Douce France (intro)
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Douce France (intro)
INTRODUZIONE Il cinema «beur», termine con il quale vengono definiti i giovani di origini maghrebine nati o cresciuti in Francia, è il cinema di chi, questa immigrazione, l’ha vista solo riflessa negli occhi dei propri padri ed è stato cresciuto con una cultura, usanze e ricordi che lo seguono come ombre, ma di un altro corpo. Si è sviluppato nella prima metà degli anni Ottanta in Francia, ma ancora oggi non è conosciuto dal grande pubblico e, soprattutto, è quasi del tutto ignorato al di fuori dei confini francesi. I film dei registi «beur», in molti casi, vengono selezionati per festival cinematografici internazionali: un esempio è Le soleil assassiné di Abdelkrim Balhoul, presentato nella sezione “Controcorrente” all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia; ma, nonostante questo, l’interesse che la critica gli ha dedicato si è sempre fermato all’interpretazione di questo cinema come fenomeno sociale, piuttosto che cinematografico. Questo lavoro si propone come un’analisi del cinema «beur» degli anni Novanta, quando il panorama di questo si presenta sempre più complesso: in questi anni s’incrociano infatti le realizzazioni di tre generazioni di registi. A questa vivacità nella produzione non corrisponde però un ampio successo di pubblico e un forte interesse della critica. La produzione del decennio precedente, al contrario, ha ricevuto già analisi e consensi. Si tratta infatti, della tappa fondamentale del cinema «beur», che in quegli anni si forma come naturale proseguimento del cinema dell’emigrazione della prima generazione, grazie anche ad un clima politico favorevole, a causa dell’ascesa della sinistra francese, e della forte mobilitazione sociale contro il razzismo. Una realtà che, perciò, era particolarmente sensibile e disponibile a questo genere di produzione e che di fatto sarà un terreno fertile per il cinema «beur», che vi troverà sostegno di critica e di pubblico. È in questi anni che Le thé au harem d’Archimède (1985), diretto da Mehdi Charef e tratto dal suo omonimo romanzo, ottiene il premio “César”, portandolo ad essere considerato il film che ha permesso, grazie al suo successo, lo sviluppo del cinema «beur». Gli anni Ottanta si presentano ricchi di film, ma in particolare di testi che s’interessano a loro: basti pensare al n°112 di «Cinématographe», con titolo Cinéma Beur, al catalogo di Riminicinema del 1988 curato da Piera Detassis e Fabrizio Grosoli Cinéma Beur: generazione zero, e il n°56 di «Cinémaction» curato da Guy Hennebelle e Roland Schneider nel 1990 Cinéma métis: de Hollywood aux films beurs. Perché dunque negli anni Novanta, nonostante la produzione dei registi che si sono già affermati nel decennio precedente e, soprattutto, nonostante l’esordio di molti altri giovani «più o meno beur» (Doukar, H., 1990n: 186), non si trova lo stesso clima d’interesse? Riuscire a dare uno sguardo complessivo su un fenomeno così recente, è sicuramente complesso rispetto ad una produzione più datata, verso la quale si può assumere un punto di vista “storico”. Ma le ragioni sono molteplici, quante i film che le racchiudono, e intricate, quanto gli sguardi degli occhi scuri e profondi tra questi personaggi, e la mia analisi prende forma proprio da questo intimo intreccio. In parte sono stati gli stessi registi a reagire e distanziarsi dalla classificazione di «beur», con la quale si trovano in disaccordo perché troppo angusta, o, al contrario, troppo ampia, tanto da far confluire una parte di questo cinema in quello che è stato definito, in seguito al successo de La haine (1995) di Mathieu Kassovitz, cinema di «banlieue». Di impatto più forte è stato un cambiamento all’interno della società e del cinema francesi che ha coinvolto, naturalmente, anche il cosiddetto cinema «beur». Se da una parte gli attori e i registi «beur» rivendicano il diritto di appartenere al cinema francese e di non essere considerati un “genere” a parte, dall’altra sempre più personaggi di origini arabe si trovano in film di registi francesi. Proprio da questi ultimi, in