Jaufre Rudel, Lanquan li jorn son lonc en mai (ed. Chiarini 2003

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Jaufre Rudel, Lanquan li jorn son lonc en mai (ed. Chiarini 2003
Jaufre Rudel, Lanquan li jorn son lonc en mai (ed. Chiarini 2003):
Schema metrico: a8 b8 a8 b8 c8 c8 d8, con mot-refrain ai vv. 2 e 4 di ogni cobla (lonh).
I
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Lanquan li jorn son lonc en mai
m’es belhs dous chans d’auzelhs de lonh,
e quan me sui partitz de lai
remembra·m d’un’amor de lonh:
vau de talan embroncx e clis,
si que chans ni flors d’albespis
no·m platz plus que l’iverns gelatz.
-
topico exordium stagionale (primaverile).
declinazione bicasuale (douS chanS).
opposizione lai (‘là’, dov’è l’amore
lontano) / sai (‘qui’, dove si trova il poeta).
·m è un pronome clitico di I sing.
embroncx < *PRŌNĬCĀRE (‘chinare’; cfr. il
gallicismo it. imbronciare); clis < CLINĀRE
(cfr. it. chinare): è una tristezza che fa
camminare a capo chino
Quando i giorni sono lunghi a maggio | mi piace il dolce canto di uccelli in lontananza, |e quando mi sono
allontanato da là | mi ricordo di un amore lontano: | me ne vado con sentimento triste e abbattuto, | così che
il canto e il fiore di biancospino | non mi piacciono più che l’inverno gelato.
II
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-
Ja mais d’amor no·m jauzirai
si no·m jau d’est’amor de lonh:
que gensor ni melhor no·n sai
ves nulha part, ni pres ni lonh.
Tant es sos pretz verais e fis
que lai el reng dels sarrazis
fos ieu per lieis chaitius clamatz!
-
-
chiasmo (amor - jauzir x jauzir - amor) e
anadiplosi imperfetta.
gensor < *GENITIOR, comparativo di gens
(‘gentile’), neoformazione sul modello di
melior, ecc.
pretz < PRĔTIU(M) (cfr. it. pregio).
amor è femminile in provenzale.
chaitius < CAPTIVU(M) (‘prigioniero’).
Mai non gioirò d’amore | se non gioisco di questo amore lontano: | perché più gentile e migliore non ne
conosco | da nessuna parte, né vicino né lontano. | Il suo pregio è tanto autentico e perfetto | che là nel
regno dei saraceni | fossi io per esso fatto prigioniero (lett. “chiamato prigioniero”)!
III
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-
Iratz e jauzens m’en partrai,
s’ieu ja la vei l’amor de lonh;
mas no sai quoras la veirai,
car trop son nostras terras lonh:
assatz i a pas e camis,
e per aisso no·n sui devis...
Mas tot sia cum a Dieu platz!
-
iratz < IRĀTU(M) (‘irato’, ‘corrucciato’);
ossimoro, figura retorica molto utilizzata
dai trovatori per descrivere il ‘paradosso’
amoroso.
vei (v. 16) - veirai (v. 17): poliptoto.
assatz è avverbio (< AD + SATIS).
aisso < ATQUE X ECCE + HOC.
devis < DIVINU(M).
Me ne partirò triste e gioioso, | se io mai lo vedessi, l’amore lontano; | ma non so quando lo vedrò, | perché
le nostre terre sono troppo lontane: | ci sono molti valichi e sentieri, | e per ciò non posso prevedere (lett.:
non ne sono indovino)... | Ma tutto sia come a Dio piace!
IV
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Be·m parra jois quan li querrai,
per amor Dieu, l’alberc de lonh:
e, s’a lieis platz, alberguarai
pres de lieis, si be·m sui de lonh.
Adoncs parra·l parlamens fis
quan drutz lonhdas er tan vezis
qu’ab cortes ginh jauzis solatz.
