Festival Dakar 2010

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Festival Dakar 2010
Fabrizio Guglielmini
FESTIVAL MONDIAL DES ARTS NÈGRES: DAKAR 2010
A 44 anni di distanza dalla prima edizione e a 33 dalla seconda, tenute rispettivamente a
Dakar e a Lagos, il Festival Mondial des Arts Nègres è stato organizzato nuovamente (dal
10 al 31 dicembre 2010) nella capitale senegalese.
Dopo una lunga gestazione (numerosi i rinvii dovuti a problemi di natura politica e
finanziaria) il Festival è stato inaugurato allo stadio Senghor con divi della musica africana
come Youssou N’ Dour, Angelique Kidjo e Manu Dibango, per citare solo alcuni degli
artisti presenti alla serata d’apertura.
Il programma era articolato in numerose sezioni: musica, letteratura, arti visive e
fotografia, teatro, moda e architettura.
Ed è stata proprio la parte musicale quella che ha riservato le maggiori soddisfazioni al
pubblico locale e ai visitatori stranieri, con la presenza di 250 gruppi che hanno offerto
un’idea esaustiva dello stato dell’arte della musica africana contemporanea e delle
diaspore nere, con la massiccia partecipazione di artisti brasiliani e, sia pure in misura
minore, caraibici.
Proprio la partecipazione del Brasile è stata determinante per l’avvio della kermesse, in
particolare sul fronte dei finanziamenti, confermando l’enorme sforzo promozionale che il
paese americano sta affrontando per darsi una nuova immagine culturale e turistica a
livello planetario.
Le ambizioni del programma non hanno però coinciso con un’organizzazione all’altezza
degli obiettivi, considerando anche un budget complessivo di circa 52 milioni di euro.
Fin dalle battute d’avvio la logistica ha mostrato gravi carenze: continue cancellazioni di
spettacoli, tecnici che con il pubblico già presente tentavano sound check in extremis,
missaggi improbabili, musicisti che avrebbero dovuto suonare a Saint Louis (è il caso
dell’eccellente vocalist malgascia Tarika) che appena arrivati hanno accettato (con grande
spirito di professionalità) di esibirsi a Dakar.
A noi giornalisti stranieri l’incombenza di orientarci in una quotidianità in cui l’unica bussola
di qualche affidabilità erano i programmi stampati e distribuiti giorno per giorno negli hotel
e
nelle
sedi
istituzionali
(www.blackworldfestival.com)
del
Festival,
veniva
spesso
dal
momento
smentito
dai
che
anche
continui
e
il
sito
repentini
cambiamenti.
Tre i palcoscenici principali attorno ai quali ruotavano la maggior parte dei concerti nella
capitale: il Centro Culturale Francese, la scena allestita ai piedi del Monument de la
Renaissance (una statua alta 50 metri anacronistica per significati ed estetica
neosovietica) e il grande palco di Place de l’Obelisque dove la fruizione dei concerti era
molto difficoltosa come sempre avviene nei live allestiti in grandi spazi all’aperto.
Altri concerti erano in programma nell’ex spazio industriale della Biscuiterie e alla Maison
de la Culture Douta Seck, qui con una prevalenza di band e collettivi giovanili impegnati in
espressioni di cultura urbana.
La partecipazione popolare è stata garantita dall’accesso sempre gratuito agli spettacoli.
Raccogliendo voci e pareri in strada si passava dall’entusiasmo per una città invasa dalla
musica alla perplessità per il budget investito nell’operazione.
La sezione musicale, soprattutto grazie alla grande disponibilità e professionalità degli
artisti ospiti, è riuscita a garantire una visione d’insieme in grado di spaziare dall’ afrobeat
nigeriano al ‘mbalax senegalese, fino alle più urgenti espressioni dell’hip hop di successo
(Fat Joe e Akon) ed emergente (Nixx, Matador).
