Theodor Zwinger e la crisi culturale della seconda metà del

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Theodor Zwinger e la crisi culturale della seconda metà del
Carlos Gilly
Theodor Zwinger e la crisi culturale della seconda metà del Cinquecento
INDICE DEL VOLUME
Premessa
Prolegomena
pag.
3
Parte I
Capitolo I.
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
BASILEA E IL DIBATTITO EUROPEO INTORNO A PARACELSO
IL PARACELSISMO E IL PROGRAMMA EDITORIALE DI PIETRO
PERNA
THEODOR ZWINGER E PARACELSO
IL METODO D'IPPOCRATE. LA STORIA COME EMPIRIA E IL
RECUPERO SCIENTIFICO DI PARACELSO
ZWINGER MAESTRO E GUIDA «IN PARACELSICIS»
ZWINGER E LA MEDICINA ALCHEMICA
IL «PARACELSISMO» DI ZWINGER
9
21
38
47
60
70
86
Parte II
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Appendice I
Appendice II
Appendice III
LA FILOSOFIA DI ZWINGER: FRA FILOSOFIA ARISTOTELICA E
FILOSOFIA PLATONICA
IL PROBLEMA DEL METODO SCIENTIFICO. CONOSCENZA E
AZIONE.
LA CLASSIFICAZIONE DELLE SCIENZE. STORIA E TEORIA. LA
STORIA SINONIMO DI EMPIRIA.
LIBERALIZZAZIONE E PROGRESSO DELLE SCIENZE
MAGIA E SCIENZA
INCERTEZZA DELLA TEORIA E CERTEZZA DELL'AZIONE. LO
SCETTICISMO DI ZWINGER
LA RELIGIONE DI ZWINGER: LIBERTAS CHRISTIANA.
SCETTICISMO CRISTIANO, E CRISTIANO AGIRE.
102
CONCLUSIONE
CURRICULUM VITAE OVVERO BIOGRAFIA SOMMARIA DI
ZWINGER
IN NOME DEL TIPOGRAFO: LA PREFAZIONE DI ZWINGER A
UN'OPERA DI PARACELSO. INTRODUZIONE, TRASCRIZIONE E
TRADUZIONE.
CONTRO PARACELSO E I SUOI SEGUACI. LA LETTERA DI
ZWINGER A MARSTALLER DEL 1564. INTRODUZIONE,
TRASCRIZIONE E TRADUZIONE.
196
118
140
152
159
175
185
198
204
217
328
Indice dei nomi
-1-
Theodor Zwinger e la crisi culturale della seconda metà del
Cinquecento
Prolegomena
È una delle tante ironie della sorte: in tutta la storia della cultura quanto più
voluminose sono le opere, tanto più velocemente esse sono destinate a
cadere nell’oblìo. Nel caso di opere a carattere compilatorio, accade inoltre
che queste vengano sì lette voracemente e saccheggiate, ma quasi mai citate,
poiché pochi sono disposti a riconoscere di derivare le proprie conoscenze
da fonti che non siano la lettura diretta dei testi. È questo il quadro che, con
singolare perspicacia, era riuscito a prevedere lo storico francese Jacques
Auguste de Thou1 nel caso di Theodor Zwinger. Zwinger aveva sicuramente
reso grandi servigi alla medicina, ma la sua notorietà era legata
essenzialmente al suo monumentale Theatrum Vitae Humanae. «Durante il
mio soggiorno a Basilea» racconta de Thou «ebbi più volte il grande piacere
di intrattenermi con Zwinger, uomo certo di estrema erudizione, di grande
intelligenza, eccellente oratore, che avrebbe tuttavia potuto raggiungere
risultati e fama maggiori se avesse pensato di più al suo buon nome e avesse
intrapreso un lavoro più adeguato alle sue immense capacità di scrittore».
Invece, secondo de Thou, Zwinger dedicò troppo tempo al completamento e
alla pubblicazione di testi scritti da altri, portandoli a dimensioni
spropositate, secondo l’uso dei basileesi, che sembrano trovare grande
soddisfazione nel produrre libri di ingente mole («qui spissae molis librorum
congerie fere gaudent»).
Le osservazioni dello storico francese si rivelarono presto profetiche.
Le mille e mille pagine, in formato grande e medio, di cui si compongono
gli scritti e le compilazioni del filosofo e medico basileese rendono
particolarmente difficile il tentativo di ricostruire il suo pensiero originale e
di caratterizzare le sue posizioni specifiche. Se aggiungiamo a questo la sua
riluttanza a dare in pasto le proprie idee a un pubblico che oltrepassasse i
confini della ristretta cerchia di amici e discepoli, la scelta dell’anonimato
nel caso dell’edizione di opere controverse, la volontaria rinuncia a
pubblicare i propri scritti di chimica e teologia, e, soprattutto, il desiderio
più volte espresso di non porsi al centro dell’attenzione («et cum latere
maxime cupiam, nescio tamen quo Reipublicae iuuandae studio in mediam
hominum lucem vel laruatus interdum praeter institutum efferar»), 2 non può
meravigliarci il fatto che per due degli autori che in realtà erano
culturalmente più vicini al mondo dell’umanista basileese, Zwinger non
1
JACQUES-AUGUSTE DE THOU, Historiarum svi temporis Continuatio siue pars quarta (liber 89,
ad annum 1588), ed. cit. Frankfurt, Egenolff Emel per Petrus Kopff, 1621, p. 405: «Vierium
secutus est Theodorus Zuingerus Basileae natus, & in patria mortus VI Eid[us] Martii, longe eo
iunior, quippe tantum quinquagesimum quartum annum egressus, eadem professione clarus,
quam et editis compluribus monumentis illustrauit, sed maiorem illi famam conciliauit ingens
opus, cui Vitae humanae theatro titulum fecit. Cuius dulci conuictu et colloquio cum mihi
postea Basileae magna cum animi voluptate frui contigisset, animaduerti, virum summa doctrina
et rara ingenii elegantia ac candore praeditum in digniore se opere industriam exercere potuisse,
si non maiorem nominis soceri et popularium suorum, qui spissae molis librorum congerie fere
gaudent, quam propriae laudis rationem habuisset». Per la traduzione francese cfr. IDEM,
Histoire universelle, La Haye 1740, vol. 7, pp. 154.
2
Lettera di Zwinger a Petrus Monavius del 18. 8. 1578, in: LAURENTIUS SCHOLZIUS,
Epistolarvm Philosophicarvm, Medicinalivm, ac Chymicarvm a Summis nostrae Aetatis
Philosophis ac Medicis Exaratarum, Hanau, Wechel-Aubry, 1610, c. 470.
-2-
fosse che «celui qui a faict le Theatrum» (Montaigne) 3 o il «vir magnae
diligentiae» (Grotius).4
In effetti le opere di Zwinger vennero tenute in considerazione fino
al XVIII secolo, tanto che il suo nome riaffiora in innumerevoli lessici,
bibliografie e storie della letteratura. È però molto raro che ci si prenda la
briga di spingere la ricerca al di là delle notizie fornite dal suo primo
biografo, Felix Platter,5 o dai continuatori di Conrad Gessner nella
Bibliotheca Universalis.6 Perfino a Basilea, sua città natale, la fama legata al
nome di Zwinger si è sempre più affievolita.
Non c’è dubbio che ai suoi tempi Zwinger costituisse un indiscusso
punto di riferimento nella vita culturale di una città in cui attività editoriale
ed università avevano risonanza europea. Dopo la morte di Zwinger, in
occasione della laurea del figlio Jacob, Felix Platter elogiò l’influsso
esercitato dal padre a Basilea e fuori, il grande richiamo che i suoi scritti e le
sue lezioni avevano costituito per l’università, le sue straordinarie doti, di
cui non solo la città e l’università, ma anche gli amici, i concittadini, gli
ospiti stranieri e i visitatori avevano potuto godere ampliamente. 7
Nell’elogio funebre, l’antistite di Basilea Johann Jacob Grynaeus descrisse
l’enorme perdita che la morte di Zwinger veniva a significare per la città:
Nun trawre du, werde vnnd lobreiche Statt Basel: dann dir ist entzuckt ein solcher
lieber Mann, der warlich ein gemeines Gut vnd ein zierlich Kleinot war. Klage dich vnd
weine, du liebe vnnd löbliche Vniversitet, dann dir ist auß deinem Krantz entzogen der
allerwolriechsten Rosen eine, deren Gottseligkeit, Weißheit, Kunst, Gutwilligkeit vnd
wilferiger trewer Diensten, lieblicher vnnd krefftiger Geruch, in Teutschen vnnd andern
Landen angenäm, nutzlich, trostlich, ehrlich viel jar hero gewesen. 8
(Guarda al tuo lutto, nobile e onorata città di Basilea: poiché ti è stato tolto un
uomo così caro da costituire un bene comune e un gioiello prezioso. Lamentati e piangi, tu
amata e lodevole università, perché dalla tua corona è stata strappata la rosa più bella, la cui
pietà, saggezza, arte, buona volontà, docile e fedele servizio, cara e portentosa fama nei
paesi tedeschi così come in altri paesi ti sono stati per lunghi anni piacevoli, utili, di
conforto e sinceri).
Negli anni che seguono l’interesse e lo stesso ricordo dell’opera di Zwinger
si affievoliscono significativamente, concedendo al massimo il lustro di una
gloria locale. È il caso del profilo che di Zwinger fornisce nel 1660 Jakob
Rüdin nelle sue Vitae Professorum Basiliensium, e, cent’anni più tardi,
3
Journal du voyage de Michel de Montaigne en Italie par la Suisse et l'Allemagne en 1580 et
1581, ed. Alessandro d’Ancona, Città di Castello, S. Lapi, 1889, p. 29; ma vedi ora FAUSTA
GARAVINI, Montaigne et le Theatrum vitae humanae, in CLAUDE-GILBERT DUBOIS, Montaigne
et l'Europe, Mont-de-Marsan 1992, pp. 31-45; EADEM, Montaigne rencontre Theodor Zwinger à
Bâle. Deux esprits parents, in «Montaigne Studies. An Interdisciplinary Forum», V (1993), pp.
192-205.
4
HUGO GROTIUS, De veritate religionis christianae, in IDEM, Opervm Theologicorvm tomvs
tertivs continens opuscvla diversa, Amsterdam, Joh. Blaeu, 1699, vol. III, p. 39.
5
La Vita Theodori Zwingeri, letta dal Platter il 9 ottobre 1594 nell’aula dell’Università in
occasione della laurea di Jacob Zwinger venne stampata da quest’ultimo come introduzione alla
quarta edizione del Theatrum Humanae Vitae, Basilea, S. Henricpetri, 1604, ff. ):(3v-4v.
6
Bibliotheca institvta et collecta , primvm a Conrado Gesnero: Deinde in Epitomen redacta, et
nouorum Librorum accessione locupletata, tertio recognita, et in duplum post priores editiones
aucta, per Iosiam Simlerum: Iam vero postremo aliquot mille, cum priorum , tum nouorum
authorum opusculis, ex instructissima Viennensi Austriae Imperatoria Bibliotheca per
Iohannem Iacobum Frisium Tigurinum, Zürich, C. Froschauer, 1583, pp. 784-785.
7
FELIX PLATTER, Vita Theodori Zwingeri (cit. nota 4).
8
JOHANN JACOBUS GRYNAEUS, Ein Christliche Leichpredig, die gehalten worden, bey der
Begrebnus des Ehrnvesten, Hochgelehrten und weit berühmpten Herren Doctoris Theodori
Zuinggeri; Medici, Philosophi, et Polyhsitoris: zu Basel in S. Peters Pfarrkirchen den 12.
Martij, im jar [...] M.D.LXXXVIII [...], Basel, Seb. Henricpetri, [1588], p. ij.
-3-
Jakob Christoph Beck nel Gelehrtes Basel. Entrambi i testi rimasero inediti,
per comparire solo parzialmente nell’Athenae Rauricae, 1777.9
Lo stesso accade nelle poche pagine che a Zwinger dedica il
Thommen nella sua Geschichte der Basler Universität,10 o nel contributo di
M. L. Portmann per le «Basler Nachrichten» del 10.9.1965, in occasione del
quarto centenario della pubblicazione della prima edizione del Theatrum
Vitae Humanae.11
Per altro verso la figura Zwinger è stata circoscritta all’ambito della
storia della medicina. Anche in questo caso nell’unica monografia su di lui
che possediamo, si è preferito riempire almeno tre quarti del libro con
indicazioni generali sui suoi contemporanei. 12 Più utile resta ancora l’attenta
presentazione di A. Burckhardt nella sua Geschichte der Basler
Medizinischen Fakultät.13
Avendo alle spalle questo tipo di storiografia non possiamo stupirci
che in un contributo moderno di storiografia basileese Zwinger venga
presentato meramente come «a typical representative of post-Erasmian
Basle: friendly to refugees and flattered by the esteem of noted scholars
abroad, deliberate – perhaps even courageous – in his non-committal
attitude to the ideological and professional controversies of the day, but for
the same reason failing to make a historical impact. In some ways he seems
to prefigure the comfortable bourgeoisie of a subsequent age». 14
L’evidente sproporzione tra l’interesse relativamente scarso nutrito
dagli storici recenti e, al contrario, il ruolo di grande rilevanza ricoperto ai
suoi tempi dal medico e umanista basileese è stata ora finalmente
individuata e messa in risalto grazie a un contributo della storiografia
italiana.
Nello splendido studio su Pietro Perna e la vita culturale e religiosa
di Basilea fra il 1570 e il 1580,15 Antonio Rotondò, ci ha indicato il
percorso metodologico per cogliere l’enigmatica personalità di Zwinger.
Egli ci ha insegnato allo stesso tempo come muoversi nell’intricata foresta
delle opere del naturalista basileese, finora inaccessibile ai ricercatori, senza
correre il pericolo di dover tornare a mani vuote. La nuova chiave d’accesso
9
JACOB RUDIN, Vitae professorum Basiliensium, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. VII 8. IDEM, Theatrum Academicum Basiliense, ivi, ms. Frey-Gryn. I 26, fasc. 30; JACOB
CHRISTOPH BECK, Gelehrtes Basel oder Gesammelte Nachrichten zu der Kirchen- und
Gelehrtengeschichte von Basel, ivi, ms. Frey-Gryn. VII 4d. JOHANN WERNER HERZOG, Athenae
Rauricae. Sive Catalogus Professorum Academiae Basiliensis ab A. MCCCCLX. ad A.
MDCCLXXVIII cum brevi singulorum biographia, Basel, C.A. Serin, 1778, pp. 208-211.
10
RUDOLF THOMMEN, Geschichte der Universität Basel 1532-1632, Basel 1889.
11
MARIE-LOUISE PORTMANN, Theodor Zwinger (1533-1588) und sein «Theatrum Vitae
Humanae» von 1565, in «Basler Nachrichten», 1965, Nr. 384; ma vedi ora EADEM, Paracelsus
im Urteil von Theodor Zwinger, in «Nova Acta Paracelsica», n.s., II, 1987, pp. 15-32; EADEM,
Theodor Zwinger [1533-1588], ein Basler Humanistenarzt, in «Praxis. Schweizerische
Rundschau für Medizin», LXXVII, 1988, pp. 1110-1113; vedi ora anche il capitolo
«Humanisme et sciences. Theodor Zwinger, l'énigmatique», in ALFRED BERCHTHOLD, Bâle et
l'Europe. Une histoire culturelle, Lausanne, Payot, 1990, vol. II, pp. 655-680;
12
JOHANNES KARCHER, Theodor Zwinger und seine Zeitgenossen. Episode aus dem Ringen der
Basler Aertze um die Grundlehren der Medizin im Zeitalter des Barocks (Studien zur
Geschichte der Wissenschaften in Basel, 3), Basel, Helbing & Liechtehahn, 1956.
13
ALBRECHT BURCKHARDT, Geschichte der Medizinischen Fakultät zu Basel 1460-1900, Basel,
F. Reinhardt, 1917, pp. 32, 89-95, 135, 144, 354-385.
14
PETER G. BIETENHOLZ, Basle and France in the sixteenth Century: The Basle Humanists and
Printers in their Contacts with Francophone Culture («Travaux d'Humanisme et Renaissance»,
112), Genève, Droz, 1971, p. 70.
15
ANTONIO ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea fra il 1570 e il
1580, in Studi e Ricerche di storia ereticale italiana del Cinquecento (Pubblicazioni dell'Istituto
di Scienze Politiche dell'Università di Torino 31), Torino, Giappichelli, 1974, pp. 273-391;
IDEM, L’uso non dommatico della ragione: Agostino Doni, ivi, 393-470.
-4-
è costituita dal minuzioso esame della corrispondenza di Zwinger:
«L’immagine dell’uomo è nel suo immenso carteggio, tuttora inedito, uno
dei più vasti e vari della seconda metà del Cinquecento». Certo già solo
orientarsi nella sua imponente corrispondenza non è impresa da poco: il
fondo Frey–Grynaeus della Universitätsbibliothek di Basilea conserva
infatti migliaia di lettere a Zwinger da parte di quasi cinquecento diversi
corrispondenti. La maggior parte delle lettere di Zwinger è invece
disseminata per le biblioteche di tutta Europa, dalla Polonia all’Inghilterra,
dall’Italia alla Scandinavia. Solo un numero trascurabile di lettere è
accessibile a stampa in opere antiche o moderne. Rotondò è tuttavia riuscito
a mettere in luce alcuni degli aspetti più significativi della vita di Zwinger.
Da queste nuove ricerche scaturisce un quadro di Zwinger che
potremmo riassumere in questi termini: Zwinger era un convinto sostenitore
della tolleranza religiosa, così come l’aveva intesa Castellione. La sua
illimitata disponibilità ad aiutare i perseguitati di ogni Chiesa ufficiale e ad
aprire un dialogo con rappresentanti delle più svariate confessioni
corrispondeva pienamente alla sua mancanza di pregiudizi e alla sua sincera
apertura nei confronti di ogni nuova esperienza intellettuale. La prudenza e
la moderazione di alcune delle sue affermazioni non impedirono a lui,
difensore della libera ricerca scientifica - come aveva imparato alla scuola di
Petrus Ramus -, di contribuire significativamente al rinnovamento delle
scienze, muovendo in direzioni che a molti dei suoi amici e corrispondenti
europei e basileesi dovevano apparire molto controverse e pericolose.
Incurante delle accese polemiche del suo tempo su questioni di filosofia
naturale, Zwinger riuscì a combinare un’equilibrata critica ad Aristotele e
Galeno con il riconoscimento della validità di alcuni dei grandi postulati di
Paracelso. Nell’esigere la più grande libertà di ricerca nello studio della
natura, egli relativizza l’autorità dei giuristi, considerandoli meri interpreti
di una realtà imposta dal potere. In tal modo egli intendeva innanzi tutto
opporsi all’intransigenza e al predominio dei teologi, che, col pretesto della
religione, miravano in realtà a esercitare un incondizionato controllo sulle
debolezze degli uomini.
Zwinger era scettico sulla possibilità dell’uomo di chiarire una volta
per tutte su questa terra le verità religiose, e propugnava per questo una
riforma che, come per Castellione, muovesse verso una estrema
semplificazione del cristianesimo e una esaltazione della pratica cristiana.
Esaminando gli scambi epistolari di Zwinger con i più illustri tra i
suoi contemporanei, e, d’altra parte, l’attività editoriale dello stampatore
italiano Pietro Perna, di cui Zwinger era strettissimo amico, difensore e
consulente, Rotondò ha potuto ricostruire al tempo stesso la crisi religiosa e
culturale del tempo, che vedeva andare definitivamente in frantumi il
tradizionale edificio della filosofia e della scienza, tutto fondato su
Aristotele e Galeno. Rotondò sceglie di fornire non sfilze di citazioni
bibliografiche, ma puntigliose analisi di opere e prefazioni, di lettere e
documenti editi e non, capaci da un lato di chiarire la convergenza di motivi
culturali e religiosi, che, nonostante le reiterate proteste ed accuse del
mondo accademico e del mondo ecclesiastico, fecero di Perna l’impegnato
editore di Castellione, Machiavelli e Paracelso; dall’altro di gettare nuova
luce su opinioni, rapporti, collaborazioni e solidarietà all’interno di un
gruppo di uomini che fecero di Basilea un crocevia europeo di idee aperte in
campo scientifico e religioso.
Il contributo di Rotondò ci illustra dall’interno la vita movimentata e
multiforme della città renana, in un’epoca in cui la censura religiosa veniva
esercitata in forma sempre più severa, e il controllo su uomini e idee si
-5-
faceva sistematico e rigoroso; la storia di uno stampatore anonimo e locale,
di correnti di pensiero sotterranee, di scopi e prese di posizione proclamate a
mezza voce, ricche di ambiguità, silenzi e mezze verità. Colpisce ancora di
più in questo contesto la volontà tenace e irremovibile degli uomini riuniti
intorno a Perna di lottare per la libertà di coscienza in campo religioso e di
ricerca in campo scientifico.
Se la figura centrale nello studio di Rotondò è Pietro Perna, il lettore
resta tuttavia impressionato soprattutto da un personaggio di prima statura
che resta nell’ombra, colui che con la sua influenza, il suo consiglio e la sua
collaborazione sostenne e rese possibile a Basilea gran parte dell’impegnato
programma editoriale dello stampatore italiano: Theodor Zwinger.
Soffermandosi sulla figura dell’enigmatico studioso basileese, le
pagine che seguono vogliono contribuire alla continuazione dei lavori di
Rotondò sulla vita religiosa e culturale di Basilea – e, da Basilea, sulla vita
religiosa e culturale europea ai primordi della scienza moderna e
dell’inasprimento delle ortodossie confessionali. Esse vogliono costituire il
tentativo di tracciare il ritratto culturale di un uomo, il cui nome riaffiora
continuamente a proposito dei testi più controversi pubblicati in quegli anni
a Basilea, si tratti di Machiavelli, Castellione, Postel, Petrus Ramus,
Wierius, Dudith o Paracelso, si tratti di alchimia, cabbala, magia e
ermetismo, filosofia o medicina. Vogliono inoltre tentare di chiarire il vero
punto di vista religioso e filosofico di un uomo in cui molti contemporanei e
quasi tutti i corrispondenti credevano di riconoscere un interlocutore
intellettualmente affine – fossero essi calvinisti, luterani, cattolici o
dissidenti, aristotelici, platonici o ramisti, alchimisti, paracelsisti o
antiparacelsisti. Esse vogliono infine tentare di misurare il significato e
l’influenza di un uomo che corrispondeva con i più remoti angoli d’Europa
per rispondere a quesiti e offrire consigli sulle più delicate e difficili
questioni nei più svariati campi del sapere.
Di fronte all’ampiezza dell’opera e della corrispondenza di Zwinger, questo
tentativo non pretende certo di essere esaustivo. Sono tre in particolare gli
aspetti della complessa personalità di Zwinger che verranno presi in esame:
a) la posizione di Zwinger nei confronti di Paracelso, tenendo conto
del fatto che egli commentò Galeno e Ippocrate e, nel 1564, fece espellere
dalla facoltà di medicina dell’università il paracelsista Bodenstein facendosi
autore, nello stesso tempo, della prima confutazione sistematica della
medicina di Paracelso; ma tenendo anche presente, d’altra parte, che dopo
un cambio radicale di attitudine a partire dal 1576 egli si mostrava convinto
che non fossero i galenisti i veri continuatori di Ippocrate, ma, al contrario, i
paracelsisti; che scrisse a nome di Perna la prefazione programmatica a
un’opera di Paracelso e, infine, che lo stesso Johann Huser, editore della
prima edizione complessiva degli scritti di Paracelso, in dieci volumi,
progettava di farsi affiancare da lui nella supervisione dell’allestimento e
della stampa dell’opera;
b) il posto che Zwinger occupa nel contesto filosofico del suo tempo,
essendo stato allievo di Ramus e commentatore di Aristotele, ma avendo
anche grande dimestichezza con i testi della cabbala e con il Corpus
Hermeticum, che egli cita continuamente, e avendo inoltre scritto, a
propositodi Ficino e dei neoplatonici fiorentini, che è grazie a loro e alla
loro opera che lui e i suoi contemporanei potevano finalmente filosofare con
libertà e con eleganza;
c) l’esatta posizione di Zwinger in materia religiosa, essendo stato
denunciato in vita quale «amicissimus et advocatus» della setta dei seguaci
-6-
di Castellione a Basilea, ma essendo oggetto, in morte, di un epitafio uscito
dall’ambiente ginevrino e dalla penna di Theodor de Bèze, in cui Zwinger
viene elogiato per la sua religiosità e l’universalità del suo sapere,
quasi fosse un novello Varrone del suo secolo.
L’ultima parola va naturalmente riservata all’opera monumentale di
tutta una vita, al Theatrum Vitae Humanae, che si dimostra in realtà essere
tutt’altro che la mera raccolta di esempi, di aneddoti e di singoli ritratti
provenienti dalla letteratura, dalla storia o dal circolo delle conoscenze di
Zwinger, che in essa ha voluto riconoscere la critica moderna; in effetti si
tratta piuttosto di una «enciclopedia del sapere e dell’agire umano», che, a
partire dalla prima edizione del 1565 fino alla terza, e definitiva, del 1586
viene continuamente rielaborata, anche nella struttura, ed ampliata con
sempre nuove aggiunte e riflessioni, fino a trasformarsi in un vero e proprio
«novum Organum» delle scienze.
Ma ritorniamo al contesto culturale e religioso da cui questi quesiti
traggono la loro dimensione storica, quello stesso contesto che, più tardi, ci
permetterà di dar loro una risposta più precisa.
-7-
I
Il dibattito intorno a Paracelso.
Basilea, la città dalle cui stamperie Castellione e i suoi amici avevano
lanciato la prima sfida in difesa della tolleranza religiosa in Europa, era
tornata ad essere, dopo pochi anni, il principale centro di irraggiamento di
un nuovo dibattito, anch’esso di dimensioni europee: quello intorno alla
figura e all’opera di Paracelso. Si trattava di una disputa di cui la
discussione intorno alla nuova medicina paracelsiana costituiva solo una
parte, seppur la più eclatante, quella da cui essa prende nome e che per
decenni costituì senza dubbio il comune punto di riferimento. Alla base
della discussione stavano due risposte diametralmente opposte alla
domanda intorno ai limiti della rivelazione e della scienza, e, di
conseguenza, due metodi di lavoro completamente diversi. La polemica
verteva su concetti come «esperienza» e «autorità», «ragione» e «lumen
naturale», e, soprattutto, sul concetto stesso di «Natura». I più profondi
motivi del Rinascimento italiano, platonismo e neoplatonismo, filosofia
ermetica, cabbala e magia tornavano alla ribalta con ancor maggiore vigore
per intrecciarsi, sotto i torchi delle stamperie basileesi, con la medicina,
l’alchimia e la filosofia naturale del Trismegistus Germanus Paracelsus, con
una densità mai vista prima.
Le Enneades di Plotino vennero pubblicate dal Perna nella
traduzione e con il commento di Marsilio Ficino nel 1559 e, di nuovo, nel
1580, questa volta insieme all’editio princeps del testo greco e con una
prefazione di Theodor Zwinger. L’Opera Omnia di Giovanni Pico della
Mirandola apparve per i tipi di Henricpetri nel 1557, nel 1572/73 e nel
1601; l’Opera Omnia dello stesso Ficino uscì, sempre presso Henricpetri,
nel 1561 e nel 1576. Nel 1563 Zwinger curò per Perna e Henricpetri la
raccolta complessiva delle opere di Francesco Cattani da Diacceto, e fu su
suo consiglio che Perna pubblicò nel 1581 le Discussiones Peripateticae
del Patrizi, e Froben, due anni dopo, il De natura hominis di Agostino
Doni. Nel 1579 apparve a Basilea, seppur con la falsa indicazione «Lugduni
apud Beringos Fratres» la prima raccolta di tutti gli scritti di Agrippa di
Nettesheim;16 nel 1587 fu la volta del primo volume della raccolta Artis
16
Delle cinque diverse edizioni di HENRICUS CORNELIUS AGRIPPA AB NETTESHEYM, Opera,
quaecumque hactenus vel in lucem prodierunt, vel inveniri potuerunt omnia, in duos tomos
concinne digesta, senza data di stampa e con la falsa indicazione tipografica «Lugduni, apud
Beringos fratres», la prima e più completa, in corsivo, di 16 ff. e 779 pp. per il primo volume e
12 ff. e 1139 pp. per il secondo, fu stampata infatti nel 1579, come si legge nel Catalogo della
fiera autunnale di Francoforte di Georg Willer (cfr. BERNHARD FABIAN, Die Messkataloge des
sechzehnten Jahrhunderts, 5 voll., Hildesheim, Olms, 1972-2001, vol. III, p. 400), benchè
l’editore della Bibliotheca Universalis di Gessner del 1583 segnali «1580», e appunto a Basilea,
come indicava I. C. PRAETORIUS nel catalogo della sua Biblioteca (Stockolm, KB, ms. U 375, f.
3r: «cum primo Tomo operum Cornelii Agrippae Basileae editorum»), e più precisamente nella
stamperia di Thomas Guarin, come era già noto nel XVII secolo al bibliofilo basileese REMIGIUS
FÄSCH, che nella sua collectanea della vita degli uomini illustri, rimasta manoscritta, annotava
alla voce Agrippa: «Opera Corn. Agrippae omnia duobus Tomis prodierunt Lugduni apud
Beringos fratres in 8°. Sed fictum est hoc typographi nomen. Excusa namque opera haec
Basileae apud Tom. Guarinum, uti apparet ex Typo, si conferatur cum Typo et literis
Guarinianis» (Basilea, Universitätsbibliothek, ms. O I 4, 178). Questa edizione con testo in
-8-
cabalisticae scriptores, che contiene opere di Paolo Ricci, Reuchlin,
Arcangelo da Borgonovo, Leone Ebreo, insieme allo Sepher Jezira. Il
secondo volume, che avrebbe dovuto contenere l’Opera Omnia di
Francesco Giorgio Veneto, non venne mai stampato.17 Delle circa settanta
stampe basileesi di Paracelso in quegli stessi anni – dopo il 1603 Paracelso
non venne mai più stampato a Basilea – più di sessanta uscirono per i tipi di
Perna o di suo genero – e suo successore – Conrad Waldkirch. Tra questi,
nel 1575, i due volumi della raccolta completa delle opere latine, progettata
dal Perna, e, nel 1589, presso Waldkirch, la prima grande raccolta in dieci
volumi dei Bücher und Schrifften Paracelsi, curati da Johann Huser.18 Ad
corsivo, già segnalata da DAVID CLEMENT (Bibliothèque curieuse, historique et critique ou
catalogue raisonné des livres difficiles à trouver, Göttingen 1750, I, 94-96) come la migliore e la
più bella («haec editio optima habetur’), corrisponde a quella riprodotta in facsimile da R.H.
POPKIN nel 1970-1973 presso l’Olms Verlag di Hildesheim, senza sapere che, casualmente, si
trattava dell’editio princeps dell’Opera: nel volume si legge infatti «Lyon, ma probabilmente in
Germania, s.t. 1600? ». Le altre quattro ristampe esistenti dell’Opera di Agrippa, una con
l’indicazione «Lugduni, per Beringos fratres, 1600» e le altre tre con il falso luogo di stampa
«Lugduni, per Beringos fratres», ma senza indicazione di anno [ca. 1605-ca. 1630], provengono
tutte dalla casa editrice di Lazarus Zetzner, cfr. Catalogvs Librorvm Francofurti in Taberna
Lazari Zetzneri Bibliopolae Argentinensis publice prostantivm. anno Millesimo sexcentesimo
sexto, esemplare dell’Ambrosiana di Milano riprodotto in CH. COPPENS, Five unrecorded
german Bookseller’s Catalogues, in «Archiv für Geschichte des Buchwesens», LIV, 2001, pp.
157-169 («Cornelii Agrippae opera, 8»; Catalogvs librorvm Francofvrti in taberna Lazari
Zetzneri Bibliopolae Argentinensis publice prostantivm anno millesimo sexcentisimo vndecimo
(«Corneli Agrippae opera in 8)»; vedi anche Catalogvs Librorvm, qvos Lazarus Zetznerus
Bibliopola Argentinensis p[iae] m[emoriae] et post eum, Haeredes eius, hactenus aut propriis
sumptibus imprimi curarunt Aut aliunde sibi compararunt [...] ad Annum M.DC.XXVI,
Argentorati, Conrad Sher, [1626], esemplare di Uppsala BU, a4r: «Henrici Cornelii Agrippae.
opera omnia, in 8.»; Catalogus librorum , quos Georgius Andreas Dolhopfius et Johan.
Eberhardus Zetznerus Bibliopolae Argentinenses socii Tam a cohaeredibus, quam aliund
coëmptos, suis sumptibus imprimi curarunt […], Argentorati 1662, f. B2r: «Agrippae (Henrici
Cornelii) Opera, duobus tomis, in 8». Per l’elenco delle edizioni fantasma delle opere complete
di Agrippa ,«1510», «1531», «1550», cfr. Magia, alchimia, scienza dal ’400 al ’700: l’influsso
di Ermete Trismegisto / Magic, Alchemy and Science 15th-18th Centuries: The Influence of
Hermes Trismegistus (Biblioteca Nazionale Marciana – Bibliotheca Philosophica Hermetica), a
cura di C. GILLY e CIS VAN HEERTUM, 2 voll., Firenze, Centro Di, 2002, vol. I, pp. 199, 205. Per
i precedenti tentativi di fissare data e luogo della prima stampa della raccolta, cfr. PAOLA
ZAMBELLI, Cornelio Agrippa nelle fonti e negli studi recenti, in «Rinascimento», 2 ser., VIII,
1968, pp. 182-183; EADEM, Cornelio Agrippa, Sisto da Siena e gli inquisitori, in «Memorie
domenicane», n.s. III, 1972, pp. 149-150.
17
Lettera di Johannes Pistorius a Heinrich Petri del 10. 4. 1578 (Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. G2 I 20bl, Nr. 74): «Ordo observandus in excudendis Cabalae scriptoribus […] Secundus
tomus contineret omnia opera Georgii Veneti: cuius viri nunquam satis laudatos labores, miror
cur non excudas». Le opere di Francesco Giorgio non vennero però stampate nell’Artis
Cabalisticae: hoc est reconditae Theologiae et Philosophiae, scriptorvm: Tomus I, Basileae,
Sebastian Henricpetri, (1587), di PISTORIUS, anche se nel XVIII secolo DANIEL G. MORHOF può
affermare nel suo Polyhistor literarius philosophicus et practicus maximam partem opus
posthumum, accurate revisum, emendatum, ex autoris annotationibus […] suppletum,
illustratum a JOHANNE MOLLERO, Lübeck, Böckmann, 1714, vol. I, p. 17: «Franciscus Georgius
Venetus (in libro), qui et seorsim prodiit, et junctim cum omnibus Scriptoribus Cabalisticis,
editis Basileae anno 1587 in fol. aliquot tomis».
18
KARL SUDHOFF, Versuch einer Kritik der Echtheit der Paracelsischen Schriften, I. Theil.
Bibliographia Paracelsica. Besprechung der unter Theophrast von Hohenheims Namen 1527-
-9-
essi vanno aggiunte le opere di paracelsisti come Suchten, Bodenstein,
Toxites, Dorn, Severinus, le raccolte medievali di trattati d’alchimia, le
opere di Arnaldo di Villanova, curate anonimamente da Zwinger e
pubblicate nel 1585,19 e, ultimo ma non minimo, uno dei più influenti e
dibattuti manuali di magia rinascimentale, l’anonimo Arbatel, de magia
veterum, pubblicato da Perna nel 1575.
Proprio a questo libricino, «mirum libellum Basileae publice editum
de magia», come ebbe a definirlo un basileese contemporaneo con una nota
sul frontespizio del suo esemplare, Rotondò ha dedicato una grande parte
del suo studio, giudicando a ragione la pubblicazione dell’Arbatel «come il
tentativo più audace fatto dal Perna di dare ampia e provocatoria diffusione
a quei presupposti culturali e religiosi – anche in questo caso suoi e di suoi
amici – che sono alla base di tante sue edizioni del decennio del quale ci
stiamo occupando e in particolare alla base della sistematica ricerca e
pubblicazione delle opere di Paracelso».20
Rotondò ha dimostrato come la denuncia della decadenza delle arti e
delle scienze – e addirittura delle religioni – di cui Perna si era fatto
portavoce al momento di pubblicare le opere di Paracelso e volumi come
l’Arbatel – traesse il suo motivo d’essere nella convergenza di due
polemiche: l’una contro la pretesa della chiesa ufficiale di essere l’unica
depositaria e amministratrice della retta conoscenza di Dio, l’altra per la
rivendicazione della libera ricerca su base esperienziale di contro
all’autorità di Aristotele e Galeno, tradizionalmente riconosciuti dalle
università come incontestabili interpreti della Natura. Tutto ciò secondo un
ben preciso piano di rinnovamento: una nuova riflessione critica su
religione e scienza alla luce della vera magia degli antichi, e cioè del
raccordo tra la tradizione ermetica e la scienza sperimentale di Paracelso:
«Hermes Trismegistus est secretorum pater cum Theophrasto Paracelso, et
in se omnes habent vires secretorum», come si legge nell’aforisma XXVI
dell’Arbatel.
Parallelamente Rotondò ha mostrato come sotto l’accanita
opposizione alla rivoluzione propugnata da Paracelso in ambito medico e
sotto la strenua difesa delle dottrine di Aristotele e Galeno fin nei minimi
particolari, la scienza «ortodossa» non facesse altro che combattere il
1893 erschienenen Druckschriften, Berlin, G. Reimer, 1894. L'ultima edizione basileese di
Paracelso è, secondo Sudhoff, la ristampa del terzo dei dieci volumi dell'edizione in-quarto di
Basilea, Waldkirch, 1589-1590. Da una lettera di Jacob Zwinger a Joachim Camerarius del 31
agosto 1603 risulta però che anche la celebre edizione delle Opera, Bücher vnd Schrifften di
Paracelso in due volumi in-folio, (Strassburg, Jn verlegung Lazari Zetzners Buchhändlers. Anno
M.DCIII), è stata in realtà stampata da Conrad Waldkirch a Basilea, cfr. Erlangen,
Universitätsbibliothek, Briefsammlung Trew, sub voce ‚Zwinger, Jacob‘, no. 32. «Paternum
Theatrum sub praelo est, et magna sui parte iam perfectum: ut integrum sequentibus nundinis, ni
quid morae interuenerit, quod ex usu typographi neutiquam foret, simus prolaturi. […]
Theophrasti opera, diligenter hic inde quaesita et praeter alias omnes editiones iam meliorata,
curante et imprimente Waldkirchio prodiere in lucem, duobus in folio tomis, sat grandibus.
Palaestra est in qua se exerceat lector, seligendis bonis, ab aliis quae mala sunt, plus quam
foecunda».
19
Vedi infra, nota 78 e 200.
20
ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cit. nota 14), p. 342.
- 10 -
radicale rovesciamento dei principi che sottostavano all’interpretazione
tradizionale dell’uomo e della Natura. Oggetto di questa reazione era in
particolare l’idea che l’uomo, in quanto microcosmo, potesse penetrare e
comprendere la Natura o macrocosmo, fino ad interpretarne il corso,
correggerlo o, addirittura, ripristinarlo per mezzo del suo spirito (corpus
sydereum per Ficino, corpo astrale–luce della Natura dentro l’uomo per
Paracelso, spirito di Dio dentro l’uomo per Suchten, oppure attraverso
l’esperienza di uno spirito planetario esterno come insegna l’Arbatel). Era
questa in sostanza l’immagine neoplatonica e magica del mondo che
serviva da cornice teorica alla ricerca sperimentale di Paracelso. Una tale
inversione di marcia minacciava naturalmente le norme che stavano alla
base della concezione teologica delle chiese ufficiali; per questo le accuse
di eresia contro Paracelso e i suoi seguaci presero presto piede, e non solo
da parte dei teologi, ma anche e soprattutto da parte di scienziati
«ortodossi» come Conrad Gessner, Johann Crato von Kraftheim e, in
particolare, Thomas Erastus, ben conscio del potenziale teologicamente
eversivo degli scritti paracelsiani e convinto, come riassume Rotondò, «che
una salvaguardia efficace di una posizione di pensiero accademicamente
ortodossa doveva cominciare dalla difesa del suo involucro teologico».
Si trattava di accuse ed incriminazioni che resteranno perfettamente
attuali anche quarant’anni dopo: «Se dobbiamo filosofare da cristiani,
seguendo i principi della fede e l’insegnamento di Cristo», scrive il più
eminente continuatore di Erastus, Andreas Libavius, «non dobbiamo
appellarci a magia, cabbala, alchimia, astrologia e chiromanzia e,
soprattutto, non dobbiamo seguire l’esempio di Paracelso e dei suoi
seguaci, poiché nei libri dei profeti e degli apostoli non si trova nulla di
tutto ciò; peggio ancora, molte delle opinioni paracelsiste possono scuotere
i fondamenti stessi delle sacre scritture, mentre al contrario la filosofia di
Aristotele, escludendo solo gli specifici articoli di fede, non contraddice in
nessun modo le scritture, tanto che, se vorremo filosofare con Cristo,
dovremo farlo seguendo la filosofia peripatetica, una filosofia che è stata
senza dubbio illuminata dalla luce dello Spirito Santo».
Si Christianè philosophandum est iuxta fundamentum fidei et autorem Christum,
non magicè, non cabalisticè, chymicè, astrologicè, chiromanticè, etc. et omnino neque
Paracelsicè, neque Crollicè, Hartmannicè, Scheunemannicè, etc. quia in libris de Christo,
Propheticis et Apostolicis, nihil istarum rerum inuenitur, imo pleraque Paracelsica
principiis Scripturarum euerti possunt, cum contra Peripatetica disciplina, exceptis his quae
ad fidem pertinent, omnibus Philosophis extra Ecclesiam ignotam, minimum pugnet cum
scripturis, ita vt si philosophandum sit cum Christo, peripateticè sit philosophandum,
21
Philosophia nimirum luce Spiritus Sancti in sacris fulgente illuminata.
21
ANDREAS LIBAVIUS, Examen philosophiae novae, quae veteri abrogandae opponitvr, Jn quo
agitur de modo discendi nouo: De veterum autoritate: De Magia Paracelsi ex Crollio: De
Philosophia vivente ex Severino per Johannem Hartmannum: De Philosophia harmonica magica
Fraternitatis de Rosea Cruce, Frankfurt, Peter Kopff, 1615, p. 6. I termini con cui Libavius
definiva Aristotele profeta illuminato dallo spirito di Dio, andavano oltre la definizione di
Jacques Lefevre d’Étaples, «divinus praeceptor incomparabilis», ed erano una sfida aperta contro
i paracelsisti e gli ermetici, spregiatori e schernitori del da loro chiamato «heidnischer
Narristoteles». Il calvinista Keckermann espresse in questi termini la sua opionione circa l’
- 11 -
Quasi cinquant’anni dopo la pubblicazione delle Disputationes di Erastus,
Libavius, attento osservatore della scena culturale nel mondo tedesco ai
primordi della mistificazione rosacrociana, era certo colui che meglio di
tutti gli altri poteva misurare i danni prodotti dalle lunghe polemiche
nell’ambito della teologia e della scienza tradizionali. Una gran parte della
sua monumentale opera (22 titoli per più di 16000 pagine) era dedicata a
difendere l’aristotelismo, a ripulire l’alchimia da ogni possibile eco di
«theophrastia» o della filosofia dell’«impius et ethnicus» Ermete
Trismegisto, ma, soprattutto, a combattere coloro che apertamente o in
forma latente (anche qui si parlava di nicodemiti)22 intendevano
ispirazione divina di Aristotele: «Qua re nec Aristotelem absque peculiari Spiritus Sancti
instinctu tam praeclarum Philosophum existisse credibile est, vt maxime e numero electorum non
fuerit», cfr. B. KECKERMANN, Praecognitorvm philosophicorvm libri duo, Hanau 1608, pp. 38
sg.). Ricordiamo inoltre che per l’ Organon di Aristoteles fu coniato il termine «Theopneustia»,
cfr. JOH. HERMANN VON ELSWICH, De varia Aristotelis in Scholis Protestantivm Fortuna
Schediasma, Wittemberg, 1720, p. 82; per queste ed altre citazioni cfr. LUTZ DANNEBERG, Logik
und Hermeneutik im 17. Jahrhundert, in JAN SCHRÖDER (Hg.), Theorie der Interpretation vom
Humanismus zur Romantik – Rechtwissenschaft, Philosophie, Theologie, Stuttgart, F. Steiner,
2001, pp. 75-131:93. Sulle diverse interpretazioni di Aristotele si veda ora anche CONSTANCE
BLACKWELL & SACHIKO KUSUKAWA (eds.), Philosophy in the Sixteenth and Seventeenth
Centuries. Conversations with Aristotle, Aldershot, Ashgate, 1999. Come contrasto riporto qui
l’amara critica mossa dal politico e teosofo Johannes Angelius von Werdenhagen contro il
«praeceptor Germaniae» Filippo Melantone per reintrodurre la scolastica aristotelica nelle
università tedesche: : «Gegen solchen Umfug hätte dann Gott – laut Werdenhagen –große
Geister wie Paracelsus, Weigel, Arndt, Crollius, Khunrath, Tanckius, Sendivogius oder
Hartmann erweckt, um die „alte, echte und gründliche Weisheit eines Hermes Trismegistus oder
Salomon“ wieder herstellen zu können», cfr. Werdenhagen, „Appendix ad Ψιχολογιαν“, in
Böhme, Ψιχολογια vera, Amsterdam, Jansson, 1632, pp. 497, 500, 549-55. Rientra il giudicio di
un tardivo lettore di Zwinger, Benito Jerónimo Feijóo, Teatro Crítico Universal. Discursos
varios en todo género de materias , para desengaño de errores comunes, vol. I-VIII, Madrid, P.
Marín, 1726-1739, VII, disc. 3: «La obediencia, o servil o ciega, que por tanto tiempo lograron
Aristóteles y Platón, mayor y más prolongada el primero que el segundo, entre todos los
estudiosos de la filosofía, tuvieron en grillos al entendimiento humano y en tinieblas la
naturaleza».
22
OSWALD CROLL, Basilica Chymica, continens philosophicam propria laborum experientia
confirmatam descriptionem et usum remediorum Chymicorum selectissimorum e Lumine gratiae
et naturae desumptorum, Frankfurt, Claude de Marne e eredi di Jean Aubry [ma stampata a
Hanau, offic. Wecheliana], 1609, p. 8: «Galenistorum vero pars syncerior et subtilior,
Nicomediana, ingenio mitiore, quae propter metum et excomunicationem Rabinorum quorundam
Atheniensium veritatem publice profiteri nondum ausa est...». E un anno prima il paraselsista
francese Israel Harvet aveva scritto: «Ac licet ex tanto numero vix unus atque alter veritatis
lumine irradiatus resipiscat: vix tamen palam id profiteri audet, sed ex metu reliquorum
Phariseorum, hominum fanaticorum, cogitur tamquam alter Nicodemus noctu, hoc est, in occulto
sua artis negotia tractare, nisi velit audire haereticus, magnus exorcista, sophista, Ramista,
Paracelsista, Alchymista etc.» ([Israel Harvet], Hermetis Trismegisti Tractatus vere Aureus, de
Lapidis Philosophici secreto, in capitula septem divisus: nunc vero a quodam Anonymo,
scholiistam exquisite et acute illustratus […], Leipzig, Valentinus am Ende, per Thomas
Schurer, 1610 (cito dalla ristampa contenuta in Theatrum Chemicum, praecipuos selectorum
Auctorum Tractatus de Chemiae et Lapidis Philosophici antiquitate, veritate, iure, praestantia et
operationibus, continens. In gratiam verae chemiae, et medicinae chemicae studiosorum (ut qui
uberrimam inde optimorum remediorum messem facere poterunt) congestum, et in sex partes seu
volumina digestum […], edd. JOHANNES JACOB HEILMANN et JOHANN FRIEDRICH BEZA, 6 voll.,
Strasburgo, eredi di Eberhard Zetzner, 1659-1661, vol. IV., p. 603).
- 12 -
contrapporsi alla tradizione. Mentre faceva di Petrus Ramus un
«fidissimum solertissimumque interpretem» di Aristotele («Petri Rami
doctrina logica. Aristotelis medulla est. Peripatetica vocetur»), 23 Libavius
concentrava i suoi attacchi contro il sistema platonico nel suo complesso,
considerandolo fonte di quelli che egli definiva i due maggiori errori del
suo tempo, la magia e lo scetticismo:
Paracelsicos rectius voces Socraticos aut Platonicos, quorum monarca Platonis
placita, a Jamblico, Proclo, Marsilio, Pomponatio (!) et aliis egregie ampliata et illustrata
plurimum retinuit, atque inde superstitiosissimae Magiae professor euasit, quamquam
alicubi prae se ferat dissensum ab Agrippa, Trithemio, Apollonio, sagis etc. Sed re ipsa
nihil aliud doceat, quam pestilentissimam magiam in speciem nouo praetextu illustratam,
re vera autem iisdem fundamentis et praeceptis obseruati, sicut legere est in nona et decima
24
parte scriptorum paracelsicorum.
Platone stesso, secondo Libavius, altro non era stato che un mago, «un
onore che tra noi cristiani viene ripagato con il rogo e il patibolo». 25 Come
era stato nelle Disputationes di Erastus, dove si proponeva la condanna a
morte di tutti i seguaci di Paracelso,26 anche nel caso delle accuse di
Libavius non si trattava di pura retorica: «non autem ludo; seria loquor ex
historiarum et experientiae fide». Ed aggiungeva che erano da considerare
ormai maghi tutti coloro che si riconoscevano nella dottrina platonica:
Nostra aetate qui Platonicus est, magus et supersticiosus est, ut evidenter testantur
27
Jamblicus, Proclus, Agrippa, Paracelsus, Marsilius, Pomponatius et alii multi.
Alla magia si era aggiunto, secondo il rettore dell’Accademia di Coburgo,
lo scetticismo, che troverebbe il suo primo sostenitore in Socrate, per la sua
convinzione, contro a ogni evidenza, di non saper nulla e il suo aver messo
in dubbio ogni conoscenza.
Che fiducia puoi dare a chi nega la certezza della percezione sensitiva? –
domandava Libavius a un paracelsista, Henning Scheunemann - Aborri i nuovi scettici, ma
che altro insegna il tuo Socrate nel Fedone di Platone? Condanni Porfirio, ma cos’altro era
egli stesso se non un platonico? Accusi di follia gli anabattisti, quando Socrate insegna le
stesse cose, sebbene in altro contesto. Il punto di vista di Socrate viene accettato tanto dai
Turchi che dagli eretici. O tu pensi forse che essi insegnino la vera conoscenza di Dio,
quella che iniziamo a possedere in questa vita e che dopo la morte porteremo a perfezione?
23
ANDREAS LIBAVIUS, Variarvm controversiarvm, earvmque etiam svbtiliorvm, inter mostri
temporis Philosophos et Medicos Peripateticos, Ramaeos, Hippocraticos, Paracelsicos, etc. in
Scholis et aliàs a Sophistis agitatarum Libri dvo schediastici,, Frankfurt, Romanus Beatus per
Petrus Kopff, 1600, p. 85-86. Rispetto alle posizioni antiaristoteliche radicali dei paracelsisti
come Suchten, Severinus, Arndt, Weigel, Syderocrates, Croll o della stessa Fama Fraternitatis
R.C., Libavius non sbagliava nel minimizzare le differenze fra ramisti ed aristotelici, in questo
contesto non così sostanziali.
24
Ivi, p. 86.
25
Ivi, p. 290: «[...] Daemonem ipsum habuit et Magus fuit, quae laus inter Christianos est cruce
et flammis digna. Non autem ludo: seria loquor ex historiarum et experientiae fide».
26
THOMAS ERASTUS, Dispvtationvm de medicina nova Philippi Paracelsi Pars Prima, Basilea,
Pietro Perna, [1571], p. 215: «Dixi liberius et copiosius quid sentirem, vt simul indicarem atque
probarem, Paracelsum (itemque discipulos eius omnes, quotquot Magica ipsius probant et
imitantur, aliosque Magos dignos esse vel mortis poena ab impietate ista revocentur et
absterreantur».
27
ANDREAS LIBAVIUS, Variarvm controversiarvm (cit. nota 8), p. 460.
- 13 -
Che ne sarebbe dell’ufficio della Chiesa, dell’uso visibile dei sacramenti e di tutto il resto,
che è voluto e prescritto da Dio? Nel negare l’oggettività della percezione sensibile Socrate
non nega forse anche la Chiesa visibile e l’intera società umana? A che specie animale
apparteneva dunque questo filosofo entusiasta e ottuso? Esiste anche un libro, chiamato
Arbatel, pieno oltre ogni misura della più empia e scellerata magia. Quel libro insegna le
stesse opinioni platoniche. E di tali opinioni traboccano tutte le altre opere dei maghi. Nel
farti difensore di Socrate ti fai protettore e complice anche di tutti questi parti della
fantasia.28
Negazione della chiesa e di tutta la società civile: questa l’accusa contro i
dissidenti destinata a divenire una costante in bocca ai teologi e agli
scienziati ortodossi per tutto il XVII secolo. Un’accusa che si spinse fino al
clamoroso autodafé per ogni presunta o vera espressione di platonismo in
due opere della fine del secolo, Das Platonisch–Hermetisches Christentum
di Ehregott Daniel Colberg,29 e la raccolta di Johann Friedrich Corvinus
Anabaptisticum und Enthusiasticum Pantheon.30 D’accordo su accusa e
28
Ivi, p. 335: «Quid potes illi tribuere, qui sensuum certitudinem negat? Academicos recentes
execraris. At illud ipsum est Socratis tui in Phedone dogma. Porphyrium quem damnas? At hic
ipse Platonicus fuit. Anabaptistas dementiae arguis. At idem Socrates hic docet, quamquam in
obiecto alio. Socratis sententiam nec Turca negat, nes quiuis forte haereticus. Tunc inde colligas,
veram Dei noticiam in hac vita inchoandam, in altera complendam ab eis tradi? Vbi ministerium
Ecclesiae et visibilis vsus sacramentorum et reliqua, quae Deus vult et sancit? Socrates cum
damnat sensus, at non visibilem Ecclesiam, et totam humanam societatem damnat. Quodnam
animal sit ille ecstaticus et stupidus philosophus? Est quidam liber, Arbatel dictus, extremè
impius et magicus. Hic eadem Platonica docet. Magorum volumina plena sunt iisdem. Si
patrocinaris Socrati: Simul omnium istiusmodi portentorum es defensor». Per una valutazione
critica del famoso chimico antiparacelsista vedi ora C. GILLY, La ‘quinta colonna’
dell’ermetismo: Andreas Libavius, in Magia, alchimia, scienza dal ’400 al ’700: l’influsso di
Ermete Trismegisto (cit. nota 15), pp. 399-409; per una valutazione assai diversa di Libavius
come scienziato cfr. W. HUBICKI,«Libavius Andreas», in CH. C. GUILLISPIE, Dictionary of
Scientific Biographie, 9, New York 1973, pp. 309-312; W.-D. MÜLLER-JAHNCKE, Andreas
Libavius im Lichte der Geschichte der Chemie. Zur kritischen Einordnung des Coburger
Universalgelehrte, in «Jahrbuch der Coburger Landesstiftung», XVII, 1972, pp. 205-230; L.
SCHNURRER, «Andreas Libavius (ca. 1558-1616)», in Fränkische Lebensbilder, NF, 15,
Neustadt/Aisch, Degener, 1993, pp. 85-106.
