matisse - Mondo Mostre

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Alle Scuderie del Quirinale dal 5 marzo al 21 giugno 2015 MATISSE ARABESQUE “La preziosità o gli arabeschi non sovraccaricano mai i miei disegni, perché quei preziosismi e quegli arabeschi fanno parte della mia orchestrazione del quadro”. Henri Matisse La révélation mʹest venue dʹOrient scriveva Henri Matisse nel 1947 al critico Gaston Diehl: una rivelazione che non fu uno shock improvviso ma ‐ come testimoniano i suoi quadri e disegni ‐
viene piuttosto da una crescente frequentazione dellʹOriente e si sviluppa nellʹarco di viaggi, incontri e visite a mostre ed esposizioni. Proposta dalle Scuderie del Quirinale, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, da Roma Capitale ‐ Assessorato alla Cultura e Turismo, la mostra è organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in coproduzione con MondoMostre e catalogo a cura di Skira editore. In esposizione oltre cento opere di Matisse con alcuni capolavori assoluti ‐ per la prima volta in Italia ‐ dai maggiori musei del mondo: Tate, MET, MoMa, Puškin, Ermitage, Pompidou, Orangerie, Philadelphia, Washington solo per citarne alcuni. Curata da Ester Coen, con un comitato scientifico composto da John Elderfield, Remi Labrusse e Olivier Berggruen, Matisse Arabesque, vuole restituire unʹidea delle suggestioni che lʹOriente ebbe nella pittura di Matisse: un Oriente che, con i suoi artifici, i suoi arabeschi, i suoi colori, suggerisce uno spazio più vasto, un vero spazio plastico e offre un nuovo respiro alle sue composizioni, liberandolo dalle costrizioni formali, dalla necessità della prospettiva e della ʺsomiglianzaʺ per aprire a uno spazio fatto di colori vibranti, a una nuova idea di arte decorativa fondata sull’idea di superficie pura. Henri Matisse non era destinato alla pittura, “Sono figlio di un commerciante di sementi, al quale avrei dovuto succedere nella gestione del negozio”, cerca di intraprendere la carriera di avvocato prima di diventare un artista. Sarà la sua salute a cambiare il corso della storia. Lavorava come assistente in uno studio legale di Saint‐Quentin, quando nel 1890 una grave appendicite lo costringe a letto per quasi un anno. Comincia a dedicarsi alla pittura e dal 1893 frequenta l’atelier del pittore simbolista Gustave Moreau insieme con l’amico Albert Marquet. Si iscrive ufficialmente allʹ École des Beaux Arts nel 1895, dove insegnano molti Orientalisti. In quegli anni vedrà molto Oriente: visita la vasta collezione islamica del Louvre in esposizione permanente e le diverse mostre che, nel 1893‐1894 e soprattutto nel 1903, vennero dedicate all’arte islamica al Musée des Arts Decoratifs di Parigi. E poi, all’Esposizione mondiale del 1900, scopre i paesi musulmani nei padiglioni dedicati a Turchia, Persia, Marocco, Tunisia, Algeria ed Egitto. Matisse frequenta anche le gallerie dell’avanguardia, come quella di Ambroise Vollard, dal quale acquista nel 1899 un disegno di Van Gogh, un busto in gesso di Rodin, un quadro di Gauguin e uno di Cézanne, che influenzerà moltissimo l’opera di Matisse. Viaggia in Algeria (1906), ne riporta ceramiche e tappeti da preghiera che nel disegno e nei colori riempiranno le sue tele da li in poi, in Italia (1907) visita Firenze, Arezzo, Siena e Padova “quando vedo gli affreschi di Giotto non mi preoccupo di sapere quale scena di Cristo ho sotto gli occhi ma percepisco il sentimento contenuto nelle linee, nella composizione, nei colori”. La visita alla grande “Esposizione di arte maomettana” a Monaco di Baviera nel 1910 – la prima mostra di arte mussulmana che influenzerà una generazione di artisti, da Kandinsky a Le Corbusier – sarà il vero spunto per un tipo di decorazione di impianto compositivo assai lontano dalle sue tradizioni occidentali. Eʹ a Mosca nellʹautunno 1911 per curare l’installazione in casa Schukin di La danza e La musica. Nel 1912 torna in Africa, stavolta la meta è il Marocco, Tangeri la bianca. Ecco che il tailleur de lumiere, come