Gheddafi firma nuovi accordi ma non dimentica il passato

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Gheddafi firma nuovi accordi ma non dimentica il passato
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Anno V° nr. 7 Luglio 2009
La visita a Roma prelude a una vera e propria partnership
strategica tra i due Paesi
Gheddafi firma nuovi accordi ma
non dimentica il passato
Però chiarisce subito: «L’Italia di oggi non è più quella di ieri»
Gazzetta del Sud
ROMA - Le dichiarazioni di fratellanza e di amicizia fioccano. «L’Italia di oggi - dice il padre della
rivoluzione libica - non è più l’Italia di ieri. Con l’Italia di oggi c’è pace, collaborazione e amicizia». E
grazie all’accordo di Bengasi ci sono prospettive di
grandi affari e di una intesa strategica.
Ma Muhammar al Gheddafi che ieri è arrivato in
Italia con tre aerei e una delegazione di trecento
persone per una visita di tre giorni, la prima di sempre, non dimentica. E il giorno della riconciliazione
sceglie di fare un gesto altamente simbolico per dire
che la pace e l’amicizia di oggi non cancellano la
storia. Per questo scende dall’aereo in alta uniforme con platealmente appuntata al petto la foto in
bianco e nero di un uomo in catene: è Omar al
Muktar, eroe dal 1923 al 1931 della resistenza all’occupazione italiana e che dagli italiani fu impiccato. La porta con sé anche in occasione dell’incontro
con il Capo dello Stato. E sull’aereo, assieme alla
sua folta guardia del corpo femminile che lo accompagna passo passo, porta anche il figlio, vecchio e
malfermo, del “Leone del deserto”.
«L’impiccagione di Omar al Mukhtar - dice in conferenza stampa - per noi libici è come la crocifissione di Cristo per i cristiani, loro portano la croce per
ricordare al mondo la tragedia di Cristo. Per noi
questa immagine è una tragedia simbolizzata dalla
foto che io portavo».
Roma lo accoglie con la solita indifferenza riservata ai leader stranieri, anche se lui nota i tanti romani che lo fotografano con i telefonini. È di ottimo
umore. E anche nell’incontro con il presidente
Napolitano, è esplicito nel dire che la sua visita segna la fine un lungo e doloroso contenzioso. «L’Italia di oggi non è quella di ieri» ripete Gheddafi accanto al presidente Napolitano; elogia «il coraggio
di questa generazione di italiani» e considera le tensioni del passato «una pagina chiusa». È nettissimo il
colonnello nel condannare colonialismo e fascismo:
«Non c’è prezzo per quello che l’Italia colonialista
ha commesso contro il popolo libico», dice.
E non era, sottolinea, una questione di indennizzi.
Almeno non solo. «Non guardiamo al valore materiale - afferma - perché per certi atti non ci sarebbe
nessun controvalore». Ma l’accordo di Bengasi «è il
segnale che l’Italia condanna il colonialismo e si scusa per ciò che è avvenuto, ed è quello che mi ha
permesso di essere qui». Scuse, ecco cosa voleva.
Il trattato di amicizia, sottolinea Napolitano, «ha
chiuso definitivamente il doloroso capitolo del passato ed espresso la ferma volontà delle parti di costruire una nuova fase del rapporto bilaterale» che
sarà caratterizzata «da un forte ed ampio partenariato
politico, economico e in tutti i restanti settori della
collaborazione».
E così è. «Abbiamo iniziato a parlare delle forniture
di energia tra Italia e Libia. E intendiamo ampliarne
la quantità» annuncia Silvio Berlusconi, che rivela
anche che ieri sono stati firmati con la Libia altri quattro accordi.
È l’avvio di una vera e propria partnership strategica, con la Libia che annuncia di voler appoggiare il
progetto di riforma delle Nazioni Unite voluto dall’Italia e riconferma il lavoro comune sul fronte dell’immigrazione. «Io credo - sottolinea Berlusconi che l’inizio delle operazioni congiunte si sia rivelato
molto positivo. Speriamo di continuare così».