29
EHREGOTT DANIEL COLBERG, Das Platonisch-Hermetisches Christenthum, Begreiffend die
Historische Erzehlung vom Ursprung und vielerley Secten der heutigen Fanatischen Theologie,
unterm Namen der Paracelsisten, Weigelianer, Rosencreutzer, Quäcker, Böhmisten,
Wiedertäuffer, Bourignisten, Labadisten, und Quietisten, Frankfurt – Leipzig, Johann Köhler per
Moritz Georg Weidmann, 1690–1691 (circa 1300 pp. in 8°; seconda e ultima edizione, Leipzig,
Joh. Ludwig Gleditsch per M.G. Weidmann, 1710).
30
[JOHANN FRIEDRICH CORVINUS], Anabaptisticum et Enthusiasticum Pantheon Und Geistliches
Rüst-Hausz Wider die alten Quacker, und neuen Frey-Geister, Welche die Kirche Gottes
zeithero verunruhiget, und bestürmet, auch treue Lehrer und Prediger Göttlichen Worts,
verachtet, verleumbdet,geästert und verfolget haben […], [Köthen und Frankfurt] 1701-1702.
[Dei quattordici trattati, di più di 1100 pagine in folio con ritratti di David Joris, Fausto Sozzini,
Weigel, Böhme, Fludd, Descartes, Molinos, Spinoza, Hobbes, Sabbatai Zevi e Balthasar Bekker,
ci interessa qui in particolare quello stampato con il lunghissimo titolo di «Der alten und neuen
Schwärmer Widerteufferischer Geist. Das ist, Glaubwürdiger und Historischer Bericht, Was
Jammer, Elend, Angst, Noth und Auffruhr die alten Schwärmer und Widertäuffer gestifftet und
angerichtet haben. Daraus zu schließen, was man von denen jetziger Zeit, aufs neue
einschleichenden Schwärmern als David Joristen, Weigelianern, Rosencreutzern, Pansophisten,
Böhmisten, Chiliasten, Enthusiasten, Quackern, Labadisten, Offenbarungs- und Frey-Geistern,
Quitisten, Träumern, Scheinheiligen, neuen falschen Propheten und Atheisten zugewarten habe,
weiln sie, wie erwiesen, einerley Lehre und Grundschätze führen. Denen beygefüget sind: Hoher
- 14 -
condanna, gli ortodossi seguono una tradizione di difesa che riprende gli
schemi messi in luce da Rotondò nella sua analisi delle reazioni di teologi e
scienziati di fronte alla pubblicazione dell’Arbatel e, più in generale, di
fronte al programma editoriale del Perna nel suo complesso. Con parole
simili a quelle usate dal calvinista Girolamo Zanchi contro l’«eccessivo»
razionalismo degli antitrinitari,31 il teologo Colberg proclama centoventi
anni più tardi tutte le sue riserve contro quegli scienziati che si arrogano il
diritto di scrivere in materia teologica:
«Gli stessi grilli fanatici si nascondono nei libri di Helmont, e bisogna
perciò riconoscere che, quando nei libri dei medici, e in particolare dei
chimici, si incontrano affermazioni che hanno a che fare con la teologia,
queste non devono essere accolte prima di averle sottoposte al dovuto
esame, soprattutto poiché costoro ripongono troppa fiducia nella propria
ragione, e vogliono misurare con essa anche i misteri divini, come dimostra
non solo l’esempio di Teofrasto [Paracelso] e dei suoi seguaci, ma anche
quello di Michele Serveto, Giorgio Biandrata e Girolamo Bolseco, iniziatori
e difensori della perniciosa ed empia dottrina dei Sociniani. Ma questo sia
detto senza voler offendere i medici dotti e timorati di Dio».32
Nello stesso anno in cui a Londra la critica filologica di Isaac Casaubon minava
alle fondamenta l’intero edificio del platonismo rinascimentale, tentando di distruggere una
volta per tutte la leggenda di Ermete Trismegisto contemporaneo di Mosè ed autore del
Poemander e dell’Asclepius,33 il «grande» scienziato Libavius non sapeva far altro che
seguire ancora il vecchio metodo di Erastus e del più rigido conservatorismo, scegliere
cioè l’argomentazione teologica come l’arma più efficace contro i principi di filosofia e di
scienza naturale messi in questione dai dissidenti. Nell’ Exercitatio paracelsica de
notandis ex scripto Fraternitatis de Rosea Cruce Libavius ammoniva i membri
dell’invisibile confraternita dei Rosacroce a eliminare dal loro programma «tutti i parti
della fantasia paracelsiana» poiché non ce n’è uno tra essi che non vada contro la verità e
l’onore di Dio, non ce n’è uno che non sovverta la scienza riconosciuta e utile al bene
comune:
«Omnino totam Paracelsiam ad examen reuocabunt, et omnia ista portenta
eradicare conabuntur, quando nihil eorum est, quin veritatem Dei et gloriam
laedat, et vtiles, preaclarasque scientias euertat». 34
Può avere un effetto straniante sentir pronunciare queste parole da un uomo
che deve la sua notorietà, soprattutto nell’ambito della storia della chimica,
Potentaten, Scharffe und ernsthaffte Befehle, wider solche Ketzer und Schwärmer, Desgleichen
einige über sie, ihreLehre und offenbahre Betrügereyen, Von Hoch-löblichen Universitäten, als
Marburg, Strassburg, Jena, Helmstädt und Rintelen. Gestellte Bedencken und eingeholte Urtheile
[…] Gedruckt im Jahr 1701».
31
GIROLAMO ZANCHI, Adversus blasphemias Petri Gonedzii libellum responsio, in IDEM,
Opervm Theologicorvm tomus octavus, Genève, Stephanis Gamonetus, 1613, 1617-1619, vol. 8,
p. 549: «Observent autem lectores causam, cur et isti Tritheistae et Ariani omnes ac Servetiani,
doctrinam hanc, quam hactenus Ecclesia credidit et praedicavit de Deo Patre, Deo Filio, Deo
Spiritu Sancto uno eodemque Deo seu Jehova, oppugnent: Ea est, quia percipere intellectus sui
ratione hanc non possunt doctrinam».
32
E. D. COLBERG, Das Platonisch-Hermetisches Christenthum (cit. nota 28), pp. 204-205.
33
FRANCES A. YATES, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari, Laterza, 1969, p. 429.
34
A. LIBAVIUS, Exercitatio paracelsica nova de notandis ex scripto Fraternitatis de Rosea
Crvce, in IDEM, Examen philosophiae novae, quae veteri abrogandae opponitvr (cit. nota 20), p.
298.
- 15 -
non ai suoi esperimenti, ma unicamente al diligente lavoro di compilazione
degli scritti di altri autori, in particolare di quelli che egli mirava ad
annientare con la durezza e l’odio che i testi sopra citati dimostrano,
attaccandone l’impostazione generale teorica e metodologica. Tale
atteggiamento tuttavia stupisce meno chi conosca la ristrettezza di vedute e
la stridente arroganza con cui egli andava proclamando ai quattro venti il
suo credo religioso e scientifico:
Ordo Dei est Philosophia quae docetur in Gymnasiis, Scholis et Academiis, vt et
Theologia syncera declarata Augustana Confessione: Dei donum est medicina dogmatica
et aliae artes scientiaeque.35
Rotondò ci ha fornito la chiave per la piena comprensione di una
professione di fede di questo tenore. Storico dell’eresia e del ruolo che essa
occupa nella formazione di una nuova mentalità nell’Europa moderna,
Rotondò ha ampliato le ricerche sulla dissidenza religiosa del suo maestro
Cantimori, abbracciando ambiti che a prima vista non sembrerebbero
appartenere alla storia dell’eresia. Si tratta in questo caso della complessa
problematica legata alla magia, elemento fondamentale e inalienabile non
solo della disputa intorno a Paracelso, ma anche del dibattito sulla scienza
della natura tra rinascimento e età moderna. La cosa più sorprendente è che
quest’ampliamento di campo corrisponde al tempo stesso ad un ritorno
verso più antiche forme di storiografia ereticale, come, in particolare, quella
della Unpartheyische Kirchen- und Ketzer-Historie di Gottfried Arnold, che
si occupava non solo di Paracelso, paracelsisti, teosofi e Rosacroce, ma
ristampava anche parzialmente l’Arbatel.36 Rotondò non ha voluto seguire
lo sviluppo di questo dibattito nel XVII secolo. Ben conscio delle
conseguenze storiografiche che un ampliamento della storia ereticale oltre
gli ambiti classici dell’antitrinitarismo e dell’anabattismo comporta, egli ha
scelto di concentrarsi sull’analisi della critica alla tradizione religiosa e
culturale che porta Perna e la sua cerchia di amici e collaboratori a scegliere
di divulgare scritti paracelsisti e magici.
Questo tipo di critica può certamente essere rinvenuta già negli
scritti dei primi adepti rinascimentali dell’ermetismo, della cabbala e della
magia, basti fare il nome di Ficino, Pico, Lazzarelli, Tritemio, Lefèbre
d’Etaples, Reuchlin, Francesco Giorgio Veneto, Agrippa e Serveto. Va però
sottolineato che nessuno di questi autori, ad eccezione di Serveto – e, più
tardi, di Giordano Bruno – ruppe apertamente con le chiese, né intraprese
una lotta diretta contro la tradizione teologica. Tutti preferivano
minimizzare la pericolosità delle proprie posizioni, dichiarandosi comunque
pronti a sottomettersi ai dettami della chiesa. Per il Perna, invece, la
letteratura da lui divulgata (grazie soprattutto al nuovo vigore assunto dal
pensiero di Paracelso) non si accontenta più di riservare a ermetismo e
magia il ruolo di sentiero insolito (e per questo tollerato) nel cammino
verso la conoscenza della realtà, un sentiero valido solo per un uso privato e
35
Ivi, p. 298.
GOTTFRIED ARNOLD, Unpartheyische Kirchen- und Ketzer-Historien Vom Anfang des Neuen
Testamets bisz auf das Jahr 1588, vols. I–III, Schaffhausen 1740–17424, vol. I, pp. 1521-1530.
36
- 16 -
relegato al di fuori delle università. Questa volta attraverso la concezione
magico-ermetica del mondo viene, al contrario, proclamata una nuova
scienza in aperta opposizione a quella ufficiale e, con la nuova scienza, una
nuova religiosità in accordo con essa. In questo consisteva l’eresia contro
cui si scagliarono teologi e scienziati ortodossi.
Che paracelsismo e magia contenessero un aspetto in aperto conflitto con le
posizioni della chiesa ufficiale è certamente un fatto che non è mai stato
trascurato né dagli studiosi di Paracelso – Sudhoff, Peuckert, Pagel,
Goldammer – né dagli specialisti di ermetismo e magia – Thorndike, Garin,
Walker, Yates. A Rotondò va però riconosciuto il merito di avere messo
questo motivo in primo piano, e di aver chiaramente dimostrato nel caso di
Perna e dei suoi amici basileesi quanto strettamente si intrecciassero fra
loro lo svuotamento e la sovversione della concezione tradizionale del
mondo portati dalla rivalutazione della magia e dalla diffusione della gnosi
paracelsiana da un lato, e la relativizzazione del valore dei dogmi dall’altro.
La battaglia per la restaurazione della scienza e quella per una radicale
riforma religiosa erano intimamente collegate tra loro: esisteva una
cosciente e mirata convergenza di sforzi nella lotta per la libertà di ricerca e
per la tolleranza religiosa.
Naturalmente da entrambe le parti i fronti non erano monolitici,
tanto che non è assolutamente possibile innalzare a norma comune
posizioni religiose e culturali antitetiche come quelle di un Perna o di un
Erastus (qui ortodossia, aristotelismo, galenismo; lì paracelsismo,
ermetismo e eresia). Mentre nella Restitutio Christianismi di Serveto viene
fatto largo uso degli scritti ermetici,37 autori come Fausto Sozzini non
nascondevano affatto il proprio rifiuto nei confronti di Ermete Trismegisto,
da cui, riteneva Sozzini, derivava l’intera ipotesi trinitaria.38 Per altro verso
vedremo come uno dei primi paracelsisti, Adam von Bodenstein, prendesse
le parti di Theodore de Bèze nel presentare al consiglio cittadino basileese
le accuse del teologo ginevrino vòlte a far condannare Castellione come
eretico,39 mentre l’alchimista calvinista Guglielmo Grataroli giocava un
ruolo simile nella denuncia della dissidenza religiosa a Basilea. Fu d’altra
parte un intransigente calvinista, il famoso giurista François Hotman, non
37
ROLAND H. BAINTON, Hunted Heretic. The Life and Death of Michael Servetus, Boston,
Bacon, 19642, pp. 131; 255; IDEM, Michel Servet, hérétique et martyr 1553-1953, Genève, Droz,
1953, pp. 78, 87; CLAUDIO MANZONI, Umanesimo ed Eresia: M. Serveto, Napoli, Guida, 1974,
pp. 83-114.
38
FAUSTO SOZZINI, Explicatio primae partis primi capitis Johannis, cfr. IDEM, Opera Omnia in
Duos Tomos distincta. Quorum prior continet ejus Opera Exegetica et didactica, posterior
Opera Polemica comprehendit, in Bibliotheca Fratrum Polonorum, Irenopoli (Amsterdam),
Irenicus Philalethius [Franciscus Kuyper], post 1656 [ca. 1668], vol. I. p. 83.«Etenim valde illi
consentanei sunt ipsius Platonis, et eius sectatorum scripta, qualia sunt Jamblici et caeterorum;
qui tamen omnes a Mercurio illo Trismegisto haec hausisse videntur. Quod ita se habere
aliquorum scripta testantur, qui istorum auctoritate trinitatis opinionem confirmare non sunt
veriti.»
39
FERDINAND BUISSON, Sébastien Castellion, sa vie et son ceuvre, Paris 1892, vol. II, pp. 483493; vedi ora anche HANS R. GUGGISBERG, Sebastian Castellio. Humanist und Verteidiger der
religiösen Toleranz, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1997, pp. 219-221.
- 17 -
solo a pubblicare presso Perna, anagrammando il proprio nome in Thomas
Arfoncinus, una difesa dell’alchimia,40 ma a fare in prima persona
esperimenti alchemici, fino alla morte, avvenuta proprio a Basilea. Del
resto lo stesso Theodore de Bèze nel 1575 non aveva avuto nulla in
contrario a inserire un proprio componimento in versi nello Sclopetarius del
paracelsista francese Quercetanus,41 ciò che gli costò versi satirici da
Basilea, e la compiaciuta derisione di Erastus, suo nemico personale, che
rimproverò a Bèze d’essere «protettore dell’insania alchemica», e con gran
piacere si peritò di ripetere ovunque questo distico:
Non satis est una foedari peste Genevam / Nunc etiam nutrix dicitur Alchimiae.
42
Nel 1590 tuttavia troviamo Bèze impetrare di fronte al consiglio ginevrino
misure per la proibizione dell’alchimia, «que tout cest art n’est que piperie,
que luy mesmes y a esté trompé, que Monsieur Hotomans s’y est
consumé».43 Proviene peraltro dallo stesso Bèze la più dura protesta - e
certamente la più pericolosa per Perna - contro la pubblicazione sul suolo
evangelico dell’Arbatel, «con i suoi segni satanici».44
40
THOM. ARFONCINI I. V. Doctoris de iure alchimiae responsum, in JOHANNES CHRYSIPPUS
FANIANUS, De arte metallicae metamorphoseos liber singularis […] Item de Iure Artis
Alchemiae veterum auctorum et praesertim Iurisconsultorum Iudicia et responsa ad
quaestionem, An Alchemia sit ars legitima, Basilea, P. Perna, 1576, pp. 103-118. Il Responsum
venne ristampato in quasi ogni raccolta di scritti alchemici. L’autografo originale di Hotman si
conserva presso la Biblioteca Universitaria di Basilea, ms. C VIa 47, pp. 829-837. Che Hotman
ne sia stato l’autore e non solo un copista è provato da due lettere di Hotman stesso a Basilius
Amerbach dell’ottobre e del novembre 1575, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. G II 19, ff. 169
e 176. Un altro testo manoscritto, questa volta con il nome di Hotman, An Alchemia in bene
morata civitate toleranda sit (Bologna BU, ms. Lat. 270 (Lat. 457, XXI-3), è stato pubblicato da
François Secret, Un document oublié sur François Hotman et l'alchimie, in «Bibliothèque
d'Humanisme et Renaissance», XLII, 1980, pp. 435-446. Secret è stato il primo a vedere che il
falso nome di Thomas Arfoncinus non è altro che l’anagramma di Francis. Hotomanus. Vedi ora
anche DIDIER KAHN, Paracelsisme et alchimie en France à la fin de la Renaissance (15671625), (Thèse, Paris IV 1998), p. 225, 227 sg.
41
JOSEPH DUCHESNE (QUERCETANUS), Sclopetarivs, sive de curandis vvlneribus, quae
Sclopetorum et similium tormentorum ictibus acciderunt, liber. Eivsdem antidotarivm
spagiricvm aduersus eosdem ictus, Lyon, Jean Lertout, 1576.
42
Lettera di Erasto a J. J. Grynaeus del 15. 8. 1576, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. G II 4, f.
198: «Valde uelim scire cur Geneuates Fenotum in custodia tenuerint, id est, quibus rationibus
factum suum uelarint. Non dubito enim eos fauere uelis et remis Chemicis, cum patronum
habeant insaniae suae Bezam. Quam saepe occurrit animo dystichon: ‘non satis [...] dicitur
Alchimiae’». Autore del distico era Bonaventura Vulcanius; sulla polemica di Fenotus e
Duchesne vedi ora DIDIER KAHN, Paracelsisme et alchimie en France (cit. nota 25), pp. 230237.
43
LEON GAUTIER, La médicine à Genève jusqu’à la fin du XVIIIe siècle, in «Mémoires et
documents publiés par la Société d’histoire et d’archéologie de Geneve», s. 2, vol. 10, Genève
1906, pp. 200-201.
44
A. ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cit. nota 14), p. 383. Vedi
ora la lettera corrispondente in Correspondance de Théodore de Bèze, vol. XVI, Genève, Droz,
1993, p. 266, con la fuorviante osservazione: «Remarquons que ni Bèze, ni Grynaeus, ni leurs
contemporains ne savaient que l’Arbatel était d’Agrippa de Nettesheim (sic), bien que ce texte
ait déjà été publié en 1531 (resic), à Lyon, par les frères Godeffroy et Marcellin Beringer, dans
les oeuvres en 2 vols. in-8, d’Agrippa».
- 18 -
Sicuramente esisteva un buon numero di paracelsisti che restavano allo
stesso tempo convinti luterani, calvinisti o cattolici; tra gli amanti della
«prisca theologia» si trovavano del resto seguaci di tutte le confessioni,
riuniti certo da una chiara inclinazione verso l’irenismo, come ha già
dimostrato Walker nel suo studio The Prisca Theologia in France.45 Quegli
ermetici e quei paracelsisti che si spinsero a riconsiderare i fondamenti
stessi della loro filosofia, si trovarono tuttavia ad imboccare strade che li
portarono a confrontarsi apertamente con le chiese ufficiali, e, anzi, a
provocare un confronto con esse. 46
(?????) Su Giordano Bruno, colui che definì Cristo un mago e definì
religione la magia divina degli Egizi, «la buona religione, che fu relegata
nelle tenebre quando il Cristianesimo la distrusse, la proibì con le sue leggi
e sostituì con il culto di cose morte, riti assurdi, cattiva condotta morale e
guerre continue».47 Quanto a Valentin Weigel, vogliamo qui ricordarne solo
il breve testo che porta il titolo di Ein kurtze ausführliche Erweisung, das zu
diesen Zeiten, in ganz Europa bey nahe kein einiger Stul sey in allen
Kirchen und Schulen, darauf nicht ein Pseudopropheta, ein Pseudo
Christus, ein Verführer des Volkes, ein falscher Ausleger der Schrifft stehe,
und der nicht in die Zahl der Blinden Leyter gehöre, das ist, der nicht deren
einer sey, von welchen uns Christus gewarnt hat, und der da nicht an ihm
habe die Notas, Characteres, signa et fructus falsorum Prophetarum:
(Breve e completa dimostrazione del fatto che oggigiorno in tutta Europa
quasi non c’è seggio nelle chiese o nelle scuole, su cui non sieda uno
pseudoprofeta, uno pseudo-Cristo, un seduttore dei popoli, un falso
interprete delle scritture, che non appartenga al numero dei ciechi, cioè che
non sia uno di quelli dai quali Cristo ci ha detto di guardarci, e che non
rechi su di sé notas, characteres, signa et fructus falsorum prophetarum).
Qui si può leggere una delle critiche più feroci contro entrambi i mondi,
l'accademico e l’ecclesiastico:
Di religiosi e di dotti [...] esistono tante varietà, tanti diversi gruppi, fazioni e
sette, divise e frazionate, come quella papista, quella luterana, quella zwingliana, quella
calvinista, quella flaciana, quella anabattista, etc. e tante simili, una dopo l’altra, nessuna
esclusa; e ogni gruppo ha un suo proprio tempio, una sua chiesa, una sua scuola, in cui
ciascuno predica, insegna, profetizza, interpreta, glossa e commenta Cristo e la sua parola;
e ciascun gruppo dice ai suoi uditori, cioè a coloro che non appartengono allo stato
ecclesiastico e sono quindi loro sudditi: «Seguiteci, la ragione è dalla nostra parte, noi
siamo stati mandati Dio, da Cristo, noi solo possediamo lo Spirito Santo, siamo qui per
rappresentare Dio in terra, dovete apprendere il vostro credo da noi. Gli altri giacciono
nell’errore, solo noi siamo nel giusto, perché (dico io) il loro numero è talmente alto, e
45
D. P. WALKER, The Prisca Theologia in France, in «Journal of the Warburg and Courtauld
Institutes», XVII, 1954, pp. 204-259:258.
46
Vedi ora C. GILLY, ‘Theophrastia sancta’. Der Paracelsismus als Religion im Streit mit den
offiziellen Kirchen, in J. TELLE ed., Analecta Paracelsica. Studien zum Nachleben Theophrast
von Hohenheims im deutschen Kulturgebiet der frühen Neuzeit (Heidelberger Studien zur
Naturkunde der frühen Neuzeit, 4), Stuttgart, Steiner, 1994, pp. 425–488; IDEM, ‘Theophrastia
Sancta’ — Paracelsianism as a Religion in Conflict with the Established Churches, in O.P.
GRELL ed., Paracelsus. The Man and His Reputation, His Ideas and Their Transformation
[Studies in the History of Christian Thought 85], Leiden, Brill, 1998, pp. 151–185.
47
F. A. YATES, Giordano Bruno e la tradizione ermetica (cit. nota 18), pp. 238 e 384.
- 19 -
ognuno di loro ci giura, e mille volte ci giura, di avere ragione, e che tutti gli altri
sbagliano. Ma Cristo mi ha messo in mano le prove, cioè di conoscerli dai loro frutti
(cognitionem ex fructibus), per non rimettermi nella mani di nessuno, e questa prova
voglio conservarla e farne uso, perché vivo, e loro non possono dunque ingannarmi, ed
essa ha reso i miei occhi così acuti, che nessuno davanti a me può nascondersi, e Dio mi
assiste nel provare, se qualcuno appartiene alla schiera degli pseudoprofeti o no.
Nel cristianesimo attuale del Nuovo Testamento ci soni i papisti, i luterani, i
calvinisti e tutte le sette sono divise e in polemica tra loro, ciascuno vuole avere Cristo solo
per sé. Ma se Cristo venisse, come accadde a suo tempo, nessuno di loro lo prenderebbe
dalla sua parte, e così tutti sarebbero contro di lui, e si affretterebbero a mandarlo allo
forca, per quale motivo, resta ancora ignoto. Sarebbero, insomma, tutti d’accordo su ogni
punto, e da entrambe le parti non sono che chiassosi e indemoniati nemici di Dio,
bestemmiatori della Verità, il genere più orribile e maledetto che sia mai esistito sulla terra.
Io credo davvero che se ora come ora dovesse venire tra noi qualcuno mandato da Dio, e
dovesse parlare e predicare degli articoli di fede con la forza dello Spirito Santo, né i
papisti, né i luterani, né i calvinisti, lo accoglierebbero tra loro, e così nessuno delle altre
sette; tutti prenderebbero ad urlare contro di lui, non riuscirebbero a mettersi d’accordo su
nessun punto, benché minimo, ma direbbero tutti che è un visionario, un eretico, un
fanatico, un falso profeta, uno posseduto dal diavolo, un corruttore del mondo, nessuna
università in tutt’Europa lo prenderebbe, perché tutti sono convinti di avere già in mano la
48
verità e di essere i più vicini a Dio.
48
VALENTIN WEIGEL, Zwey schöne Büchlein, Das Erste, Von dem Leben Christi ... Das Ander,
Eine kurzliche außführliche Erweisung, Das zu diesen Zeiten […] vbersehen vnd in Druck
verfertiget, durch HULDREICH MEIRSBACH VON REGNBRUN [JOHANNES SIEBMACHER VON
NÜRNBERG], Neustadt (Frankfurt?), s.t. (Lucas Jennis?), 1618, pp. 104-139: 118 e 123-124.
Attribuito comunemente al collaboratore di Weigel, Benedikt Biedermann; per la tradizione del
testo cfr. VALENTIN WEIGEL, Sämtliche Schriften, ed. HORST PFEFFERL, vol. 7, Stuttgart-BadCannstatt, Frommann-Holzboog, 2002, pp. xxvi-xxx. Sull'accanita opposizione da parte di molti
paracelsisti contro chiese e università rimando ai miei saggi Das Sprichwort ‘Die Gelehrten die
Verkehrten’ oder der Verrat der Intellektuellen im Zeitalter der Glaubensspaltung, in A.
ROTONDÒ ed., Forme e destinazione del messagio religioso. Aspetti della propaganda religiosa
nel cinquecento, Firenze 1991, 229–375; e 'Theophrastia sancta' (cit., nota OOO). Le ricerche
ora tanto in voga sul «confessionalismo» e sul «disciplinamento sociale» nella seconda metà del
Cinquecento tralasciano di solito i gruppi e gli individui irriducibili che, dappertutto in Europa,
sfuggivano al controllo confessionale, vedi PETER A. DYKEMA (ed.), Anticlericalism in late
medieval ans early modern Europe (Studies in medieval and Reformation thought, 51), Leiden,
Brill, 1993; CATHERINE DEJEUMONT, Schwärmer, Geist, Täufer, Ketzer: de l’allié au criminel
(1522-1550), in «Bulletin de la Société de l’Histoire du Protestantisme Français», 148, 2002, pp.
21-46; THOMAS KAUFMANN, Nahe Fremde – Aspekte der Wahrnehmung der “Schwärmer” im
frühneuzeitlichen Luthertum, in K. VON GREYERZ et alii (edd.), Interkonfessionalität –
Transkonfessionalität – binnenkonfessionelle Pluralität. Neue Forschungen zur
Konfessionalisierunsthese («Schriften des Vereins für Reformationsgeschichte», 201),
Gütersloh, Gütersloher Verlag, 2003, pp. 179-241.
- 20 -
II
Il Paracelsismo e il programma editoriale di Pietro
Perna
Meritano qui un analisi più approfondita le opere di altri due paracelsisti,
Israel Harvet e Alexander von Suchten, poiché entrambi vissero per un
certo tempo a Basilea. Il primo è anche da annoverare tra i maggiori
estimatori di Zwinger oltre ad esserne uno degli allievi più significativi. 49 Il
secondo appartiene al gruppo di autori pubblicati da Perna.
Negli scolia al Tractatus Aureus de lapydis physici secreti
pubblicati anonimi, Harvet paragonava il vero oro alla vera chiesa. Come il
vero oro dei filosofi o pietra filosofale non è materiale, ma spirituale, così –
afferma Harvet – accade per la vera religione universale: la chiesa non è
costituita da gruppi visibili di persone, bensì dall’invisibile consenso di tutti
coloro che credono in Cristo e vivono secondo il suo esempio. Chi non
faccia così e si riconosca in una chiesa speciale, è già di per sé uno
scismatico, un eretico, un seguace di sette. Non bisogna riconoscersi in una
specifica chiesa esteriore, come molti oggi fanno – continua Harvet –
ritenendo ingenuamente di non essere più, in tal modo, soggetti all’errore e
di appartenere agli eletti, solo per il fatto di appartenere a questa o quella
setta. Ognuno di essi ritiene che solo la chiesa cui egli stesso appartiene sia
la chiesa vera ed infallibile. Di qui derivano tutte le lotte religiose, in cui si
disputa solo della supremazia della propria opinione. Di qui deriva anche la
condanna di eresia che essi estendono a tutto il resto del mondo, di qui
derivano tutte le persecuzioni. C’è solo una cosa – afferma ancora Harvet –
che tutti costoro dimenticano: di vivere ed operare secondo gli
insegnamenti della Bibbia e la parola di Dio. Alla domanda su dove si
trovino i veri cristiani, coloro che sono rimasti immuni dal veleno delle
sette, Harvet risponde che essi non sono da cercare né in Samaria, né a
Gerusalemme, né a Roma, né a Ginevra, né a Lipsia, né a Cracovia, né a
Praga o né a Olmütz. Essi sono disseminati per tutto il mondo: si possono
49
[ISRAEL HARVET], Hermetis Trismegisti Tractatus vere Aureus, de Lapidis Philosophici
secreto, in capitula septem divisus: nunc vero a quodam Anonymo, scholiis tam exquisite et
acute illustratus […], Leipzig, Valentinus am Ende, per Thomas Schurer, 1610 (cito per la
ristampa in: Theatrum Chemicum (cit. nota 21), vol. IV, pp. 587-717. La dedica del libro a Jacob
Alstein dimostra che l’anonimo autore degli scholia è il paracelsista di Orléans Israel Harvet: vi
compare infatti come luogo Orléans, e la data è 1608; con un gioco di parole l’anonimo indica
anche il suo nome, Israel, e descrive il cognome evocando una sostanza lenta a sciogliersi (HartHarz?); si fa allusione al suo soggiorno basileese «idem mihi aliquando contigit in Helvetia,
Augustae Rauracorum ...» (p. 638); a Zwinger lo descrive come «magnum illud Germaniae
lumen» (p. 650); in altre opere di HARVET si allude di nuovo a Zwinger, come nella
Demonstratio veritatis doctrinae Chymicae. Aduersus Ioan. Riolani comparationem veteris
Medicinae cum noua, Hippocraticae cum Hermetica, Dogmaticae cum Spagyrica, Hanau, “typis
Wechelianis” per Claude de Marne e eredi di Jean Aubry, 1605, p. 15: «Nosti fortasse quantus
vir fuerit Zuingerus. Ipse multo aliter quam tu de Vulcanio sentit», e nella ISRAELIS HARVETI
Medici Avrelianensis Defensio Chymiae aduersus Apologiam, et Censuram Scholae Medicorum
Parisiensium, et in easdem GVLIELMI BAVCINETI Medici item Aurelianensis Notationes, Paris,
Guillaume Auvray, [1695], p. 73: «Hoc loco subit animum recordatio Theodori Zuingeri,
praeceptoris mei meritissimi, cuius et quanti viri!». Il nome di Harvet non è registrato tra le
matricole dell’Università di Basilea. Baucinet, al contrario, apparteneva con Moffett alla cerchia
più intima degli studenti di Zwinger; su Harvet vedi anche WALTER PAGEL, The Smiling Spleen.
Paracelsianism in Storm and Stress, Basel-New York, Karger, 1984, pp. 21, 114, 189; DIDIER
KAHN, Paracelsisme et alchimie en France (cit. nota 25), pp. 298-300, 919-922.
- 21 -
trovare in Turchia, in Persia, in Italia come in Francia, in Germania, in
Polonia, in Boemia, in Moravia o in Inghilterra, e perfino in America, tra
gli indiani più selvaggi.50 Di fronte a queste posizioni di Harvet,
sbiadiscono perfino le parole del «rosacrociano» Robert Fludd, riportate da
F. A. Yates, il quale dichiarava «irreali» le suddivisioni dei cristiani in
cattolici, luterani e calvinisti, visto che tutti mirano allo stesso scopo. 51
Di Alexander von Suchten, il primo grande paracelsista, colui che
viene ricordato nella storia della chimica per essere stato il primo a
dimostrare in base a un’analisi quantitativa l’impossibilità di una
trasmutazione dei metalli in oro,52 Perna aveva stampato nel 1575 il De
secretis Antimonii. Nello stesso anno egli sceglieva di stampare l’Elegia ad
Carolum Salisburgensem in apertura al secondo volume dell’edizione latina
delle opere di Paracelso,53 tralasciando tuttavia di segnalare il nome
dell’autore insieme a questa glossa, di sapore evidentemente troppo
trinitario per l’antitrinitario Perna:
La scienza medica, in cui si distinsero Podalirio, Macaone, Apollo e Ippocrate, non si deve
studiare sui libri di Galeno, Avicenna, Mesue e autori simili, ma si deve apprendere dalla
magia. Chi conoscerà fino in fondo e in modo corretto la magia sarà in grado di guarire
ogni sorta di malattia. La magia ha infatti tre libri, la teologia, la medicina e l’astronomia,
da cui il mago riconosce e adora la trinità, aiutando gli altri esseri umani con il potere che
ha ricevuto da Dio. Tutti gli altri, siano essi teologi, astronomi, o medici, che non sono in
grado di provare con le opere ciò che la loro lingua apertamente vanta come loro campo
specifico, sono caco-maghi e pseudoprofeti. Li riconoscerete dai loro frutti. 54
Sulle orme di Paracelso e quarant’anni prima che Francis Bacon
postulasse la necessità dell’esperimento come unica possibile base per un
sapere obiettivo – «Et quod in religione verissime requiritur, ut fidem quis
ex operibus monstret, idem in naturali philosophia competere, ut scientia
similiter ex operibus monstretur»55 – Suchten aveva fatto suo lo stesso
50
[ISRAEL HARVET], Hermetis Trismegisti Tractatus vere Aureus (cit. nota 1), pp. 699 sg.
F. A. YATES, Giordano Bruno e la tradizione ermetica (cit., cap. I, nota 18), p. 444.
52
WLODZIMIERZ HUBICKI, Alexander von Suchten, in «Sudhoffs Archiv für die Geschichte der
Medizin und der Naturwissenschaften», XLIV, 1960, pp. 60 sg.. A proposito di Suchten v.
anche: KARL SUDHOFF, Ein Beitrag zur Bibliographie der Paracelsisten im 16. Jahrhundert, in
«Centralblatt für Bibliothekswesen«, X, 1893, pp. 391-400; W. HABERLING, Alexander von
Suchten, ein Danziger Arzt und Dichter, in «Zeitschrift des Westpreußischen
Geschichtsvereins», LXIX, 1929, pp. 177-228; KARL SCHOTTENLOHER, Pfalzgraf Ottheinrich
und Alexander von Suchten, in «Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins», n.s. XLI, 1927,
pp. 602-604; JULIUS RUSKA, Tabula Smaragdina, Ein Beitrag zur Geschichte der Hermetischen
Literatur, «Heidelberger Akten der Von-Portheim-Stiftung», 16, Heidelberg 1926, p. 211 sg.;
Corpus Paracelsisticum, Bd. I. Der Frühparacelsismus. Erster Teil, herausgegeben und erläutert
von WILHELM KÜHLMANN und JOACHIM TELLE, Tübingen, Niemeyer, 2001, pp. 545-584. Per la
tradizione manoscritta delle opere del Suchten vedi anche, C. GILLY, Un bel trattato ermetico del
paracelsismo, in Magia, alchimia, scienza dal ′400 al ′700 (cit. nota 15), vol. I, 185-198.
53
THEOPHRASTI PARACELSI Operum latine redditorum Tomus II, Basileae, P. Perna, 1575, f.
(?)5r; IDEM, Medici Libelli, Köln, Arnold Birckmann, 1567, f. ***3v-4v, dove, oltre all’elegia, si
può leggere anche l’argomento. Cito da ALEXANDER VON SUCHTEN, Chymische Schrifften Alle,
Frankfurt Joachim Görlin per Georg Wolff, 1680, pp. 458: «… Carminis sequentis argumenum:
Medicandi Scientia, qua Podalirius […]: habet autem Magia libros 3: 1. Theologiam, 2.
Medicinam, 3. Astronomiam. Unde Magus Trinitatem in unitate cognoscit et veneratur,
impertitque potestatem quam accepit a Deo miseris mortalibus: Caeteri autem sive Theologi, sive
Astronomi, sive Medici, qui operibus id, quod ore profitentur, non praestant, Caco-Magi et
Pseudo-Prophetae sunt. Ex fructibus eorum cognoscetis eos».
54
ALEXANDER VON SUCHTEN, Chymische Schrifften Alle (cit. nota 52), p. 458.
55
FRANCIS BACON, Cogitata et Visa de interpretatione Naturae sive de scientia operativa, in
IDEM, Works, eds. J. SPEDDING, R. L. ELLIS & D.D. HEATH, vol. III., Philosophical Works,
London 18762, p. 612.
51
- 22 -
postulato, formulandolo quasi con le stesse parole: «In medicina non
dobbiamo accettare ciò che non riusciamo a intendere o capire. La medicina
deve sottostare infatti alle opere, come la teologia alla fede, che tuttavia
deve essere confermata attraverso le opere». 56
E così come non esistono tre dei, bensì uno solo e unico – continua l’argomento
dell’Elegia tralasciato da Perna - non esistono tre, ma solo una scienza dell’essere triplice,
cui gli antichi diedero il nome di magia. Pertanto si chiama mago non colui che ha a che
fare con il demonio - ciò che ci è assolutamente vietato - ma colui che ha raggiunto la
piena conoscenza della teologia, dell’astronomia e della medicina. Uno di questi era
Teofrasto, e anche i Magi, che la stella condusse fino al Cristo neonato, figlio di Dio e
nostra salvezza. Ma di ciò diremo un’altra volta più ampiamente. 57
Ciò cui l’elegia accennava e che qui Suchten promette di trattare più
ampliamente altrove era in realtà già stato oggetto di un’altra sua opera dei
primi anni ’60 del secolo, il De Tribus Facultatibus, uno dei più bei testi
ermetici del XVI secolo. In quest’opera, Kurtzer Bericht von der Wahrheit
und Sophisterei dreyer der furnembsten faculteten, nemlich Theologiae,
Astronomiae et Medicinae (Breve resoconto di verità e sofismi delle tre
principali facoltà, teologia, astronomia e medicina) come recita il titolo dei
manoscritti che circolarono prima della pubblicazione a stampa, avvenuta
solo nel 1608,58 Suchten offre un’apologia dell’«esperienza» nell’ambito
della ricerca, dell’esercizio dell’esperimento in prima persona come
condizione inalienabile per ricevere l’illuminazione da parte di Dio e della
Natura e come unico criterio per definire i contenuti d’un sapere che non
accetti di basarsi solo su autorità e vuote speculazioni. L’operetta è
un’allegoria ermetica sul faticoso cammino dell’uomo originario verso la
conoscenza di Dio, della Natura e dell’arte medica. Convinto «che il
maestro sia riconoscibile soprattutto nel suo capolavoro, il grande e il
piccolo mondo», scriveva Suchten, l’uomo si sforzò di esaminare la Natura
e le sue trasformazioni «non con le parole, ma con le opere, non con la
speculazione, ma con il lavoro delle sue mani e il sudore della sua fronte».
Non riuscendo a spiegarsi tutto «con la sua sola ragione umana», l’uomo
escogitò «molte arti, e, tra le altre, l’arte dell’acqua». Quando, dopo lungo
lavoro, riuscì a portare a termine la prima separazione per mezzo
dell’acqua, l’uomo «volle sapere di che cosa si componesse ogni cosa del
grande mondo». Lo stesso volle fare con gli uomini, «fece uso della sua
arte, separò e confrontò una cosa con l’altra, trovò che la materia prima
56
ALEXANDER VON SUCHTEN, Chymische Schrifften Alle (cit. nota 52), p. 326.
Ivi, p. 460
58
Nell’elenco dei suoi manoscritti paracelsistici, magici e alchimistici, Kassel, Landesbibliothek,
2° Ms. Chem. 7, ff. 53r-118r, il medico di Augusta KARL WIDEMANN descrive il De tribus
facultatibus una volta come anonimo, e l’attribuisce invece per due volte a ALEXANDER VON
SUCHTEN. Nella Bibliotheca Philosophica Hermetica di Amsterdam, Ms. BPH M382, se ne
conserva una copia degli anni 1590-1600, che viene però attribuita non a Suchten, ma a
Paracelso: Liber de tribus Facultatibus et Magica Inuentione Theologiae, Astronomiae et
Medicinae. Vom Ursprunng unnd Herkommen der Dreyenn Faculteten Theologey, Astronomey
unnd Artzney etc. Wie Sie erstlich aus der Magia entsprungen unnd woraus sie ihren grundt
unnd Fundament habenn. D. PHILIPPI THEOPHRASTI PARACELSI VON HOHENHEIM schreibenn an
einen gueten Freundt. 1542. Un’altra copia manoscritta con titolo e attribuzione simili si trova
nella Universitätsbibliothek di Greifswald, Ms. Theol. Quart. 8, cfr. K. SUDHOFF, Ein Beitrag zur
Bibliographie der Paracelsisten (cit. nota 51), p. 400). La prima stampa del testo si deve a
BENEDICTUS FIGULUS che nel suo Pandora magnalium Naturalium aurea et benedicta,
Straßburg, s.t., 1608, stampò il libro frammentariamente: «Ex libro de tribus Facultatibus
Alexandri a Suchten», pp. 112-142. La seconda e ultima stampa compare nell’edizione completa
delle opere di Suchten del 1680, da cui cito.
57
- 23 -
dell’uomo era tutt’uno con la materia prima del grande mondo, vide con i
suoi occhi, toccò con le sue mani». Scoprì così «per esperienza visibile, che
tutto il creato si compone di tre cose e nelle medesime tre si moltiplica e
conserva. Le tre cose sono tre corpi, cioè tre sostanze tangibili e visibili. La
prima è l’acqua, l’altra il sale, la terza lo zolfo [...]. Il mondo intero e
l’uomo sono dunque costituiti di queste tre cose». In questo modo però
l'uomo non aveva ancora trovato il suo creatore, quel creatore ‘il cui spirito
aleggiava sulle acque’, come recitano le Scritture:
Metti mano ai tre corpi, ricerca e immergiti in essi uno dopo l’altro, osserva come
Dio sia spirito, come non possa esser veduto con occhio corporeo, come, poiché ha creato
tutto, egli debba essere una forza vitale […] Quindi l’uomo guardò l’acqua, non vi trovò
nulla, oltre ai quattro elementi; prese allora lo zolfo, neanche lì trovò nulla, oltre ai quattro
elementi, non vi trovò cioè nulla di permanente. Infine prese anche il sale, vide che lì c’era
qualcosa in più che nel caso dell’acqua e dello zolfo, uno zolfo diverso tuttavia dal
precedente, e cioè uno zolfo che non brucia; non trovò il terzo, che gli era svanito davanti
agli occhi. Che cosa doveva fare, era sparito, dove lo avrebbe potuto trovare? egli
possedeva l’acqua, possedeva lo zolfo, due sostanze bianche e pure; la terza, che le
permeava e le teneva così legate fra loro, era sfuggita, ed era proprio essa ciò che egli
cercava.
Giunto a questo punto l’uomo si fece «non poco triste, singhiozzava e
gridava giorno e notte al Signore: Disrumpe Coelos et descende. Fece così
tanto a lungo, finché fu ascoltato e trovò ciò che cercava». A lui il Signore
svelò tutti i segreti della creazione. L’uomo originario non tenne solo per sé
le conoscenze attinte per ispirazione divina, bensì le mise in pratica ad uso
dei suoi simili; e, quando fu vecchio, «fece anche in modo che i suoi
discendenti potessero aver esperienza e apprendere le conoscenze divine.
Per questo scrisse tre libri: nel primo tratta di Dio padre, e del figlio e dello
spirito santo; nell’altro del cielo e dei suoi astri; nel terzo dei poteri delle
cose nate dalla terra. Scrisse dunque di teologia, poi di astronomia quindi di
medicina», tre scienze «attorno ad un unico essere», e il loro nome è magia,
«vale a dire l’arte di trovare il Signore nella sua creazione».
Coloro a cui lo spirito si fece manifesto «vennero chiamati maghi,
cioè uomini saggi, al di sopra dell’altra gente [...]. Gli altri, che non erano
maghi, li ritenevano piuttosto dèi che uomini». Lo spirito per ispirazione
del quale essi scrivevano rimase solo presso i maghi, mentre i libri si
diffusero tra la gente. Ora, quando l’uomo comune prese i libri e li sfogliò,
credette «di essere sol per questo un mago», e volle fare grandi cose
nell’ambito della medicina, ma non ne venne niente:
Vennero allora scritti Commenti di medicina, sorse la setta di quei dotti che si
dicono medici, e crebbe veloce come fanno le erbacce. Allorquando morirono i maghi
(forse fu Dio a volere così) anche la vera medicina morì con loro, e, dopo la loro morte, al
loro posto rimase la setta, nata dalla mancata comprensione dei loro libri. Ora essi erano
mendicanti, che cercano il denaro e il proprio utile presso il popolo, e che basano la loro
reputazione solo sulle loro ciance. Perciò il medico migliore era chi meglio poteva
blaterare. Scrissero anche molti libri sulle erbe e le malattie degli uomini, forse così come
ne sognavano la notte; erano più facili da intendere, e piacevano dunque all’uomo comune:
i veri libri dei saggi andarono col tempo perduti, a che cosa sarebbero del resto serviti?
erano troppo difficili, chi li avrebbe mai compresi? Dunque essi sono scomparsi, così che
ai nostri tempi non ne abbiamo più nessuno.
Lo stesso fecero anche con la teologia ad essa si dedicò la stessa gente che si era
data alla medicina; vi si infiltrarono con violenza; ritenevano di essere in possesso della
lettera, di conoscere dunque Dio, di non aver bisogno di conoscere altro: lì tutto stava
scritto, lì loro l’avevano letto, sebbene non avessero il nome di teologi. Ma erano teologi di
bocca e di panza, facevano gran baccano tra la gente, ma non davano la vista ad alcun
- 24 -
cieco, non raddrizzavano nessuno storpio, non guarivano nessun infermo. Non era facoltà
loro, apparteneva infatti ai medici.
Con l’astronomia accadde lo stesso. Vedevano sorgere e tramontare l’un dopo
l’altro la luna, il sole e le stelle: non appena ne prendevano nota, già erano astronomi.
Escogitarono molte sfere e circoli, scrissero imponenti libri sull’argomento. Chi non
voleva crederci poteva salir su e guardare coi propri occhi. Potevano fare come volevano,
chi li avrebbe puniti per le loro menzogne? i maghi erano morti, e il mondo era tutto pieno
di menzogne, e così è restato fino ad ora. Quale più severa punizione avrebbe potuto
riservare Dio al mondo che lasciare che si facessero strada questi dotti, che ignoravano la
base da cui scaturiscono le tre facoltà?.
La critica di Suchten si rivolge in particolare contro i teologi: «Vennero
dunque al mondo i teologi, e non recepirono la ragione spirituale dai maghi,
né dalla luce della natura, che ci permette di conoscere Dio e le sue
creature; da lì l’avevano conosciuto i maghi, prima di mettersi a scrivere di
teologia». Alla domanda sul perché attualmente così poche persone
vengano illuminate da Dio, Suchten risponde che ciò dipende
dalla nostra pigrizia; è infatti molto più facile sedere un’ora in chiesa, ascoltando
ciò che un altro dice, e leggere poi a casa un libro dopo l’altro, che farsi coinvolgere in
questioni così terribili col sudore che ci riga la fronte, cercare con tutte le proprie forze lo
spirito vivente di Dio che soffiò nella zolla da cui fu creato Adamo, che ci aprì gli occhi e
ci svelò il segreto degli scritti di Pietro, di Paolo e degli apostoli; in questo modo noi
diventiamo veramente teologi, essendo d’utilità al mondo, aiutando il nostro prossimo
nelle difficoltà, e dallo spirito del Signore, che dobbiamo trovare dentro di noi, abbiamo
salute e pace, da lui impariamo a conoscere il figlio dell’uomo, e come la sua carne
trasformi la nostra carne nella sua, nella vita eterna. Ho letto le Sacre Scritture - dicono ho letto gli scritti dei teologi, ho i due testamenti, lì sta la parola di Dio e la pura e limpida
verità, che devo fare ancora? Così vanno le cose, così diveniamo teologi noi stessi,
vogliamo dunque dare un segno, che dia testimonianza della nostra dottrina, cioè aizziamo
un paese contro l’altro, siamo causa della miseria nel mondo: sono questi i segni da cui
ognuno può vedere, chi davvero abbia fatto di loro dei teologi.
Può sembrare strano che proprio Suchten, condannato a Roma a metà degli
anni quaranta perché sospettato di luteranesimo e sollevato dal suo
canonicato in Polonia,59 dirigesse le sue critiche in particolare contro i
luterani e per di più su un punto che trovava d’accordo tutti i gruppi
religiosi che si richiamavano alla Riforma: l’eliminazione dell’eucaristia e
degli altri sacramenti e cerimonie.
Alcuni interpreti sottili hanno capito che l’ascoltar messa, il canto, l’organo, la
cera e il sale non ci rendono più pii e li hanno perciò rinnegati.
Ma non contenti d’aver compreso che «queste cose non portano alla
beatitudine», hanno gettato via il bimbo con l’acqua sporca. Non si sono
resi conto che quelli erano segni che ci indicano Dio, così come fanno erbe
e fiori per la medicina o come le stelle fuori di noi corrispondono al
firmamento che è dentro di noi. La messa, i canti e i paramenti sacri» sono i
segni offerti dai maghi alla teologia nel caso che i libri magici di teologia
«di cui ci restano entrambi i testamenti», andassero perduti, come è in
effetti successo per i libri magici di medicina. Di questa possediamo infatti
solo i segni, «che sono tutte le erbe e gli alberi esistenti in terra».
59
W. HUBICKI, Alexander von Suchten (cit. nota 51), p. 55; ma vedi ora W. KÜHLMANN–J.
TELLE, Corpus Paracelsisticum, Bd. I. Der Frühparacelsismus, Erster Teil (cit., cap. 2, nota 4),
pp. 545, 550. Grazie all’influsso dello zio, Alexander Scultetus, intimo amico di Copernico, fin
dalla giovinezza Suchten era divinenuto canonico di Frauenburg e dunque collega del grande
astronomo.
- 25 -
I teologi non hanno tuttavia compreso il segreto di questi segni,
«secondo loro deve trattarsi di qualcosa di giudeo o di pagano, non è cosa
per noi cristiani. Dunque hanno in gran parte rinnegato quest’istituzione
magica e apostolica [...] e per lungo tempo non si sono resi conto che si
trattava di libri magici, che ci insegnavano a capire il mistero di Dio anche
meglio delle Scritture». Per questo non bisogna dar bada ai teologi:
Lasciateli perdere: parlano come possono. Non interrogateli su quello che fanno,
devono farlo per mangiare, lasciateli parlare. Voi avete Mosè e i profeti, Cristo e gli
apostoli, ascoltate ciò che essi dicono; essi parlano non solo con le labbra, ma anche con le
mani, e i piedi, con il fuoco e con l’acqua, con l’oro e l’argento, col sale, con le sete, coi
velluti, con le pietre, col nero, col bianco, col rosso, col giallo, con cera e olio; non
ascoltate pertanto solo ciò che dice la bocca, ma ascoltate ciò che dice l’acqua, ciò che dice
il sale, anch’essi parlano, sebbene parlino un linguaggio diverso. Dovete prima conoscere
quelli, e saperli ascoltare. Solo allora scribi e farisei non vi potranno sedurre, non potranno
creare turbamenti tra voi, avrete la pace nelle vostre coscienze nei confronti di Dio e del
vostro prossimo.
Suchten sottolinea infine l’imprescindibilità dell’illuminazione divina per
chiunque voglia raggiungere una religione come quella degli apostoli, al di
là della sola lettera della Sacra Scrittura. Dai caratteri e dalle parole –
afferma Suchten – nessuno scriba è mai giunto a comprendere
che c’erano a portata di mano delle arti, grazie alle quali l’uomo si sarebbe fatto
partecipe dello spirito che alitava sulle acque, prima che venissero creati cielo e terra, e che
uscì dalla bocca di Dio nel grumo di terra da cui fu fatto l’uomo. Se questo non sta nel
Vangelo, oppure in Paolo, Paolo ci ha certamente insegnato o ha fatto di più di quanto le
sue epistole mostrino. Forse che, per il solo fatto che essi non ne hanno scritto, tutto questo
non deve essere vero?.
Suchten conclude il suo De tribus Facultatibus con l’audace affermazione
che Paolo è stato introdotto alla dottrina segreta «da alcuni ‘discepoli
iniziati’»:
così egli è giunto alla conoscenza di Dio; nessuno, prima di loro, l’aveva potuto
persuadere. Sappiamo parimenti che questo segreto fu rivelato poi da san Paolo al
dottissimo Dionigi sull’Areopago. Non appena ricevutolo, Dionigi si rivolse ad esso con
tutte le sue forze fino a farlo suo, divenendo egli stesso cristiano e un apostolo dei francesi
(der Frantzosen ¡!!).
Interrompo qui il discorso su Suchten, pregando il lettore di scusare
le lunghe citazioni dalla sua allegoria. Il fatto è che nessun altro libro,
nemmeno tra quelli di Paracelso, è in grado di porre di fronte ai nostri occhi
in maniera tanto plastica e vivace il vero punto della questione quanto il De
tribus facultatibus. Vorrei sottolineare in particolare due elementi: la critica
di Suchten contro la ragione speculativa «fonte di tutti i nostri affanni», con
cui «distruggiamo il nostro mondo giorno per giorno», e l’insistenza sulla
necessità di implorare l’illuminazione divina «non con le parole, ma con le
opere».
Può sembrare una contraddizione che teologi come Colberg
accusassero i medici paracelsisti di riporre troppa fiducia nella propria
ragione mentre questi ultimi consideravano tanto imperfetta e fallace la
ragione umana. In realtà si trattava di due significati diversi attribuiti alla
stessa parola.
Mentre per i teologi l’eccessiva fiducia nella propria ragione
corrispondeva ad un superbo allontanamento dalla fede e dalla tradizione, i
paracelsisti imputavano proprio a quella fede e a quella tradizione di essersi
trasformate in una costruzione speculativa del tutto vuota; una «logica»,
- 26 -
come affermava Paracelso, «che ha offuscato la luce della Natura e la luce
della Sagezza e che ha introdotto una dottrina straniera e ha atterrate
entrambe le scienze»:
Es ist aber eingerissen ein Logica, dieselbig hat veblendet das Liecht der Natur
vnnd das Liecht der Weiszheit, vnnd eingefüret ein frömbde Doctrin, dieselbig hatt beyde
Weizheit zwischen Stul vnnd Bänck nidergesetzt. 60
Parlando di «logica» e «dottrina straniera» Paracelso intendeva riferirsi
soprattutto ad Aristotele e Galeno, i padri della «Sophisterei» che regna
nelle scuole («die in Scholis wandlen»), e che ha estinto entrambe le luci
(«die beyde Liechter verbotten hat») e sostituito alle due saggezze le favole
della loro invenzione («ihr eigen ertichte Fabeln an die statt gesetzt»). E
Paracelso continua:
Se queste sette non si fossero mai radicate, la scuola degli apostoli avrebbe ancora
eccellenza e splendore, e la luce della Natura risplenderebbe nelle arti con grande dignità.
