I luoghi della formazione di Goliarda Sapienza
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I luoghi della formazione di Goliarda Sapienza
I luoghi della formazione di Goliarda Sapienza: Io Jean Gabin Milagro Martín Clavijo La casa editrice Einaudi pubblica il romanzo Io, Jean Gabin nel 2010, quattordici anni dopo la morte dell’autrice e trent’anni più tardi dell’inizio della sua stesura. Un romanzo postumo, come già siamo abituati con l’opera di Goliarda, un romanzo lasciato da parte, prima dalla stessa scrittrice e dopo dalle case editrici. Un romanzo autobiografico1, dove Goliarda non taccia niente, dove si mostra libera per ricordare, ma anche per giocare con la memoria, quegli anni, quelle figure della sua infanzia e adolescenza, quelle strade che conosce a occhi chiusi, ma già alla fine degli anni settanta, quando comincia a scriver l’opera, così lontani. Io, Jean Gabin ci fa ritornare a Lettera aperta -1967- e in certo modo, come afferma Angelo Pellegrino2, la integra e chiude il suo cerchio autobiografico. È un libro sui ricordi di una vita vissuta ma anche sognata. Un’opera, come afferma Alessandro Puglisi, «intimamente autobiografica in cui racconta gli anni dell’infanzia e della prima adolescenza, con un piglio discorsivo, spesso perduta tra i meandri delle subordinate, in fuga da pensieri (o in cerca di spiegazioni?), sempre con un occhio ad una memoria storica, necessariamente risicata.»3 Una nuova forma di ritornare al passato, che non è statica ma in continuo movimiento, perché il suo atteggiamento nei confronti del passato non è mai improntato alla conservazione e alla cristallizzazione di persone, luoghi e sentimenti, quanto piuttosto a una revisione instancabile, che moltiplica e rifrange il punto di osservazione. (...) dalla bambina che è stata un tempo, ora Sapienza riesce a rappresentare le più intime, controverse sfumature in modo più libero e insieme più articolato e profondo4. Un romanzo, perciò, molto importante per capire Goliarda Sapienza, non solo come narratrice brillante che è ma specialmente come persona, con i suoi sogni, le sue contraddizioni più intime, i suoi modelli di formazione e il tempo in cui visse. Un’opera centrata nei luoghi dove Goliarda bambina trascorre infanzia e adolescenza, posti pubblici e privati popolati da tante figure che influiscono decisamente nella formazione del suo carattere, della sua personalità. Sono tanto i luoghi della realtà come quelli della fizione, della fantasia, della proiezione dei sogni nella quotidianità al centro di questo romanzo e sarà di questi luoghi di cui parlerò in questo saggio. Da una parte i luoghi della realtà: la sua isola ancorata nel passato ma piena di vita, Catania con la lava dappertutto e l’Etna che ci ricordano la precarietà di tutto ma anche il sollevarsi dopo ogni caduta, e soprattuto la sua Civita, il suo quartiere malfamato sì, ma ormai una parte importante di sé stessa, come anche la casa dei Giudice-Sapienza e popolata da un’infinità di figure che diventeranno col tempo pièces di un grande puzzle che sarà Goliarda. E dall’altra i luoghi del sogno: il cinema Mirone, la casa del puparo e la sua soffitta dove si butta nella lettura e la scrittura dei suoi quaderni. Due mondi talvolta in franca contraddizione, altre volte complementari e sempre necessari per la crescita in tutti i sensi della bambina, di Iuzza. Ma alla 1 Su cosa si intende per “romanzo autobiografico” e i tipi di autobiografismo che si osservano nelle opere di Goliarda Sapienza vedere il saggio di M. ANDRIGO, “L’evoluzione autobiografica di Goliarda Sapienza: stile e contenuti”. 2 A. PELLEGRINO, “Postfazione”, in G. SAPIENZA, Io, Jean Gabin, Einaudi, Torino, 2010, p.123. 3 A. PUGLISI, “Io, Jean gabin di Goliarda Sapienza”, Sul romanzo, 30-04-2010, http://www.sulromanzo.it/2010/04/io-jeangabin-di-goliarda-sapienza.html 4 M.V. VITORI, “Recensione di ‘Io, Jean Gabin’ di Goliarda Sapienza”, L’Indice, 2010, http://www.ibs.it/code/9788806201890/sapienza-goliarda/jean-gabin.html sua volta, ogni mondo, reale o sognato, è così ambivalente, pieno di spunti che tradizione e modernità, fascismo e antifascismo, compromesso sociale e indifferenza, azione e spettacolo vanno sempre della mano. E così Goliarda non può non dondolare, non diventare una pendolare tra una cosa e il suo opposto. 1.- I luoghi della realtà 1.1.- «La strada! La strada apre tutte le occasioni e le avventure!» Goliarda è siciliana, catanese, nasce nella Civita, cresce tra i suoi vicoli e la sua gente e si sente anche una parte integrante di essa. Vive la Catania autentica, il nucleo più vivace della città etnea una «realtà cruda e immodificabile, eppure a suo modo surreale della Civita. Un paesaggio umano di poveri, emarginati, piccoli truffatori, prostitute che si muove tra le quinte di un’architettura che solo di notte rivela il suo cuore stregato.»5 Un «quartiere di favola» (IJG, p.29)6, come lo chiama Goliarda, un «grande città nella città dove tutto ti poteva accadere e dove tutti trovavano il modo d’imbrogliare, rubare, creare, competere, e anche guadagnarsi il pane onestamente se onesti si nasceva.» (IJG, p.45) Un quartiere dove «tutti e in tutte le ore possono fare quello che vogliono a dispetto dell’ordine costituito e del