’Appennino,
sono avvenuti numerosi fenomeni franosi.
Nella prima settimana di febbraio del 1996, come si può veder dalla figura 3.13.2, si
è avuta la riattivazione della frana della Maranina (1), con un evoluzione abbastanza
rapida della stessa, che in soli sei giorni ha raggiunto il fondovalle, interessando il
Fiume Reno, distruggendo cinque edifici fra case ed annessi agricoli, lambendone
due e distruggendo circa 200 m della SS64 “Porretana” (Carboni R., Catani F., Iotti
A., Monti L., 2001)
Nei pressi di Vaina di Sotto si nota una evidente scarpata in corrispondenza della
nicchia di distacco, e il movimento appare differenziato in diversi lobi (fig. 3.13.2).
Il piede, non vincolato da accumuli preesistenti, si è aperto a ventaglio
coinvolgendo l’alveo del F. Reno la cui ostruzione è stata evitata per mezzo di
interventi meccanici.
Nel bacino di alimentazione della colata di Ponte Vaina (2) continuano i fenomeni
di dissesto, perlopiù superficiali (fig. 3.13.2), il canale di flusso risulta inattivo e
valle nella zona di deposito si assiste all’attecchimento della vegetazione mostrando
così un grado di attività minore rispetto al ’73.
Sul fianco destro è stato rilevato un modesto movimento franoso evidenziato da
vegetazione rada e una evidente nicchia di distacco.
92
I due impluvi della colata di Vaina (3) appaiono sempre in leggero dissesto con un
tratto a valle marcato da intensa attività. Quest’ultimo è considerato un movimento
precursore di ciò che sarà notato dal rilievo successivo. Il deposito lobato a valle è
quasi totalmente rivegetato.
Figura 3.13.3 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Maranina - Vaina da foto aeree
del 1999.
Nella foto del 1999, la frana della Maranina (1) presenta ancora una zona con forte
stato di attività, probabilmente legata dagli intensi lavori di movimento terra
avvenuti tempo dopo la riattivazione, che ne hanno compromesso il rinverdimento
(fig. 3.13.3).
La zona di alimentazione e il canale di flusso della colata di Ponte Vaina (2)
appaiono in una certa misura attivi, mentre non cambia la situazione a valle. Il
movimento franoso sulle pendici di destra si manifesta sempre attivo (fig. 3.13.3).
Dai rilievi del ’99, oltre all’intensa attività di Maranina, si evince un movimento a
monte del nucleo abitato di Vaina (fig. 3.13.3). Dai dati dell’Autorità di bacino del
Reno e dalle comunicazioni personali della Comunità Montana Alta e Media Valle
del Reno, la frana di Vaina (3) risulta essersi riattivata nell’anno 1996 e
presumibilmente la foto di quell’ anno è stata scattata poco prima.
Nella riattivazione viene coinvolto l’impluvio di sinistra e il canale di flusso
sottostante. Si ha la formazione di una netta nicchia di distacco a quota 400 m slm
93
che fa supporre un movimento iniziale che parte come scorrimento rotazionale e
termina evolvendo in colata.
Il deposito di frana si interrompe a monte del nucleo abitato di Vaina incanalandosi
in uno scolo, probabilmente appositamente realizzato, per il drenaggio delle acque.
La parte sommitale, unitamente all’impluvio di destra, presenta una modesta
attività.
Figura 3.13.4 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Maranina - Vaina da foto aeree
del 2003.
La foto e i rilevi del 2003 non mostrano nel complesso nuove riattivazioni (fig.
3.13.4).
La frana della Maranina (1) si va rivegetando e presenta ancora qualche punto di
denudamento. La colata di Ponte Vaina (2) mostra sempre un modesto dissesto
nella parte sommitale e il rinverdimento quasi totale nella zona di piede, e lo stesso
vale per la frana di Vaina (3). Lo stato di attività nella zona di riattivazione del 1996
appare meno intenso.
94
Figura 3.13.5 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Maranina - Vaina da foto aeree
del 2006.
La situazione osservata al 2006, (fig. 3.13.5), a parte qualche lieve difformità
spaziale dei dissesti, non presenta apprezzabili cambiamenti rispetto al 2003.
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Gli interventi di consolidamento hanno riguardato essenzialmente i movimenti
gravitativi di Maranina (1 ) e Vaina (3), essendo tali frane a ridosso di abitazioni e
dunque pericolose per la comunità locale. Nella colata di Ponte Vaina (2) non è
stato effettuato alcun intervento dato che già dai rilievi del 1996 il deposito non
manifestava alcuna importante attività e il dissesto superficiale presente a monte
non raggiungeva il fondovalle. Nonostante tutto, per il controllo di eventuali
movimenti è stato installato un inclinometro.
Per il movimento franoso di Maranina i primi interventi di emergenza dopo l’evento
del febbraio 1996 si sono indirizzati principalmente a mantenere libera la sezione
dell’alveo del F.Reno (Biavati, 2005).
Sono stati condotti poi interventi più sistematici, quali riprofilatura, realizzazione di
banche e gradoni, regimazione delle acque superficiali e profonde. Per evitare il più
possibile che le acque di ruscellamento stazionassero sul corpo di frana, sono stati
realizzati, oltre agli interventi sul corpo di frana, dei fossi di guardia disposti
95
trasversalmente a monte dell’area da tutelare. Le canalette seguono per quanto
possibile il naturale deflusso delle acque meteoriche (Biavati, 2005).
Nel 2002 sono stati resi necessari interventi più incisivi in quanto la frana
presentava ancora alcuni problemi quali scarso rinverdimento, riequilibrio
idrologico, eccessiva erosione nella parte di valle del collettore principale e marcati
dissesti in nicchia quali cedimenti in corrispondenza della bancata realizzata,
smottamenti, acqua d’infiltrazione (Biavati, 2005).
Gli interventi hanno previsto il rifacimento del collettore di scarico principale nella
sua parte terminale e il consolidamento dell’intera fascia di monte, attraverso il
ripristino e consolidamento della bancata esistente, la realizzazione di trincee
drenanti (poste a una profondità pari a quella alla quale è stato individuato il
contatto tra coltre e substrato) e la posa di una palificata (Biavati, 2005).
Per monitorare ulteriori possibili movimenti dopo la riattivazione nel gennaio 1997
sono stati installati in posto 12 inclinometri e nel luglio del 2002, abbinati agli
interventi, altri 2 inclinometri.
Inoltre, la determinazione del livello di falda ha previsto l’installazione nel 1996 di
numerosi inclinometri Norton (N) e Casagrande (C) sul corpo di frana e al piede
della frana di Maranina.
Per la frana di Vaina (3), dopo la riattivazione del 1996 sono stati eseguiti interventi
di regimazione delle acque superficiali quali canalette e riprofilature del corpo di
frana.
A monte e a valle del nucleo abitato di Vaina sono stati installati 3 inclinometri nel
gennaio del 1997 e 1 inclinometro nel luglio 2002.
Dati geognostici disponibili
Nella frana di Maranina, a seguito della riattivazione del ’96 è stato reso necessario
l’installazione di opere di monitoraggio degli spostamenti e della variazione del
livello di falda.
Gli inclinometri funzionanti, e ubicati in fig. 3.15.8, hanno fornito le indicazioni di
seguito descritte:
L’inclinometro S1, installato nel gennaio 1997 nella zona di nicchia e letto 3 volte
fino al maggio dello stesso anno, presenta velocità media di 0,87 mm/mese con
assenza di una significativa superficie di scorrimento.
96
L’inclinometro S6, installato nel gennaio 1997 nella zona di fianco sinistro e letto 3
volte fino al maggio dello stesso anno, presenta velocità media di 0,27 mm/mese
con assenza di una significativa superficie di scorrimento.
L’inclinometro S10, installato nel gennaio 1997 nella zona di piede a monte della
SS64 e letto 2 volte fino al maggio dello stesso anno, presenta velocità media di
1,19 mm/mese con presenza di una superficie di scorrimento a -20 m di profondità
dal piano campagna.
L’inclinometro S11, installato nel gennaio 1997 nella zona sinistra del piede e letto
3 volte fino al maggio dello stesso anno, presenta velocità media di 1,22 mm/mese
con assenza di una significativa superficie di scorrimento.
L’inclinometro S12, installato nel gennaio 1997 nella zona a valle della SS64
“Porretana” e letto 3 volte fino al maggio dello stesso anno, presenta velocità media
di 0,37 mm/mese con assenza di una significativa superficie di scorrimento.
L’inclinometro S3, installato nel luglio 2002 sotto la palificata sistemata nel 2002
nella parte superiore della frana, e letto 2 volte fino ad agosto 2003 presenta
velocità media di 0,44 mm/mese con assenza di una significativa superficie di
scorrimento.
L’inclinometro S13, installato nel luglio 2002 nella parte inferiore del corpo di
frana a monte della SS64, e letto 3 volte fino ad agosto 2003, presenta la maggior
velocità media registrata di 1,95 mm/mese; esso denota la presenza di una
superficie di scorrimento ad una profondità di -8/-9 m dal piano campagna.
Gli inclinometri S1A, S2, S7, S8 non hanno fornito misure significative.
Lo stesso discorso può valere per l’inclinometro S4 posto per la colata di Ponte
Vaina.
Nella frana di Vaina il monitoraggio tramite inclinometri è avvenuto in due fasi.
Nella prima campagna sono stati installati gli inclinometri S15, S16 e S17,
rispettivamente a monte del nucleo abitato di Vaina, nei pressi dell’abitato di Vaina
e a valle della SS64.
I primi due, causa la non significatività delle letture inclinometriche, vengono
scartati.
L’inclinometro S17, installato nel gennaio 1997 e letto 3 volte fino al maggio dello
stesso anno, presenta una velocità media di 1,24 mm/mese con assenza di una
significativa superficie di scorrimento.
Nella seconda campagna, nel luglio del 2002, viene posizionato un ulteriore
inclinometro denominato S18 il quale, al seguito di 4 letture fino ad agosto 2005,
97
mostra una superficie di scorrimento a -11 m di profondità dal piano campagna con
una velocità media pari a 0,81 mm/mese.
Il monitoraggio piezometrico eseguito dalla Comunità Montana nel periodo
compreso tra novembre 1996 e ottobre 1997 ha rinvenuto valori dei livelli di falda
indicati in fig. 3.13.6. L’ubicazione è individuabile in fig. 3.13.8.
Figura 3.13.6 Variazione del livello di falda per ogni piezometro nel periodo novembre ’96 – ottobre
’97 (da Marafioti, 2001).
Di seguito, nella figura 3.13.7, sono riportate le variazioni della falda di tutti i
piezometri per il periodo marzo – ottobre 2001 eseguite dalla Comunità Montana e
Marafioti (2001).
98
Figura 3.13.7 Variazione del livello di falda per ogni piezometro nel periodo marzo – ottobre 2001 (da
Marafioti, 2001).
Nel complesso, appare difficile individuare un livello di falda comune a tutta l’area
indagata. Come si può notare dai singoli andamenti del livello piezometrico nei due
tempi in considerazione e dai grafici in cui sono messe a confronto tutte le letture
(fig. 3.13.6, 3.13.7), la falda si colloca a profondità piuttosto variabili nei diversi
piezometri, variando da -1 m del tubo SN4 a -25,34 m del SN13 A (Marafioti,
2001).
Confrontando le letture piezometriche dei due periodi, si è visto che in alcuni casi il
livello della falda è rimasto pressoché costante (C5, C1A, SN5), in altri si è alzato
(C2) ed in altri ancora si è abbassato (SN13A, C1).
99
Figura 3.13.8 Foto aerea in zona Maranina - Vaina. In verde sono indicati i corpi di frana quiescenti,
in rosso vengono indicati i limiti delle riattivazioni del 1996 della frana di Maranina (1) e Vaina (3).
Viene riportata l’ubicazione della strumentazione inclinometrica (rosso) e piezometrica (blu).
100
3.14 Frana di Rocca Pitigliana
Ubicazione geografica; l’area in frana ricade negli elementi n. 236161, 237134 della
CTR della Regione Emilia-Romagna e lambisce il centro abitato di Rocca Pitigliana
(comune di Gaggio Montano).
Geologia e geomorfologia; la frana si sviluppa prevalentemente su terreni interessati
dalla F.ne delle Argille a Palombini (APA) i quali, nella zona di deposito,
sovrascorrono litotipi prevalentemente arenacei ascrivibili al membro delle Arenarie
di Anconella (ANT4a).
Il fronte di sovrascorrimento si sviluppa con direzione circa E - O poco a sud
dell’abitato di Rocca Pitigliana, ed in corrispondenza di questo allineamento si è
impostato presumibilmente il corso del torrente Marano.
Il principale nucleo abitativo, Rocca Pitigliana, è impostato su un dosso strutturale
che rappresenta un elemento geomorfologico di maggiore stabilità rispetto alle aree
adiacenti, zone di impluvi, nelle quali si possono riscontrare indizi di movimenti in
atto.
La frana è composta da due impluvi, uno inferiore, che chiameremo 1, a quota 600
m slm e uno superiore che chiameremo 2 a quota 720 m slm che si uniscono verso
valle presso il centro abitato di Cà di Golli. Il fenomeno si presenta in evoluzione
per l’impluvio 1, mentre per quanto riguarda lo stato di attività dell’impluvio 2,
questo si può ritenere quiescente o inattivo.
Il movimento di frana dell’impluvio 1 è contraddistinto da una forma stretta e
allungata, caratterizzato da una corona di frana ben evidente posta a quota 625 m
slm, da cui si è riattivato il movimento. Tutt’ attorno sono presenti alberi ed arbusti,
importanti per evitare possibili fenomeni di arretramento.
La frana è classificabile come scorrimento traslativo in terra che evolve verso valle
in un movimento di tipo colata.
101
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazioni
Impluvio 2
Impluvio 1
Figura 3.14.1 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Rocca Pitigliana da foto aeree
del 1973.
Notizie storiche sulla prima attivazione della frana risalgono all’inverno 1933/34,
con successive riattivazioni il 02/06/1939, 26/04/1965, 14/06/1994 e la più recente
dell’ottobre 1999 che sarà descritta di seguito. Dalla foto aerea dell’anno 1973 (fig.
3.14.1) si può notare come l’impluvio 1 è caratterizzato da fenomeni di instabilità
mostrando forme di erosione e di movimento del terreno potendogli attribuire così
un grado di attività B. L’impluvio 2, al contrario, è caratterizzato dalla presenza di
ampie zone ricoperte da bosco e da sporadiche aree condotte a seminativo dunque
con classe di attività minore (C).
102
Figura 3.14.2 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Rocca Pitigliana da foto aeree
del 1996.
La foto aerea del 1996 (fig. 3.14.2) testimonia una costante presenza di dissesto
sull’impluvio 1, caratterizzato rispetto alla foto del 1973, da una maggiore
estensione areale in larghezza e minore in lunghezza. Si nota inoltre un leggero
arretramento della corona di distacco.
Le classi di attività risultano invariate.
103
Figura 3.14.3 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Rocca Pitigliana da foto aeree
del 1999.
Nella foto del 1999 (fig. 3.14.3) si può notare l’impluvio 1 caratterizzato da terreno
denudato ed evidenti segni di movimento (classe di attività A). In seguito a quest’
ultima riattivazione, datata ottobre 1999, la corona di distacco si è spostata di alcune
decine di metri verso valle, rispetto alla nicchia già esistente. Questo ultimo evento
franoso, quindi, non sembra aver prodotto una retrogressione della nicchia esistente
ma solo una rimobilizzazione interna al vecchio corpo di frana.
104
Figura 3.14.4 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Rocca Pitigliana da foto aeree
del 2003.
Nella foto del 2003 (fig. 3.14.4) l’attività della zona di frana appare minore (B); è
probabile che il minor grado di attività sia si stato favorito dai lavori di sistemazione
che citeremo più avanti, ma anche dal rinverdimento della porzione inferiore
dell’accumulo.
Nella foto del 2006 non si riscontrano variazioni del grado di attività rispetto al
2003.
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Nel novembre 1999 vengono eseguiti lavori in fase di emergenza riguardanti una
regimazione delle acque superficiali e un rimodellamento del corpo di frana
dell’impluvio 1, senza però una evidente incidenza sulla stabilità del versante.
105
Nel 2001 viene installata una rete di monitoraggio costituita da 5 inclinometri (S1,
S3, S5, S7, S9) e 5 piezometri (P2, P4, P6, P8, P10) ubicabili come da figura 3.14.5.
A novembre 2002 intanto, viene installato un nuovo inclinometro (S13) a
sostituzione di S7 rotto.
Tra il 2002 e il 2003 la Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno ha
progettato e fatto realizzare una serie di interventi mirati per ogni settore del
versante con l’obiettivo principale di l’abbassare il livello di falda (Biavati, 2005).
Il sistema di regimazione delle acque profonde consiste di trincee drenanti
distribuite in 9 gruppi su tutto il corpo di frana; al fine di ridurre la capacità erosiva
e la dispersione delle acque del collettore principale, situato all’interno del corpo di
frana, vengono anche realizzate opere di regimazione idraulica.
Inoltre, per rinforzare le zone a maggior deformazione presenti nella porzione
mediana e inferiore del versante vengono realizzate opere consistenti in una serie di
palificate e un muro di sostegno (Biavati, 2005).
Al termine degli interventi di consolidamento è stato poi effettuato un
rimodellamento dell’intera superficie con eliminazione delle eventuali
contropendenze e realizzazione di una nuova rete di scolo superficiale.
Successivamente il versante è stato trattato con la tecnica dell’idrosemina.
Per monitorare ulteriori movimenti e verificare l’efficacia degli interventi, a
settembre 2005 sono stati aggiunti in zona 3 inclinometri (S14, S15, S16)
individuabili in figura 3.14.5.
Dati geognostici disponibili
Le letture degli inclinometri S7, S9, S14, S16 non sono risultate significative in
termini di azimut, per cui sono state scartate.
L’inclinometro S1, installato nel febbraio 2001 nella zona di piede e letto 6 volte
fino al dicembre 2003, presenta una velocità media di 0,68 mm/mese con una
superficie di scorrimento individuata a -8 m dal piano campagna.
L’inclinometro S3, installato nel febbraio 2001 in prossimità del nucleo abitato di
Cà di Golli e letto 6 volte fino al dicembre 2003, presenta una velocità media di
3,34 mm/mese e una superficie di scorrimento individuata a -5 m dal piano
campagna.
L’inclinometro S5, installato nel febbraio 2001 a monte del nucleo abitato di Cà di
Golli e letto 3 volte fino al febbraio 2002, presenta velocità media di 4,18 mm/mese
con una superficie di scorrimento individuata a -10,5 m dal piano campagna.
106
L’inclinometro S13, installato a novembre 2002 nella parte mediana del corpo di
frana e letto 2 volte fino al dicembre 2003, presenta velocità media di 2,98
mm/mese con una superficie di scorrimento individuata a -3 m dal piano campagna.
L’inclinometro S15, installato a settembre 2005 nei pressi di S5 nella zona
dell’impluvio superiore e letto una sola volta fino all’agosto 2006, presenta una
velocità media di 2,38 mm/mese con una superficie di scorrimento individuata a -11
m dal piano campagna.
I dati piezometrici raccolti fra il settembre 2001 e il marzo 2003 evidenziano la
presenza di un livello di falda compreso mediamente fra -2 e -4 m dal piano
campagna, rispettivamente nei piezometri P2 e P6. Nel piezometro P4 è stata
rilevata la presenza di acqua saliente. Tale fenomeno è stato attribuito dalla
Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno a venute di acque sulfuree
probabilmente connesse a sacche di metano poste in prossimità della superficie.
Nella zona di nicchia si osservano i massimi livelli piezometrici rilevati dal tubo
P10, con falda prossima al piano campagna. Il livello di falda nel piezometro P8
varia fra -2 e -1 m dal piano campagna.
Figura 3.14.5 Foto aerea in zona Rocca Pitigliana. In verde sono indicati i corpi di frana quiescenti, in
rosso viene indicato il limite della riattivazione dell’ottobre 1999. Viene riportata l’ubicazione della
strumentazione inclinometrica (rosso) e piezometrica (blu).