L’intesa pare solo appena increspata dalle pole-
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miche per il discorso al Senato. «Gheddafi è un leader saggio» gli riconosce Berlusconi. E il colonnello,
che per l’incontro a palazzo Chigi e la conferenza
stampa di villa Madama si è cambiato d’abito e veste alla berbera, gongola.
Certo, c’è chi dice no. Oggi il leader della rivoluzione sarà al Senato (Palazzo Giustiniani) dove magari non mancheranno gesti clamorosi da parte di
qualche membro dell’opposizione e poi andrà incontro ad una contestazione annunciata all’università romana della Sapienza.
Ma vedendo i suoi nella tenda beduina piantata
sotto i lecci di Villa Pamphili, Gheddafi potrà ben
dire che ne è valsa la pena.
Intascato l’accordo che gli garantisce 5 miliardi di euro, è stato accolto a Roma con il tappeto rosso. Un capolavoro politico per l’uomo
che lanciò i missili su Lampedusa.
E Sky trasmette «Il Leone del deserto»
La visita di Muammar Gheddafi chiude un’era nei
rapporti tra Italia e Libia. E lo dimostra il fatto che
finalmente, dopo 30 anni, sarà possibile vedere anche in Italia il film «Il Leone del deserto», pellicoladenuncia dei crimini del colonialismo italiano. Al Leone del deserto – il leader della resistenza libica antiitaliana, Omar al Muktar – è infatti dedicato il film
realizzato nel 1981 da Mustafa Akkad (un siriano
naturalizzato negli Usa) con Anthony Quinn, nel ruolo
del condottiero libico e nel cast Oliver Reed, Raf
Vallone, Rod Steiger e Irene Papas. Oggi alle 21
andrà in onda su Sky Cinema Classics, in una prima
visione tv che è in realtà assoluta essendo stato visto
solo all’estero o in occasione di festival. Realizzato
anche grazie ai finanziamenti del governo libico, contraddice l’immagine degli «italiani brava gente», raccontando l’avventura del colonialismo in Tripolitania
e Cirenaica, tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei
Trenta, con occhio critico. Il film mette in luce le azioni
dell’esercito guidato dal generale Rodolfo Graziani
(Oliver Reed), con la deportazione di intere popolazioni seminomadi, la distruzione del loro bestiame,
la costruzione di un reticolato di oltre 270 km, ai
confini con l’Egitto, per interrompere i rifornimenti
ai guerriglieri. Ma anche, l’istituzione di campi di concentramento, con denutrizione, stenti e epidemie.
Accusato di vilipendio, il film fu vietato in Italia nel
1982 perché, per usare le parole dell’allora primo
ministro Andreotti, «danneggiava l’onore dell’esercito».
Quella di arrivare con
“comodo” è un’abitudine
molto consolidata
Nella visita a Roma ha cominciato già
dall’atterraggio a Ciampino
Gazzetta del Sud
ROMA - Quasi mezza giornata di ritardo. La visita del
leader libico Muammar Gheddafi in Italia si è contraddistinta
dal “farsi attendere” da parte del colonnello che non ha
mancato di arrivare con netto ritardo ad ognuno degli appuntamenti – istituzionali e non – cui era atteso.
Mettendo a segno uno “score” complessivo di 12 ore di
“delete”. Su un totale, al momento di scrivere, di poco più
di 55 ore trascorse nella Capitale.
Il farsi attendere – caratteristica del colonnello che è
culminata ieri con la reazione del presidente della Camera,
Gianfranco Fini che ha cancellato l’appuntamento – è scattato già dal suo arrivo a Ciampino, dove l’aereo che lo portava in Italia ha toccato il suolo un’ora dopo l’orario previsto.
Un ritardo che Gheddafi ha “traslato” in tutta la sua prima giornata romana, facendo attendere prima il Presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano, al Quirinale, poi il
premier a Palazzo Chigi. E che si è ampliato mercoledì sera
quando si è presentato a Villa Madama, per la conferenza
stampa in programma alle 19.00, un’ora e mezza più tardi.