lo battezza non a caso il genero Georges Duthuit, è sorpreso da una luce dolce e da una natura lussureggiante che andranno ad accentuare la sua cadenza armonica, musicale: “un tono non è che un colore, due toni sono un accordo”. Matisse si lascia alle spalle le destrutturazioni e le deformazioni proprie dell’avanguardia, più interessato ad associazioni con modelli di arte barbarica. Il motivo della decorazione diventa per l’artista la ragione prima di una radicale indagine sulla pittura. Eʹ dai motivi intrecciati delle civiltà antiche che Matisse coglie i principi di rappresentazione di uno spazio diverso che gli consente di “uscire dalla pittura intimistica” di tradizione ottocentesca. Il Marocco, l’Oriente, l’Africa e la Russia, nella loro essenza più spirituale e più lontana dalla dimensione semplicemente decorativa, indicheranno a Matisse nuovi schemi compositivi. Arabeschi, disegni geometrici e orditi, presenti nel mondo Ottomano, nell’arte bizantina, nel mondo ortodosso e nei Primitivi studiati al Louvre; tutti elementi interpretati da Matisse con straordinaria modernità in un linguaggio che, incurante dell’esattezza delle forme naturali, sfiora il sublime. Nella prima sala ci accoglie la monumentale natura morta Gigli, Iris e Mimose del 1913 (Museo Puškin, Mosca) anticipatoria della magia cromatica dei toni dell’azzurro e del verde, colori che Matisse riprende dal mondo della decorazione orientale, in particolare dalla ceramica ottomana e nord‐africana del XV e XVI secolo, ove la natura è rappresentata in modo simbolico. Ma già dalla sala successiva il percorso della mostra propone suggestioni diverse: il primitivismo, di cui è nota la passione di Matisse e il suo amore collezionistico per le maschere e i tessuti africani. I colori si scuriscono e i segni diventano semplici, geometrici, come nel Ritratto di Yvonne Landsberg del 1914, capolavoro del Philadelphia Museum of Art e vicino, come potenza visiva, alle Demoiselles d’Avignon del 1907, icona rivoluzionaria dei linguaggi artistici del Novecento. Accanto, una serie di eccezionali ritratti che raccontano la trasformazione sempre più essenziale del tratto dell’artista: dall’Italiana del 1916 (Solomon R. Guggenheim Museum, New York), alla Ragazza con copricapo persiano del 1915 ‐ 16 (The Israel Museum, Gerusalemme), alle Tre sorelle del 1916‐17 (Musée de l’Orangerie, Parigi): atmosfere primitivistiche per spingere lo sguardo a individuare i rapporti di fascinazione di Matisse con oggetti, maschere e tessuti africani. Matisse rivolge il suo sguardo anche verso schemi decorativi delle culture estremo‐orientali ed in sala 3 ecco un ritorno ai picchi di colore con la presentazione di due dipinti della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, il Ramo di Pruno su fondo verde della fine degli anni quaranta, e Fruttiera ed edera in fiore del 1941, le cui cromie brillanti e i motivi vegetali sono frutto dell’interesse di Matisse per la semplicità decorativa dell’Estremo Oriente, accanto a ceramiche e surimono giapponesi che riecheggiano, di quei dipinti, le forme e i motivi staccati dallo sfondo. Nella sala 4 il mondo del Mediterraneo esplode nei suoi colori più significativi, attraverso il Marocco e il rapporto con il mondo islamico (Matisse possedeva tessuti di tutte le regioni del mondo con cui usava tappezzare le pareti dei suoi atelier, nello stile delle abitazioni dei nomadi). Nel celeberrimo Zohra sulla terrazza del 1912 (Museo Puškin, Mosca) che per la prima volta viaggia in Italia, così come in Marocchino in verde sempre del 1912 (Hermitage, San Pietroburgo) e negli altri quattro quadri della sala, capolavori di questi anni, Matisse rende l’effetto “tessile” dell’impianto pittorico attraverso l’estrema semplificazione dell’immagine e l’esuberanza del colore che tocca qui le note più acute. In questa sala, in chiave puramente evocativa, saranno presentate due grandi pareti formate da maioliche di Iznik, ovvero di tradizione turco‐ottomana del XV e XVI secolo, ma