107
3.15 Frane di Silla Giovanni XXIII
Ubicazione geografica; l’area in frana è posta alla sinistra idrografica del torrente
Silla a Nord - Ovest dell’abitato omonimo (comune di Gaggio Montano, Bo).
La zona cade nell’elemento n. 251041 della CTR della Regione Emilia Romagna.
Geologia e geomorfologia; i terreni presenti in zona sono ascrivibili alla F.ne a
Palombini (APA), costituita da argille di colore da grigio scuro a nerastro con
intercalazioni di strati torbiditici.
La formazione si presenta sempre intensamente deformata e caratterizzata da un
elevato grado di caoticità. All’interno della massa pelitica si rinvengono inclusi di
natura ofiolitica quali gabbri e serpentiniti talvolta di grandi dimensioni come
quello affiorante in prossimità di Silla Vecchio.
Il substrato inalterato è sovrastato da spessori variabili, soprattutto in funzione delle
condizioni geomorfologiche, di materiali eluvio - colluviali, prevalentemente
pelitici, il cui grado di alterazione tende a diminuire con la profondità.
L’assetto geomorfologico del versante risulta fortemente controllato sia dai litotipi
presenti che dalla vicinanza del torrente Silla e del fiume Reno, nel quale il Silla
confluisce. Sono presenti marcate forme mammellonate, ondulazioni, concavità e
contropendenze riconducibili a fenomeni gravitativi attuali e passati, sviluppatisi nei
primi metri di terreno. I versanti sono in gran parte coltivati e condotti a seminativo
e l’acclività è mediamente dolce.
Le porzioni di versante di nostro interesse fanno riferimento ai movimenti franosi
che sono presenti ad Est del centro abitato di Silla Vecchio e a monte di Silla.
L’area si presenta con forme di erosione di tipo pseudo - calanchivo molto
pronunciate e particolarmente significative data l’intensa urbanizzazione presente a
valle.
Vengono individuati tre movimenti che in pianta possono essere distinti l’uno
dall’altro da sinistra verso destra con la numerazione progressiva 1, 2, 3 come
visualizzato in fig. 3.15.1.
Tutte e tre le frane sono classificabili come scorrimenti rotazionali che evolvono in
colata, con movimenti minori entro essi classificati come colate..
Nel complesso le tre frane hanno una direzione di scivolamento verso SO con
nicchie di distacco che dipartono da quota 425 m a quota 400 m slm.
108
Evoluzione dei fenomeni franosi e riattivazioni
Frana 2
Frana 3
Frana 1
Figura 3.15.1 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Silla Giovanni XXIII da foto
aeree del 1973.
Le analisi dalla foto del 1973 definiscono con chiarezza la morfologia della zona. I
tre movimenti sono circoscritti in un ampio bacino e formano tre corpi di colata
distinti (fig. 3.15.1).
Il movimento 1 appare in parte vegetato e composto da due piccoli impluvi: il corpo
principale rimane quiescente, mentre l’impluvio posto sull’estrema sinistra appare
rimaneggiato e più soggetto all’azione detsbilizzante. Il corpo di frana raggiunge il
fondovalle in vicinanza di un abitazione.
La colata 2 presenta una corona di distacco ben evidente a quota 425 m slm e in
questo periodo appare la più attiva delle tre. È però la meno estesa, e si ferma a
metà del versante. Probabilmente, anche se non ci sono informazioni in merito, è
frutto di una riattivazione avvenuta in tempo non lontano.
Il corpo di frana del movimento 3 appare completamente vegetato non
manifestando segni di movimento, tanto che il piede della colata che compare a
ridosso delle abitazioni, è tagliato da una strada bianca (fig. 3.15.1).
109
Figura 3.15.2 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Silla Giovanni XXIII da foto
aeree del 1996.
L’analisi della foto aerea del 1996 testimonia processi di instabilità superficiale
situati su tutto il corpo del movimento 1 perlopiù dati da un’erosione di natura
calanchiva e dunque superficiale (fig. 3.15.2).
Nel corpo 2 il grado di attività è risultato inferiore rispetto al ’73, ma sul corpo di
frana si riscontrano nicchie di distacco secondarie che potrebbero manifestare un
allargamento di eventuali movimenti incipienti.
Nel movimento 3 si osserva una nicchia di distacco a quota 380 m slm e, subito a
valle, un rapido infittimento della vegetazione arborea che fa supporre un
movimento lento in atto.
110
Figura 3.15.3 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Silla Giovanni XXIII da foto
aeree del 1999.
I rilievi del 1999 confermano l’instabilità dei terreni posti sul movimento 3, in
particolare a valle della strada comunale che conduce al nucleo abitato di Cà di
Bottiglia, dove si è manifestata una modesta colata di materiale che fortunatamente
si è arrestata a ridosso di alcune abitazioni (fig. 3.15.3).
Sempre su questo lato sono presenti indizi di attivazione di piccole colate.
I dissesti superficiali sui movimenti 1 e 2 sono costanti ma non intensi (fig. 3.15.3).
111
Figura 3.15.4 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Silla Giovanni XXIII da foto
aeree del 2003.
I rilievi dalla foto del 2003 mostrano un versante particolarmente ricco di fenomeni
di instabilità (fig. 3.15.4).
Dalle informazioni disponibili presso la Comunità Montana Alta e Media Valle del
Reno, è emerso che il corpo centrale 2 ha subito una riattivazione nell’anno 2000;
questo conferma le precedenti ipotesi.
Oltre a questo, si nota un estensione delle frane poste sul corpo 3: queste sono
presenti più a valle rispetto ai precedenti rilievi e classificate con un grado di attività
massimo (A). Non si hanno però informazioni in merito alla loro data di
riattivazione.
Il movimento 1 risulta caratterizzato da un continuo dissesto perlopiù superficiale
(fig. 3.15.4).
112
Figura 3.15.5 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Silla Giovanni XXIII da foto
aeree del 2006.
La foto del 2006 mostra una riattivazione del movimento 1 datata aprile 2004 con
un’ulteriore ripresa nell’inverno 2004/2005 (fig. 3.15.5).
Nel canale della colata 2 permangono le evidenze della riattivazione del 2000, con
una leggera ripresa della vegetazione sul corpo di frana. La zona caratterizzata dalla
maggiore attività risulta quella che limita questo movimento (2) dal movimento 1.
Sono sempre presenti i dissesti sulla frana 3 anche se con un intensità minore e con
sporadici attecchimenti della vegetazione. Dalla foto di questa zona inoltre,
vengono rilevati indizi di attivazioni imminenti quali fratture di trazione e radiali.
Comunicazioni personali da parte di Fantini a tutt’oggi, confermano per questa zona
di versante movimenti significativi.
113
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
La foto del 2003 testimonia la realizzazione di opere di drenaggio delle acque
superficiali tramite fossi di scolo sui movimenti 2 e in parte anche nel 3.
Abbinata a quest’ opera sembra essere stata realizzata una risagomatura dei versanti
interessati.
Anche la frana 1, riattivatasi nel 2004, è stata oggetto di una sistemazione
importante. Nell’anno 2005 vengono eseguite opere adibite alla funzione di
sostegno e regimazione delle acque del corpo di frana. Nella parte alta della colata
viene installata una palificata abbinata ad una gabbionata su pali, mentre a valle
vengono realizzate trincee drenanti ad una profondità di -4 ÷ -7 m. Alla confluenza
di questo corpo (1) con il movimento 2 viene realizzato un canale di scolo con
briglie al fine di eliminare l’acqua proveniente dalle regimazioni superficiali e
profonde dei due corpi (com. pers. Fantini A.). Nella parte bassa vengono realizzate
infine opere di ingegneria naturalistica.
Per monitorare le zone di frana a ridosso delle abitazioni, intorno a quota 350 m
slm, nell’agosto del 2005 sono stati installati 2 inclinometri (S1, S3) individuabili in
figura 3.15.6.
Dati geognostici disponibili
L’inclinometro S1, posto nella zona di piede del movimento 1 e letto una sola volta
nel febbraio 2006, denota un movimento della coltre a quota -5,5 m dal p.c..
Nell’arco temporale fra le letture l’inclinometro mostra una velocità media di 8,82
mm/mese, testimoniando l’intensa attività della zona.
L’inclinometro S3, posto nella zona di piede dei movimenti di destra, letto una sola
volta nel febbraio 2006, non mostra alcuna superficie di rottura e indica una velocità
media di movimento superficiale di a 1,33 mm/mese.
114
Figura 3.15.6 Foto aerea in zona Silla Giovanni XXIII. In verde sono indicati i corpi di frana
quiescenti, in rosso il corpo dissestato del 1973, in viola il dissesto del 1999, in blu la riattivazione del
corpo 2 e i dissesti dei corpi 3, in giallo la riattivazione del 2004 per il movimento 1. Viene riportata
l’ubicazione della strumentazione inclinometrica.
115
3.16 Frana di Silla Montecchi - Industriale
Ubicazione geografica; l’area in frana ricade negli elementi n. 236162, 251041 della
CTR della Regione Emilia-Romagna ed è posta ad Ovest del centro abitato di Silla.
La zona è parte del comune di Gaggio Montano (Bo) e interessa il versante sinistro
del T. Silla nel tratto compreso tra le località Montecchi a monte, e la zona
industriale di Silla con interesse della Strada Statale del Passo delle Radici a valle.
Geologia e geomorfologia; il versante sinistro del Torrente Silla è caratterizzato
dalla presenza di fenomeni d’instabilità riconducibili a movimenti gravitativi attivi e
quiescenti che si impostano su litologie argillose ascrivibili alla Formazione delle
Argille a Palombini (APA).
Il versante è caratterizzato da molteplici fenomeni franosi che si sono manifestati in
diverse zone e in intervalli di tempo anche molto ampi.
Un primo movimento ha coinvolto la parte inferiore del versante nell’anno 1901
con una riattivazione nel 1934, nel 1937/38 e nel 1940. Con la ripresa del
movimento nel 1937, la frana ha coinvolto direttamente il fondovalle modificando
la posizione dell’alveo del T. Silla.
Questo corpo di frana presenta un coronamento a quota 492 m slm e una zona di
accumulo in corrispondenza della zona industriale di Silla (340 m s.l.m.) con
lunghezza di circa 1100 m.
Un secondo corpo di frana è quello che si è attivato nella parte alta del versante nel
1994, in località Montecchi, e che ha subito una ripresa parziale nel maggio 2003.
La zona in frana è compresa tra le quote 520 e 692 m slm ed estesa per una
lunghezza di circa 1.000 m.
La zona intermedia, compresa tra il piede del movimento superiore e il
coronamento del movimento inferiore, è interpretabile come una zona di intensa
deformazione ed è caratterizzata da morfologie tipiche come contropendenze, forme
concavo - convesse e gradini.
Nel complesso il versante è stato oggetto di numerosi movimenti avvenuti in
momenti storici diversi con meccanismi di scorrimento rotazionale e planare nelle
parti più alte del versante passanti a fenomeni di colata, verso valle.
116
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazioni
Figura 3.16.1 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Silla Montecchi – Industriale da
foto aeree del 1973.
Nella foto del 1973 si è tentato di identificare i due corpi di frana e la loro attività.
Nella parte alta del versante sono visibili due grandi bacini delimitati da rispettivi
coronamenti, cui al loro interno si instaurano due corpi di frana quiescenti (fig.
3.16.1). Il corpo più ad Est non mostra segni di movimento; questo è stato
cartografato in quanto adiacente alla zona in esame.
Lo stato di attività della parte alta del versante è molto basso (D) e non si
rinvengono segni di movimento.
La zona inferiore è caratterizzata da un modesto coronamento a quota 475 m slm
circa. A quota 490 – 500 m slm sono visibili due scarpate probabilmente legate a
fenomeni di retrogressione.
Anche in questo caso, sul corpo di frana non sono presenti segni di movimento, a
testimonianza di uno stato di quiescenza.
117
Figura 3.16.2 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana il località Silla Montecchi – Industriale da
foto aeree del 1996.
La riattivazione del 1994 è ben visibile dalla foto scattata nel 1996 (fig. 3.16.2). Si
riconosce una nicchia di distacco a quota 690 m slm dove i terreni in dissesto
terminano con il contatto della vegetazione. A valle il nuovo corpo di frana si
estende fino a quota 575 m slm.
Dall’entità del rimaneggiamento della massa franata si possono distinguere due
corpi con differente attività: uno verso monte e prospiciente la nicchia di distacco
che conserva ancora le caratteristiche di elevata attività, uno inferiore caratterizzato
da una superficie più vegetata e meno attivo. A quota 525 m è presente infine un
limitato dissesto.
La porzione inferiore è caratterizzata da dissesti superficiali della zona di nicchia.
Nella restante massa a valle non si riscontrano variazioni di attività rispetto al 1973.
118
Nella foto aerea del 1999 non si riscontrano differenze importanti dello stato di
attività. Si nota solo il progressivo attecchimento della vegetazione nei corpi
precedentemente cartografati.
Figura 3.16.3 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Silla Montecchi – Industriale da
foto aeree del 2003.
La foto aerea del 2003 delinea i limiti della riattivazione del fenomeno franoso
verificatosi nel maggio – giugno dell’anno in esame (fig. 3.16.3).
La nicchia di distacco appare arretrata di almeno una decina di metri
rimobilizzando, seppur limitatamente, anche la parte boschiva. In confronto alla
riattivazione del 1994, questo movimento risulta essere stato di minor entità; questo
risulta caratterizzato da movimenti lenti e un maggior coinvolgimento del fianco
destro del corpo di frana (com. pers. Fantini A.).
Il materiale franato si estende fino a quota 625 m slm coinvolgendo la sede stradale.
La zona inferiore appare costantemente caratterizzata da una modesta attività
superficiale nella zona di nicchia e un’apparente stabilità della zona di deposito.
119
Figura 3.16.4 Rilievo dello stato di attività dei corpi di frana in località Silla Montecchi – Industriale da
foto aeree del 2006.
I rilievi della foto del 2006 mostrano una situazione di intensa attività della zona di
nicchia di tutti e due i movimenti (fig. 3.16.4).
Il corpo superiore presenta ancora le conseguenze dell’ultima riattivazione con
materiale parzialmente vegetato lungo il corpo di frana e denudato nella zona di
corona.
Sul coronamento del movimento inferiore, è presente una zona di intenso dissesto
rappresentato da materiale in frana con limitati corpi vegetati.
120
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Le indagini e gli interventi ad oggi eseguiti possono essere divisi in quattro
campagne:
1. Successivamente alla riattivazione del 1994, su entrambi i corpi di frana
vengono effettuate una serie di indagini geognostiche quali sondaggi,
prospezioni geoelettriche e un monitoraggio inclinometrico e piezometrico
(fig. 3.16.5). Nella zona intermedia ad elevata deformazione vengono
eseguite opere di drenaggio delle acque profonde tramite tre batterie di pozzi
e dreni suborizzontali. Nella zona di nicchia della frana di Montecchi
vengono realizzate trincee e pozzi superficiali.
2. Negli anni 2001-2002, in seguito ai risultati delle indagini geoelettriche che
evidenziavano flussi idrici tendenti a convergere verso le porzioni centrali
del corpo di frana, a monte della zona industriale vengono installati pozzi
drenanti con scarico a gravità (Biavati, 2005). In seguito viene eseguito un
potenziamento dei sistemi drenanti profondi nella zona di Montecchi e
installati piezometri in nicchia e sulla zona in deformazione.
3. Nel 2003 fu eseguito un riassetto della zona di nicchia della frana di
Montecchi con la realizzazione di un importante sistema di trincee drenanti
della profondità di -6 m dal p.c. e una regimazione delle acque superficiali
con interventi si semina e piantumazione di specie arbustive per una
superficie di circa 5000 m2 (Biavati, 2005).
4. Negli anni 2006-2007 fu indispensabile un ripristino della strumentazione
inclinometrica in quanto quella installata negli anni precedenti risultava
inutilizzabile e non più usufruibile (fig. 3.16.5).
Dati geognostici disponibili
I sondaggi e le prospezioni geoelettriche indicano che lo spessore del materiale
appartenente alla coltre di frana passa in media da monte a valle da 11 a 25 m.
Il monitoraggio piezometrico eseguito da Martelli (2003) a monte della nicchia
della frana di Montecchi e nel corpo inferiore tra aprile 2001 e agosto 2002 ha
messo in evidenza una distribuzione complessa delle pressioni idriche
subsuperficiali e non ha reso possibile stabilire con certezza a che profondità sia
realmente presente la superficie piezometrica (Biavati, 2005).
121
Nel luglio 2001 vengono installati due piezometri tipo Casagrande a monte della
nicchia di frana (fig. 3.16.5) a quota 705 m denominati P32.1, P32.2 presentando
letture continue fino al giugno 2002.
Il rilievo piezometrico evidenzia la presenza di due livelli di falda che si
mantengono rispettivamente costanti fra i -6 m e i -7,5 m di profondità dal piano
campagna.
Sempre nello steso periodo vengono installati nella zona in deformazione di destra,
due piezometri automatici (P5, P6) e quattro piezometri con celle piezometriche
profonde e superficiali (P1, P2, P3, P4) nella parte sinistra adiacente al Rio Secco
(fig. 3.16.5).
I primi due piezometri mostrano identiche escursioni del livello di falda fra -1 m e
-5 m dal piano campagna, rispecchiando le variazioni stagionali delle precipitazioni.
Nella coppia P1-P2 la piezometrica rimane costante per le celle profonde (circa a -4
m), mentre mostra notevoli oscillazioni per le celle superficiali (Martelli, 2003).
Nella coppia P3-P4, il livello di falda relativo a tutte le celle è soggetto a discrete
escursioni.
Il monitoraggio inclinometrico fornisce informazioni leggermente contrastanti in
quanto la superficie di scorrimento nella zona di monte viene individuata a
profondità maggiori rispetto all’analisi geoelettrica.
Verranno ora elencati i risultati dei dati inclinometrici partendo dalla zona di monte,
passando per quella in deformazione fino alla zona industriale (fig. 3.16.5).
L’inclinometro S11, installato nella zona di nicchia della frana di Montecchi
nell’agosto del 1996, presenta un piano di rottura ad una profondità di -11 m dal
piano campagna con una velocità media di deformazione pari a 0,94 mm/mese.
L’inclinometro S11GEO, installato a ridosso del precedente nell’aprile del 2007,
non mostra alcuna superficie di scorrimento ma testimonia una velocità media di
spostamento superficiale pari a 0,81 mm/mese, coerente con il dato precedente.
L’inclinometro S12Pz, installato sul corpo della frana di Montecchi a quota 620 m
slm nel giugno 1995 e con ultima lettura a novembre dello stesso anno, presenta una
superficie di scorrimento ad una profondità di -9,5 m dal p.c. con una velocità
media di deformazione pari a 14,55 mm/mese.
L’inclinometro S42GEO, installato a fianco del precedente nell’ottobre 2006 e con
un’ultima lettura ad aprile dell’anno seguente, presenta un piano di rottura ad una
profondità di -10 m con una velocità media di spostamento superficiale di 5,23
mm/mese.
122
Nell’ottobre 2006 viene installato l’inclinometro S44GEO ma a causa di errori
strumentali questo non fornisce misure significative.
L’inclinometro S35GEO, installato sul corpo della frana di Montecchi a quota 586
m slm nell’aprile 2007 e con ultima lettura a gennaio 2008, mostra una superficie di
rottura ad una profondità di -15 m dal p.c. con velocità media di deformazione pari
a 1,55 mm/mese.
L’inclinometro S10Pz, installato sul corpo della frana di Montecchi a quota 573 m
slm nel febbraio 1995 e con ultima lettura nell’aprile dello stesso anno, presenta un
netto piano di rottura ad una profondità di -24 m dal p.c. con un’elevata velocità
media di deformazione pari a 48 mm/mese.