fascio.» (IJG, p.29) e specialmente di notte le sue vie e vicoli riapparono agli occhi di Goliarda bambina come una favola misteriosa ma anche piena di mostri, di pericoli: «La Civita la notte, quando tutti i bassi erano chiusi, svegliava i suoi mostri scolpiti in quella pietra affilata e nera d’inferno e cominciava a risuonare tutta di gemiti, grugniti, fiati lunghi di serpenti, mori, meduse, melusine.» (IJG, p.87) Ed è in questo quartiere magico e maledetto dove comincia la formazione di Goliarda Sapienza. «Goliarda la vita la imparò dalla vita: per le strade di una Catania malfamata e ambigua, in mezzo alle chiacchiere di pupari e intrecciatori di fiori di gelsomino, nei ricordi nolenti del suo clan famigliare, al cinema Mirone.»7 È la gente del popolo, tra la quale Goliarda si muove con naturalità, senza sforzo, quella che le insegna la parte più pratica della sua formazione: a sopravvivere con piccoli lavoretti che rimandano, però, a mestieri tradizionali, agli artigiani che costruiscono e creano con le proprie mani: quello del puparo, del gelsominaro, della siedarola. Lavori che lei fa con accuratezza e allegria. Ma anche nelle sue passeggiate per il quartiere lei trova personaggi di diversa indole con cui istaura un rapporto amichevole, cercando sempre di imparare qualcosa anche da loro. In questo senso, la Civita è piena di gente interessante, fuori dal comune, a volte stravaganti ed eccentriche, altre marginali e forse anche pericolose e misteriose, viste con gli occhi di una bambina piena di immaginazione. È il caso di Rosa ‘la pistolina’, la bambina con la forza da gigante, di Tatò, il mendicante senza mani, della mamma del quartiere che fa nascere bambini e combina matrimoni, delle prostitute, del gelsominaro che mette paura a Goliarda perché circondato da qualcosa di misterioso, delle due ragazze che aiutano in casa, le due assassine condonate, Tina e Zoe, della famiglia Bruno o dell’avvocato Castiglione, per citare solo alcuni dei personaggi che popolano le pagine di questa opera corale che ci ha dato Goliarda. 5 Ibidem. Tutte le citazioni presi da Io, Jean Gabin (IJG) sono state prese da G. SAPIENZA, Io, Jean Gabin, Einaudi, Torino, 2010. 7 A. MINERVINI, “L’arte della Sapienza”, Giudizio Universale, 15-05-2010, http://www.giudiziouniversale.it/category/tags/alessandra-minervini 6 Da loro Goliarda impara il mestiere di vivere, impara a convivere, a lavorare, ad essere indipendenti e velare per sé stessa. Perché Goliarda sta crescendo da sola, senza una guida unica, ma con tante guide occasionali e complementarie. Come racconta Providenti nella sua bellissima biografia, «Iuzza, bambina tra i nove e i quattordici anni, cammina da sola per il quartiere ‘protetta dagli sguardi di tutto il vasto popolo della Civita’ che amichevolmente la saluta.»8 Perché tutti questi rapporti, imposti dalla famiglia o scelti da lei, serviranno sempre per arricchire Goliarda. Si tratta dunque quasi di un quartiere magico, dove solo entrano e ci possono vivere gli eletti, i vaccinati: «Noi c’eravamo nati, eravamo vaccinati ma loro, quei mezzi catanesi che abitavano fuori nei palazzi di marmo tra i giardini, non potevano entrare nel recinto magico costruito da un diavolone di architetto uscito fresco fresco dalle viscere del Monte insieme alla lava ribollente, e deciso a farsi un piccolo inferno per se stesso e per i suoi simili.» (IJG, p.87) Finalmente come vedremo, la Civita è anche il posto idoneo per la fantasia, come ricorda Providenti, «la strada dove, tra una scorribanda e l’altra, si nutre di una fervida immaginazione, dato che in quartieri come quello in cui è cresciuta lei la realtà supera di gran lunga la fantasia.»9 1.2.- Casa Giudice-Sapienza La famiglia dove cresce Goliarda è tutta particolare, cominciando dal padre, Peppino Sapienza, avvocato dei poveri e antifascista convinto, e dalla madre, Maria Giudice, socialista e sindacalista molto combattiva. Una famiglia allargata davvero e formata anche da dieci fratelli e sorelle, 7 figli di Maria e del primo marito, 3 figli di Peppino e di altre donne, senza contare gli altri figli del padre che questi riconosce ma che non abitano con loro. Casa Giudice-Sapienza «più che un nido, un microcosmo di umori, di passioni, di forti individualità sempre pronte a dar battaglia non sulle minuzie di tutti i giorni, ma sui massimi sistemi politici, sociali ed etici.»10 Una casa che diventa centro antifascista di Catania e dove si riuniscono personaggi importanti dell’epoca. Una casa senza dubbio stimolante, ma anche difficile da gestire per una bambina piccola a cui non si assicurano che si compieranno i bisogni giornalieri. Così ci chiediamo insiema alla biografa di Goliarda Sapienza: «Come cresce la piccola Iuzza, sola in casa con due genitori anziani ex attivisti politici, entrambi biografati nel casellario giudiziario e costretti a rinunciare all’attività politica, che era stata essenziale più del pane per la madre e che è ancora motivo, in casa, di disagi di vario tipo?»11 Malgrado cresca tra contraddizioni e a tentoni, Iuzza cresce in fretta. Quello che gli altri membri della sua famiglia credono e occupa le loro intere giornate lei sa di essere importante, non ne ha dubbi e così lo spiega alla gente del palazzo di via Pistone: «La genta attiva, piena di vita, magra e scattante, insomma, in una parola, antifascista, dorme poco e non si annoia mai. (...) Non viviamo di marcia rendita borghese noi! Né lasciamo che il Duce o un santo qualsiasi pensi a noi. Prova a vivere libero, tu, e vedrai il tempo che ti resta per dormire.» (IJG, p52) Anche se quello significa essere da sola, arrangiarsi come può: «A casa mia avevano sempre tutti tanto da fare. Così tanto che eri costretta anche tu a inventarti cento cose da trafficare, sbrigare, leggere, giocare, perché anche giocare e fantasticare a casa mia era considerato un ‘fare’.»