Poiché queste sette sono la madre di ogni pestilenza, di invidia e odio, di dispute e litigi, di
sovversione e di tutta la miseria, che fa levare il figlio contro il padre. Sono il verme
dell’inferno che si ciba della carne dei morti.61
Il rifiuto della ragione speculativa e il riconoscimento della necessità
dell’illuminazione divina per giungere alla vera conoscenza tanto in campo
religioso che scientifico non implicano però né per Suchten, né per
Paracelso, l’incapacità dell’uomo di conoscere la natura autonomamente. Al
contrario infatti, tanto per l’uno che per l’altro, l’uomo è in grado di
scoprire anche con le proprie forze la filosofia naturale e soprannaturale e
applicarle poi nell’azione. È anzi proprio questo il suo compito in terra:
Per esempio: Dio non vuole che i suoi misteri siano visibili, ma che essi
divengano visibili e riconoscibili per mezzo delle opere, cioè del lavoro dell’uomo. Il cui
compito è appunto questo, rendere visibili i misteri divini. 62
Per questo Dio ha creato l’uomo come microcosmo, partecipe della natura
dell’intero universo, e lo ha dotato di un strumento triplice, fisico, astrale e
mentale: gli ha dato un corpo visibile, con mani e piedi, «per svelare tutti i
misteri naturali degli elementi, ciò che non potrebbe aver luogo senza
l’uomo»; gli ha dato un corpo astrale perché l’invisibile sapienza del mondo
stellare potesse farsi visibile per mezzo del suo lavoro; gli ha dato infine
un’anima, «afflato dalla bocca di Dio» e sede dello Spirito Santo, per
svelare i misteri della saggezza divina. Secondo la tradizione neoplatonico60
PARACELSUS, Astronomia magna oder die gantze Philosopha sagax, in IDEM, Der Bücher vnd
Schrifften, ed. JOHANN HUSER, Basel, Waldkirch, 1590, vol. X, p. 23; ed. K. SUDHOFF, in
PARACELSUS, Sämtliche Werke, 1. Abteilung, vol. XII, München-Berlin, 1929, p. 28.
61
Ivi, ed. Huser, vol. X, p. 224: «So diese Secten nicht wer eingerissen, so wer die Schul der
Apostel fürtreffenlich in grossem Schein, vnd das Liecht der Natur in grossen Künsten vnd
Wirden. Aber diese Secten, die ein Mutter ist der Pestilentz, ein Mutter Neidt vnd Hasses, Zanck
vnd Haderens, der Erdbidem vnd alles Ellends, zwischen dem Haußvater vnd seinem Sohn, das
ist der nagendt Wurm, der auß der Hellen gehet…»; ed. SUDHOFF, vol. XII, p. 29.
62
Ivi, ed. HUSER, vol. XII, p. 51: «Als ein Exempel: Gott will nicht, das seine Mysteria sichtbar
seyen, aber das sie sichtbar vnd erkantlich werden durch die Werck, das ist, durch die Werck deß
Menschen, der ist darumb da, daß ers soll sichtbar machen»; vol. IX, p. 46: «Dann das ampt ist
des Menschen, das er soll die ding erfahrn, vnd nicht blind dorin sein: Dann darumb ist er
beschaffen, von den Wunderwercken Gottes zu reden vnd fürzuhalten. Ein jegliches Werck, das
Gott beschaffen hat, des Wesen vnd Eigenschafft ist dem Menschen müglich zuergründen. Dann
nichts ist beschaffen, das nit dem Menschen zu ergründen sey: vnnd darumb beschaffen, das der
Mensch nit müssig gang, sondern wandel im Weg Gottes, das ist, in seinen Wercken»; cfr. ed.
SUDHOFF, XII, p. 59; XIV, p. 116.
- 27 -
ermetica l’uomo microcosmo rispecchia la tripartizione del mondo, il
macrocosmo, in tutte le sue parti. Il suo corpo elementare corrisponde al
mondo materiale e visibile; il suo spirito (Ochema, corpus aethereum,
spirito o corpo astrale) deriva dall’anima del mondo, dal mondo delle
intelligenze; la sua anima, infine, (mens, anima intellectualis) reca in sé
qualcosa di divino, τι τοῦ θείου, poiché deriva dall’essenza stessa di Dio
(«particula divinae aureae; mens [...] ex propria Dei essentia est; ein atem
vom munde gottes») e corrisponde dunque all’archetipo o mondo divino.
Also soll der Astronomus wissen, daß der Mensch ist Microcosmus, Er ist
Quintum Esse totius Machinae Mundi, Er ist der Centrum, in den alle Sphär ihr Radios
giessen, Er ist derselbig, der auß denen allen empfangen vnd geboren wirdt […] So ist er
das Fünfft Wesen, die kleiner Welt, der Centrum: aber in der Form verendert, in Göttliche
Bildtnus.63
(L’astronomo deve sapere che l’uomo è un microcosmo, è il quinto essere
dell’intera macchina del mondo, è il centro in cui tutte le sfere fanno confluire i loro raggi,
è colui che da tutte esse viene concepito e partorito […]. Egli è dunque il quinto essere, il
piccolo mondo, il centro: ma in forma diversa, a immagine di Dio.)
Giovanni Pico della Mirandola faceva dell’uomo il quarto mondo, poiché
egli riteneva che in esso fosse racchiuso tutto ciò di cui si compongono gli
altri tre mondi: «qui non tam quartus est mundus quasi nova aliqua creatura
quam trium (sc. mundorum) quos diximus complexus et colligatio». 64 Egli
introduce la sua celebre orazione De hominis dignitate rifacendosi
direttamente alla descrizione della natura dell’uomo contenuta
nell’Asclepius, l’ultimo dei trattati del Corpus Hermeticum: «Magnum, o
Asclepi, miraculum est homo».
E fu proprio Pico a porre al centro del platonismo rinascimentale la
dottrina del microcosmo, influenzato anche dalla cabbala, nell’ambito della
quale tale dottrina gioca un ruolo particolarmente significativo. Ancora
Ficino aveva piuttosto teso a sottolineare la differenza tra le due strade della
conoscenza, tra la perfetta contemplazione della «mens» e la conoscenza
imperfetta ed empirica della «ratio». Da questa duplice tendenza derivava il
ruolo centrale attribuito da Ficino all’anima dell’uomo nell’ambito della
scala delle sostanze: Dio, Angelo-Intelligenze, Anima, Qualità, Corpo.
Conseguenza della centralità dell’anima umana intesa come «tertia
substantia», «rerum medium», «mundi copula», elemento di congiunzione
tra cose periture ed eterne, era per Ficino il concetto di universalità
dell’uomo: «... et cum media omnium sit (sc. anima), vires possidet
omnium».65 L’universalità dell’uomo e il suo essere parte dell’universo
nella sua globalità costituiva al contrario il punto di partenza della
riflessione di Pico, secondo il quale è l’uomo nel suo complesso (anima,
spirito o corpo astrale e corpo), e non più come in Ficino solo l’anima con
le sue tre parti (mens, ratio, idolum), a costituire la triplicità del
microcosmo e a riunificarlo.66 Spingendosi ancora più là Pico considerava
tale analogia speculare e reciproca, non si limitava cioè a descrivere l’uomo
come microcosmo, ma parlava talvolta del grande mondo come di
63
Ivi, ed. Huser, vol. X, pp. 406-407; ed. Sudhoff, vol. XII, pp. 454-455.
GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA, Heptaplus, l. 5, c. 6, in Omnia Opera, Venetiis 1498, p.
23
65
P. O. KRISTELLER, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, Firenze, Sansoni, 1953, pp. 118123, 403-42, 435-437.
66
Ivi, 121-123.
64
- 28 -
‘macroanthropos’, grande uomo, 67 rifacendosi, ancora una volta, alla
cabbala. Anche i cabbalisti cristiani, Reuchlin in particolare, tentarono in
maniera sistematica di conciliare la tradizione cabbalista della dottrina del
microcosmo con la tripartizione ermetico-neoplatonica dell’uomo e
dell’universo. Reuchlin non si limitò solo ad identificare la centrale Sefira
tif’eret col μικρόκοσμος, ma mise anche in correlazione i dieci gradi
dell’ascesa cabbalistica alla sapienza o le dieci sfere della manifestazione
divina (sefirot) con la dottrina dei tre mondi e delle conseguenti tre vie della
conoscenza umana: «decem scalae gradus per quos ad cognitionem omnium
quae vere sunt aut sensu, aut scientia aut fide, ab imo ad summum
ascendere possumus».68 Dobbiamo una successiva precisazione della
dottrina rinascimentale del microcosmo a Francesco Giorgio Veneto,
l’acuto francescano che più ampliamente e senza alcun pregiudizio seppe
combinare l’esegesi biblica cristiana con la cabbala e la filosofia ermetica.
Dio e l’uomo costituiscono secondo lui la totalità delle cose: l’uomo poiché
composto di tutte le cose, Dio, al contrario, poiché in quanto uno, riunisce
in sé tutte le cose. «Per questo osiamo dire» conclude Francesco Giorgio
con Ermete che «l’uomo è un dio mortale e terreno, e Dio un uomo
immortale e celeste».69 È Cornelius Agrippa von Nettesheim, infine, a dare
una formulazione definitiva alla dottrina del microcosmo, ispirandosi agli
scritti di Francesco Giorgio, di Lazzarelli, di Pico e di Ficino, riassunti nel
capitolo ‘De homine quomodo creatus ad imaginem Dei’ della sua De
occulta Philosophia.70
Solo con Paracelso l’analogia tra uomo e mondo si trasforma in un
vero e proprio principio di immanenza, poiché i tre mondi e le loro tre
diverse sapienze finiscono per essere trasferiti all’interno dell’uomo. Il
corpo o spirito astrale dell’uomo resta anche in Paracelso specchio del
mondo delle intelligenze – Luce della natura o Anima del Mondo – e, al
tempo stesso, strumento che permette di attingere alla conoscenza del
firmamento. Questo firmamento ha sede però, secondo Paracelso,
nell’uomo stesso:
Darumb soll der Mensch nicht in seinem Leib suchen, das, so der leib an ihm hat.
Dann was den Leib antrift, das ist Vihisch: allein soll er das für sich nemmen, das im Leib
ist vnsichtbar vnd vngreifflich: das ist das Liecht der Natur, die natürlich Weißheit, welche
got in das Sydus geben hatt, vnnd vom Sydus in Menschen.71
(Per questo l’uomo non deve cercare nel proprio corpo, ciò che il corpo è di per
sé. Poiché, in quanto corpo, esso è bestiale; l’uomo deve cercare solo ciò che nel corpo è
67
KURT GOLDAMMER, Die Paracelsische Kosmologie und Materietheorie in ihrer
wissenschaftsgeschichtlichen Stellung und Eigenart, in «Medizinhistorisches Journal», VI, 1971,
p. 14.
68
IOHANNES REUCHLIN, De arte Cabalistica libri tres Leoni X. dicati, Hagenau, Thomas
Anshelmus, 1517, ff. IIv-IIIv LXXr. IDEM, La Kabbale (de arte cabalistica), Introduction et
traduction par FRANÇOIS SECRET, (Etudes et textes de mystique juive), Paris, Aubier Montagne,
1973, pp. 31-34; IDEM, L'arte cabbalistica (De arte cabalistica), a cura di GIULIO BUSI e
SAVERIO CAMPANINI, Firenze, Opus libri, 1995, pp. 13-15
69
FRANCISCUS GEORGIUS VENETUS, De harmonia Mundi totius cantica tria, Paris, Berthelein,
1544, ff. 123v-124r.
70
L’edizione critica di questo capitolo è stata fornita da PAOLA ZAMBELLI: CORNELIO AGRIPPA
DI NETTESHEIM, Testi scelti, in Testi Umani-stici sull'Ermetismo, in «Archivio di Filosofia»,
1555, Roma 1955, pp. 136-146.
71
PARACELSUS, Astronomia magna (cit. nota 59), ed. J. HUSER, vol. X, p. 48; ed. K. SUDHOFF,
vol. XII; p. 55
- 29 -
invisibile e intangibile, e cioè la luce della natura, la sapienza naturale che dio ha concesso
all’astro (sidus) e dall’astro all’uomo.)
«Invisibile» e «intangibile» è il corpo o spirito astrale, che Paracelso
definisce «ragione umana e sapienza terrena» («die menschliche Vernunft
und irdische Weisheit»); essa non discende dal firmamento che è fuori di
noi, ma «dal firmamento che ha sede nell’uomo» («aus dem Firmament, das
im Menschen ist»). Come nel cosmo platonico le idee o archetipi delle cose
hanno sede nel Demiurgo o Anima del mondo, così anche Paracelso ritiene
«che nel mondo stellare abbiano sede tutte le facoltà, tutte le arti, tutte le
tecniche, tutta la saggeza e tutte le conoscenze, tutte le ragioni […] e che in
questo firmamento abbia sede la scuola in cui tutte esse vengono apprese»
(«daß in dem Gestirn alle facultates seyn, alle Künste, alle Handtwerck, alle
Weißheit, alle Vernunft […] vnd in dem Gestirn ist die Schul, auß der die
bemeldten stück alle gelernet werden»).72 Tutto ciò in ragione del fatto che
l’uomo è anche partecipe del cosmo nella sua interezza: «e ancora e esse
stanno in cielo, ma lo stesso astro si trova anche nell’uomo ed è dunque
maestro nell’uomo e l’uomo è suo allievo e da lui, cioè dal firmamento
interiore, impara a conoscere la luce naturale» («vnd nachdem vnd sie
stehen am Himmel, also stehet auch dasselbig Sydus im Menschen: vnd
also ist ein Schulmeister im Menschen vnd der Mensch sein Schüler, vnd
lernet das natürliche Liecht von ihm, das ist vom (inneren) Gestirn»). 73 Egli
si comporta allo stesso modo con il terzo tipo di conoscenza, quella celeste
o divina, solo che in questo caso «l’insegnamento e la parola di dio sono il
firmamento e l’astro del cielo dentro di noi» («Nemlich, daß die Lehr vnd
das Wort Gottes, das Firmament vnd Sydus ist deß innern Himmels»). 74
Strumento per riconoscere questo ambito divino non è lo spirito
sidereo, ma lo spirito «che dio concede all’uomo dal momento del
concepimento» («den Gott dem Menschen in der Empfengnus gibt»), e cioè
l’anima, che talvolta in Paracelso sembra non essere altro che lo spirito
santo: «come l’uomo viene illuminato dallo spirito sidereo perché possa
conoscerlo nella natura, così egli è illuminato dallo spirito santo, per
conoscere Dio nella sua essenza» («... Vnd wie der Mensch ist von den
Syderischen Geisten erleuchtet in die Natur, dieselbig zu erkennen: Also ist
er auch von dem Heiligen Geist erleuchtet, Got zu erkennen in seinem
Wesen»).75 Questa doppia illuminazione viene concessa, secondo
Paracelso, ad ognuno, purché in grado di prendere coscienza grazie alla
preghiera e al proprio lavoro delle potenzialità nascoste dentro di lui:
«cercate, e troverete che questo è anche nella luce naturale come è in quella
eterna» («Suchet, so findet ihr, das ist auch im natürlichen Liecht gleich
sowol als in dem Ewigen»).76 Non dalla lettura dei libri, sebbene scritti da
72
Ivi, ed. HUSER, vol. X, p. 19; ed. SUDHOFF, vol. XII, pp. 22 sg.
Ivi, ed. HUSER, vol. X, p. 17; ed. SUDHOFF, vol. XII, pp. 21.
74
Ivi, ed. HUSER, vol. X, p. 266; ed. SUDHOFF, vol. XII, pp. 301.
75
Ivi, ed. HUSER, vol. X, p. 289; ed. SUDHOFF, vol. XII, pp. 326
76
Ivi, ed. HUSER, vol. X, p. 19; ed. SUDHOFF, vol. XII, p. 24. Nella Philosophia Sagax,
appoggiandosi a Matteo VII 7, Paracelso definisce la strada prescritta da Dio e dalla Natura per
ogni genere di ricerca in questi termini: «Perché l’investigazione di tutte esse [i.e. le cose],
consiste solo in tre punti: chiedere, cercare, bussare alle porte» («Dieweil doch die (ding) alle zu
erforschen, allein in dreyen Puncten stehet, als in Bitten, Suchen vnd Anklopffen»), ivi, vol. X, p.
164; XII, p. 185; cfr. anche lo ps.-paracelsiano De natura rerum, ivi, X, XI, p. 394: «Su questi tre
punti si basa tutta la nostra arte magica e cabbalistica, per mezzo della quale possiamo ottenere e
avviare tutto ciò che desideriamo intensamente e ci auguriamo; a noi cristiani nulla deve essere
73
- 30 -
Dio, è concesso all’uomo di giungere alla conoscenza perfetta di Dio e della
Natura. Per farlo ciò è necessario che ogni singolo segua il cammino della
ricerca e dell’esperienza: solo così potrà essere illuminato da Dio e dalla
natura.
Als ein Exempel: wir haben das ewig Leben, beschrieben im euangelio und in der
Geschrift mit aller Notdurft; mehr ist nicht not. Nun ob gleichwohl das ewig Leben in der
Geschrift auf dem Papier ist: es ist noch nit genug, daß es also im selbigen bleib, wie es im
Papier ist. Sonder es muß weiter gesucht werden; nämlich von dem und durch den, von
wem es ist gehört worden, erfahrn und geben, zu schreiben in das Papier. Was nun im
Papier angezeigt wird, ist nur ein Buchstaben. Was er aber vermag und was er uns lernt
und warumb er dasteht, das muß von oben herab gelernt werden und erleucht. Also mit der
theorica auch und practica der Arznei zu verstehen ist. Wiewohl sie ins Papier des Buchs
gebracht mag werden, so ist es doch ein toter Buchstaben. Aber aus dem Licht der Natur
muß die Illumination kommen, daß der textus libri naturae verstanden werde; ohn welche
Elucidierung kein philosophus, noch naturalis sein mag. Darumb so soll sich keiner
verlassen allein auf das Papier, sonder auf die Illumination, die da ausgehet von dem, der
selbst das Licht ist, und mit unsern Doctrinen, Phantaseien, Speculieren abstehen und
weichen.77
(Per esempio: la vita eterna ci viene descritta nel vangelo e nelle scritture con tutta
la precisione necessaria; di più non c’è bisogno. Pur tuttavia in questo modo la vita eterna
descritta dalla scritture resta pur sempre solo sulla carta: non è ancora sufficiente, se resta
solo così com’è sulla carta. Bisogna invece cercare oltre, e cioè da chi e per mezzo di chi,
chi l’ha ascoltata e ne ha fatto esperienza, chi ha ricevuto l’incarico di scriverla sulla carta.
Ciò che si vede sulla carta è solo una lettera. Ma ciò che essa può fare, e ciò che può
insegnarci, e perché sia lì, tutto questo deve essere appreso e chiarito dall’alto. Deve essere
dunque appreso con la teoria e la pratica della medicina. Fino a che essa è solo trasferita
nella carta del libro, è solo lettera morta. Dalla luce della natura deve venire invece
l’illuminazione, in modo che il testo del libro della natura venga compreso; senza questa
illuminazione nessuno può essere filosofo, neanche naturale. Perciò nessuno deve fidarsi
della pagina scritta, ma dell’illuminazione, poiché essa deriva da colui che è la stessa luce,
e astenersi così e abbandonare le nostre Dottrine, Fantasie, Speculazioni).
Illuminazione, elucidazione, ispirazione – in una parola «Teosofia». Per
quanto poco scientifico questo termine possa risultare oggi alle nostre
orecchie, bisogna riconoscere che il movimento che a partire da Paracelso
prese forma sotto questo nome segnò tutta un’epoca della storia dello
spirito, contribuendo non poco a salvare la religiosità e la scienza europee
dal fondo cieco del dogmatismo e dell’asservimento all’antichità.
Dalla metà del XVI fino alla metà del XVII secolo la Teosofia
costituì il coraggioso tentativo di seguire il cammino terreno verso la
conoscenza di Dio, quello che la teologia aveva trascurato, il cammino cioè
che giunge alla conoscenza di Dio attraverso l’investigazione della natura. 78
Nello stesso tempo la Teosofia implicava l’applicazione di questa
conoscenza, al fine di penetrare la realtà nel suo intimo e costruire un nuovo
impossibile» («Jn diesen dreyen Hauptpuncten stehet all vnser Grund, der Magischen vnnd
Caballistischen Kunst, dardurch wir alles das, so wir begeren, vnd vns wünschen, mögen
erlangen vnd zu wegen bringen, vnd vns Christen soll nichts vnmöglich sein»). Per gli ultimi
paracelsisti i «tre primi principi cabbalistici» («tria cabalistica prima») costituiscono non solo il
punto di partenza di un cristianesimo ‘teofrastico’ e ‘cabbalistico’, ma anche, al tempo stesso, la
via e il metodo per progredire realmente in tutte le arti e in tutte le scienze, vedi ora C. GILLY.
Adam Haslmayr. Der erste Verkünder der Manifeste der Rosenkreuzer (Pimander: Texts and
Studies published by the Bibliotheca Philosophica Hermetica, 5) Amsterdam, In de Pelikaan,
1994, p. 188.
77
PARACELSUS, Labyrinthus Medicorum errantium, in IDEM, Die Kärntner Schriften, ed. KURT
GOLDAMMER, Klagenfurt, Amt der Landesregierung, 1955, p. 108.
78
Real-Encyklopädie für protestantische Theologie und Kirche, ed. J. J. HERZOG, Gotha 185418661, vol. 16, p. 28.
- 31 -
sapere scientifico. Si parla oggi di due tendenze diverse facenti entrambe
capo a Paracelso: quella più propriamente razionalistico-scientifica dei
medici e chimici paracelsisti, e quella piuttosto mistico-occultistica e
alchemico-teosofica. E si afferma che la più legittima preservazione
dell’eredità paracelsista andrebbe riconosciuta piuttosto nel primo gruppo. 79
Resta qui da schiedersi chi appartenesse a questo primo gruppo,
senza essere nello stesso tempo teosofo. Tra i paracelsisti più famosi questo
può essere il caso del solo Quercetanus, e, forse, anche di Severino. Né
Libavius né Sennert intendevano richiamarsi a Paracelso. Tutti gli altri,
Suchten, Bodenstein, Toxites, Dorn, Huser, Khunrath, Haslmayr, Figulus,
Croll, Hartmann, Harvet e Helmont erano teosofi, e tali si definivano
almeno a partire dal 1595. La confusione nelle definizioni non può esser
fatta risalire solo alla distinzione tra ‘teosofia’ e ‘pansofia’ introdotta da
Peuckert;80 essa esiste già nel primo quarto del XVII secolo, allorché i
termini vengono usati come sinonimi, complementari o opposti. 81 Solo
negli anni novanta del XVII secolo il termine ‘pansofia’ venne adottato per
riunire due altri concetti: la sapienza raggiunta per illuminazione divina,
cioè la teosofia e, dall’altra parte, la sapienza raggiunta grazie alla luce
della Natura, cioè l’antroposofia.82 Dopo una secolare assenza dalla storia
intellettuale europea entrambi i termini erano riafforati solo nel 1575 a
Basilea nell’Arbatel stampato da Perna.83 Essi sono sinonimi di magia
buona, scientia boni, ciò che per l’autore dell’Arbatel ha due significati:
79
K. GOLDAMMER, Die Paracelsische Kosmologie (cit. nota 66), p. 22.
WILL-ERICH PEUCKERT, Pansophie. Ein Versuch zur Geschichte der weißen und schwarzen
Magie, Stuttgart 1936, 392 sg.
81
Un elenco molto lacunoso degli autori che hanno fatto uso di questo termine si trova in
WILHELM BEGEMANN, Zum Gebrauche des Wortes Pansophia vor Comenius, in «Monatshefte
der Comenius-Gesellschaft», V, 1896, pp. 210 sgg.; v. anche KLAUS SCHALLER, Pan,
Untersuchungen zur Comenius-Terminologie, ’s-Gravenhage, Mouton, 1958, p. 14 sg.
82
Il termine pansophia non è presente nella Nova de Universis Philosophia di Franceso Patrizi
(Ferrara 1591 ovvero Venezia 1593), come afferma F.A. Yates, The Rosicrucian Enlightenment,
London, Routldge & Kegan, 1972, p. 168 (trad. it. L’illuminismo dei Rosa-Croce. Uno stile di
pensiero nell’Europa del Seicento, Torino, Einaudi, 1976, p. 200). Vedi anche Anna Laura
Puliafito Bleuel, Francesco Patrizi da Cherso, Nova de Universis Philosophia. Materiali per
un’edizione emendata [Quaderni di ‘Rinascimento’ 16] Firenze, Olschki, 1993. Resta che il
termine può derivare dalla terminologia patriziana - Panaugia, Panarchia, Pampsychia,
Pancosmia – o provenire direttamente dagli scritti di Filone o dello Pseudo-Aereopagita. La
prima occorrenza del termine pansophia sembra risalire alla Instans Theologia Universalis, del
1596, dell’ermetico polacco nemico di Fausto Sozzini, Bartholomaeus Sclei: «Aldar in der
Geistlichen Wüsten... offenbaret Christus noch seine Geheimnüß und Mysticam Theologiam und
Pansophiam, ja alle Schätze der Weißheit und Erkänntnis, die in ihm verborgen...», B. SCLEI,
Theosophische Schrifften, [Amsterdam, Wolters], 1686, p. 181. Il termine compare anche a
Basilea nel 1600 nel titolo di una dissertazione del medico olandese Henricus Van Heer, Altar
latrosophicum paniasoni pansophiaeque dicatum, Basileae 1600, certo non nel senso che gli
viene attribuito durante la disputa intorno ai Rosacroce, quanto piuttosto nel senso di sapere
universale, come più tardi accadde nel caso di Alstedt o Laurenberg. Una definizione di
pansophia come sovraconcetto che racchiude in sé teosofia e conoscenza della natura fu data dal
«rosacrociano» Heinrich Nollius: Naturae Sanctuarium: Quod est Physica Hermetica Sub finem
duae Appendices: I. Oansophiae fundamentum, et II. Philosophiam Hermeticam, Frankfurt, N.
Hoffmann per Jonas Rosa, 1619, p. 689: «Rerum superiorum et inferiorum ex infallibili
Harmonia scientia».
83
Sull’uso del termine θεοσοφία nella letteratura patristica cfr. G.W.H. LAMPE, A Patristic
Greek Lexicon, vol. I, Oxford, Clarendon, 1961, p. 636. Nella letteratura latina medievale il
termine theosophia viene usato intorno all’862 da Giovanni Scoto Eriugena (Migne, PL 122,
1171). Tutti gli altri traduttori dello Pseudo-Aeropagita, Johannes Sarracenus, il camaldolese
Ambrogio Traversari, Ficino, utilizzano il termine sapientia divina. Fu per primo il gesuita B.
80
- 32 -
Theosophia:
Notitia verbi Dei, et vitae iuxta verbum Dei institutio.
Notitia gubernationis Dei per angelos, quos scriptura
Vigiles vocat, et intelligere angelorum misteria.
Antroposophia homini data:
Scientia rerum naturalium.
Prudentia rerum humanarum. 84
Non fu certamente un caso che il concetto di teosofia in senso moderno
venisse coniato proprio in una stampa del Perna. Non sappiamo chi abbia
scritto l’Arbatel. Certo è che tutto il programma editoriale di Perna dimostra
quanto egli fosse convinto della dottrina della necessità dell’illuminazione
divina e naturale. Una prova ancor più significativa in questo senso è
Corderius a reintrodurre nel 1644 il termine theosophia nella sua traduzione del De mystica
Theologia (Migne, PG 3, p. 998). Anche nelle traduzioni delle opere di Porfirio (Ficino), di
Proclo (Aemilius Pontus), e di Giamblico (Ficino) il termine θεοσοφία viene costantemente
tradotto con sapientia divina o theologia. Nei suoi Commentarii Linguae Graecae Budé propose
di tradurre θεοσοφία con religio christiana. Henri Etienne, al contrario, nel suo Thesaurus
Graecae Linguae tradusse il termine come «rerum divinarum scientia». Il termine Theosophi
venne per altro verso mantenuto da Ugo di San Vittore e Alberto Magno nei loro commenti
all’opera dello Pseudo-Areopagita. Entrambi fanno uso della traduzione di Eriugena. Reuchlin fa
uso del termine Theosophistae, come più tardi anche Khunrath, in senso peggiorativo. Per
indicare coloro che ricevono il loro sapere direttamnte da Dio, Erasmo, Zwinger e Moffett
ricorrono al termine greco di θεοδίδακτοι. Prima della stampa dell’Arbatel sono pocchisime le
attestazioni del termine ‘theosophia’, e sempre come sinonimo generico di theologia, v. per
esempio Magistri Ambrosii Spiera Tarvisini, ordinis carmelitarum, sacrae theosophiae doctoris
... liber sermonum quadragesimalium, Basileae, J. Phorcensis, 1510; alia ed., ibidem 1516;
Theosophia Ioannis Arboraei complectens sanam et luculentam dificillimorum locorum cum
veteris tum novi testamenti expositionem, Paris S. Colinaeus, 1540; alia ed., Paris, J. Roigny,
1553. La prima menzione specifica compare invece sul frontespizio di Guillaume Postel, De
nativitate Mediatoris ultima, nunc futura, et toti orbi terrarum […] manifestanda, opus: in quo
totius naturae obscuritas, origo, creatio, ita cum sua causa illustratur, exponiturque, ut vel
pueris sit manifesta, quae in Theosofiae et filosofiae arcanis hactenus fuere. Autore Spiritu
Christi: Exscriptore G.P., apostolica professione sacerdote, s.l., s.t.,s.a. [Basilea, Oporinus,
1547]. Dopo la pubblicazione dell’Arbatel Khunrath usa il termine theosophia come sinonimo
della philosophia adepta di Paracelso (1595). Lo seguono Nicolaus Barnaud (1601), Libavius
(1606, come termine ingiurioso), Benedictus Figulus, Oswald Croll, Israel Harvet (1608) e tutta
la letteratura rosacrociana. Ancora Brucker e Diderot trattano di Paracelso alla voce ‘teosofi’
(JACOB BRUCKER, Kurtze Fragen aus der Philosophischen Historie, vol. 6, Ulm, Bartholomäi,
1735, p. 1067 sgg.; Encyclopédie ou Dictionnaire Raisonné des Sciences, des Arts et des
Métiers, vol. 16, Neufchâtel, Samuel Faulche [Amsterdam, M.M. Rey] 1758, pp. 253 sgg. L’uso
del termine Theosophia come concetto generale per teologia e filosofia (più o meno nel senso
della «prima philosophia» di Francis Bacon) resta effimero (B. KECKERMANN, Operum omnium
quae extant tomus secundusI, Genevae, Aubert, 1614, p. 229; IOH. LIPPIUS, Metaphysica Magna,
Lyon, Anard, 1625, p. 5). Nel già citato elenco di K. WIEDEMANN, al f. 65v, compare una
manoscritto dal titolo: Anthroposophia, das ist die Weißheit und Wissenschaft der natürlichen
Ding. Entrambi i termini, ‘Theosophia’ e ‘Antroposophia’, compaiono nell’Arbatel come
sottoparti della ‘scientia boni’, così come ‘Kakosophia’ e ‘Cacodemonia’ vengono indicati come
suddivisioni della ‘scientia mali’.
84
Questo schema dell’Arbatel venne ristampato da WOLFFGANG HILDEBRAND nella sua Magia
Naturalis. Das ist, Kunst vnd Wunderbuch, Erfurt, Birnstiel, 1611-1612, e da ROBERT FLUDD nel
suo Summum Bonum, s.l. 1629. Nella sua Epistolica Exercitatio in qua Principia Philosophiae
Roberti Fluddi reteguntur, Paris, S. Cramoisy, 1630, pp. 200 sg. PIERRE GASSENDI sottolineò la
mancanza del sapere matematico da questo schema dell’Arbatel: «Duo tamen sunt, quae circa
hanc bonam licitamque Magiam admirer. Unum, cur tam Fluddus quam Arbatel inter partes
Anthroposophiae non numerarint Mathematicam... Alterum cur moralem scientiam Magiae
partem faciant».
- 33 -
costituita dalla prefazione del tipografo al lettore che Perna premetta alla
sua edizione degli Schreiben von den Frantzosen, del 1577:85
Alle ding vnter des Himmels thron (geliebter Leser) sein inhalt bekandnuß aller
Menschen wandelbar vnnd verenderlich. Derwegen kein wunder, ob schon auch die
Künsten in gemein, vnd die Göttlichen dingen, welche von natur gerecht, volkommen, vnd
warhafftig von Gott dem herrn, der die warheit selber ist, herfliessende, allhie inn diser
welt beweglich vnd verenderlich sein: solches aber beschicht nicht von jhrer angeregter
natur, sondern durch Accidentia vnd zufählen, namlich durch den corrumpirten vnd
gebrechlichen menschen selbs, welcher in disem wetterlich vnnd verenderlichem stat, dem
er vnterworffen, wegen dunckler befleckung der Corruption, die rechte pur lautere warheit
nicht erkennen kan. Vnnd wiewol er von natur geneigt zu der wissenheit der geheimnussen
Göttlicher dingen vnnd aller künsten in gemein, vnd zum rechten zil zu gelangen, suchet
vnd grüppelt hin vnnd wider, so kompt doch niemandts darzu, dann derselbig dem es von
Gott gegeben, vnnd erleuchtet ist, dem lobliche Namen, wie menniglich bewust, vnzalbar
sein.
(Tutte le cose che stanno al di sotto del trono celeste (caro lettore) risultano alla
conoscenza umana mutevoli e alterabili. Non sorprende, quindi, che anche le arti in genere
e le cose divine, che per natura discendono giuste, perfette e vere dal Signore nostro Dio,
che è la verità in sé, siano in questo mondo alterabili e mutevoli; ciò non dipende dalla loro
natura inquieta, ma dagli accidenti e dal caso, e anzi dall’uomo stesso, che è corrotto e
fragile, il quale, soggetto a questo stato di temporalità e mutevolezza, a causa della
macchia nera della sua corruzione non riesce a riconoscere la verità pura, schietta e
eclatante. Così, pur essendo predisposto per natura alla conoscenza dei misteri divini e di
tutte le arti in genere, e al raggiungimento del giusto fine, l’uomo cerca e incespica qua e
là, e non c’è nessuno che riesca davvero a raggiungere la giusta meta, se non colui al quale
ciò è concesso per illuminazione da Dio, i cui nomi lodati, come si sa, sono infiniti.)
Illuminazione e dono divino costituivano dunque per Perna una premessa
rigorosamente necessaria alla conoscenza non solo delle verità religiose, ma
anche delle forze e dei misteri della natura: la teosofia significava per Perna
la giusta strada per la rinascita della religione e delle scienze, la via per il
riavvicinamento all’antica sapienza – per gli uomini come lui tutt’altro che
mitica – che Dio aveva rivelato non solo ad Adamo, a Mosè, ai profeti e
agli apostoli, ma anche a Ermete Trismegisto, alle Sibille e ai maghi
dell’antichità:
Was aber die andern belanget, welche dz rechte zil nit erreiche[n], sondern nur
jren selbs opiniones vnd eigensinnigkeit nachgehn, vnd mit jhrer lehr vnd zufelligen
mißbreuchen ein Monarchiam auffzurichten suchen, die erwecken vnd bringen nichts dann
Confusiones vnd verwirrungen inn der welt, nicht allein in den künsten in gemein, sondern
auch in der Christlichen lehr. Dann gleich wie die rechte Christlich Religion, wegen
mißbreuch vnd mehrerley zufähl bißher vil gelitten hat, vnnd noch teglich leiden muß: also
ist auch eruolgt vnd noch dermassen jmmerdar im schwung in der Götlichen vnnd hohen
gab der Ertzney kunst. Dan scheinbarlich ist, daß die Medici altens hehr schier selten einer
meinung, vnd jederzeit mehrer vnd grösserer erfahrenheit notturfftig gewesen.
(Invece per quel che riguarda gli altri, che non riescono a raggiungere la giusta
meta, ma seguono invece solo le loro opinioni personali e si lasciano guidare solo dalla
propria caparbia, cercando con la loro dottrina e i loro casuali abusi di instaurare una
monarchia: costoro non riescono a risvegliare e portare nel mondo altro che confusione e
scompiglio, e non solo nelle arti in genere, ma anche nella dottrina cristiana. E come la
vera religione cristiana ha finora molto sofferto, e continua ogni giorno a soffrire per abusi
e casi di ogni tipo, così è accaduto e continua ancora oggi ad accadere nella stessa stessa
misura anche per il divino ed eccelso dono dell’arte medica. È infatti evidente che i medici
85
THEOPHRASTUS PARACELSI VON HOHENHEIM, Schreiben von den Frantzosen in IX Bücher
verfasset [...] Jetzt erstmal von einem Liebhaber der Artzney an tag geben, Basel, Perna, 1577.
Sulla seconda parte di questa prefazione programmatica v. K. SUDHOFF, Versuch einer Kritik I.
Bibliographia Paracelsica (cit. nota 17), pp. 505-507; vedi l’edizione di questa prefazione in
Appendice II, pp. OOO-OOO.
- 34 -
ben raramente si attengono ad una sola opinione e hanno avuto bisogno di sempre
maggiore e più ampia esperienza.)
Esperienza (‘Erfahrenheit’). Era questa la parola decisiva. E che Perna si
schierasse per la necessità di «esperienze più e meno grandi» non solo in
medicina e nelle altre scienze, ma anche nella vita religiosa di ogni
cristiano, è dimostrato a sufficienza dalla sua stampa di Paracelso e di
Castellione. La vera scienza si basa sull’esperienza e sulle opere e non su
opinioni, autorità e speculazione; il vero credo venne testimoniato dalla
esperienza e dalle opere e non dal pretenzioso atteggiamento di coloro che
si sentono giustificati per la fede, ma «ita vivunt ut et justitiae et fidei sint
expertes».86
Wie dann dessen gnugsam exempel / welchermassen die Medicina bey menschen
gedencken / nemlich bey hundert jaren hehr vil verenderungen gelitten / vnd villeicht an
jtzo noch vil mehrers leidet. Es haben noch bey vnsern zeiten die Auicennisten benantlich
die Arabier triumphiret mit jren Recepten vnd Compositionibus / deren nammen noch
heutigs tag die Apotecken vol stecken / vnd bei den jetzigen Medicis mehrertheils
dermassen im brauch. Volgendts sein wider auffgestanden die Galenisten vngefehrlich bei
lx jaren / schier eben zu gleicher zeit da Mart[inus] Luther wider die Bäbstische Religion
zu lehren angefangen. Wenig zeit rnach vngefehrlich bey xx jaren oder minder / hat sich
der von Gott hochbegabt vnnd erleuchtet Mann Theophrastus Paracelsus Schweitzer / eines
wunderbaren hohes verstands auffgeleynt wider die Artzney vnnd jrer vermeinten kunst
der Medicina / mit solchem ernst / worten vnd wercken zuuerwerffen / nit allein jhre
Recepten vnnd falschen wohn / sondern auch mit fürtreffenlichen wercken fürgenommen /
klarlichen zu weisen die jrthummen der Arabier vnd Galenisten / ja auch darneben sich von
anfang hehr die fundamenta der Aristotelischen Philosophey sampt der gantzen
Galenischen secten / die Artzney belangende vmbzustossen vnderfangen / in massen / daß
im fahl er den Clauam vnd Herculis kolben inn henden gehabt hette / Namlich einen
zirlichen stilum zuschreiben (dessen er sich dann / wie man sihet / nicht geachtet) so wer er
zweifels one genugsam starck gewesen zuuertilgen biß an Herculis seülen die gantze
Galenische vnd Arabische Medicin / vnd seine seülen mit mehrerem Triumph vil weiter
hinauß zu pflantzen / dann Galenus / Auicenna / vnd all andere so seidher des Grossen
Hippocratis gewesen / vnd zu verdunckeln mit seiner Sonnen jr grosses liecht […] Ich wil
nun geschweigen / was für andere Werck mehr (ob Gott will) in kurtzer zeit an den tag
kommen werden durch mittel des hochgelehrten herren Leonhardi Turneisser zum Thurn /
fleissigen nachuolger gedachtes Paracelsi / namlich neben andern die Erkantnus
mehrerleien Simplicium…/.
86
SEBASTIAN CASTELLIO, Dialogi IIII, De Praedestinatione, De Electione, De Libero Arbitrio,
De Fide. Eiusdemque Opuscula quaedam lectu dignissima, Aresdorffii [Basel], per Theophilium
Philadelphum [Pietro Perna] 1578 Aresdorffii (Basileae) 1578, f. +2v. È significativo che
Castellione e Paracelso si esprimano entrambi con formule simili a proposito di questo tema
centrale della Riforma. Castellione, da parte sua, postula contro la dottrina della giustificazione
per la sola fede, una fede attiva - «(fidem) efficacem, operantem, nec unquam quiescentem donec
fuerit consecuta quae concupivit» (ivi, p. 269). Paracelso, che in realtà vive la Riforma dal di
fuori e da spettatore, identifica pienamente fede e opere: «c’è chi pensa di credere, quando
invece non crede affatto. Poiché la fede è un’opera, cioè l’opera di quello in cui si crede»
(«Mancher meint, er glaubt, so er nichts glaubt: Dann Glauben ist nur ein Werck, nemlich deß
Werck, in den glaubt wird», cfr. PARACELSUS, Erklärung der gantzen Astronomey (cit. nota 59),
ed. J. HUSER, vol. X, p. 428; ed. K. SUDHOFF, vol. 12, pp. 472 sg.). Quanto paracelsisti e teosofi
stimassero Castellione viene testimoniato per esempio dall’anonima Cyclopoedia Paracelsica
Christiana (pubblicata da SAMUEL EISENMENGER a Strasburgo nel 1585), che riporta
nell’introduzione al libro secondo un lungo passo dal De calumnia di Castellione, ma anche dagli
scritti dei fondatori del movimento rosacruciano: TOBIAS HESS (il cui esemplare della Biblia
latina del «vere pii et eruditi viri Sebastiani Castellionis» (Basileae, Perna, 1573), tutto pieno di
annotazioni, si conserva alla BU di Salisburgo; JOHANN VALENTIN ANDREAE, che nel Menippus
di 1616 accenna al De Calumnis e nel Theophilus del 1623 (ma pubblicato nel 1649) cita la
Bibbia sempre nella traduzione di Castellione; o, infine, CHRISTOPH BESOLD, sul quale si veda
ora HANS RUDOLF GUGGISBERG, Sebastian Castellio. Humanist und Verteidiger der religiösen
Toleranz (cit. nota 38), pp. 287-289.
- 35 -
(E ci sono esempi sufficienti per dimostrare quanto la medicina abbia sofferto
per il modo che l’uomo ha di concepirla, tanto che negli ultimi cent’anni ha subito
molte alterazioni e forse ora ne sta subendo ancor di più. Oggigiorno gli avicennisti,
come sono denominati gli arabi, trionfano con le loro ricette e composizioni, i cui nomi
riempiono ancor oggi le farmacie e che vengono ancora usate dalla maggior parte degli
odierni medici. Poi, circa sessant’anni fa, più o meno al tempo in cui Martin Lutero
prese a insegnare contro la religione papistica, contro di loro si sono levati i galenisti.
Poco tempo dopo, forse vent’anni o ancor meno, si è levato contro la medicina e la
loro supposta arte medica un uomo molto dotato e illuminato da Dio, lo svizzero
Teofrasto Paracelso, un uomo dotato di elevatissimo ingegno. Con parole e atti da
prendere con grande serietà egli ha inteso non solo rigettare le loro ricette e le loro
false opinioni, ma anche mostrare chiaramente, con opere di grande valore, gli errori
degli arabi e dei galenisti, e, nello stesso tempo, rovesciare i fondamenti della filosofia
aristotelica e di tutte le sette galeniche per quanto concerneva l’arte medica. Egli ha fatto
tutto ciò con una energia tale, che se avesse avuto in mano la clava e la mazza di Ercole,
se avesse cioè avuto una penna delicata con cui scrivere (di cui egli allora, come si può
vedere, non si prese cura), sarebbe stato senza dubbio forte abbastanza da estirpare
fino alle colonne d’Ercole l’intera medicina galenica e araba e di piantare le sue, con
maggior trionfo, molto più in là di Galeno, di Avicenna e di tutti gli altri che sono
venuti dopo il grande Ippocrate; sarebbe stato in grado di oscurare, con il suo sole, la
sua grande luce […] Non voglio ora parlare di quali altre opere (se Dio vorrà) verranno
tra breve alla luce per opera dell’illustrissimo signor Leonhard Thurneisser zum Thurn,
fedele seguace di quel Paracelso di cui si diceva prima, cioè, tra le altre, la scienza di
molteplici semplici...)
Insomma Perna, o meglio colui che aveva scritto in suo nome questa
prefazione, aveva identificato la problematica che ho cercato fin qui di
presentare e che ci terrà impegnati anche nel prosieguo. Ora, l’uomo che
aveva redatto in realtà questa come molte altre prefazioni in nome del
tipografo, altri non era che Theodor Zwinger!87
87
Non esistono prove dirette per dimostrare che fu Zwinger l’autore della prefazione. Né lui, né
Perna presero posizione sull’argomento. Esistono tuttavia molti indizi a sostegno di questa
ipotesi, o che fanno comunque pensare ad un coinvolgimento di Zwinger nella stesura del testo.
Senza citare il proprio nome Zwinger è stato più volte autore di una Praefatio Typografi ad
lectorem, sia per Perna, sia per il suo successore Waldkirch, v. OMER TALON, Opera, Perna
1575; Waldkirch 1584; [HIERONIMUS WOLF], Doctrina recte vivendi ac moriendi, Perna 1577; la
stessa opera sotto altro titolo, Vitae et Mortis Compendium, Waldkirch 1586; PLOTIN, Enneades,
Perna 1580 (v. ROTONDÒ, cit., p. 344); ARNALDUS DE VILLANOVA, Opera Omnia, Waldkirch
1585. L’attribuzione a Zwinger risulta con chiarezza dal confronto con altri testi da lui scritti. Per
le opere di Wolf e Arnaldo de Villanova disponiamo anche di prove dirette: Frey-Gryn. I 11, nn.
547, 353, 356; Frey-Gryn. II 4, n. 310 (v. nota 200). Ma su queste prove torneremo poi
nell’appendice II «In nome del tipografo» rispondendo alle obiezioni di Leandro Perini, cfr.
infra, pp. OOO-OOO. La presentazione della medicina nel suo svolgimento storico era un tema
caratteristico in ZWINGER, Physiologia Medica, Basileae 1610, pp. 41 sgg.; [IDEM], Praefatio
all’Opera Omnia di Arnaldo de Villanova. Per il rimando a Thurneysser e i suoi «Simplicia»,
vedi la lettera a Monavius in cui Zwinger espone le sue impressioni su Thurneysser e il suo
erbario, e anche la lettera a Camerarius, v. note OOO e OOO. Alla necessità di una critica ai
teologi, alla necessità di «maggiore e più amplia esperienza» («mehrer und größerer
Erfahrenheit»), all significato di Paracelso e della sua equiparazione a Ippocrate, all’uso delle
formule cabbalistiche, al «numero immenso dei nomi di Dio», farò riferimento nel corso di
questo lavoro.
- 36 -
III
Zwinger e Paracelso
Facendo ritorno a Basilea nel 1559, fresco del suo titolo padovano di
dottore in medicina e filosofia, Zwinger non avrebbe certo mai pensato che
dalla sua penna sarebbe un giorno uscito un elogio di Paracelso come quello
che abbiamo appena citato. Poco dopo il suo arrivo in città, egli sostenne,
come di consueto, la disputa presso l’università, presentando tra le altre una
tesi in cui si opponeva, in aperta polemica con Paracelso, all’impiego del
mercurio nella cura della sifilide.88 L’anno dopo Zwinger presentava gli
iatrochimici e gli allievi di Paracelso alla stregua dei medici sofistici
dell’antichità: «Ai suoi tempi Galeno si è sempre opposto a questi e gli ha
superato. Ma ai tempi nostri questo pessimo genere di persone si è
moltiplicato a un punto tale da non volersi accontentare più solo del proprio
ambito, ma da volersi immischiare anche di medicina. Con parole strane e
fantasiose hanno costruito un intero edificio di ciance, e battendo sempre
sulle loro conoscenze chimiche, fanno cadere la gioventù inesperta nel caos
dell’ignoranza».
Illos sua aetate Galenus pro virili impugnauit et expugnauit: nostro vero seculo
vsque adeo pessimum hoc genus inualuit, vt limitibus suis non contenti, ipsam Medicinae
arcem inuadere non vereantur, dum inusitatis quibusdam et portentosis nominibus suam
illam ματαιλογίαν adumbrant, et chymicis artibus freti in profundum ignorantiae chaos
89
incautos adolescentes praecipites agunt.
Zwinger tenta di mostrare al lettore quanto siano gravi i rischi di un
impiego in medicina dei preparati chimici, portando proprio l’esempio di
Paracelso, «novus quidam Thessalius asinus», e del suo «laudanum»
alchemico: «Molti di quelli che egli ha curato con il suo 'pharmacum'
benedetto, liberandoli da ogni dolore, sono morti poco dopo per
soffocamento ed estinzione del calore innato».
Id quod superioribus annis nouus quidam Thessalius asinus Alchimistico suo
Laudano (sic enim vocabat) praestitit. Multi enim quibus pharmaco hoc suo benedicto
dolorem omnem exemerat, non multo post per caloris innati suffocationem et extinctionem
90
interierunt.
Molto probabilmente questi giudizi venivano a Zwinger da suo zio
Oporino, a suo tempo famulus di Paracelso. Tre anni dopo nella sua celebre
88
D.O.M.A. […] Theodorus Zuingger Basiliensis sequentes Conclusiones disputandas et
examinandas proponit, s.l.[Basileae, Oporinus, 1559], in folio patente; A. BURCKHARDT,
Geschichte der Medizinischen Fakultät zu Basel (cit., nota 12), pp. 90 e 94.
89
PIETRO BAIRO, De Medendis Hvmani corporis malis Enchiridion : Quod vulgò Veni Mecvm
uocant (ed. Theodorus Zuingger Basiliensis), Basileae, P. Perna, 1560, ff. *3v-4r. Il libro è
dedicato all’abate di Murbach e Luders, Johann Rudolph Stör, al quale anche Bodenstein
dedicherà un anno dopo il libro di Paracelso sulla peste (Von der Pestilenz vnd ihren zufällen,
Mulhouse 1561). Vedi anche la lettera di Zwinger a Stör del 1. 8. 1560 che accompagnava questa
«dedicatio Bayri libri medici Vade mecum», in Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 23, n. 502.
90
Santes Ardoino, Opus de venenis, Basileae, H. Petri & P. Perna, 1562, f. + 6-7r. A proposito
del culto dei paracelsisti per il Laudanum cfr. Corpus Paracelsisticum, Dokumente
frühneuzeitlicher Naturphilosophie in Deutschland. Bd. II. Der Frühparacelsismus. Zweiter
Teil, herausgegeben und erläutert von WILHELM KÜHLMANN und JOACHIM TELLE, Tübingen,
Niemeyer, 2004, pp. 477-482. Il medico romano Tessalo di Tralle era sostenitore dell'inutilità
della teoria e ella dottrina e diceva che bastavano solo sei mesi per impadronirsi dei principi
fondamentali dell'arte medica.
- 37 -
epistola a Johann Wierus, Oporino raccontava che Paracelso non restava
mai più di anno nello stesso posto, poiché quella era la durata massima
degli effetti della sua medicina.91 Certo è che tanto Erastus nelle sue
Disputationes de Medicina Nova Philippi Paracelsi che, più tardi, Daniel
Sennert, che stampò la lettera di Oporino in versione latina, pongono in
correlazione quel passo di Zwinger con l’epistola «de judicio Paracelsi» del
grande stampatore basileese. 92 Del resto più tardi Zwinger si richiamò
91
DANIEL SENNERT, De Chymicorum cum Aristotelicis et Galenicis consensu et dissensu liber I.
Controversias plurimas tam Philosophis quam Medicis cognitu utiles continens, Wittebergae,
Zacharias Schurer, 1619, p. 98: «Unde etiam Oporinus in Epistola: Internorum vero affectuum
curationem sic administravit, ut nullo in loco ultra anni spatium haerere potuerit, quod ipse
dicere solitus sit, anno amplius non posse suas artes in uno loco durare». Questo passo non si
trova però nella redazione a noi nota della lettera di Oporino.
92
THOMAS ERASTUS, Disputationum de Medicina nova Paracelsi Pars quarta, Basileae, Perna,
1573, p. 253; D. SENNERT, De Chymicorum cum Aristotelicis et Galenicis consensu (cit., nota
90), p. 99: «testem huius rei citat Theodorum Zvvingerum […] vnde etiam Oporinus in Epistola
[…]». La redazione originale completa della lettera di Oporino non è stata ancora rinvenuta. Fino
a poco tempo fa se ne conoscevano solo la versione latina, pubblicata da Sennert nel 1619
nell’opera citata sopra, p. 66-67, e la traduzione olandese di Petrus Foreest (v. A. GEYL, Der
Oporinusbrief an Johann Weyer, in «Archiv für Geschichte der Medizin», 4, 1911, pp. 425-430;
MARTIN STEINMANN, Johann Oporinus. Ein Basler Buchdrucker um die Mitte des 16.
Jahrhunderts (Basler Beiträge zur Geschichte und Altertumskunde, 105), Basel und Stuttgart,
Helbing & Lichtenhahn, 1966, p. 3-6; SEPP DOMANDL, Paracelsus, Weyrer, Oporin. Die
Hintergründe des Pamphlets von 1555, in Paracelsus Werk und Wirkung, Festgabe für Kurt
Goldammer zum 60. Geburtstag, in «Salzburger Beiträge zur Paracelsusforschung», XI, 1975,
pp. 55-70). Esiste tuttavia una antica stampa del 1573, con piccole varianti, in cui però le notizie
riportate da Oporino si presentano in un ordine diverso da quello delle altre redazioni a noi note:
BERNARDUS DESSENIUS, Medicinae veteris et rationalis adversus oberronis cuiusdam
mendacissimi atque impudentissimi Georgii Fedronis, ac universae Sectae Paracelsicae
imposturas, defensio, Coloniae Agrippinae 1573, pp. 203-206. Il testo latino, nell’ordine
originale, sembra essere stato pubblicato per la prima volta da JOHANNES FRANCUS, Discursus de
chemicorum quorundam, non modo nova medicina et medendi ratione:sed etiam nova
philosophia et theologia: addita consideratione Famae Fraternitatis Roseae coronae vel crucis,
cum annexo fragmento Epistolae et Orationis de Theophrasto Paracelso, Bautzen, N. Zipser,
1616, pp. 37-39. Un altro problema è quello legato alla datazione della lettera. Dopo la scoperta
della versione olandese che è datata, in genere la lettera di Oporino viene fatta risalire al 26
novembre 1555, una data che lo stesso Sudhoff accetta nella sua biografia di Paracelso (1936).
Questa data è però insostenibile, perché la lettera è diretta «ad Johannem Wierium [et/aut
Reynerum Solenandrum] medicum illustrum ducis Juliacensis excellentissimum», ma sappiamo
che Solenander fra 1551 e 1558 studiava ancora in Italia e in Francia e fino al 1559 non fu
nominato medico del Duca Gugliemo di Cleve, mentre Wierus non menziona la lettera di
Oporino nel capitolo dedicato al «homo maledicentissimus Paracelsus» delle prime edizioni del
De praestigiis daemonum, pubblicate da Oporino nel 1563, 1564 e 1566! La vera data ci è stata
trasmessa invece da JOHANNES STARICIUS nella prefazione a PARACELSUS, Philosophia de
Limbo, eterno perpetuoque homine novo, Magdeburg, Joh. Francke, 1618, f. A3r, alludendo
all’«Epistola Anno 1565 ex Basilea de judicio admirandi medici Paracelsi ad Vierium Medicum
Juliacensem», cfr. E. SCHUBERT & K. SUDHOFF, Paracelsus-Forschungen II: Handschriftliche
Dokumente zur Lebensgeschichte Theophrasts von Hohenheim, Frankfurt, Reitz & Koehler,
1889, p. 80. Ma vedi ora UDO BENZENHÖFER, Zum Brief des Johannes Oporinus über
Paracelsus. Die bislang älteste bekannte Briefüberlieferung in einer Oratio von Gervasius
Marstaller, in «Sudhoffs Archiv für Geschichte der Medizin», 75, 1989, pp. 55-63 (con
l'edizione del testo della lettera di Oporino dal manoscritto Erlangen, Universitätsbibliothek, ms.