L’inclinometro S14, installato pochi metri più a valle del precedente nel giugno
1995 con un’ultima lettura nel settembre dello stesso anno, presenta una superficie
di scorrimento a profondità di -23,5 m dal p.c. con velocità media di 18 mm/mese.
L’inclinometro S21, installato a quota 565 m slm a valle di S14 nel gennaio 1997
con un’ultima lettura nell’ottobre dello stesso anno, presenta anch’esso un piano di
rottura coerente con i due dati precedenti a profondità di -24 m dal p.c. con velocità
media di deformazione pari a 6,68 mm/mese.
In località Madreva, a quota 553 m slm, vengono installati gli inclinometri S6 nel
febbraio 1995, e S20 nel gennaio 1997. Sono caratterizzati entrambi da un piano di
rottura ad una profondità di -47 m, mentre la velocità media di spostamento è di
3,06 mm/mese per S6 e 1,85 mm/mese per S20.
L’inclinometro S18Pz, installato al piede del corpo della frana di Montecchi
nell’aprile del 1995, non evidenzia alcuna superficie di rottura netta ma fornisce una
velocità media di spostamento in testa tubo pari a 1,68 mm/mese.
Nella zona di deformazione, a quota 521 m slm, viene installato l’inclinometro
S37GEO nell’aprile 2007, che mostra una superficie di scorrimento ad una
profondità di -30 m dal p.c. e una velocità media di deformazione di 0,70 mm/mese.
Questa superficie viene confermata anche dall’inclinometro S15Pz installato poco
più a valle nel luglio 1995, che presenta velocità media di deformazione pari a 8,61
mm/mese.
L’inclinometro S9Pz, installato a quota 515 m slm nella zona di deformazione nel
febbraio 1995, mostra una superficie di rottura ad una profondità di -25 m da p.c. e
una rilevante velocità media di 43,8 mm/mese.
A quota 511 m slm e poco distante dal precedente tubo, in dicembre 2004 viene
installato l’inclinometro S1Pz che mostra un piano di scorrimento ad una profondità
di -26 m dal p.c. e una velocità media di deformazione pari a 16,46 mm/mese.
123
È stato eseguito un controllo dei movimenti anche nella parte esterna al corpo di
frana tramite l’installazione dell’inclinometro S3Pz, avvenuta nel dicembre 1994 a
quota 485 m slm, presso il fianco destro del movimento. Tale inclinometro presenta
una superficie di rottura ad una profondità di -16 m dal p.c. e una velocità
deformazione pari a 5,28 mm/mese.
Nell’impluvio della nicchia della frana di Silla, a quota 447 m slm, nell’aprile 1998
viene installato il tubo inclinometrico S30SO che mostra una superficie di rottura ad
una profondità di -24 m dal p.c., e una velocità media di spostamento nell’ordine
dei 0,78 mm/mese.
Nell’aprile 1996 viene installato l’inclinometro S31SO a valle del precedente, ma
non fornisce misure significative.
A quota 409 m slm, nel giugno 1995, viene installato sul corpo di frana
l’inclinometro S17Pz il quale non mostra nessuna superficie di rottura netta e
restituisce una velocità media a testa tubo di 1,51 mm/mese.
L’inclinometro S38GEO, installato poco più a valle del precedente nell’aprile 2007
mostra un piano di rottura ad una profondità di -14 m dal p.c. e una velocità media
di deformazione pari a 0,34 mm/mese.
Nel dicembre 2004 viene installato il tubo inclinometrico S2Pz sui terreni della
zona industriale ma non fornisce dati significativi.
Per ovviare a questo problema nell’ottobre 2006, l’inclinometro viene rimpiazzato
da un ulteriore inclinometro denominato S49GEO, che tuttavia non presenta alcuna
superficie di rottura ben definita ma solamente una velocità media di deformazione
superficiale di 4,05 mm/mese.
Sempre nella zona industriale, a quota 362 m slm, vengono installati gli
inclinometri S4A e S4Pz; entrambi non mostrano alcuna superficie di rottura ma
restituiscono una velocità media rispettivamente di 0,32 e 1,61 mm/mese.
Sul fianco sinistro del piede della frana di Silla a quota 357 m slm, nel gennaio
1997 viene installato l’inclinometro S28. La superficie di scorrimento viene
individuata ad una profondità di -12 m dal p.c. e la velocità media di spostamento è
di 0,77 mm/mese.
A valle di quest’ ultimo, a quota 348 m slm, è presente un altro inclinometro messo
in posto nello stesso periodo, denominato S29, che indica un piano di rottura ad una
profondità di -10 m e una velocità di deformazione di 1,03 mm/mese.
124
Figura 3.16.5 Foto aerea in zona Silla Montecchi – Industriale. In verde sono indicati i corpi di frana
quiescenti, in rosso è indicata la riattivazione del 1994 e in blu quella del 2003. Viene riportata
l’ubicazione della strumentazione inclinometrica (in rosso) e piezometrica (in blu).
125
3.17 Frana di Scascoli
Ubicazione geografica; la cosiddetta “grande frana di Scascoli” è situata in destra
idrografica del T. Savena, ad una ventina di Km a Sud di Bologna, e si colloca nel
tratto di fondovalle Savena compresa tra il Rio dell’Andreola e il bivio per Scascoli.
La zona in oggetto è inserita nel foglio IGM n. 98 “VERGATO” in scala 1:100.000,
1970 e nell’elemento 237080 della CTR 1:10.000 della Regione Emilia-Romagna .
Geologia e Geomorfologia; la grande frana di Scascoli, coinvolge l’intero versante
in destra idrografica del Fiume Savena presso le gole omonime. Non vi sono notizie
storiche circa la sua attivazione ed al momento è classificabile come frana
quiescente.
Il movimento ha coinvolto i termini superiori della successione Epiligure ed in
particolare il Membro della Marne selciose (ANT1) della F.ne di Antognola (ANT),
la F.ne di Bismantova (ABI) raggiungendo uno spessore massimo pari a 128 m
circa e i depositi del Pliocene inferiore intra-appenninico, o F.ne di Monterumici
(RUM).
La frana ha un volume stimato di 20.000.000 m3 e copre un area di 0,58 Km2,
interessando in lunghezza i due terzi delle gole di Scascoli. Il versante ha un assetto
strutturale a franapoggio con inclinazione media di 5°.
La scarpata più evidente è quella relativa al fianco destro della frana, che parte dal
T.Savena a quota 275 m slm e tocca quota 550 m slm fino all’abitato di “la Villa”;
essa ha un assetto subverticale probabilmente legato a importanti fratture NW-SE e
mostra tracce di scorrimenti tuttora in via di sviluppo (Landuzzi e Bernagozzi,
1996). La scarpata sinistra e il coronamento, causa il rimodellamento post-frana
risultano meno visibili ma sono stati riconosciuti e cartografati come tali.
Le unità morfologiche che costituiscono il corpo di frana principale e il piede della
frana quiescente sono separate l'una dall'altra per mezzo di scarpate secondarie
secondo un orientamento che fa intuire una direzione di movimento verso NW. La
zona d’accumulo è caratterizzata dall’avvallamento del maneggio, zona concava
dovuta alla compattazione dei depositi detritici al piede. Nel complesso, il corpo di
frana si configura come una serie di blocchi giustapposti rimarcati dal susseguirsi di
dossi e concavità.
Come già accennato, lo sviluppo del movimento è stato probabilmente condizionato
dall’assetto strutturale della successione Epiligure, che presentando fronti vallivi
126
asimmetrici e posta su una monoclinale immergente verso NW, ha condizionato
l’attività erosiva del T. Savena in questo tratto di fondovalle.
Sulla sinistra idrografica, l’esistenza di una stratificazione a reggipoggio genera la
presenza di ripide pareti rocciose che, causa l’intensa fratturazione data da numerosi
giunti e piani di strato, sono state oggetto di crolli del 1992, 2002 e 2005. Tali
fenomeni sono stati approfonditi da studi dettagliati da parte degli enti territoriali
preposti e laureandi, ma non rientrano nell’ambito di questa tesi.
È ragionevole ipotizzare che la messa in posto della grande frana abbia obbligato, in
tempi passati, il T. Savena a spostarsi verso NW creando un ampio arco
contribuendo così all’erosione al piede del versante sinistro e alla creazione di
condizioni idonee per lo sviluppo di frane di crollo.
Evoluzione del fenomeno franoso e riattivazione
Figura 3.17.1 Rilievo dello stato di attività del grande corpo di frana in località Scascoli da foto aeree
del 1973.
127
La grande frana di Scascoli, non ha subito riattivazioni in età storica ma solo
movimenti lenti, testimoniati dai crolli di roccia sul versante opposto nel fondovalle
Savena e dalla strumentazione in loco.
Dall’analisi alle foto del 1973 si sono potute identificare le scarpate principali e
l’area del corpo di frana, che risultano in accordo con quelle riportate nella
relazione ENSER 2004 (fig. 3.17.1).
L’assenza di dissesti significativi, la presenza di infrastrutture e la copertura
vegetale continua ha portato comunque a classificare come D lo stato di attività di
tutto il corpo di frana.
Le foto del 1996 e 1999 non hanno mostrato alcuna differenza con l’anno 1973,
cioè la classe di attività risultava sempre molto bassa.
Figura 3.17.2 Rilievo dello stato di attività del grande corpo di frana in località Scascoli da foto aeree
del 2003.
128
La foto del 2003 mostra fenomeni di dissesto posti sul versante in destra idrografica
nella zona di piede; l’area è situata a nord del maneggio e lungo la strada di
fondovalle in corrispondenza della zona dei crolli avvenuti nel 2005 (fig. 3.17.2).
La porzione di versante è sede di un corpo di frana quiescente (come testimonia la
carta del dissesto RER) che dalla foto aerea è possibile classificare con grado di
attività C data la presenza di vegetazione a tratti discontinua. A quota 345 m circa, è
visibile una corona di frana, avente un altezza anche maggiore di 5 m, con la
presenza a valle di un deposito caratterizzato da terreno rimaneggiato e scarsa
vegetazione definito con un grado di attività B, che si pone sul deposito quiescente.
In quest’ area la morfologia del versante era stata lievemente modificata a seguito
del crollo del 15 ottobre 2002 e dalla costruzione di un canale per lo scolo delle
acque del Savena. Questo ultimo fenomeno probabilmente ha innescato un erosione
al piede favorendo la generazione del dissesto.
Questa può essere classificata come colata in terra attiva, costante e singola.
Tale fenomeno coinvolge i prodotti di degradazione della frana stessa ed è del tutto
indipendente da qualsiasi eventualità di riattivazione della grande frana quiescente
nel suo complesso (da ENSER, 2004).
Sul corpo della grande frana invece non vi sono segni di movimento.
129
Figura 3.17.3 Rilievo dello stato di attività del grande corpo di frana in località Scascoli da foto aeree
del 2006.
La foto del 2006 mostra una situazione pressoché immutata per la “grande frana”.
Al piede del versante però, il fenomeno franoso precedentemente descritto sembra
ancora attivo come evidenziato dalla foto aerea e dai dati inclinometrici (fig.
3.17.3).
Oltre a quest’ ultimo movimento, si osserva una nuova frana posta sempre in destra
idrografica nella zona di piede poco più a nord della precedente. Questo fenomeno
si è attivato nell’ottobre 2005 a seguito del crollo di marzo 2005 e dell’erosione al
piede praticata dal T. Savena. Le abbondanti piogge autunnali possono aver
contribuito a deteriorare una situazione già critica del versante.
La frana è classificabile come scorrimento roto-traslativo in detrito, ed è
caratterizzata da una corona di distacco che raggiunge i 350 m slm; l’attività del
corpo di frana è contraddistinta da un grado B.
130
Indagini geognostiche e interventi eseguiti
Dopo i crolli del 2002 e del 2005, nel programma di messa in sicurezza e
mitigazione del rischio della strada fondovalle Savena nel tratto “Gole di Scascoli”
da parte della Comunità Montana Cinque Valli Bolognesi, è stato realizzato un
piano di indagini geognostiche e un programma di monitoraggio tramite
inclinometri, piezometri e strumentazione topografica.
La gran parte degli interventi di consolidamento ha riguardato il versante sinistro in
roccia e l’asta del T. Savena. Per quanto riguarda la grande frana, dopo il crollo del
2002 è stata eseguita una riprofilatura del versante del dissesto avvenuto nel 2005 in
destra idraulica con l’installazione di una serie di gabbionate poggianti su micropali
abbinate ad un drenaggio delle acque superficiali. Inoltre, direttamente a monte
della strada di fondovalle è stato effettuato il ripristino delle barriere paramassi con
valli tecnici realizzati con massi ciclopici.
Gli interventi di sistemazione dopo il crollo del marzo 2005, e la frana dell’ottobre
2005, sono consistiti in una riprofilatura della frana in destra con la messa in opera
di biostuoie e reti armate con funi.
Oltre a ciò, nel 2008 è stata realizzata una rete di drenaggio delle acque superficiali
e profonde sul corpo di frana nei pressi del maneggio. L’opera è composta da
trincee drenanti poste nella parte superiore dell’accumulo e da una serie di canalette
in legname ricoperte da uno strato di geostuoia che allontanano e convogliano
l’acqua in una serie di tubazioni che si collegano al Savena.
Dopo il crollo del 2005 viene anche potenziata la rete di monitoraggio topografico e
GPS tramite capisaldi di livellazione dalla zona di fondovalle a quella del corpo di
frana.
Nell’anno 2003 vengono installati 8 inclinometri (S2, S4bis, S5, S6, S8, S10, S11,
S13) a monte della fondovalle Savena, di cui 6 a ridosso di questa e 2 nel versante
individuato in frana (piede) invidiabili in fig. 3.17.4.
Nell’anno 2004, causa rottura, l’inclinometro S6 viene sostituito con S6bis e
vengono installati sul ciglio della scarpata di piede altri 2 inclinometri (BH2 e
BH3).
La rottura degli inclinometri S8, S10, S11, S13 a causa del crollo del 2005, impone
la sostituzione di questi nel 2006 con S8bis, S10bis, S11bis, S13bis e
l’installazione, a ridosso della fondovalle ma spostati più a nord, di altri 2
inclinometri BH6, BH14 (fig. 3.17.4).
Nel 2007 viene installato l’inclinometro più a monte, BH5.
131
Nell’anno 2008 sono state infine installate, due doppiette inclinometro-piezometro,
BH12 e BH4 .
Il monitoraggio piezometrico è stato finalizzato al riconoscimento e alla
determinazione dei livelli di falda all’interno del corpo della grande frana che
caratterizza il versante destro delle Gole, con particolare interesse ad alcune
porzioni di esso. La rete di monitoraggio è consistita in n° 7 piezometri elettrici tipo
diver a lettura continua in corrispondenza dei fori di sondaggio a distruzione di
nucleo SD3 (P1 e P2) e SD2bis (P3) e nei fori a carotaggio continuo SD4, SD5,
BH6, BH12 e BH13 (fig. 3.17.4).
Dati geognostici disponibili
Ai fini della comprensione dei fenomeni deformativi in atto nel versante in destra
idrografica delle Gole di Scascoli, risulta di notevole importanza il contributo dei
dati forniti dalla rete di livellazione topografica di precisione (ENSER, 2004). Dalle
letture eseguite tra Maggio 2003 e Gennaio 2004 è infatti emersa una generale
tendenza all’innalzamento in quota dei capisaldi di livellazione dislocati lungo il
tracciato di fondovalle, con variazioni di quota variabili da pochi millimetri a poco
più di un centimetro (ENSER, 2004).
In base alle attuali conoscenze, tali innalzamenti sembrano essere in relazione ai
movimenti fatti registrare dagli inclinometri, facendo supporre un’attività residua
dell’antico corpo di frana o di importanti porzioni del suo piede (ENSER, 2004).
La rete di monitoraggio topografico sarà presto estesa anche alla zona superiore del
corpo di frana.
Per quanto riguarda il livello della falda, le letture disponibili nei piezometri, ubicati
come da fig. 3.17.4, hanno fornito i seguenti valori:
Il tubo piezometrico SD3 in data 02/04/2003 risulta asciutto, mentre nelle 4 letture
successive eseguite fino al 07/05/2003 il livello della falda si manteneva tra i -5,8 m
e 5,5 m dal p.c..
Il tubo piezometrico SD2 tra le date di 02/04/2003 e 07/05/2003 presentava livello
di falda compreso tra i -24,6 e 23,9 m dal p.c.
Il tubo SD2bis (P3) in data 05/10/2004 presentava livello di falda a -27,4 m dal p.c.
Vengono di seguito riassunti i risultati delle misure inclinometriche effettuate sulla
grande frana. Lungo la fondovalle Savena gli inclinometri verranno analizzati
muovendosi da S a N; si fa presente che quelli indicati col suffisso “bis”, indicano
tubi ripristinati in seguito o alla loro rottura, o al loro non ritrovamento dopo il
132
crollo del 2005. Successivamente si analizzeranno gli inclinometri posti sul corpo
della grande frana ubicati come da fig. 3.17.4.
L’inclinometro S2, installato a ridosso della fondovalle e letto 15 volte da aprile
2003 a novembre 2007, non ha fornito misure significative; lo stesso discorso vale
per l’inclinometro S4bis posto poco più a nord.
L’inclinometro S5, posto a quota 293 m slm a monte della strada di fondovalle,
mostra durante l’intervallo di tempo aprile 2003 - giugno 2008 una superficie di
scorrimento ad una profondità compresa tra -14 e -17 m dal piano campagna
(coerente col contatto coltre substrato rinvenuto nel sondaggio) mostrando una
velocità media di 0,11 mm/mese.
In corrispondenza del ciglio della scarpata della frana del 2003 viene installato un
inclinometro a quota 328 m slm denominato S6 e sostituito nel 2004 con S6bis. Dai
risultati dei 2 dati inclinometrici vengono individuate 2 superfici di scorrimento. Un
primo piano a -7 m in corrispondenza di un sottile strato di limo argilloso e un
secondo a -10,5 m testimoniata da un contrasto litologico tra brecce e limi sabbiosi.
Le velocità dei due strumenti sono però differenti: S6 mostra una velocità media di
7,8 mm/mese mentre S6bis di ben 15,42 mm/mese che testimoniano il grado di
instabilità del versante su cui è posto lo strumento.
Il tubo S13, installato a ridosso della strada di fondovalle nell’aprile 2003 e letto 10
volte sino all’aprile 2005, presenta una superficie di rottura a quota -10 m circa, con
velocità calcolata di 2,84 mm/mese. In novembre 2006, causa il suo non
ritrovamento, viene sostituito con S13bis che, pur presentando valori inferiori di
velocità (0,38 mm/mese), individua anch’esso alla stessa profondità la medesima
superficie di scorrimento.
L’inclinometro S8, installato nel 2003 a ridosso della strada non mostra né
movimenti rilevanti (0,28 mm/mese) né superfici nette di rottura. Nel 2005, a causa
del crollo, viene sostituito con S8bis e spinto più in profondità; questo rivela una
superficie di scorrimento a quota -23 m dal piano campagna con una velocità media
di 0,71 mm/mese.
Gli inclinometri S10 e S10bis, installati rispettivamente nell’aprile 2003 e nel
novembre 2006 in prossimità della strada di fondovalle, mostrano entrambi una
superficie di scorrimento compresa tra -16 m e -20 m. Questi piani sono coerenti
con le stratigrafie dei sondaggi che testimoniano un limite litologico tra marna e
arenaria. Le velocità calcolate sono, per il tubo S10 di 2,37 mm/mese e 0,64
mm/mese per il tubo S10bis.
133
L’inclinometro S11, installato nei pressi della strada di fondovalle nell’aprile del
2003 e seguito da 9 letture, mostra un netto piano di rottura fra le quote -6 m e -10
m con una velocità media rilevata di 2,19 mm/mese dal piano campagna in
corrispondenza del passaggio tra ghiaia e limo.
Nel giugno 2007 questo inclinometro viene sostituito con S11bis che tuttavia è
risultato illeggibile causa il blocco della sonda inclinometrica a -8 m di profondità.