particolare dai più giovani, nascono i primi cambiamenti, nasce un nuovo cinema che parla di piccole storie in cui i personaggi sono spesso appartenenti alle fasce più deboli della società: ragazzi, disoccupati, immigrati e tutti coloro che vengono “ghettizzati” nella realtà dispersiva delle grandi città. Da ciò si può cominciare a parlare di una possibile confluenza tra cinema «beur» e cinema francese. Si tratta perciò di un processo, di una vera e propria evoluzione, che come tale ha alle sue spalle un passato con cui ci si deve confrontare serenamente, senza vergogna o paura. In seguito a queste osservazioni, ho deciso di organizzare il lavoro in cinque parti, delle quali la prima si concentra sull’indagine delle complesse radici del cinema «beur», nato dal cinema dell’emigrazione. Questa prima parte ha carattere prettamente storico: è descritta la nascita e lo sviluppo durante gli anni Ottanta del cinema «beur». Nelle tre sezioni centrali si passa all’analisi degli anni Novanta, ma in questo caso con un percorso di tipo tematico, attraverso il quale, evidenziando le problematiche che ricorrono nei film dei registi «beur», si ricercano i legami con i film francesi. Si va delineando così una possibile struttura che porta alla luce quella che, più che una probabile fusione, si presenta ormai come una decisa affermazione della presenza attiva e viva di attori e registi «beur» nel cinema francese, senza perdere ciò che hanno in più: un bagaglio culturale complesso con cui confrontarsi. Per questo motivo, oltre che per questioni di praticità nel lavoro, durante tutta la stesura si è mantenuta la definizione, per quanto arbitraria, di cinema «beur». Nell’ultima parte, si riprende un discorso più cinematografico, con l’intenzione di riordinare le osservazioni effettuate sui film e sui registi che sono stati presi in considerazione nelle sezioni precedenti. Un interesse ancora maggiore e un’impronta ancora più forte, in questo sguardo sui temi del cinema «beur» e della sua evoluzione all’interno del cinema francese, si ottengono se lo paragoniamo alle realtà simili che esistono in altri paesi europei, come il cinema turco in Germania, o il cinema indo-pakistano in Gran Bretagna. La rassegna del festival di Pesaro del 2000 dedicata al cinema del «métissage» europeo, proprio alla fine del decennio preso in considerazione in questo lavoro, è il deciso segnale che il fenomeno si può riportare su grande scala a tutta l’Europa. All’interno di un discorso sulle cinematografie “meticce” il ruolo dei «beur» è fondamentale: anche quando non sono propriamente meticci, avendo entrambi i genitori maghrebini, o, ancora, sono arrivati in Francia da bambini, i giovani «beur», pur essendo e sentendosi francesi a tutti gli effetti, portano comunque con loro una diversa cultura, un “apparato genetico” di cui spesso conoscono ben poco, ma che li distingue. Per svolgere questa analisi è stato necessario un periodo di ricerca all’estero a causa della difficile reperibilità del materiale visivo in Italia. Parigi ha permesso la raccolta di buona parte dei film prodotti in questi ultimi anni. Mi è stato possibile reperire il materiale necessario, e vedere molti film «beur» e non solo che in alcuni casi erano molto difficili da trovare, grazie ad alcune biblioteche: in particolare, la BNF (Bibliothèque nationale française) e la BIFI (Bibliothèque du film); di quest’ultima vorrei ringraziare il personale, particolarmente gentile e disponibile. Anche il “Forum des Images”, dove si trovano tutti i film di cui Parigi è in qualche modo lo sfondo, o, a volte, la protagonista, si è rivelato un prezioso aiuto per far in modo che io potessi avere la più ampia visione possibile sull’argomento. Un ringraziamento particolare lo rivolgo anche all’IMA (Institut du monde arabe), dove durante il periodo di ricerca mi è stato permesso di vedere, ogni week-end, film che altrimenti non avrei mai potuto vedere su grande schermo, nonché alle seguenti case di produzione, che si sono dimostrate particolarmente disponibili concedendomi il prestito di alcuni film: la Kfilms production, la Quo Vadis Cinéma, l’ACID e Les films Pelléas.