Fuso orario indietro per il Leader della Rivoluzione anche giovedì: la giornata è iniziata con un’ora di ritardo all’arrivo nella sala Zuccari del Senato. Ritardo che è diventato di 2 ore all’università La Sapienza dove lo attendevano
gli studenti.
Gheddafi molto tranquillamente prima di recarsi all’ateneo
ha preferito “ripassare” nella sua tenda a Villa Pamphili e
cambiarsi d’abito.
Un’ora più tardi – sempre giovedì – è arrivato anche dal
sindaco di Roma, Giovanni Alemanno, che lo attendeva in
Campidoglio.
E, ancora, ieri mattina in Confindustria e poi
all’Auditorium del Parco della Musica per l’incontro con le
donne. Fino all’eclatante ritardo messo a segno ieri sera
alla Camera, dove – dopo oltre un’ora e mezza, quasi due –
Fini ha annunciato la cancellazione del previsto incontro.
Per Gheddafi quello dei ritardi è un vero e proprio vizio.
Una “brutta” abitudine che si ripete da anni nella sua vita e
nei suoi incontri.
Con episodi diventati famosi come quello del 2005 quando fece attendere 10 ore Miguel Angel Moratinos, ministro
degli esteri spagnolo del governo Zapatero, per poi dare
forfait.
Ecco alcuni dei precedenti “storici”.
26 marzo 2001: il leader libico, sbarcando ad Amman, in
Giordania, fece aspettare per più di dieci minuti re Abdallah
ai piedi della scaletta dell’aereo. Il sovrano, con gli alti dignitari giordani, attese tra l’imbarazzo generale, media compresi. Alla fine il colonnello apparve, in sahariana e mantello beige, e, come se l’intoppo non fosse accaduto, salutò il
re, che ricambiò con un accenno di sorriso. 28 luglio 2005: il
ministro degli Esteri spagnolo Angel Moratinos, in visita a
Sirte per incontrare il leader della rivoluzione verde, attese
per ben 10 ore il colonnello, che alla fine saltò l’incontro. Lo
sgarbo diplomatico non piacque agli ambienti governativi
iberici: Moratinos, invitato a tornare il giorno seguente,
rifiutò cordialmente e tornò a Madrid.
2002: Josep Piquè, ministro degli Esteri del governo Aznar,
giunto in Libia per incontrare il colonnello, lo aspettò per
sei ore.
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Il leader libico impegnato nelle preghiere del venerdì chiede
scusa per ritardo, che era già di due ore,
Fini Presidente della Camera annulla
l’incontro d’accordo con organizzatori
D’Alema e Pisanu
Marco Dell’Omo - Gazzetta del Sud
ROMA - Sala della Lupa, Montecitorio, ore
18,30. Tutte le sedie sono occupate; qualcuno
aspetta da quasi due ore l’arrivo del colonnello. Chi legge, chi parla al cellulare, chi sbuffa.
Ma Gheddafi ancora non si vede. All’improvviso, arriva in sala Gianfranco Fini, da solo. Si
siede al tavolo degli oratori e, con poche parole, comunica di aver annullato la visita del leader libico alla Camera: «È un ritardo che non è
giustificato. Considero annullata la manifestazione, assumendomene la responsabilità, nel
rispetto di quello che ritengo sia il ruolo del
Parlamento in una democrazia». Poi chiama Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi per comunicare loro la sua decisione. Il presidente del
Consiglio, fanno sapere a Montecitorio, «ha
pienamente compreso» l’operato del presidente
della Camera. D’accordo anche il ministro degli Esteri Franco Frattini.
Gli inviati, stremati dall’attesa, si lasciano
andare a un applauso liberatorio. «Decisione
ineccepibile», annuisce Massimo D’Alema, organizzatore del convegno insieme al senatore
del Pdl Beppe Pisanu, attraverso le fondazioni
Italianieuropei e Medidea. Per la verità, sulle
Il Presidente della camera On. Gianfranco Fini annuncia la
prime, i due sembrano offrire una giustificazione a Gheddafi, sostenendo che il leader della
revoca dell’incontro con Gheddaffi dovuto al ritardo
Libia si sarebbe sentito male. Lasciano
dell’ospite che ha raggiunto le oltre due ore.