Nel mese di novembre del 2006 viene installato l’inclinometro più a nord di tutta la
serie, il BH1. Vengono eseguite 2 letture sino al novembre 2007 che non
testimoniano alcun significativo movimento profondo e una velocità media di 0,21
mm/mese.
Nel dicembre 2006 viene installato l’inclinometro BH6 a ridosso della strada di
fondovalle.
Nel giugno 2006 viene eseguita una lettura ma il tubo risultava ostruito, mentre in
occasione della lettura successiva nel novembre 2007 la sonda si è bloccata a quota
-12 m dal p.c.. Secondo gli addetti ai lavori il tubo risultava rotto.
A nord del BH6, nello stesso periodo viene affiancato l’inclinometro BH14 che,
nelle 2 letture eseguite sino al novembre 2007, testimonia un movimento a -13 m
dal piano campagna e una velocità media di 0,23 mm/mese.
Verranno ora descritti gli inclinometri che negli ultimi anni sono stati posti sul
corpo di frana superiore della grande frana di Scascoli. Alcuni di questi sono stati
installati di recente e visto che i valori dei dati inclinometrici sono attendibili dopo
un certo lasso di tempo, le prime misure possono in certi casi non essere pienamente
significative.
L’inclinometro BH12, collocato nel gennaio 2008 nei pressi del nucleo abitato
Ariola a quota 372 m slm è stato letto una sola volta. Lo strumento è stato spinto ad
una profondità di -80 m dal p.c. e testimonia un costante aumento dei movimenti
verso la superficie e l’assenza di una superficie di scivolamento. In testa tubo la
velocità media è risultata di 3,81 mm/mese.
L’inclinometro BH3 è collocato ad Ovest del maneggio nell’agosto 2004 e letto 9
volte fino ad ottobre 2005. Il tubo è stato spinto ad una profondità di -70 m dal p.c.
ed anch’esso testimonia l’assenza di una superficie di scorrimento netta. La velocità
a testa tubo è di 0,62 mm/mese.
L’inclinometro BH2, installato a nord nel maneggio a quota 360 m slm nell’agosto
2004 e letto 10 volte fino al giugno 2008, viene spinto ad una profondità di -90 m
dal p.c. al fine di determinare la superficie di scorrimento principale della “grande
134
frana”. Tuttavia dai risultati non viene individuato alcun movimento significativo in
profondità, e le letture non sembrano essere rappresentative.
L’inclinometro BH5, collocato ad Est del maneggio a quota 393 m slm nel luglio
2007 e letto 2 volte fino a giugno 2008, è stato spinto ad una profondità di -110 m
dal p.c.. Le misure testimoniano l’assenza di una superficie di scorrimento netta e
indica una velocità della testa tubo di 2,22 mm/mese.
Il sondaggio BH4, eseguito nel gennaio 2008 sul ciglio della scarpata sovrastante la
fondovalle Savena a quota 330 m slm e attrezzato con un inclinometro spinto fino
ad una profondità di -105 m dal p.c., è caratterizzato da una velocità media di 2,20
mm/mese con un leggero movimento a -69 m. Questo dato è coerente con i dati
stratigrafici, che alla stessa quota rivelano il contatto fra brecce e calcari/marne
selciose.
Bh6
S11bis
S10bis
S8bis
Bh4
S13bis
Bh3
Bh12
Figura 3.17.4 Foto aerea in località Scascoli. In blu viene indicato il “grande corpo di frana” quiescente
di Scascoli, in verde corpi quiescenti minori, in rosso il dissesto del 2002 e in viola la frana innescatasi
l’ottobre 2005. Viene riportata l’ubicazione della strumentazione inclinometrica (in rosso) e
piezometrica (in blu).
135
136
4. ANALISI STATISTICA DEI DATI INCLINOMETRICI
4.1
Il sistema di monitoraggio inclinometrico (da Ferro, 2004)
Le misure inclinometriche permettono di identificare la superficie di scorrimento di
una frana, determinando con estrema precisione l’entità e la direzione dei
movimenti che su di essa si verificano.
Per effettuare queste misure occorrono due strumenti: il tubo inclinometrico e la
sonda inclinometrica (fig. 4.1).
Il tubo inclinometrico è un tubo guida in plastica, ferro o alluminio, provvisto di
quattro scanalature ortogonali, che viene alloggiato nel foro di sondaggio. Se com’è
auspicabile, la profondità del foro supera quella della superficie di scorrimento della
frana da monitorare, la parte più profonda del tubo inclinometrico risulta ancorata al
substrato stabile, cosicché ogni eventuale movimento del terreno sovrastante viene
registrato da una deformazione del tubo stesso.
La sonda inclinometrica è uno strumento che scorre lungo le guide del tubo
inclinometrico, misurandone le deviazioni rispetto alla verticale.
A intervalli di lettura costanti, l’assetto della sonda inclinometrica viene registrato
da un’apposita centralina elettronica.
Figura 4.1 Sonda e tubo inclinometrico.
137
Procedimento di lettura ed elaborazione dei dati inclinometrici (da Ferro, 2004)
Prima di procedere alla lettura è necessario ispezionare il tubo inclinometrico con
una sonda testimone, del tutto simile ad una sonda inclinometrica, ma priva di
sensori. In questo modo ci si accerta che il tubo non sia stato in qualche modo
occluso da corpi estranei.
Dopo questa verifica la sonda inclinometrica viene portata a fondo foro, dove
rimane una decina di minuti per equilibrare la propria temperatura con quella
dell’acqua contenuta nel tubo; quindi, riportata al piano campagna, si procede
all’esecuzione delle letture in discesa su tutte le quattro guide, calando la sonda ad
intervalli costanti di 500 o 1000 mm.
Dalle letture si ottengono, per ognuna delle quattro scanalature guida, i valori degli
spostamenti rispetto a due piani strumentali, A e B, verticali e fra loro ortogonali.
Per le guide 1 e 3, ad esempio, si avranno le letture A1, A3, B1, B3, dalle quali si
ottengono:
A13 =
( A1 − A3)
2
e
B13 =
( B1 − B 3)
2
dove A13 e B13 sono le inclinazioni rispetto ai piani A e B.
La procedura di reiterazione delle letture consente l’eliminazione degli errori
sistematici (es) che derivano da errori strumentali e/o cattiva cementazione del tubo
inclinometrico. Infatti i dati che realmente si ottengono sono A1+es, A3+es, B1+es,
B3+es, quindi:
A13 =
[( A1 + es ) − ( A3 + es )]
2
e B13 =
[( B1 + es ) − ( B 3 + es )]
2
A questo punto le inclinazioni (espresse in coordinate polari nello spazio) vengono
scomposte nelle componenti X e Y (dove X giace sulla retta congiungente le guide
1-2 ed Y sulla retta congiungente le guide 3-4) e composte con la quota di lettura
dal piede del tubo inclinometrico, dando luogo ai dati restituiti nell’elaborato
numerico e grafico: spostamento assoluto ed azimut dello stesso.
Ripetendo periodicamente le letture e confrontando gli spostamenti riscontrati in
tempi diversi alle stesse quote, ammesso che la parte inferiore del tubo sia
realmente infissa in un substrato stabile, è possibile ricavare la velocità media e la
direzione di un eventuale movimento in corso.
138
Restituzione dati ed elaborati grafici
Successivamente alla lettura sul campo del tubo inclinometrico, vengono presentati
i risultati in forma numerica (tabulati) e di seguito grafica (diagrammi).
In questo caso analizzeremo solo il risultato finale consistente nell’elaborato
grafico.
Per ogni tubo inclinometrico dunque vengono messi a disposizione:
• diagramma profondità – movimento per “sommatoria dal basso” (somma
vettoriale), con punto di zero al piede del tubo inclinometrico (massima
profondità di lettura) e punti calcolati per ogni passo sonda, riportante il
movimento rispetto all’origine per sommatoria dal basso in scala 2:1 (fig.
4.2);
• diagramma “variazione di inclinazione locale – profondità” riportante alle
varie profondità (ogni passo sonda), la variazione di inclinazione locale
espressa in mm/m in scala 10:1 (fig. 4.3);
• diagramma dell’azimut alle varie profondità riportante l’angolo rispetto al
nord magnetico del movimento rispetto all’origine (fig. 4.4);
• diagramma polare, variazione angolare del tubo (fig. 4.5).
Nei diagrammi sono riportate almeno le curve di letture precedenti (se esistono)
oltre a quella in elaborazione, e tutti i dati identificativi della misura quali località,
strada, provincia, nome del tubo inclinometrico e suo identificativo, date delle
misure e data della lettura di zero.
139
Fig. 4.2 Diagramma profondità-movimento
per sommatoria
Fig. 4.4 Diagramma profondità-azimut locali
140
Fig. 4.3 Diagramma profondità-movimento
locale
Fig. 4.5 Diagramma polare dell’azimut
4.2
Metodologia e scopo dell’analisi
Nei 15 movimenti franosi presi in considerazione sono complessivamente
disponibili 94 inclinometri. Di questi però, solo 75 hanno fornito valori di
spostamento significativi. La non significatività di 19 inclinometri è dovuta
prevalentemente ad errori strumentali causati da scarso ancoraggio al substrato o
spiralatura del tubo inclinometrico, che hanno prodotto la non conformità della
direzione di movimento dell’inclinometro rispetto a quella generale della frana.
Per i 75 inclinometri significativi, le misure sono state elaborate come di seguito
descritto.
1) Per ciascun inclinometro, è stata salvata un immagine digitale del grafico
della risultante integrale dello spostamento; in molti casi, l’immagine è stata
catturata direttamente dai file pdf forniti dalle Comunità Montane, in altri
casi è stato necessario scansionare moduli cartacei originali.
2) Tramite il programma Autocad 2004 è stato importato il grafico dello
spostamento di ogni inclinometro e digitalizzato l’andamento nel tempo dello
spostamento a testa tubo e, se presente un piano di rottura, lo spostamento
alla base e al tetto della fascia di movimento (fig. 4.6).
3) A questo punto, avendo a disposizione i dati di spostamento integrale e i
relativi intervalli temporali rispetto alla lettura di “zero” dell’inclinometro, è
stata calcolata la velocità media dei punti caratteristici di ogni tubo
inclinometrico tramite il metodo della “retta di regressione” grazie al
programma di calcolo Excel (fig. 4.7).
Figura 4.7 Calcolo della velocità media con il
metodo della “regressione lineare”
Figura 4.6 Misurazione dei valori di
spostamento (per sommatoria) a testa tubo, a
base e tetto della superficie di rottura
141
Nella regressione lineare è stato impostato lo spostamento come variabile
dipendente, e il tempo come variabile indipendente; dal coefficiente angolare della
retta che interpola le due variabili è stata dunque ottenuta una velocità media,
espressa in mm/mese (fig. 4.7).
I dati di velocità media così ottenuti sono stati quindi analizzati tramite una serie di
istogrammi di frequenza.
Questi istogrammi indicano la distribuzione tipica delle velocità di spostamento
delle frane in esame e ci permettono di discriminare differenti classi di velocità
sulla base della scala proposta da Cruden & Varnes per la classificazione dei
fenomeni franosi (1996).
Scopo principale dell’analisi è infatti la definizione di una scala di velocità relativa
delle frane quiescenti nell’Appennino Bolognese, che possa essere estesa
successivamente a tutta la zona dell’Appennino Emiliano Romagnolo con
caratteristiche geologiche - geomorfologiche simili. Questa scala di velocità relativa
vuole rappresentare una prima “scala di riferimento” per frane di questo tipo, e
fornire uno strumento di confronto utile per capire se un dato fenomeno franoso
monitorato si sta muovendo con velocità alta o bassa rispetto al panorama generale.
Successivamente, in base ai risultati ottenuti si pone l’obiettivo di risolvere il
problema della possibile coesistenza di strutture inserite su questi depositi di frana
“in movimento”.
La disponibilità di informazioni geologico – geomorfologiche di ogni località
considerata ha reso possibile inoltre un’ulteriore analisi. L’analisi consiste nella
correlazione dei valori delle velocità calcolate per i singoli inclinometri, con i
parametri geologico - geotecnici locali, al fine di poter individuare un eventuale
dipendenza reciproca.
Nell’analisi statistica di correlazione sono stati tenuti in considerazione i seguenti
fattori:
tipo di deformata inclinometrica;
grado di attività;
storia del versante;
pendenza;
posizione geomorfologica;
tempo di installazione dello strumento;
urbanizzazione;
142
Le informazioni complessivamente raccolte sono state inserite in un foglio
elettronico formato da righe e colonne dove, per ogni località in considerazione,
vengono definiti gli inclinometri presenti e la loro relativa sigla. Sulle colonne
corrispondenti sono quindi riportate le seguenti informazioni:
• IID, numero progressivo che caratterizza ogni singolo inclinometro;
• Site, località in considerazione;
• Inclinometer, sigla dell’inclinometro;
• Movement, valore che può essere 0 o 1 in seguito alla significatività (1) o
non significatività (0) del dato inclinometrico;
• Velocity Xt, valore di velocità dell’inclinometro rilevato a testa tubo
espresso in mm/mese;
• R2, coefficiente di correlazione della regressione lineare;
• Velocity X1, valore di velocità rilevato al tetto della superficie di
scorrimento in mm/mese;
• Activity 73, grado di attività nell’anno 1973 nel punto inclinometrico in
considerazione, A: terreno smosso e privo di vegetazione, B: terreno a tratti
smosso e con lieve copertura erbosa, C: terreno completamente vegetato, D:
terreno completamente vegetato con copertura arborea e aree urbanizzate;
• Activity 96, grado di attività nell’anno 1996 nel punto inclinometrico in
considerazione, legenda come sopra;
• Activity 99, grado di attività nell’anno 1999 nel punto inclinometrico in
considerazione, legenda come sopra;
• Activity 03, grado di attività nell’anno 2003 nel punto inclinometrico in
considerazione, legenda come sopra;
• Activity 06, grado di attività nell’anno 2006 nel punto inclinometrico in
considerazione, legenda come sopra;
• Activity total, grado di attività del versante nel punto inclinometrico in
considerazione, nel periodo in cui l’inclinometro era in servizio (fra lettura
di zero e ultima lettura), legenda come sopra;
• History, valore da 1 a 5 che definisce la storia del versante dove è posto
l’inclinometro;
1. inclinometro su zona mai coinvolta in riattivazione dal 1973;
2. inclinometro dentro deposito di frana che ha subito riattivazione e non
interessato da opere di consolidamento;
143
3. inclinometro dentro deposito di frana che ha subito riattivazione e
interessato da opere di consolidamento leggere (scoli, riprofilatura
etc…);
4. inclinometro dentro deposito di frana che ha subito riattivazione e
interessato da opere di consolidamento profonde (trincee, pali, etc...);
5. inclinometro posto in vicinanza di corpi di frana riattivati (entro 100 m).
• Dt_riattiv, intervallo di tempo in mesi fra una riattivazione (o segnalazione
di movimenti) e l’installazione dell’inclinometro;
• Litology, geologia del substrato in cui è installato l’inclinometro (sigle da
legenda RER, cap. 2.1);
• Slope, valore di inclinazione in gradi del tratto di versante su cui è posto
l’inclinometro;
• Zf, profondità in metri della superficie di scorrimento (solo per inclinometri
che presentano deformata a blocco rigido);
• Profile, tipo di deformata inclinometrica; B.R.= a blocco rigido, VERT =
profilo subverticale, PROGR = a creep, o tipo iperbole;
• Posizione, ubicazione dell’inclinometro su base geomorfologica, zona alta e
corpo centrale (1), piede (2), fuori frana (3);
• Antropizzazione, posizione che identifica un inclinometro posto su di una
zona antropizzata (SI) o priva di elementi antropici (NO).
La tabella con i dati complessivamente raccolti è riportata di seguito (tab. 4.1).
144
IID
Site
Inclinometer
Movement
Velocity
Xt
R2
Velocity
X1
Activity
73
Activity
96
Activity
99
Activity
03
Activity
06
Activity
totale
Hystory
dT_riatt
(mesi)
Litology
Slope
Zf (m)
Profile
Geomorfology
Urbanization
1
Baigno
S1
1
0,867
0,96
0,648
C
C
C
C
C
C
1
61
BAP
11,45
5,5
B.R.
1
NO
2
Baigno
S3
1
9,423
1
7,383
C
C
A
B
B
B
2
61
BAP
10,61
7,5
B.R.
1
NO
3
Berzantina
S1
1
0,975
0,85
0,246
C
C
C
C
C
C
1
174
AVC
11,35
2,5
B.R.
1
SI
4
Berzantina
S5
1
1,311
0,73
1,878
D
D
D
D
D
D
1
174
AVC
8,64
14,5
B.R.
1
NO
5
Berzantina
S7
1
1,011
0,82
0,966
D
D
D
D
D
D
1
174
AVC
10,33
2,5
B.R.
2
SI
6
Berzantina
S9
1
0,768
0,61
0,876
D
D
D
D
D
D
1
174
AVC
13,8
4,5
B.R.
2
SI
7
Berzantina
S13
1
1,719
0,58
1,434
D
D
D
D
B
B
2
174
AVC
7,88
6,5
B.R.
1
NO
8
Berzantina
S11
0
D
D
D
D
D
D
1
174
AVC
9,69
2,5
B.R.
2
NO
9
Berzantina
S15
1
4,143
0,98
10
CaZama
S2
1
0,216
0,89
3,681
C
C
C
B
B
B
2
174
AVC
8,74
6,5
B.R.
1
NO
D
D
D
D
D
D
1
30
AVC
6,61
NO
VERT
3
SI
11
Carbona
S1
1
0,915
0,99
0,987
B
B
B
B
B
B
1
103
AVT
14,1
9
B.R.
2
SI
12
Carbona
S4
1
0,144
0,86
0,072
A
B
B
B
13
Carbona
S6
1
0,429
0,88
0,459
C
C
C
C
B
B
2
103
AVT
12,61
9
B.R.
1
NO
C
C
5
125
APA
11,53
17
B.R.
1
NO
14
CasaMarsili
S1
0
C
C
C
C
C
C
4
12
AVC
21,37
NO
VERT
1
SI
15
CasaMarsili
S2
1
2,385
6,75
6
B.R.
1
NO
16
CasaMarsili
S4
1
17
CasaVolpini
S1
1
18
CasaVolpini
S3
19
CastelCasio
20
LaChiusa
21
0,94
2,385
C
B
B
A
B
A
3
12
AVC
10,173
1
11,52
D
D
D
D
D
D
3
24
AVC
9,46
5
B.R.
2
NO
3,657
0,82
3,018
C
C
C
A
A
A
3
30
AVC
20,38
9
B.R.
1
NO
1
10,464
1
8,85
C
C
B
A
A
A
3
30
AVC
10,88
13
B.R.
1
NO
S5
1
1,689
0,99
1,593
D
D
D
D
D
D
1
154
APA
10,12
9
B.R.
1
SI
S1
1
0,183
0,85
0,141
B
C
C
C
C
C
1
23
APA
7,88
13
B.R.
2
NO
Malpasso
S2
1
0,099
0,85
C
C
C
C
C
C
1
77
APA
8,1
NO
VERT
2
SI
22
RoccaPitigliana
S1
1
0,681
0,92
0,57
C
C
C
C
C
C
5
1
APA
8,61
8
B.R.
2
SI
23
RoccaPitigliana
S3
1
3,348
0,97
3,021
D
D
D
D
D
D
5
15
APA
15,04
5
B.R.
3
SI
24
RoccaPitigliana
S5
1
4,188
0,96
4,557
D
D
D
D
D
D
5
15
APA
13,72
11
B.R.
3
NO
25
RoccaPitigliana
S13
1
2,982
0,94
3,075
B
B
A
B
B
B
4
37
APA
10,31
3
B.R.
1
NO
26
RoccaPitigliana
S14
0
B
B
A
B
B
B
4
72
APA
13,56
NO
VERT
1
NO
27
RoccaPitigliana
S15
1
D
D
D
D
D
D
5
72
APA
13,72
11
B.R.