(IJG p.13) 8 G. PROVIDENTI, La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza, Villaggio Maori, Catania, 2010, p.62. Ivi, p.63 10 M. VITORI, op.cit., , 20101 11 G. PROVIDENTI, op.cit., p.53. 9 In casa Sapienza-Giudice sono soprattutto gli uomini ad educare Goliarda dalla nascita e durante i primi sedici anni, le donne assenti: «Ecco che le femmine sono sparite di nuovo come ai tempi dei miei primordi, i miei primordi tempestosi, sballottata fra braccia e petti duri pieni di peli. Sarà la mia impressione ma le guance ancora mi pizzicano per tutte le barbe che per secoli mi hanno sbaciucchiato. Loro, i guastafeste, dicono che è stato un male, ma io ci stavo bene fra quelle braccia e peli.» (IJG p.63) Infatti, Goliarda bambina è «un maschiaccio!» (IJG p.19) come la definisce uno dei Bruno, i suoi vicini e modello famigliare completamente diverso. L’educazione che riceve a casa non è regolare, non è programmata, non è progressiva né tiene in conto l’età della bambina. Goliarda riceve pillole o tante volte bombe formative da tutte le parti, senza preavviso, senza compensazione: impara quello che significa l’anarchismo dallo zio Nunzio, impara di solidarietà e di femminismo dalla mamma, di misoginia dal professor Jsaya, i grandi illuministi francesi da Ivanoe,... ma anche due forme diverse di vivere, quella della madre e quella del padre, in continua confrontazione e senza possibilità di armonizzazione per Goliarda. Da una parte, Maria, che come madre sarà quasi assente nei primi e decisivi anni della sua vita anche se sarà sempre un referente importantissimo per la figlia malgrado se ne duola del poco tempo che le ha dedicato. Da lei riceve un’educazione piuttosto rigida e difficile da seguire, specialmente se teniamo in conto che Goliarda è solo una bambina che ha soprattutto bisogno di amore più che di idee. È suo il moto di «se qualcosa non ti convince, ribellati sempre.» (IJG p.12) Un’educazione alla ribellione non è una strada facile da seguire, perché significa riflettere su tutto, avere un’opione propria, un’idea alternativa a quello che c’è, significa essere sempre all’erta, sveglia, ma anche non lasciarsi prendere dalla fantasia. Dall’altra i Sapienza sono «levantini libidinosi, protesi solo alla ricerca del nostro io, incalliti individualisti, dalla parola sferzante sempre pronta e dallo stocco a portata di mano per farci valere. Eravamo merda in confronto a lei.» (IJG p.12), mentre la madre è «una colomba braccata dal falco» (IJG p.13). Così è la sua famiglia, un «braco di agnelli sballottati», come la definisce Iuzza: «Eh già, il grande montone Sapienza e la sua Signora stavano più in galera che nel mondo, così i figli venivano catapultati fuori dal gregge e cadevano dove potevano, poveri animaletti senza colpanati da coppie ribelli –ma quella era colpa dell’ideale-.» (IJG, p.98) Per Goliarda questo confronto Sapienza-Giudici è molto forte e lo sviluppa in altri romanzi ma non tanto in questo che ora analizziamo. Qui Goliarda ci parla soprattutto di altre figure appartenenti alla casa SapienzaGiudice che sono state importanti per la sua formazione e soprattutto Ivanoe, zio Nunzio e il professore Ysaya. Fra tutti Ivanoe è il grande amore di Goliarda: Ivanoe non cura solo la salute e i bisogni fisici della piccola Iuzza, ma si preoccupa anche della sua crescita spirituale, intellettuale e civile: aiutandola a dipanarsi nel marasma delle notizie molto contrastanti provenienti dai diversi ambiti frequentati da Iuzza (i vicini di casa, la scuola, le suore che la curano, Isaya, la madre, il padre) e a rispondere alle numerose domande che la sorella, bambina curiosa, gli pone in continuazione. Le spiega la storia e la politica, le parla del socialismo, le insegna la geografia, le fa amare il mare, le insegna le parole sconosciute, le legge Voltaire, Diderot e la porta a scoprire i pupi e tutti i misteri di cui è intrisa la Sicilia (lui che era settentrionale). Tocca a lui parlare pure delle mestruazioni.12 E sarà sempre lui quello ricordato con nostalgia quando entrerà in un altro momento della sua vita, quando il difficile passo dell’infanzia all’adolescenza, momento in cui ci si riplantea tutto, in cui si comincia a perdere i riferimenti importanti fino allora e si cercano altri. Questo brano su 12 Ivi, p.60 Ivanoe è molto esplicito: «maledetto sia il momento che crescendo (dolore dell’uomo crescere) fui scaraventata giù nel pavimento a guadagnarmi il pane col sudore della mia fronte... A tradimento mi buttarono giù, a tradimento (...) Stavo così bene accovacciata sul picco sereno delle spalle di Ivanoe.» (IJG p.61) 1.3.