99, f. 12v-14v); C. GILLY, 'Theophrastia sancta' (cit. nota 45), p. 434, con la presentazione di
un'altra copia manoscritta della lettera di Oporinus «Ex Oporini Epistola 26 Nouembris anno
[15]65 Basilea ad D. Vierum scripta» (Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, Cod. guelf. 13.7
Aug. 4, ff. 231r-232v) dalla mano del paracelsista e medico di Augsburg Georg Keller (cfr.
H.G. Wackernagel, Die Matrikel der Universität Basel, II, Basel 1956, p. 351), che annotò in
calce: «Sapientis et inculpati Viri in primis interest, de rebus obscuris et sibi ignotis non temere
iudicare, multo minus praecipiti censura uerae sapientiae et philosophiae asseclas ignominiae
- 38 -
sempre ai ricordi di Oporino, quando nel suo Theatrum volle ricordare
qualche episodio della vita di Paracelso. 93 Ed è sempre richiamandosi ad
Oporino e alla parantela che li lega che nel marzo 1566 Zwinger prende a
scrivere per la prima volta a Wierus: subito dopo la pubblicazione della
terza edizione del De praestigiis daemonum, Zwinger vuole esprimere al
grande critico della caccia alle streghe la sua grande ammirazione per il suo
libro. Chi si aspettasse di vedere Zwinger esprimere il suo entusiasmo
soprattutto per il difensore delle povere «donne malinconiche», o per il
capitolo sulla tolleranza nei confronti degli eretici, che Wierus aveva tratto
dagli scritti di Erasmo e di Castellione, si troverebbe completamente deluso.
Zwinger si congratula infatti con Wierus «pro tam honesto certamine, pro
tam felici successu» nella lotta contro Paracelso e i suoi seguaci:
Quandoquidem subinde veterem medicinam contra furiosos impudentissimorum
sophistarum conatus ita protegis, ut tuis successibus omnes, qui non penitus mentem densis
fumis denigratam habent, merito gratulari debeant. Et certe tali opus erat ἀλεξικάκῳ contra
tam multiplicem belluam, quae sub artis medicae praetextu, impietatem magicis deliriis
suffultam, non obscure, subdole tamen, profitetur. 94
(Di fronte alla tua reiterata difesa dell’antica medicina dai feroci attacchi di
spudorati sofisti, non ci sarà nessuno che non sia pronto a congratularsi con te per il tuo
successo – a meno che non si tratti di persona il cui cervello sia stato completamente
oscurato dalla densità del fumo. Un tale antidoto era certo assolutamente necessario di
fronte a questo mostro multicefalo, che sotto il manto della medicina professa in modo
chiaro, benché senza dirlo, chiaramente la sua empia scelleratezza tutta poggiata sulla
follia magica.)
Quattro mesi dopo Wier ringraziava Zwinger per queste parole e, nello
stesso anno, gli inviava due esemplari dell’anonimo Thyrsus onago in
Tergum Georgii Fedronis.95 Dalla lettera di accompagnamento di Wier a
Zwinger, datata 19 dicembre 1566, non è chiaro se questo scritto
(«l’intervento più rozzo in questa brutta polemica», come è stato qualificato
da Sudhoff),96 sia da attribuire allo stesso Wierus o qualcuno degli altri
antiparacelsisti di Colonia:
Poiché tu stesso mi hai detto di leggere volentieri gli scritti in difesa della verità
contro gli spudorati seguaci di Paracelso, ti invio [il volume] Thyrsus, in cui si censura
aspramente un pedestre imitatore del suo maestro, per essere autore d’uno scritto offensivo
nota inurere et hinc inde traducere. Sed condonandum hoc nomine et parcendum Oporinus , qui
tanquam idiota et a philosophiae penetralibus remotissimo de altissimo et diuino Theophrasto
effutire non erubuit. Daniel Cellarius Doctor Augustanus».
93
Theatrum Vitae Humanae, ed. 1571, pp. 1422, 1480, 2275; ed. 1586, pp. 2583, 3176, 3204.
94
Lettera di Zwinger a Wier del 23. marzo 1566, in JOHANNES WIERUS, De praestigiis
Daemonum, J. Wierus, De praestigiis daemonum, Basel, officina oporiniana, 1577, pp. 901-902;
IDEM, Opera Omnia, Amsterdam, P. van der Berge, 1660, pp. 645-646. Wier pone la lettera di
Zwinger tra le testimonianze alla fine del suo libro già nell’edizione del 1568. Vedi ora
MICHAELA VALENTE, Johann Wier. Agli albori della critica razionale dell’occulto e del
demoniaco nell’Europa del Cinquecento (Studi e testi per la storia religiosa italiana del
Cinquecento, 12), Firenze, Olschki, 2003.
95
Thyrsus onago in Tergum Georgii Fedronis, s.l. 1566 (unico esemplare noto in Erlangen,
Universitätsbibliothek, H61/4 TREW.S 478).
96
SUDHOFF, Ein Beitrag zur Bibliographie der Paracelsisten (cit., nota 51), p. 321. Vedi ora
CHARLES D. GUNNOE, JR., Thomas Erastus and the Circle of Anti-Paracelsians, in J. TELLE
(ed.), Paracelsica. Studien zum Nachleben Theophrast von Hohenheims(cit. nota 45), pp. 127148: 137-139.
- 39 -
nei confronti della nostra santa medicina e di noi medici. Il suo nome è Fedro e vive a
97
Colonia.
Questo era il quadro dei paracelsisti offerto da Zwinger nella prima
edizione del Theatrum, del 1565: un quadro di «spiriti fantastici, che con
grande plauso degli ignoranti cercano spudoratamente di sostituire
all’antica medicina i loro sogni e fantasticherie». Galeno ha lottato contro i
sofisti, continua Zwinger, «mentre noi abbiamo a che fare con dei mostri.
Speriamo che presto spunti un vendicatore in grado di annientarli» –
«exorietur fortasse ultor aliquis». 98
Dobbiamo immaginare che, quando nel 1563 Simon Scheibe si era
mostrato curioso di sapere tutto su Adam von Bodenstein («vir ut scripta
eius testantur non ineruditus») e sul farmaco «cujusdam Paracelsi» che von
Bodenstein tanto andava decantando,99 la reazione di Zwinger dovesse
togliere a quell’antico compagno di studi ogni desiderio di interessarsi oltre
a Paracelso. Scheibe scrive infatti in una sua lettera a Zwinger: «Mi hai
esternato senza artifici la tua opinione a proposito della dottrina e dei
miracoli del ‘Teofrastico’. Non so come ringraziarti di avermi mostrato che
le promesse di cui questa gente si vanta non sono in realtà che parole al
vento e sogni. Prima io credevo non si trattasse di sogni, ma di realtà». 100
Per reazione Scheibe invitava Zwinger a rendere quella gente inoffensiva,
una volta per tutte:
Tu qui in eadem urbe, in qua prauum hoc dogma primum spargi coepit ac
propagari, cum eius autoribus iam multos annos (ut uerisimile uideo) familiariter ferme
uersatus es; aeterna memoria rem dignam praestiteris, si istorum nugas ac impudentiam
101
scripto aliquo publice retundas.
(Tu che vivi nella città da cui questo cattivo dogma ha incominciato a diffondersi,
tu che da tempo, e da vicino, conosci il responsabile di questa diffusione, e forse hai con
lui rapporti anche più ravvicinati, tu porteresti a compimento un’azione davvero
indimenticabile, se in un tuo scritto volessi mettere a nudo le menzogne e le spudoratezze
di questa gente.)
Stando così le cose, non c’è da stupirsi se Zwinger si trovò implicato in
conflitti anche personali con i paracelsisti basileesi. Nel gennaio 1564, poco
più di quattro mesi dopo che aveva accusato di eresia Castellione davanti al
Consiglio cittadino, il paracelsista Adam von Bodenstein venne espulso
dalla facoltà di medicina e dal consilio dei medici, poiché egli senza darne
notizia alla facoltà e nonostante le sue promesse iniziali aveva fatto
ripetutamente stampare alcuni libri contro la «vera e retta medicina» e in
contraddizione con i suoi principi, senza sottometterli ad alcuna censura,
«dimostrandosi così seguace della falsa dottrina teofrastica».
Zewüssen sige meniglichen, Nachdem Doctor Adam von Bodenstein ettliche Jar
her, einer Erwürdigen facultet der Medicin zu Basell Collega gsin,und aber one wüssen
bemelter facultet ettliche Bücher so der rechten waren Medizin und derselbigen grundt
zewider in truck oncensiert ußgon lossen und hiemit sich der Teophrastischen falschen leer
anhengig gmacht. Deshalben dan er früntlichen von einer Erwürdigen facultet vonn
97
Lettera di Wier a Zwinger dell’11. 7. 1566, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II
4, n. 339; lettera del 19. 12. 1566, ivi, ms. Frey-Gryn. I 11, n. 409.
98
Theatrum Vitae Humanae, ed. 1565, p. 90.
99
Lettera di Scheibe a Zwinger del 24. 10. 1563, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 28, n. 323.
100
Lettera di Scheibe a Zwinger del 2. 5. 1564, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II
28, n. 325.
101
Ivi.
- 40 -
sollichen sinen fürnehmen abzeston ermant und sines Juraments erinnert worden. Diewyl
und aber gedochter Doctor Adam von Bodenstein umb alle fründiche abmanung nützit
geben wollen, hatt eine gemeine facultas Medica sich einhelliglichen entschlossen, den
gemellten Doctor Adam von Bodenstein hinfürter für Jren Collegen nit mer zehalten,
sondern das er uss Irer Facultet und Consilio ussgeschlossen sin sollen […] uff Montag
102
den 27, Januarii 1564.
Vogliamo tuttavia render giustizia ai professori basileesi aggiungendo
subito, che essi battevano il basto non potendo batter l’asino. L’aver
aggirato la censura o l’essersi schierato dalla parte di Paracelso costituivano
solo un pretesto per l’espulsione di Bodenstein. Il motivo reale era
costituito piuttosto dal fatto che quattro mesi prima Bodenstein, cittadino
basileese, aveva accettato un mandato di Calvino e di Théodore de Bèze
denunciando di eresia alle autorità Sebastiano Castellione, un collega
onorato da tutti, e si era inoltre prestato a sostenere pubblicamente l’accusa
contro quest’ultimo. Solo la morte, sopraggiunta il 29 dicembre 1563, riuscì
a risparmiare a Castellione il processo a Basilea e l’esilio in Polonia. Ma né
Zwinger né gli altri colleghi della facoltà riuscirono a perdonare a
Bodenstein tale e tanta infamia; per questo essi «all’unanimità» colsero al
volo la prima occasione per escludere il delatore dalla facoltà e dal
consiglio.103
Il ruolo non indifferente ricoperto da Zwinger nell’espulsione di
Bodenstein ci è testimoniato da una lettera di Scheibe del marzo 1565, in
cui egli informa Zwinger di aver saputo da un famulus di Bodenstein «te in
disputatione publica lepide tetigisse homines illos, ac multa graviter pro
asclepiadorum assertione disseruisse». 104 Un anno dopo scriveva a Zwinger
Crato von Kraftheim, raccontandogli che Bodenstein e Toxites stavano
diffondendo a corte cattive voci sul suo conto, per essere stato lui causa
dell’espulsione di Bodenstein dall’università – «tua operatione
Bodensteinium ejectum». «Quid vultis. Fortes sunt calumniis», continua
l’archiatra, e conclude la lettera con l’invito a inviargli ciò che Zwinger ha
raccolto sulla «Theophrastica insana disciplina» o a pubblicarlo lui stesso,
così che tutti possano rendersi conto di quanto pericoloso sia il pensiero
delirante di quella gente: «Quam hoc genus hominum impie cum multorum
periculo deliret.»105
In realtà, Zwinger aveva già scritto, e precisamente tre settimane
prima dell’espulsione di Bodenstein, la primissima, più lunga e più solida
ricusazione a Basilea, della dottrina di Paracelso e dei primi paracelsisti;
l’aveva però fatto solo in una lettera privata ad un collega, suo intimo amico
fin dagli anni padovani, Gervasius Marstaller. Zwinger non aveva voluto
comunicarne il contenuto né a Gessner,106 né a Scheibe, né a Crato von
102
A.BURCKHARDT, Geschichte der Medizinischen Fakultät zu Basel (cit., nota 12), p. 57.
C. Gilly, Basel rehabilitiert Paracelsus (1493-1541), in Basler Stadtbuch 1993, Basel,
Christoph Merian Verlag, 1994, pp. 35-42: 36; H. R.GUGGISBERG, Sebastian Castellio. Humanist
und Verteidiger der religiösen Toleranz (cit. nota 38), pp. 219-220. L’accusa di Bodenstein,
Basel Staatsarchiv, Kirchenakten A 3, S. 210 sgg., è stata stampata in FERDINAND BUISSON,
Sébastien Castellion, sa vie et son ceuvre (cit. nota 38), vol. II, pp. 483-493.
104
Lettera di Scheibe a Zwinger del 28. 3. 1565, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 28, n. 327.
105
Lettera di Crato von Kraftheim a Zwinger del 12. 5. 1566, Basilea, Universitätsbibliothek, ms.
Frey-Gryn. II 28, n. 44.
106
La sprezzante opinione che Gessner aveva di Paracelso è messa in dubbio da BERNARD MILT,
Conrad Gesner und Paracelsus, in «Schweizerische Medizinische Wochenschrift», LIX, 1929,
pp. 486-488 e 506-509, ma si veda ora CHARLES WEBSTER, Conrad Gesner and te infidelity of
103
- 41 -
Kraftheim e men che meno a Erastus. La lettera è così rimasta ignota agli
studiosi sia di Paracelso sia di Zwinger fino al 1980, anno in cui François
Secret la scoprì alla Bibliothèque Nationale di Parigi, trasmettendomene
gentilmente una copia. Nel frattempo ne sono state localizzate altre due
copie, conservate rispettivamente alla Universitätsbibliothek di Erlangen e
,ancora una volta, a Parigi, alla Bibliothèque Sainte Geneviève. Queste tre
copie sono state utilizzate per l’edizione del testo latino, con traduzione
italiana, pubblicato qui in appendice III.107
Marstaller aveva scritto a Zwinger da Braunschweig il 7 dicembre 1563
pregandolo di dargli il suo parere a proposito di Parcelso e di Bodenstein.
Uno dei chirurghi che lo assistevano si era infatti trovato tra le mani un loro
libro stampato a Basilea («legit is pagellas ab Adamo Bodenstein isthuc
editas sub nomine Theophrasti Paracelsi»); il libro lo aveva preso a tal
punto, che costui aveva deciso di scrivere a Bodenstein, portavoce e
interprete di Paracelso, e di trasferirsi a Basilea per lavorare con lui.
Marstaller aveva allegato la sua lettera per Zwinger alla lettera che il suo
chirurgo indirizzava a Bodenstein («ut literis suis, quas ad D. Adamum ipse
scripsit, hasce meas ad te adderem»), assicurando che lui, Marstaller,
sarebbe stato enormente grato a Zwinger, se egli, nella sua risposta, fosse
riuscito a mettere a nudo le menzogne di Paracelso e di Bodenstein («ne
grauareris tuam de utroque, tam Adamo quam Theophrasto, sententiam ad
nos perscribere»). A lui, che era basileese, Bodenstein doveva essere
sicuramente ben noto, e ciò avrebbe permesso a Marstaller di richiamarsi
alla sua autorità degna di fede per controbattere alle opinioni del suo
chirurgo. Non si trattava certo di un caso isolato: anche su altri aspiranti
Paracelsus, in JOHN HENRY & SARAH HUTTON (edd.), New Perspectives on Renaissance
Thought. Essays in the History of science, education and philosophy in memory of Charles B.
Schmitt, London, Duckworth, 1990, pp. 13-23; C. GILLY, 'Theophrastia Sancta' . Der
Paracelsismus als Religion im Streit (cit. nota OOO), pp. 430-431; W. KÜHLMANN–J. TELLE,
Corpus Paracelsisticum, Bd. I. Der Frühparacelsismus, Erster Teil (cit., cap. 2, nota 4), p. 300 et
passim.
107
Lettera di Theodor Zwinger, Basilea il 7 gennaio 1564, a Gervasius Marstaller in
Braunschweig. COPIA A:, apografa, 1571, Erlangen, Universitätsbibliothek, Ms. 991, ff. 15v–
21v. La lettera costituisce qui la seconda parte di un’Oratio de Theophrasto Paracelso ejusque
Medjcina, composita à Clariss[imo] Viro D. D. Geruasio Marstallero. L’Oratio de Theophrasto,
ff. 8v–26v. Il testo dell’Oratio, che stando ad una nota al f. 26v («Gervasius Marstaller D[octor]
uocatus Jenam ad docendam artem Medicam») fu letta come lezione inaugurale probabilmente
nel 1570, è costituito in gran parte da I) la lettera di Oporino a Reiner Solenander [e a Wier, del
26 novembre 1565], ff. 12v–14v; II) la lettera di Theodor Zwinger a Marstaller del 7 gennaio
1564, ff. 15r–21v; III) un giudizio su Paracelso di Konrad Gessner tratto da un Catalogus
Chymicorum scriptorum, f. 22r, altrimenti sconosciuto, cfr. U. BENZENHÖFER, Zum Brief des
Johannes Oporinus über Paracelsus (cit. nota 91), pp. 56, 59; C. GILLY, ‘Theophrastia Sancta’
(cit. nota 45), p. 431. Ne era possesore e copista Johann Oberndorffer von Oberndorf (Köthen
1549–Regensburg 1625): «Sum Johannis Oberndorfferi, Medicinae doctoris, Haec consilia
communicante d. Geruasio Marstallero collexi Jhenae Anno 1571». COPIA B) XVII sec.; Paris,
Bibliothèque Sainte-Geneviève, Ms. 1458, pp. 35-42: THEODus. ZWINGGERUS GERVASIO
Marstallero Brünswicum. La copia si conserva nell’ultimo volume di una raccolta di cinque
manoscritti in 4°, Lettres des premiers réformateurs, che nel 1628 si trovava ancora in possesso
di Daniel Rindfleisch a Breslau, e che giunse a Parigi nel 1631, cfr. CH. KOHLER, Catalogue des
Manuscrits de la Bibliothèque Sainte-Geneviève, tom. II, Paris 1896, p. lxxv. COPIA C) XVII
sec.; Paris, Bibliothèque Nationale de France, Ms. Dupuis 797, pp. 55-70. Anche questa copia fa
parte di una raccolta di lettere di autori protestanti, indirizzate soprattutto a Melantone, cfr. LEON
DOREZ, Catalogue de la Collection Dupuy, Paris 1899, vol. 2, pp. 458-463. Per ulteriori
informazioni cfr. Appendice III.
- 42 -
medici quegli scritti avevano avuto lo stesso effetto, tanto che essi non
volevano più saperne degli antichi medici e filosofi.108
La risposta di Zwinger a Marstaller fu, riassumendo, la seguente:
Zwinger accettava certamente l’invito di Marstaller a esprimere un giudizio
su Paracelso e i paracelsisti di Basilea. Paracelso aveva a Basilea una
cattiva reputazione. Chi lo aveva conosciuto di persona ricordava solo i suoi
eccessi nel bere e la sua empietà; essi si meravigliavano dell’improvviso
rumore suscitato dai suoi scritti. Zwinger non intendeva prendere posizione
riguardo alla fede o ai costumi dell’Hohenheimer; tali considerazioni non
avevano infatti nulla a che fare con la sua attività scientifica. Non mancava
però di citare alcuni detti «empi» di Teofrasto: «Will Gott nitt, so helffe der
Teufel» (Se Dio non vuole, che m’aiuti il diavolo). Come critica generale
valeva il fatto che Paracelso screditava la dottrina degli antichi, presentando
come vera scienza solo allucinazioni sorte lavorando alle fornaci
alchimistiche. I tre principi aristotelici, la dottrina dei quattro elementi con
le loro quattro qualità, la dottrina degli umori – Paracelso mandava all’aria
tutto questo. A suo giudizio esistevano solo tre principi: zolfo, mercurio e
sale. Da essi avrebbero origine tutte le cose, poiché tutte le cose possono
essere ridotte a questi tre elementi per mezzo del fuoco. Zwinger prende
posizione contro il Buch Paramirum, che egli considera espressione
completa della dottrina paracelsiana. E ne elenca così le pecche:
contraddizioni in ambito eziologico; mancata considerazione delle qualità;
il principio fondamentale della cura non consiste nel combattere il contrario
con il contrario, ma il simile con il simile. La malattia assomiglia in qualche
modo all’uomo. Questa somiglianza deriva dalla corrispondenza dell’alto e
del basso, che egli definisce anatomia “essata” e che deriva dalla forza del
fuoco. Anche il medico deve sottostare alla prova del fuoco, ed è con la
forza del fuoco che vanno ottenuti tutti i medicamenti. Per quanto riguarda
la pratica dell’arte medica, sembra che Paracelso avesse una buona mano,
stando alla testimonianza di molti. Non sempre però. E comunque:
l’alchimista non è un medico migliore degli altri; è semplicemente un cuoco
migliore, perché padroneggia l’arte di produrre i medicamenti. Non bisogna
però confondere la medicina con la cucina: «Chymistas praeclaros esse
coquos in parandis medicamentis». Del laudanum di Paracelso si è parlato
molto. La sua applicazione non sembra però essere senza rischi. Oporino
tuttavia sarebbe riuscito a curarsi da solo un pezzo di questo laudanum.
Essendo stato un tempo suo famulus, Oporino può raccontare molte cose a
proposito di Paracelso. Aneddoti: Paracelso non si sarebbe mai tolto gli
abiti di dosso per dormire; si scagliava con una mannaia contro i muri;
faceva orgie dai contadini. Ma va anche detto che non pretendeva onorario
dai poveri. Aggiunge Zwinger: «Haec et ego et multi alij ex Oporino saepe
audiuimus». Per quanto riguarda i seguaci di Paracelso: sono per molti
aspetti peggiori, e certamente molto meno dotati del loro maestro. Su Adam
von Bodenstein: prime pubblicazioni di scritti di Paracelso a Basilea. Il
Consilium Medicorum ne avrebbe dapprima tollerato la stampa, poi
sarebbero cominciati i sospetti, sfociati infine nel divieto: a Bodenstein era
stato proibito di pubblicare testi paracelsiani, tanto a Basilea che fuori.
Nella pratica medica i teofrastini si sforzavano di emulare il loro maestro.
Non sono riusciti però a ottenere alcun risultato che non sia già stato
108
Lettera di Marstaller a Zwinger d Braunchweig, il 7. 12. 1563, in Basilea,
Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 28, n. 192.
- 43 -
ottenuto con meno sforzo e maggiori garanzie già dai medici galenici. Le
promesse di Bodenstein e la medicina di Paracelso: se potessero davvero
avverarsi, Zwinger sarebbe il primo a rallegrarsene. Per lo studio della
medicina non ci si potrebbe immaginare nulla di meglio. Per questo
Zwinger caldeggia la preparazione alchemica dei medicamenti.
Naturalmente non a discapito dell’insegnamento degli antichi greci
(nemmeno gli arabi lo avevano fatto, peraltro) o cercando di guadagnare
autorità facendo uso di termini incomprensibili. Questo è sempre stato un
vecchio trucco dei maghi e degli eretici. Che Paracelso si meriti il
soprannome di «Lutherus medicorum»? Assolutamente no. Piuttosto quello
dell’eresiarca Ario! O meglio ancora: se non quello di Tessalo da Tralle,
certo quello di Tessalo da Einsiedeln. Bisogna porsi molto seriamente il
problema degli studenti di medicina, che con troppa leggerezza si fanno
imbambolare dai paracelsisti. Non c’è mai stata setta eretica tanto assurda
da non fare adepti! Risultato, secondo Zwinger: sarebbe altamente
auspicabile che qualcuno mettesse a confronto le due scuole mediche,
preponendosi l’unico fine di investigare la verità dell’antica medicina e
della nuova medicina teofrastica. Questioni famigliari: Zwinger si occuperà
della salute della madre di Marstaller che vive solo a poche miglia da
Basilea. Accenni ai libri che Zwinger ha mandato a Braunschweig per
Marstaller e a quelli che Zwinger progetta. Nuove pubblicazioni a Basilea:
Giacchini, Cardano. Accenno anche al volume di botanica di Gessner. [PS.
1] Zwinger ha studiato il libro di Paracelso sulla peste e ne ha riordinato
con metodo i contenuti ricorrendo alle tabelle. Zwinger ne invia a
Marstaller uno specimen. Paracelso non sembra essere tanto difficile da
aver bisogno di un’illuminazione divina per comprendere quanto scrive,
come affermano invece i suoi seguaci. [PS. 2] A Basilea la peste sta
diffondendosi molto rapidamente. Per ciò che ne sa Zwinger nessuno ha
consultato Bodenstein. La colpa è però probabilmente dello stesso
Bodenstein che pretende compensi troppo alti.
Considerando i termini di questa radicale ricusazione nei confronti di
Bodenstein da parte del più prestigioso e competente medico e filosofo di
Basilea, non può non meravigliarci il fatto che tredici anni più tardi, sulla
pietra tombale del primo, nella Peterskirche, si potesse leggere quanto
segue:
Hygiae aeternae. Adamus a Bodenstein, Theophrasti Paracelsi ut primus sic fidus
scitusque et opere et ore interpres, palmam victoriae suae regi triumphanti oblaturus,
mortalitatis exuvias nec metuens nec optans solo hoc caeloque libero homo liber fide
deposuit bona, quas spe bona repetat. Anno salutis MDLXXVII, aetatis hebdomade
septima.
Nec omnia nec omnes mihi
Placuere; quinam ego omnibus?
Non omnibus Cous senex,
Non Eremita spagirus;
Num tu, viator, omnibus?
Deo placere cura. Abei.109
109
JOHANNES GROSS, Urbis Basil[iensis] Epitaphia et Inscriptiones omnium templorum,
Basel, Genath, 1625, p. 150; JOHANNES TONJOLA, Basilea Sepulta retecta continuata.
Hoc est: Tam Urbis quam Agri Basileenis Monumenta sepulchralia, Templorum omnium,
Curiae, Academiae, aliarumque aedium publicarum Latinae et Germanicae Inscriptiones
[…], Basel, E. König & fil., 1661, p. 128; A. HARTMANN, Basilea Latina, Basel,
Lehrmittelverlag, 1931, p. 209.
- 44 -
(All’eterna Igea [dea della Salute] – Adam von Bodenstein, il primo e il più fedele
ed esperto interprete di Teofrasto Paracelso in parole e opere, offrirà ora la palma della sua
vittoria al re trionfante. Da uomo libero, senza temere la morte né cercarla, egli ha affidato
in buona fede a questo suolo e a questo cielo libero le spoglie fugaci della mortalità, nella
ferma speranza di poterle riavere un giorno. Nell’anno di salute 1577, nella settima
settimana del suo anno d’età [49 anni].
Né tutto né tutti a me
Sono piaciuti; perché dovrei io a tutti [piacere]?
Non a tutti [è piaciuto] il vecchio di Cos [i.e. Ippocrate],
Non a tutti l’eremita spagirico [i.e. Paracelso];
Piaci tu forse a tutti, viandante?
Abbi cura di piacere a Dio. E vai per la tua strada.)
Non era Bodenstein l’autore dell’«ambiziosa» iscrizione, ma un altro, come
generazioni di pietisti luterani avranno ripetutamente modo di apprendere
dai Sechs Bücher vom Wahren Christentum di Johann Arndt:
Man siehet zu Basel eine Grabschrift über den weiland sehr berühmten Mann,
Adam von Bodestein, welche der vortreffliche Theodor Zwinger, desgleichen ich, da ich in
den freien Künsten noch oblag, an Gelahrtheit nicht gesehen, verfertiget, davon ich etliche
Zeilen im Gedächtnis behalten habe, die also lauten: Non omnibus, nec omnia mihi [...]
Deo placere cura. Abi.110
(Vediamo a Basilea sulla lapide dell’allora celeberrimo Adam von Bodenstein
un’iscrizione composta dall’ottimo Theodor Zwingerus, uomo di tanta dottrina che io
stesso – quando ancora mi dedicavo alle arti liberali - non ne ho mai visto di uguali; di essa
ho ancora a mente alcune righe che recitano: ‘Non omnibus, nec omnia mihi […] Deo
placere cura. Abi.’)
I compilatori del sesto libro, postumo, del Von Wahrem Christentum
avevano tratto questo passo da una lettera latina di J. Arndt a J. Gerhard
(«Brunsvigae», senza data, ma verosimilmente del 1608) e l’avevano
tradotto ed inserito come un terzo «Sendschreiben»; la lettera originale
latina venne stampata per la prima volta nel 1625:111
Visitur Basileae Epitaphium Clarissimi olim viri Adami a Bodenstein, auctore
Magno illo Theodoro Zwingero, quo doctiorem, dum Musas colerem humaniores, vidi
neminem, cujus versiculos aliquot memoria retinui. "Non omnibus: nec omnia mihi..."
Era dunque Zwinger l’autore della bella iscrizione sulla tomba di colui che
era stato suo nemico! Che cosa era successo? Molto semplicemente,
Zwinger aveva scoperto nel frattempo la vera grandezza di Paracelso, ed era
stato Ippocrate a guidarlo su questa strada!
110
JOHANNS ARNDT, Sechs Bücher vom Wahren Christenthum (VI.3.3), Leipzig, Reclam,
1850, p. 525; Basel, s.d. (ca. 1880), p. 953; Stuttgart, Steinkopf, 1908, p. XXX.
111
[MELCHIOR BRELER], Warhafftiger/ glaubwürdiger und gründtlicher Bericht von den vier
Büchern vom waren Christenthumb Herrn Johannis Arndten/ auß den gefundenen brieflichen
Urkunden zusammengetragen, Lüneburg, J. et H. Stern, 1625, pp. 2-9: 3.
- 45 -
IV
Il metodo d'Ippocrate
«La medicine du XVIème siècle – et c’est
en cela que Paracelse apparaîtra comme,
‘révolutionnaire’, alors qu’une bonne partie
de ses ordonnances ne sera qu’un retour a
Hippocrate – est avant tout fondée sur le
112
galénisme».
Ancora nel 1561 Zwinger commentava la Ars medicinalis e il De
Constitutione di Galeno, riducendo entrambi i testi in tavole analitiche113
secondo il suo metodo, imparato non da Ramo, ma, come Zwinger stesso
confessa, dal suo maestro padovano Bassiano Landi.114 Dopo la disputa con
i paracelsisti a Basilea, Simon Scheibe aveva definito Zwinger un muro di
ferro, su cui Galeno si sarebbe sempre potuto appoggiare.
Sed te spero, hic murum aheneum fore, nec Galenum praesidio tuo nunquam
115
destitutum iri.
Ma dopo la grande peste del 1563-1564 e il carteggio che seguì con Crato
von Kraftheim a proposito delle possibili cause della pestilenza, l’edificio
medico-scientifico e l’immagine del mondo che ne derivava cominciò per
Zwinger a vacillare. Allo scopo di riguadagnare un terreno saldo su cui
poggiare, Zwinger decise allora di dedicarsi allo studio attento di Ippocrate,
sostenuto e incoraggiato in questo da Conrad Gessner e dallo stesso Crato
von Kraftheim. Nello stesso tempo egli prese a raccogliere tutti gli scritti
inediti di Paracelso sulla peste che gli fu possibile trovare, riducendoli in
112
G. DURAND, Similitude hermetique, in «Eranos Jahrbuch», 42, 1973, p. 444.
THEODOR ZWINGER, In Artem Medicinalem Galeni, Tabulae et Commentarij: Ex quibus
Medici, longae artis compendium: Philosophi, cognitionem naturae in corpore humani: Logici
denique, artificiosam ordinis Definitiui diallysin, magna cum utilitate et facilitate haurire
poterunt, Basileae, Oporinus, 1561; IDEM, In Galeni Librvm De Constitvtione artis Medicae,
Tabulae et Commentarij: Ex quibus rationem inueniendi et constituendi artem quamlibet, iuxta
Resolutiui ordinis leges, (cuius natura, ars et usus multis iam seculis latuit) studiosus Lector
facili negotio depromet, Basileae, Oporinus, 1561.
114
WOLFGANG ROTHER, Ramus and Ramism in Switzerland, in The Influence of Petrus Ramus.
Studies in Sixteenth and Seventeenth Century Philosophy and Sciences, ed. M. FEINGOLD, J. S.
FREEDMAN & W. ROTHER, Basel, Schwabe, 2001, pp. 9-37. Rother, il cui riferimento
bibliografico più recente su Zwinger risulta essere l’Allgemeine Deutsche Biographie del 18751912, fa di Zwinger, del tutto erroneamente, uno dei due «first and most commited Ramists», le
cui «tables and commentaries on Galen and Hippocrates» sarebbero «applications of the Ramist
method to medicine», ivi, pp. 14-16. PETER MURRAY JONES, Reading Medicine in Tudor
Cambridge, in JOHN HARLEY WARNER (ed.), The History of Medical Education in Britain, ed.
Amsterdam, Rodopi, 1995, p. 174, afferma invece che «these tables and commentaries reflect the
teaching of Zwinger’s own mentor Vittore Trincavelli at Padua and represent a determined
application of the ancient philosophical method of resolution to Galenic philosophy». Sul debito
reale di Zwinger verso Ramus e Landi vedi infra, p. OOO; sulla partecipazione di Zwinger
all’edizione del De compositione et usu medicamentorum di Trincavelli, con dedica del tipografo
Perna a Crato von Kraftheim, si veda la lettera di quest’ultimo a Zwinger di 20. VIII. 1570
(Basilea, Universitätsbibliothek, Ms. Frey-Gryn. II 8, Nr. 460): «Perna mihi significavit, se
librum Trincavellae de compositione medicamentorum meo nomine velle divulgare. Facile hoc
patior, qui Trincavellica potius eum quam Paracelsica exprimere cupio, modo ut tu illam
προσφώνησιν [Widmung] prius inspicias, ne quid παρὰ τὸ πρεπόν committatur».
115
Lettera di Scheibe a Zwinger del 31. 8. 1564, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 28, n. 326: per l’espressione «murus aheneus»cfr. HORATIUS, Epistulae I 1, 60; ERASMUS,
Adagia, 1925 (II.10.25).
113
- 46 -
tavole secondo il suo comprovato metodo. Venutone a conoscenza, Gessner
pregò Zwinger di fargli pervenire il suo lavoro:
In Paracelsi de Peste libellum confectam a te tabulam si miseris, gratius erit
116
synopsim illam paucis cognoscere, quam longas eius deblaterationes legere.
Anche Crato pregò più volte Zwinger di inviargli la «nugas Theophrasticas
in methodum a te redactas». 117 Zwinger tuttavia esitava ad assecondare il
desiderio del medico imperiale, e questo per un motivo semplicissimo: la
sua personale spiegazione delle cause della pestilenza coincideva in parte
con quella fornita da Paracelso. Per questo egli scelse di aggiungere in calce
alla lettera in cui comunicava a Crato i risultati della sua ricerca questo
semplice post-scriptum:
Theophrasti Paracelsi sententiam de peste, quam ex eius scriptis collegi, et
methodice exscripsi, ad te misissem nisi temporis angustia abstitisset: Mittam alias, si
voles [...] Versor nunc in Hippocrate, eumque in locos communes redigere conor. 118
Quanto le esitazioni di Zwinger fossero fondate è testimoniato dalla secca
risposta inviata da Crato dopo aver preso finalmente visione degli Excerpta
di Zwinger da Paracelso: «Theophrasticas ineptias quas misisti rideo, teque
in iis tantum operae posuisse doleo».119
Ippocrate e Paracelso – con entrambi Zwinger avrà a che vedere ancora per
molto tempo. Gli restava ancora un’unica riserva di fronte all’«asino
tessalico»: l’accorto ed equilibrato naturalista basileese non riusciva ad
accettare la maniera non convenzionale e provocatoria con cui Paracelso si
scagliava contro tutte le autorità. Per questo nella seconda e nella terza
edizione del Theatrum Vitae Humanae Zwinger sceglie ancora di parlarne
non nel capitolo dedicato ai medici, come sarebbe da aspettarsi, ma in
quello riservato alla «ambitio inmoderata». Riporto qui di seguito il passo
in entrambe le edizioni:
Mirabuntur fortassis aliqui, THEOPHRASTVM
ab Hohenheim Paracelsum, Chymistarum nostro
seculo facile principem, huic ordini inseri. Sed
mirari desinent, si scripta eius perlegerint,
116
THEOPHRASTVS ab Hohenheim Paracelsus,
popularis noster, vir ingenio magnus, et si literae
accessissent, in suo genere maximus, etsi
Chymicorum remediorum partim inuentione
partim communicatione de re medica praeclarius
quam multi alii veterum meritus est, in hoc tamen
plus satis sibi indulgere (vt fere semper magnas
virtutes, magna quoque vitia stipare solent: et
CONRAD GESSNER, Epistolarum medicinalium libri tres, ed. Caspar Wolf, Zürich, Froschauer,
1577, p. 110.
117
Lettera di Crato von Kraftheim a Zwinger del 22. 6. 1566, Basilea, Universitätsbibliothek, ms.
Frey-Gryn. II 28, n. 45.
118
Lettera di Zwinger a Crato von Kraftheim del 31. 8. 1565, Breslau, Biblioteka
Uniwersytecka, ms. Rehdiger 248, n. 225. Sulle opinioni di Zwinger rispetto alla peste vedi
anche J. KARCHER, Theodor Zwinger (cit., nota 11) pp. 47sg.
119
Lettera di Crato von Kraftheim a Zwinger del 12. 2. 1567, Basilea, Universitätsbibliothek, ms.
Frey-Gryn. II 8, n. 443; A. ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cit.
nota 14), p. 372. Ma che per Zwinger non si trattasse più di inutili inezie risulta dalla confidenza
fatta al medico di Zurigo Taddeo Duni dodici giorni prima della redazione di questa lettera di
Crato: «Accedit eo quod cum secta Theophrastorum validiss[ime] radices in Germania
praesertim, sensim quoque in Gallia , agere ceperit, nobis potius in id incumbendum erit, ut
nostrorum errores placide et modeste corrigamus, quam ut personas nominatim stringamus»,
Lettera di Zwinger a Taddeo Duni del 1. 2. 1567, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 23, n. 503.
- 47 -
in quibus passim ueteres reprehendit, damnat,
exibilat omnes, ne Hippocrate quidem et
Aristotele, hoc Philosophorum, illo Medicorum,
unanimi tot seculorum consensu, facile
principibus exceptis. Iis loco motis, semetipsum
substituit, se primum ex luce Naturae, non ex
Mentis humanae figmentis Philosophum, se
Medicorum primum Monarcham plenis buccis
iactitat.
Herodicus olim Gymnastes artem medicam
gymnasticis praeceptis auxit: Hic vero Chymista
chymicis inuentis artes non tam augere (quod
laude fuisse dignum) quam principiis nouis
euertere sategit. Quod rationibus obscuris, et uix
uel ipsi, ut puto, notis, non potest, vel certe non
uult, maledictis et conuitiis, scurrae potius quam
Medico aut Philosopho conuenientibus, apud
imperitum uulgus conuincere nititur. Obscuritate
rerum et uerborum affectata nouitate
pollicitationum temeritatem uestit, ut ne fraus
deprehendatur et ut illud perpetuo obiici possit,
Theophrastum ab imperitis non intelligi. Et uero
ne quaestus tantum causa Medicinam inuasisse
putetur, Theologiam pari animo aggressus est.
Testantur hoc emblemata eius theologica, quae
medicis scriptis crebo aspergit. Nam
Commentarios eius theologicos etiam ii qui
maxime et honoris Paracelsi et reip. utilitatis se
studiosos profitentur, hactenus suppressere.
Ioan. Oporinum typographum Basiliensem, qui
Theophrastum uti preceptorem summe alioquin
uenerabatur, saepe narrantem audiuimus, dicere
solitum Paracelsum, Mirari se Lutheri et Zuinglii
scripta tanto applauso a doctis etiam excipi, 'so es
doch eitel bacchanten werck sey. Wann er anfieng
zu schreiben, wolte er sy vnd auch den Bapst erst
recht in die schul füren'. (Theatrum Vitae
Humanae, 1571, p. 1480)
summis ingeniis vna ambitio insidiari solet)
quod passim veteres reprehendit, damnat, exibilat
omnes, ne Hippocrate quidem (licet parcius) et
Aristotele, hoc Philosophorum, illo Medicorum,
vnanimi tot seculorum consensu facile
principibus exceptis. Iis loco motis, semetipsum
substituit, se primum ex luce Naturae, non ex
Mentis humanae figmentis Philosophum, se
medicorum primum Monarcham iactitat.
Sed et Ioan. Oporinum, qui Theophrastum vti
praeceptorem summe alioquin venerabatur, saepe
narrantem audiuimus, dicere solitum Paracelsum,
mirari se Lutheri et Zuinglii scripta tanto
applausu excipi, 'so es doch eitel Bacchanten
werck sey. Wann er anfieng zu schreiben, wolte
er sie vnnd den Bapst erst recht in die schul
füren'.
(Theatrum Humanae Vitae, 1586/1604, p. 2583)
Un confronto tra i due passi mostra chiaramente come l’atteggiamento di
Zwinger sia radicalmente mutato nell’arco di quegli anni. Per comprendere
fino in fondo i motivi di un tale sviluppo, dovremo considerare altri due
aspetti della sua attività e cioè da un lato l’ordinamento e la ‘riduzione
metodica’ degli scritti di Ippocrate e, dall’altro, l’interesse di Zwinger per
l’alchimia.
Il lavoro su Ippocrate si dimostrò molto più difficile di quanto lo
stesso Zwinger si fosse dapprima aspettato, e questo non solo per la «tanta
scribendi brevitate et obscuritate» ippocratica, bensì, e soprattutto, a causa
del fatto che quella che per secoli era passata sotto il nome di medicina
ippocratica con il vero Ippocrate aveva in realtà ben poco a che fare. Questo
in sostanza il contenuto di quanto Zwinger dichiarava ai suoi lettori in
impaziente attesa, già tre anni prima della pubblicazione dei suoi commenti
a Ippocrate:
Hippocrateam medicinam iam per aliquot annos meditamur, quantumque per
otium licet persequimur [...] Iam si Res ipsas perpendas, cum Hippocratea ab iis, quae
posteriores sunt amplexi, dogmatibus, maxime quoad Morborum causas et Remediorum
seriem, non parum videantur diferre; eademque ab iis etiam, qui inflatis buccis sese
- 48 -
Asclepiadeos profitentur, vel non intelligantur, vel certe negligantur: non penitus iniustam
Nouae Medicinae, a Theophrasto Paracelso populare nostro introductae, sectatoribus
occasionem dedere, improbos nepotes, quod amplissimos eruditionis medicae thesauros in
Hippocrate latentes, per socordiam hactenus nec eruere, nec excolere studuerint: serio
accusandi et reprehendendi: adeoque in Hippocrateos agros, ab ignauis possessoribus
desertos atque neglectos, chymicas colonias introducendi. Quibus ipsis et modeste et
methodice, addo etiam et aperte philosophantibus, vti ob veritatis studium, quo se omni
auctoritate repudiata flagrare profitentur, inimicus esse nolo: ita gratiam insuper habiturus
sum, si studia quorundam e nostris, maiore fastu quam gustu medicinam profitentium,
instar cotis acuerint, et ad Hippocrateam haereditatem vel asserendam vel postliminio
etiam repetendam serio coegerint”.120
(Da anni ormai mi occupo di medicina ippocratica, cui dedico tutto il mio tempo
libero [...]. A considerare bene le cose, ci si accorge che la medicina di Ippocrate si
discosta non poco da quella dei suoi successori, soprattutto per quanto riguarda i principi
fondamentali cui essi ricorrono per spiegare le cause delle malattie e la successione dei
rimedi disponibili. La medicina ippocratica non è stata intesa o è stata comunque
accantonata perfino da coloro che, riempiendosi la bocca, si proclamano asclepiadi. Non
hanno dunque del tutto torto i seguaci della Nuova Medicina introdotta da Paracelso, figlio
del nostro popolo, a indirizzare accuse e rimproveri contro questi discendenti indegni, che
per indolenza non si sono fatti carico di portrare alla luce, né di coltivare e perfezionare i
grandi tesori di conoscenza medica nascosti in Ippocrate. La cosa si è spinta a tal punto che
ai paracelsisti si è offerta l’occasione di impiantare le loro colonie chimiche sui campi
ippocratici ormai negletti e disertati dai loro ignavi proprietari. Non voglio essere nemico
di questi seguaci della nuova medicina, finquando essi ragionino con apertura, umiltà e
metodo, poiché non voglio essere nemico di chi arda dal desiderio di ricercare la verità
ripudiando ogni autorità. La mia gratitudine sarebbe ancor maggiore se essi avessero
l’effetto di una pietra per affilare la ricerca di quelli dei nostri che esercitano invece la
medicina più per superbia che perché se ne interessino davvero, costringendoli così a
reclamare l’eredità ippocratica e a rivendicarne il diritto di far ritorno in patria.)
In effetti era intenzione di Zwinger togliere al testo almeno un po’ della sua
dirompenza esplosiva facendo uso di formule come «non parum videantur
differre», «non penitus injustam occasionem dedere», ma nella cerchia dei
suoi numerosi amici e corrispondenti esso ebbe l’effetto di una bomba.
Jacob Horst, per anni corrispondente di Zwinger sul problema del metodo
in medicina, lo rimproverò subito di difendere troppo apertamente i
paracelsisti e di aver perso di vista la vera strada per il progresso del sapere
medico. Zwinger sapeva bene – scrive Horst – che i paracelsisti non
seguivano alcun metodo, e non ricercavano la verità, ma solo di propagare
le proprie menzogne. E se fosse anche stato vero che le loro conoscenze
erano esatte rispetto a singole questioni, questo non bastava certo per fare di
queste singole conoscenze una scienza. Anche gli antichi erano in possesso
di una tecnica non inferiore alla loro, e, soprattutto, di una vera scienza,
coerente nei principi. Se qualcosa manca o risulta superflua bisogna
certamente aiutarsi con l’esperimento. Ma che cosa ci si poteva aspettare da
chi negava ogni tipo di autorità? È ben vero – conclude Horst – che i
paracelsisti, con il loro impegno, per quanto imperfetto, possono essere di
stimolo a medici e farmacisti; ma c’è il rischio – teme Horst – che l’elogio
di Zwinger possa portare i paracelsisti a moltiplicarsi, pur non essendo nel
vero, o che la stessa autorità di Zwinger possa cadere in sospetto121
Nella prima versione di questo saggio avevo scritto, che i rimproveri
di Horst sembravano non aver avuto alcun effetto su Zwinger, poiché sotto
120
THEODOR ZWINGER, Methodvs rvstica Catonis atque Varronis Praeceptis aphoristicis per
Locos communes digestis […] typice delineata et illustrata, Basileae, P. Perna, 1576, f. α2v-α3v.
121
Lettera di Horst a Zwinger del 20. 4. 1577, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II
4, n. 137.
- 49 -
l’indirizzo della lettera, nella posizione in cui Zwinger era solito segnalare
con parole-chiave i quesiti cui avrebbe dovuto rispondere, egli annotò
semplicemente «Horstius, de φισιολογικῄ», senza prendere in
considerazione la parte della lettera riguardante l’elogio di Paracelso e i
rimproveri in proposito. In realtà questo non è affatto vero, perché la
risposta di Zwinger ci fu, e fu pubblicata in traduzione tedesca l’anno della
morte di Zwinger dallo stesso Horst, nell’edizione tradotta e ampliata che
egli curò del famoso libro di Levinius Lemnius Occulta naturae
miracula:122
A Jacob Horst, medico ordinario della città di Iglau (Moravia): Dottissimo Horst,
vi sorprendete del fatto che nel libro dell’agricoltura io abbia scritto a proposito dei seguaci
di Teofrasto, ma ciò che ho scritto è quello che penso. Non riesco a intendere sempre fino
in fondo tutto ciò che essi affermano, e nemmeno ciò che afferma lo stesso Teofrasto, ma
capisco bene il Severino Danese, che ha scritto l’Idea Medicinae, un uomo meraviglioso e
dottissimo, cui nulla si può rimproverare, se non di voler troppo esaltare i seguaci di
Teofrasto, e di essersi dedicato troppo a quella setta. Egli stesso riporta numerosi detti di
Ippocrate, con cui vuole confermare la dottrina teofrastica, e probabilmente il buon uomo
si dà più da fare di quanto varrebbe la pena. In realtà il suo intento sarebbe lodevole, se
solo egli non giudicasse tanto male l’ottimo Ippocrate, considerandolo meno di Teofrasto,
che pure era così ignorante, e non aveva nient’altro che un ingegno acuto. Quanto alla falsa
arte e allo svergognato vantarsi degli altri ‘teofrastini’, penso semplicemente che sbaglino.
Non è che io voglia condannare quelli di loro che si dedicano veramente all’arte, e non
rigettano ciò che della dottrina degli antichi medici può essere applicato all’arte stessa.
Questi mostrano infatti di avere una vena filosofica, e anche una certa virtù. E scrivo anche
che Teofrasto Paracelso è certo da rimproverare per la sua irragionevole dottrina, ma al
tempo stesso da lodare per un solo motivo, e cioè per il fatto di essere stato il primo a trarre
dai segreti dei chimici e portare alla luce i modi per preparare medicinali più sottili, e dare
ai farmacisti motivo di indirizzare meglio i loro sforzi. E sebbene le opinioni dei dotti a
proposito di questi preparati siano divergenti, tuttavia io li ritengo grandi per quanto
concerne la loro forza ed efficacia, solo che essi richiedono qualcuno che conosca bene la
teoria e sia un discreto medico, per non essere impiegati con troppa leggerezza o nel modo
sbagliato, poiché in questo caso divengono nocivi invece che salutari, e uccidono
rapidamente i malati, o comportano comunque gravi controindicazioni. Tuttavia riguardo a
ciò che si dice della schiera dei 'teofrastini', che sono spilorci e menzogneri, va detto che
questi sono vizi del genere umano e non dell’arte alchemica, e il fatto che questi vizi
tocchino anche l’arte medica, non deriva dall’arte medica stessa, ma piuttosto da altre arti
che stanno al suo servizio, e la farmacia ne è la principale. Vi avrei fatto avere volentieri il
mio libro sull’arte dei prodigi (‘Wunderkunst’) ma non ho trovato nessuno che possa
portarvelo. Datum Basilea, 1 settembre [15]77. Theodor Zwinger D[ottore]. 123
122
Devo l’indicazione di questa importante lettera alla cortesia di Ian Maclean, Oxford.
123
LEVINUS LEMNIUS, Occulta naturae miracula: Von den wunderbarlichen Geheimnissen
der Natur in des Menschen Leibe vnd Seel, auch in vielen andern natürlichen dingen […]
Nicht allein aus dem Latein in deutsche Sprach gebracht, sondern auch zum dritten mal
vermehret durch IACOBUM HORSTIUM, Leipzig, Steinmann, 1588, pp. S. 446-448. La
lettera compare anche nelle editioni del 1601, p. 273; 1605, p. 272-273; 1672, pp. 238-239:
«An Jacobum Horst / verodneten Statt Physicum zur Jglaw. Hochgelehrter Horsti, das jhr
euch verwundert / das ich geschrieben habe in dem Buch des Ackerbaws / von den
Theophrastinern / das habe ich von hertzen geschrieben. Jch verstehe aber daselbst nicht
alle Theophrastiner / auch den Theophrastum selbs nicht / sondern den Seuerinum Danum /
der geschrieben hat ideam Medicinae, einen gelehrten herrlichen mann/vnd den man nicht
schelten kan / allein das er die Theophrastiner gar zu sehr erheben wil / vnd derselben sect
sich zu sehr ergeben hat / Derselbige bringt etliche Sprüche aus dem Hippocrate / damit er
die Theophrastinische lehr bestetigen wil / vnd bemühe sich der gute man vieleicht sehrer /
als es nutze ist. Doch were sein fürnemen noch zuloben / wenn er nicht den fürtrefflichen
Hipocratem so schlim, weniger als den vngelehrten Theophrastum / der nit mehr als einen
spitzsinnigen kopff gehabt / geachtet. Der ander Theophrastiner vnkunst vnd
vnuerschambtes rühmen / wie ichs billich für vnrecht halte / Also verwerffe ich auch nicht
- 50 -
Ma la lettera di Horst, certo non l’unica di questo genere, sembra aver reso
Zwinger ancor più cauto. Certo è, che per la Methodus apodemica, la cui
prefazione è datata un mese prima (1 di agosto del 1577), Zwinger aveva
scritto nel capitolo dedicato ai medici viaggiatori tutto un elogio di
Paracelso e dei medici spagirici:
Medicam artem experimentis olim et constitutam et propagatam fuisse constat
eaque propterpeculiari epitheto Experientum medici gloriantur. Cum autem experientia in
singularibus hinc inde per uniuersum sparsim uersetur, peregrinationes eximie futuro
medico conducent. Quodcirca non tam a proiecta audacia ueluti athletica Parabolanos dici,
quam Perambulanos esse cupit Spagiros suos Theophrastus Paracelsus popularis noster, uir
in suo genere maximus: uel quia iudicium acuunt, et historiam medicam, tum quo ad
morborum genera, tum quoad medicamentorum syluam augent, uel quia auctoritatem
summopere conciliant. Quam ipsam ob causam senes quoque iuuenibus in arte nostra
124
utplurimum solent praeferri.
Invece nella edizione zwingeriana dell’Hippocratis Coi Asclepiadeae gentis
sacrae coryphaei viginti duo Commentarii Tabulis illustrati del 1579 non
viene fatto espressamente il nome né di Paracelso né dei suoi seguaci.125 In
realtà non ce n’era bisogno: l’Ippocrate di Zwinger conteneva già il
materiale sufficiente a mettere in atto una riforma ‘quasi’ paracelsistica
della medicina, garantita, per di più, dall’autorità del più celebrato e
rispettato medico di tutti i tempi.
I commentari di Zwinger non intendevano infatti schierarsi «pro
receptae medicinae assertione», e nemmeno contro il paracelsista danese
die / welche vnter jnen der kunst sich befleissigen / vnd der guten alten ärtzten lehre /
darinn sie der kunst gemeß ist / nit verwerffen. denn dieselben noch eine Philosophische
ader haben / vnd etwas tugendt. Das schreib ich auch / das Theophrastus Paracelsus zwar
zu schelten sey in seiner vngereimten lehr / aber doch wegen des einigen zu loben / das er
der ersste gewest ist, der aus dem geheimnis der Chymisten an tag gebracht / die weise
subtilere artzney zu praepariren / vnd vrsach besseres fleiß den Apoteckern gegeben. Vnd
ob wol die gelehrten von denselben subtilen artzneyen nit gleiche meinung haben / so halt
ich sie doch an krefften vnd that für groß / nur allem das sie wollen haben einen rechten /
gelehrten vnd bescheidenen artzt / damit sie nicht leichtfertig vnd vnrecht gebraucht / vnd
also mehr schedlich als hülfflich sind / schnell die krancken tödten, vnd gros nachteil
bringen. Was man aber sagt von der Theophrastiner list / geitz vnd betrug / das sind laster
der menschen / vnd nicht der Alchymisten kunst / welchen in der artzney ich dafür halte /
das es nicht die kunst der artzney selbst sey / sondern der andern künste / die der artzney
dienen / als Apoteckerey der vornemesten eine. Ich hett euch mein buch von der
wunderkunst gern geschickt / so hab ich niemand gehabt / der es euch bringt. Datum Basel
den 1. Septembris. Anno [15]77. Theodorus Zuuingerus D.». I marginalia in tutte le
edizioni rimangono gli stessi: «Quali i veri medici ‘teofrastini’. Elogio del Severino
Danese». «Elogio di Teofrasto». «Dignità della medicina ‘teofrastina’». «I vizi dei
‘teofrastini’ in quanto persone non devono essere attribuiti all’arte». La traduzione tedesca
di Horst non appare molto esatta; riguardo al libro di Zwinger, il «Wunderbuch», penso si
tratti di una edizione del libro del patrigno di Zwinger, CONRAD LYCOSTHENES, Similium
loci communes ex omnium scriptorum genere omnium ordinum studiosis accomodatim,
nunc demum inventi editi. Cum Theod. Zvingeri Bas. Similitudinum methodo, Basel,
Episcopius, 1575, libro che Horst confonde con il Prodigiorum ac ostentorum chronicon,
Basileae, H. Petri, 1557, dello stesso Lycosthenes.