1
NO
28
RoccaPitigliana
S16
0
29
Marano
S1
1
2,238
1
0,876
0,5
2,349
C
C
C
C
C
C
5
72
APA
13,75
NO
VERT
1
NO
D
D
D
D
D
D
5
11
APA
0,52
NO
VERT
1
SI
145
30
Marano
S1A
0
D
D
D
D
D
D
5
11
APA
4,5
NO
PROGR
1
SI
31
Marano
S2
0
D
D
D
D
D
D
5
11
APA
14,52
NO
VERT
3
NO
32
Marano
S4
0
33
Marano
S6
1
34
Marano
S7
35
Marano
36
37
C
C
C
C
C
C
1
11
APA
11,21
NO
PROGR
3
NO
f.f.
A
A
B
B
A
5
11
APA
11,89
NO
VERT
1
NO
0
D
D
D
D
D
D
1
11
APA
10,17
NO
VERT
3
NO
S8
0
D
D
D
D
D
D
5
11
APA
12,27
NO
VERT
3
NO
Marano
S10
1
1,191
0,97
D
A
A
B
C
A
5
11
APA
8,61
20
B.R.
2
SI
Marano
S11
1
1,227
0,907
D
D
D
D
D
D
5
11
APA
9,14
NO
VERT
3
SI
38
Marano
S12
1
0,369
0,708
D
A
A
B
C
A
2
11
APA
13,57
NO
VERT
2
SI
39
Marano
S3
1
0,444
0,83
f.f.
A
A
B
C
B
4
78
APA
14,52
NO
VERT
1
NO
40
Marano
S13
1
1,953
0,98
1,146
D
A
A
B
C
B
4
78
APA
10,49
8
B.R.
2
NO
41
SillaGiovanni23
S1
1
8,823
1
8,232
C
B
B
B
A
A
2
5
APA
13,54
4
B.R.
2
NO
42
SillaGiovanni23
S3
1
1,335
1
C
C
C
C
C
C
1
127
APA
8,18
NO
VERT
3
NO
43
Silla
S1PZ
1
16,464
0,59
14,073
D
D
D
D
D
D
1
1
APA
12,26
25
B.R.
1
NO
44
Silla
S2PZ
0
D
D
D
D
D
D
1
1
APA
6,37
NO
VERT
2
SI
45
Silla
S3PZ
1
5,283
1
D
D
D
D
D
D
1
1
APA
5,49
16
B.R.
3
SI
46
Silla
S4PZ
1
1,614
0,89
D
D
D
D
D
D
1
3
APA
8,88
NO
PROGR
2
SI
47
Silla
S4A
1
0,324
0,95
D
D
D
D
D
D
1
2
APA
8,88
NO
PROGR
2
SI
48
Silla
S6
1
3,06
0,54
2,067
D
D
D
D
D
D
1
3
APA
10,12
46
B.R.
1
SI
49
Silla
S9PZ
1
43,8
0,98
47,184
D
D
D
D
D
D
1
3
APA
12,26
23,5
B.R.
1
NO
50
Silla
S10PZ
1
48
0,99
43,419
D
D
D
D
D
D
3
3
APA
9,26
22,5
B.R.
1
NO
51
Silla
S11
1
0,942
0,97
0,795
C
B
B
B
B
B
5
21
APA
11,05
7
B.R.
1
NO
52
Silla
S12PZ
1
14,55
0,99
13,278
D
A
B
A
B
A
3
7
APA
10,79
8
B.R.
1
NO
53
Silla
S14
1
18,79
0,99
16,473
D
D
D
D
D
D
4
7
APA
9,26
22,5
B.R.
1
NO
54
Silla
S15PZ
1
8,62
0,98
9,825
D
D
D
D
D
D
1
8
APA
9,06
33
B.R.
1
NO
55
Silla
S17PZ
1
1,509
0,92
D
D
D
D
D
D
1
7
APA
6,53
NO
VERT
2
NO
56
Silla
S18PZ
1
1,689
0,83
D
D
D
D
D
D
5
5
APA
6,78
NO
PROGR
1
NO
57
Silla
S20
1
1,85
0,98
1,437
D
D
D
D
D
D
5
26
APA
10,12
46
B.R.
1
SI
58
Silla
S21
1
6,681
1
6,525
D
D
D
D
D
D
4
26
APA
9,26
23
B.R.
1
NO
59
Silla
S28
1
0,777
0,99
0,714
D
D
D
D
D
D
1
17
APA
15,12
10
B.R.
2
SI
146
0,27
0,38
0,978
10,464
60
Silla
S29
1
1,035
0,98
0,756
D
D
D
D
D
D
1
17
APA
14,26
6
B.R.
2
SI
61
Silla
S30SO
1
0,786
0,97
0,549
D
D
D
B
B
D
1
41
APA
7,56
23
B.R.
2
NO
62
Silla
S31SO
0
D
D
D
D
D
D
1
41
APA
4,66
NO
VERT
2
NO
63
Silla
S11GEO
1
0,819
0,89
C
B
B
B
B
B
5
47
APA
11,65
NO
VERT
1
NO
64
Silla
S35GEO
1
1,551
0,98
1,233
D
B
B
A
B
B
4
47
APA
5,54
14
B.R.
1
NO
65
Silla
S37GEO
1
0,708
0,93
0,411
D
C
D
D
D
D
1
47
APA
4,91
29
B.R.
1
NO
66
Silla
S38GEO
1
0,345
0,97
0,483
D
D
D
D
D
D
1
47
APA
12,8
12,5
B.R.
2
NO
67
Silla
S42GEO
1
5,238
1
4,782
D
A
A
A
B
B
4
41
APA
12,43
9
B.R.
1
NO
68
Silla
S44GEO
0
D
D
D
D
D
D
5
41
APA
9,46
NO
VERT
3
SI
69
Silla
S49GEO
1
D
D
D
D
D
D
1
41
APA
6,37
NO
PROGR
2
SI
70
Vaina
S15
0
D
D
D
D
D
D
5
11
APA
14,79
NO
VERT
3
NO
71
Vaina
S16
0
B
C
C
C
C
D
5
11
APA
5,32
NO
PROGR
2
SI
72
Vaina
S17
1
1,245
0,97
73
Vaina
S18
1
0,813
0,98
74
Scascoli
S2
0
75
Scascoli
S4BIS
0
76
Scascoli
S5
1
0,111
0,89
0,108
77
Scascoli
S6
1
7,8
0,92
7,401
78
Scascoli
S6BIS
1
15,42
0,94
14,985
79
Scascoli
S8
1
0,28
0,76
80
Scascoli
S8BIS
1
0,711
0,94
81
Scascoli
S10
1
2,37
0,88
82
Scascoli
S10BIS
1
0,648
0,74
0,618
D
D
D
D
B
B
4
83
Scascoli
S11
1
2,196
0,87
2,163
D
D
D
D
D
D
1
84
Scascoli
S11BIS
0
D
D
D
D
B
B
4
CTG
85
Scascoli
S13
1
2,84
0,95
3,441
D
D
D
D
D
D
2
PAT
44,43
8,5
B.R.
2
NO
86
Scascoli
S13BIS
1
0,387
0,86
0,453
D
D
D
D
D
D
2
PAT
44,43
9,5
B.R.
2
NO
87
Scascoli
BH1
1
0,21
0,73
D
D
D
D
D
D
1
CTG
38,99
NO
VERT
2
NO
88
Scascoli
BH2
0
D
D
D
D
D
D
1
RUM1
16,04
NO
PROGR
1
NO
89
Scascoli
BH3
1
0,624
0,73
D
D
D
D
D
D
1
RUM1
17,02
NO
PROGR
1
NO
4,053
1
0,531
B
C
C
C
C
C
1
11
APA
18,89
NO
VERT
2
NO
D
D
D
D
D
D
5
78
APA
19,23
11
B.R.
2
NO
D
D
D
D
D
D
1
PAT
56,97
NO
VERT
2
NO
D
D
D
C
C
C
1
PAT
25,83
NO
VERT
2
NO
D
D
D
B
B
B
2
24,82
14
B.R.
2
NO
D
D
D
B
B
B
2
39,8
5
B.R.
2
NO
D
D
D
B
B
B
2
PAT
PATRUM
PATRUM
39,8
6 - 9,5
B.R.
2
NO
D
D
D
D
D
D
1
PAT
27,82
NO
VERT
2
NO
0,645
D
D
D
D
D
D
1
PAT
27,82
22,5
B.R.
2
NO
2,145
D
D
D
D
D
D
1
CTG
37,56
15
B.R.
2
NO
CTG
37,56
19
B.R.
2
NO
CTG
37,33
6
B.R.
2
NO
37,33
NO
2
NO
147
90
Scascoli
BH4
1
2,208
1
91
Scascoli
BH5
1
2,22
92
Scascoli
BH6
0
93
Scascoli
BH12
1
94
Scascoli
BH14
1
1,965
D
D
D
D
B
B
1
PAT
12,8
65
B.R.
2
NO
1
D
D
D
D
D
D
1
RUM1
20,12
NO
PROGR
1
NO
D
D
D
D
D
D
1
CTG
43,25
NO
2
NO
3,81
1
D
D
D
D
D
D
1
RUM1
12,37
NO
PROGR
1
SI
0,23
0,78
D
D
D
D
D
D
1
CTG
37,82
13
B.R.
2
NO
0,252
Tabella 4.1 Tabella riassuntiva generale dei dati geologico – tecnici relativi per ogni punto inclinometrico
148
4.3
Distribuzione complessiva della distribuzione di velocità
Come noto, le frane quiescenti che caratterizzano il nostro Appennino sono
caratterizzate da fasi di movimento acuto (parossismo) separate da lunghi periodi
di quiescenza.
Per ovvie ragioni, le velocità di movimento possono essere registrate solo rare
volte; gli inclinometri infatti vengono normalmente installati dopo questa fase di
intensa attività per garantire una certa durata alla strumentazione e registrare
ulteriori movimenti in atto (fig. 4.8).
Allontanandosi dalla fase di riattivazione, abbiamo comunque dei movimenti
ancora misurabili tramite inclinometri, ma in generale la velocità tende ad un
valore pseudo - stazionario che dipende delle condizioni locali.
velocità
parossismo (evento franoso)
installazione
inclinometri
velocità di base
tempo
Figura 4.8 Variazione della velocità del fenomeno franoso in corrispondenza di una riattivazione. Si
noti la lenta decelerazione delle velocità dopo il parossismo.
L’intervallo di tempo che intercorre tra l’evento franoso e il raggiungimento di
questa “velocità di base” è difficilmente prevedibile, può essere dell’ordine di
pochi mesi o di diversi anni, tutto dipende dalle condizioni locali. Il grafico di
fig. 4.9, dove in ascisse è presente il tempo (in anni) e in ordinate lo spostamento,
raffigura in via qualitativa le fasi di attività di un fenomeno franoso soggetto ad
una riattivazione parossistica.
149
Nel nostro caso, parte degli inclinometri sono stati installati poco dopo una
riattivazione mentre altri sono stati installati dopo molti anni da una riattivazione
o su frane che non si sono mai riattivate negli ultimi 30 anni.
I diversi valori di velocità misurati dipendono quindi, almeno in parte, dal
diverso momento evolutivo della frana monitorata.
Figura 4.9 Grafico raffigurante i momenti di attivazione – quiescenza – riattivazione di un
fenomeno franoso nel tempo (da Cruden & Varnes).
Al fine di determinare la distribuzione complessiva delle velocità di spostamento
a testa tubo dei 75 inclinometri presi in considerazione, è stato elaborato
l’istogramma di frequenza di fig. 4.10. L’istogramma è stato costruito in scala
logaritmica ma i valori di velocità sono indicati in forma lineare. Inoltre,
nell’istogramma sono riportate le classi di velocità proposte da Cruden & Varnes
(1996).
Come si può notare, la distribuzione ha una forma a campana ben definita che
viene divisa a metà in corrispondenza del picco con valore di 1,30 mm/mese, il
quale delimita il campo della velocità definita “estremamente lenta” da quella
“molto lenta”. Il range di velocità tipico per le frane quiescenti considerato, varia
da valori inferiori a 1 mm/mese fino ad un massimo dell’ordine di 50 mm/mese.
Ovviamente, la distribuzione è tagliata verso i valori più alti perché in tali casi gli
inclinometri arrivano probabilmente a rottura e generalmente non vengono
150
Altro
166,40
83,20
lento
41,60
20,80
10,40
5,20
Molto lento
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
Estremamente lento
0,08
Frequenza
nemmeno installati. In caso di riattivazione parossistica, ad esempio, le velocità
possono essere dei m/ora e non vengono misurate tramite inclinometri. La
distribuzione di fig. 4.10 indica quindi una scala di velocità relativa per frane in
condizioni di quiescenza.
Velocità mm/mese
Figura 4.10 Distribuzione statistica delle velocità dei fenomeni franosi rilevate dagli inclinometri in
testa tubo. Sono indicate le classi di velocità di Cruden & Varnes.
Le classi di riferimento di Cruden & Varnes possono essere utilizzate in via del
tutto indicativa come parametro in grado di dare informazioni sulla capacità
distruttiva della frana su strutture e vite umane (tab. 4.2).
Questa tabella inoltre, definita sulla base di una serie di fenomeni avvenuti in
passato, stabilisce una correlazione fra la vulnerabilità e la velocità degli eventi
franosi e di conseguenza anche una stima della possibilità di convivenza fra frane
e strutture antropiche.
Cruden & Varnes sottolineano un importante limite tra la classe “estremamente
lenta” e “molto lenta”, in quanto tale limite indica il valore di velocità oltre il
quale alcune strutture antropiche tenderebbero a subire lesioni.
151
Descrizione
7
Velocità (mm/mese)
Probabile significato distruttivo
Estremamente
rapido
Edifici distrutti,
improbabile
molte
vittime,
evacuazione
>1,3E+10
6
Molto rapido
>1,3E+08 <1,3E+10
Alcune vittime, difficoltà di evacuazione
5
Rapido
>1,3E+06 <1,3E+08
Evacuazione possibile ma strutture e abitazioni
4
Moderato
>1,3E+04 <1,3E+06
Alcune strutture possono essere temporaneamente
distrutte
mantenute
3
Lento
>130 <1,3E+04
Strutture sensibili possono essere mantenute con
consolidamenti
2
Molto lento
>1,3 <130
Alcune strutture permanenti non sono danneggiate
dai movimenti
1
Estremamente
lento
<1,3
Impercettibile senza strumenti, possibile costruire
con precauzioni
Tabella 4.2 Classi di velocità di Cruden & Varnes in relazione al relativo carattere distruttivo.
Il termine creep viene usato da Cruden & Varnes per descrivere il tasso di
velocità nella classe “estremamente lenta” e in parte “molto lenta”. Terzaghi a tal
riguardo (1950, 1984), identifica con il nome di creep quei movimenti di
versante che procedono con un tasso di velocità minore di un piede/decennio ( ±
10 mm/mese) .
Come già detto, le frane quiescenti analizzate presentano valori di velocità
compresi fra le classi “estremamente lenta” e “molto lenta” indicando una
marcata concentrazione di campioni a cavallo del limite di queste due classi
(1,30-2,60 mm/mese).
Dalle considerazioni di Cruden & Varnes, questi tassi di velocità potrebbero
essere genericamente compatibili con le strutture antropiche, a patto che siano
stati presi in considerazione i dovuti accorgimenti.
Successivamente, dalle letture inclinometriche che presentano una tipica
deformata a blocco rigido (fig. 4.12) sono stati ricavati i spostamenti del tetto
della superficie di scorrimento; questi dati hanno fornito le basi per ricavarne una
relativa distribuzione di velocità attraverso un istogramma di frequenza (fig.
4.11).
152
16
Estremamente lento
Molto lento
lento
Frequenza
14
12
10
8
6
4
2
Altro
166,40
83,20
41,60
20,80
10,40
5,20
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
0,08
0
Velocità mm/mese
Figura 4.11 Distribuzione statistica delle velocità dei fenomeni franosi analizzati, rilevate al tetto
della superficie di scorrimento per gli inclinometri con deformata a blocco rigido.
Per quanto riguarda la forma della distribuzione non si riconosce un picco ben
definito come per le velocità a testa tubo. I dati presentano frequenze costanti per
le classi di velocità a cavallo fra il limite “estremamente lento” e “molto lento” e
il range complessivo delle velocità medie varia da. 0,65 mm/mese a 20
mm/mese.
153
4.4
Correlazioni tra le velocità di spostamento e altri parametri
L’analisi multitemporale tramite foto aeree dei movimenti franosi, l’analisi GIS,
e l’insieme dei dati raccolti presso le Comunità Montane hanno permesso di
associare ad ogni inclinometro una serie di parametri descrittivi in funzione della
posizione geologica - geomorfologica degli inclinometri e della storia evolutiva
della frana.
Tali parametri, possono essere usati come termini di confronto con le velocità
medie di spostamento con lo scopo di identificare una possibile correlazione e
stabilire un eventuale legame tra il parametro e la dinamica della frana.
L’analisi è dunque consistita nel discriminare gli inclinometri sulla base dei
parametri considerati e nel verificare se esistono possibili correlazioni con le
velocità medie di spostamento.
Il tipo di parametri che verranno analizzati sono:
• tipo di deformata inclinometrica;
• stato di attività del movimento franoso su cui è posto l’inclinometro;
• evoluzione del versante in un intervallo trentennale;
• inclinazione della zona di versante su cui è posto l’inclinometro;
• contesto geologico - geomorfologico in cui è posto l’inclinometro;
• presenza di una riattivazione negli ultimi 30 anni e azioni antropiche;
• intervallo di tempo fra riattivazione e installazione dell’inclinometro;
154
4.4.1 Tipo di movimento
Quest’ analisi vuole verificare l’eventuale correlazione tra velocità di
spostamento del corpo di frana e tipo di movimento.
Il tipo di movimento della frana rappresenta il meccanismo con il quale il corpo
si muove verso valle ed è indicato dalla forma della deformata inclinometrica.
Essa consiste in un diagramma profondità (y) - spostamento integrale (x)
calcolato per sommatoria dello spostamento di tutti i punti elaborati dal basso
verso l’alto, e può presentare diversi profili:
Figura 4.12 Deformata a
“blocco rigido”
Figura 4.13 Deformata a
“iperbole” o “creep”
Figura 4.14 Deformata
“verticale” o
“subverticale”
Blocco rigido (fig. 4.12), sono i profili più comuni nelle situazioni dove è
presente un piano netto di rottura. Esso individua una zona superficiale del
terreno che mantiene generalmente un’uniformità degli spostamenti fino al tetto
della superficie di rottura presentando così movimenti maggiori rispetto al
substrato che si mantiene fisso e privo di spostamenti relativi. Parte superficiale e
parte profonda del terreno sono delimitati da una zona di taglio, che può
estendersi anche per 2-3 m, dove (da sondaggi) il terreno si presenta
genericamente disorganizzato e ricco di striature. Questa zona di taglio identifica,
in gran parte, il passaggio da coltre alterata (superficiale) a substrato (profondo);
questo limite rappresenta una condizione importante per lo sviluppo di fenomeni
franosi.
Nelle letture dei 75 inclinometri questo tipo di profilo si è presentato su 55
inclinometri posti sia su frane di recente riattivazione, sia su frane quiescenti da
155
almeno 30 anni con una profondità massima della superficie di scorrimento pari a
-46 m e profondità minima di -2,5 m dal piano campagna.
Iperbole o creep (fig. 4.13), sono profili inclinometrici privi di una superficie
netta di rottura.
Questi profili sono tipici di movimenti viscosi del versante, e vengono
caratterizzati da spostamenti progressivamente più rilevanti verso la superficie
presentando in tale maniera una deformata che definisce velocità più elevate in
superficie e una decelerazione continua di queste con l’aumentare della
profondità. Successivamente le velocità si arrestano fino ad un valore di fondo
che è tipico del versante in condizioni normali.
Nelle letture questo tipo di profili è stato individuato 7 volte.