- C’è sempre tempo per la scuola! (IJG p.62) Dove si educa Goliarda bambina? Chi si occupa della sua formazione? Di solito sono due le istituzioni che si occupano dell’educazione dei bambini e adolescenti: da una parte la scuola, cioè un’istituzione pubblica che forma tutti i bambini della stessa manera e con gli stessi principi e, dall’altro, la famiglia, normalmente il padre e la madre, su una serie di principi di solito consensuati. Solo che il caso di Goliarda è diverso. La scuola c’è e Goliarda ci va da bambina anche se non regolarmente –in parte dovuto alle malattie che subisce in questi anni- e soprattutto non va molto convinta di quello che lì imparerà e neanche incoraggiata dalla famiglia: Dovrei andare a scuola –almeno Licia lo sostiene fermamente- ma è solo lei ad avere queste idee, gli altri o non si pronunciano o sbadigliano annoiati quando io cerco di appurare se questo problema scuola è un problema grave o no... C’è sempre tempo per la scuola! Non è che una fabbrica di disoccupati, o anche peggio ad ascoltare la voce dell’avvocato, una fucina di fascisti ottusi e crudeli.... (IJG p.62) Così la scuola serve a Goliarda come controformazione, cioè il luogo dove imparare le convenzioni sociali, dove conformare un’ideologia fascista e conformista che farebbe di lei una buona moglie, una cittadina italiana. Ma andare a scuola per Goliarda era un privilegio che noi cresciuti per la strada non sapevamo cosa fosse, vero Jean? Anche mio padre e il professor Jsaya, cresciuti in quei vicoli, sballottati fra la miseria dei bassi e il lerciume fisico e morale degli orfanotrofi, lo dicevano: ‘Lascia i pallidi rampolli della borghesia come i Bruno e compagni baloccarsi e venire a patti con false idee, false parole, storia e avvenimenti storici travisati a comodo dal potere. (IJG p.19) Insomma, la scuola si profila come l’antitesi dell’educazione che la bambina riceve a casa e per strada, ma significa anche essere con gli altri bambini, avere una persona che pensa a quello che è meglio per te e un’istituzione che ha chiaro cosa vuole fare da te. Lasciare la scuola, bruciare la divisa come farà Goliarda, significherà imparare completamente da sola, integrare le diverse concezioni senza un’autorità, fare in pratica da autodidatta e al margine della società definitivamente.13 2.- I luoghi del fantastico Goliarda sente le sue contraddizioni come qualcosa di profondo, innerenti alla sua natura e come potrebbe essere diversamente data l’educazione di vita che ha ricevuto da bambina? Iuzza si fa amare dalla gente, da gente diversa, non solo dalla sua infinita famiglia allargata, dalla gente della Civita, dagli artigiani, dalle prostitute,... Tutti, per amore, provano a darle la propria visione della vita, la loro maniera di capirla, di convivere con la realtà, normalmente molto dura, purtroppo, con cui si trovano ogni giorno. E Goliarda prova ad assimilarlo tutto, prova a far sue le 13 Sulla Goliarda fuori della norma vedere l’articolo di N. CASTAGNÉ, “Archeologia di Modesta”. idee del padre, ma anche della madre, di Ivanoe, di zio Nunzio, Jsaya, le domestiche assassine, del puparo, di Jean Gabin, ... ma non è facile perché sono tutti adulti, già cresciuti, con le idee completamente formate e proprie di un mondo adulto. Così Goliarda non vive propriamente un’infanzia, non si attacca a una madre da neonata, ma ad un fratello che crescerà e l’abbandonerà in cerca di una vita propria, non vive una famiglia unita, ma un grande casino pieno di allegria e lutti, ma anche di aspetti che propri di una famiglia non sarebbero, e per primo di un padre che di rapporti con altre donne, incluse le figliastre. Non è facile crescere con una famiglia così. Ma certe cose, luoghi, persone, hanno la peculiarità di farti dimenticare la realtà, i tuoi problemi, i tuoi bisogni quotidiani più elementari, ti fanno entrare in un’altra dimensione, quasi avvolta dal sogno, ti fanno sentire leggera, potente, capace di fare tante belle cose. Creano intorno a te un’atmosfera che ti trasporta, che ti fa volare ad altri luoghi, lontani, ad altri tempi, senza sforzo, arricchendoti e cancellando ogni contrarietà che senti crescere in te. Per un tempo sei in un’altra dimensione, così piacevole, così perfetta che ti riesce difficile uscirne, riprenderti la tua solita vita imperfetta e a volte incomprensibile. 2.1.- «Gabin avrebbe fatto lo stesso» Il cinema Mirone è uno dei luoghi della formazione di Goliarda più importanti. L’autrice ci dice che ci andava anche perché la famiglia non sapeva più cosa fare con lei ed era anche un posto sicuro dove la bambina poteva rimanere per ore mentre i suoi famigliari sbrigavano faccende. Al cinema ci va spesso e quasi sempre da sola, è un po’ il suo rifugio personale, dove dimenticare le persecuzioni fasciste e repressive che assediano continuamente la sua famiglia, dove evadirse dalla quotidianetà. Goliarda «rievoca i tempi eroici del cinema in bianco e nero, di quel cinema che era insieme vita e sogno, entrambi veri.»14 Un luogo pieno di magia e fascinazione per Goliarda, specialmente quando ci sono i film di un attore, protagonista assoluto di questo romanzo, il francese Jean Gabin, «vagabondo, anarchico e destinato alla sconfitta»15 che diventa il suo «mentore e pigmalione»16, il modello con cui identificarsi, con