-
-
1
numerose riprese interne alla cobla: be·m (22) - be·m
(25); parra (22) - parra (26); alberc (23) - alberguarai
(24); lonh (23) - lonh (25) - lonhdas (27).
fis < FĬNE(M) ‘limite’ (il sostantivo diviene aggettivo
nell’accezione di ‘estremo’ e poi ‘sottile’ e, in senso
figurato, ‘raffinato’; cfr. anche il v. 12).
drutz < gallico *DRŪTO (‘caro’; cfr. il prov. it. drudo).
ossimoro: drutz lonhdas [...] vezis.
ginh < INGĔNIU(M) (‘qualità naturale’, ‘capacità’)
Davvero mi apparirà la gioia quando le chiederò, | per amor di Dio, l’albergo lontano: |e, se a lei piace,
albergherò / presso di lei, sebbene io sia lontano. | Allora la conversazione sarà perfetta | quando l’amante
lontano sarà tanto vicino | da godere con comportamento cortese del piacere.
V
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35
-
Ben tenc lo Senhor per verai
per qu’ieu veirai l’amor de lonh;
mas per un ben que m’en eschai
n’ai dos mals, quar tan m’es de lonh.
Ai! car me fos lai pelegris,
si que mos fustz e mos tapis
fos pels sieus belhs huelhs remiratz!
-
eschai, dal vb. eshcazer < EX + CADERE
fustz < FŪSTE(M) ‘bastone’, con
metaplasmo di declinazione (cfr. it. fusto)
mos fustz e mos tapis fos: concordantia ad
sensum.
Ben tengo il Signore per verace |grazie al quale vedrò l’amore lontano; | ma per un bene che mi capita | ne
ho due mali, perché m’è tanto lontano. | Ahimé! Fossi là pellegrino, | così che il mio bordone e la mia cappa
| fossero rimirati dai suoi begli occhi!
VI
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Dieus, que fetz tot quant ve ni vai
e formet sest’amor da lonh,
mi don poder, que cor ieu n’ai,
qu’ieu veia sest’amor de lonh,
veraiamen, en tals aizis,
si que la cambra e·l jardis
mi resembles totz temps palatz!
-
aizis < ADJACENS ‘che giace accanto’ e
dunque ‘comodo’ (la voce dà esito al
provenzalismo it. agio)
Dio, che fece tutto quanto viene e va | e formò questo amore lontano, | mi doni potere, poiché ne ho la
volontà, | che io veda questo amore lontano, | veracemente, in tali agi, | sì che la camera e il giardino | mi
sembrino sempre una reggia!
VII
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-
Ver ditz qui m’apella lechai
ni deziron d’amor de lonh,
car nulhs autres jois tan no·m plai
cum jauzimens d’amor de lonh.
Mas so qu’ieu vuelh m’es athais,
qu’enaissi·m fadet mos pairis
qu’ieu ames e non fos amatz.
-
lechai < *LIGICARE ‘leccare’
athais, dal verbo athainar (‘impedire’) <
goto TAHEINS ‘dispersione’
fadet, dal verbo fadar < FĀTU(M)
enaissi < IN + ATQUE X ECCU + SIC
pairis < PATRĪNU(M)
Dice il vero chi mi chiama goloso | e desideroso di amore lontano, | perché nessun’altra gioia non mi piace
tanto | quanto il godimento dell’amore lontano. | Ma ciò che io voglio mi è proibito, | poiché così mi fatò il
mio padrino | che io amassi e non fossi amato.
VIII
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Questa è la tornada della canzone. Si tratta di
una tornada ‘a eco’ perché replica, pur con
variazione, gli ultimi versi dell’ultima cobla.
Mas so qu’ieu vuelh m’es athais.
Totz sia mauditz lo pairis
que·m fadet qu’ieu non fos amatz!
Ma ciò che io voglio mi è proibito. | Sia stramaledetto il padrino | che mi diede in sorte che io non fossi
amato!