Verticale o subverticale (fig. 4.14), sono profili inclinometrici che denotano una
deformata pressoché verticale registrando così spostamenti non significativi
lungo tutta la profondità d’indagine.
Questi tipo di profili sono tipici di una zona che presenta una certa staticità del
versante. Un’altra possibilità è che siano dovuti al non raggiungimento, da parte
del tubo inclinometrico, della superficie di scorrimento. In questo caso
l’inclinometro sarebbe totalmente svincolato dal substrato e non registrerebbe
movimenti significativi.
Nelle letture disponibili questo tipo di profili si è presentato 13 volte.
Ognuno dei 75 inclinometri significativi è stato quindi classificato sulla base del
profilo inclinometrico e sono stati realizzati due distinti istogrammi di frequenza
per gli inclinometri caratterizzati da movimento a blocco rigido e quelli
caratterizzati da movimento continuo senza una superficie di scorrimento netta.
Come si può dimostrare in fig. 4.15 si hanno chiaramente velocità più alte per
deformate del tipo “a blocco rigido” e dunque con una superficie di rottura ben
definita. La velocità minima è di circa 1 mm/mese e la massima di 48 mm/mese.
Al contrario, il gruppo degli spostamenti delle deformate tipo “a iperbole” e
“verticale” sono caratterizzati da valori che coprono solo la parte bassa della
classe di velocità “molto lenta” della classificazione di Cruden & Varnes,
toccando un valore minimo <1 mm/mese e raggiungendo un valore massimo di 4
mm/mese.
156
assenza di un piano di rottura
0,3
presenza di un piano di rottura
Estremamente lento
Molto lento
frequenza N°casi/N°casi tot
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
83,20
41,60
20,80
10,40
5,20
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
0,08
0
velocità mm/mese
Figura 4.15 Distribuzione statistica delle velocità per inclinometri con piano di rottura (rosso) e
senza piano di rottura (blu).
4.4.2 Stato di attività
Nel capitolo precedente sono state distinte varie zone all’interno dei corpi di
frana sulla base dello stato di attività, e determinato come questa varia nel tempo.
Le varie zone sono state suddivise secondo una classificazione che tiene conto
dello stato del terreno al momento del rilievo della foto aerea nel punto
inclinometrico in considerazione. In questa sezione sarà verificata l’esistenza o
meno di una correlazione tra velocità di spostamento e attività del corpo di frana
nell’intervallo di tempo che va dalla prima lettura all’ultima lettura di ciascun
inclinometro.
Come già descritto, nel capitolo precedente sono stati distinti quattro gradi di
attività (tab. 4.3): dal più recente caratterizzato da terreno smosso (classe A),
passando per gradi ( B e C) al più antico, caratterizzato da terreno vegetato e
urbanizzato (D):
157
zona non vegetata, evidenza di terreno rimaneggiato,
A
colore chiaro, recente
alternanze di terreno vegetato e non, privo di copertura
B
arborea con evidenze di colori chiari e scuri
C
completamente vegetato con arbusti e copertura
erbosa, assenza di alberi ad alto fusto
D
completamente vegetato con alberi ad alto fusto e aree
urbanizzate (abitazioni, strade)
Tabella 4.3 Classificazione dello stato di attività dei fenomeni franosi analizzati.
Allo scopo di quest’ analisi, le 4 classi di attività sono state accorpate in modo da
avere un numero significativo di dati in ogni classe:
• Classe A+B (alto grado di attività)
• Classe C+D (basso grado di attività)
Le velocità a testa tubo degli inclinometri sono state quindi distinte sulla base di
queste due classi ed elaborate sotto forma di istogramma di frequenza (fig. 4.16).
0,3
Estremamente lento
Molto lento
0,25
N°casi/N°casi tot
0,2
Alto grado attività
0,15
Basso grado attività
0,1
0,05
83,20
41,60
20,80
10,40
5,20
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
0,08
0
velocità mm/mese [log]
Figura 4.16 Distribuzione statistica delle velocità distinte per porzioni di versante con grado di
attività differente.
158
In un ipotetica situazione si attenderebbero valori di velocità in qualche modo
legati allo stato di attività del versante, o meglio, valori di velocità elevati su
terreni soggetti a recenti fenomeni di riattivazione, e contrariamente, valori di
velocità bassi su terreni quiescenti da lungo periodo.
Tuttavia, l’analisi ha messo in luce un panorama ben diverso che si discosta
dall’esempio descritto.
La classe dell’alto grado di attività (A+B) costituita da 27 inclinometri (8 di
grado A, 19 di grado B), mostra un valore minimo <1 mm/mese e un massimo di
20 mm/mese che si dispone secondo una curva tipo gaussiana con una tendenza
centrale al valore di 2,60 mm/mese.
La classe del basso grado di attività, costituita da 67 inclinometri (12 di classe C,
55 di classe D), mostra un valore minimo <1 mm/mese e un massimo di 48
mm/mese, ed anch’essa di dispone secondo una curva a campana con valore
centrale di 1,30 mm/mese.
Le due classi di attività presentano dunque una distribuzione di velocità
abbastanza concorde ed omogenea su tutto il range di velocità preso in
considerazione, e i risultati portano perciò a sostenere che la velocità di
spostamento non sia direttamente correlabile con lo stato di attività del versante.
Questo risultato potrebbe indicare che i corpi franosi considerati decelerano
piuttosto velocemente dopo una riattivazione. È noto infatti, che dopo il
parossismo un evento franoso è caratterizzato da una lenta diminuzione della sua
velocità con il tempo (fig. 4.8); se questa diminuzione è relativamente veloce, gli
inclinometri registrerebbero bassi valori anche se sono stati installati poco dopo
la riattivazione ottenendo così valori analoghi a corpi di frana quiescenti da lungo
periodo.
4.4.3 Evoluzione recente del versante
Il parametro denominato “History” tiene conto del rapporto tra inclinometro e
storia evolutiva del versante.
Quest’ analisi si è sviluppata in modo analogo alla precedente in quanto svolta
anch’essa grazie al supporto delle foto aeree e dei dati di cronistoria forniti dalle
Comunità Montane.
Lo scopo di questa parte di analisi è di stabilire il diverso range di velocità tra un
deposito mai interessato da movimenti nell’intervallo di tempo tra il 1973 e il
159
2006, rispetto a corpi di frana che di recente hanno subito riattivazioni o
movimenti, ed hanno previsto l’installazione di opere di consolidamento.
Ad ogni inclinometro è stato assegnato un valore in funzione della sua posizione
e della sua storia recente:
1. inclinometro su zona mai coinvolta in riattivazione dal 1973;
2. inclinometro dentro deposito di frana che ha subito riattivazione e non
interessato da opere di consolidamento;
3. inclinometro dentro deposito di frana che ha subito riattivazione e interessato
da opere di consolidamento leggere (scoli, riprofilatura etc…);
4. inclinometro dentro deposito di frana che ha subito riattivazione e interessato
da opere di consolidamento profonde (trincee, etc...);
5. inclinometro posto in vicinanza di corpi di frana riattivati (entro 100 m).
Queste cinque classi sono state raggruppate in due, in modo da mantenere un
numero significativo di dati per ogni classe:
• inclinometri posti su depositi quiescenti che non hanno subito riattivazione
negli ultimi 30 anni (classe 1);
• inclinometri che negli ultimi 30 anni hanno subito una riattivazione con o
senza opere di stabilizzazione; in questo caso vengono raggruppati i valori di
posizione 2, 3, 4 e 5 in modo da formare una classe unica per le frane
riattivate.
L’istogramma di frequenza delle velocità degli inclinometri posti su corpi di
frana non riattivati (fig. 4.17) mostra un picco di frequenza dell’ordine dei 1-2
mm/mese. La distribuzione delle velocità degli inclinometri posti su corpi di
frana che hanno subito riattivazione, mostra dei picchi di frequenza significativi
fra 1,3 e 2,6 mm/mese e frequenze elevate su classi ancora maggiori.
Nel complesso, confrontando le due classi, si possono vedere dei picchi di
frequenza per velocità più alte nel gruppo di frane caratterizzate da una
riattivazione recente.
È comunque evidente che la differenza tra le due distribuzioni è piuttosto
modesta, e questo risultato può sembrare strano (una frana riattivata dovrebbe
avere velocità di movimento molto superiori di una quiescente da lungo tempo).
160
0,35
Estremamente lento
Molto lento
Frequenza N°casi/N°casi totali
0,3
0,25
0,2
classi 2-3-4-5
classe 1
0,15
0,1
0,05
83,20
41,60
20,80
10,40
5,20
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
0,08
0
velocità mm/mese
Figura 4.17 Distribuzione statistica delle velocità per porzioni di versanti interessati o meno da una
riattivazione trentennale.
Una possibile spiegazione sta nel fatto (come descritto anche sopra) che le frane
in esame tenderebbero a decelerare velocemente dopo il parossismo
raggiungendo così una velocità stazionaria di base. Lo stesso concetto può essere
espresso in termini di intervallo di tempo trascorso dall’installazione degli
inclinometri rispetto ad una riattivazione; se gli inclinometri vengono installati
dopo il periodo necessario alla frana per raggiungere la sua velocità di base si
otterranno bassi valori di velocità concordanti con frane quiescenti.
4.4.4 Pendenza
In quest’ analisi viene presa in esame l’inclinazione del pendio in corrispondenza
di ciascuna verticale inclinometrica. La pendenza è stata ricavata tramite l’analisi
del modello digitale del terreno (D.E.M.) considerando un tratto di versante di
circa 100 m centrato su ciascun inclinometro (fig. 4.18).
Visto che la stabilità di un versante dipende fortemente dall’inclinazione, è lecito
attendersi una dipendenza diretta fra inclinazione e velocità del corpo di frana.
Versanti più inclinati e meno stabili dovrebbero avere velocità di spostamento
più elevate.
161
Figura 4.18 Tratto di versante considerato per il calcolo della pendenza di ogni inclinometro
Il grafico inclinazione – velocità per tutti gli inclinometri disponibili è riportato
in fig. 4.19. Se presenti correlazioni ci si aspetterebbe una nuvola di punti posta
sulla diagonale del grafico.
Dall’analisi è evidente la scarsa correlazione presente tra i due parametri. La
maggior parte dei punti si colloca tra 5° e 15° di inclinazione presentando
velocità che variano da < 1 mm/mese a < 50 mm/mese formando una nuvola di
punti quasi verticale. La retta di regressione risulta pressoché suborizzontale
confermando quindi la scarsa dipendenza dei due parametri uno dall’altro.
velocità mm/mese [Log]
100
10
1
0
10
20
30
40
50
0,1
0,01
inclinazione (gradi)
Figura 4.19 Grafico velocità – inclinazione dei fenomeni franosi analizzati.
162
60
L’assenza di correlazione è da attribuire probabilmente al fatto che la dipendenza
con l’angolo di pendio è mascherata da altri parametri. Un parametro
sicuramente più importante è il tempo di installazione dell’inclinometro che sarà
analizzato di seguito.
4.4.5 Posizione morfologica
Considerando l’ubicazione degli inclinometri su corpi di frana è possibile
confrontare il tasso di movimento nei vari settori morfologici.
Nell’analisi si distingueranno 3 classi in relazione all’ubicazione degli
inclinometri sul corpo di frana:
1) inclinometri posti nella parte alta e centrale del corpo di frana;
2) inclinometri posti sulla zona di piede;
3) inclinometri fuori frana.
La zona di alta e il corpo della principale della frana sono porzioni che
generalmente tendono a manifestare elevate velocità; in queste zone infatti,
solitamente si manifesta l’evento parossistico e, se presente una retrogressione
del fenomeno, anche la zona a monte della nicchia manifesta movimenti di una
certa entità.
La zona di piede è la parte dove avviene il deposito e l’accumulo del materiale
franato da monte. Questa zona è caratterizzata da una morfologia convessa,
lobata e subpianeggiante
I movimenti al piede dunque si presumono più lenti che nella parte alta e
direttamente interessata dal dissesto.
In fig. 4.20 è riportato un istogramma che confronta la distribuzione delle
velocità per la zona alta e centrale del corpo di frana e la zona di piede.
La distribuzione delle velocità degli inclinometri fuori frana viene esclusa dalle
analisi perché presenta solo 6 campioni e dunque non è significativa.
Per quanto riguarda la distribuzione delle velocità nella parte alta e centrale del
corpo di frana, questa presenta una tipica forma a campana ripartita su tutto il
range di velocità con un picco di frequenza per i 2,6 mm/mese e una velocità
massima di 48 mm/mese.
Situazione leggermente diversa per gli inclinometri posti al piede dei movimenti
franosi che presentano un picco di frequenza al valore 1,30 mm/mese e un
massimo di velocità a 20 mm/mese.
163
0,35
Estremamente lento
Molto lento
frequenza N°casi/N°casi tot
0,3
0,25
0,2
parte alta e corpo
piede
0,15
0,1
0,05
83,20
41,60
20,80
10,40
5,20
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
0,08
0
velocità mm/mese
Figura 4.20 Distribuzione statistica delle velocità per i differenti settori del fenomeno franoso.
Nel complesso le distribuzioni analizzate sono piuttosto concordanti e
difficilmente confrontabili, a parte qualche valore più elevato di velocità che
viene registrato per zone alte e sul corpo di frana.
I risultati dunque confermano quanto atteso.
4.4.6 Tempo di installazione della strumentazione
La valutazione del tempo che serve a ristabilire la velocità di base (vedi cap. 4.3),
in un ipotetico fenomeno franoso dopo la sua fase parossistica, è sempre di
difficile previsione in quanto questa dipende da una serie di variabili
geomorfologiche e meccaniche che interagiscono in modo complesso.
In questa sezione è stata tentata una stima del tempo caratteristico di
decelerazione correlando la velocità media con l’intervallo di tempo trascorso
dopo un fenomeno di riattivazione.
Dalle informazioni disponibili presso le Comunità Montane sono state recuperate
le date delle riattivazioni dei corpi di frana e i tempi di successiva installazione
degli inclinometri riferibili alla lettura di zero (vedi cap. 4.1). Per quanto riguarda
le date di riattivazione, queste sono riferite sia a fenomeni parossistici, sia a
segnalazioni di movimenti che hanno comportato lesioni a strutture; queste date
sono state rese disponibili dai tecnici delle Comunità Montane e in parte
164
recuperate dai Piani di Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PSAI) per tutte le
località. Nel complesso queste informazioni risultano piuttosto affidabili.
Da queste due date possiamo dunque risalire all’intervallo di tempo (in mesi)
intercorso fra una riattivazione e la messa in opera della strumentazione
inclinometrica.
Nell’istogramma di frequenza (fig. 4.21) vengono presi in considerazione gli
inclinometri installati dopo un anno (0-12 mesi), da uno a 3 anni (12-36 mesi), da
3 a 6 anni (36-72 mesi) e da 6 fino a 16 anni (72-200 mesi). Per ogni classe viene
dunque valutato il valore massimo e medio delle velocità di spostamento.
Questa sezione ha preso in considerazione solo gli inclinometri situati nella valle
del Reno e caratterizzati da litotipi argillosi. La grande frana quiescente di
Scascoli è stata esclusa dalle analisi in quanto non si rinvengono testimonianze di
fenomeni di riattivazione recenti e inoltre il contesto geologico risulta molto
differente.
L’analisi fa notare la diminuzione di velocità registrata dagli inclinometri man
mano che aumenta il tempo dall’ultima riattivazione e dunque il ritorno dal
parossismo alla situazione di equilibrio con velocità relativamente basse.
0,6
Estremamente lento
Molto lento
frequenza N°casi/N°casi tot
0,5
Velocità max
0,4
0-12 mesi
12-36 mesi
0,3
36-72 mesi
72-200 mesi
0,2
0,1
83,20
41,60
20,80
10,40
5,20
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
0,08
0
velocità mm/mese
Figura 4.21 Distribuzione statistica delle velocità per inclinometri installati a differente intervallo
temporale dopo un fenomeno di riattivazione. Vengono evidenziate le velocità massime raggiunte
dagli inclinometri per ogni intervallo di tempo analizzato.
165
Tale andamento si nota ancora più chiaramente nel grafico di fig. 4.22, dove è
diagrammato il valore massimo di velocità rispetto al tempo (calcolato
mediamente dalle classi sopra descritte) trascorso dall’ultima riattivazione.
60
y = 189,93x -0,7383
velocità mm/mese
50
40
30
20
10
0
0
12
24
36
48
60
72
84
96
108
120
132
144
Tempo dopo riattivazione (mesi)
Figura 4.22 Grafico velocità massima – tempo d’installazione degli inclinometri dopo la
riattivazione. Si apprezzi l’ottimo allineamento dei punti.
Per quanto riguarda i picchi di frequenza delle quattro distribuzioni, questi sono
di difficile interpretazione. Per gli inclinometri installati entro un anno dalla
riattivazione si possono notare dei valori altalenanti distribuiti lungo tutta la scala
delle velocità, con una velocità media di 8,91 mm/mese e un massimo di 48
mm/mese. Per quanto riguarda le velocità degli inclinometri da uno fino a tre
anni dopo la riattivazione, queste presentano dei picchi di frequenza nella parte
centrale della scala, una velocità media di 3,75 mm/mese e un massimo di
velocità di 15,4 mm/mese.
Gli inclinometri installati da tre a sei anni dopo il movimento franoso, presentano
un valore di velocità media di 2,32 mm/mese e un massimo di 9,4 mm/mese.
Gli inclinometri installati in un intervallo di tempo compreso tra sei e sedici anni
dopo un movimento, mostrano una velocità media di 1,18 mm/mese e un
massimo di 5,20 mm/mese. In fig. 4.22 si può notare che quest’ ultima
166
distribuzione è spostata verso la parte sinistra dell’istogramma e dunque verso
velocità sostanzialmente inferiori.
I risultati ottenuti, per quanto indicativi, mostrano che deve trascorrere un
periodo di tempo di 5-10 anni affinché le velocità si riducano a valori inferiori a
10 mm/mese e tendano a stabilizzarsi sui valori tipici di lungo periodo. Questi
dati sono confermati anche dalla fig. 4.23 usando le velocità medie appena
descritte.
10
y = 29,199x -0,6495
9
velocità media mm/mese
8
7
6
5
4
3
2
1
0
0
12
24
36
48
60
72
84
96
108
120
132
144
Tempo dopo riattivazione (mesi)
Figura 4.23 Grafico velocità media – tempo di installazione degli inclinometri dopo una
riattivazione.
4.4.7 Antropizzazione
Molte volte la messa in posto della strumentazione inclinometrica è finalizzata al
monitoraggio dei movimenti del terreno in prossimità di strutture antropiche e
opere di ingegneria.
Con quest’ ultima analisi vengono confrontate le velocità registrate da
inclinometri posizionati in zone limitrofe ad uno spazio adibito ad uso abitativo o
comunque antropizzato (vengono escluse strade e zone di passaggio mezzi)
rispetto ad inclinometri installati in zone prive di insediamenti antropici.
167
Le strutture antropiche considerate sono talvolta lesionate, ma riescono a
convivere con i movimenti di versante.
A differenza delle analisi precedenti, quindi, lo scopo non è tanto quello di
confrontare le distribuzioni di velocità delle due classi, quanto quello di
determinare una prima scala di riferimento di velocità compatibili con le strutture
antropiche.
Come si può notare in fig. 4.24, la strumentazione posta su zone antropizzate,
mostra un evidente picco di frequenza per la classe di velocità 1,3 mm/mese. Il
valore di velocità massimo registrato è di 10 mm/mese. Al contrario la
distribuzione delle velocità per inclinometri posti su aree prive di urbanizzazione
mostra valori minimi <1 mm/mese a valori massimi < 50 mm/mese.
Limitatamente ai casi considerati, quindi, le strutture antropiche riescono a
convivere con movimenti che ricadono nella classe di velocità “estremamente
lenta” e nella parte bassa della classe “molto lenta”. Questo risultato è in accordo
con le considerazioni di Cruden & Varnes che pongono per questo limite di
velocità la predisposizione di alcune strutture a subire danneggiamenti (tab. 4.2).