SERATE DIASPORA
Accanto a questi artisti, la presenza di musicisti brasiliani e africani americani ha ben
rappresentato l’emergere di nuovi sincretismi musicali nel movimento delle diaspore. Uno
sforzo, quest’ultimo, che ha trovato corrispondenza nelle serate Diaspora che hanno visto
esibirsi fianco a fianco il sassofonista Chico Freeman con il suo gruppo Guataca e i
giamaicani I Jah Man e Capleton. Figlio del sassofonista Von Freeman, Chico ebbe subito
modo di fare esperienza nella Chicago degli anni Sessanta, in un momento fondamentale
dello sviluppo musicale africano americano, legato alla nascita dell’Associazione militante
Aacm, voluta da grandi figure di musicisti intellettuali come Richard Abrams, Anthony
Braxton, Lester Bowie, Roscoe Mitchell. La scelta di Freeman è stata particolarmente
felice: da molti anni il solista si è avvicinato alle musiche cubane e il suo gruppo Guataca,
ispirato alla musica di grandi cubani come Machito, Tito Puente, Chucho Valdez, Non a
caso nello slang cubano “guataca” significa persona dalle grandi orecchie; chi sa captare i
suoni e trasformarli bene in musica.
Le serate Diaspora hanno inoltre beneficiato della presenza di un outsider assai
importante: l’haitiano Wyclef Jean (ex leader della band hip hop Fugees) che dal suo
martoriato paese ha portato non solo un rap di sapore caraibico ma una parola di
speranza per un futuro che fino ad oggi resta imbrigliato in un infinito e tragico presente.
Sempre nell’ambito della presenza lusofona è stato rilevante l’inserimento fra gli ospiti del
cantautore angolano Bonga (esiliato nel ’72 per la sua lotta a favore dell’indipendenza) e
soprattutto la realizzazione della Notte del Brasile: in scena la Scuola di Samba Império
Serrano di Rio de Janeiro, Paula Lima e Margareth Menezes (co-autrice per i Tribalistas),
unendo così momenti musicali e coreografici. Fra gli altri artisti di grande notorietà, il
cantautore Chico César, con la sua commistione di generi originari di diverse regioni
brasiliane, ha chiuso il festival a Saint Louis il 31 dicembre.
JAZZ E MUSICA AFRICANA
Anche il jazz ha avuto una nutrita rappresentanza di musicisti, e fra di loro hanno svettato
gli eccellenti solisti della Miles Davis Tribute Band, la formazione nordamericana che sta
rileggendo con spirito innovativo la sconfinata eredità musicale del trombettista africano
americano. Ma è stato soprattutto il pianista newyorkese Randy Weston a sottolineare il
legame fra Africa e jazz: Weston è stato uno dei primi jazzisti a rileggere le musiche rituali
gnaoua del Marocco durante i suoi ripetuti soggiorni a Tangeri negli anni Settanta.
E proprio alla cultura gnaoua è stata dedicato una serata a tema con Hassan Hakmoun, il
gruppo Tyour Gnaoua del solista di guembri Abdeslam Alikane di Essaaouria e il batterista
algerino Karim Ziad, quest’ultimo molto noto in Francia per i suoi dischi “di frontiera” fra
jazz e musiche tradizionali.
Domenica 19 l’omaggio a Miriam Makeba è stata l’occasione per ascoltare il cantautore
sudafricano Vusi Mahlasela che nei suoi brani coniuga un originalissimo african folk
all’impegno politico. Il nome di Mahlasela è l’occasione per soffermarsi sulla
partecipazione sudafricana al Festival: emozionante la presenza artistica e simbolica del
settantaduenne (in ottima forma) Hugh Masekela, il trombettista che con Letta Mbuli,
Kippie Moeketsi e Caiphus Semenya, è uno dei padri della musica sudafricana del ‘900.
Di grande interesse la presenza nigerina con il gruppo Etran Finatawa, formatosi durante il
Festival au Desert in Mali, unendo i ritmi delle culture Tuareg e Wodaabe (o Bororo): gli
Etran hanno restituito al pubblico un suono ritmico e vocale di matrice tradizionale e di
forte suggestione.