Montecitorio e vanno a trovarlo nella tenda
D’Alema e Pisanu, organizzatori dell’incontro, concordano
piantata a Villa Pamphili. Un’ora di colloquio,
con la decisione presa dal Presidente Fini
durante la quale Gheddafi si scusa per l’accaduto. Il ritardo di Gheddafi assume i contorni
di un giallo diplomatico. L’appuntamento della Camera era fissato
Anche D’Alema, che è stato uno dei più convinti sostenitori
da diverse settimane. La spiegazione ufficiale dell’ambasciata libica, però, non tiene conto di questa circostanza: il ritardo, sostiene della visita di Gheddafi, non avrebbe lesinato critiche al colonnelun comunicato della rappresentanza di Tripoli, è dipeso dalla lo: di fronte alla novità delle aperture del presidente americano
partecipazione di Gheddafi alla preghiera del venerdì. In realtà, Barack Obama verso il mondo arabo, «sarebbe un errore rispontutta la visita del leader libico in Italia è stata al’insegna del ritardo. dere riproponendo una storica diffidenza verso gli Stati Uniti
50 minuti al Senato, 40 minuti al Quirinale, due ore all’Università di d’America». Secondo D’Alema, «occorre accettare la sfida del
Roma. Fini, superato il limite dei 120 minuti, ha deciso che il Big cambiamento pena il rischio di una emarginazione di questo noBen aveva detto stop e che il colonnello era fuori tempo massimo. stro Mediterraneo che pure è stato e vogliamo torni a essere
Forse a Gheddafi è andata meglio così. Il discorso che Fini avreb- straordinaria culla di civiltà «.
Il più “gheddafiano” di tutti sarebbe stato Pisanu: «Chi lo
be fatto alla Camera era tutt’altro che una sviolinata per il colonnello. Certo, c’era il riconoscimento delle responsabilità italiane conosce sa bene che il leader Gheddafi è un interlocutore fiero
nella «dominazione coloniale», e c’era anche la sottolineatura del della sua identità, saldo nelle sue convinzioni, abile e duro nel
«nuovo corso della politica estera libica caratterizzato dalla rinun- difendere gli interessi del suo Paese, ma sempre disposto al dialocia pubblica alle armi di distruzione di massa e alla condanna del go e pronto a comprendere le ragioni altrui. Bisognerebbe tenerterrorismo». Però c’era la sottolineatura che il terrorismo «non è ne conto prima di dare giudizi affrettati».
Nel frattempo, Fini ha raccolto una messe di lodi per la sua
mai alimentato dalle democrazie». «Le democrazie – avrebbe detto Fini – a partire da quella americana, possono sbagliare, ma decisione: dalla democratica Rosy Bindi al Pdl Italo Bocchino,
certo non possono essere paragonate ai terroristi». Una correzio- tutti sottolineano che ha agito per difendere la dignità del Parlane con la matita rossa del discorso in cui Gheddafi ha detto che mento. Di certo, gli invitati al convegno non si sarebbero annoiati:
non c’è differenza tra il terrorismo di al Qaida e i bombardamenti il parlamentare dell’Idv Stefano Pedica aveva annunciato che si
sarebbe presentato con addosso la bandiera degli Stati Uniti,
americani della Libia.
Ma Fini non si sarebbe fermato qui. Con altrettanto puntiglio mentre i rappresentanti della comunità ebraica italiana avrebbero
avrebbe detto a Gheddafi che gli italiani e gli ebrei della Libia cercato di consegnare a Gheddafi una richiesta di risarcimento
hanno «pagato per colpe non commesse da loro». E avrebbe per gli ebrei libici.
auspicato la partenza di una delegazione di parlamentari italiani
per vedere che cosa succede nei centri di raccolta degli immigrati
in Libia, dove finiscono anche i clandestini respinti in mare, soprattutto per quello che riguarda il rispetto dei diritti dell’uomo.