0,5
Estremamente lento
Molto lento
0,45
Frequenza N°casi/N°totali
0,4
0,35
0,3
ANTROPIZZATO
0,25
NON ANTROPIZZATO
0,2
0,15
0,1
0,05
83,20
41,60
20,80
10,40
5,20
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
0,08
0
velocità mm/mese
Figura 4.24 Distribuzione delle velocità per inclinometri posti su zone a diverso grado di
antropizzazione.
168
4.4.8 Velocità di spostamento della “grande frana” di Scascoli
Il territorio dell’Appennino Bolognese preso in considerazione ha riguardato lo
studio di frane quiescenti situate per la maggior parte nella valle del Reno, con un
solo caso presente nella Valle del Savena rappresentato della “grande frana di
Scascoli”.
Come già descritto nella sez. 3.17, la frana è un grande dissesto quiescente posto
in destra idrografica che, muovendosi lentamente verso NO, contribuisce
all’aumento dell’erosione da parte del corso d’acqua sul fianco sinistro.
Per monitorare gli spostamenti del grande movimento quiescente, è stata
installata una rete di monitoraggio inclinometrico alla base del corpo di frana
(lungo la strada di fondovalle) e sul corpo di frana stesso.
Dal numero degli inclinometri posti sulla frana di Scascoli sono stati distinti
quelli che sono situati nella zona di piede e sul corpo centrale per tentare di
individuare la presenza di movimenti differenziali su questi diversi settori.
Su questi viene eseguita un analisi statistica tramite istogrammi (fig. 4.25).
piede
0,45
corpo
Estremamente lento
Molto lento
0,4
Frequenza N°casi/N°casi totali
0,35
0,3
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
83,20
41,60
20,80
10,40
5,20
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
0,08
0
velocità mm/mese [Log]
Figura 4.25 Distribuzioni delle velocità della grande frana di Scascoli nei due principali settori.
169
L’analisi di questi dati evidenzia che gli inclinometri posti al piede della frana
registrano delle velocità di spostamento leggermente più elevate rispetto a quelli
posti nel corpo frana.
Tali velocità sono in entrambi i casi dell’ordine di alcuni mm/mese per cui è
possibile classificare il movimento della frana di Scascoli come variabile da
estremamente lento a molto lento (Cruden & Varnes, 1996).
0,35
Estremamente lento
Molto lento
Frequenza N°casi/N°casi totali
0,3
0,25
0,2
Valle del Reno
Scascoli
0,15
0,1
0,05
83,20
41,60
20,80
10,40
5,20
2,60
1,30
0,65
0,33
0,16
0,08
0
velocità mm/mese [Log]
Figura 4.26 Confronto fra le distribuzioni delle velocità per gli inclinometri posti nella Valle del
Reno e nella frana di Scascoli.
Confrontando i valori di velocità di Scascoli con le velocità di spostamento delle
frane della Valle del Reno si ottiene il grafico di fig. 4.26.
Come si è potuto notare, le due distribuzioni appaiono sostanzialmente simili.
Sono presenti picchi di frequenza per velocità di pochi mm/mese in entrambe le
distribuzioni e relative code che tendono a valori minimi e massimi pressoché
simili.
170
4.5
Sintesi dei risultati ottenuti dalle analisi statistiche
Sulla base delle analisi precedentemente descritte è possibile trarre le seguenti
conclusioni:
• Tipo di movimento: analizzando il tipo di deformata inclinometrica vengono
determinate velocità relativamente maggiori per deformate a “blocco rigido”
rispetto a deformate prive di una netta superficie di scorrimento.
• Grado di attività: l’analisi definisce due istogrammi pressoché identici per i
due gradi di attività analizzati non potendo quindi definire con certezza
tipiche classi di spostamento.
• Evoluzione recente del versante: l’analisi ha permesso di definire un
istogramma in cui sono state rivelate velocità leggermente più alte per i corpi
di frana riattivati di recente e soggetti a consolidamento, e velocità più blande
su corpi di frana mai riattivate dal ‘73.
• Pendenza: dalla produzione di un grafico inclinazione – velocità non si
rinviene alcuna dipendenza reciproca dei due parametri.
• Posizione morfologica: i risultati mostrano due distribuzioni di velocità
pressoché simili per i due settori di versante analizzati, denotando tuttavia
velocità modestamente più elevate per le zone alte e centrali e più basse per le
zone di piede.
• Tempo d’installazione degli inclinometri: è stata individuata una chiara
correlazione che definisce la diminuzione della velocità dei fenomeni franosi
all’aumentare del tempo da una riattivazione.
• Urbanizzazione: I risultati mostrano velocità <10 mm/mese per le zone
urbanizzate, le quali sono caratterizzate da strutture talvolta lesionate. Questo
ordine di grandezza si pone fra le classi di velocità “estremamente lenta” e
“molto lenta” ed è in accordo con le considerazioni di Cruden & Varnes i
quali pongono entro questo limite di velocità (1,3 mm/mese) la tendenza di
alcune strutture a subire lesioni.
• Confronto velocità V.d.Reno - Scascoli: l’istogramma di frequenza mostra
due distribuzioni di velocità pressoché simili. Analizzando le velocità
unicamente per la frana di Scascoli, si può stabilire che la zona di piede è
caratterizzata da velocità leggermente più alte rispetto al corpo di frana
centrale.
171
172
5. CORRELAZIONE TRA VELOCITÀ DI SPOSTAMENTO
E CONDIZIONI DI STABILITÀ
5.1
Premessa
Le analisi statistiche svolte nel precedente capitolo hanno evidenziato come le
velocità di spostamento dei fenomeni franosi sono influenzate dalla storia
evolutiva della frana e da numerosi fattori di natura meccanica, geomorfologica.
Dal momento che le analisi statistiche hanno fornito indicazioni non esaustive
sulla dipendenza della velocità con i vari parametri, è stato effettuato un ulteriore
confronto considerando le condizioni di stabilità delle frane quiescenti.
Oltre ai parametri citati nelle analisi statistiche, nella raccolta dei dati per ogni
punto inclinometrico, sono state recuperate informazioni per quanto riguarda il
livello della falda, la litologia, la profondità della superficie di scorrimento.
Vista la disponibilità, seppur in maniera parziale, di questi dati, nel capitolo
seguente viene eseguita un’analisi di stabilità allo scopo di tentare una
correlazione del fattore di sicurezza e le velocità di spostamento delle frane
quiescenti.
In via generale, la relazione che esiste fra velocità del fenomeno franoso e le
condizioni di stabilità dovrebbe essere caratterizzata da un calo delle velocità
all’aumentare della stabilità del versante. L’esistenza o meno di questa relazione
sarà verificata e in seguito confrontata con dati sperimentali proposti da
letteratura.
173
5.2
Calcolo del fattore di sicurezza
Questa sezione ha lo scopo di definire le condizioni di stabilità per i vari
fenomeni franosi in considerazione espresso col valore numerico del fattore di
sicurezza, in modo da poter in seguito stabilire una correlazione tra questo e la
rispettiva velocità di spostamento.
Per poter procedere con l’analisi di stabilità è stato necessario un corretto
filtraggio degli inclinometri che di conseguenza ne ha esclusi una parte.
La strumentazione inclinometrica considerata è stata infatti installata su fenomeni
franosi che presentano differenti caratteristiche; come detto nel capitolo
precedente, spesso abbiamo inclinometri installati in un intervallo di tempo molto
breve dopo una riattivazione e questo comporta la registrazione di velocità di
movimento elevate. Allo scopo di questa analisi, sono stati quindi esclusi gli
inclinometri posti su porzioni di versanti riattivati di recente, in quanto
caratterizzati da velocità talvolta elevate che potrebbero alterare il risultato finale.
Le analisi faranno pertanto riferimento solo a corpi di frana quiescenti.
Inoltre, sono stati presi in esame unicamente gli inclinometri caratterizzati da una
deformata a blocco rigido in quanto forniscono un valore definito della
profondità di rottura.
Nel calcolo del fattore di sicurezza devono essere definiti i valori numerici che
riguardano la profondità della superficie di scorrimento, il livello di falda,
l’inclinazione del versante ed i parametri di resistenza al taglio.
Dal momento che ogni fenomeno franoso considerato è caratterizzato da diversi
inclinometri e da valori spesso differenti dei parametri sopra descritti, è stato
calcolato un valore significativo della profondità della superficie di scorrimento e
dell’inclinazione del versante usando la media dei valori di ogni località.
Di conseguenza è stato ottenuto un unico fattore di sicurezza per ogni movimento
franoso. Prima però di procedere con l’analisi è opportuno chiarire il metodo di
calcolo utilizzato.
Come noto, l’instabilità di un versante è il risultato dell’azione concomitante di
più fattori che si riuniscono sotto il nome di fattori predisponesti e di fattori
scatenanti.
I metodi di analisi di stabilità si basano sul calcolo delle forze agenti e resistenti
lungo una superficie di scorrimento predefinita. Perché un pendio risulti in
condizioni di stabilità è necessario che le resistenze disponibili siano maggiori di
quelle mobilizzate.
174
Fs = Resistenze disponibili / Resistenze mobilizzate
Questo rapporto definisce il fattore di sicurezza (Fs) del pendio e quando il suo
valore è 1, l’equilibrio della massa è in “condizioni limite”; se Fs >1 il pendio è
definito “stabile”, se Fs<1 il pendio è definito “instabile”.
Per quest’analisi, visto l’elevato numero di casi presi in considerazione da questo
studio e la laboriosità ad applicare ad ognuno un modello specifico per il calcolo
della stabilità, si è fatto uso di un metodo semplificato denominato pendio
infinito.
Il modello tiene conto di determinate assunzioni:
• la superficie topografica ha inclinazione uniforme;
• il piano di scorrimento è planare e parallelo alla superficie topografica;
• la lunghezza della frana è molto maggiore del suo spessore (L >> Z);
• lungo la superficie di scorrimento le caratteristiche meccaniche del
materiale sono costanti;
• lungo la superficie di scorrimento le condizioni idrauliche sono costanti.
In questo modello dunque, si mantengono costanti i parametri meccanici,
idraulici, geometrici lungo tutto il tratto di versante considerato (fig. 5.1).
Almeno in prima approssimazione, queste assunzioni, si possono considerare
valide per i casi in esame.
L
Z
Zw
α
Figura 5.1 Schema semplificato di pendio infinito con i parametri geometrici in considerazione.
Sulla base dell’equilibrio statico delle forze agenti su un concio di versante, si
può ottenere il fattore di sicurezza di un pendio infinito come dalla seguente
equazione (Berti, 2006):
175
Fs =
c'+ (γz cos 2 α − u ) tan ϕ
γz cos α sin α
dove:
• c’ = coesione drenata (KPa);
• γ = peso di volume materiale (KN/m3);
• z = profondità della superficie di scorrimento (m);
• α = inclinazione del versante (radianti);
• u = valore del pressione dei pori sulla superficie di scorrimento (u = γwzw,
in condizioni idrostatiche);
• φ = angolo d’attrito del materiale (radianti);
• γw = peso di volume dell’acqua (KN/m3);
• zw = altezza della tavola d’acqua sopra la superficie di scorrimento (m).
Secondo Day, (1994) & Haneberg (1995), alcune tipiche situazioni che possono
essere analizzate secondo lo schema del pendio infinito riguardano (Berti, 1999):
• la stabilità delle coltri eluvio-colluviali, la cui base è generalmente
parallela alla superficie topografica;
• la stabilità dei versanti in terreni argillosi fortemente fessurati,
caratterizzati da valori trascurabili della coesione efficace;
• la stabilità dei versanti interreni granulari;
• la stabilità di versanti isostrutturali in roccia nel caso che lo scivolamento
planare sia cinematicamente ammissibile (presenza di discontinuità
estremamente persistenti parallele al versante).
Nell’analisi di stabilità per i fenomeni franosi analizzati sono stati usati i
parametri di coesione (c’) e angolo d’attrito (φ’) drenati in condizioni residue.
Questi sono valori tipici di un terreno che ha subito elevate deformazioni di
taglio e sono caratteristiche meccaniche intrinseche.
Dato che le litologie coinvolte sono prevalentemente argillose e data la variabilità
dei loro parametri geotecnici, sono stati scelti due valori estremi d’angolo
d’attrito residuo (15° e 20°) in modo tale da ottenere un intervallo di valori
rappresentativo. Questo range di angolo d’attrito residuo, è stato ricavato da
letteratura e da precedenti studi (Biavati, Comunità Montane). Il valore di
coesione in condizioni residue è c’= 0.
Per quanto riguarda i valori dei livelli di falda, data la presenza di piezometri
spesso fenestrati lungo tutto il tubo, o la totale mancanza del dato piezometrico
sono state ipotizzate condizioni idrauliche ideali:
176
• falda a piano campagna (Zw = Z)
• falda a mezza altezza del corpo di frana (Zw = ½ Z)
• falda assente (Zw = 0)
Dalla combinazione di angoli d’attrito di 15° e 20° e dei tre livelli di falda,
vengono restituiti sei fattori di sicurezza per ogni fenomeno franoso che
rispecchiano sei differenti condizioni geologiche.
Sito
Inclinazione
media
(gradi°)
Profondità
superficie di
scorrimento
media (m)
FS
φ = 15°
Zw = 0
FS
φ = 15°
Zw =1/2
FS
φ = 15°
Zw = 1
FS
φ = 20°
Zw = 0
FS
φ = 20°
Zw =1/2
FS
φ = 20°
Zw = 1
Baigno
Berzantina
Carbona
Cast. di Casio
La Chiusa
Rocca Pit.
Marano
Silla Mont-Ind
Vaina
Scascoli
11,45
10,92
11,53
10,12
7,88
12,77
8,61
10,33
19,23
10,00
6,50
7,17
17,00
9,00
13,00
8,75
20,00
14,83
11,00
16,68
1,32
1,39
1,31
1,50
1,94
1,18
1,77
1,47
0,77
1,52
0,98
1,03
0,97
1,11
1,44
0,87
1,32
1,09
0,55
1,13
0,63
0,67
0,63
0,73
0,95
0,56
0,86
0,71
0,34
0,74
1,80
1,89
1,78
2,04
2,63
1,61
2,40
2,00
1,04
2,06
1,33
1,40
1,32
1,51
1,96
1,18
1,79
1,48
0,75
1,53
0,86
0,91
0,85
0,99
1,29
0,76
1,17
0,97
0,46
1,00
Tabella 5.1 Risultati dei fattori di sicurezza per ogni sito calcolati con il metodo dell’analisi di
stabilità del pendio infinito per le diverse condizioni.
Come si può notare dalla tabella 5.1, il numero dei siti presi in considerazione è
diminuito passando da 15 a 10 siti. Questo è dovuto al procedimento di
esclusione degli inclinometri posti su zone riattivate o privi di una deformata tipo
a blocco rigido che conseguentemente fa abbassare il numero dei dati e talvolta
escludere completamente alcuni fenomeni franosi.
Nella tabella 5.1, oltre alle località e ai loro rispettivi fattori di sicurezza,
vengono inseriti i valori medi di inclinazione e di profondità della superficie di
scorrimento di ogni frana. Dai risultati è visibile la normale diminuzione del
fattore di sicurezza all’aumentare del livello della falda col raggiungimento di un
valore minimo in condizioni di falda a piano campagna.
La condizione analizzata più sfavorevole si ritrova nella serie che prevede un
angolo d’attrito di 15° e falda a piano campagna (φ = 15, Zw = Z). Qui tutti i casi
presi in considerazione mostrano fattore di sicurezza <1 e dunque condizioni di
instabilità. Le due condizioni più favorevoli alla stabilità invece, com’è plausibile
pensare, si rinvengono nelle due serie con falda assente.
A questo punto, ottenuto un panorama generale delle condizioni di stabilità, i
valori del fattore di sicurezza vengono correlati con le velocità di movimento
177
caratteristiche. Queste velocità sono calcolate come media aritmetica fra i valori
di velocità degli inclinometri di ogni frana considerata.
Ogni sito dunque, è caratterizzato da una tipica velocità media di seguito elencata
in tab. 5.2:
Sito
Velocità
media
mm/mese
FS
φ = 15°
Zw = 0
FS
φ = 15°
Zw = 1/2
FS
φ = 15°
Zw = 1
FS
φ = 20°
Zw = 0
FS
φ = 20°
Zw = 1/2
FS
φ = 20°
Zw = 1
Baigno
Berzantina
Carbona
Castel di Casio
La Chiusa
Rocca Pitigliana
Marano
Silla Mont-Ind
Vaina
Scascoli
0,867
1,030
0,429
1,689
0,183
2,614
1,191
2,007
0,813
1,458
1,32
1,39
1,31
1,50
1,94
1,18
1,77
1,47
0,77
1,52
0,98
1,03
0,97
1,11
1,44
0,87
1,32
1,09
0,55
1,13
0,63
0,67
0,63
0,73
0,95
0,56
0,86
0,71
0,34
0,74
1,80
1,89
1,78
2,04
2,63
1,61
2,40
2,00
1,04
2,06
1,33
1,40
1,32
1,51
1,96
1,18
1,79
1,48
0,75
1,53
0,86
0,91
0,85
0,99
1,29
0,76
1,17
0,97
0,46
1,00
Tabella 5.2 Valori di velocità media per ogni sito con relativi fattori di sicurezza calcolati per le
diverse condizioni per ogni sito.
In linea teorica, Fs e velocità di movimento dovrebbero essere legati in modo
inversamente proporzionale.
Nel caso di frane quiescenti, come viene anche descritto dalla tabella 5.2, le
velocità sono di norma molto lente, dell’ordine dei pochi mm/mese e con
condizioni di stabilità che variano a seconda del contesto geologico e idraulico
locale.
I movimenti non sono riconoscibili ad occhio nudo, se non tramite conseguenze
che questi possono dare, ma sono rilevabili tramite strumentazioni adatte allo
scopo.
Per poter determinare una possibile dipendenza fra condizioni di stabilità e
movimenti sono stati realizzati due grafici, mostrati in fig. 5.2 e 5.3. In ordinate
sono stati immessi i valori del fattore di sicurezza e in ascisse la velocità media
espressa in termini logaritmici, ma in scala lineare. La scala di velocità è stata
tagliata per valori al di fuori dei valori di 0,1 e 10 mm/mese in quanto gli
inclinometri in considerazione presentano valori compresi in quest’ intervallo.
Sebbene siano teoricamente non ammissibili, il fattore di sicurezza presenta
valori anche <1. Questo valori sono stati mantenuti per poter evidenziare
un’eventuale correlazione anche in questo campo.
Ogni grafico è caratterizzato da più punti, ogni punto rappresenta il valore del
coefficiente di sicurezza correlato con la rispettiva velocità media di ogni
178
movimento franoso. Questa correlazione viene svolta con i valori dei coefficienti
di sicurezza calcolati con i due angoli d’attrito proposti (15° e 20°) e per i tre
livelli di falda citati precedentemente (assente, mezza altezza e piano campagna).
Inoltre in ogni grafico sono state aggiunte le linee di tendenza generali e le
corrispondenti equazioni. Dunque, da una distribuzione di punti che
caratterizzava ogni movimento franoso, viene determinato un andamento
generale che riflette una relazione media fra Fs e velocità di movimento.
L’andamento generale delle linee di tendenza è molto simile per i sei casi
considerati: le rette sono fra loro parallele e distinte in funzione delle condizioni
idrauliche.
Ad esempio, per una velocità media di movimento di 1 mm/mese e valori di
angolo d’attrito (φ) di 15° il fattore di sicurezza varia fra 0,7 e 1,4 passando da
condizioni idrauliche con falda a piano campagna a falda assente.
y = -0,2882x + 1,4156
FS
2
1,9
1,8
1,7
1,6
1,5
0,1
1,4
1,3
1,2
1,1
1
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5 1
y = -0,2177x + 1,0483
y = -0,1471x + 0,6809
phi 15°falda assente
phi 15°falda 1/2
phi 15°falda p.c.