cui compenetrarsi. Con questo suo referente Goliarda filtra i suoi sentimenti, i suoi pensieri, pondera le sue decisioni, parole, atti. Jean Gabin sarà «la chiave di comprensione di quel mondo dagli spazi ristretti e dalla meravigliosa esuberanza che la scrittrice amava sopra ogni cosa.»17 Jean Gabin è anche un strumento per poter reagire di fronte alla realtà, ai problemi quotidiani, a volte pensando a lui e ai suoi film Goliarda entra dentro a quest’atmosfera peculiare, ma altre volte Goliarda rimane appesa alla sua realtà e, accanto a Jean, riesce ad affrontarla. Jean diventa un modello ideale a cui afferrarsi nei momenti in cui tutto sembra crollare, in cui deve prendere una decisione importante. Lui è la persona che è sempre al suo fianco mentre gli altri pesonaggi entrano ed escono dalla sua vita a suo malgrado e non sono sempre vicini per orientare Goliarda in un momento della sua vita in cui una bambina ha bisogno di certezze, di riferimenti. Quello che più le piace di Jean Gabin è che è un uomo d’azione, non solo un intellettuale con idee, lei vuole imparare dall’eroe francese a vivere «ad avere il mio sogno di una vita diversa.» (IJG p.78) 14 M. BENFANTE, “Goliarda Sapienza diversa e riscoperta”, La repubblica, 14-04-2010. M.V. VITORI, op.cit. 16 M. BENFANTE, op.cit. 17 A. POMELLA, “L’eroe anarchico di Goliarda Sapienza”, Stella d’Occidente, Unione Sarda 7-03-2010, p.56. 15 Questa identificazione con Jean Gabin arriva all’estremo punto quando Goliarda si trova al podere di Tina e si gode, della mano dell’attore francese, di un spettacolo unico, «il toro lunare» (IJG, capitolo 16), un momento speciale che solo si può sentire accanto a un amico che, come lui, è puro di cuore. «La mia convivenza con Jean si era ormai approfondita talmente da farmi sussultare dalla sorpresa ogni qualvolta il mio viso mi appariva nello specchio del bagno o nei cento specchi dei bar e dei negozi scintillanti di via Etnea. Avevo tanto passeggiato conversando con lui che la sua pelle m’era calata addosso facendomi capire tutto del suo sogno e del suo dolore». (IJG, p.92) I film di Gabin rappresentano per Goliarda «il sogno di ciò che Iuzza vorrebbe essere, non semplicemente fare da grande.» (IJG, p.93) E così che prende una delle grandi decisioni della sua vita: «Non ti venderò più Jean non ammorbidirò più la tua immagine e le tue tragedie per fare piacere a ‘loro’.» (IJG, p.94). Ma Goliarda grande sa che questa decisione di non vendere Jean sarà difficile di mantenere, sarebbe certamente più facile «essere uno di quei piccoli insetti ammaestrati e sicurri che sfilano nelle parate tutti attillati nelle loro gonne nere a pieghe e camicette bianche (anche il basco e la cravatta hanno!) e non pensare più a niente! Oh, sogno di delegare tutto a un grande padre o a un dio!» (IJG, p.97). Ma la decisione sarà definitiva: «Andrò libera e sola come Jean in cerca del senso, della ragione o del perché di me stessa e del mondo.» (IJG, p.103) 2.2.- «L’antro misterioso del commendator Insanguine» Un altro luogo del fantastico insieme al cinema è l’antro del puparo. Per Goliarda andare dal commendator Insanguine ha qualcosa di favoloso, di misterioso, anche quando ci va a lavorare: «Il mistero che, appena mettevi piede nell’antro dei pupi, ti veniva incontro avvolgendoti tutta, carezzandoti la pelle e i pensieri come il vento di favonio in certi giorni di estate. Dentro non si sentiva più né la fame né la sete, tutti i pensieri venivano afferrati in un’unica direzione, i sentimenti stralunati dai cento ritmi e voci e lamenti dei pupi immobili. Tutto si dimenticava... anche Jean.» (IJG, p.48) E in certo modo, Jean Gabin e i pupi sono due mondi complementari: il primo «mi richiamava all’oggi, alla rapidità e precisione dei quadri, delle sequenze della vita smaltate e nitide come la vita stessa mentre la vivi.» (IJG, p.48), i pupi al passato, al mito, al mondo epico con i suoi principi e valori, un mondo che sta già per morire, come le spiega Insanguine: «Tu sei destinata al domani, Goliarda. A imprese, arti diverse, non c’entri niente col nostro mistero. Noi... la nostra lingua e le nostre storie sono destinate a morire.» (IJG, p.48) Ma ancora il commendatore ha tante cose da insegnare a Iuzza e lei ne ha proprio bisogno. Così le insegna a fissare bene la natura perché Tutto c’è in natura, non c’è bisogno di inventare niente, basta fissarla fortemente e poi rifarla sulle tele... In quanto a capire l’anima degli uomini è la stessa cosa, basta ascoltare la loro voce, i loro racconti, seguire lo sguardo, una piega nelle labbra, la curva d’un collo, per entrare dentro di loro e rubargli l’anima e i pensieri, anche quelli più segreti che loro stessi non conoscono ma che sortono, se sai tacere e ascoltare bene, dalle pause e dalle reticenze delle loro voci. (IJG, p.49) Sono parole di una persona che conosce come è la vita, che ha imparato a scrutare per capirla e che dà a Goliarda una piccola pillola di sapienza che le aiuterà a capire come funziona la vita. Goliarda si butta anche nel mondo dei pupi, con i suoi cavalleri, con la sua bella Angelica con cui di continuo la si paragona e a chi voleva somigliare anche se a distanza di tanti secoli. Per lei questo mondo epico è anche il luogo dell’azione e dei valori primordiali, ma già sente che quel mondo è ormai perduto, malgrado suo: «Angelica! Quanto avevo desiderato di diventare come lei da grande, ma ora che ero cresciuta i tempi nel frattempo erano cambiati, non si usavano più la spada, la corazza, i cavalli e con dolore avevo dovuto abbandonare lo scudo e il mantello.» (IJG p.41) 3.