124
THEODOR ZWINGER, Methodvs Apodemica in eorvm gratiam, qvi cvm fructu in
quocumque tandem genere uitae peregrinare cupiunt, Basileae, Episcopius, 1577, p. 120.
125
THEODOR ZWINGER, Hippocratis Coi Asclepiadeae gentis sacrae coryphaei viginti dvo
commentarii Tabulis illustrati. Graecus contextus ex doctiss[imorum] vv[irorum] codicibus
emendatus. Latina uersio Iani Cornarij innumeris locis correcta. Sententiae insignes per Locos
communes methodice digestae, Basel, E. Episcopius und Erben N. Episcopius, 1579. Copia
digitale nel sito Web Biblioteca digital Dioscórides. Medicina clásica. Hipócrates
dell’Universidad Complutense di Madrid.
- 51 -
Petrus Severinus, come ritenne di dover annotare già Johann Georg
Schenck nella sua Bibliotheca medica del 1609,126 quanto piuttosto contro
la «ignorantia sophistica» di coloro che, «accecati dalle banali generalità»
hanno trascurato completamente la personale esperienza delle cose,
travalicando nello stesso tempo ogni confine di pietà cristiana e decoro
filosofico perché «infiammati da uno zelo irriflesso per la difesa della
verità».«Dico questo» continua Zwinger nella prefazione a Ippocrate
«senza voler attaccare nessuno, ma piuttosto con la preghiera che ognuno
coltivi la modestia filosofica».127 Si rivolge poi ai critici di Ippocrate:
«Certo Ippocrate non ha visto tutto: non avrebbe nemmeno potuto farlo!
Come del resto non puoi farlo tu, non posso farlo io, non può farlo nessun
altro che non sia impazzito, nutrito di opinioni sofistiche, tanto da
immaginarsi di avere scienza di tutte le cose. Che differenza con colui che
l’oracolo di Apollo dichiarò il più sapiente di tutti gli uomini, Socrate, che
di un’unica cosa era certo, di non sapere nulla». 128
Sullo scetticismo di Zwinger dovremo tornare. Per ora ciò che ci
interessa maggiormente è il ruolo fondamentale che nel suo commentario
viene attribuito all’esperienza dei singoli e al lavoro manuale.
L’uomo ha a disposizione tre strumenti per scoprire tutte le arti e
tutte le scienze, scrive Zwinger nel commento al Περί εὐσχημοσυνης (De
elegantia, de decente habitu) di Ippocrate.129 Due di questi gli derivano
dall’esterno: uno gli viene attribuito «divina sorte» fin dalla nascita, ed è il
talento naturale per scoprire («ingenii acumen»), giudicare e apprendere; il
secondo si impara con lo studio («institutione et doctrina»), e questa è
l’arte. Il terzo è proprio di ogni uomo e gli viene da se stesso: si tratta
dell’esperienza delle cose fatta con le proprie mani: χειροτριβίη o lavoro
manuale, «usus scilicet et exercitatio singulorum», la «scientia operum
naturae».
Tria sunt omnium artium, scientiarum, habituum comparandorum
conseruandorumque praesidia. Ex his ipsi duo aliunde nobis adueniunt, alterum diuina
sorte ingenitum, Φύσις, Natura: alterum humana comparatum institutione et doctrina,
Σοφίη, Ars uidelicet. Tertium proprium est et domesticum, τὸ Χρέος, siue ut in
130
Παραγγελίαις, n. 3 et 31, τρίβη, et n. 132, χειροτριβίη, Vsus scilicet et exercitatio.
126
JOHANN. GEORG SCHENK, Biblia latrica sive Bibliotheca Medica macta, continuata,
cosvmmata, qva velvt favissa, Avctorum in Sacra Medicina scriptis cleuntium, Reique Medicae
Monumentorum, ac Diuitiarum Thesaurus clauditur, Frankfurt, Joh. Spiess per Anton Humm,
1609, pp. 451: «Cui [Severinus] pro receptae medicinae assertione, Thomas Erastus et
Theodorus Zuingerus, hic in nouo Hippocrate, ille vero in Disputationibus aduersus Paracelsum
scriptis, responderunt».
127
ZWINGER, Hippocratis Coi Viginti duo Commentarii Tabulis illustrati (cit. nota 123), f. α 6vβ 1r: «… cum ipsi interim ignorantia sophistica τοῦ καθόλου occaecati, et inconsulto Veritatis
defendendae studio abrepti, in Virtutis placidae et modestae aeternas leges, magno cum
christianae simul et pilosophicae professionis dedecore, grauiter delinquant. Et haec quidem non
insectandi quenquam, sed ad modestiam pilosophicam cohortandi consilio, dicta sint».
128
Ivi, f. β 1r: «Non uiderit ille omnia, sed nec uidere potuerit: et neque tu, neque nos, neque
quiuis alius, nisi sophistica persuasione dementati, omnium rerum cognitionem nobis polliceri
audeamus: multum enim diuersi ab eo, qui Apollinis oraculo sapientissimus iudicatus est,
Socrate, hoc unum se scire profitente, quod nihl scire».
129
Qui parliamo in generale di libri di Ippocrate, come si faceva nel XVI secolo,
indipendentemente dal fatto che una gran parte degli scritti contenuti nel cosiddetto Corpus
Hippocraticum non vengano oggi più attribuiti al medico di Cos.
130
Ivi, p. 85.
- 52 -
Chi possieda quest’ultimo strumento, commenta Zwinger poco dopo, sarà
sempre in grado di conoscere e giudicare rettamente; chi non lo possieda,
potrà anche agire bene talvolta, ma allo stesso modo, talvolta, anche male.
Ergo qui scientia operum naturae instructus est, semper recte cognoscit et iudicat;
131
[qui] non est, nunc recte nunc aliter.
Il sapere astratto dipende dalla conoscenza delle cose. Senza di esse la
nostra ragione non è in grado di comprendere nemmeno i concetti astratti,
poiché anche questi ultimi derivano dall’esperienza sensibile. Ed ancor
meno è in grado, senza l’esperienza, di concepire le cose concrete, poiché
queste ultime si trovano ad un altro livello conoscitivo. 132
Solo grazie alla χειροτριβίη, dunque, solo grazie all’esperienza
personale delle cose è possibile distinguere la vera scienza dalla scienza
sofistica. E, va aggiunto, sofisti sono tutti coloro che si cimentano in
considerazioni astratte, vòlti a raggiungere la verità seguendo la
speculazione razionale invece dell’esperienza:
Ita ars uera a sophistica per exercitationem dignoscitur. Sophistae enim se ipsos ἐν
133
λὸγοις πείσαντες, opinando potius quam experiendo ueritatem consequi student.
In tal modo, afferma Zwinger, essi esercitano solo un’arte inutile,
poiché il sapere che non viene indirizzato alle necessità della vita
quotidiana è in sé un sapere inutile.134 Zwinger distingue in tal modo tra
sapere efficace e sapere inefficace - «Σοφία otiosa et negotiosa»; solo
quest’ultima, «quae scilicet ad artem certam, vitae quotidianae
inservientem, accomodatur », appartiene all’ambito della vera scienza. Essa
sola si fa «μέθοδος τεχνική, uniuersalis ars, ad actionem omnia referens» e
non resta meramente sapere astratto che non abilita all’azione, «μέθοδος
ἄτεχνος, uniuersalis ars, ad actionem nihil faciens». 135
Zwinger vuole chiarire al lettore che ciò che conta è solo l’azione,
l’opera realizzata, e non le controversie teoriche, tanto nell’ambito della
medicina e delle altre scienze naturali, quanto nell’ambito della religione,
della filosofia e della politica. La ‘pratica’ significa per lui non disputare
sulla verità, ma vivere secondo la verità: «virtus non verbis et praeceptis,
131
Ivi, p. 416.
Ivi, p. 86.
133
Ivi, p. 86. Ciò che Zwinger intendeva con χειροτριβίη, e Johann Arndt, Alexander von
Suchten o Heinrich Khunrath esprimevano con l’asserzione «leggere con le mani» nel grande
libro della natura, coincide con quanto auspicato da Giordano Bruno nei dialoghi italiani, dove
egli rivendicava «il valore positivo della mano come predicato fondamentale dell’uomo, da porsi
in un primo tempo allo stesso livello e poi ad un livello superiore rispetto all’intelletto umano: «e
per questo ha determinato la providenza che [l’uomo] vegna occupato ne l’azione per le mani, e
contemplazione per l’intelletto; de maniera che non contemple senza azione, e non opere senza
contemplazione» (Spaccio de la bestia trionfante, Dial. III, 1). Un anno più tardi, invece, la
mano viene vista come strumento principale nella costruzione dell’arte e della civiltà, cui
attribuire un valore ancor maggiore che all’intelletto, che, senza le mani, rimarrebbe inerte e
assolutamente privo di utilità: «Tutto questo, se oculatamente guardi – conclude Bruno
riferendosi a tutte le conquiste umane - si riferisce non tanto principalmente al dettato de
l’ingegno, quanto a quello della mano, organo de gli organi» (Cabala del Cavallo Pegaseo,
Dialogo 2, parte 1), cfr. MICHELE CILIBERTO, Giordano Bruno, Bari, Laterza, 1990, pp. 172-174;
IDEM, La ruota del tempo. Interpretazioni di Giordano Bruno, Roma, Editori riuniti, 1992, pp.
80-83.
134
Ivi, p. 81: «Cognitio universalis [a] Per se quidem inutilis es, quando ad nullum refertur usum
uitae quotidianae, et sic ociosa et superflua uidetur esse et nugacitas quaedam sophistica potius,
quam sapientia. [b] Per accidens utilis euadit, si ad uitaequotidianae usum referatur».
135
Ivi, p. 81.
132
- 53 -
sed exemplis et actionibus declaratur et elucescit». Ogni verità viene
testimoniata dalla sua realizzazione nella pratica, ed è solo quest’ultima, la
χειροτριβίη, che ci offre la certezza e ci dà l’esperienza del sapere astratto,
dei precetti scientifici. In tal senso Zwinger può concludere con Ippocrate:
«A chi si arma esclusivamente di regole astratte resta nascosta l’esperienza
delle opere di Natura. Colui al quale resta nascosta l’esperienza della
Natura, non ha raggiunto la propria scienza e la propria arte per via
naturale. Chi non abbia appreso la propria scienza e la propria arte per via
naturale, non è in possesso della verità. Dunque lo scienziato o l’artigiano
cha abbiano appreso il loro sapere solo dai libri e non dalla propria
esperienza non raggiungeranno verità, ma lo scandalo, non raccoglieranno
onori, ma solo rimproveri». 136
Nel sottolineare la necessità dell’esperienza in prima persona
Zwinger non dimentica infine la fondamentale importanza del
ragionamento induttivo. Da sola l’esperienza non può dar adito a nessuna
scienza. «Ratiocinatio» e «experientia» devono procedere di pari passo,
devono venirsi in aiuto reciprocamente, perché solo così sarà possibile
riconoscere la verità scientifica e trasferirla nella pratica. Ogni scienza –
«λογισμός uniuersalis» – deve avere inizio dall’esperienza delle cose –
«incipiat ab Experientia singularium» – e nell’esperienza delle cose deve
concludersi –«desinat experientia singularium». In altre parole: i singoli
fenomeni, che riteniamo veri a partire dall’esperienza, vengono riuniti
mediante l’induzione e assumono in tal modo un carattere universale. La
prima funzione della ragione è dunque individuare delle corrispondenze e
riconoscerle:
ergo primum munus λογισμοῦ est Inuentio; inuenire uniuersalia per inductionem e
singularibus.
Ma in questo modo non si è ancora raggiunta la scienza. Il riconoscimento
degli universali deve essere nuovamente applicato ai singoli fenomeni,
perché ne diano conferma in qualunque momento. Solo così la nostra
ragione può raggiungere la scienza o sapere metodico, vale a dire un sapere
raggiunto a partire dall’osservazione dei singoli fenomeni, che dai singoli
fenomeni deriva le caratteristiche comuni, che riduce tali caratteristiche a
concetti generali e formula quindi i principi e gli assiomi di ciascuna arte e
scienza, principi che devono essere nuovamente confermati dai singoli
fenomeni: «Desinat in experientia singularium […] hoc est, ratiocinationem
methodicam ex et in iis, quae sensu apparent, confirmet». Ed è proprio
questa la seconda funzione della ragione, che è poi la vera methodus
scientifica: comprovare i principi sulla base dei singoli fenomeni:
Itaque secundum munus est λογισμοῦ, Methodus, iudicare uniuersalia per
137
inductionem in singularibus.
Vale però anche il contrario: l’esperienza dei singoli fenomeni non deve
procedere arbitrariamente, ma deve al contrario essere indirizzata dalla
ragione e venire integrata in essa: «τρίβη singularis incipiat a λογισμοῦ et
136
Ivi, p. 86: «Quicumque artifex solis praeceptis instructus est, illi experientia singularium
naturae operum ignota ert. Cui experientia narurae ignorta est, ille uia non naturali artem didicit.
Qui uia non naturali artem didicit, ueritate exuitur […] Ergo quicumque artifex solis paeceptis
instructus est, experientia destitutus, loco ueritatis improbitatem, loco gloriae ignominiam
metet».
137
Ivi, p. 102.
- 54 -
dessinat in λογισμόν ». Con l’aiuto dell’esperienza sensibile la ragione
osserva nei molti diversi fenomeni un comportamento sempre costante della
Natura, e proprio in tale comportamento riconosce la Natura, poiché tutto
ciò che si ripete sempre uguale nei singoli casi sembra scaturire da una
causa comune e da un’unica forza ineluttabile. O, per dirla con le parole di
Galileo: segue una legge di natura. L’esperienza deve servire a svelare
questa legge di natura - «natura universalis», «πρᾶμα», «εἰδεα», «νόμος».
L’intelligenza deriva dai singoli fenomeni una costante comune, e ciò che
viene provato vero dall’esperienza di alcuni fenomeni, può venir dichiarato
tale anche per tutti gli altri, senza dover essere verificato in ogni singolo
caso. Solo in tal modo si può parlare di conoscenza obiettiva, che
corrisponde cioè alla realtà delle cose: «Et haec est veritas conceptuum qui
sunt in intellectu, uti prior est rerum qui sunt extra intellectum». 138
In questo caso non si tratta per Zwinger di una nuova formulazione
del principio aristotelico «nihil est in intellectu, quin prius fuerit in sensu»,
quanto piuttosto di una anticipazione della gnoseologia galileiana. Anche
Galileo riserva all’esperienza un ruolo fondamentale nel suo sistema,
integrandola nel «discorso dimostrativo», esattamente come Zwinger la
faceva confluire nel λογισμός: «La cognizione d’un solo effetto acquistata
per le sue cause ci apre l’intelletto a’ntendere ed assicurarci d’altri effetti
senza bisogno di ricorrere alle esperienze».139 Galileo prendeva tuttavia le
mosse da un principio completamente nuovo, e cioè dalla rinuncia a voler
conoscere fino in fondo verità ed essenza delle cose per poterne scoprire le
costanti di funzionamento. Questa rinuncia e il metodo, la scelta di costruire
il lavoro scientifico sulla formulazione di ipotesi, costituiscono le due
caratteristiche fondamentali della nuova scienza galileiana. Bisogna tuttavia
riconoscere che nei suoi commentari Zwinger riuscì quasi a cogliere negli
scritti di Ippocrate l’indicazione di un metodo di lavoro basato proprio sulla
formulazione di ipotesi:
Collaudo quidem igitur etiam ratiocinationem, si quidem ex sensata obseruatione
principium suma, et deductionem ex apparentibus methodice faciat. Si enim ex his, quae
aperte fiunt atque sunt ratiocinatio sumpserit, in cogitationis potestate inesse
deprehendetur, ab ipsis sensibus singula mutuantis. Proinde statuendum est, naturam a
140
multis ac omnigenis rebus moueri ac doceri, necessitate quadam.
Zwinger non era ancora del tutto sicuro del significato di queste parole di
Ippocrate. Intendeva forse che per mezzo dell’esperienza e della
sperimentazione la ragione raggiunge un’intelligenza tale da permetterle di
applicare in ogni momento il giusto metodo, grazie alla riconferma dei
principi nei singoli fenomeni, cioè al controllo dei principi sulla base della
realtà concreta?141 O voleva forse far notare che l’obiettività dei concetti è
138
Ivi, p. 102.
GALILEO GALILEI, Nuove Scienze, in Le Opere, Edizione Nazionale 8, 296 (cito da L. Sosio,
in G. GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Nuova Universale Einaudi,
Torino 1975, p. 41 sg.).
140
[Pseudo-] Hippocrates Παραγγελιαι – Praeceptiones, in ZWINGER, Hippocratis Coi Viginti
duo Commentarii Tabulis illustrati (cit. nota 123), p. 95.
141
Non si deve però dimenticare che in un’opera centrale del Corpus Hippocraticum, il De
antiqua medicina, si utilizza il termine «ὑπόθεσις», nel senso di ‘postulato’ (Zwinger traduce
‘suppositio’), proprio per criticare i medici che adottano un metodo filosofico e teorico in
medicina, cfr. HIPPOCRATE, De l’ancienne médecine, ed. Jacques Jouanna, Paris, Les belles
lettres, 1990, pp. 28, 118, 137. Il passo viene commentato da Zwinger, pp. 40 e 46: «Confutat
ergo mendacium Neotericorum quorundam sui temporis (multos etiam nostro tempore, si
139
- 55 -
solo una verità possibile («veritas ἐν δύναμει» = ipotesi) da verificare sulla
base della realtà esterna delle cose naturali? La realtà delle cose è invece
immanente ad esse, è un dato di fatto, una necessità naturale in atto, non
una mera potenzialità («potentia sive ἐν δύναμει»). Solo occupandoci
direttamente di questa realtà possiamo controllare e avere certezza
dell’obiettività dei nostri precetti: «δογμάτων ἱστορίης ἀτρέκειαν,
Praeceptorum ueritatem, per χειροτριβίης ἀτρμεότητι, hoc est, Vsvs
certitudinem et experientiam comparari et veluti confirmari (Hippocrates)
inquit».142
Certo anche Galeno aveva lodato i medici dogmatici che si basavano
su ragione e esperienza, e Zwinger non dimentica di accennarvi. E del resto
anche Galileo cita Aristotele come elemento chiave contro gli aristotelici
che preferivano i loro «discorsi umani» alle «sensate esperienzie». La
fondamentale differenza sta nel fatto che quando Ippocrate o Paracelso, e
ora anche Zwinger, parlano di esperienza, non intendono riferirsi
all’esperienza generica fatta di resoconti di malattie da paesi lontani o dai
tempi passati, ma vogliono intendere l’esperienza acquistata con il lavoro
delle proprie mani. Con χειροτριβίη si intende qualcosa di molto più
concreto che ἐμπειρία, che poteva tutt’al più significare un metodo
generico, se non addirittura una semplice casistica, ma non certo la via del
tangibile e diretto contatto con le cose, con la «scientia operum naturae».
Dal «medicus dogmaticus» di Galeno ora Zwinger esigeva con Ippocrate,
oltre l’empiria, anche di mettersi personalmente al lavoro, o di basarsi sul
lavoro fatto dagli altri:
nemo enim dogmatum uarietatem uere ex historia singularium intelligere poterit,
143
nisi operi uel ipse manum adhibeat, uel adhibentibus aliis mentem accommodet.
Era questo il nuovo Ippocrate che Zwinger presentava alla medicina
accademica contemporanea, in gran parte non più memore delle proprie
origini e quindi sempre coinvolta in nuove, infruttuose controversie sopra
singole questioni, o occupata a reagire in modo tanto violento quanto
parziale di fronte ai tentativi di rinnovamento intrapresi dagli avversari, fino
a chiedere addirittura l’intervento del boia, nel caso questi ultimi mettessero
in dubbio l’autorità di Aristotele e Galeno. Richiamandosi ad una autorità
ancora superiore, come quella costituita da Ippocrate, Zwinger riuscì a
individuare gli errori della medicina accademica e a indicare ai suoi
reuiuiscat, iis plane similes reperturus) qui artem medicam ex hypothesi tradebant, nimirum
Hominem veluti massam quandam primarum qualitatum esse, et secundum illas et aegrotare et
recte ualere […] Ostendit igitur Hippocrates hypothesin istam inutilem esse, tum quo ad a)
Praxin […] penitus ἀμέθοδον esse. b) Theoriam: seu cognitionem ueterum medicorum,
praestantiorem esse neotericorum theoria», «ergo ad curationem non conferunt. Mirorque adeo,
quomodo hi, qui hanc ponunt hypothesin. aegros secundum hanc curaturi sint». Il fatto però che
qui venga lodata l’arte chimica («tantopere laudatas illas eccrises chymicas constituit […] purum
ab impuro subtilter separante») e chiamato ottimo il medico alchimista (optimus Iatrochymista,
qui χυμόν medicamentorum purum elicere[…] potest»), dimostra chiaramente che la critica di
Zwinger è nuovamente diretta contro i galenisti contemporanei, che lui già aveva denunciato
nella Methodus rvstica del 1577 come traditori di Ippocrate, vedi supra, nota 118.
142
Ivi, p. 102. Per il passo contenente i precetti ippocratici qui commentato da Zwinger cfr.
l’inizio del trattato del Corpus Hippocraticum Praeceptiones o Παραγγελιαι cfr. HIPPOCRATE,
Oeuvres complètes, ed. E. LITTRE, Paris, J. B. Baillère, 1861, vol. 9, pp. 250-252
(http://www.bium.univ-paris5.fr/). È veramente un peccato, che fra le tante edizioni di Ippocrate
riprodotte in questo sito manchi proprio l’edizione di Zwinger del 1579.
143
ZWINGER, Hippocratis Coi Viginti duo Commentarii Tabulis illustrati (cit. nota 123), p. 113.
- 56 -
contemporanei un metodo scientifico largamente diffamato in
quell’ambiente sotto l’etichetta di ‘paracelsistico’. Basti leggere questo
passo dal sesto capitolo del Labyrinthus Medicorum Errantium di
Paracelso:
Il medico dovrà essere versato nell’esperimento, poichè tutta la medicina consiste
in una grande e sicura prattica; tutto ciò che egli fa, discende dall’esperienza. L’esperienza
consiste in ciò che si è trovato giusto e vero. Dubito che sia un [vero] medico chi non ha
imparato dall’esperienza e dalla vera risposta in essa. L’esperienza sarà come un giudice e
si dovrà accettare soltanto ciò che essa convalida. Perciò l’esperienza dovrà andare di
passo con la scienza, chè la scienza è esperienza. Se si è trovato un esperimento
confermato dall’esperienza e quidato nell’esperienza congiunta alla scienza, si saprà usarlo
in seguito; ma dove manca la scienza, non resterà che un nudo esperimento. Quì si
separano infatti l’esperimento e l’esperienza; l’esperimento a casaccio (‘per sortem’)
procede senza alcuna scienza; ma l’esperienza fatta con la certezza del suo impiego si
unisce alla scienza. La scienza è infatti la madre dell’esperienza e senza scienza non vie è
144
nulla.
Non entreremo qui in merito al preciso significato di ‘esperimento’ e
‘esperienza’ nell’opera di Paracelso. 145 Su altri paralleli notati da Zwinger
tra Ippocrate e Paracelso, come per esempio la dottrina degli elementi,
l’armonia del cosmo e il significato dello spirito astrale, torneremo più
tardi.
Una volta considerata l’importanza che Zwinger riconosce nei suoi
commenti a Ippocrate all’esperienza fatta in prima persona in quanto
criterio per raggiungere una conoscenza oggettiva, il lettore resterà
profondamente stupito di fronte all'appello solenne e in senso
diametralmente opposto con la quale il professore basileese chiude la
prefazione ai questi suoi commentari di Ippocrate:
144
PARACELSO, Il labirinto dei medici "Labyrinthum medicorum" ossia ciò che dovrà
imparare e sapere il vero medico e quel che dovrà fare se vorrà curare bene, Milano,
Bocca, 1942 (rist. anast., Genova, Il Basilisco, 1982), p. 44. Per il testo originale vedi
PARACELSUS, Die Kärntner Schriften (cit., nota 76), p. 97: «So nun der Arzt in der
Experienz erfahren sollt sein, und die Medicin ist nichts als ein große gewisse
Erfahrenheit: nämlich daß alles, so der tut, in der Experienz steht. Und das ist experientia,
was da gerecht und wahrhaft erfunden wird. Und welcher sein Sachen nit mit der
Experienz gelernet hat und mit der Wahrheit, die in ihr ist, derselbig ist ein
zweifelhaftiger Arzt. Und was die Experienz, die als ein Richter ist, bewährt oder nit
bewährt, das soll angenommen oder nit werden. Darumb so soll dieselbig Experienz mit
der scientia laufen, dann ohn scientia ist experientia nichts. Ob gleichwohl ein
Experiment einmal gefunden wird in der Experienz und ist bestanden: ist es mit der
scientia in die experientiam geführt worden, so wird es verstanden, weiter zu gebrauchen.
Aber wo ohn scientia so ist weiter dasselbig ein Experiment ohn scientia. Dann da
scheiden sich von einander experimentum et experientia, daß experimentum ad sortem
geht ohn scientia, aber experientia mit der Gewißheit, wohin zu gebrauchen mit der
scientia. Dann scientia ist die Mutter der Experienz und ohn die scientia ist nichts da.»; si
veda ora MASSIMO LUIGI BIANCHI, Il tema dell’esperienza in Paracelso, in Experientia.
X Colloquio Internazionale, Atti a cura di MARCO VENEZIANI (Lessico intellettuale
europeo, XCI), Firenze, Olschki, 2002, pp. 199-216:209 sg..
145
Sul trinomio ratio/experientia/experimentum in Paracelso vedi W. KÜHLMANN–J. TELLE,
Corpus Paracelsisticum, Bd. I. Der Frühparacelsismus, Erster Teil (cit., cap. 2, nota 4), p. 80, e i
saggi lì citati di Ch. B. Schmitt, D. Göltz, H. Schipperges, W.R. Newman e, in particolare, OLAF
BRIESE, Experimentum, experientia und scientia. Neuplatonisch-theologische Dimensionen von
Paracelsus' Erfahrungsbegriff, in «Prima philosophia», IX, 1995, pp. 51-64.
- 57 -
Sed et uos, qui clarissimorum Ducum auspicijs ad salutem mortalium mortales
educamini, ut Auctoritati prius quam Rationi adhaereatis, Intelligentiae plura quam
146
Experientiae tribuatis […] quantum possum opere, serio hortor ac moneo.
La soluzione di quest’apparente contraddizione è molto semplice: questa
richiesta di affidarsi più all’autorità che alla ragione, e di considerare più
l’intelligenza che l’esperienza non è rivolta ai medici, bensì agli studenti di
medicina, che Zwinger vuole mettere in guardia dal trarre conclusioni
troppo affrettate. Certo Zwinger si schierava per la libertà della ricerca,
et uero, in tanta non modo caeterarum disciplinarum, sed Medicae quoque artis
perturbatione, libertatem iudicii nulli eripiendam,
ma a un patto – del tutto ragionevole del resto: quella libertà doveva valere
solo per chi era in grado di far avanzare la scienza. Gli altri avrebbero
dovuto attenersi all’autorità dei migliori. Ogni anarchia in questo campo
produce in genere effetti più dannosi della peggiore tirannia, e
l’asservimento ad una opinione si sarebbe potuto rivelare molto spesso più
facilmente sopportabile che non una libertà illimitata.
auctoritatem autem optimorum ad petulantiam aliorum refraenandam maximi
momenti esse iudicarem: animaduertentem insuper anarchiam omnem uel crudelissima
tyrannide periculosiorem, et unius alicuius opinionis seruitutem effusae nimium libertati
147
longe anteferendam esse.
I ‘migliori’ erano naturalmente, nell’opinione di Zwinger, innanzi tutto
Ippocrate. E Ippocrate implicava, nuovamente, ricerca e sperimentazione
personale, ciò che era possibile solo potendo agire in libertà.
Di questa apparente contraddizione tra il critico della medicina
accademica e il professore universitario di fama europea aveva fatto proprio
quell’anno le spese uno dei migliori allievi di Zwinger, l’inglese Thomas
Moffett.
146
147
ZWINGER, Hippocratis Coi Viginti duo Commentarii Tabulis illustrati (cit. nota 123), f. β 7v.
Ivi, f. β 7v.
- 58 -
V
Zwinger maestro e guida «in Paracelsicis»
Quando nel dicembre 1578, prima ancora di sostenere l’esame, Moffett fece
stampare di propria iniziativa la sua dissertazione De Anodinis
Medicamentis, la facoltà, non senza l’intervento diretto di Zwinger, diede
ordine di ritirare le copie già stampate e di mandarle al macero. 148 Moffett
fu inoltre obbligato a cassare dai 111 punti della dissertazione tutti gli
attacchi ad Erasto e alla medicina di scuola, tanto che la seconda edizione
del lavoro ne risultò dimezzata. Durante le correzioni devono esserci state
grandi discussioni fra maestro e allievo, soprattutto perché doveva essere
molto difficile per quest’ultimo intendere come mai la sua apologia di
Fernel, che sapeva condivisa in gran parte da Zwinger, dovesse essere
soppressa proprio su consiglio del maestro, «tuo consensu, suasu
hortatuque». Ancora gravemente colpito nella sua dignità, inviando a
Zwinger la seconda edizione della dissertazione ormai dimezzata, Moffett
non mancò di esprimere al maestro ancora una volta la sua delusione: «A
che scopo studiare medicina, e sobbarcarsi tutte queste fatiche, se poi ti
viene vietato di dire la verità, se si è obbligati a tacere ciò che la ragione e i
fatti stessi spingono a difendere pubblicamente. Vedo già che qui a Basilea,
a differenza che in Inghilterra, è scomparsa l’antica usanza di far disputare
ognuno su qualunque argomento. Lì giudichiamo ogni schieramento; lì non
vengono risparmiati dalla critica né gli errori di Aristotele né quelli di
Platone o di Galeno (per non parlare di quelli di un Erasto). E dirò ancor di
più: da noi [gli autori] non vengono quasi nominati, perché ciò che importa
è la concreta dimostrazione, la verità, e per questo non c’è bisogno di
aggrapparsi a nessuna ancora di salvezza».
Poteratne aliquid ad omnem doloris sensu acerbius euenisse (vir optime) quam
nostram Fernelianae causae et veritatis ἀπολογίαν, tuo consensu, suasu, hortatuque, ceu
luce et oculis hominum indignam supprimi, iamque publicatam, ad perpetuam meae
aestimationis jacturam, reuocari? O frustra suscepti mei labores, o spes fallaces, o
proditum Medicinae studium, si uera dicere non liceat, cogamurque illa caelare, quae
animus resque ipsa ut publice defenderemus, inuitarunt. Sed video exaruisse hic veterem
illam apud Antiquos consuetudinem, in nostris adhuc Gymnasiis seruatam, qua cuiuis licet
quemuis in controuersiam vocare. Omnem προσωποληψίαν damnamus; Aristoteli, Platoni,
Galeno (multo magis Erasto) si falsa referant non parcimus, imo ipsorum in Controuersiis
nomina vix audimus; in solis demonstrationibus et veritate acquiescimus; ad nullam
praeterea anchoram confugimus. Si quis Pythagoricus praetulerit ἀυτος ἔφα, illum ad
Sophistas dimittimus, non causam pro causa possuisse asserimus, insulsum vocemus.
148
MANFRED E. WELTI, Der Basler Buchdruck und Britannien (Basler Beiträge zur
Geschichtswissenschaft, 93), Basel; Helbing & Liechtenhahn, 1964, pp. 156-160; ALLEN E.
DEBUS, The English Paracelsians, London, Oldbourne, 1965, 71-74; ROBERT BLASER, Ein
mutiges Bekenntnis zu Paracelsus in Basel: Die «Theses de Anodinis Medicamentis» des
Engländers Thomas Moffet, in «Salzburger Beiträge zur Paracelsusforschung», X, 1973, pp. 4755, ma vedi ora, IDEM, Paracelsus in Basel. Festschrift für Robert-Henri Blaser zum 60.
Geburtstag. Sieben Studien des Jubilars, ed. KURT GOLDAMMER, Muttenz-Basel, St. Arbogast
Verlag, 1979, pp. 200-210. L’avvenimento venne registrato nel Liber Decretorum della Facoltà
di medicina: «Decembris die 16. Thomas Moufetus Anglus disputaturus publice pro gradu,
theses inscio Decano imprimi curavit in quibus Erastum Medicum nimis temere perstringebat et
Galenum quoque insectabatur. Conventu habito decretum fuit, ut omnia exemplaria, tum quae
medicis et professoribus tradita fuerant, tum quae ipse retineret vel impressor adhuc haberet per
pedellum ab ipso et aliis repererentur, aliaeque imprimi curaret quae Decanus prius revisisset.
itaque exemplaria 135 Decanus recepit et ne quid tale posthac permuteretur, hisce inserere
placuit exemplum hie in rei memoriam», Basilea, Staatsarchiv, Universitäts-Archiv Q 2, f. 15.
- 59 -
Praeclarum sane illud Pythagorae, qui interrogatus qua maxime re homines Deo similes
essent, Respondit: εἰ άλήθουσι. Et recte quidem nam ὰληθείας ἔτιυμον ἀπο τῶν θεῶν
149
deducitur […]
Nella sua ira Moffett non si rendeva però conto di quanto la sua
idealizzata descrizione della situazione inglese fosse influenzata dalle
formulazioni del postulato della libera ricerca che egli aveva più volte udito
da Zwinger, pur con la riserva che il naturalista basileese aveva curato di
non omettere mai:
etsi enim hominem philosophum rationis et orationis libertas, nulli auctoritati
dedita, soli veritati addicta, deceat: eadem tamen ipsa paucos tantum, quos aequus amavit
Juppiter, quique auctoritatem omnino diuinae mentis perspicacia superauerint, cadere
150
potest.
Quest’episodio non pregiudicò comunque la relazione tra allievo e maestro.
Poche settimane dopo la discussione della tesi, Zwinger volle mostrare a
Moffett il nuovo laboratorio, da poco allestito. Pieno d’entusiasmo, Moffett
comunicò al maestro pochi giorni dopo l’intenzione di seguirne l’esempio
scegliendo di dedicarsi anch’egli, un giorno, alla produzione di preparati
chimici. Pregava per questo Zwinger di volerlo instradare verso la vera e
perfetta medicina, permettendogli d’essere testimone dei suoi lavori in
campo chimico e illustrandogli quella parte della scienza medica di cui
Zwinger era maestro mentre lui ne sapeva pochissimo. Gli era chiaro,
aggiungeva Moffett nella sua lettera, che altrimenti mai sarebbe potuto
diventare un buon medico; l’unica possibilità che egli aveva, era che
Zwinger, o qualcuno come lui, lo introducesse ai segreti della disciplina.
Moffett tiene a precisare di non essere né un imbonitore qualunque né un
mercante di esperimenti e, men che meno, un «impudens vel imprudens
Theophrasteus»: sarebbe dunque solo a maggior gloria del maestro voler
iniziare l’allievo a ciò di cui in genere nessun altro viene fatto partecipe,
«quae nosse perpaucos velles!». 151 Evidentemente Zwinger esaudì il
desiderio dell’allievo poiché un anno dopo quest’ultimo, ormai tornato a
Londra, gli scriveva della sua nostalgia per gli anni di studio a Basilea,
periodo in cui egli era stato ammesso a partecipare della più stretta cerchia
di scolari cui era riservato l’insegnamento negato a tutti gli altri: «quo
factum est ut in tuorum intimorum numerum ascriptus ea scirem, quae
alium neminem doceres; atque ita scirem, ut docere plurimos nostrates, a
paucis discere videar».152
A questa cerchia ristretta di scolari apparteneva anche, come
abbiamo già visto, Johann Arndt, il grande innovatore della devozione
luterana. Solo le ricerche più recenti ci hanno illustrato il vero sfondo su cui
prende forma quello che fu uno dei libri di devozione più letti nell’Europa
centrale: «Non esiste fonte letteraria, tranne naturalmente la Bibbia, da cui
Arndt abbia tratto di più che dagli scritti magici e naturalistici di Teofrasto
149
Lettera di Moffett a Zwinger di fine dicembre 1578, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 4, n. 226.
150
Plotini Operum philosophicorum omnium Libri LIV in sex Enneades distributi, Basileae,
Perna, 1580, f. α2v.
151
Lettera di Moffett a Zwinger del 28. 2. 1579, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 28, n. 226.
152
Lettera di Moffett a Zwinger del 18. 7. 1581, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 28, n. 232.
- 60 -
von Hohenheim».153 Quando nel gennaio 1579 Johann Arndt si immatricolò
alla facoltà di medicina dell’università di Basilea sotto il nome umanistico
di Johannes Aquila, egli era già uno zelante seguace di Paracelso, come
testimonia la lettera a Zwinger in cui egli cerca di farsi «notum et
commendatum» al professore basileese. 154
Al di là della sua plurisecolare autorità, scrive Arndt, Zwinger è
riuscito a dare ancor più peso a Ippocrate, mostrandosi in tal modo uomo
che si sente responsabile tanto nei confronti della medicina che nei
confronti della res publica. Zwinger ha guardato con benevolenza anche a
Paracelso e non ha trascurato la nuova luce della vera arte medica «viderint, quibus divinior mens est, alii». Tutti si trovano infine d’accordo
nell’apprezzare ed ammirare la sua virtù e la sua umanità. Ed è questo che
contraddistingue il vero cristiano, colui che si sforza si assomigliare a
Cristo. Sono questi i tre motivi che gli facevano desiderare – così afferma
Arndt – di entrare nella cerchia più intima attorno a Zwinger. E lo fece con
una dichiarazione aperta del suo paracelsismo e, per di più, in lingua greca:
«I libri della scienza medica sono Dio e la natura»- (τὸ βιβλὶον τοῦ γνησιοῦ
ἱατροῦ ὸ θεὸϚ καὶ ή φύσις) - «solo le potenze curative insite nelle cose
della natura fanno la medicina e il medico. L’opinione della ragione (i.e. la
teoria) è inaffidabile; essa non è in grado di indagare queste forze. Ciò è
invece possibile al lavoro devoto e perseverante e alla fornace del chimico:
entrambi sono il bisturi della natura vivente e solo l’uomo libero di
incorrotta integrità è in grado di intraprendere una simile opera. Dio e la
Natura sono i libri della scienza medica». 155
Hippocratem, qui nescio qua antiqua et grauitate et autoritate pollet, fecisti, uir
Excellentissime, illustriorem. Theophrastum Paracelsum, nouum Medicinae Athletam,
benigniori respicis oculo, nisi me fama hominum non stolidorum fefellit. Virtutis et
humanitatis eximiae cultorem te uno ore (quod primo loco merito commemorandum
fuisset) omnes praedicant et admirantur. Quae tria me et ut scriberem et ut ita scriberem
153
EDMUND WEBER, Johann Arndts Vier Bücher vom Wahren Christentum (Schriften des
Instituts für Wissenschaftliche Irenik an der J.W. Goethe Universität Frankfurt am Main, 2),
Marburg 1969, p. 108: «Aus keiner literarischen Quelle, abgesehen natürlich von der Bibel, hat
Arndt so viel geschöpft wie aus den magischen und naturwissenschaftlichen Schriften
Theophrasts von Hohenheim».
154
Lettera di Arndt a Zwinger del 2. 9. (1579), Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II
4, n. 11. Sul Arndt come paracelsista e teosofo già a partire dal suo soggiorno a Basilea, vedi ora
C. GILLY, Ermete o Lutero? Alla ricerca del De antiqua philosophia et divina veterum magorum
sapientia recuperanda / Hermes or Luther? The search for Johann Arndt’s De antiqua
philosophia, in Magia, alchimia, scienza dal ’400 al ’700: l’influsso di Ermete Trismegisto (cit.
nota 15), pp. 351-398.
155
Vedi ora HANS SCHNEIDER, Johann Arndts Studienzeit, in «Jahrbuch der Gesellschaft für
Niedersächsische Kirchengeschichte», LXXXIX, 1991, pp. 133–175, cit. 173. Per altri studi
recenti su Arndt, cfr. J. WALLMANN, Johann Arndt und die protestantische Frömmigkeit, in
«Jahrbuch der hessischen kirchengeschichtlichen Vereinigung» XXX, 1984, pp. 50–74; HANS
SCHNEIDER, Johann Arndt als Lutheraner? in H. RUBLACK ed., Die lutherische
Konfessionalisierung in Deutschland. Wissenschaftliches Symposion des Vereins für
Reformationsgeschichte (Schriften des Vereins für Reformationsgeschichte, 197), Gütersloh
1992, pp. 274–298; IDEM, Johann Arndts ‘verschollene’ Frühschriften, in «Pietismus und
Neuzeit», XXI, 1995, pp. 29–67; MARTIN BRECHT, ‘Das Aufkommen der neuen
Frömmigkeitsbewegung in Deutschland. 2. Johann Arndt und das wahre Christentum’, in
Geschichte des Pietismus I: Der Pietismus vom siebzehnten bis zum frühen achtzehnten
Jahrhundert, ed. M. BRECHT, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1993, pp. 130-151;
HERMANN GEYER, Verborgene Weisheit. Johann Arndts ‘Vier Bücher vom Wahren Christentum’
als Programm einer spiritualistisch-hermetischen Theologie (Arbeiten zur Kirchengeschichte 80,
vol. I–III), Berlin-New York, W. de Gruyter, 2001.
- 61 -
impulere: In primo, non parui laboris onus animadverti propter commune Asclepiadeae
gentis emolumentum, susceptum. Quo nomine, si nulla alia causa me moueret, ut
inexpolitis meis te salutarem literis, gratiae tibi a me quoque, licet longe infimo omnium et
indignissimo, merito sunt agendae. Mihi fecisti, gratus agnosco, quicquid amabili
medicorum coetui fecisti. Quod Sol in firmamento est, Id homo, bene communi utilitati
consulens, in inferiori mundo est. In altero, rectum, sanum, et elegans iudicium apparet,
quo, nouum genuinae Medicinae lumen (uiderint, quibus diuinior mens est, alii) non
auersaris. δυνάμεις αἰ ἰατρικάι, et stabiles, rerum creatarum, Medicinam constituunt, et
Medicum. Opinio mentis fallax, has inuestigare non potest, potest autem Labor pius, et
industrius, et spagyricus Vulcanus, culter anatomicus vitalium essentiarum, quem nemo
nisi incorruptae integritatis et libertatis homo, recte usurpabit. τὸ βιβλὶον τοῦ γνησιοῦ
ἱατροῦ ὸ θεὸϚ καὶ ή φύσις. Tertium illud, Hominem Christianum coarguit. Christus enim
homo, humanissimis beneuolentiae affectibus, amabilique candore et sinceritate, omnes ad
sese allexit. Omnes Virtutes dixeris, si hominem Christianum, hoc est Christo similem,
dixeris. Quo nomine magis, quam quouis amplissimo et splendidissimo honore, nomine,
dignitate, gaudio laetandum et triumphandum est. Perfeci quod uolui. Tu vero, Vir
praestantissime, facito, oro, ut quod cupio, assequar. Notum el commendatum me tibi volui
facere. Nil forte inhumanum, nil indignum peto, petunt quotidie omnes homines. Gratus
pro humanitate tua semper ero. Vale. 2. Septembris anno τοῦ λὸγου σαρκοφόρου, Basileae
1579. Tuae Excellentiae humillime addictus. Ioannes Aquila, stud. med. Saxo.
Questa lettera, insieme al giudizio di Arndt su Zwinger del 1608, qui già
citato parlando di Bodenstein («magnus ille Theodorus Zwingerus, quo
doctiorem, dum Musas colerem humaniores, vidi neminem»),156 dimostra a
sufficienza l’affinità profonda tra il teosofo precursore del pietismo
protestante e modello spirituale degli autori dei Manifesti rosacrociani 157 e
il professore basileese. Quanto devono essersi sentiti vicini questi due
impegnati difensori della pratica cristiana e del lavoro sperimentale,
immersi in un ambiente in cui dominavano rigide professioni di fede e
sapere puramente teorico-speculativo. In futuro varrebbe senz’altro la pena
di rintracciare l’influsso di Zwinger nei Vier Büchern vom Wahren
Christentum di Arndt. C’è da sottolineare innanzi tutto che a Basilea Arndt
studiò medicina e non teologia, come è testimoniato dall’amico Johann
Gerhard: «All’università egli si dedicò soprattutto alla medicina, poco si
interessò alle controversie teologiche, si tenne lontano dalle lezioni dei
teologi e non prese parte nemmeno alle dispute accademiche». 158 Al
contrario troviamo Arndt al centro dei circoli paracelsistici e alchemici che
avevano scelto Basilea come sede provvisoria o definitiva.
Le notizie più preziose su questi gruppi possono essere rintracciate
in numerose epistole dedicatorie che il paracelsista francese Bernard
Gabriel Penot pubblicò con le Centum et Quindecim Curationes Paracelsi.
Dopo un lungo inutile girovagare in Oriente alla ricerca della vera scienza
156
Vedi supra, nota 109.
Su Arndt e il movimento dei Rosacroce rimando ai miei lavori sui Rosacroce, e, in
particolare, a Cimelia Rhodostaurotica. Die Rosenkreuzer im Spiegel der zwischen 1610 und
1660 entstandenen Handschriften und Drucke. Ausstellung der Bibliotheca Philosophica
Hermetica Amsterdam und der Herzog August Bibliothek Wolfenbüttel, Amsterdam, In de
Pelikaan, 19952, pp. 15-16; Johann Arndt und die “dritte Reformation” im Zeichen des
Paracelsus, in «Nova Acta Paracelsica», NF XI, 1997, pp. 60-77; Campanella fra i Rosacroce,
in Tommaso Campanella e l’attesa del secolo aureo (III giornata Luigi Firpo 1 marzo 1996),
Firenze, Olschki, 1998, pp. 107-155, cit. 141-148; Die Rosenkreuzer als europäisches Phänomen
im 17. Jahrhundert und die verschlungenen Pfade der Forschung, in Das Rosenkreuz als
europäisches Phänomen des 17. Jahrhunderts. Akten zum 35. Wolfenbütteler Symposium, edd.
C. GILLY – F. NIEWÖHNER, Amsterdam, In de Pelikaan – Stuttgart, Frommann-Holzboog, 2001,
pp. 19-56, cit. 29-35.
158
E. WEBER, Johann Arndts Vier Bücher (cit. nota 50), p. 30; H. SCHNEIDER, Johann Arndts
Studienzeit (cir. nota 152), pp. 156-157.
157
- 62 -
della Natura, Penot giunse a Basilea alla fine degli anni Settenta al servizio
del diplomatico e alchimista francese Jean de Ferrières, vidâme di Chartres,
con l’intenzione di dedicarsi completamente alla medicina spagirica.159
Probabilmente Penot aveva accettato in casa Ferrières l’incarico che poco
tempo prima era stato offerto all’olandese Bonaventura Vulcanius, senza
sapere che Vulcanius apparteneva al novero dei più convinti oppositori
dell’alchimia a Basilea. In una lettera ad Erasto, Vulcanius racconta come
vanno le cose in casa Ferrières: «Il vidâme di Chartres mi invita spesso alla
sua tavola, e tenta in ogni modo di farmi entrare al suo servizio, ma invano.
Non sono uno che accetterebbe di fare il buffone in questo modo. Gli studi
e i fini di quell’uomo sono completamente opposti ai miei, poiché in casa
sua non si parla d’altro che d’alchimia, apocalisse e astrologia – nullus
enim unquam apud illum praeterquam de alchimia, apocalypsi et
astrologiae veritate fit sermo».160
Alla fine del 1579 Penot si iscrive all’Università di Basilea, ma
viene arrestato subito dopo e costretto ad abbandonare la città, per essere
quasi venuto alle mani con un influente politico polacco, Jan Osmolski,
dopo che quest’ultimo gli si era rizzato contro, ingiuriandolo con parole del
tipo «gang mir uß mein huß, du nebulo, oder ich will dich zuo öl
distillieren» («vattene dalla mia casa, imbecille, o ti distillo fino a far di te
olio»), perché Penot aveva voluto dedicargli il suo libro.161 Il libro di Penot
uscì pertanto a Lione con una dedica al suo mecenate Jean de Ferrières e
una lunga prefazione apologetica, in cui egli polemizzava violentemente
contro Erasto e i nemici dell’alchimia. Un altro dei trattati contenuti nella
raccolta venne dedicato da Penot ad un alchimista slesiano, il barone
Johann von Kitlitz, anche lui obbligato ad abbandonare Basilea per essere
entrato in conflitto con le disposizioni della censura cittadina.162 Penot
159
Philippi Aureoli Theophrasti Paracelsi centum quindecim curationes experimentaque [...]
Accesserunt quaedam praeclara atque utilissima a B. G. A PORTU AQUITANO annexa, Lyon, Jean
Letourt, 1582, 19-20. Le informazioni più complete su Penot si trovano in OSWALDUS CROLLIUS,
Alchemomedizinische Briefe 1585 bis 1597, edd. WILHELM KÜHLMANN – JOACHIM TELLE
(Heidelberger Studien zur Naturkunde der frühen Neuzeit, 6), Stuttgart, F. Steiner, 1998, pp.
202-204; vedi anche EUGÈNE OLIVIER, Bernard G. Penot (Du Port), médecin et alchimiste
(1519-1617), Texte édité et présenté par DIDIER KAHN, in «Chrysopoeia Revue publiée par la
Société d’Étude de l’Histoire de l’Alchimie», V, 1992-1996, pp. 571-667.
160
HENRI DE VRIES, Correspondance de Bonaventura Vulcanius pendant son séjour a Cologne,
Genève et Bâle, La Haye, Nijhoff, 1923, p. 193; A. ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e
religiosa di Basilea (cit. nota 14), p. 390.
161
Basilea, Staatsarchiv, Universitätsarchiv H 2, ff. 19v, 21r-v. Anche nel libro contabile del
rettorato dell’Università dal giugno 1579 fino al giugno 1580 (ivi, K 8: Rationes Rectoratus
1569-1592, f. 60v) sotto la rubrica «varios ob usus» si legge a proposito di questa querela:
«Lictoribus in causa Osmolsky et Portu, 12 soldi 4 denari». Su Osmolski cfr. H.G.
WACKERNAGEL, Die Matrikel der Universität Basel (cit. nota 91), vol. II, p. 237, e le lettere da
lui scritte a Zwinger nell’elenco del carteggio, p. OOO.
162
Kitlitz compare nella relazione del 1578 sugli adulti stranieri immatricolati all’Università,
vedi FRANCESCO PUCCI, Lettere, documenti, testimonianze, a cura di LUIGI FIRPO e RENATO
PIATTOLI, Firenze, Olschki, 1959, vol. II, pp. 128 sg. KITLITZ aveva fatto stampare a Zurigo il
suo libro contro la dottrina della ubiquità del corpo di Cristo difesa dai luterani, Gründtlicher
und bestendiger bericht von der waarhafftigen gemeinschafft des leibes und bluts unsers Herren,
welches in heiliger Nachtmal die waaren Glaubigen genießen, s. l. 1578, insieme a un Bericht
von dem heiligen Nachtmal di JOHANNES JAKOB GRYNAEUS, contro la volontà di quest’ultimo.
Poiché in esso Kitlitz si richiamava alla Confessione ufficiale di fede della città di Basilea,
Borgomastro e consiglio cittadino ritennero fosse necessario pubblicare una dichiarazione
ufficiale di scuse: Der Statt Basel Entschuldigung und Versprechen etlicher ihro hinderruchs
und wider ihr angeordnete Censur in Religions Sachen von dem heiligen Nachtmal Christi durch
- 63 -
definiva Kitlitz il più esperto seguace della spagirica che egli avesse mai
incontrato: «Tu vero unus instar omnium mihi in mentem venisti, cuius
gravitas, doctrina, pietas, et ea (qua omnibus quos in hac philosophiae
parte, exercitatos novi antecellis) experientia, nota sunt». 163 Ma tanto
l’amico e collega di Zwinger, Felix Platter, quanto il medico
antiparacelsista Johannes Francus, che aveva conosciuto Kitlitz a Basilea
negli anni Settanta, presentavano i lavori del barone slesiano per ottenere
l’oro alchemico come esempio da evitare sempre e comunque:
Huius rei unum exemplum adscribam, Viri illustris, mihi ante 46 Basileae bene
noti, cuius doctissimus Platerus in suis Observationibus, sub titulo: Animi perversio ex
falsa imaginatione inveniendi Lapidem illum philosophorum aurumque conficiendi,
sequentibus verbis meminit: "Baro quidam generosus, doctus et eruditus, pius insuper et
religiosus, aliquot annos nobiscum versatus, adeo sedulus in inveniendo illo lapide, diu
hactenus quaesito, quem Philosophorum nominant, atque in eam rem intentus dies
noctesque longo tempore fuit, ut immensam dilapidari pecuniam, vixque amplius se
sustentare posset. Et licet res ipsa declararet, frustra haec omnia fieri: animum tamen
minime abiecit, bonam spem concipiens, tandem se voti fore compotem. Mentis autem
suae alienationem, maxime hisce pafaciebat, quod quae in Poëtis legeret, et insomnis quae
illo offerebantur, aliaque multa ridicula, etsi alias magno esset ingenio, ad confirmandam
suam inanem spem, veluti praesagia felicis sucessus, arbitrabatur. Unde indubitanter se
auro abundaturum sibi persuadens, inter alia a Magistratu petiit, ut sibi divitiis hisce
acquisitis, potestatem facere vellent, lapideum loco sublicii pontem novum supra Rhenum,
suis sumptibus, extruendi, Collegiumque universitatis magnificis aedificiis ampliandi,
ornandi, reditibus ditandi. Nam alioqui natura erga egenos et pauperes admodum erat
munificus, et liberalis in elemosinis largiter distribuendis. Nec dum etiam in patriam
domum reduci, etsi damnum videret, haec opinio falsaque persuasio, qua sibi aureos
montes pollicebatur, eximi potuit. Qua mentis depravatione, in cudendo hoc lapide auroque
fabricando multos alios, se suosque liberos ad summam paupertatem redigere et perdere,
quotidiana ostendit experientia". Hactenus Platerus, qui plus auri et laudis arte Galenica,
quam Theophrastum arte Chemica est consecutus. 164
den Truck außgangner Schrifften unnd Büchlinen halben, [Basel] 1578, cfr. Basilea,
Staatsarchiv, Handel und Gewerbe, JJJ 6; A. ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e
religiosa di Basilea (cit. nota 14), p. 277; vedi ora FRANK HIERONYMUS, Gewissen und
Staatsraison. Basler Theologie und Zensur um 1578, in «Archiv für Reformationsgeschichte»,
LXXXII, 1991, pp. 209-238, cit. 115-225 (????). In un fascicolo a parte, con l’antica segnatura w
8a-g , si trovano, fra le altre cose, questa lettera di scuse, tre lettere di Kitlitz e la censura del libro
di Grynaeus firmata dai suoi colleghi Sulzer e Koch. Non è privo di ironia il fatto che Grynaeus,
pochi mesi dopo aver censurato i Dialogi IIII di Castellione e le tesi del Pucci accanto a Sulzer e
Koch in veste di «censores inn heiliger gschrifft sachen», vedesse ora il suo libro sottoposto alla
censura dei due colleghi, nient’affatto bendisposti nei suoi confronti, per ordine del Consiglio
cittadino, cfr. A. ROTONDÒ, Nuove testimonianze sul soggiorno di Francesco Pucci a Basilea, in
«Studi e ricerche» I, 1981, pp. 271-288; C. GILLY, Die Zensur von Castellios “Dialogi quatuor”
durch die Basler Theologen (1578) [revidierte Ausgabe], in Freiheitsstufen der
Literaturverbreitung – Zensurfragen, verbotene und verfolgte Bücher, ed. Jozsef Jancovics,
(Wolfenbütteler Abhandlungen zur Renaissanceforschung 17), Wiesbaden, Harrassowitz, 1998,
pp. 147-176.