10
Velocità mm/mese
Figura 5.2 Relazione fra velocità e fattore di sicurezza calcolato con φ=15° per differenti condizioni
idrauliche.
179
FS
0,1
2,5
2,4
2,3
2,2
2,1
2
1,9
1,8
1,7
1,6
1,5
1,4
1,3
1,2
1,1
1
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
y = -0,3915x + 1,9228
y = -0,2957x + 1,4239
y = -0,1999x + 0,925
phi 20°falda assente
phi 20°falda 1/2
phi 20°falda p.c.
1
Velocità mm/mese
10
Figura 5.3 Relazione fra velocità e fattore di sicurezza calcolato con φ=20° per differenti condizioni
idrauliche.
Per una velocità media di movimento di 1 mm/mese e valori di angolo d’attrito
(φ) di 20° il fattore di sicurezza varia fra 0,9 e 1,9 passando da condizioni
idrauliche con falda a piano campagna a falda assente.
A prima vista, data la dispersione dei punti, i grafici portano a definire una
correlazione piuttosto scarsa fra i due parametri.
Il trend generale testimonia tuttavia una diminuzione dei fattori di sicurezza
all’aumentare della velocità dei fenomeni franosi, in accordo con quanto atteso.
Il tasso di diminuzione del fattore di sicurezza all’aumentare della velocità è
fornito direttamente dalla retta di regressione data da una pendenza e una
intercetta. La prima definisce il tasso di variazione della variabile dipendente
rispetto alla variabile indipendente, in questo caso del fattore di sicurezza al
variare della velocità; la seconda individua il punto in cui la retta di regressione
interseca l’asse del fattore di sicurezza al valore di 1 mm/mese. Visto che l’asse
delle ascisse (velocità) è espresso in termini logaritmici, il valore numerico che
esprime la pendenza nell’equazione della retta di regressione, definisce la
variazione del fattore di sicurezza nei principali intervalli di velocità (0,1 – 1 –
10) espressi in mm/mese in termini logaritmici in base 10. Inclinazioni maggiori
definiscono dunque una diminuzione più veloce del fattore di sicurezza
all’aumentare della velocità.
180
Nonostante alcune rette ricadano nel campo in cui il fattore di sicurezza è <1,
l’insieme delle equazioni delle linee di tendenza ha permesso di stabilire che la
pendenza delle rette diminuisce all’aumentare dei livelli di falda considerati nel
calcolo del fattore di sicurezza, rendendo il trend dell’inclinazione delle rette
leggermente discostante.
Più in dettaglio si osserva che:
• Condizione con φ = 15° e falda assente:
nell’intervallo di velocità da 0,1 ÷ 10 mm/mese, la retta di regressione mostra un
coefficiente angolare di 0,56, facendo ridurre il Fs da 1,7 a 1,12.
• Condizione con φ = 15° e falda a mezza altezza:
nell’intervallo di velocità da 0,1 ÷ 10 mm/mese, la retta di regressione mostra un
coefficiente angolare di 0,42, facendo ridurre il Fs da 1,26 a 0,83.
• Condizione con φ = 15° e falda a piano campagna:
nell’intervallo di velocità da 0,1 ÷ 10 mm/mese, la retta di regressione mostra un
coefficiente angolare di 0,28, facendo ridurre il Fs da 0,83 a 0,53.
• Condizione con φ = 20° e falda assente:
nell’intervallo di velocità da 0,1 ÷ 10 mm/mese, la retta di regressione mostra un
coefficiente angolare di 0,78, facendo ridurre il Fs da 2,31 a 1,53.
• Condizione con φ = 20° e falda a mezza altezza:
nell’intervallo di velocità da 0,1 ÷ 10 mm/mese, la retta di regressione mostra un
coefficiente angolare di 0,59, facendo ridurre il Fs da 1,71 a 1,12.
• Condizione con φ = 20° e falda a piano campagna:
nell’intervallo di velocità da 0,1 ÷ 10 mm/mese, la retta di regressione mostra un
coefficiente angolare di 0,40, facendo ridurre il Fs da 1,12 a 0,72.
Per tutti e due i casi considerati di falda assente, possiamo notare una veloce
diminuzione del fattore di sicurezza in risposta ad un aumento anche lieve delle
velocità. I punti sperimentali ricadono nell’ambito della stabilità (Fs >1), ma si
pensi che una diminuzione di circa 0,1 del fattore di sicurezza comporta un
aumento della velocità di 0,1 mm/mese.
La condizione con angolo d’attrito di 15° e con falda a mezza altezza risulta la
più pericolosa, nel senso che con l’aumentare degli spostamenti il fattore di
sicurezza diminuisce raggiungendo lo stato d’instabilità. Questo avverrebbe in
corrispondenza del valore di velocità di circa 1 mm/mese, un valore decisamente
troppo basso per i casi in esame.
181
La condizione con angolo d’attrito di 20° e falda a mezza altezza mostra,
all’aumentare della velocità, un fattore di sicurezza che va da alti valori a
condizioni limiti per la stabilità. Per raggiungere questa condizione tuttavia,
sarebbero necessarie velocità > 10 mm/mese.
Come già accennato, i due casi di angoli d’attrito di 15° e 20° e falda a piano
campagna, mostrano una diminuzione del fattore di sicurezza meno accentuata
rispetto agli altri casi. Utilizzando un φ = 20° e ridotte velocità (0,1 – 0,2
mm/mese) si rientra nel campo dell’equilibrio limite in cui il fattore di sicurezza
è circa 1, ma ipotizzando un tasso degli spostamenti anche leggermente maggiore
questo ricadrebbe nelle condizioni di instabilità. Per quanto riguarda l’analisi
eseguita con φ = 15° questa è costantemente inserita nel campo in cui il fattore di
sicurezza è <1 e quindi non è realistica.
In definitiva, è difficile stabilire una concreta dipendenza dei due parametri.
Questa scarsa relazione può essere anche collegata all’intervallo di velocità
analizzato che in questo caso risulterebbe troppo basso rendendo così difficile la
possibilità di correlazione.
Ciò nonostante, è possibile notare come un calo anche modesto del fattore di
sicurezza causa variazioni significative della velocità del fenomeno franoso.
Questo risultato concorda con l’osservazione che le oscillazioni di falda (e quindi
di Fs) all’interno dei corpi di frana provoca notevoli variazioni della velocità di
movimento.
5.3
Confronto con dati sperimentali di letteratura
Al fine di poter effettuare una prima verifica del tasso di variazione del fattore di
sicurezza con la velocità di spostamento per i fenomeni analizzati, vengono
confrontati i risultati ottenuti con dati sperimentali appartenenti ad un caso di un
fenomeno franoso attivo e regolarmente riattivato posto in territorio francese
(Sallédes) e analizzato da Cartier & Pouget (1988) e Leroueil (2000).
Gli autori hanno messo così in relazione il fattore di sicurezza e velocità in
mm/giorno estrapolata da inclinometri.
La relazione che ne deriva è la seguente:
182
y = -0,17x + 1,4
Figura 5.4 Relazione tra velocità (v) e fattore di sicurezza (F) per la frana di Sallédes.
Come si può vedere dal grafico (fig. 5.4) i risultati mostrano una buona
correlazione tra i due parametri potendo così definire una linea di tendenza
generale. Si noti come una variazione del fattore di sicurezza dell’ordine di
grandezza di 0,1, comporti già movimenti significativi.
In questo caso, la grande varietà dei valori di spostamento che varia da valori
<0,3 mm/giorno a >300 mm/giorno, fa mostrare un trend di correlazione ben
delineato.
Leroueil (2000) sottolinea che, sulla base dei rilievi svolti sul campo e analisi di
laboratorio, tipicamente il tasso degli spostamenti diminuisce di due ordini di
grandezza per un fattore di sicurezza di 0,05 (Fell, Hungr, Leroueil, Riemer).
Per frane attive, il tasso degli spostamenti può variare ulteriormente con il fattore
di sicurezza. Per esempio, per la frana Downie (Enegren & Imrie, 1996), una
variazione del fattore di sicurezza da 0,07 a 0,11, comporta una diminuzione di
velocità da 3 - 10 mm/anno a 0,75 – 2 mm/anno (Fell, Hungr, Leroueil, Riemer).
Questo situazione mette in risalto come può essere estremamente variabile il
tasso di velocità a seconda del fattore di sicurezza.
Nel nostro caso è possibile confrontare l’andamento delle rette di regressione
estrapolate dai casi presi in considerazione col caso della frana Sallédes.
183
1,5
15°dry
15°1/2 zw
1,3
15° falda
pc
FS
1,4
20°dry
1,2
20° 1/2 zw
1,1
0,1
20° falda
pc
1
1
10
dati
Sallèdes
velocità mm/mese
Figura 5.5 Confronto fra la relazione fattore di sicurezza - velocità dei fenomeni franosi analizzati e
della frana di Sallédes.
Il grafico di fig. 5.5 presenta valori di velocità in termini logaritmici e mostra, per
il caso della frana Sallèdes, un andamento della diminuzione del valore di fattore
di sicurezza leggermente discordante dai casi in considerazione.
La retta di tendenza è caratterizzata da un calo del fattore di sicurezza meno
brusco rispetto ai casi considerati, ma la differenza è tutto sommato modesta.
Per quanto preliminare, questo confronto indica che le relazioni velocità – Fs
individuate sono potenzialmente valide. Vista però la grande variabilità dei
parametri in gioco, è chiaro che la loro effettiva significatività non può essere
sostenuta prima di indagini più approfondite.
La conoscenza della relazione tra velocità e fattore di sicurezza è importante
perché ha dei risultati pratici molto utili.
Ad esempio, conoscendo la relazione sarebbe possibile stimare di quanto
diminuisce la velocità dei movimenti in seguito ad un intervento di drenaggio.
Sulla base della relazione velocità – Fs, ed essendo al corrente della variazione
del fattore di sicurezza di un fenomeno franoso in condizioni idrauliche estreme
(falda assente, falda a piano campagna), è possibile definire la diminuzione di
velocità in funzione di un determinato abbassamento della falda.
184
Ad esempio, considerando le condizioni di un versante inclinato di 10°, con
angolo d’attrito (φ) di 20° e coesione in valori residui, si sono potuti ricavare i
valori dei vari fattori di sicurezza relativi alla variazione del livello di falda da
piano campagna a falda assente. Facendo riferimento alla curva Fs – velocità
relativa al caso φ = 20° e falda a mezza altezza Zw = ½ (fig. 5.3) è possibile
ottenere i risultati diagrammati in figura 5.6.
0
1
(falda p.c.)
(falda assente)
Figura 5.6 Diminuzione della velocità in seguito ad un determinato abbassamento della falda.
L’asse delle ordinate rappresenta la variazione della velocità (mm/mese) in
seguito ad un abbattimento della falda per varie altezze espresse in ascisse come
variazione di Zw/Z.
Il procedimento di lettura è il seguente: per esempio, un abbassamento della falda
del 20% della sua massima altezza da piano campagna corrisponde ad una
diminuzione di velocità di 15 mm/mese.
Come si può notare in fig. 5.6 un calo della superficie piezometrica del 50 %
della sua altezza comporterebbe già una forte diminuzione delle velocità. La
relazione mostra che nelle condizioni in cui la falda è alta, si assistono infatti alle
più forti variazioni di velocità, mentre in situazioni in cui la falda ha altezze
modeste le variazioni di velocità sono minime.
185
In queste ipotetiche condizioni, l’installazione di opere in grado di drenare la
falda fino ad un valore di profondità equivalente a metà della sua altezza,
potrebbe essere sufficiente allo scopo di diminuire considerevolmente la velocità
del fenomeno franoso.
186
6. CONCLUSIONI
Questo lavoro di tesi è stato reso possibile grazie ad una borsa di studio proposta
dall’Associazione Fulvio Ciancabilla che ha previsto la collaborazione delle
Comunità Montane Alta e Media Valle del Reno di Vergato, e Cinque Valli
Bolognesi di Pianoro.
Il lavoro illustrato nei precedenti paragrafi ha riguardato l’analisi della tipica
velocità di spostamento di 15 fenomeni franosi quiescenti situati nelle valli del
Reno e del Savena, nell’Appennino Settentrionale della provincia di Bologna.
Poiché il territorio dell’Appennino Emiliano – Romagnolo è caratterizzato da
depositi di frane quiescenti con movimenti lenti e costanti nel tempo che
influenzano la possibilità di convivere con questi corpi, e data la disponibilità da
parte delle Comunità Montane di numerose informazioni strumentali sui
spostamenti, il lavoro di tesi si è indirizzato sulla definizione di una scala di
velocità di riferimento che permetta di stabilire le condizioni critiche o meno del
versante in funzione di vari parametri.
Le litologie coinvolte nei dissesti sono prevalentemente argillose. Per quanto
riguarda i movimenti presenti nella valle del Reno questi sono ascrivibili a
scorrimenti che evolvono spesso in colate. Il grande corpo di frana quiescente
presente nella valle del Savena (la cosiddetta grande frana di Scascoli) è
caratterizzato da litologia arenaceo – marnosa con un cinematismo tipo
scorrimento roto - traslazionale.
Nei programmi di monitoraggio effettuati dalle Comunità Montane sui fenomeni
franosi considerati, sono stati resi disponibili i tabulati di 94 inclinometri di cui
75 hanno fornito valori di spostamento significativi.
Su questi dati sono stati ricavati e digitalizzati i valori di spostamento nei punti
principali della deformata inclinometrica. Questo tipo di informazioni ha
permesso il calcolo di una velocità media per ogni inclinometro.
Successivamente è stata eseguita una ricostruzione dell’evoluzione
geomorfologica di ogni movimento franoso in un intervallo di tempo trentennale
tramite foto aeree al fine di poter individuare, sulla base dello stato di attività,
eventuali riattivazioni e installazioni di opere di consolidamento. Ciascuno dei
fenomeni franosi viene inoltre descritto dal punto di vista delle indagini
geognostiche eseguite e degli interventi dopo una riattivazione.
187
Per avere un panorama più completo, ogni inclinometro è stato caratterizzato da
una serie di informazioni geologico – tecniche che rispecchiano le diverse
situazioni locali. Queste vengono inserite in una tabella generale.
La valutazione della velocità media degli inclinometri considerati ha permesso di
definire una tipica classe di spostamento in relazione alla scala di velocità
proposta da Cruden & Varnes. La distribuzione statistica analizzata mostra
velocità comprese tra valori < 1 mm/mese e < 50 mm/mese con un frequenza di
valori dominanti compresi fra 1 e 2 mm/mese. Questa distribuzione si pone a
cavallo tra le classi “estremamente lenta” e “molto lenta” della classificazione di
Cruden & Varnes.
In seguito, allo scopo di stabilire una possibile correlazione tra i parametri
geologici – tecnici ricavati e la dinamica della frana in termini di velocità, sono
state eseguite analisi statistiche.
I risultati hanno mostrato che le velocità sono fortemente condizionate dal tipo di
meccanismo con cui il corpo si muove, dalla presenza di una riattivazione che
caratterizza il versante e dall’intervallo di tempo in cui viene installato
l’inclinometro dopo una riattivazione. Sono state analizzate velocità riguardanti
la parte alta e centrale del fenomeno franoso rispetto a velocità della zona di
piede. Queste ultime hanno fornito valori di velocità < 10 mm/mese per questi
depositi, e sono in accordo con quanto considerato da Cruden & Varnes sulla
possibilità di convivenza di strutture.
Al contrario, i parametri che non hanno riscontrato alcun (o scarso) legame con
le velocità di spostamento consistono nello stato di attività del versante e nel
valore della pendenza del versante.
Queste situazioni anomale potrebbero essere “causate” da una veloce
decelerazione delle velocità dopo un fenomeno parossistico. In alternativa le
blande velocità registrate sono da ascrivere ad una tardiva installazione rispetto
ad una riattivazione rinvenendo così spostamenti poco significativi.
Il parametro della pendenza non ha fornito alcuna correlazione con la velocità,
questo risultato è probabilmente dovuto al peso preponderante di altri parametri
come per esempio il tempo di installazione dell’inclinometro. I risultati ottenuti
per questo parametro mostrano infatti una netta relazione con la velocità.
Dal confronto delle velocità dei fenomeni franosi situati nella Valle del Reno con
le velocità della “grande frana di Scascoli” si è potuto notare che gli spostamenti
sono pressoché simili lungo tutto il range di velocità; ad ogni modo, per quanto
188
riguarda la frana di Scascoli, la zona di piede è caratterizzata da velocità
leggermente più elevate rispetto al corpo di frana centrale.
Come ultima analisi è stata tentata una correlazione tra le velocità medie di
spostamento e il fattore di sicurezza del corpo di frana.
Anche se la relazione mostra una relazione piuttosto blanda causa la variabilità
dei dati, i risultati d’insieme mostrano una diminuzione del fattore di sicurezza
all’aumentare delle velocità, in accordo con quanto teoricamente atteso.
Dalla relazione si è potuto notare come il tasso di diminuzione del fattore di
sicurezza produca variazioni significative delle velocità testimoniando così il
legame tra quest’ ultima e il livello di falda.
Le relazioni Fs – velocità per i casi analizzati sono inoltre confrontate con i dati
sperimentali di un fenomeno franoso analizzato da Cartier & Pouget (1988) e
Leroueil (2000) in territorio francese (Sallédes). Il raffronto conferma il rapido
aumento delle velocità in risposta a modeste diminuzioni del fattore di sicurezza
per i casi analizzati. Per poter evidenziare meglio questa relazione sarebbero
necessarie tuttavia, analisi più approfondite.
A titolo di esempio è stata infine calcolata la diminuzione teorica della velocità di
movimento di un corpo franoso in funzione di un determinato abbassamento
della falda. I risultati mostrano che un abbattimento della falda del 50% da piano
campagna contribuirebbe già ad un forte calo delle velocità. Questo approccio
potrebbe essere utile nella pratica e sarebbe idoneo al fine di stabilire il tipo e il
dimensionamento dell’opera di drenaggio.
In conclusione, le analisi svolte per le frane quiescenti, hanno evidenziato nel
complesso velocità lente (mm/mese) caratterizzate dalla possibilità di convivenza
con strutture, purché non si trascurino particolari attenzioni in fase di
costruzione.
È comunque evidente che quanto ottenuto è valido solo per corpi franosi in fase
di quiescenza. In caso di riattivazione parossistica, la velocità di spostamento
aumenta di diversi ordini di grandezza e la convivenza col fenomeno non è più
possibile.
La possibilità o meno di una riattivazione parossistica di un corpo di frana non è
stata trattata perché al di fuori degli scopi di questa tesi.
189
190
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COMUNITÀ MONTANA ALTA E MEDIA VALLE DEL RENO, zona 10,
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COMUNITÀ MONTANA ALTA E MEDIA VALLE DEL RENO, zona 10,
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http://www.pcn.minambiente.it/pcn/index.html. Portale Cartografico Nazionale.
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RINGRAZIAMENTI
Un sincero ringraziamento al prof. Matteo Berti, importante è stata la sua disponibilità
nell’affrontare insieme i problemi che hanno caratterizzato questo lavoro di tesi. Costante è stata
la sua dedizione, alternata da momenti di vera simpatia.
All’Associazione Fulvio Ciancabilla, la quale nello svolgimento di questa attività di tesi di
laurea ha previsto la collaborazione degli enti pubblici della zona e lo stanziamento di una borsa
di studio. Questo ha consentito l’ottenimento di importanti risultati.
Ai geologi Aldo e Rosario delle Comunità Montane di Vergato e Pianoro, un ringraziamento per
tutto il materiale fornitomi al fine del miglior compimento di questo lavoro di tesi. Nonostante
la “particolare situazione”, la loro disponibilità è stata sempre continua…anche per attività
extra-didattiche.
Alla mia famiglia, oltre ad un generoso grazie per aver permesso tutto questo, a loro va il mio
più grande abbraccio.
Ai miei amici più cari, un ringraziamento per i sorrisi e le risate condivise in questo periodo di
studio. Rilevante è stata la loro presenza.
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