- «Autobiografia delle contraddizioni» Nei suoi taccuini Goliarda parla di «autobiografia delle contraddizioni» in due sensi. Uno è quello che segnala Mariagiovanna Andrigo18 nel suo saggio e che è proprio del genere, cioè il volere essere fedele ai fatti successi ma l’impossibilità della scrittrice di rinunciare alla fizione. Dall’altra parte, sarà la propria Goliarda quella che in Io, Jean Gabin ci spieghi in diversi momenti in cosa consiste la sua contraddizione intima: «Era questa forse la mia contraddizione? Sapere perfettamente quello che mi abbisognava, avere deciso una linea d’azione e nello stesso tempo lasciare che tutto andasse in malora per qualche morso della fame o per una visita dei fascisti?» (IJG p.35) Sono numerosi i momenti in cui ci presenta questa sua contraddizione che non riesce quasi mai a vincere perché è propria della sua personalità, perché troppo attaccata dentro di lei. Questa contraddizione si fa ancora più forte quando si parla di affetto, di amore, Iuzza lo chiamerà “dipendenza affettiva” in contrapposizione con Ulisse: Troppo dipendente effettivamente (...) dipendiente dall’effetto degli altri... non sarò mai come Ulisse. (....) Lui aveva la volontà di non curarsi della moglie, dei figli e solo al suo scopo pensava, ai suoi viaggi, la sua conoscenza... Io basta che Carlo o Arminio o Licia mi facciano un cenno, corro appresso a loro come una mentecatta qualsiasi. (...) Tutti contro di me. Tutti a chiamarmi, a volermi... Ma anche Ulisse era voluto da tutti eppure ce la faceva sempre a ripartire. (IJG p.42-43) Sarà proprio questa dipendenza affettiva quella che le porta a compiere quello che lei considera contraddizioni insuperabili specialmente quando è l’affetto che le lega ai suoi fratelli: «Dovrei dire di no, che ho da fare. (...) Ma non ce la faccio a dire di no a Carlo (...) Non ce la faccio a ‘volere proprio’. Questa dev’essere la mia contraddizione intima.» (IJG p.37) Contraddizioni e mancanza di volontà, decisioni razionali e molte volte motivate ideologicamente e bisogno primordiale d’amore a cui non potrà mai rinunciare e che sarà per lei sempre prioritario. «Decisamente non solo sono piena di contraddizioni ma non ho un briciolo di volontà, se soltanto l’idea di passare una mattinata a leggere o canticchiare con Arminio mi sembra qualcosa di paradisiaco.» (IJG p.37-38) Perché è l’affetto quello che le porta in paradiso, non le idee anche se nobili. Comunque, anche se Iuzza si lamenta di questa sua contraddizione intima, non la giudica qualcosa di negativo in sé. Infatti un’altra persona molto contradditoria è il professor Jsaya di cui affermerà che «non nasconde le sue contraddizioni. Lui le vive e le mostra con un coraggio da leone. È questo che lo fa completamente folle ma magnifico.» (IJG p.35) Di nuovo arriviamo al nostro punto di partenza, alla contraddizione intima della nostra scrittrice che si può osservare anche in un altro aspetto della sua educazione, la formazione amorosa di Goliarda. Da un lato, ci sono Jean Gabin e il puparo, dall’altro la famiglia. Non sarà certo a casa Sapienza-Giudice che Iuzza imparerà cosa sia l’amore: 18 M. ANDRIGO, “L’evoluzione autobiografica di Goliarda Sapienza: stile e contenuti”. Di parlare con qualcuno d’amore non ci pensavo nemmeno. Tutti a casa mia, anche le donne, erano contrarie a quella parola. Era difficile, molto difficile ottenere dei chiarimenti in proposito. Licia diceva: ‘Melensaggini!’ Arminio: ‘Cose da donnette.’ Il professor Jsaya addirittura: ‘L’amore, piccola? Vuoi una mia definizione dell’amore? Eccotela e medita: una sporca faccenda! (IJG, p.53) Goliarda, però, ha un forte senso di quello che è o dovrebbe essere l’amore e, come afferma suo marito Pellegrino, «scriveva per farsi amare, per ricevere amore.»19 Goliarda sogna anche un amore assoluto, totale, «io sogno un altro amore libero e smagliante da cantare in bocca a tutti senza sotterfugi e nascondigli.» (IJG, p.96) Così lei vuole fervorosamente imparare ad amare: Io, che con Jean Gabin ho imparato ad amare le donne (...) Questo ho imparato da lui, e per me la donna è stata sempre il mare (...) il mare segreto di vita, avventura magnifica o disperata, bara e culla, sibilla muta e risposta sicura; spazio immenso in cui misurare il nostro coraggio di individualisti incalliti, ladri al ricco e donatori al povero, tutti d’accordo su una precisa breve frase: ‘Sempre fuori da tutti i poteri costituiti’, soli, ma con l’orgoglio di sapere la rettitudine che soltanto nell’outsider alligna. (IJG p.3) Lei vorrebbe amare ed essere amata come ha imparato da Jean, vuole sentire nella sua pelle quello che ha sentito il puparo trent’anni fa e che ancora sente, vuole decifrare il mistero che porta al puparo a fare sempre le stesse mani ai pupi, e sentire «quella disposizione dell’animo» (IJG, p.50) che tanto le fascina: «Ad ogni cantone tremavo (o lo desideravo?) pel timore di vedere spuntare una soave donzella col suo paniere tutto panni e mani bianche così pure da lasciare basiti. La saetta poteva afferrarmi in ogni momento e dopo sarei stata schiava di quel fulmine che inchioda e rivela una vita al suo destino unico. Sempre.» (IJG, p.51) È l’amore che fa capire il proprio destino, che rivela tutta una vita senza una meta. 3.1.