163
PARACELSO, Centum quindecim curationes experimentaque (cit., nota 156), p. 81.
164
JOHANNES FRANCUS, Discursus de chemicorum quorundam, non modo nova medicina et
medendi ratione: sed etiam nova philosophia et theologia, Bautzen 1616, (cit. nota 91), pp. 2223; FELIX PLATTER, Obseruationum in Hominis affectibus plerisque, corpori et animo funtionum
laesione, dolore. aliave molestia et vitio incommodantibus, libri tres, Basel, C. Waldkirch per L.
König, 1614, pp. 49-53 (?); IDEM, Observationes. Krankheitsbeowachtungen in drei Büchern.
Aus dem Lateinischen übersetzt von G. GOLDSCHMIDT, bearb. und hrsg. von H. BUESS, BernStuttgart, Hans Huber, 1963, pp. 63-65; per le attività e relazioni di Kitlitz a Basilea vedi MARIELOUISE PORTMANN, Theodor Zwingers Briefwechsel mit Johannes Runge. Ein Beitrag zur
Geschichte der Alchemie im Basel des 16. Jahrhunders, in «Gesnerus», XXVI, 1969, pp. 154163; ma vedi ora KATHARINA HUBER, Felix Platters «Observationes». Studien zum
frühneuzeitlichen Gesundheitswesen in Basel, Basel, Schwabe, 2003, 196-201.
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Con Zwinger, invece, il barone von Kitlitz sembrava avere avuto rapporti
molto cordiali, come risulta delle menzioni sporadiche presenti nel suo
carteggio. In ogni caso, otto anni dopo la sua espulsione della città, Kitlitz
scriveva a Zwinger che egli era l’unico amico degli anni basileesi che gli
fosse rimasto («cum unicus mihi amicus restes») e lo pregava per questo di
custodire per lui i suoi manoscritti alchemici:165
Interea tibi notum esse volo, me magna copia librorum manu mea scriptorum,
fidei Eberhardi Harnis, qui tunc mecum in vnis aedibus habitabat, concredisse: qui, praeter
meam voluntatem, post discessum meum, eos ad Dominam Claram, viduam Italam,
deportauit, et vt ex literis Georgii Grop[pii], qui ciuis est apud vos, certior factus sum
perfidia Johannis Gros, quondan serui mei, in vrbe circum portantur videndi, sine dubio
fraude et persuasione substracti e manibus viduae. Cum autem multis de causis velim eos
mihi incolumes conseruari, et quam minime ab aliis contrectari: rogo quanta possum
diligentia, spe donorum, qua a me excipiet, persuadeas mulieri, cum interminatione, ne vlli
vllius libri potestatem videndi faciat: vt libros suo ordine ligatos et fideliter asseruet
aduentui meo. Hoc si facere illa forte propter mutandum locum vel aliam ob causam
nequat, rem gratissimam mihi facturus es, si illos in aedes tuas admittas et conclusos mihi
conserues. Ad omnia, omni tempore, omni occasione, omni officio, studio, conatu, piaque
et fideli voluntate, me tibi cumque omni amore, tum potissimum pro hac re paratissimum
et praesto habebis. Vale.
Ma torniamo all’edizione delle Centum et undecim curationes di Penot. Un
terzo trattato venne dedicato a Johann Arndt, che Penot chiama «martello
dei pagani», strenuo difensore della medicina cristiana, cioè della medicina
paracelsiana, di contro alla medicina pagana dei Greci e degli Arabi. Nella
dedica si parla del contrasto tra «incolti empirici, fatti nascere da Dio di
questi tempi» e i potenti dotti di latino e di greco, che rifiutano di farsi
fiaccare dal duro lavoro manuale come i principianti. Questi ultimi
sembrano non avere mai compreso che in Natura Dio ha creato le cose in
modo che esse possano realizzarsi pienamente solo passando per le nostre
mani. Nulla in natura è stato creato perfetto, tutto è solo perfettibile, nulla è
compiuto, tutto è da portare a compimento. Perfetta è solo la materia prima,
gli stadi intermedi e gli ultimi sono compito dell’uomo. 166
Il fatto che Arndt venga designato come «Ethnicorum malleus»
nella dedica di Penot del 15 agosto 1581, dimostra che quest’ultimo –
trattenutosi a Basilea tra la fine del 1579 e la metà del 1581 – conosceva
l’argomento (e forse aveva già letto la prima stesura del testo) di una
«oratio» academica, De Antiqua Philosophia: Et divina veterum Magorum
Sapientia recuperanda, deque Veritate Scientiarum et artium huius Seculi
Oratio,167 che Arndt aveva scritto nel suo ultimo anno di Università, cioè
165
Lettera di Kitlitz a Zwinger, da Strigau in Slesia («Strigonii trium montium apud Silesios»),
dell’8. 9. 1586, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 4, n. 147. Altre lettere scritte
da Kitlitz o dirette a lui: Epistola germanica ad Rudolphum II. Imperatorem, Wien ÖNB, cod.
vindob. 11259, ff. 178r-180v (per commendare la sua «manuductio ad praeparanda varia obiecta
alchymica», ivi, ff. 132r-178v; vedi ROBERT J.W. EVANS, Rodolfo II d’Absburgo. L’enigma di un
imperadore, Bologna, Il mulino, 1984, p. 325, n. 74); in Halle, ULB, ms. 23 C44, n. 88 (lettera
di Sebastian Ambrosius a Kitlitz, 27. 10. 1591); ms. 23 C44, n. 82 (lettera di Jacob Monavius a
Kitlitz, 25. 07. 1592).
166
PARACELSO, Centum quindecim curationes experimentaque (cit. nota 156), p. 73-77;
SCHNEIDER, Johann Arndts Studienzeit (cit. nota 152), pp. 174-175.
167
Per la prima identificazione di Arndt come autore di questo scritto (Cod. Guelf. 912 Novi 4°,
ff. 1r-27v) vedi C. GILLY, Cimelia Rhodostaurotica (cit. nota 154), pp. 15-16. Per
l’identificazione e la localizzazione nella BSB di Monaco (Cod. germ. mon. 4416/11, ff. 1-12) di
un secondo manoscritto, col titolo di Anleittung zu der rechten uhralten Philosophey und der
alten Magorum Weißheit. Deßgleichen von der Eitelkeytt dieser Zeit Künsten, vedi C. GILLY,
- 65 -
fra il 1580 e il 1581, e, ovviamente, ancora a Basilea.168 Definendolo
«martello dei pagani» Penot riesce a ritrarre in maniera molto pertinente il
tagliente critico dei «testi pagani» di Aristotele e di Galeno, secondo
l’immagine che Arndt stesso dà di sé nel De antiqua philosophia. Infatti la
ripresa da lui auspicata della «filosofia antichissima degli antichi o della
Johann Arndt und die “dritte Reformation“ im Zeichen des Paracelsus (cit. nota 154), p. OOO.
Entrambi i manoscritti contengono lo stesso testo, ma la lingua è diversa, poiché si tratta con
ogni evidenza di due traduzioni dall’originale latino completamente indipendenti fra loro.
L’esistenza di un originale latino viene confermata anche dal catalogo manoscritto redatto nel
1620 ca. da Johann Rehefeld, seguace di Weigel e medico della città di Erfurt, cui la raccolta
contenuta nel Cod. germ. mon. 4416/1 - 4416/36 era appartenuta. A proposito della Anleittung zu
der rechten uhralten Philosophey egli scrive: «Possiedo questo trattatello anche in latino;
dovrebbe trattarsi di tre orazioni («declamationes»), di cui possiedo però solo la prima. Mi
piacerebbe tuttavia possedere anche le altre due» (Leipzig, Universitätsbibliothek, Ms. O 356,
Bl. 100r). La copia latina di Rehefeld non giunse però mai a Monaco ed è a tutt’oggi perduta.
Perduta è anche la copia anonima che nel 1627 David Ehinger proponeva ad un amico di
trascrivere insieme a manoscritti di Böhme, Weigel e Christoph Hirsch. Un’ulteriore copia
dell’originale latino si doveva evidentemente trovare a Göttingen nel 1622 nelle mani del collega
di Arndt, il sovrintendente o vescovo generale Justus Groscurd, il quale, nella sua confutazione
del teosofo Paul Nagel (Angelus apocalypticus, Schola enthusiastica et Scriptura coeli,
Braunschweig 1622, pp. 33-34) con malcelate parole svelava in realtà il nome e il luogo in cui
abitava l’autore del De antiqua philosophia, riprendendo dal testo latino di Arndt due intere
pagine: «Anni fa girava per il paese anche uno scritto latino, de antiqua philosophia et divina
veterum Magorum sapientia recuperanda deque vanitate scientiarum et artium huius seculi, e ne
doveva essere autore I[ohann] A[rndt] ora a C[elle], come pretendeva [il noto alchimista di
Altenstein] Nicolaus de Solea, e in esso si sosteneva essere del tutto inutile sudare sangue e
ammazzarsi nello studio dei libri. Il testo dice: «Quisquis es, quem exercent hodie Theologicae et
Philosophicae controversiae, et quicumque flagras amore verarum artium, nihil est, quod modo
hunc, modo illum librum evolvis, ut nempe inscitiae remedium et litium compositionem invenias.
Nunquam inventurus, inquam, quod laboriosa et anxia mente quaeris, nisi saepositis, relictis,
repudiatis papyreis libris, qui non ex spiritu sancto, sed ex spiritu mundi originem traxerunt,
quorum sunt hodie magna pars librorum Theologicorum”. Nello stesso scritto veniva anche
attaccato, e non poco, lo studio delle lingue. Tra le altre cose ci si poneva infatti la seguente
domanda: «Quorsum igitur tot linguarum subtilitatibus innectis, cum non opus illis habeas ad
librum seu verbi divini, seu naturae intelligendum?». Qualcuno potrebbe qui domandarsi, da
quale fonte possa allora essere tolto e appreso tutto questo. La risposta si trova nel corso dello
scritto: dall’ALLOQUIUM DIVINUM, dal consiglio e dalla rivelazione di Dio. Le parole sono
le seguenti: «Esse itaque alium fontem verae sapientiae et verarum artium hactenus
demonstravi. Nunc quid ille sit, ostendam porro. Est autem fons ille divina illa et naturalis
veterum sapientiae, et antiqua Philosophia, quam ALLOQUIUM DIVINUM definio. Huc revoco
omnes Theologos, Medicos, Iureconsultos, philosophos; per hoc ostium ingressi sunt Prophetae
et Apostoli. Hac ratione divinitus erudiuntur, creantur, inaugurantur, confirmantur sinceri
Doctores mystici, salutares Medici, iustitiae sacerdotes incorrupti et praeclari Theophilosophi».
Sullo scritto di Arndt vedi ora anche H. GEYER, Verborgene Weisheit (cit. nota 153), III, pp. 388405, che ignora però l’esistenza di un originale latino, cfr. C. Gilly, Ermete o Lutero? Alla
ricerca del De antiqua philosophia (cit. nota 151) p. 368, 394. Vedi ora Hermes oder Luther etc
2007...
168
SCHNEIDER,, ivi, pp. 148, 155, 162 e 173, come pure BRECHT (cit. nota 152), p. 131, sono
dell’opinione che la lettera di Arndt a Zwinger sia una lettera di commiato, e non di saluto, e
restringono così il soggiorno di studio di Arndt a Basilea al solo 1579, facendolo partire subito
per Strasburgo. Ma la lettera è evidentemente una prima presa di contatto, poiché, durante il suo
primo semestre a Basilea, Arndt, che era studente in medicina, non poteva essere entrato in
relazione con Zwinger, che all’epoca insegnava solo etica e verrà nominato alla successione di
medicina teorica solo alla metà del 1580. Inoltre, dal momento che gli influssi del soggiorno
basileese si mostreranno molto più importanti e duraturi su Arndt di quelli della parentesi, per
esempio, strasburghese (di Strasburgo Arndt sembra ricordare solo i dipinti e le figure della
cattedrale - «come io stesso ho visto spesso» / «wie ich daselbst offt gesehen», cfr. Arndt,
Ikonographia, Halberstadt 1587, f. 34r), ritengo che quest’ultima fu presumibilmente molto più
breve del soggiorno a Basilea.
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divina magia e cabala» poteva aver luogo solo scendendo in campo contro
la «filosofia pagana» allora dominante, fino alla definitiva eliminazione
delle «opinioni e pareri di Aristotele» («des Aristotelis Opiniones und
Gutduncken»). Ma vediamo un breve passo del testo, nella versione
conservata nel Codice di Wolfenbüttel:
Und ich kan mit warheit zeugen, daß von der Zeit an, der heilige Geist von
Menschen gewichen, alß sie angefangen haben mit gantzen Kräfften über die heidnischen
Büchern zu liegen (cod. guelf. 912 Novi 4°, 19v). Denn der Geist der Weißheit und
Erudition wird nit gegeben durch lesung und studirung in heidnischen büchern (ibid., 23r).
Dieses nun ist dasienige, so unsere Gelehrten mangelt, nemblich die dinge, nit die Wortte;
diß ist der Unterschied unter der heidnischen und des H. Geists Schulen (ibid., 24v). Weil
aber die itzige Philosophia ihren Ursprung aus den Heidnischen weißheit, so ein lauter
blindheit und finsternis ist, genommen hat: Ey was wolten dann diejenigen Gelehrten, so
gentzlich darin ersoffen und vertieffet, vor [für] ware weisheit daraus schöpffen. Drumb
ich vor gewiß bekräfftige, daß man heutiges Tages der heidnischen Philosophiae gantz nit
bedörffe (ibid., 25r). Darzu ist auch eben diejenige ihre erkantnüß nit ohne merckliche
finsternüß gewesen, wie Aristoteles selbst bezeuget, der doch fast der tieffsinnigeste unter
allen heidnischen Philosophen, indem er spricht: Die Scharffsinnigkeit unserer Vernunfft
und gemüts ist auch in den allerklärsten und offenbaresten wercken der Natur eben so
stockblind, als eine Nacht gegen die Sonnen. Dahero siehstu was ihm gemangelt, nemlich
eben diß, warumb ich itzo streite, daß wir darnach trachten sollen, welches nemlich der
Hebreer Cabalisten, Persier Magi, und Weisen Chaldeer und Aegyptier könt und gewust
haben (ibid., 25v). Darzu so sein meisten theils die Aristotelischen schrifften zu nichts
anders mehr nutz, alß daß nur die müssigen Ingenia auf hohen schulen ihrer Zeit damit
vertreiben, und mit disputieren sich abmatten, nur daß sie etwas zu tun haben. Die
auffgeblasene heidnische Philosophia, über welche nichts eitelers und verfälschters in
dieser welt sein kan, lest sich sehen und triumphiret auff hoffertigen Cathedren mit
schwatzen und plaudern (ibid., 26r). Die Theologia ist dardurch mehr zum Disputation und
Zanck, alß zum Wohl oder Gottseligem leben oder geistlichen Gottesdienst verkehrt
worden. Die Medicin auch mehr zum disputiren, alß Curiren. Die Gesetz zur Hoffart,
betriegligkeit, gewinn, mehr alß zur handhaben der gerechtigkeit. Und diese Professiones
allesambt haben diesen mangel und fähler der Schwatzhafftigkeit einig und allein von der
heidnischen Philosophia und Stoltz der Philosophen erlanget. In Summa alle Künst und
Wissenschafften seind in eytel Thon und bloße Wort verkehret worden, welche endlich der
Wind zerstreuwen wird. Und wir haben itzo in allen Faculteten Doctores der Sprachen, nit
der Wercken, professores der Wort, nicht der Tugenden (ibid., 26v).
(Posso testimoniare senza alcuna falsità, che dal momento in cui lo spirito santo si
è allontanato dagli uomini, essi hanno incominciato a darsi con tutte le loro forze ai libri
pagani (cod. guelf. 912 Novi 4°, 19v). Perché lo spirito della saggezza e l’erudizione non
passano attraverso la lettura e lo studio dei libri pagani (ibid., 23r). Questo è proprio ciò
che manca ai nostri dotti, e cioè le cose, non le parole; questa è la differenza tra le scuole
dei pagani e quelle dello spirito santo (ibid., 24v). E poiché l’attuale filosofia ha preso
origine dalla sapienza pagana, e cioè. dalla pura cecità e oscurità, che verità vogliono
dunque trarne quei dotti tutti presi e sprofondati in essa? Pertanto confermo con certezza,
che noi oggi non abbiamo in alcun modo bisogno della filosofia pagana (ibid., 25r). Inoltre
ogni sua conoscenza non è stata senza sorprendente oscurità, come testimonia lo stesso
Aristotele, che pure è stato il più profondo dei filosofi pagani. Egli afferma infatti: «La
perspicacia della nostra ragione e del nostro animo è così inesorabilmente cieca anche di
fronte alle opere della natura più chiare e manifeste quanto può esserlo una notte di fronte
al sole». Di qui vedi cosa manca ad essa, appunto ciò per cui io ora mi batto, che noi
dovremmo guardare a ciò che gli ebrei cabalisti, e i magi persiani e i saggi caldei e gli egizi
erano in grado di fare e sapevano (ibid., 25v). Inoltre la maggior parte degli scritti
aristotelici non ad altro serve che agli ingegni oziosi, perché sprechino il loro tempo nelle
accademie («hohen schulen»), e si sfianchino nelle dispute, così, tanto per avere qualcosa
da fare. La tronfia filosofia pagana, di cui nulla al mondo è più borioso e più adulterato, si
mostra assisa su cattedre altere e trionfa col suo pettegolo chiacchiericcio (ibid., 26r). In tal
modo la teologia è stata ridotta a disputa e alterco, invece di essere riferita al buon e pio
vivere o al servizio spirituale di Dio. Anche la medicina [guarda] più a disputare che a
curare. Vince la legge della corte e dell’inganno su quella dell’amministrazione della
giustizia. E tutte queste professioni hanno questo gran vizio, di essere solo chiacchiere
- 67 -
vuote, ciò che proviene loro unicamente dalla filosofia pagana e dall’orgoglio dei filosofi.
Insomma tutte le arti e le scienze sono state ridotte a suono borioso e mere parole che il
vento finirà col disperdere. E noi ora abbiamo in ogni facoltà dottori delle lingue, non delle
opere, e professori della parola, non della virtù).
Penot conosceva dunque la De antiqua philosophia oratio del
«martello dei pagani» Johann Arndt, e conclude la dedica all’amico sassone
con l’elenco dei pochi dotti che non rifuggono il duro lavoro con la natura:
il danese Petrus Severinus («qui mira de spagyrica hac arte scripsit»),
Michael Neander, Theodor Birckmann, i francesi Rochefort e Liebaud e,
infine, il basileese Theodor Zwinger «in hac arte versatissimus». 169
169
PARACELSO, Centum quindecim curationes experimentaque (cit. nota 156), pp. 76-77:
«Quoniam plurimi sunt egregii laureati, viri magistri et medicinae professores, qui hanc artem
minime abnegant. In quorum numero sunt amplissimi domini doctores viri praestantissimi,
Petrus Seuerinus Danus, qui mira de spagyrica hac arte scripsit. Egregius piusque vir Michael
Neander. Humanus professor. Theodorus Zuinguerus Basiliensis, in hac arte versatissimus. Nec
non Theodorus Birckmanus Coloniensis medicus, qui opere et ore quotidie maximo his in rebus
iudicio pollet, silentio nunquam relinquam. Inuoluetur nobilis ille Gallus vtriusque medicinae
eruditissimus D. D. Rochefort; et Liebaud Lutetiae medicus, nonne opera eius exstant? Illis ergo
tantum dictum sit, qui hanc artem laudatissimam, cane peius, et angue odio prosequuntur […]
Vale, Geneuae, Augusti 15. anno [15]81».
- 68 -
VI
Zwinger e la medicina alchemica
Non è facile dire quando Zwinger incominciò effettivamente a interessarsi
alla iatrochimica. Ciò che egli deve aver scritto nel settembre 1570 a Caspar
Hoffmann, di Francoforte sull’Oder, a proposito dei preparati chimici ci
mostra che già in quel periodo egli doveva aver abbandonato almeno in
parte la sua iniziale riluttanza nei confronti di questo genere di farmaci.
Nella risposta di Hoffmann a Zwinger, del marzo 1571 leggiamo: «Il tuo
giudizio sulle scoperte e sui seguaci di Paracelso mi è piaciuto, mi sembra
anzi dettato da una ragione fuori del comune. Seguendo il giusto metodo, i
preparati artificiali risultano un gioiello della nostra medicina e sono di
grande utilità. Ma tutto ciò che riguarda questa stravagante e perversa follia
sull’origine di tutte le cose, il nuovo modo da loro sognato di concepire la
Natura, la presunta armonia e anatomia e ciò che essi ritengono a proposito
di questa analogia di tutte le cose da loro escogitata, non c’è persona di
sano e intatto cervello da cui io ne abbia mai sentito parlare».
Iudicium tuum de Theophrasti asseclis et inuentis ualde mihi probatur, et est
eximiae cuisdam prudentiae. Artificiosae enim praeparationes cum in utendo uera
Methodus seruatur, ornamento esse uidentur arti nostrae, et utilitates ex se praebent
singulares. Sed prodigiosa illa et a pietate aliena delyramenta, de origine rerum omnium,
de noua et somniata rerum natura, de imaginaria harmonia et anatomia, quodque omnia ad
commenticiam quandam analogiam censeri uolunt, a nemine hactenus qui per omnia
integri et sani cerebri esset probari audiui. Nihil autem tam deforme est, quin amatorem
inueniet, nec ulla est opinio tam absurda, quin applausores habeat, in tanta ingeniorum
uanitate et uulgi mobilitate, atque ipsi miri sunt in decantandis grandibus factis
circulatorum more artifices, eorum plerumque , qui naturae beneficio euaserunt. Nam
Aesculapios esse, nondum uidere potui. Sunt in nostris regionibus non pauci huius farinae
homines, histriones uerius quam Medici, qui etsi Medicinam nunquam extremis labris
degustarunt, nec deductionem artis ad usum nusquam uiderunt, tamen Alchymisticos
fumos uendicando et sua supra ueri fidem extollendo, efficiunt apud magnates, ut nugae
eorum aliquid esse putentur, etiamsi (cum temeritati casuum omnia commendent) graues
170
interdum patiantur casus.
Non sappiamo se anche la seconda affermazione di Hoffmann riporti le
parole di Zwinger. Nel capitolo dedicato ai «Chemistae» nell’edizione del
Theatrum di quello stesso anno, Zwinger distingueva comunque
chiaramente tra i veri chimici e gli ignoranti, «la cui saggezza in forza del
fuoco chimico trova la sua fine nella cenere salata, nel fumo del mercurio e
nelle fiamme dello zolfo, degni solo di esser precipitati con tutti i loro scritti
nella materia prima, di cui si riempiono la bocca con ammirazione»:
De ueris hic Chymistis loquimur, non de iis, qui inani philosophia titulo turgidi, in
summa optimarum artium ignorantia, montes aureos sibi aliisque polliceri non erubescunt.
Quorum sapientia ui ignis Chymici partim in cinerem salsum, partim in mercurialem
fumum, partim in sulfuream uertitur flammam. Digni certe, qui et se et sua omnia in hanc,
171
quam plenis buccis iactant, materiam primam praecipitent.
Chi venga qui definito ignorante è molto chiaro: sale, mercurio e zolfo
erano le tre vere sostanze secondo Paracelso e i paracelsisti.
Tuttavia quattro anni più tardi in casa di Zwinger ebbe luogo la
promozione privata a dottore in medicina del paracelsista francese Joseph
170
Lettera di Hoffmann a Zwinger del 17. 3. 1571, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 28, n. 121. La lettera di Zwinger a Hoffmann risaliva al settembre 1570.
171
Zwinger, Theatrum Vitae Humanae, ed. 1571, p. 3248.
- 69 -
Du Chesne (Quercetanus). Venticinque anni dopo, nel Liber Decretorum
della facoltà di medicina, Felix Platter racconterà delle circostanze in cui
questa laurea si svolse.172 Era stato desiderio del «celebre chimico» non
essere esaminato pubblicamente in università; egli aveva dimostrato
sufficiente conoscenza di Ippocrate, sottolinea Platter, che approfittava così
per mettere a tacere le voci che malignavano sul fatto che a Basilea fosse
stato concesso il titolo di dottore in medicina anche a gente che non aveva
letto un rigo né di Galeno né di Ippocrate.173 Alla cerimonia erano presenti,
oltre a Theodor Zwinger, all’epoca decano, anche Isaak Keller, Johann
Bauhin, lo stesso Platter e, tra i testimoni, in particolare il giurista francese
François Hotman.
Questa laurea, che andava apertamente contro il regolamento della
facoltà di medicina redatto nel 1570 proprio da Zwinger, mostra con
sufficiente chiarezza che la svolta di Zwinger nei confronti dei paracelsisti
aveva già avuto luogo.
L’ultima volta che Zwinger scrisse pubblicamente in polemica con i
paracelsisti fu nella prefazione (come al solito da lui composta o corretta)
dell'opera di suo «cognato» Johann Jacob Wecker, Medicinae utriusque
Syntaxes del 1576, prefazione di cui conserviamo una prima stesura di
Wecker ricorretta da Zwinger.174 Una frase di Wecker relativamente
moderata sui paracelsisti
Quo quidam nomine quos vocant Theophrasticos ad Galeni palestram adlegamus,
cum et ipsam contemnent naturam, tum rationem riderent insulsissimam
viene corretta da Zwinger nella ben più incisiva affermazione
Etsi enim nostra aetate noui quidam Thessali ex Theophrasti Paracelsi chymica
schola prodierunt, experientias mirificas iactitantes, methodoque phantastica solemniter
172
StAB Universitätsarchiv Q 2, 45 sg. Riprodotto in A.BURCKHARDT, Geschichte der
Medizinischen Fakultät zu Basel (cit., nota 12), pp. 158-159, e in H. DE VRIES, Correspondance
de Bonaventura Vulcanius (cit., nota 157), p. 88.
173
Ancora nel 1607 il professore e paracelsista marburghese Johannes Hartmann scriveva a
Jakob Zwinger: «Memini sane in vestra Academia ejus rei extare exempla, ubi iis non gravatim
summos honores Doctorales contulistis, qui ne viso vel Hippocrate vel Galeno, soli Chymici seu
Paracelsici ut vocant, extabant» (Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 28, n. 109).
La nota di Platter del 1599 è certo da intendersi come misura preventiva in risposta a tali voci,
resasi ancor più necessaria dopo che nel 1594 Penot aveva scelto di dedicare uno dei suoi scritti
ai professori della Facoltà di medicina, Platter, Stupanus e Bauhin, riferendo pubblicamente delle
circostanze della propria promozione, vedi BERNARD G. PENOT, Tractatvs varii de vera
praeparatione et vsv Medicamentorum Chymicorum, Frankfurt, J. Feierabend per P. Fischer,
1594; ed. Basileae, König, 16164, pp. 166-172. Penot ricordava ai «viri professores doctissimi»,
di avergli fatto giurare, dopo gli esami del 1592, di non scrivere più in favore di Paracelso. Si
trattava naturalemente di un giuramento cui non intendeva tener fede, richiamandosi all’autorità
del defunto Theodor Zwinger: «Nonne et vestri collegii Reipublicaeque ornamentum Theodorus
Zuingerus, qui sui apud omnes ingens desiderium reliquit, mihi aestipulatur? qui in sui Theatri
libro 3° volumine 20° dicit, ‘eos qui spagyricos insectantur, inconsulto odio id facere, cum arcani
scrutatores sint’» (ivi, p. 171). A proposito della promozione di Penot Platter scrisse al contrario
che questa era stata autorizzata in forma privata in seguito alle ripetute preghiere di Penot e in
considerazione della sua età avanzata. In quell’occasione egli aveva inoltre giurato di recuperare
la mancata lettura di Ippocrate e Galeno e di non scrivere mai più in futuro contro le loro
verissime dottrine. La promozione avrebbe avuto luogo in casa di Platter (StAB
Universitätsarchiv Q 2, 46); A.BURCKHARDT, Geschichte der Medizinischen Fakultät zu Basel
(cit. nota 12), p. 159.
174
JOHANN JACOB WECKER, Medicinae vtrivsqve Syntaxes ex Graecorum, Latinorum,
Arabumque thesavris, Basilea, E. & N.Episcopius, 1576, f. α 2v-3v.
- 70 -
insanientes, quamtusvis monstra proferant innumera, illa tamen omnia unius et eiusdem
Herculis claua retundi possunt et edomari.175
Tanto nel manoscritto che nella stampa la prefazione al Langravio
Guglielmo d’Assia porta la data del 1° gennaio 1576; Wecker tuttavia
aveva inviato un abbozzo della prefazione già nel luglio del 1575, ciò che ci
induce a datare le correzioni fatte da Zwinger agli ultimi mesi dell’estate
1575.176
Come si vede, ancora nella seconda metà di quell’anno, Zwinger
non mostrava nessuna simpatia per i paracelsisti; ma tutto cambia, a poco a
poco, tra gli ultimi mesi del 1575 e la redazione del prologo alla Methodus
rustica nel mese di agosto del 1576. La ragione decisiva di un cambiamento
così fondamentale non è certo da ricercare nella lettura delle opere di
Paracelso stesso - che Zwinger conosceva bene già da tempo - quanto
piuttosto nell’intenso lavoro sugli scritti attribuiti a Ippocrate, e, forse,
anche nelle riflessioni suscitate dalla lettura dell’Idea medicinae
philosophicae di Severinus, insieme all’esame diretto dei preparati
paracelsiani intrapreso da Zwinger proprio in quegli anni.
Un influsso non indifferente potrebbe però essere stato esercitato su
Zwinger anche dalla stretta frequentazione di un gruppo di alchimisti e
iatrochimici francesi occasionalmente residenti a Basilea (Rochefort, Du
Chesne, Hotman, Ferrières, Barnaud, Aragosius). La disponibilità di
Zwinger a che Du Chesne (Quercetanus) si laureasse contro ogni regola in
casa sua, dimostra lo stretto rapporto tra i due nei due anni della
permanenza del paracelsista francese a Basilea. Dopo la sua partenza, Du
Chesne e Zwinger non solo si scambiarono ricette di preparati chimici, ma
già nel mese di aprile del 1576 il paracelsista chiese a Zwinger di potergli
dedicare la sua Responsio polemica al volume del galenista ginevrino
Jacques Aubert, Duae apologeticae responsiones, Ad Josephum
Quercetanum:
Aubertus nuper edidit libellum contra me conuiciis satis resetum, quem ad te
mitto, vt tu hominis ignorantiam perspicias. Ego vero libello ipsius etsi responsione non
magnopere digno, respondeo. Responsionem tuo nomini, si scirem hoc tibi non ingratum
fore, vellem consecrare.177
Sembra tuttavia che Zwinger rifiutò l’offerta, poiché il testo uscì con
una dedica al mecenate di Du Chesne, Jacques de la Fin.178 Ciò che
175
Ivi, f. α 3r. La prefazione originaria scritta da Wecker, ma con numerose correzioni e aggiunte
di mano di Zwinger si conserva a Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II, 4, n. 324ad.
176
Lettera di Wecker a Zwinger di 17. luglio 1575, f. 323: «Tabulas meas Illustririssimo Princii
D.D. Gulielmo Landgrauio Hassiae etc. dedicare constitui […] Verum cum ego tum publicis,
tum priuatis negotiis obruor quotidie, parumque in scribendo sum exercitatus, ut meo nomine
praefationem aliquam, vel epistolam dedicatoriam construas, titulumque operi nouum cudas, te
etiam atque etiam rogo».
177
Lettera di Du Chesne a Zwinger, s.a. [ma 1576] 12 aprile, Basilea, Universitätsbibliothek, ms.
Frey-Gryn. II 23, n. 380. Nella prima edizione di questo saggio avevo erroneamente affermato
che il libro di Aubert contro Quercetanus era da identificare con la De metallorum ortu et causis
contra chemistas brevis et dilucida explicatio, Lyon, Jean Berion, 1575, stampato in gennaiofebbraio, e dunque prima dell’amicizia fra Du Chesne e Zwinger. In realtà si tratta invece di
JACQUES AUBERT, Dvae apologeticae responsiones, Ad Iosephum Quercetanum. In priore de
Paracelsicorum ladano, et calcinatis cancrorum oculis disseritur: in posteriore Chemiam esse
vanam, ostenditur, [Lyon, Ausultus], 1576.
178
Su questa polemica vedi ora DIDIER KAHN, Paracelsisme et alchimie en France à la fin de la
Renaissance (cit. nota 49), pp. 216-230.
- 71 -
Zwinger davvero odiava erano le inutili controversie, tanto che, quando
alcuni mesi dopo venne pubblicato a Basilea un altro scritto implicato nella
polemica, questa volta del galenista Giovanni Antonio Fenotti,179 che era
già stato costretto ad abbandonare Ginevra, Zwinger inviò uno degli
esemplari a Du Chesne con la preghiera urgente di non mettersi allo stesso
livello dei suoi nemici e quindi di non rispondere.180 Lo scritto di Fenotti,
l’Alexipharmacum, derideva e screditava davanti al mondo intero non solo
Du Chesne, ma anche François Hotman, Theodor de Bèze e le autorità della
città di Ginevra.
La difesa dell’alchimia che nello stesso anno François Hotman
aveva fatto pubblicare sotto lo pseudonimo di Thomas Arfoncini nella
raccolta De iure Alchimiae stampata da Perna raccolse invece
incondizionato assenso parte di Zwinger.181 Secondo Hotman i nemici
dell’alchimia erano incorsi nel fondamentale errore di credere che
l’alchimia fosse da bandire solo per il fatto che alcuni alchimisti erano
diventati falsari, e altri erano stati maghi – come nel caso di Raimondo
Lullo e di Paracelso. Ad ugual diritto potrebbero essere messe al bando
anche tutte le altre scienze, incalza Hotman, la giurisprudenza per i
numerosi legulei storcilegge, la medicina per i molti avvelenatori, la
teologia per i tanti sofisti che ne stravolgono l’essenza. La legittimazione di
un’arte deriva dall’arte stessa, non dal buono o dal cattivo uso che ne viene
fatto.182
Nella cerchia dei suoi amici francesi il rapporto più fecondo fu,
però, quello che Zwinger intrattenne con Guillaume Aragosius. Originario
di Tolosa, Aragosius non era un paracelsista nel vero senso della parola, ma
piuttosto un pensatore caparbio, a suo agio tanto nella cabbala e nella
filosofia ermetica che nella pratica dell’alchimia. Giunto a Basilea nel 1571,
nel giro di quattro anni egli aveva rimesso completamente in discussione la
sua filosofia e il suo sapere medico, non ultimo grazie a giornalieri contatti
con Zwinger, come egli stesso racconta ad un amico. 183 Alla fine del
179
Alexipharmacum sive Antidotus Apologetica, ad virulentias Iosephi cuiusdam Quercetani
Armeniaci evomitas in libellum Iacobi Auberti de ortu et causis Metallorum contra Chymistas,
IO. ANTONIO FENOTO autore. Basileae, s.t., [1576]; L. GAUTIER, La médicine à Genève (cit. nota
42), pp. 198-199; A. DUFOUR, et al., Correspondance de Théodore de Bèze, vol. XVII (1576),
Genève, Droz, 1994, pp. 177-181; sulla complessa storia di quest’edizione vedi ora D. KAHN,
Paracelsisme et alchimie en France à la fin de la Renaissance (cit. nota 49), pp. 224-227, 230236.
180
Lettera di Du Chesne a Zwinger, senza data, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 28, n. 273.
181
v. sopra, nota 39.
182
IO. CRYSIPPUS FANIANUS, De arte metallicae Metamorphoseos (cit. nota 39), 116-118.
183
Lettera di Aragosius probabilmente a «Chayero» (Pierre Victor Palma Cayet?), senza data,
Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 4, n. 12: «Despuis enuiron dix ans que ie vous
escriuis de mon voiage de Flandres, et que i’eux response de vous et de messieurs vous petits
Barons, i’ay reueue en la ville de Basle ma Philosoφie et Medicine en grand diligence, l’espace
de quatre ans. ont J’ai faict vn recuil de mes estudes; cherchant soigneusement la verité de mon
art. Et en aiant receu ce qu’a pleu au Seigneur m’en donner, ie suis allé en la cour de l’Empereur,
pour la practiquer. La ont suis este si bien receu, comme celuy du quel ilz estimoient auoir grand
besoing. J’ay serui l’Empereur Maximilian iusques à sa mort, que fut a Ratispone, moy estant
toutesfois, pour lors, à Vienne. ont Dieu par sa grace m’a honoré de ses beneditions, santifiant
mes labeurs et practiques lespace de deux à trois ans, de sorte que combien que la pluspart
hayssent ma religion (qu’ilz appellent vulgairement eten hayne Zuingliene et caluiniene)
toutesfois i’ay eu grand’ difficulté d’auoir mon congé, pour faire vn voyage à Basle; ont j’ay pue
trouué si bonne et saincte compaignie, que ie n’en ay peu bouger despuis trois ans, craignant
- 72 -
novembre 1574 Aragosius venne chiamato a Vienna come medico di corte,
ma rimase in contatto epistolare con Zwinger, lamentando quanto gli
incontri giornalieri con lui gli mancassero. 184 Le sue lettere di questo
periodo a Crato von Kraftheim e Zwinger ben ci illustrano il suo pensiero
su medicina e filosofia. A Crato che gli chiedeva del «laudanum» di
Paracelso, Aragosius risponde di non sapere esattamente che cosa Paracelso
intendesse, e di non interessarsi oltretutto troppo a quest’«authore»,
secondo lui non classificabile né tra i filosofi né tra i medici. Aragosius
svela invece a Crato von Kraftheim alcune particolarità di un’opera che
aveva incominciato a scrivere, il De sole triplici, in cui egli tentava una
spiegazione per via ermetico-cabbalistica non solo delle malattie e della
medicina, ma della Natura nel suo complesso a partire dalle cause
originarie.185 Anche a Zwinger che lo interrogava sulla «laudani formula»
Aragosius risponde di non sapere nulla di preciso in proposito.
Esisterebbero anzi secondo lui tra Austria, Carinzia, Slesia e Boemia «supra
centum mille», più di centomila paracelsisti, nobili e uomini comuni,
farmacisti e medici, donne addirittura, e ciascuno di loro sarebbe in
possesso del suo laudanum personale, del suo aurum potabile. Lo stesso
termine significa per tutti la stessa cosa, solo che essi non raggiungono gli
stessi risultati perché non hanno imparato a lavorare con metodo ai partire
dai principi. Anche se riescono ad alleviare la sofferenza del malato, essi
non sono in grado di estirpare la causa della malattia: «At mi Clarissime
Zvingere, illud non est ex arte curare, quia non est causam tollere». Ciò non
significa, continua Aragosius, che egli rifiuti in toto questi preparati: egli
stesso si è più volte cimentato in questi esperimenti da cui ha tratto molto
diletto e che lo hanno certamente portato ad approfindire le proprie
conoscenze. Ma proprio per l’alta considerazione che egli ha di questi
preparati, egli sente di dover criticare ancor più tenacemente l’abuso che
queste persone (i paracelsisti) ne fanno. Egli afferma di non aver prodotto il
laudanum, ma, con l’aiuto di Dio, qualche altra cosa in grado di sconfiggere
le malattie e aiutare i malati: «E di questo [preparato] faccio uso non come
empirico o come dogmatico, ma in quanto medico razionale che non perde
d’occhio le cause, i principi e le circostanze. Preferisco mostrarlo
d’en trouuer ailleurs de pire. Les Seigneurs de la cour, lesquelz sont grandz et beaucop, m’ont
faict des presens honorables et m’escriuent quelquez fois, pour aller viure et mourir auecques
eulx. Mais les affaires de la Religion se sont portes de telle sorte, despuis Maximilian defunct,
que ie me contente laisser passer ma viellesse en payx auecques vn bon et saint exercice de la
parolle de Dieu, en nostre ville de Basle».
184
Lettera di Aragosius a Zwinger del 15. 2. 1576, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 23, n. 34: «Tu vero, qui cum Hippocrate facile versaris,hunc (qui rerum omnium
consensumante Platonem optime nouit) in huius rei testem adducere potes […] vtinam semel in
die, posset mihi tecum esse colloquium. Scio quod nunquam abs te, nisi doctior, (vt antea)
discederem. Nunc autem, cum absens a te sim, effice (obsecro) vt tuarum lucubrationum
aliquando simus participes. Tuae enim literae (hoc credo in me tantum efficere possent, vt
ingenium meum (alioqui crassun) et animum sopitum attenuent, excitent, et ad meliora semper
stimulent. Ego vero, quid antea egerim, et quid nunc agam, paucis explicabo».
185
Lettera di Aragosius a Crato von Kraftheim del 19. 4. 1575, Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. Frey-Gryn. II 23, n. 36. In gran parte essa è pubblicata in LAURENTIUS SCHOLZIUS,
Consiliorum et Epistolarum Medicinalium Io. Cratonis Liber quartus, Frankfurt, Wechel, Marne,
Aubry, 1593, pp. 340-376; IDEM, Epistolarvm Philosophicarvm, Medicinalivm, ac Chymicarvm
a Summis nostrae Aetatis Philosophis ac Medicis exaratarum, volumen, Frankfurt, Wechel,
Marne, Aubry, 1598, col. 67-85; IDEM, Epistolarvm Philosophicarvm, Medicinalivm, ac
Chymicarvm a Summis nostrae Aetatis Philosophis ac Medicis exaratarum, volumen, Hanau,
typis wechelianis apud haeredes J. Aubry, 1610, col. 67-85.
- 73 -
personalmente agli amici, piuttosto che confidarlo alla pagina scritta. Ma a
te che mi ami e mi sei amico posso confidare questo ed altro ancora; a te
potrei confidare anche il segreto più sacro al mondo, se ciò fosse in mio
potere».186
[…] me rogas vt Ladani [Laudani] formulam ad te scribam, quod et ipse suis
literis efflagitabat. Ego vt pluribus ad ipsum de hac et aliis rebus multis scripsi, ita paucis
ad te contentus ero. Ladanum quid sit non noui, nisi illud quod a cisto, Hircu et caprarum
lanis extrahi dicitur. Theoφrasti vero aut ipsius sectatorum Ladanum, ficticium nomen
fuisse puto. Cuius vires dum multum predicant,non scribit tum errores, quos in eo
exhibendo commiserit. Ex quibus ille constabat, neque hoc scio. Verisimile est tamen,
quod si dolores, vt aiunt, sedabat, id ab elementorum proprietate habuit […] ex opio fiebat
narcoticum, quod in dolore intolerabili (aliis auxiliiis desperatis) a prudenti medico
exhiberi potest. Sed quantum sit periculi […] nescio an Theophrastus obseruauit. In hac
Austria, Silesia, Carinthia, et tota Bohemia, supra centum mille Theoφrasteos esse non
dubito: tam nobiles quam viles, φarmacopolas ac medicos, imo et plures mulierculas, qui
attrahent et extrahent ex quibus corpora contrahent et componunt, vnde sepponunt et
imponunt, et qui facilius bestias quam homines ad se trahunt, vnde morborum incurabilium
pars est; Theoφrasteorum altera vero pars est bibulorum: omnes habent suum ladanum, et
singuli singulum; ac quiuis suum aurum potabile, peculiari praelo excussum. omnes de re
vna disputant, et de subiecto eodem: sed nullus idem in alio concludit. Causa est, quia sine
principiis ratiocinari non possunt, et sine ratiocinatione conclusio neque vera, neque
verisimilis esse potest […] At mi Clarissime Zuingere, illud non est ex arte curare, quia
non est causam tollere: nec rationali methodo singulas causas prosequi […] Nam et ego
frequenter talia expertum, quae et me ingenue iuuerunt, et ad meliorem cognitionem me
deduxerunt. Ita vt rem ipsam per se maximeet pro merito laudo, ita praedictorum abusus
maxime detestor. Ego vero Ladanum (quod sciam) me non habere puto, sed si quid
peculiare quod ad morbos profligandos, et aegrum iuuandum pertineat, mihi Deus
contulerit, id non vt Empiricus, nec etiam vt Dogmaticus, sed vt Rationalis singula
quaeque percurrens, suo loco, modo ac tempore, quantum possum, colloco, amico vero re
ipsa potius quam scripto, vbi res postulat, communico. Tibi vero, qui me amas, non solum
hoc, sed τὸ ἱερόθυτον τῆς γῆς ὑδρευμα cum Deus me dederit.
A proposito del De sole triplici Aragosius poteva parlare più facilmente con
Zwinger che con Crato, poiché al primo egli aveva già mostrato a Basilea
un primo abbozzo dell’opera. Nella lettera del marzo 1576 Aragosius scrive
di averne già terminato due libri, e di rammaricarsi molto di non poter
essere con Zwinger per avere direttamente la sua opinione in proposito.
Solo con lui egli vorrebbe discutere gli argomenti del testo, e lo prega anzi
di non parlarne assolutamente con Crato, «Cratoni de his nihil propter
certas causas».187 Quanto fossero fondate le riserve di Aragosius nei
confronti di Crato è dimostrato dalla lettera che gli viene inviata tre mesi
dopo dal prepotente archiatra imperiale: «La tua lettera mi ha fatto venire in
mente un paracelsista, Alexander von Suchten, che a proposito del calore e
del sole divulgava le stesse teorie che tu sostieni nel De triplici sole.
Tuttavia egli è caduto nell’eresia degli ariani e dei samosateniani. Seguendo
l’insegnamento dei platonici, che pongono un ente intermedio tra Dio e la
mente dell’uomo, Suchten pose Cristo tra Dio e l’uomo. Questo accade
talvolta a chi si lascia trascinare troppo da una rivelazione interiore
(ἐνθουσιασμός). Per questo ti prego di non andare oltre e di mantenerti
entro i limiti della parola di Dio». 188
186
Lettera di Aragosius a Zwinger del 10. 6. 1575, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 28, n. 8.
187
Lettera di Aragosius a Zwinger del 15. 2. 1576, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 23, n. 34.
188
Lettera di Crato von Kraftheim a Aragosius del 1. 7. 1576, Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. Frey-Gryn. II 23, n. 134.
- 74 -
La risposta di Aragosius a questa lettera è molto dignitosa e non
manca di ironia: egli ringrazia infatti Crato von Kraftheim che mostra
evidentemente di preoccuparsi della salvezza della suo corpo e della sua
anima. Ma aggiunge di non temere: egli è restato saldo nella fede, per la
quale ormai da diciassette anni ha rinunciato ad incarichi pubblici e
ricchezze, e alla sua stessa patria. Egli non è divenuto ariano, e la sua
filosofia non ha nulla a che vedere con Suchten e il paracelsismo. Il suo
scopo è piuttosto quello di osservare la Natura e dare fondamento ai
principi di questa filosofia attraverso l’esercizio dell’arte medica. Ma c’è
una cosa su cui Aragosius non riesce proprio a tacere: bisognerebbe
giudicare le cose e le persone guardando ai fatti – «ex recta veritatis
notione» – e non dal proprio punto di vista oppure lasciandosi influenzare
dall’opinione dei più.189
Per quanto la prima affermazione fosse vera – Aragosius rimase per
tutta la vita un devoto calvinista – con il rinvio a Suchten Crato von
Kraftheim aveva colto pienamente nel segno. A partire dagli scritti
cabbalistici, soprattutto di Pico, Reuchlin, Francesco Giorgio Veneto, da
Platone e da Ippocrate come dalla pratica dell’alchimia, Aragosius era
infatti giunto a una sintesi che poggiava su principi molto simili a quelli di
Paracelso o di Suchten. I due libri del suo De sole triplici, che, oltre a
Zwinger, erano stati fatti leggere anche a Moffett, sono presumibilmente
andati perduti. Ma il loro contenuto può essere ricostruito in larga misura a
partire dalla corrispondenza di Aragosius, e ancor meglio dalla Methodus
Apodemica di Zwinger, in cui l’intera argomentazione di Aragosius viene
ripresa in poco più di quattro pagine, senza mai accennare però al sol
triplex.190
Il primo libro conteneva un dialogo ermetico (120 pagine in quarto)
sulla serie delle cause e sulle proporzioni armoniche nella composizione del
mondo e nell’origine dell’uomo. Il secondo libro («paulo maiori
volumine») doveva descrivere i singoli processi relativi ai tre diversi livelli
della Natura – quello celeste, quello etereo e quello terreno. A noi rimane
però un altro trattato, appartenente anch’esso con ogni probabilità al De
sole triplici. Esso reca il titolo di Quatrieme traicté, qui est la practique de
la Caballe,191 e gli elementi cabbalistici in esso contenuti sono tratti per
gran parte dalle opere di Pico, Reuchlin e Francesco Giorgio Veneto. Di
nuovo c’è però l’insistenza sulla necessità di ricerca e lavoro personale, ciò
che fa sì che l’uomo possa innalzarsi dal mondo elementare a quello
celeste, angelico e divino:
189
Lettera di Aragosius a Crato von Kraftheim, senza data, Basilea, Universitätsbibliothek, ms.
Frey-Gryn. II 9, n. 14.
190
THEODOR ZWINGER, Methodvs Apodemica (cit., cap. IV, nota 13), ff. α 2v-4v (vedi Appendice
OOO).
191
Basilea, Universitätsbibliothek, ms. A N IV 21. Si tratta di un manoscritto in folio di 54
pagine vergate da Aragosius. Stando alle indicazioni sul primo foglio, il manoscritto venne
regalato all’Universitätsbibliothek nel 1760 insieme a un ritratto di Aragosius dal pastore di
Muttenz, Hieronymus d’Annone. Il titolo latino al f. 2 indica che il testo apparteneva ad una serie
di 4 trattati: «Gulielmi Aragosii Trium Franciae Regum et Maximiliani II Imperatoris Medici
Cabalae Praxeos, Tractatus IV Gallici deque statu Mundi Angelici et Spiritualis». Oltre al
trattato «Practique de la Cabale», ff. 3r-43v, il manoscritto contiene un quinto trattato «De la
Cabale des Chrestiens », ff. 43v-44r e un «Traicte sixiesme, comment le monde angelic influe au
monde celeste», ff. 44v-51r.
- 75 -
Aussi doybt (l’homme) monter de sensualite exterieure à l’interieure, de
l’interieure à rayson, et de rayson a lintelligence et dicelle finablement à la diuine lumiere
qui la transformera en soy. Pour ceste fin qui est de monter en sus, l’homme seul a la chef
et la face esleué vers le ciel; au dessoubs de la quelle sont les bras qui doybuent s’esleuer à
prier et desirer dieu quelque partie du temps: puis dois donner l’aultre partie a labourer et
trauailler net. Finablement et au bas sont les pieds adherans à la terre, qui lui donnent à
cognoystre quil est au nombre des autres animaulx. Mays sa fin est soy esleuer à la
contemplation des sciences diuines et supercelestes qui ne se peuuent conquerir par
sylogisme, demonstration ny logique, mais par seule reuelation superceleste et gracieuse
192
irradiation [...]
Di nuovo c’è soprattutto la severa critica alle tre scienze esistenti, che
ricorda molto da vicino quella di Suchten nel De tribus Facultatibus. Come
accadeva per la magia nel caso di Suchten, così per Aragosius è nella
«Cabale saincte et Magye naturelle» che consiste la vera conoscenza
dell’ordine divino della Natura, ed è quindi essa l’unica vera scienza. Tutte
le altre scienze - «science physicale et naturelle», «science metaphysique»,
«science moralle ou jurisprudence» – così come vengono coltivate nelle
scuole, non meritano per Aragosius questo nome. Pertanto egli intitola il
terzo e più importante capitolo: «Comment la Cabale surmonte en dignité,
sainctete et perfection toutes aultres sciences. Tellement que les aultres en
comparayson delle ne meritent estre dictes sciences»:
Science physique et naturelle est sçauoyr les elemens, et les causes des chosce
naturelles, mays aussi est que toutes les philosophes ont este d contrayre opinion sur la
determination des principes, et sont iusques au temps present […] et tant que par cy deuant
ont esté des philosophes, autant y a y eu de diuerses opinions, par quoy il s'en suit, que des
choses physicalles ou naturelles, il n'est science arrestée, mays seulement opinion […] Les
sens exterieurs ne peuuent attayndre ne paruenir iusques à la vraye substance et nature des
leurs obiects, mays ilz remettent cecy à la fantasie, et la fantasie adresse et r'enuoye dette
cognoyssance à rayson, qui quiest auecques vn desir moult ardent la verité, mays rasson ne
la peult trouuer si l'esprit ne luy depart sa lumiere […] Autres disent que science est au
dessus de physicque ou de nature, et la nomment Mathphysicque. Ceulx icy quierent les
entites ou especes nues, et vont au dessus des cieulx chercher les fictions poeticques ,
l'immortalite des Dieux qui la viuent delicieusement. May quand ils ont bien laboure,
estudie et trauaille, ilz cognoyssent seulement auoyr fantasie et songe tout le temps de leur
estude […] Derechef aultres croyent qu'il nest vraye science fors de la moralle, et pource
ilz se penent et trauaillent à sçauoir les vertus […] Ilz trauaillent apres les ethicques,
politicques, economicques, por sçauoir et gouuerner la chose publicque et priuée [à quoy
ilz trauaillent sans cesse allegans qu'il n'est aultre sçience […] Dauantage vertu en elle
mesmes ne peult estre science, attendue sa variacion, car ce qui est vertu a l’un est vice à
l’aultre. Aussi les meurs se varient selon la variation des clymats. Aultres nont pour
science fors le vouloyr des hommes qui est plus variable et changeant que aultre chose
deuant dicte et diceluy repaissent leur entendements: duquel la viande connaturelle est
verite infaillible et sont les Juristes, qui pour alleguer plusieurs loys, tiltres ou rubriques,
esquieulx ils sont aussi accoustumes et stylles, que sont apothicqueres à nommer leurs
drogues, ou aultres mecanicques à nommer leurs ostilz. Ilz cuydent estre bien sçavants et
dignes d’estre coronnes de la main d’Apollo. Leur sentence est bien souuent faulse,
mensongiere et contre toute verite cogneue, la quelle toutesfoys sera guardée, obseruée et
executée et n’ont pour confirmation de tout leur affaire fors le vouloyr humain qui est
pallie de ces deux authorites. 'Error Jus facit', c’est à dire, l’erreur connu faict le droict. Et
'res Judicata pro veritate accipitur', c’est à dire, la sentence est toustemps prinse pour verité
[...] Ce doncques que plaist au prince ou au peuple est loy, droict et canon [...] Il appert
doncques que ceste science fondee en la volunte des princes, la quelle bien souuent est le
fleau et tourment du peuple, pour la quelle exercer, gens conuoyteux, auaricieux et tyrans
de robe longue tourmentent leurs esprits, langue ou main iour et nuict; ensemble leurs
oreilles qui sont pleines de griefs, tors, pleurs, larmes et maulvayses rumeurs, est autant
servile et mechanique (J a soyt quelle soyt au temps present en hault pris, estime ou
192
Ivi, ff. 15v-16r.