anche proveniente dal mondo siriano e della Persia. Nella sala 5, un Matisse meno comune ci sorprende con tre straordinari paesaggi degli anni dieci Pervinche ‐ Giardino marocchino del 1912 (MoMA, New York), L’albero presso il laghetto di Trivaux del 1916 (Tate, Londra) e La Palma del 1912 (National Gallery of Art, Washington) così legati alle suggestioni del viaggio in Marocco, opere in cui Matisse elabora la sintesi dell’intarsio cromatico sulle dominanti del verde e del rosa. Accanto ai paesaggi, in questa sala, alcune illustrazioni di Matisse, le acqueforti con segno regolare e sottilissimo per il libro di poesie di Mallarmé del 1932. L’artista dice di queste illustrazioni “Il problema consisteva nell’equilibrare le pagine – una bianca, quella dell’acquaforte, e una nera, quella della tipografia. Ho risolto questo problema modificando il mio arabesco in modo che l’attenzione di chi guarda sia attirata allo stesso modo dal foglio bianco e dalla promessa di lettura del testo.” Nello studio di Matisse, tra collezioni di vasi islamici, preziosi stoffe orientali e gabbie di tortore bianche, era presente spesso anche una modella. Affascinato dal rapporto tra il corpo femminile e l’ambiente dell’atelier, allestito sempre come una scenografia, l’artista dipingeva la magia delle odalische distese, sedute o in piedi e dei tessuti arabescati, sottolineando il gioco di linee che invadevano lo spazio nella seducente esplosione di colori. Nella Sala 6 ecco il fascino misterioso di Odalisca blu del 1921 (dall’Orangerie), la sensualità di Due modelle che si riposano del 1928 e del Paravento moresco del 1921 (entrambi dal Philadelphia Museum of Art) e poi ancora raffinatissimi e sapienti disegni di profili femminili nelle misteriose pose e nei ricchi abiti di odalische. Ma i viaggi ritornano ancora, questa volta con rimandi a motivi decorativi europei: l’abito spagnolo nel dipinto dal piglio energico della Danzatrice spagnola del 1909 (dal Museo Puškin) o nell’abito giallo di Katia del 1951 (dalla Fondazione Pierre e Tana Matisse di New York). E poi alcuni disegni di nudi degli anni Trenta, come Nudo disteso su piccolo tappeto africano del 1935 (Centre Pompidou), Donna che si riposa del 1935, Nudo seduto del 1944 e Nudo disteso sulla schiena del 1946 (Museo Matisse, Nizza) . Matisse collabora – come tanti artisti dell’epoca, tra cui lo stesso Picasso – con i Balletti Russi di Diaghilev, e alle Scuderie lo vediamo cimentarsi nella realizzazione di costumi ed abiti di scena. Accompagnati dalle note di Stravinskij, invadono lo spazio i costumi del Chant du Rossignol del 1920, disegnati per il balletto coreografato da Léonide Massine, una sorta di opera totale dove balletto, musica e pittura si intrecciano in un’unica fantastica visione. La mostra prosegue in sala 9 con un gioco di rimandi tra interno ed esterno attraverso i dipinti Interno con fonografo del 1934 (dalla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli) Interieur à Etretat del 1920, dove il tema della finestra, motivo della possibilità di superare con lo sguardo i confini della tela, riconduce interno ed esterno sulla stessa dimensione pittorica. Nell’ultima sala ritorna il gesto essenziale nei sorprendenti studi e disegni di foglie, alberi e piante, dalle superfici smisurate, dalla potenza di veri e propri dipinti, in particolare il Buisson del 1951 della Fondazione Maeght o l’Arbre del 1951 (Centre Pompidou), disposti come una immensa foresta vegetale sulla parete, in un crescendo che culmina nel momento di massima concentrazione sul noto, splendido dipinto del Puškin, i Pesci rossi, capolavoro del 1912. Una mostra che, attraverso il rimando a oggetti delle ricche e fastose culture figurative citate, a ibridazioni e a commistioni di generi e stili, farà rivivere il lusso e la delicatezza di mondi antichi, esaltati dallo sguardo visionario, profondo e straordinariamente contemporaneo di un artista geniale e grandioso come Matisse. 

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