- La storia di un assedio A volte si ha la sensazione che Goliarda sia al centro di una battaglia, una guerra di idee contrastanti, di forme diverse di vedere il mondo, la vita, di sentire, di amare; in certi momenti c’è quasi un bombardamento e la piccola Iuzza deve mantenersi con difficoltà in piede, e se cade sarà per rialzarsi di nuovo. Goliarda è allora l’eterna pendolare tra luoghi contrastanti, dove vive sicuramente delle esperienze che sono veramente forti, specialmente se pensiamo l’età con cui le vive. Nei Taccuini Goliarda definisce sé stessa come un’acrobata per forza: «Un’infanzia passata a saltare emotivamente ed intellettualmente dall’isola (isola nell’isola) cosmopolita, progressista e femminista di casa mia, all’altra isola retrograda, crudele, ecc che era la Sicilia d’allora. Un acrobata giuraddio sono dovuta divenire, è forse per questo che i miei fratelli e sorelle non facevano che impegnarsi nei vari sport dell’epoca?»20 Claudio Mori, nella recensione a questo libro, qualifica la sua infanzia di vero assedio, di «amore per la libertà ma confusione per le molteplicei realtà contrastanti che la stringono all’assedio.»21 Un assedio di cui uscirne più forte in cerca dell’emancipazione con cui, da un parte è costretta, e dall’altra sogna. Io, Jean Gabin racconta queste sue contraddizioni più intime, 19 A. PELLEGRINO, op.cit., p.122. G. SAPIENZA, Taccuini, 30/1/1990, citado en G. PROVIDENTI, op.cit., p.57 21 C. MORI, “Goliarda Sapienza, ‘Io, Jean Gabin’, Einaudi 2010”, Guida alle Panchine di Milano, Letture e riflessioni out of the office, 27-02-2010. 20 più autentiche, più spontanee e naturali con cui Goliarda si è formata e che rimarranno sempre nel suo interno. Goliarda si sente colpevole di non poter realizzare nella sua vita da bambina, nelle sue piccole azioni quotidiane, i grandi ideali dei suoi genitori, specialmente quelle di sua madre: «Non sono colpevole verso Concetta, questo sarebbe niente, ma colpevole verso tutta l’umanità povera, ignorante e umiliata, perché io col mio gesto sono passata dalla parte del padrone ricco e seviziatore.» (IJG p.11) Sono belle le idee dei genitori, grandiose le sue azioni, le sue vite, modellica la loro dedicazione agli altri, la loro solidarietà, la loro comprensione della sofferenza, dell’ingiustizia imposta all’altro. I suoi genitori sono figure quasi da manuale, perfette per gli altri, coerenti con le proprie idee fino al sacrificio personale, fino alla prigione, fino alla fame. E Goliarda non può non prendere il rilevo, anche se per lei sarà un vestito pesante, asfissico: «E per me –piccola outsider sempre braccata- la divisa purissima di antifascista, figlia di antifascisti senza macchia, che a forza volevano farmi indossare, fu come un saio di spine che invano, per anni di tetra clausura, cercai di stracciare in cento pezzi e buttare alle ortiche.» (IJG p.69) 3.2.- «Sul mio quaderno pieno di bugie vere m’incanto» Goliarda vive tra due mondi, diversi, complementari, ricchi entrambi di spunti positivi ma anche negativi, che arricchiscono la bambina, ma anche la confundono, dove trova le ali ma anche il coltello. La nostra autora lungo questa sua opera si mostra continuamente dondolante tra fizione e realtà, tra sogno e quotidianità, tra le convenzioni e la libertà assoluta in cui vive la sua famiglia allargata. Troppe idee, troppa ideologia, troppe convenzioni sociali per una bambina che sta crescendo, che si sta formando in mezzo a contraddizioni esistenziali, a modi diversi di capire il mondo e il nostro compito in esso. Goliarda bambina si butta dritta nella realtà o nella fantasia con la stessa passione, mettendoci tutta sé stessa in ogni azione, in ogni pensiero, in ogni sentimento che esprime. Usa la fantasia per poter capire e dare un senso a cose che non riesce a trovare e poi le conclusioni le butta di nuovo in un’altra realtà, facendo una mischia che è anche armoniosa, che ha un certo senso. «Per dare un senso alla realtà che vive, per darle un altro colore, per innalzarla, per farla più vivibile.»22 La sua Sicilia è piena anche di cantastorie, di epica, di pupi, di storie belle autentiche ed inventate, di un terreno molto fertile per la favolazione: così nasce la storia della salvazione di Arminio, del toro lunare, della storia della ragazza dal gelsominaro, della toria dell’Architetto di lava. Per Goliarda tante volte leggere, scrivere, raccontare equivale a sognare, fantasticare, entrare in un’altra dimensione, forse non reale, forse bugiarda, come la definisce il professor Jsaya (IJG p.64), ma sua, completamente sua e soddisfacente: «Sul mio quaderno pieno di bugie vere raccontate dai più grossi bugiardi che mai mente umana potè immaginare, m’incanto e dimentico la fame, la sete, i tedeschi...» (IJG p.65) Goliarda ha bisogno di sognare, è innato in lei, ma se non si scrivono questi sogni, questi modelli, queste cose belle che ci insegnano gli altri, cosa rimane? Perché non si può vivere senza ricordi, anche se alcuni non sono propriamente vissuti da noi, ma da altri o pure immaginati. Ma Goliarda non è poi così illusa per poter credere che si possa vivere solo di sogni: «Io voglio vivere, agire. Non voglio trovarmi improvvisamente da un giorno all’altro vecchia come Faust senza aver vissuto.» (IJG p.56) In Goliarda c’è sempre 22 M.V. VITORI, op.cit. questa costatazione: che la vita bisogna viverla, godersela, il problema è come farlo, come arrivare all’azione, perché «l’azione calma l’ansia e la paura.» (IJG p.32), ma anche i sogni, e l’amore. 