- 76 -
honneur) que sont les mestiers servils, qui n'ont pour leur fin fors gaing, utilité et proffit.
193
I sensi umani non raggiungono la sostanza e l’essenza dei loro oggetti di
percezione; per questo l’uomo deve trasmettere la sensazione alla fantasia,
e la fantasia da parte sua deve rimettere il giudizio alla ragione, che ricerca
appassionatamente la verità. La ragione però non può trovare la verità fino
a quando non viene illuminata dalla mente. Il cammino verso la scienza
corre nella direzione esattamente opposta:
Si doncques es droicts humains, en Ethicque, Metaphysicque, en Physicque ou es
choses naturelles qui sont l'exercice de toutes escoles, nest science, ains seulement opinion,
il faut conclure que la vraye science est des choses cogneues par foy, qui nous sont
reuelees de dieu, des anges et du monde spirituel qui nest fors la cabale […] Ainsi dieu
symbolise et ha quelque participation auecques l'ange par immortalitè, l'ange auecques
l'homme par entendement, l'homme auecques les bestes par sens exterieurs, les bestes
auecques les arbres par surcroyssement. En oultre l'homme differe de l'ange par succession
de cognoyssances et des bestes par rayson. Les hommes different les vns des aultres par
foy, ainsy que font les sages des folz, et les clers des ignorans. L'homme donques est au
milieu de l'uniuersel; le quel se ioinct à Dieu et es anges par foy. Aussy par ceste Caballe
qui est cognoyssance de Dieu il est l'habitation de verité perdurable; et surmonte des bien
peu de la diuine maiesté, selon que dict Dauid: 'Minuisti eum paulo minus ab angelis'. En
Dieu, est souuerain amour. En l'homme, souueraine esperance. Mays foy et la saincte
Cabale ioinct et unist l’un auecques l’aultre, c’est à sçavoyr, Dieu auecques l’esprit se
ioinct à rayson, rayson à la fantasie, et la fantasie es sens exterieurs. Et par consequent tout
l’homme est ioinct et uny à Dieu, tant qu’il peult estre nomme deiffié. Il reste doncques
concluse qu’il n’est vraye science fors la Cabale, qui rend son escolier bien heuré et le faict
souvrain docteur en un moment car elle remplist a coup l’entendement de tout sçavoyr,
194
ainsi quil appert en Adam, Moyse et Salomon.
Era questa la filosofia che occupava Zwinger e Aragosius (nel 1577, dopo
la morte di Massimiliano II, di nuovo a Basilea). Riferisce Aragosius a
Crato von Kraftheim: «nunc vero pacem et quietem Basileae amplector,
cum uno Zuingero libenter φilosophor. Cum Rochefortio vero non tan
grauiter quam iucunde».195 Per Crato non c’è dubbio che la progressiva
svolta di Zwinger verso il paracelsismo sia da ascrivere all’influenza del
francese. È questo quello che egli confida alcuni anni dopo a Petrus
Monavius che, a sua volta, lo comunica a Johann Weidner, come lui
slesiano, e, come lui, a suo tempo allievo di Zwinger: «Da molti anni sono
in corrispondenza con Zwinger; negli ultimi tempi soprattutto a proposito di
questioni attinenti alla chimica. Ma difficilmente mi avrà del suo parere ,
poiché egli vede in Aragosius il suo maestro, io da parte mia so, per le
molte conversazioni avute con quel francese, in che cosa egli creda». 196 La
193
Ivi, ff. 15v-16r.
Ivi, ff. 13r. Al margine si trova lo schema: «Deus, spes, ratio, fantasia, sensus, corpus}: vnio».
195
Lettera di Aragosius a Crato von Kraftheim dell’1. 8. 1577, Wrocław, Biblioteka
Uniwersytecka, ms. Rehdiger 248, N. 32. Su Rochefort vedi RUDOLF F. BURCKHARDT, Über den
Arzt und Kunstsammler Ludovic Demoulin de Rochefort aus Blois, gestorben in Basel 1582, in
«Jahresberichte und Rechnungen des Vereins für das historische Museum», 1917,, Basel,
Werner-Riehm, 1918, pp. 29-60; SERGIO MAMINO, Ludociv Demoulin de Rocehfort e il
"Thearum omnium disciplinarum" di Emmmanuele Filiberto di Savoia, in «Studi Piemontesi»,
XXI, 1992, pp. 353-367; IDEM, Collezionismo numismatico tra Torino e Basilea alla fine del
Cinquecento: Alessandro Ardente medaglista, in «Studi Piemontesi», XXIV, 1995, pp. 315-325.
196
Lettera di Monavius a Weidner, da Praga del 24. 12. 1587, in L. SCHOLZIUS, Consiliorum et
Epistolarum Medicinalium Io. Cratonis Liber secundus, Frankfurt 1592 (cit., nota 16), pp. 350;
IDEM, Epistolarvm Philosophicarvm, Medicinalivm, ac Chymicarvm, edd. 1598/1610 (cit., nota
16), col. 457-458.
194
- 77 -
lettura del capitolo sui «chymistae» completamente riveduto nella terza
edizione del Theatrum Humanae Vitae non poté che confortare Crato nella
sua opinione. Zwinger e Aragosius avevano collaborato alla redazione del
testo: Zwinger si era limitato a definire il concetto, il nome e il ruolo della
chimica, lasciando ad Aragosius, «vir in omni philosophiae et medicinae
genere versatissimus, tamquam Plato futurus instar omnium», la
spiegazione della chimica fisica e di quella metafisica.
«I chimici» scrive Zwinger «sono coloro che possiedono l’arte di
separare le sostanze eterogenee o unire le sostanze omogenee per mezzo del
fuoco. Essi sono coloro che hanno trovato uno spazio per la filosofia della
natura al centro della vita umana». La loro è un’arte, prosegue Zwinger, che
già oggi si forza di eguagliare i processi naturali in molti ambiti della vita
umana, e talvolta li supera addirittura. Quest’arte è stata detta ‘chimica’
dagli egizi e dai greci, ‘alchimia’ dagli arabi. Teofrasto Paracelso, «in hoc
genere ad miraculum usque excellens», le ha invece dato il nome di
‘spagirica’, un nome ben scelto poiché si tratta di σϖᾷν e ἀγείρειν, separare
e unire. Ci sono persone che ritengono sia essa l’unica scienza che merita il
nome di filosofia. Altre, al contrario, mosse da uno sciocco odio contro la
setta, stimano questi studiosi della Natura alla stregua di vivandieri,
soffiacenere e carbonai. Ma la chimica, aggiunge Zwinger, è in fondo una
scienza come le altre, che può essere coltivata di per sé o come scienza
ausiliaria, come avviene per l’arte dei metalli, per la follatura, per la cucina,
per l’arte medica e per la maggior parte delle attività artigianali:
Mechanici Opifices considerati secundum organum quo faciunt opus. Siue ad
illud utantur: igni. Opifices igniarii. Cuiusmodi sunt: […] Chymistae:
Chymistas eos uoco, qui in ignis corpora heterogenea soluere, homogenea
coagulare norunt, philosophiae naturalis in medium hominum uitam deducti non unius
generis coloni. Quemadmodum enim Vulcanus tripodas diuinos suapte sponte mobiles diis
apud Homerum, Ioui item fulmem, Apollini et Cupidini arcum et sagittas fabrefecit, sed et
diis ipsis pocula miscet, ex ipsius certe Iouis cerebro Mineruam sapientiae deam securis
obstetricatione elicit, hominibus insuper Pandoram illam uenustissimam simul e
perniciosissimam superum iussu confecit: sic quoque per omnes humanas actiones
Vulcania ars, quae ignis beneficio naturaem actionem aemulatur, in quibusdam etiam
superat, longe lateque diffunditur. Quae ut respectu Subiecti in lapidariam Metallicam,
Vegetabilem et Animalem diuidi queat: respectu Finis, cuius causa suscipitur, et
Metallorum. et Aurifabrorum, et Vitriarorum, imprimis vero Medicorum non honoraria
tantum, sed etiam uicaria pedissequa esse uideatur, eoque nomine ad alias atque alias
Mechanicorum opificum classes referri possit atque debeat: at hic tamen Instrumenti
ipsius, Ignis uidelicet, respectu, inter Igniarias artes merito collocabitur, propter
mechanicam ipsam tractationem: quae alioqui, si Theoriam spectes, non modo inter
Theoricas [scientias], uerumetiam Acroamaticas et epopticas referri mereatur, philosophiae
naturalis occultae magistra simul et discipula, maiestatem suam uenerando admirationis
arcanorum silentio tueri solita: ut qui hanc, praeter quam in iis, quorum euulgatio plus
commodi quam incommodi mortalibus affert, prophanare instituunt, sacrilegi nomine iure
postulari queant. Hanc ὰπὸ τῶν χυμῶν, Chymiam plerique appellarunt, sed recentiores:
Suidas et Cedrenus χημείαν, incerta notatione. An forte cum Plutarchus in Osiride,
Aegyptum sacra lingua a sacerdotibus Chemiam uocari scribat, uerisimile uideatur artem
istam iam ind ab Hermete Trismegisto sacerdotibus Aegyptiis familiarem, ad perpetuam
ortus sui memoriam Chemiae quasi Aegyptiae nomen tradisse, quam postea Arabes ab
Aegyptiis susceptam excoluerunt, et una cum philosophis Graecanica sensim Europaeo
orbi communicarunt, articulo, linguae suae familiari, auctiorem Alchchemiam appellantes.
Theophrastus Paracelsus popularis noster, uir in hoc genere ad miraculum usque excellens,
Spagiricam artem nuncupauit, non inepte fortassis deriuatione, quandoquidem ἐν τῷ σπᾲν
καὶ ἀγείρειν, in Extrahendo siue Separando, Congregando siue Coagulando tota occupatur.
Eam cum alii nimio studio solam philosophiae apellatione dignandam censeant, adeoque
superbo titulo sese eximie philosophos uocari uelint: alii econtra, inconsulto sectae odio
- 78 -
arcanis naturae scrutatoribus uix inter lixas et cinistones et carbonarios locum concedant,
quid de ea Gvl[ielmus ] Aragosius, in omni philosophiae et medicinae genere
uersatissimus, tanquam Plato futurus, instar omnium statuat, audiamus.
Aragosius da parte sua parlava di due tipi di chimica: la chimica naturale e
la chimica soprannaturale. L’una ha a che fare con i processi naturali che
occorrono immanentemente alle cose. Al chimico non resta in tal senso
altro che accelerare questi processi. L’altra concerne invece i processi che
hanno luogo al di fuori delle cose, nelle sfere superiori; i loro effetti si
mostrano tuttavia nella materia fisica, come se questa venisse ingravidata
da una forza superiore: questa forza prende il nome di ‘quintessenza’. Se il
chimico riesce a fare operare questa forza superiore nella materia, egli è in
grado di trasmutare materiali simili nella natura di questa materia:197.
Mechanicus proprie dicitur opifex eorum, quae manu et ingenio simul fiunt. Nam
in omni artis mechanicae opere, motus principium ab artificis ingenio desumitur. Manus
uero super materiam motum continuans, formam e potentia in actum (ingenio semper
duce) elicit: ac sola per se, instrumento conuenienti adiuta, opus ipsum perficit. In quo
opere artifex non considerat causas, sed habet usum exercitatum pro notione causarum.
Atque is absolute Mechanicus appellatur. Chymicus uero bifariam consideratur. Est enim
una pars Chymiae naturalis, altera uero supernaturalis. Ea quae naturalis est, habet motus
principium a natura, et ideo est essentialis in natura. Artificis uero manu, naturalis non est,
nec per se, nec per accidens naturam iuuat: materiam ita disponens , ut opus ipsum natura
citius, facilius ac perfectius ad finem deducat. Quod quidem opus, ultra limites naturae,
quae est rei perfectio, deduci et extendi non potest. Vnde patet, quod haec pars Chymiae
est naturalis et per se; sed qua parte iuuatur ab artificis manu, est per accidens mechanica;
ex parte uero ingenii ratiocinantis est physica. Ergo non mechanica. Iam quod ad alteram
Chymiae partem, quae supernaturalis est, habet illa motus principium a coelo, in materia
tamen physica et naturali praedicta, grauida facta a uirtute coelesti, quam essentiam
quintam appellant. Hanc materiam dum artifex physicus recte et ordine suo ingenio et
manu disponit, coelestis haec uirtus eam in suam naturam conuertit, eique talem uim
praebet, ut reliqua quae sunt sui generis aut speciei in suam naturam transmutet. Haec
igitur quatenus coelestis est ex parte agente, et ex materia in coelum mutata, est
supernaturalis et metaphysica: qua uero parte physici artificis ingenium operatur per causas
notas, est naturalis. Manus autem operatio, quae a motu supra naturam sumitur, diuina
potius quam humana, artis mechanicae umbram solummodo ostendit. Ex praedictis patet,
in quo genere uulgares Chymistae collocari debeant. Nam dum principia et causas notas
non habeant, nec ex certa arte in rebus praeparandis usum, sed per emendicata suffragia
opinionum, ignium et instrumentorum, tempus et carbones absumunt; tantum abest, ut
Chymistae physici aut metaphxsici dici possint, ut ne mechanici quidem nomen facile
mereantur. Qui uero in oleis, et reliquis partibus simplicium extrahendis ingenio et manu
ita exercitati sunt, ut ex rerum praeparandarum usu artem recte teneant, ii reuera sunt
mechanici, dum manu et ingenio simul operantur. Dum autem medicam artem exercent,
Empiricorum nomen habent. Qui uero talia ad causas et principia naturalia reducere
conantur, ex ingenio quidem in natura ratiocinante, physici per se, ex manus uero
operatione, mechanici per accidens proprie dici debent.
Zwinger non rifiuta nemmeno questo secondo genere di chimica; lo lascia
però a coloro che godono di una particolare illuminazione divina. Tra gli
esempi evocati nell’articolo egli scrive: «Hermes Trismegistus, Rex,
Sacerdos et Philosophus maximus, libris suis qui extant theologicis, passim
chemica mysteria aspergere videtur. Eruant qui possunt: poterunt autem ii,
quos aequus amavit Iupiter». E continua con una serie di esempi e
testimonianze tratti dalla Bibbia (nell’Arca di Noè, secondo i cabbalisti, si
sarebbero trovati libri di magia e alchimia; la descrizione della meretrice,
nel libro delle Ecclesiaste, conterrebbe i capitoli fondamentali della
197
Theatrum Humanae Vitae, ed. 1586, p. 3707.
- 79 -
trasformazione alchemica),198 dalla mitologia (l’Aurum vellus sarebbe stato
un libro membranaceo, rubato da Giasone perché contenente le ricette per
fare l’oro; la favola di Esiodo sul vaso di Pandora sarebbe una sciagrafia
della chrysopoeia), o dalla storia dell’alchimia e dalla bibliografia
alchemica, in cui si accenna, tra i molti altri, al sacerdote babilonese
Belesis, a Zosimo, a Blemmyda, a Geber, a Morieno, ad Avicenna e alla
Turba philosophorum, ad Arnaldo, a Lullo, ad Alberto Magno, a Pietro
Bono, a Bernardo Trevisano, a Cristoforo Parisiense, a Flammel, a
Tommaso da Bologna, Antonio da Abbazia, Iacobo Isaaco Hollando e agli
autori del Roman de la Rose e del Polyphilus, senza dimenticare i successi
più recenti, come la scoperta, a Padova, di un’urna con due antichissime
ampolle alchemiche colme di un liquido capace di fare ardere una lucerna
per molti secoli, oppure la storia delle trasmutazioni fatte a Venezia dal
farmacopola Antonio Tarvisino, nominato da Cardano e a cui Aragosius
fece visita nel 1550, durante il suo viaggio di studi in Italia.199
Ma quello che interessa Zwinger non sono tanto questi aneddoti,
quanto le nuove, immense prospettive che questa nuova scienza, poiché di
scienza si tratta, offre a tante delle attività umane, e in primo luogo alla
medicina.
Haec ille [Aragosius]. Quibus ut nos quoque calculum nostrum addamus, quod
illic de patrefamilias Plautus affirmauit, "In una esse unum dominum seruum domo", id
nos de arte ista pronunciare possumus, In una esse unam seruam Chemiam domo. Nam
praeter id quod Metallariis, Fabris omnis generis, Fullonibus, Coquis e Medicis
potissimum inseruit, siue Subiecti, siue Finis respectu consideretur, Catholica [i.e.
universalia] quaedam censeri poterit. Etenim quo ad Subiectum, circa Elementa occupatur:
Ignem uegetando; Aquam eliciendo; Lapides conflando; Vniones, Gemmas ad naturae
imitationem effingiendo; Metalla depurando, segregando, perficiendo: Stirpes producendo,
transformando; Animalia generando, foecundando, medendo. Quo ad Finem uero,
siquidem Rem effectam spectes, sic Vinum, Salem, Saponem, Succum pinguem,
glutinosum, liquidum, gelidum, Ignem, Aerem producit. sin Vsum, sic θρεπτική et
θεραπευτική, cum uel Alimentum uel Medicamentum, quo subtilius eo efficacius, tam
200
inanimatis quam animatis corporibus seggerere ac accommodare studeat.
Non era solo con i francesi che Zwinger aveva parlato di iatrochimica. Non
sappiamo a quando risalga l’avvicinamento con Bodenstein. La
Universitätsbibliothek di Basilea possiede un libro di Bodenstein con
dedica autografa a Zwinger dei primi mesi del 1577, 201 ma l’iscrizione
tombale redatta da Zwinger per Bodenstein lascia immaginare un’amicizia
di lunga data. Anche Michael Toxites fece avere a Zwinger verso la fine del
1576 il nuovo volume paracelsiano da lui curato, cosa di cui il latore del
198
Ivi., 3707: «Chamum certe Noacho patri in Arca libros Magiae naturalissuffuratum esse,
Cabalistae tradunt. An forte cum iisdem quoque libros Chemicos: quos primogenito suo
Mizraimo [..] tradiderit?» […] «In Meretricis certe descriptione Ecclesiasten capita praecipua
chymicae metamorphoseos persecutum esse, harum rerum periti autumnant».
199
Ivi, pp. 3707-3709: «Patauii ante aliquot annos mirabile Alcymicae artis argumentu inuentum
est. Vrna fictilis era, his inscriptis uersibus, ut reffert Paetrus Appianus in Antiquitatibus,
luculentius autem Bernardus Scardeonus in Historia Patauina: […] Intra hanc urnam reperta est
mirnor alia. qua aperta, duae ampullae inuentae sunt affabre elaboratae, altera ex argento, altera
ex auro, purissimo quodam licore plenae, quo lucerna adhuc ardens per multa secula conseruata
putatur […]».
200
Ivi, p. 3708.
201
Adam von Bodenstein, Herrlicher philosophischer Ratschlag, Basel 1577; «Clariss. viro D.
Théodore Zwingero Ad. a Bodenstein d. d. 1577»; vedi ora W. KÜHLMANN–J. TELLE, Corpus
Paracelsisticum, Bd. I. Der Frühparacelsismus, Erster Teil (cit., cap. 2, nota 4), p. OOO.
- 80 -
dono, il futuro medico primario della città di Berna, Joseph Blauner, si
meravigliò non poco:
Fui dies ante aliquot Hagenoae, visitandi D. Toxiten gratia. Vixi apud eum per
biduum, disseruimus deParacelso per horas aliquas acerrime: altero hominem illum ἄθεον
improbante; altero magis magisque doctrinam eius reuocante fortiter. Verum, amice et
humaniter. Hic, inquam, dogmatistes Michaël, cum me tui audiret familiarissimum, rogauit
obnixe, vt huncce libellum Theophrasti, ab eo pubblicatum E[xcellentiae] T[uae] mitterem.
Licet autem norim ante, E[xcellentia] T[ua] hominis illius demonstrationibus et scriptis
202
non vsque adeo affici, volui tamen, id a me praestitum, intelligat
Sui rapporti con il barone Johann von Kitlitz, che affidò a Zwinger la
custodia dei sui manoscritti alchemici, abbiamo riferito sopra. Zwinger
sembra essere stato in buoni rapporti anche con Georg Forberger, che aveva
tradotto per Perna alcuni trattati di Paracelso e che nel 1579 aveva
addirittura intrapreso l’allestimento di un’edizione completa in lingua
tedesca delle opere paracelsiane. 203
Con il compatriota Leonhard Thurneisser, invece, Zwinger era
entrato in contatto indiretto anche prima di conoscerlo personalmente nel
1578 a Basilea204 ed era restato con lui in rapporto epistolare. Egli riteneva
questo «malfamato alchimista» uomo d’ingegno e gran lavoratore: «Illum
alioqui non modo ut popularem sed uti virum ingeniosum laboriosum
plurimi facio. Neque me sectae diversitas vel a Theophrasto alienat, cum
veritatis Studium et experientiae fidem in omnibus laude dignam
202
Lettera di Blauner a Zwinger del 20. 10. 1576, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 28, n. 19. Su Blauner (e non Blaurer come avevo scritto nella redazione tedesca) vedi
H.G. WACKERNAGEL, Die Matrikel der Universität Basel, II, Basel 1956, p. 210. Il libro inviato
da Toxites a Zwinger era la sua edizione del De peste Philippi Theophrasti Paracelsi, des
hocherfahrnen Teutschen Philosophi, vnd beyder Arztney Doctoris, an die Statt Stertzingen
geschriben, Strassburg, N. Wyriot, 1576, cfr. K. SUDHOFF, Versuch einer Kritik I. Bibliographia
Paracelsica (cit. nota 17), pp. 294-295; vedi ora W. KÜHLMANN–J. TELLE, Corpus
Paracelsisticum, Bd. II. Der Frühparacelsismus, Zweiter Teil (cit., cap. 3, nota 3), p. OOO.
203
Lettera di Jacob Haun, un parente di Forberger, a Zwinger del 12. 8. 1583, Basilea,
Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 28, n. 116. Istruito probabilmente da Forberger, Haun
si rivolse poi a Zwinger come ad un fautore della filosofia ermetica, «Hermeticarum Musarum
fautori». Con «Musae Hermeticae»egli intendeva significare nella sua lettera lo studio dei segreti
della Natura e la dottrina dell’«incomparabilis vir Theophrastus Paracelsus, praeceptor nostrae
disciplinae venerandus». Su Forberger v. K. SUDHOFF, Versuch einer Kritik I. Bibliographia
Paracelsica (cit. nota 17), passim; RUDOLPH ZAUNICK, Der sächsische Paracelsist Georg
Forberger, ed. H.-H.-Eulner-K. Goldammmer (Kosmosophie, IV), Wiesbaden, F. Steiner, 1977.
Un anno più tardi Johann Weidner definirà Zwinger addirittura «Trismegistos»: «Spiritum
vitrioli tua manu factum, ῶ Τρισμέγιστε, postquam accepi, exultavit gaudio pectus meus. Itaque
et pro eo et pro eius conficiendi modo indicato gratum habeo», v. lettera di Weidner a Zwinger
del 24. 4. 1584, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 28, n. 384.
204
Sul Thurneisser si vedano bio- e bibliografia in W. KÜHLMANN–J. TELLE, Corpus
Paracelsisticum, Bd. II. Der Frühparacelsismus, Zweiter Teil (cit., cap. 3, nota 3), pp. 436-439;
sulla presenza di Thurneysser a Basilea v. P. H. BOERLIN, Leonhard Thurneysser als
Auftraggeber. Kunst im Dienste der Selbstdarstellung zwischen Humanismus und Barock, Basel,
Birkhäuser, 1976, pp. 124, 188. Che Thurneysser abbia davvero soggiornato a Basilea prima del
20. novembre 1578 (v. nota 205) è testimoniato da una lettera di Zwinger a Monavius, in cui egli
afferma di aver parlato con Thurneysser prima di questa data e di avere anche visto le tavole
dell’erbario. Probabilmente Thurneysser aveva portato con sé a Basilea alcuni esemplari della
sua Historia sive Descriptio Plantarum, uscita proprio nel marzo di quell’anno. La lettera di
Zwinger si legge in L. SCHOLZIUS, Consiliorum et Epistolarum Medicinalium Io. Cratonis Liber
secundus, Frankfurt 1592 (cit., nota 16), p. 350; IDEM, Epistolarvm Philosophicarvm,
Medicinalivm, ac Chymicarvm, edd. 1598/1610 (cit., nota 16), col. 471.
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iudicem»,205 ma già prima, nella prefazione scritta in nome di Perna per lo
Schreiben von den Frantzosen di Paracelso del 1° settembre 1577, Zwinger
aveva lodato Thurneisser pubblicamente con queste parole:
Ich wil nun geschweigen / was für andere Werck mehr (ob Gott will) in kurtzer
zeit an den tag kommen werden durch mittel des hochgelehrten herren Leonhardi
Turneisser zum Thurn / fleissigen nachuolger gedachtes Paracelsi / namlich neben andern
die Erkantnus mehrerleien Simplicium / deren tugendt Paracelsus mit seiner tewren kunst
im distilliren allein gefunden / vnnd menschlichem Cörper zu grossem heil in brauch
gesetzt / zu gleicher gestalt wie er zu grossem wunder mit den Mineralibus auch erzeigt. 206
(Non starò qui a dire quali altre opere stanno per essere pubblicate (se dio vuole)
dal dottissimo signor Leonhard Turneisser da Thurn, operoso seguace del pensiero di
Paracelso nella conoscenza, tra le altre cose, di molte varietà di semplici, la cui virtù è stata
riconosciuta solo da Paracelso grazie alla sua grande arte di distillare ed è stata da lui
applicata alla cura del corpo umano, nello stesso modo in cui egli ne aveva trovato
applicazione anche per i minerali).
L’autore della prefazione, cioè Zwinger, si riferisce all’Herbarium del
Thurneisser, che Toxites, pieno di aspettative, aveva annunciato come
l’Herbarium di Paracelso. Otto mesi prima della stampa di questa
prefazione, e precisamente il 3 gennaio 1576, Alexander Thurneisser aveva
inoltre scritto a Zwinger da Berlino, pregandolo di prestargli un testo di
botanica, la Stirpium historiae di Rembert Dodonaeus, di cui aveva
assolutamente bisogno il fratello Leonhard per un Herbarium che egli
aveva a sua volta progettato.207 Effettivamente poco dopo Zwinger inviò a
Berlino l’opera richiesta, porgendola a Leonhard Thurneisser come dono di
« buon anno». Dell’Herbarium si parla ancora in una lettera a Petrus
Monavius del 20 novembre 1578, in cui Zwinger dichiara di aver parlato
con Thurneisser («cum illo contuli quaedam») e anche di aver visto le
illustrazioni dell’Herbarium («Apparatum Herbarij vidi maximum, et
opinione grandiorem, icones plurimi, vt si nihil aliud in praesens,
φιλοπονίαν certe tantam laude dignissimam iudicem»).208 Thurneisser
aveva certamente portato con sé a Basilea alcuni esemplari della sua
Historia siue Descriptio Plantarum, uscita a Berlino nel marzo del 1578.
Cinque mesi dopo, il 23 marzo 1579, Thurneisser stesso scrive a Zwinger
una lunga lettera, in cui parla delle cose bellissime che ha «raccolto durante
i suoi numerosissimi viaggi, e non solo in fatto di erbe e di piante, ma
appartenenti anche a tutti gli altri dei regni naturali, e anche oggetti prodotti
dalle arti. Tutto questo, oltre all’Herbarium, che non mi costa certo poco,
205
Lettera di Zwinger ad Alexander Thurneysser, Berlin, Staatsbibliothek Preußischer
Kulturbesitz, Ms. Germ. Fol. 99, f. 192; non mi è stato possibile vedere le altre lettere di Zwinger
a Leonhard. Thurneisser, conservate a Berlino. Le lettere di Leonhard e Alexander Thurneissers
possedute dalla Universitätsbiblothek. Basel sono state pubblicate recentemente, cfr. BOERLIN,
Leonhard Thurneysser (cit. nota 201), pp. 182-189.
206
Vedi nota 85; LEANDRO PERINI, La vita e i tempi di Pietro Perna, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2002, pp. 336, 339. Perini nega recisamente, contro quanto io stesso avevo scritto,
che questa prefazione in lingua tedesca sia stata composta da Zwinger, e la attribuisce
completamente, in ogni sua parte, al «typographus» che la firma, cioè allo stesso Perna. Ma vedi
ora la mia risposta in W. KÜHLMANN–J. TELLE, Corpus Paracelsisticum, Bd. II. Der
Frühparacelsismus, Zweiter Teil (cit., cap. 3, nota 3), pp. 745-748, 750, 761-762, 764-765, 821,
e infra, Appendice II, pp. OOO-OOO.
207
BOERLIN, Leonhard Thurneysser (cit. nota 201), pp. 182-183.
208
Lettera di Zwinger a Monavius del 20. 11. 1578, in L. SCHOLZIUS, Consiliorum et
Epistolarum Medicinalium Io. Cratonis Liber tertius, Frankfurt 1592 (cit. cap. VI, nota 16), pp.
337-338; IDEM, Epistolarvm Philosophicarvm, Medicinalivm, ac Chymicarvm, edd. 1598/1610
(cit. cap. VI, nota 16), col. 470-471.
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vorrei poterlo pubblicare».209 Nella dedica prefatoria del suo
«Botanologicum» o Herbarium al re di Polonia, Stephan Báthory,
Thurneisser afferma di essersi attenuto prevalentemente al metodo di
Salomone, di Esculapio e, soprattutto, di Paracelso, «qui plantarum virtutes
iudicarunt, a visu, a comparatione, sympathia, antipathia, atque argumentis
naturae aliis». Thurneisser prende posizione perché nella distillazione delle
piante non ci si accontenti più solo di olii ed essenze – poiché si tratterebbe
in questo caso solo di un parergon (παρέργως) –, ma ci si spinga alla
ricerca delle «più nobili sottigliezze di tutte le cose naturali» («aller
Naturdinge edelsten Subtillitäten»), puntando non ai quattro elementi
classici («utpote Ignis Aeris, Aquae et Terrae»), ma ai tre principi («sed ad
Principia tria: Sal, Sulphur et Mercurium»), poiché «per mezzo della
distillazione le piante possono essere ridotte solo ad essi», cosa a cui
sarebbe arrivato per via sperimentale.210
Thurneisser ricopre un ruolo di primaria importanza anche nella
corrispondenza tra Zwinger e Joachim Camerarius d.J. Il 4 luglio 1580
Zwinger scrive a Camerarius:
Turneißerus cum redierit, specimen ὰρχυχείας suae exhibebit; idque adeo sponte
se facturum recepit. Habet interim uerisimilia quaedam, quibus ego nec adhibeo nec
derogo fidem. Non magis Academica quam Medica, hic Hippocratea ἐποχῄ cum apud
Empiricos εὐσχήμονος ἱστορίης σύνεσιν sed διεσπαρμένην latitare, Senex noster proferatur
et res ipsa doceat. Ingenio alioqui magno esse mihi persuadeo, et si literarum cultus
accessisset, maximo. Ita scilicet ἐάων δοτῆρες sua distribuunt munera. Non ego alioqui de
quoquam quicquam pronunciare temere uelim, ἡ δέ κρίσις χαλεπή αίπερ ἀνυπεύφυνος.
Neque ego quenquam iudico, qui meipsum iudicare nescio. Spem nuper fecisti Antimonii
Crystallini; si quid explorati, communica. Ego uicissim olei crystalli, nisi illud iam habes.
Genialibus tuis gaudiis ex animo congratulor, ὁμοφρούνην τε καὶ εὐτυχίην opto. De
Amuletis nihil explorati habeo: neque in tam controversis ueterum et recentiorum
opinionibus quid aut quem sequar uideo. τῷ ὄτι dubio τοῦ διότι. Non puto rationem
magnam esse habendam [...].211
Poiché questa lettera ci permette di gettare uno sguardo anche sul sempre
crescente scetticismo del naturalista basileese, ne riproduciamo il testo, così
importante per intendere le posizioni di Zwinger, anche in italiano:
La prossima volta che verrà [a Basilea], Thurneisser mi mostrerà un esemplare
della sua Magna Alchymia (pubblicata nel 1583), e ciò per suo volere. Dispone nel
frattempo di preparati che promettono grandi successi, ai quali non mi sento né di prestar
fede, né di non farlo. Preferisco astenermi dal giudizio, senza ricorrere in questo caso al
dubbio platonico più che a quello medico, in questo caso ippocratico, poiché so che il
giudizio certo sul singolo fatto (Historia) è a disposizione dei soli empirici, come scrisse il
nostro vecchio [Ippocrate nelle Praeceptiones] e la cosa stessa dichiara. Ritengo che egli
(Thurneisser) sia un grande intelletto, e se solo avesse coltivato le lettere, sarebbe uno dei
migliori. È così che coloro che dispensano la fortuna, distribuiscono i loro doni. Inoltre io
non desidero gettar lì, senza ragione, giudizi sull’uno o sull’altro, poiché la decisione è
209
BOERLIN, Leonhard Thurneysser (cit., nota 201), p. 187.
LEONHARD THURNEISSER, Historia siue Descriptio plantarvm omnivm, tam domesticarvm
qvam exoticarvm. Earundem cum virtutes influentiales, elementares, e naturales, tum
subtilitates, necnon Icones etiam veras, ad viuum artificise expressas proponens, s.l., s.t. [Berlin,
Hentzske], 1578, ff. )(4v-5r.
211
Erlangen, Universitätsbibliothek, Briefsammlung Trew, sub voce ‘Zwinger, Theodor’, n. 33.
Nella lettera seguente, del 13. 1. 1581, (ivi, n. 34) Zwinger accenna a un belga, originario cioè
dei Paesi Bassi, che si trovava allora a Norimberga e che aveva fama di chimista promettente.
Ma, messo in guardia da Thurneisser, chiede a Camerarius ulteriori informazioni su di lui:
«Audio apud uos Belgam quendam magnum (?) promissorem chymicum esse. Quid hominis?
ecquid praestat? Turneisserus mirificas eius pollicitationes ridet»; ciò significa che i due
basileesi erano ancora in contatto.
210
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difficile e sarebbe comunque irresponsabile. Come posso io giudicare qualcuno, se non
sono in grado di giudicare me stesso? Con il tuo antimonio cristallino hai suscitato in me
grandi speranze; se ne viene fuori qualcosa fammelo sapere, ti prego. Da parte mia potrei
farti avere olio di cristallo, se non lo hai già. Mi congratulo di cuore per la bella notizia e ti
auguro felicità e concordia. Di amuleti non ho alcuna esperienza, e in una questione tanto
controversa tra antichi e moderni non vedo davvero da che parte ci si debba schierare. Nel
‘quia’ dubito del ‘propter quid’. Mi sembra che la ragione non sia tanta, quanto si crede
[...].
- 84 -
VII Il paracelsismo di Zwinger
Almeno a partire dal 1578, la corrispondenza di Zwinger con paracelsisti e
alchimisti dalle tendenze più disparate viene a ricoprire una parte non
indifferente nel panorama dei suoi vasti scambi epistolari. Tra i suoi
corrispondenti troviamo infatti tra gli altri Johannes Rungius, Petrus
Monavius, Johann Weidner, Salomon Teichmann, Konstantin Oesler,
Wenzeslaus Lavinius, Petrus Severinus, Thomas Finck e, naturalmente,
alcuni dei suoi allievi, come Moffett o Baucinet. Esulerebbe dagli scopi di
questo lavoro esaminare nei particolari i rapporti di Zwinger con ciascuno
di questi personaggi. Ma vorrei aggiungere qualcosa a proposito del
carteggio con i primi due.
Nei confronti dello slesiano Petrus Monavius (Monaw, Monau),
futuro successore di Crato von Kraftheim come archiatra imperiale,
Zwinger mantenne da principio le distanze. Egli sapeva bene che tutto ciò
che gli avesse scritto, tanto a Breslavia che a Praga, molto presto si sarebbe
saputo in giro. Monavius aveva studiato a Basilea dal novembre 1577
all’aprile 1578. Dopo il suo ritorno a Breslavia egli aveva definito Zwinger
suo maestro («praeceptor colende»), affermando di ricordarsi spesso delle
sue parole: «che non fanno male coloro che al lato della scuola galeniana
prendono in esame con moderazione anche gli scritti di Paracelso».
Monavius, da parte sua, continuava a non capire perché un medico dovesse
adottare farmaci paracelsistici, derivati da principi che contraddicevano gli
insegnamenti degli antichi e che erano dunque a buon diritto respinti.
Chiedeva però a Zwinger che, nonostante tutto, gli facesse sapere quali libri
di Paracelso fosse preferibile leggere e in che modo ciò dovesse essere
fatto.212
Caeterum, quia ex te saepius audire memini: Haud male facere eos, qui prudenter
Galenicae scholae Paracelsica scripta associant, ne forte incautus aberrem, Te magistro
vehementer scire desiderem: Quid potissimum ex illis (quos posterius nominavi)
discendum statuas. Et quos quorum libros prae caeteris, qua vero via ac ratione legendos
existimes. Vix enim mihi persuadeo, te insanam illorum maledicendi libidinem probasse,
qua sine discrimine omnia a veteribus recte tradita velut sus conspurcant, et foede pedibus
proterunt. Quod si vero etiam principia communia reiicimus, quae cum prisca philosophia
tanquam ex diametro pugnant. quomodo tandem principiata, h.e., ex illis deducta,
recipiemus? Fortasse igitur faciendum est hoc, quod [Vergilius] Maro se facere respondit,
cum Emmium in manu haberet. Vide ut aurum e stercoribus Paracelsi et asseclarum
colligamus. Sed qui consilium abs te peto, nihil ipse persuasum habeo.
Zwinger aveva prudentemente risposto che il metodo migliore da adottare
era quello che permette di distinguere il vero dal falso. Quanto all’ordine in
cui leggere i testi, Zwinger riteneva di non essere quel gran saggio che
Monavius e alcuni amici ritenevano: bisognava esaminare tutto il bosco, per
poterne trarre il meglio.213
212
Lettera di Monavius a Zwinger del 24. 9. 1578, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 28, n. 217. Su Peter Monau vedi ora ANDOR TARNAI, Soziale Existenz und
Gelegenheitsdichtung im Späthumanismus, in A. BUCK - T. KLANICZAY (edd.),
Sozialgeschichtliche Fragestellungen in der Renaissanceforschung (Wolfenbütteler
Abhandlungen zur Renaissanceforschung, 13), Wiesbaden, Harrassovitz, 1992, pp. 83-95:86-89.
213
Lettera di Zwinger a Monavius del 20. 11. 1578, in L. SCHOLZIUS, Consiliorum et
Epistolarum Medicinalium Io. Cratonis Liber tertius, Frankfurt 1592, pp. 337-338; IDEM,
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De Theophrasteis quaeris, qua legenda methodo? ea nimirum, qua vera a falsa
discernitur. Quo ordine? Vt ingenue fatear, vel tantus Doctor (vt tibi et nescio quibus aliis
amicis videor) tantillum ignoro […] Ergo ne quid elabatur, perpetua indagine tota sylua
concludenda, et Enniano more optima quaeque retinenda. Nam vt nihil aliud, εὐσχήμονος
certe ἱστορίας σύνεσιν ἐν αὐτέοισι διεσπαρμένην εἶναι[cognitionis enim elegantis scientia
apud hosce dispersa reperitur] de Empiricis loquens Hippocrates verissime affirmauit. 214
Naturalmente Monavius non si accontentò di questa scarna risposta, e
proseguì chiedendo quale fosse il metodo per distinguere il vero dal falso
«in Theophrasticis». Egli sapeva che Zwinger aveva con il suo acume rotto
il ghiaccio nei confronti dei testi paracelsiani ed era ora in grado di indicare
agli altri un cammino sicuro per orientarsi in quella giungla. Oltre a questo,
Monavius chiedeva a Zwinger un giudizio su Severinus e su Dorn. 215
Satis tu quidem et docte et caute de methodo legendi scripta Paracelsi et
asseclarum ejus, respondes. Verum ego me tam perspicacem et solertem non esse libenter
fateor, ut ex hac nonnihil obscura brevitate assequi possim omnia. Iam enim amplius
quaeram: Quae nam illla via sit et ratio, sive methodus, qua verum et falsum in
Theophrasticis ab se invicem discernere liceat? Quod si enim iudicium syncerum de aliqua
re ferendum est, ut illam prius exacte teneas, plane requiritur. At ego me hic ἀναλφάβετον
esse fateor, et prima ignorare principia. Unde ergo illa discam, aut quo tandem ordine?
quae κριτήρια erunt, ad quae non intellecta examinem? Vel tuo periculo cautior esse cupio.
Scio enim te istam glaciem, qua es ingenii felicitate, perfregisse; et aliis iter jam tutum per
horridas et incultas senteis monstrare posse. Cur igitur lumen de tuo lumine accendere
nolis, cum nihilominus tibi luceat, cum alii accenderis? Editus quidem est ante annos
aliquot Liber Argentorati excusus, qui duplicis onomastici Philosophici nempe et Medici,
deinde etiam Paracelsici nomen prae se ferunt: sed cum ego cupide in hunc involarem, et
mihi familiarem reddere vellem, non potui tamen, quae saepe requisivi, in eo invenire […]
Si tibi id molestum non est (nosce enim minime dubito) vel uno me verbulo submoneas,
errantem in viam comiter deducas. Ego nec materiarum, nec literarum, aut certe alicuius
linguae rationem illam haberi video. Meminit collector, sub finem praefationis ad lectorem,
cuiusdam Indicis, quem ego accurate circumspectansnusquam tamen deprehendere valeo.
Adde etiam, quaeso, corollarii vice, quid tibi de Severino dano, aut Gerardo Dorn videatur,
et uter ex iis sanius et rectius philosophetur? Sunt quaedam et huius et illius penes me, sed
nondum satis illis fidei habeo. Tuo judicio plane acquiescam […] De Thurneysero non
incommode pronuncias. Credo facile, te aut tui similes non ita promte moveri aut
perturbari eiusmodi novorum scriptorum farraginibus: sed quid aliis interim accidit
minorum gentium diis, quibus Aureus ille ramus divinobeneficio nondum obtigit? An vero
homini etiam non erat habenda ratio aliqua?
A queste richieste Zwinger risponde in maniera evasiva. Certo Monavius
riteneva che egli avesse dedicato gran tempo allo studio di Paracelso. Ma
non era così, e dunque egli non era in grado di illustrare agli altri un ambito
a lui stesso poco conosciuto. Non era del resto cosa sua elogiare il modo di
pensare di Paracelso o dei suoi seguaci, semplicemente perché egli non lo
intendeva. Trovava invece grandiosa la loro abilità nella preparazione dei
medicamenti, e di grande utilità per l’arte medica. Ma questo, di nuovo, non
significava che egli cadesse ora nell’altro estremo, dichiarando inutili tutti i
medicamenti degli antichi:
Epistolarvm Philosophicarvm, Medicinalivm, ac Chymicarvm, edd. 1598/1610 (cit., cap. VI,
nota 16), col. 470.
214
Monavius non riuscì a identificare questo passo d’Ippocrate (Praeceptiones o Παραγγελιαι,
13, 12-13) e chiese nuovamente delucidazioni a Zwinger, cfr. infra, nota 213. Il greco di
Zwinger presenta notevoli varianti, annotate già a suo tempo da E. Littré, cfr. HIPPOCRATE,
Oeuvres complètes (cit. nota 140), vol. IX, pp. 268-271.
215
Lettera di Monavius a Zwinger del 19. 2. 1579, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 28, n. 218.
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Quae tu ad me de Paracelsi scriptis, tanquam ad eum qui multum studii atque
temporis in iis collocant, scribere videris. Quod cuma me sit alienum, ignotae regionis
commonstrator esse nequeo. Atque vt λογισμόν illius vel sectatorum non magnifacio,
neque enim intelligo: sic τριβὴν eorundem cum Hippocrate in praeparatione praesertim
medicamentorum facio plurimi, cum ad vsum medicum egregie conferre videam: neque
tamen ea intemperie, vt iicirco veterum medicamenta omnia respuenda censeam […]
Locus de Empiricis apud Hipp[ocratem], commen[tariis meis] Praeceptionum [13, 12-13]
extat, sub finem [ed. Zwinger, pp. p. 99, 113].216
Monavius non era riuscito a rintracciare nelle opere di Ippocrate la
citazione sugli ‘Empirici’ cui si accenna nella lettera e Zwinger la riprende
nuovamente rinviando al suo commento, in cui egli scriveva, che è grazie
all’esperienza storica e singolare di questi medici empirici che i medici
metodici sono in grado di dedurre nuovi principi teorici:
Experientia enim ista, quam [Empirici] opere ostendunt, utilis est tum a) Medicis
methodicis siue dogmaticis, quoniam ex hac Empiricorum experientia historica et
singulari, occassionem sumunt ondagandi rationem eorum, quae ignorant, uniuersalem
[…] b) Aegris. Vt enim quam maxime Empirici isti sint imperiti, μεθ' ὑστέρησιν δογμάτων
ἱστορίης, [per la loro ignoranza della storia dei dogmi] quoniam praeceptorum cognitione
carent: arttamen hortor medicos dogmaticos, propter salutem aegri, ut in morbis difficilibus
illorum τριβὴν, hoc est, experientiam non negligant. Vt enim methodum dogmaticam ex
historiis singularium depromtam non habeant, habent tamen experientiam singularium, et
curant aliquando morbos empirica analogismo, licet curae suae rationem per epilogismum
methodicam siue dogmaticam reddere nequant. Purus certe empiricus melior est, uel
Aristotelis testimonio, puro dogmatico: quod hic aliquos, licet sine arte, ille nullos
nunquam curat. […] Vtilis est obseruatio ista Medico dogmatico: Nemo enim dogmatum
uarietatem uere ex historia singularium intelligere poterit, nisi operi uel ipse manum
adhibeat, uel adhibentibus aliis mentem accomodet. Videtur paranomasia ludere: Nemo
Methodi ἀτρέκειαν [verità esatta] percipiet, nisi Experientiae ἀτρεμεότητα (h.e.
certitudinem et fidem) adhibeat.217
(Infatti l’esperienza che gli [empirici] dimostrano con le opere, è utile a) ai Medici
metodici o dogmatici, poiché dall’esperienza storica e singolare degli empirici possono
trarre occasione per indagare la ragione universale di tutte le cose che ignorano […] b) ai
Malati, [per comprendere] quanto questi empirici siano imperiti μεθ' ὑστέρησιν δογμάτων
ἱστορίης, per la lor ignoranza della storia dei dogmi. Per la salute dei malati esorto
nondimeno i medici dogmatici, affiché di fronte a malattie difficili non trascurino la
τριβὴν, cioè l’esperienza di quelli. Sebbene infatti [gli empirici] non possano trovare
pronto nelle storie dei singoli il metodo dogmatico, tuttavia essi acquistano esperienza dei
singoli casi e talvolta curano le malattie per analogismo empirico, pur non essendo in
grado di render conto della ragione metodica o dogmatica della propria cura per
epilogismo. Perfino secondo la testimonianza di Aristotele un puro empirico è certamente
meglio di un puro dogmatico: il primo infatti, pur non conoscendo l’arte, può riuscire a
curare qualcuno; l’altro non riesce a curare mai nessuno. […] Questa osservazione è utile
al medico dogmatico: nessuno infatti può comprendere veramente dalla storia dei singoli
casi la varietà dei dogmi senza aver messo mano egli stesso all’opera, o senza aver adattato
il suo pensiero a quelli che lo fanno. Sembra un gioco paranomastico: nessuno è in grado
di cogliere la ἀτρέκειαν [ verità esatta] del metodo, se non ricorre alla ἀτρεμεότητα (cioè la
certezza e veridicità) dell’esperienza.)
Quanto al libro di Severinus, Zwinger riteneva che il danese fosse
senz’altro uomo di acuta intelligenza e giudicava la sua Idea Philosophicae
Medicinae il migliore dei libri paracelsistici. Nonostante la sua dichiarata
volontà di voler essere libero nella sua filosofia, egli mostrava però di
216
Lettera di Zwinger a Monavius del 23. 3. 1579 in L. SCHOLZIUS, Consiliorum et Epistolarum
Medicinalium Io. Cratonis Liber tertius, Frankfurt 1592, p. 339; IDEM, Epistolarvm
Philosophicarvm, Medicinalivm, ac Chymicarvm, edd. 1598/1610 (cit., cap. VI, nota 16), col.
471-472.
217
Th. ZWINGER, Hippocratis Coi Viginti duo Commentarii Tabulis illustrati (cit. nota 123), p.
113.
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essere asservito ancora ad una autorità, quella di Paracelso, di cui egli
esaltava anche ciò che era detestabile. Questa era una prova in più di quanto
fosse difficile mantenere la giusta misura. Severinus era troppo dotto per
essere compreso dai paracelsisti, e anche troppo profondamente critico per
essere accettato dai medici. In ogni caso Zwinger riteneva giustificato il suo
tentativo di derivare la dottrina di Paracelso dai fondamenti
dell’insegnamento ippocratico.
Seuerini Dani ingenium magnum iudico, et Idaeam eius ad Paracelsi scripta plus
quam ullius alterius conferre arbitror. Caeterum seruit etiam ille auctoritate, et dum
libertatem philosophicam praesentat, ipsas quoque Theophrasti sordes extollit. Vsque adeo
difficile est modum tenere. Doctior vero ille est, quam ut a Paracelsi discipulis vel legi, vel
intelligi possit: seuerior, quam vt nostri illum admittant, studium interum Theophrasteae
opinionis ex principiis Hippocratis deducendae nec ineptum, neque malum in quibusdam.
218
Sed haec alii iudicent. […]
Il giudizio della storia coincide esattamente con quello di Zwinger. Walter
Pagel indica nel medico e filosofo danese Peter Sørensen alias Severinus
(1542-1602) «il più genuino ed affidabile», e «il più chiaro espositore e
seguace della filosofia paracelsiana».219 Della stessa opinione era stata
anche la maggior parte tanto dei sostenitori che dei detrattori di Paracelso.
Nel 1572 Thomas Erastus aveva diretto quasi esclusivamente contro
«quidam Paracelsicus», cioè contro Severinus pur non facendone
naturalmente il nome, la seconda parte delle sue Disputationes de medicina
nova Paracelsi.220 Francis Bacon, da parte sua, nel Temporis partus
masculus del 1605 si rivolgeva a Paracelso in questi termini:
Invideo tibi (Paracelse) e sectatoribus tuis unum Petrum Severinum, virum non
dignum qui istis ineptiis immoriatur. Tu certe, Paracelse, ei plurimum debes, quod ea quae
tu (asinorum adoptive) rudere consueveras, cantu quodam et modulatione, e gratissimo
vocum discrimine, jucunda et harmonica effecit, et mendaciorum odia in fabellae
oblectamenta traduxit.221
Ancora maggiore era stato l’entusiasmo che l’opera di Severinus aveva
suscitato a Venezia, presso un intimo amico di Paolo Sarpi, il medico e
diplomatico ugonotto francese Pierre Asselineau. 222 In due lettere del 20
gennaio e del 15 marzo 1593 «e Lacunis Venetis» a Jacob Zwinger, allora
studente a Padova e allievo dell’aristotelico Zabarella, Asselineau metteva
in guardia il figlio «magni illius Theodori» dall’attenersi a concetti come
«materia», «forma»» e «privatio», esistenti solo nell’intelletto e non certo
nella Natura, e lo rimandava alla teoria dei semi di Severinus, la migliore
spiegazione, secondo il medico francese, dei principi che Paracelso era
riuscito ad individuare nella Natura:
Et huiusce seminae Theophrastum authorem, ut severum illum antiquae philosophiae
propugnatorem Severinum imitatorem habeo, et maius quod dicam certe non habes [...]
218
Lettera di Zwinger a Monavius del 23. 3. 1579 (come nota 5).
WALTER PAGEL, The Smiling Spleen: Paracelsianism in Storm and Stress, Basel, Karger,
1984, pp. 17-27.
220
THOMAS ERASTUS, Disputationum de nova Philippi Paracelsi medicina pars altera. in qua
philosophiae Paracelsicae principia et elementa explorantur, Basel, Perna, 1572, p. 5 e passim;
J. SHACKELFORD, Early Reception of Paracelsian Theory: Severinus and Erastus, in «Sixteenth
Century Journal», XXVI, 1995, pp. 123-135; CHARLES D. GUNNOE, JR., Thomas Erastus and the
Circle of Anti-Paracelsians (cit. nota OOO), pp. 127-148, cit. 137-139.
221
The Works of Francis Bacon (cit. nota 54), vol. 3, p. 533; P. ROSSI, Francesco Bacone. Dalla
magia alla scienza, Torino, Einaudi, 19742.
222
Su P. Asselinau vedi PAOLO SARPI, Opere, a cura di G. e L. COZZI, Milano-Napoli 1997, 10 f.
219
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Severinum vero ita veneror, ut primigeniae, et incorruptae philosophiae restauratorem,
fidelemque huius interpretem iure existimem. 223
Severinus era nato nel 1540 o 1542 a Ribe, nello Jütland, e aveva
studiato all’università di Copenaghen, dove, appena ventenne, aveva tenuto
alcune lezioni sulla poesia latina. Tra il 1562 e il 1571 intraprese tre viaggi
di studio che lo portarono rispettivamente in Francia, in Germania e in
Italia, e da cui fece ritorno con il titolo di dottore in filosofia e in medicina.
Fino alla sua morte, avvenuta nel 1602, ricoprì l’incarico di medico di
corte.224 Severinus fu di certo il primo paracelsista che praticò la medicina a
Venezia (e con successo, come testimoniano le sue prime biografie).225
Quando e dove egli sia divenuto paracelsista, non ci è però noto. È tuttavia
molto verosimile che egli abbia intrapreso la stesura dell’Idea Medicinae
Philosophicae già a Padova, presso la cui università egli venne
223
Basilea, Universitätsbibliothek, Ms. Frey-Gryn. II 28, nn. 10-11: Lettera di Pierre Asselineau
«Al Molto Magnifico Signor et Patron mio sempre optatissimo, Il Signor Giacomo Zuingero
gentilhuomo Todescho, In Caza delle Chiozotte al potzo depeinto. Padoa», del 20 gennaio 1593:
«[...] Primum tria principia Paracelsica esse simplicissima, quia in rerum natura nihil datur actu
simplicius, nec corpora istis simpliciora ad rerum generationem concurrunt; tria enim principia
Aristotelica mentis solum agitatione capiuntur; et quatuor elementa, cum sint corpora, non
possunt miscere, nec concurrere ad cuiuslibet rei generationem, nisi virtute aliorum elementorum
spiritualium, quae ab aliis magis corporei emanant, et in tribus illis principiis primo resident,
tanquam in mediis coporibus, et spiritualibus, quibus vescuntur seminariae rerum rationes
Platonicae (corpus divinum, diversum ab elementis, vocat Aristoteles δυνάμεις, seu θερμὸν
Hippocrates; Quintam Essentiam nigri philosophi (absit invidia nominum) et Theophrastus,
mosaicae disciplinae sectator, Balsamum, Sulphur Vitale, Elixir, Materiam Perlatam, Quintum
elementum, et mille huiusmodi nominibus, ut in hanc mundanam scenam prodeant, et fatum
suum expleant; adeo ut elementa haec nullam novam mixtionem molliantur, sed tantum eam
suscitent, quam Deus in seminum compositione ex generatione verbo indidit mundi initio [...]».