2
Vida di Jaufre Rudel (ed. Chiarini 2003):
Jaufres Rudels de Blaia si fo mout gentils hom,
princes de Blaia. Et enamoret se de la
comtessa de Tripol, ses vezer, per lo ben qu’el
n’auzi dire als pelerins que venguen
d’Antiocha. E fez de leis mains vers ab bons
sons, ab paubres motz. E per voluntat de leis
vezer, el se croset e mes se en mar, e pres lo
malautia en la nau, e fo condug a Tripol, en un
alberc, per mort. E fo fait saber a la comtessa
et ella venc ad el, al sieu leit, e pres lo entre
sos bratz. E el saup qu’ella era la comtessa, si
recobret l’auzir e·l flazar, e lauzet Dieu, que
l’avia la vida sostenguda tro qu’el l’agues
vista; et enaissi el mori entre sos bratz. Et ella
lo fez a gran honor sepellir en la maison del
Temple; e pois, en aquel dia, ella se rendet
monga, per la dolor qu’ella ac de la mort de
lui.
Jaufre Rudel di Blaia fu molto nobile uomo,
principe di Blaia. E si innamorò della contessa di
Tripoli, senza averla vista, per il bene ch’egli ne
udì dire ai pellegrini che erano venuti da
Antiochia. E fece su di lei molti versi con buone
melodie, con semplici parole. E per il desiderio di
vederla, si fece crociato e si mise per mare, e lo
colse una malattia nella nave, e fu condotto a
Tripoli, in un ricovero, come morto. E fu fatto
sapere alla contessa ed ella venne a lui, al suo
letto, e lo prese tra le sue braccia. Ed egli si rese
conto che ella era la contessa, recuperò l’udito e il
respiro, e lodò Dio, che l’aveva tenuto in vita
finché l’avesse vista; e così egli morì tra le sue
braccia. Ed ella lo fece seppellire con grande
onore nella casa del Tempio; e poi, in quel
giorno, ella si fece monaca, per il dolore che ella
ebbe della morte di lui.
BREVE NOTA DI COMMENTO:
Come nella gran parte delle vidas, il testo si apre con l’indicazione del nome e dello status sociale
del poeta. In questo caso, l’informazione fornita dal biografo è corretta: Gauffredus Rudelli,
Blaviensium princeps, è attestato in un atto posteriore al 1125 e partecipò verosimilmente alla II
crociata (1147-49). Lo spunto per la parte narrativa della prosa viene invece all’autore della vida da
Lanquan li jorn son lonc en mai, in particolare dalla sezione centrale della canso (procedimento
autoschediastico). Andrà notato che la parabola biografica del personaggio-Jaufre termina quando
si colma la lontananza tra i due amanti: proprio in questo momento viene meno una delle
condizioni indispensabili dell’amore cortese, cioè la presenza di una distanza incolmabile tra il
trovatore e la domna (distanza in questo caso geografica, abitualmente di rango sociale). L’incontro
avviene nel momento in cui trova realizzazione la voluntat de leis vezer: i luoghi narrativamente
salienti della vida vedono in effetti la presenza di forme del verbo vezer (ses vezer è la natura
dell’amore di Jaufre, la voluntat de leis vezer è il motore dell’azione, tro qu’el l’aves vista è il limite
temporale estremo della vita del poeta), che in Lanquan si concentrano nelle coblas V e VI.
Dal punto di vista retorico, si nota innanzitutto una spiccata preferenza per la costruzione
paratattica: la coordinazione polisendetica viene effettuata con l’esclusivo utilizzo della
congiunzione et. La conseguenza di questa situazione è che il testo della vida si configura come una
sorta di unico periodo ininterrotto contraddistinto dalla presenza di un gran numero di predicati
verbali espressi ( ci si concentra innanzitutto sulle azioni): «il piano del discorso tende qui a
combaciare con quello della storia o, meglio, a celarsi dietro di essa fino a scomparire del tutto. [...]
Qui nessuno parla; i fatti si autoaffermano e si autoraccontano come procedendo di energia
propria nella fatalità di un’intatta linea di successione “naturale”».1
Valeria BERTOLUCCI PIZZORUSSO, Il grado zero della retorica nella vida di Jaufre Rudel, in «Studi
mediolatini e volgari», XVIII (1970), pp. 7-26, a p. 13.
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Paris, BNF, Français 854 (canzoniere I), c. 121v, Morte di Jaufre Rudel
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