4.- Goliarda bambina e il suo «porto delle nebbie» Realtà e fizione sono alla base della formazione della nostra scrittrice siciliana, luoghi reali e sognati, idee e sentimenti tante volte contrastanti. Un’infanzia, quella di Goliarda, che si presenta davanti a noi come la propria Civita in cui abita e ha fatto ormai sua, piena di vicoli, di nascondigli dove rifugiarsi in caso di pericoli, piena de odori, di sapori, di tradizioni, di vite vissute al limite di giorno e di notte, piena di realtà contrastanti e conviventi in armonia e in conflitto alternativamente. Questi luoghi sono veramente il porto delle nebbie di Goliarda, como recita anche il titolo del film che va a vedere con tanta ansia di Jean Gabin. Nebbie, confusione, mancanza di visibilità: lì si muove la nostra Goliarda bambina. Ma nebbie che non le impideranno di guardare, di scrutare la realtà e le persone perché «ecco che, come dice zio Nunzio quando tutto va a scatafascio –e lui ne sa di scatafasci-, la vita, se ci credi alla vita, ti viene incontro.» (IJG p.31) Ma non bisogna lasciare che la vita distrugga il sogno (...) ‘La vita è economia e sogno, e se si riesce a staccare nettamente questi due campi e tenerli a bada in modo che nessuno dei due prenda il sopravvento sull’altro si ha la grandezza. (...) Se l’economia prende il sopravvento sul sogno si diventa come (...) tuo zio giovanni. Se invece si lascia che il sogno invada tutto il tuo essere si diventa come tuo padre. (...) un pazzo! Ma detto fra noi i pazzi sono i più simpatici. (IJG p.33) Letteratura italiana – Dipartimento di Formazione Psicologia Comunicazione (Forpsicom) Bari Antonella Cioce, Ph. D., Docente di Lettere presso Liceo “G. Bianchi Dottula” - Bari 18 aprile 2013 Pinocchio: le avventure di un romanzo «[…] Pinocchio […] è ora di dire che va considerato tra i grandi libri della letteratura italiana, di cui alcune componenti necessarie, senza Pinocchio, verrebbero a mancare. Ne dirò tre: alla letteratura italiana è mancato il romanzo picaresco […] il romanticismo fantastico e «nero» […] è uno dei pochi libri di prosa che per le qualità della sua scrittura invita a esser mandato a memoria[…] il romanzo tutto scandito sul dialogo è col Pinocchio che comincia.» I.Calvino, Ma Collodi non esiste, “la Repubblica , 19-20/4/1981, in Id., Saggi 1945-1985. Prima parte Il libro, l’autore, il contesto: per un avvio di riflessione • • • • • 1881 Storia di un burattino (a puntate sul “Giornale per i bambini”) 1883Le avventure di Pinocchio (in volume per la Casa editrice Felice Paggi con illustrazioni di Enrico Mazzanti) Il ventennio 1870-1890: il panorama letterario europeo, tra letteratura postromantica e prodromi della destrutturazione primonovecentesca La narrativa italiana tra sperimentazione verista e manzonismo linguistico: una letteratura del e per l’Italia unita. Carlo Lorenzini (1826-1890), patriota risorgimentale, pubblicista satirico e didattico, narratore “per caso”. • I livelli del racconto, tra fiaba, romanzo, teatro, metanarrazione: un’opera solo apparentemente chiusa. • La fabula e l’intreccio • I personaggi e i temi • La lingua • La contaminazione dei generi (tra epicizzazione del dramma e drammatizzazione dell’epico). La modalità di rappresentazione: tra realismo e fiabesco, la favola moderna. Le ragioni del fantastico nella modernità. La ricezione dell’opera nel tempo, tra letture, riscritture, transcodificazioni: un mito della modernità che non appartiene più al suo autore. Seconda parte L’affabulazione: bisogno antropologico di identificazione e relazione col mondo; la fiaba, il fantastico, un percorso di accesso al letterario e alla conoscenza attraverso le vie dell’immaginario e del simbolico; Pinocchio un classico della nostra letteratura: attraversamenti didattici. Nota bibliografica C. Collodi, Opere, Meridiani Mondadori, Milano 1995 C, Collodi, Le avventure di Pinocchio (1883), Einaudi,Torino 2002 R. Bertacchini, Collodi narratore, Nistri.Lischi, Pisa 1961 AA. VV., Studi collodiani, Atti del I Convegno internazionale del 5-7 ottobre 1974, Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 1976. G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Einaudi, Torino 1977 AA. VV., C’era una volta un pezzo di legno. La simbologia di Pinocchio, Atti del Convegno del 24-25 maggio 1980, Emme , Milano 1981 F. Cambi, Collodi, De amicis, Rodari, Laterza, Bari 1985 AA. VV., Pinocchio sullo schermo e sulla scena, Atti del Convegno internazionale di studio del 8-9-10 novembre 1990, La Nuova Italia, Firenze, 1994 R. Dedola, Pinocchio e Collodi, Mondadori, Milano 2002 M. Belpoliti, Pinocchio, in F. Moretti, Il romanzo, Einaudi