Di notevole impatto spettacolare anche l’esibizione di un artista che non è mai stato
presentato in Italia, il togolese King Mensah che unisce gli elementi sonori della tradizione
Ewe con funk e reggae.
Gli artisti senegalesi, circondati dal calore del “tifo” casalingo, erano rappresentati in ogni
espressione e stile: dalle chitarre acustiche e dalle voci dei Frères Guissé al ruvido e
potente ‘mbalax del cantante Omar Pene e dalla evocativa voce del peul Baaba Maal,
impegnato a ricercare una fusione fra l’eredità orale dei griot e sonorità contemporanee
prevalentemente acustiche.
Una presenza davvero storica è stata quella dei Bembeya Jazz della Repubblica di
Guinea, una delle formazioni che 44 anni fa si esibì a Dakar in occasione del primo
Festival Mondial des Arts Nègres. Il chitarrista Sekou Diabaté (classe 1938) interpreta da
decenni un originalissimo stile in cui gli accordi sono piegati a un virtuosismo impregnato
di schemi ritmici di grande efficacia. Un live di pregio che si è affiancato a quello del solista
di kora maliano Toumani Diabaté, la cui esibizione è stata purtroppo falsata da un
missaggio con enfasi sulle tonalità acute che a più riprese ha mortificato il suono evocativo
del suo delicato strumento.
In Place dell’Obelisque si è rivisto uno dei grandi nomi della rumba congolese in occasione
della serata dedicata alla Repubblica Democratica del Congo: Papa Wemba. Co-fondatore
negli anni Settanta della straordinaria formazione Kinshasa All-Stars, a partire dagli anni
Ottanta Wemba ha saputo adattare gli stilemi della rumba a un suono più moderno ed
elettrico, opera che gli ha valso l’attenzione dell’etichetta discografica dell’ex Genesis
Peter Gabriel e in seguito la fama internazionale. Accanto a lui il gruppo Congo All Star,
guidato dal promettente chitarrista congolese-senegalese Saintrick, ha offerto uno sguardo
d’insieme sulle musiche congolesi, sia sul piano vocale sia su quello strumentale.
LA MOSTRA INTERNAZIONALE SULLA MUSICA NERA
Dopo la chiusura del 31 dicembre con il rapper americano Akon (di origine senegalese)
non tutti i sipari sono calati sul festival. Alla Maison de la Culture Douta Seck la Mostra
Internazionale sulla Musica Nera resterà aperta fino al primo marzo 2011 per poi essere
trasferita in una nuova struttura in corso di realizzazione a Salvador de Bahia.
Sfruttando la multimedialità in modo accorto e intelligente l’esposizione attraversa stili,
protagonisti (da Fela Kuti a Marvin Gaye) ed evoluzioni delle musiche nere, dal blues
all’hip hop, con uno spirito filologico e d’intrattenimento esemplare.
I visitatori avevano così la possibilità di visionare splendidi filmati d’epoca (e spesso inediti
in Italia) con esibizioni live di Bob Marley e Miriam Makeba, quest’ultima ricordata con un
brano dal vivo filmato a Stoccolma negli anni Sessanta.
Un’ultima considerazione: il grande assente del festival è stato il pubblico straniero. La
scarsa partecipazione di turisti europei, americani e orientali è lo specchio di una mancata
promozione (si sarebbe trattato di un lavoro da intraprendere molto tempo fa) del Festival
all’estero. A riprova di questo la mancata partecipazione di una delegazione del Fesman al
Womex di Copenaghen nell’ottobre scorso, un’assenza imperdonabile trattandosi della più
importante fiera internazionale dedicata alla musiche del mondo.
Nonostante la continua oscillazione fra lacune e momenti da ricordare, restano le
aspettative e le speranze per una quarta edizione in grado di stabilizzare la presenza di un
festival panafricano degno di una ribalta internazionale.