Lettera di Asselinau a lo stesso Jacob Zwinger del 15 marzo 1593: «[...] Et huiusce seminae
Theophrastum authorem, ut seuerum illum antiquae philosophiae propugnatorem Seuerinum
imitatorem habeo, et maius quod dicam certe non habes. Illum enim Mosaicae disciplinae
sectatorem vere possum appellare, cum totam suam doctrinam e christianae religionis principiis
et fundamentis hauserit, nihilque quod illis aduersetur (modo omnia eius uerba debito rectoque
sensu capiantur) unquam protulerit, ideoque huic tantum tribuo, ut cum eo comparem paucos,
anteponam certe neminem: Severinum vero ita veneror, ut primigeniae, et incorruptae
philosophiae restauratorem, fidelemque huius interpretem iure existimem. Utinam aeque in praxi
ac in theoria, sed non omnibus licet adire Corinthum. Ad tuam Peripateticam opinionem redeo,
quae tam abest, ut Paracelsicae suffragetur, et hac vicissim illi (ut uis) at potius e diametro sibi
invicem repugnent [...]».
224
Su Severinus vedi K. SUDHOFF, Ein Beitrag zur Bibliographie der Paracelsisten im 16.
Jahrhundert (cit. nota 51), pp. 402-403; A.G. DEBUS, ‘P. Severinus’, in C.C. GILLESPIE,
Dictionnary of Scientific Biography, XII, 1975, 334-336; E. BASTHOLM (ed.) & H. SKOV
(transl.), Petrus Severinus og hans Idea medicinae philosophicae. Idea medicinae, Odense 1979;
JOLE SHACKELFORD, To Be or Not To Be a Paracelsian. Something Spagyric in the State of
Denmark, in G. SCHOLZ WILLIAMS & CHARLES GUNNOE (edd.), Paracelsian moments. Science,
medicine and astrology in early modern Europe, (Sixteenth century essays and studies, 64),
Kirksville, Truman Press, 2002, pp. 71-92; IDEM, A Philosophical Path for Paracelsian
Medicine. The Ideas, Intellectual Context, and Influence of Petrus Severinus: 1540 – 1602;
Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 2004. Per nuovi aspetti della ricerca sul Severinus si
veda ora HIROSHI HIRAI, Le concept de semence dans les théories de la matière à la
Renaissance: de Marsile Ficin à Pierre Gassendi (Ph.D. Thèse, Université de Lille III, 1999, di
prossima pubblicazione nella ‘Collection de travaux de l’Académie internationale d’histoire des
sciences’, Turnhout, Brepols); vedi anche il mio saggio Paracelsismo per filosofi: Petrus
Severinus, in C. GILLY – C. VAN HEERTUM, Magia, alchimia, scienza dal ’400 al ’700: l’influsso
di Ermete Trismegisto (cit., cap. I, nota 1), vol. I, pp. 219-240; vol. II, pp. 128-130.
225
JOHANN MOLLER, Cimbria Literata sive scriptorum ducatus utriusque Slesvicensis et
Holsatici, quibus et alii vicini quidam accensentur, Historia literaria tripartita, vol. I-III,
Kopenaghen, G.F. Kisel, 1744, I, p. 623.
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immatricolato nel 1566. L’ipotesi è sostenuta dal fatto che dei quattro
contemporanei esplicitamente citati nell’Idea oltre a Paracelso (Fernel,
Montanus, Falloppio, Fracanzani), ben tre erano professori di medicina a
Padova; di Antonio Fracanzani, inoltre, Severinus non solo frequentò le
lezioni, ma assistette, sembra (Idea, 207), alla sepoltura († 27 gennaio
1567).
Nella dedica dell’Idea a Federico II di Danimarca, redatta a Firenze
il 1° novembre 1570, Severinus afferma di essersi dedicato allo studio della
medicina e della filosofia «ab ineunte aetate» e di essersi presto anche reso
conto del fatto che i teoremi galenici tradizionali (per tacere dei rimedi) non
erano di alcuna efficacia nel caso di malattie gravi. Dopo aver sentito più
volte fare gli elogi di alcuni medicamenti paracelsiani durante il suo viaggio
in Germania, egli afferma di essersi immerso con fervore nella lettura degli
scritti di Paracelso e di essersi così dapprima trovato davanti a difficoltà
insuperabili e manifeste contraddizioni che egli aveva cercato di vincere
con l’ostinazione, con veglie notturne e instancabile studio, lavoro
ininterrotto, viaggi pericolosi e non poche spese. Un fedele esercizio nelle
diverse preparazioni lo aveva infine portato a conoscere gradualmente la
natura delle qualità, diversità e composizione delle cose. In seguito egli si
era dedicato alacremente all’osservazione della loro origine e riproduzione.
Aveva quindi intrapreso, e con grande vantaggio, lo studio degli antichi (di
coloro, cioè, che nella prefazione venivano indicati come «antiqui
Sapientes» e «prisci Philosophi»), che avevano descritto la storia naturale,
le proprietà degli elementi e dei semi, l’agricoltura, il corso delle stelle e il
processo di generazione delle piante, dei minerali e degli animali. Proprio
negli insegnamenti degli antichi Severinus afferma di avere trovato la
spiegazione per il principio d’ordine, la pluralità dei significati e i metodi
della «vitalis Astrologia», di cui Paracelso fa uso in tutta la sua filosofia e
nella sua medicina.
Chi Severinus intendesse esattamente parlando degli «antichi» cui
ricondurre le dottrine paracelsiane si può evincere dalla lettera fittizia a
Paracelso (Epistola scripta Theoprasto Paracelso), che Severinus fece
stampare a Basilea da Henricpetri alla fine del 1570 come prodromo alla
sua Idea:
Balsami supranaturalis et corporis supercoelestis conditiones et officia, de quo
agis in omnibus tuis contemplationibus Magicis et Cabalistiscis, ab eodem Hermete, trinae
Philosophiae Monarchae, ab Orpheo, Pythagora, Platone, Synesio, Iamblico, Plotino,
Proclo, Porphyrio et reliquis Platonicis descripta vidimus, quamvis alta et profunda
varietate ex sacris fontibus proprietates dictas plenius explicasti. 226
Tuttavia nella Idea Medicinae Philosophicae questi e altri garanti di
Paracelso (come, per esempio, Marsilio Ficino) venivano citati a stento,
poiché si trattava, in realtà, di sostituire in blocco la medicina di Galeno,
dominante ormai da secoli, e per fare ciò Severinus aveva bisogno di
appoggiarsi ad autorità ancora più antiche, e di statura maggiore, tanto da
poter essere accettate da tutti i medici. Una tale autorità gli si presentò
226
P. SEVERINUS, Epistola scripta Theoprasto Paracelso, in qua ratio ordinis et nominum
adeoque totius Philosophiae Adeptae Methodus compendiose et erudite ostenditur, Basileae,
Heinrich Petri, 1570, f. b2v.
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infine nella figura dell’unico medico dell’antichità cui lo stesso Paracelso
aveva tributato illimitata ammirazione: Ippocrate.227
Nella breve introduzione storica sulla nascita e il progresso dell’arte
medica che Severinus premette al primo capitolo dell’Idea, Ippocrate viene
presentato come il più eminente dei medici dell’antichità che sulla base di
un’esperienza diretta erano penetrati nel profondo della natura e con
ininterrotta osservazione avevano gradualmente appreso dalle cause e dagli
effetti il segreto della preparazione artificiale e il ruolo dei semi invisibili
(«ad Naturae penetralium proprius accedentes, invisibilium seminum
artificiosas lithurgias [...] paulatim deprehenderunt»). Le generazioni di
medici successive ad Ippocrate, al contrario, scrive Severinus,
considerarono noiosa questa «laboriosa experientia» e si misero alla ricerca
di metodi e dimostrazioni scientifiche delle cose, che solo la Natura invece
può misurare. In tal modo la vera medicina prese ad allontanarsi
gradualmente dalle cose e dall’esperienza diretta che se ne può avere,
facendosi mero gioco di parole o caccia ad ipotesi astratte («tum vero
paulatim migrare coepit vera Medicina in linguas, relictis rebus ipsis ac
observationum fide, Hypotheses quaerere coeperunt [...] senectentibus
Experientiae laboribus, maturescentibusque linguae honoribus, altiores
radices egerunt»). Assolutizzate le qualità come caldo, freddo, umido e
secco, le differenze di grado vennero arbitrariamente quantificate in numeri,
creando così in medicina un metodo grazie al quale tanto l’infermità che la
cura possono venire definiti facilmente per via deduttiva. L’esperienza
(«unica madre e nutrice della medicina») è dunque caduta sul campo e
coloro che, obbedendo agli ordini di Ippocrate, ancora la seguivano, sono
stati disprezzati come empirici. Se Ippocrate in sé non è stato toccato, la sua
dottrina è stata però tanto arbitrariamente distorta, da fare di lui, e contro la
sua volontà, per quasi millecinquecento anni il patrono di una medicina
ipotetica e sofistica come quella galenica. Fu infatti Galeno che con ferrea
diligenza, ma «geometricorum more», riunì in un sistema conchiuso di
assiomi e teoremi le ipotesi correnti più disparate della medicina del suo
tempo. Così riassume Severinus:
Tutte le cose derivano dai quattro elementi, in diversa composizione secondo
massa specifica e peso; la simmetria del composto significa salute, l’asimmetria porta, al
contrario, infermità e morte. Azioni e forze vengono tutte dai quattro elementi, dalla cui
specifica composizione dipendono anche forma specifica e esistenza propria di ciascuna
cosa. Vale il principio fondamentale che «contraria contrariis curantur», cioè il caldo col
freddo e l’umido col secco. Da queste qualità primarie si deducono anche le qualità
secondarie, sulla base delle quali Galeno, con l’introduzione dei suoi quattro umori e della
dottrina dei gradi, dichiara di aver trovato l’origine e causa di tutte le malattie fondamentali
insieme ai loro sintomi e ai rimedi adeguati. Una tale, comoda, brevità e semplicità ha fatto
sì che in seguito – «neglectis aliorum placitis et medendi rationibus» – Galeno restasse
unico «dux» e «monarcha medicinae» [...]. Gli altri medici e filosofi, che (sulle orme di
Ippocrate) non avevano dimenticato l’origine divina della medicina e continuavano a
servire un’arte medica di grande efficacia, si ritirarono nella solitudine, disdegnando la
fama tra la moltitudine, lasciando scritti oscuri ed enigmatici tanto da venire dimenticati
completamente dalle moltitudini. Essi non vengono per questo ricordati nemmeno nelle
opere di storia. Essi hanno però lanciato dei semi imperituri che dureranno per sempre
227
PARACELSUS, Defensiones septem (vedi nota 59), ed. J. HUSER, vol. II p. 158-159; ed. K.
SUDHOFF, vol. XI, p. 125-126; PARACELSUS, Septem Defensiones. Die Selbstverteidigung eines
Aussenseiters, Übertragung und Einführung von Gunhild Pörksen mit einem Reprint der
Ausgabe Basel 1589, Basel, Schwabe, 2003, pp. 38-41; THEOPHRAST VON HOHENHEIM detto
PARACELSO, Contro i falsi medici: sette autodifese, a cura di MASSIMO LUIGI BIANCHI, Roma,
Laterza, 1995.
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propagandosi senza sosta. Sulle loro tracce il celebre Teofrasto Paracelso («Theophrastus
ille Paracelsus») ai suoi tempi ha trasformato radicalmente l’intera medicina. 228
Severinus non dimenticò affatto di citare anche il vero motivo per il quale
la medicina di Galeno (e non, appunto, quella di Ippocrate) aveva potuto
assumere un monopolio così duraturo ed esclusivo presso greci, romani e
arabi, tanto che un’obiezione ai suoi insegnamenti assumeva la valenza di
un’eresia. Il motivo risiedeva, giustamente, nella compatibilità e nella
stretta affinità della dottrina galenica con i principi e la filosofia di
Aristotele, poiché entrambe scaturivano dalla stessa fonte, e cioè dal
tentativo di forzare in categorie logiche il complesso della natura vitale
(«Iliadus», nella terminologia di Paracelso) e di scomporlo secondo principi
geometrici:
Haec et similia, opinionum tot saeculorum memoria conservatam, custodiunt ac
tuentur, repudiatis haeresibus tam recentibus quam antiquis. Aristotelica quoque Principia
et Philosophia, Galenicis domestica sunt ac consanguinea, ab uno eodemque fonte
deducta: Iliadi Anatomiam Geometricis partitionibus adaptare conantur. 229
La vera medicina di Ippocrate, al contrario (questo quanto dimostrato da
Severinus nel fondamentale capitolo VIII «De generatione rerum
naturalium et seminum mechanica lithurgia» sulla base di una serie di
citazioni greche dal corpus ippocratico) non ha nulla a che fare con queste
sofisticherie logiche, ma collima con la più degna filosofia del grande
medico, e cioè con la «Prisca Philosophia»:
Huiusmodi loca in scriptis Hippocratis passim occurrentia, si diligenti Mentis
iudicio conferantur, et artificiosa Analysi actionibus Naturae Medicinaeque adaptentur,
obscuritate sublata, palam facient fundamenta Medicinae Hippocraticae a Galeno vel non
intellecta, vel impia immutata fuisse inhumana invidia. Immensa gloriae cupiditas, qua
ubique turget, primum arbitrari iubet. Atque haec est vera et genuina sententia
Hippocratis, priscae Philosophiae consentanea, et tanto Philosopho digna.230
È solo questo l’Ippocrate che occorre considerare, secondo Severinus,
originale:
In Summa, nos hunc Hippocratem (Orphei, Democriti, Hermetis, Heracliti,
Parmenidis, Platonis decretis insistentem) genuinum agnoscimus. 231
Severinus sapeva bene però che l’inserimento di Ippocrate tra le file degli
«antiquae, veteris et sacrae Philosophiae alumnos» avrebbe incontrato le
resistenze dei suoi colleghi medici, pronti a mettere in dubbio l’autenticità
dei testi ippocratici piuttosto che a prendere congedo dall’immagine
dell’Ippocrate di stampo galenico («galenicum Hippocratem») cui erano
abituati. Per questo Severinus ricorda loro, che tutti i libri da lui citati
vengono dichiarati autentici dallo stesso Galeno (il fatto che la maggior
parte degli scritti che costituiscono il Corpus hippocraticum, composti
attorno al 400 a.C., non siano da attribuire a Ippocrate non era noto
all’epoca, e non gioca qui del resto alcun ruolo). È importante per noi che
Severinus, per la prima volta nella storia della medicina, fosse in grado di
scoprire la fondamentale incompatibilità tra medicina ippocratica e
medicina galenica, e, al tempo stesso, di documentare fino in fondo
l’affinità filosofica della prima con le dottrine dei presocratici, degli
228
P. SEVERINUS, Idea medicinae philosophicae, Basileae, Heinrich Petri, 1571, ff. a2r-4r.
Ivi, p. 6.
230
Ivi, p. 94.
231
Ivi, p. 95.
229
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ermetici e dei platonici (e, in ultima istanza, di Paracelso). Questa
operazione gli costò naturalmente la riprovazione della medicina ortodossa.
Erastus si mostrò indignato di fronte al libro spudorato di «un certo
paracelsista» («Impudens iactantia cuiusdam Paracelsici»), che aveva osato
dichiarare Ippocrate dalla sua parte («Hippocratem quoque in partes suas
traducere»). L’archiatra imperiale Crato von Craftheim, che Severinus era
andato a trovare a Spira nell’agosto 1570 durante la Dieta, scriveva pieno di
indignazione a Zwinger:
Venerunt ad me quatuor Theophrasti et querulantes et impudentia instructi. Ac
inter eos Petrus Severinus Danus ex Hippocratis libro de veteri Medicina persuadere
conabatur, pluris istum cum doctrina Theophrastica congruere, cum Hippocrate morbum
segregandum definiat. Quinetiam ubi Hippocratem unquam Theophrastus nominasset
atque posuisset principium. Interrogabam quid esset Febris Hectica. Ille mihi
inflamationem sulphuris in cerebro ortam respondit. Non potui absque summa indignatione
ista audire; itaque inhumanius otium quam doctos homines solvo, illos a me dimisi, et
sanam mentem precatus sum. Mira ille se ex Oporinica audivisse et falsum scripsisse
Jociscum item aiebat. Ea quae in Oratione tua sunt, conficta aut ex malevolentia deprompta
affirmabat. Pergunt in Italiam et secum nescio quas Panaceas quibus facillimam omnium
morborum curationem pollicentur ferunt. Ego mihi ab istis hominibus non minus quam a
Theologis cavere soleo. Pessimos enim vita eos esse quosdam et bonis viris cavendus,
reipsa comperi.232
Lo stesso Theodor Zwinger, che, studiando Ippocrate, era giunto a risultati
simili a quelli di Severinus, nei suoi Hippocratis Coi Asclepiadeae gentis
sacrae coryphaei viginti dvo commentarii Tabulis illustrati del 1579 non
ritenne opportuno citare esplicitamente il danese, pur riservandogli
indirettamente delle lodi in più di un luogo e dandogli pienamente ragione.
Ciò non rimase un segreto, come informa nel 1584 da Padova il matematico
danese Thomas Finck in una lettera allo Zwinger:
Theoriae novae semina atque fundamenta in Hippocrate latere, tecum Severinus
asserit.233
Nell’ultima lettera diretta a Monavius, Zwinger scriveva ancora, oltre che di
Severinus, anche di Johann Runge (Rungius): «Rungii familiaritatem vtor, a
quo etiam ipse non verear quin etiam discere cupiam». 234 E in effetti, molto
più familiare di quella con Monavius era la corrispondenza di Zwinger con
Runge, allora medico ordinario della città di Stettino. Al contrario dello
slesiano, Runge era un appassionato studioso di Paracelso, sempre alla
ricerca di nuove sintesi. Libero com’era da ogni pregiudizio, Zwinger aveva
riferito a Monavius di essere in corrispondenza con Runge, dal quale, non si
vergognava a dirlo, sperava di poter apprendere qualcosa, come del resto
non avrebbe avuto remore a fare anche da donne anziane («si res ita ferat,
vel a vetulis nos discere non pudeat») che avessero potuto aiutarlo sulla via
delle nuove conoscenze. Con Runge Zwinger intrattiene la sua
corrispondenza più ricca e più intima. I due si scambiano esperienze su ogni
tipo di autori ed esperimenti chimici, ed è proprio Runge ad avvicinare
232
Lettera di Crato von Kraftheim a Zwinger, Spira, 20 agosto 1570, Basilea,
Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 8, n. 460. Sulle informazioni di Abdreas Jociscus a
proposito di Oporino e Paracelso vedi C. GILLY, Die Manuskripte in der Bibliothek des Johannes
Oporinus. Verzeichnis der Manuskripte und Druckvorlagen aus dem Nachlass Oporins anhand
des von Theodor Zwinger und Basilius Amerbach erstellten Inventariums. Hommage à François
Secret (Schriften der Universitätsbibliothek Basel 3), Basel, Schwabe, 2001, pp. 13-14, 32-34.
233
Lettera di Thomas Finck a Zwinger del 7. 12. 1584, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 4, f. 100.
234
Lettera di Zwinger a Monavius del 23. 3. 1579 (come nota 212).
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sempre più Zwinger a Paracelso, riconoscendo in lui l’unico in Europa ad
essere in grado di dare formulazione teorica alla nuova scienza. Per questo
egli invita più volte il basileese a ricondurre i «fenomeni dell’esperienza» a
un sistema di teoremi, così da non aver più nulla da temere da parte della
logora autorità delle scuole, e potersi quindi sottomettere unicamente alla
giusta censura della natura:
Cognoui te φιλοσφραγήματα strenue persequi et quod fert natura ingenii tui
felicissimi numquam laboribus parcere, quin abstrusas sapientiae latebras eruas. Utinam
φαινὸμενα ἐμπειρίων liceat aliquando ad θεωρημάτων canonem reuocare,et non tam
pertritam Scholarum formidare autoritatem, quam Naturae reuereri censuram aequiorem.
Vnus doctrina, iudicio, dexteritate, aetate, gratia caeterisque pollis dotibus, quibus bene
emereri de Musis nostris queas et errorum fibras uniteratas rescindere cum pleno exactoque
235
epichiremate rerum euidentium.
Zwinger non visse così a lungo da poter realizzare questo progetto. Il suo
contributo è però costituito dalle praelectiones medicae, pubblicate con il
titolo di Physiologia medica eleganti ordine conscripta, rebusque scitu
dignissimis, THEOPHRASTI item PARACELSI totius fere Medicinae
dogmatibus illustrata.236 Chi, leggendo queste pagine, non riesca a
riconoscervi il grande ammiratore di Paracelso, non deve dimenticare che si
tratta di lezioni aperte a tutti gli studenti, e che Zwinger era particolarmente
restio a comunicare le sue convinzioni più intime, e ancor più di fronte ad
un pubblico inesperto di giovani uditori. Nelle sue lezioni Zwinger non
manca però di lodare Paracelso non solo come chimico, ma anche come
medico e filosofo, tanto che Jacob Zwinger, nel pubblicare l’opera del
padre, ritenne opportuno esplicitare pubblicamente nella prefazione la sua
distanza dalle posizioni paterne.237
Dalla sua cattedra di medicina teorica all’Università di Basilea
Zwinger aveva appreso che Paracelso era stato il primo a fare emergere
dall’oscurità alchimistica le basi di una farmacologia soprattutto efficace,
sottoponendola alle leggi di un nuovo metodo. Quindi, come Ippocrate era
stato il più illustre medico greco, e Avicenna il più illustre medico arabo,
così Paracelso era il più illustre medico tedesco. Per quanto alcune delle
formule dei suoi preparati fossero state riprese da fonti precedenti, come per
esempio Isaac Hollandus o addirittura Ermete Trismegisto, restava fermo
che egli aveva rielaborato tali formule secondo il metodo chimico per
divulgarle poi nel linguaggio del popolo. Con grande ingegno e seguendo le
orme di Ippocrate, l’intenzione di Paracelso era stata quella di ridurre ogni
cosa al suo metodo, basato principalmente sulla similitudine e l’armonia fra
i diversi livelli della realtà. Ippocrate aveva dato vita al suo metodo logico
analizzando con stupefacente impegno innumerevoli storie di malati; sulla
235
Lettera di Rungius a Zwinger del 5. 2. 1584, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 28, n. 321; sul carteggio di Rungius con Zwinger vedi MARIE-LOUISE PORTMANN, Theodor
Zwingers Briefwechsel mit Johannes Runge. Ein Beitrag zur Geschichte der Alchemie im Basel
des 16. Jahrhunders (cit. nota 161), pp. 154-163.
236
THEODOR ZWINGER, Physiologia medica eleganti ordine conscripta, rebusque scitu
dignissimis, THEOPHRASTI item PARACELSI totius fere Medicinae dogmatibus illustrata
Basileae, Sebastian Henricpetri, 1610. L’opera fu pubblicata postuma da Jacob Zwinger, ma era
già conclusa agli inizi del 1587. Il 31. 1. 1587 il copista di Zwinger, Basilius Lucius, spediva
infatti da Mulhouse a Basilea la trascrizione dell’ultima parte dell’opera: «Praelectionum tuarum
medicarum, Cl. D. Doctor, partem residuam, quam mecum habui, tibi descriptam remitto»,
Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 9, n. 249.
237
ZWINGER, Physiologia medica (cit. nota precedente, f. ):(5v.
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base di osservazioni proprie Paracelso, da parte sua - sempre secondo
Zwinger - aveva scoperto il nuovo metodo chimico:
Methodus: non per contraria, sed per similia morborum remedia fieri asserit, quae
similitudo per Anatomiam vel non naturalem deprehendatur, vel naturalem. 238
E per quanto provocatorio questo potesse apparire, secondo Zwinger nella
maggior parte dei casi il nuovo metodo non era in contraddizione con
quello logico. Dobbiamo dunque essere grati a Paracelso per ciò che ci ha
saputo offrire, aggiunge Zwinger in greco, dobbiamo cercare di perdonargli
omissioni ed errori, invece di confutarlo con tanto scandalo. 239
Quasi un terzo della breve storia della medicina tracciata da Zwinger
nell’ottavo capitolo del De Medicinae Speciebus, è dedicato ad una
presentazione sistematica della medicina paracelsiana.240 Egli giustifica tale
sproporzione in ragione della grande fama di cui la setta paracelsista gode,
della fama degli studiosi che in quelle dottrine si sono riconosciuti, e,
soprattutto, del gran numero di farmaci riscoperti grazie a Paracelso:
Chymicorvm recentiorum secta a Paracelso constituta et promulgata est. Cuius
quidem paucis delineanda erit sciagraphia, vel propter sectae ipsius famam et
existimationem, vel propter doctorum etiam hominum, qui nomen illi dedere,
existimationem, vel propter id maxime, quod multa et quidem praeclara medicamenta e
tenebris in lucem produxit.241
Naturalmente sarebbe stato preferibile, secondo Zwinger, che Paracelso
avesse offerto il suo contributo al perfezionamento dell’antica medicina,
invece di dar vita a una nuova setta. Va d’altra parte riconosciuto che
Paracelso ha scritto molte sciocchezze, alle quali certo per molti non è
possibile non replicare, trattandosi di un uomo che ha voluto far cadere la
maggioranza dei filosofi dal loro piedistallo. Di qui il grande numero di
avversari implicati nella polemica, e, tra questi, Erastus. Ma coloro che
ricercano la verità piuttosto che la lotta contro una setta, devono riconoscere
che Paracelso ha svelato molti segreti della Natura dando nuovo lustro
all’arte medica. Grandi risultati, da non lasciarsi sfuggire solo perché
vengono da Paracelso, e anzi veri regali della natura, che Paracelso ha
scoperto.242
Il problema risiedeva in realtà, secondo Zwinger, nei molti pregiudizi nei
confronti di Paracelso e nell’ignoranza riguardo al suo metodo e alla sua
opera in genere. Esistono persone, afferma Zwinger, che si ritengono
eccelsi paracelsisti solo per il fatto di aver prodotto con successo ed
efficacia qualche preparato chimico, pur senza avere idea della filosofia
paracelsiana; ed altre, al contrario, che condannano Paracelso senza avere
chiaro in realtà nemmeno ciò che gli vogliono rinfacciare. È per questo
motivo che Zwinger ritiene opportuno riordinare l’intera medicina
paracelsiana secondo il criterio metodico di Ippocrate, in modo tale che i
suoi studenti possano avere un quadro chiaro della fisiologia, eziologia,
semiotica e terapeutica paracelsiana. 243 In fisiologia – scrive Zwinger –
Paracelso parte dal principio che l’uomo è un microcosmo. Il medico deve
238
Ivi, p. 90.
Ivi, pp. 56 sg.
240
MARIE-LOUISE PORTMANN, Paracelsus im Urteil von Theodor Zwinger, in «Nova Acta
Paracelsica», n.s., II, 1987, pp. 15-32.
241
Ivi, pp. 79-80.
242
Ivi, pp. 81sg.
243
Ivi, p. 82.
239
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dunque cercare di conoscere innanzi tutto la natura del macrocosmo, e
applicare poi questa sua conoscenza anche all’uomo. Nell’uomo in quanto
microcosmo non è possibile riconoscere direttamente le parti del
macrocosmo: queste vanno indovinate per mezzo delle segnature o esperite
per mezzo dell’analisi chimica. Al contrario di Ippocrate, Paracelso non dà
peso all’anatomia locale e deride la teoria degli umori. Giunge talvolta a
negare addirittura che gli umori esistano, mentre talvolta ne accetta
l’esistenza, pur negando, nello stesso tempo, che essi abbiano alcuna
funzione nelle malattie. Secondo il suo modo di vedere, sono le forze
spirituali a indirizzare le funzioni umane. A questi «spiriti meccanici» egli
attribuisce la trasmissione delle forze curative dei medicamenti, anche
senza che questi vengano assunti o, addirittura, visti. Quanto alla patologia,
per Paracelso le malattie non sarebbero da ricondurre ad alterazioni delle
funzioni corporee, ma alla struttura doppia dell’uomo, che conterebbe in sé
tanto i semina della salute che quelli della malattia. In eziologia si distingue
tra rimedi naturali e sovrannaturali: i primi si ottengono attraverso l’analisi
chimica e sono costituiti dai tre «principia» (sale, mercurio, zolfo), dalle
cose naturali (piante, animali, minerali e pietre) o dai quattro elementi, in
quanto «matres» delle «scientiae» nascoste in essi. I remedia sovrannaturali
vengono somministrati dall’immaginazione magica di ciascuno, dalla fede
o per mezzo di angeli e spiriti. Anche nell’ultimo caso si tratta comunque di
medicina naturale, che raggiunge però il corpo per via soprannaturale.
Quanto alla terapeutica, Paracelso sostiene che la guarigione non avviene
per mezzo di una neutralizzazione della malattia da parte dei medicinali che
le si oppongono, ma grazie all’uso di farmaci dello stesso tipo, poiché
malattia e medicamento sono in realtà la stessa cosa. Tutte le malattie sono
in ultima analisi guaribili; se la cura non ha successo, l’errore sta nel
medico: la Natura ha pronto il giusto rimedio per ogni malattia.
Non una sola parola polemica contro Paracelso o le sue dottrine
offusca la presentazione che ne fa Zwinger. E rare sono le note di critica di
fronte a contraddizioni evidenti; rare d’altra parte anche le parole di assenso
nel riportare dottrine che Zwinger condivideva pienamente: egli trasmette ai
suoi uditori i tratti fondamentali della medicina paracelsiana con una
competenza e un’obiettività che solo in tempi recenti si è stati nuovamente
in grado di garantire.
Tale lucidità non sfuggì a molti suoi contemporanei, come
testimonia l’elogio che il giovane Matthias Vechner, futuro medico del re di
Polonia, inserì in una dissertazione tenuta all’Universita di Marburg due
anni dopo la stampa della Physiologia medica:
Vnicus Zuingerus Pater p[iae] m[emoriae] Hercules doctrinarum Germanicus vere
admirabilis, nervum causae videtur tangere, quando ex analogia lapidis ad metalla
imperfecta, de ejusdem ad corpora humana habitudine arguit. Ita enim in Prosceniis
Physiologiae ait [...] Ecce quam modeste hypothetica dubitatione opinationem suam
profert, quam alii pro rata et certa identidem ingeminant. Ne vero quis tanti viri authoritate
temere abutatur, pace beatissimorum Manium breviter respondebo. 244
244
MATHAEUS VECHNER, ΑΝΑΚΕΦΑΛΑΙΏΣΙΣ ΤΥΠΙΚΗ΄ Therapeutices catholicae, Narturae
ἐνδείξες ad Archetypum Pnanaceae et Hygiae conformata. Quam A.D.T.O.M. Inclitae
Mauritaniae Academiae [...] Pro Redimenda Laurea Apollinari [...] profert, [Marburg] P.
Egenolph, Anno JUDICIUM [1613], f. G2r.
- 96 -
Al contrario della silloge di Oswald Croll, entusiastico paracelsista ,
la più diffusa introduzione alla dottrina di Paracelso fino all’Illuminismo, 245
la presentazione che Zwinger dà della medicina di Paracelso potrebbe
comparire come capitolo della biografia scritta da Walter Pagel.246
Negli studi moderni su Zwinger si è sostenuto che nella
presentazione del basileese riecheggia un rifiuto delle teorie paracelsiane, e,
al tempo stesso, il pieno dissenso di Zwinger di fronte ai dissacranti attacchi
di Teofrasto contro la medicina antica.247 Tanto è calzante questo secondo
giudizio, tanto falso è il primo. Certamente nella Physiologia Medica
Zwinger mise in guardia i suoi studenti dal rifugiarsi nella medicina magica
– e con questo egli intendeva una parte dell’insegnamento di Paracelso -,248
ma certamente il confronto con altre scuole mediche si conclude sempre a
favore di quest’ultimo. Zwinger aveva fatto sua perfino la dottrina
paracelsiana degli elementi, con una sola restrizione, e cioè che essa
apparteneva in prima istanza alla scienza generale della Natura e non alla
medicina. Oggetto della medicina non sono secondo Zwinger le tre sostanze
prime – sale, mercurio e zolfo – in cui tutti i corpi si risolvono per
corruzione «(ut) ipsa docet experientia». E ancor meno lo sono i concetti
aristotelici di materia, forma e privazione. Questi ultimi sono solo concetti
logici, mentre i primi indicano i principi a partire dai quali si forma l’uomo
245
OSWALD CROLL, Basilica Chymica, continens philosophicam propria laborum experientia
confirmatam descriptionem et usum remediorum Chymicorum selectissimorum e Lumine gratiae
et naturae desumptorum (cit., nota 21), pp. 3-110. La Praefatio Admonitoria di Croll fu
considerata per tutto il XVII secolo la migliore introduzione all’universo intellettuale di
Paracelso. Della Basilica Chymica furono pubblicate numerose edizioni latine, ma anche
tedesche, francesi e inglesi, cfr. W. KÜHLMANN & J. TELLE (edd.), OSWALDUS CROLLIUS,
Ausgewählte Werke, vol. I: De signaturis internis rerum. Die lateinische Editio princeps (1609)
und die deutsche Erstübersetzung (1623) (Heidelberger Studien zur Naturkunde der frühen
Neuzeit, 5), Stuttgart, F. Steiner, 1996, pp. 254-274. Ancora Diderot indicava in Croll l’uomo
che aveva ridotto a sistema la dottrina paracelsiana («Oswald Crollius reduisit le paracelsisme en
Système»), e nel suo lungo articolo su Paracelso e i teosofi egli non fece in realtà altro che
riprendere passi interi dalla Praefatio, senza bisogno di cenni ulteriori (v. Encyclopédie ou
Dictionnaire Raisonné (cit. nota 82), vol. XVI, pp. 255-258.
246
WALTER PAGEL, Paracelsus. An Introduction to Philosophical Medicine in the Era of the
Renaissance, Basel, Karger, 19822; IDEM, Das medizinische Weltbild des Paracelsus. Seine
Zusammenhänge mit Neuplatonismus und Gnosis, Wiesbaden, Steiner, 1962; IDEM, The Smiling
Spleen. Paracelsianism in Storm and Stress, Basel, Karger, 1984.
247
J. KARCHER, Theodor Zwinger (cit., nota 11), pp. 43-45.
248
ZWINGER, Physiologia medica (cit. nota 25), pp. 70-71. Zwinger non nega che accanto alla
medicina naturale possa esistere anche una medicina soprannaturale («nec sensu nec ratione
humana adinventa, sed indicio intelligentiarum communicata»). Non accetta tuttavia l’opinione
di Paracelso, secondo cui tutta la medicina viene rivelata all’uomo attraverso gli spiriti: «Nugatur
in eo Paracelsus, quod totam Medicinam a spiritubus homini revelatam asserit: adeoque veteres
illos Philosophos a spiritubus deceptos, pro nucleo corticem tantum accepisse. Se solum et
primum ex Naturae lumine Medicum et Adepta philosophia illustratum, veritatem ipsam
docere». Paracelso aveva ritenuto che fossero stati gli spiriti a portare alla luce l’arte («nun
offenbar worden dem liecht der natur, das die geist die künst haben an tag bracht», De causis
morborum invisibilium, ed. Sudhoff IX, 346), ma pensava anche il contrario (Liber de artium
inventione, ed. Sudhoff 14, 251-252, ed. Huser, IX, 164-165). Ciò da cui Zwinger voleva
preservare i suoi allievi era soprattutto la commistione tra astrologia e medicina, sotto cui spesso
vedeva celarsi una magia gravemente fuorviante. Per scongiurare questo pericolo, bisognava
accontentarsi di muoversi entro i confini naturali: «Accidit vero frequenter, ut qui summo artis
Studio tenentur, si Naturae solius adiumentis non sint contenti, quaestus interim gloriaeve
desiderio excellere prae caeteris cupiant, ad vetitas artes conuertantur: utque latere rectius
possint, laruam sibi nobi(li)ssimarum, duarum scientiarum, Medicinae scilicet et Astrologiae, ad
simplices decipiendos, circumponant».
- 97 -
e in cui esso si risolve dopo la morte, ma non certo l’uomo concreto, che
vive nel presente.249 I principi della medicina sono invece quelli che cadono
sotto i nostri sensi quando siamo di fronte all’uomo vivente, la cui
salvaguardia genera l’uomo sano, e il cui danneggiamento genera il malato:
solido e liquido, corpo e anima, funzioni organiche e funzioni psichiche.
Perché il corpo umano, conclude Zwinger con Plutarco, è come una grande
società a strati diversi, o meglio ancora un microcosmo, che contiene in sé
ogni cosa: «Compendium universi et microcosmum quendam in quo
analoga quaedam universitatis rerum reperiuntur, cum in hominem tanquam
in centrum creaturae reliquae omnes destinentur». A sostegno di ciò
Zwinger non aveva bisogno di ricorrere a Paracelso: «id quod Plato in
Tymaeo et Hippocrates in libro de Diaeta docuere».250
Ritengo fuorviante chiedersi se Zwinger sia stato un paracelsista. Le
risposte che possono seguire - che Zwinger fu seguace di Paracelso, ma con
alcune riserve (A. Burckhardt); che fu un acceso galenista, pur senza
respingere del tutto Paracelso (Sudhoff); che non fu paracelsista né con né
senza riserve, ma soltanto neutrale critico di Paracelso (Karcher); o
piuttosto che fu uno dei più severi e rabbiosi nemici di Hohenheim (Weber)
-,251 ci mostrano a sufficienza che impostare la questione in questi termini
non può farci approdare a nulla. Zwinger non era seguace di una particolare
scuola medica, ma piuttosto di un certo metodo nell’esercizio della
medicina. Tale metodo era quello dell’esperienza, postulata da Ippocrate e
applicata da Paracelso, come Zwinger riteneva – giustamente – di aver
scoperto. Per questo egli poteva raccontare a Paul Hess, suo allarmato
compagno di studi negli anni trascorsi in Italia: «Theophrasto experientiae
nomine multum tribuo». Egli non intendeva però assecondare né coloro che
volevano veder trasformata tutta la medicina in chimica, né coloro che
restavano ancorati al vecchio metodo e condannavano ogni rinnovamento,
senza averlo provato. Egli del resto non riteneva affatto che le sue opinioni
sulla nuova empiria e sul vero metodo in medicina si distanziassero in alcun
modo dal metodo ippocratico:
Et haec mea de empiria noua (si modo chimia noua est) et vetere medicinae
252
methodo sententia est, ab Hippocratis, coryphaei nostri, praeceptis neutiquam aliena.
Alcuni dei suoi amici furono in grado di comprendere fino in fondo la
posizione di Zwinger, come è il caso del matematico danese Thomas Finck,
che da Padova gli scrive:
Theoriae novae semina atque fundamenta in Hippocrate latere tecum Severinus
asserit..
253
249
Ivi, p. 187 sg. Zwinger aveva già avuto occasione di esporre e discutere queste idee su
metodologia medica nel lungo carteggio con il vecchio compagno di studi Georg Horst: «Sed id
vnum semper tenendum: ut ibi incipiat Medicus, ibi desinit Philosophus. Ergo vtrum
Elementorum tractatus ad Medicam pertineat, et quatenus pertineat, non immerito ambigitur.
Hippocrates certe in libro peri arxwn, de Elementis agit, de Calore et Humore multiplici, quorum
bneficio miscentur et generantur omnia. Sed de iiis vt Phisiologus agit, non vti Medicus », cfr.
lettera-risposta di Zwinger «ad quintam Horstii» del 1. 8. 1575, Basilea, Universitätsbibliothek,
Frey-Gryn. II 28, n. 130b-c.
250
Ivi, p. 193 sg. Sull’adesione di Zwinger alla dottrina del microcosmo rimando il lettore al
capitolo OOO di questo lavoro.
251
E. WEBER, Johann Arndts Vier Bücher (cit. nota 50), p. 34.
252
Lettera di Zwinger a Hess del 15. 4. 1581, in L. SCHOLZIUS, Epistolarvm Philosophicarvm,
Medicinalivm, ac Chymicarvm, edd. 1598/1610 (cit., cap. VI, nota 16), col. 467.
- 98 -
Molti altri, al contrario, non riuscirono a nascondere la loro delusione e il
loro scontento. Alla lettera citata poc’anzi, Paul Hess rispose che Zwinger
avrebbe dovuto quantomeno guardarsi dal citare il nome di Paracelso o
prenderne le difese in pubblico, per non essere unanimemente giudicato
ateo e ignorante da parte di persone erudite e pie:
Placuit mihi sententia tua vere (vt ita loquar) media quae nec probat nec damnat
per omnia Theophrasteam Empiriam. Sed vt libere quod sentio scribam, quod tibi summo
philosopho minime displicere poterit, nollem te nominatim Paracelsi patrocinium
suscipere, quem boni ac Docti Viri vno ore veluti ἄλογον καὶ ἄθεον iampridem damnarunt.
Qui eum sequuntur et magnifaciunt, agyrtarum e impostorum partes tuentur potius, quam
254
vt in Medicorum numerum adscribi debeant.
Ancor peggio era il caso di Crato von Kraftheim. Nel 1584 Moffett,
l’allievo di Zwinger, aveva pubblicato a Francoforte il De iure et
praestantia chemicorum medicamentorum Dialogus Apologeticus, un testo
in cui egli faceva definitivamente i conti con Erastus e gli «antichimici»,
richiamandosi ripetutamente a Zwinger e ad Aragosius. Crato von
Kraftheim se l’ebbe a male per un’osservazione ironica dell’inglese a
proposito del suo antico odio nei confronti della chimica255 e per questo si
rivolse a Zwinger con parole molto severe: lui (Crato) sarebbe impallidito
all’idea che un uomo come Moffett potesse presentarsi come suo allievo!
Questi definiva chimico perfino il Cristo. Lo aveva forse imparato da
Zwinger? o da Aragosius?
Hoc reticere non debeo, Anglum Mufettum, insignem iniuriam mihi facere, cum
me tanquam Chymiae hostem et oppugnatorem publice traducit, qui in multis
Rebuspublicis et Aulis, cum nominis mei iactura, Chymica medicamenta sum tutatus. Nihil
ante quadraginta annos Oleorum destillatorum, nullum extractum, nullus succus hic in
Pharmacopoliis est repretus. A me autem ita et Pharmacopaei et Medici beneficio Dei
successu medicationis edocti, ut nunc ubique parent atque iis vtantur. Idem et Viennae et in
aula Caesarea ne factitasse et plurimum aduersationis expertum, verissimum est. Insaniam
vero Paracelsicam, quae Summos in arte Medica magistros, imo artem ipsam Medicam
propter Arcana sua, ut appellat, contemnit, et nouam nobis e fumis Medicinam fabricat,
atque discentes a bonis autoribus ad fornacesablegat, omnem denique seculi nostri
excellentiam deiicere studet, ut sua medicamenta extollat, nunquam probaui. Artem enim
ipsam Hippocrati et doctrinae Methodicae Galeni acceptum ferre, ut eruditum Medicum
oportet, Ita Paracelsisa somnia tot verborum falsitatis inuolucris tecta […] Gloriose
Mufettus praedicat se Antichymicos sublimes accepturum et Dialecticorum stimulis
confecturum, cum totum illius scriptum sit ἀσυλλογιστόν, puerilibus parallogismis
plenum, ac nugatoris argumentis refertum. Qua uero sit Philosophiae cognitione praeditus,
multa aperta sunt indicia. Christum Protophilosophum et Chymistam fingit. Non arbitror
hoc te uel Arragosium illus docuisse […] Qua uero Philosophia, vbi de vita, de sensibus et
de actione medicamentorum ita loquitur, ut nihil possit dici ineptius. Haechne docuit illum
.256
Arragosius? Certe exalbescerem si hic homo discipulum meum se profiteretur
253
Lettera di Finck a Zwinger del 7. 12. 1584, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II
4, n. 100.
254
Lettera di Hess a Zwinger del 21. 5. 1581, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II
28, n. 119.
255
THOMAS MOFFETT, De ivre et praestantia chymicorvm medicamentorvm Dialogus
apologeticus. Accesservnt etiam epistolae quaedam medicinales ad medicos aliquos conscriptae,
Frankfurt, Wechel, 1584, p. 45 (ed. in Theatrum Chymicum, Argentorati 1659-1660, vol. I, p.
85). Il libro è dedicato a Petrus Severinus.
256
Lettera di Crato von Kraftheim a Zwinger del 19. 1. 1585, Basilea, Universitätsbibliothek, ms.
Frey-Gryn. II 28, f. 52. La lettera è stata pubblicata da Scholzius (Epistolarvm Philosophicarvm,
Medicinalivm, ac Chymicarvm, edd. 1598/1610 [cit., cap. VI, nota 16], col. 237-240); ma invece
dello inglese Moffet si accenna a uno in essa l’inglese Moffet non viene nominato, ma si accenna
a un «communem amicum nostrum». Per una prima prima protesta contro Moffet vedi la lettera
- 99 -
Tre settimane dopo Crato invitava Zwinger a preoccuparsi del proprio
onore, disconoscendo pubblicamente Moffett, che aveva abusato del suo
nome. Zwinger avrebbe dovuto inoltre tornare a Ippocrate e prendere le
distanze dai «paracelsistica somnia», in diametrale contrapposizione all’arte
medica; e senza riguardo all'utilità che si voglia attribuire ai medicamenti
chimici, ognuno poteva pensarne ciò che voleva:
Sed vides quam Mufettus impudenter ineptus sit. Quam nihil in illius somniis ueri
atque firmi. Itaque cum vestra autoritate niti uelle videatur, existimo ad vestram
existimationem pertinere, ea que impie atque imperite in medium affert, a vobis demouere.
Ego quidem pro singulari erga uos animo ad bonos omnes, quod possum, excuso. Teque ut
in illustranda doctrina Hippocratica pergas, et Paracelsistica somnia quae cum veris Artis
257
principiis pugnant, ab erte remoueas peto. De medicamentis, sentiat quisque quod uolet.
Crato ritenne di dover mettere in guardia Zwinger anche nei confronti di
Johannes Rungius: lui stesso (Crato) aveva letto almeno quanto Zwinger gli
scritti di Rungius, che lo riteneva uno dei suoi maestri. La filosofia di
Rungius era invece da considerare una fantasia, poiché in effetti egli, come
in estasi, egli non faceva che parlare di uno zolfo, di un mercurio e di un
sale ben diversi da quelli che si conoscono comunemente. 258
Zwinger tuttavia non entrò neanche nel merito di ciò che gli veniva
rinfacciato. Si limitò a riferire a Crato l’opinione negativa su Moffett
espressa da Felix Platter, ma non disse nulla della sua o di quella di
Aragosius. Quanto alla chimica, Zwinger scriveva di non ritenerla
semplicemente un’invenzione di Paracelso, o di un qualunque
«carbonarius», ma piuttosto di considerarla con Ippocrate una sfida della
Natura e, anzi, la legge di un’arte più profonda. Certo molte erano state le
scoperte di Paracelso (che aveva certo ingegno da vendere). Egli le aveva
però al tempo stesso profanate, prostituendo l’«ars pulcherrima» con una
filosofia esoterica. Restava dunque il compito di salvaguardare quest’arte
bella da danni ulteriori.
De chymicis superioribus quoque literis egi, non tanquam Theophrasti uel
cuiuspiam alterius carbonarii (lixas potius cum ueteribus appellemus, e lice) inuenta, sed
tanquam φύσεος βλάμματα καὶ τέχνης abstrusioris νομθετήματα, ut cum Hippocrate loquar
[De arte, 4]. Et tamen ut ingenui hominis est, vt sua profecerit fateri: sic si quae a
Theophrasto non tam inuenta (at inuenire tamen potuisset, magno ingenio, licet distorto,
precedente, del 19. 11. 1584, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 28, f. 51, dove
Crato ricorda a Zwinger la sua posizione anteriore verso Paracelso in cui Crato ricorda a Zwinger
le sue precedenti posizioni nei confronti di Paracelso: «Huc est allatus Dialogus Mufetti, qui te
atque Arragosium et Platerum magistros suos profitetur, dum contra Antiparacelsistas pugnat
[…] Meministe ipse, quid de vita et doctrina Paracelsi ante annos XX ad me scripseris. Si
Chymicis medicamentis vteris, non arbitror te eos a Paracelso didicisse. Mihi cognita fuerunt
prius quam Paracelsi nomen. Aragosius Philosophiam probe noui. Platerus cum apud me Spirae
esset Chymicam ignorabat».
257
Lettera di Crato von Kraftheim a Zwinger dell’11. 2. 1585, Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. Frey-Gryn. II 8, f. 526. Contro Moffet è diretta anche la lettera seguente, del 14 marzo 1585
(ms. Frey-Gryn. II 28, f. 53): «Muffeti Carbonariam medicinam, cum veris principiis medicis
aduersetur, contemno. Chymicorum medicamentorum autorem Paracelsum nunquam
nominaturus sum. Imo in maxima eorum ignoratione versatum esse ex libris manuscriptis, prius
quam ille in hanc lucem est natus, demonstrare possem. Arragosium non esse in illius haeresi
certe scio».
258
Lettera di Crato von Kraftheim a Zwinger del 19. 1. 1585, Basilea, Universitätsbibliothek, ms.
Frey-Gryn. II 28, f. 52. Per la malattia che lo affliggeva, un calcolo alla vescica, Crato chiede
invece a Zwinger se sia già stato scoperto un remedio chimico: «Calculus interdum excruciat.
Nondum Chymistae remedium quod tuto frangat, excogitarunt? […] Utinam Arragosius aliquid
qui juuer de suis arcanis subiiceret».
- 100 -
praeditum, quis negarit ?) quam profanata sunt (reuera enim artem pulcherrimam exotericis
et philosophiae adminicula nulla habentibus prostituit) a profanatione ulteriori uindicare
studeamus. Aragosio tuas ostendi et ad id, quid de antimonio cum nitro parato quaevis
responsurum puto. Nam Platterus vel nomen ipsum suspectum habet nedum Moufetti
259
scripta approbat.
A queste parole Crato rispose: «De chymicis plane tecum sentio». 260 Ma
non si trattava più, a quest’altezza del discorso, di una vera discussione,
quanto piuttosto di un gentile ripiego. 261 Del resto conosciamo la vera
opinione di Crato a proposito dell’atteggiamento di Zwinger nei confronti
di Paracelso dalla successiva, già citata, lettera a Weidner.262 E conosciamo
anche la posizione di Zwinger, sempre più preso dallo studio di Paracelso e
dalla sperimentazione di preparati sempre più misteriosi; essa ci viene
documentata dai suoi scambi epistolari con Runge e con Severinus, ma
anche dalla sua collaborazione al programma editoriale del genero di Perna,
Conrad Waldkirch,263 di cui Crato lamentava il fatto che continuasse ad
259
Lettera di Zwinger a Crato von Kraftheim dell’8. 6. 1585, Wrocław, Bibliotheka
Uniwersytecka, Rehdiger 248, N. 157.
260
Lettera di Crato von Kraftheim a Zwinger dell’8. 5. 1585, Basilea, Universitätsbibliothek, ms.
Frey-Gryn. II 28, f. 54.
261
La stessa riserva, un po’ ironica, riechegggia in una lettera precedente, in cui Crato scrive di
aver trasmesso le lettere di Zwinger «al nostro vecchio di Strigau» (cioè al barone von Kitzlitz) e
di avere aggiunto tutto quello che di buono gli era venuto in mente sui chimici: «Superiori
proximo mense persolui tuae epistolae, quam Seni Strigensi ad me dederas, et de Chymicis
amicissime ea scripsi, quae mihi in mentem venerunt. Obsecro te, mi Zuingere, ut in bonam
partem accipias meam παρρησίαν (liberta di dire), et me experiundo didicisse quae affirmo
existimes», vedi lettera cit. in nota 239.
262
Lettera di Monavius a Weidner, da Praga del 24. 12. 1587, in L. SCHOLZIUS, Consiliorum et
Epistolarum Medicinalium Io. Cratonis Liber secundus, Frankfurt 1592, pp. 350; IDEM,
Epistolarvm Philosophicarvm, Medicinalivm, ac Chymicarvm, edd. 1598/1610 (cit., cap. VI,
nota 16), col. 457-458: «Crato non ita pridem in hac sententia: “Multis annis cum D. Zwingero
per literas sum collocutus, Nunquam de chymicis tam multa scripsit, quam nunc. Vt ad illius
opinionem accedam, vix persuadebit: Cum Arragosio, qui saepe multis horis de istis mecum egit,
nunquuam potuerim fidem adhibere; et ille sibi eum magistrum esse profiteatur. Ars est vna;
quam si Hippocrates et Galenus vere nos non docent et [Giovanni Battista] Montanus illustrat,
eiusque fundamenta ex intima philosophia monstrat: a quibus discenda sit, nescio. Materia
medica ingens et numerosa. In ea principem locum tenere medicamenta ex sulfure et Mercurio
confecta, vix adducor vt credam […] Chymicis remediis propter singularem efficacitatem nihl
detraho. Chymiae vero autorem Theophrastum minime statuo”. Haec ille», vedi anche supra,
nota OOO193.
263
Perna si era interessato ben presto all’edizione delle opere di Arnaldo de Villanova. Già
nell’Index Librorum del 1578 egli ne aveva annunciata come imminenete la stampa, «Arnoldi de
Villanova Opera omnia sub praelo » (v. G. RICHTER, Verlegerplakate des XVI. und XVII.
Jahrhunderts bis zum Beginn des dreißigjährigen Krieges, Wiesbaden, Guido Pressler, 1965,
Tav. 8). Egli aveva incaricato del commento alle opere del valenciano Nicolaus Taurellus. Nel
1580 quest’ultimo venne però chiamato come professore di medicina ad Altdorf, e consegnò a
Perna solo un commento ai primi libri. Dopo la morte di Perna, Waldkirch decise di
intraprendere la stampa e Zwinger assunse il compito di riordinare i libri in maniera più organica
di quanto non fosse accaduto per la precedente edizione di Lione; egli decise altresì di scrivere
una prefazione del tipografo al lettore. Sei mesi dopo la stampa, esattamente il 20. 10. 1585,
Taurellus ringraziava Zwinger per la benevolenza dimostratagli nella prefazione dell’opera: «Ex
tua in Arnoldi praefationem satis intellexi tuum erga me amorem et favorem adhuc esse
integrum, quin et tuam admonitionem et amicam et e re mea esse agnosco» (Basilea,
Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 4, f. 310). Caratteristica dell’atteggiamento di Zwinger
è una seconda prefazione, quella alle opere magiche di Arnaldus, in cui egli difende la libertà di
editore e lettore: «Lectori Salutem. Non omnibus operam nostram, in Arnoldi editionem
collatam, omnino probatum iri, minime dubitamus. Omnibus enim quis unquam satisfecit? Sed
cum non inepti Lectoris iudicio Arnaldi scripta omnia subiicere voluerimus, neque hoc de Sigillis
tractatu, quem non sine rationibus expungere potuissemus, defraudare quenquam voluimus: suo
- 101 -
occuparsi di Paracelso: «Generum Pernae occupari in Paracelsicis Indices
loquuntur».264
Non c’è bisogno che io mi inoltri qui nel carteggio con Severinus,
già illustrato da Rotondò e sul quale ritorneremo nel capitolo sulla filosofia
di Zwinger.265 Fu Severinus ad esporre le posizioni di Zwinger in materia
paracelsiana al francese Guillaume Meilan; quest’ultimo scrisse allora a
Zwinger, nel 1587, di voler esaminare l’edizione Waldkirch dell’opera
omnia di Paracelso, per assicurarsi che non vi fossero stati soppressi i
passaggi contro il papa:
Virorum aliquot doctorum et paracelsicae philosophiae studiosissimorum monitu
permotus ad te scribo ego ante annum tibi solum obiter notus, vir tam multis nominibus
ornatissime. Verentur illi ne qui iam apud vos Pilosophi nostri opera omnia, vndique
diligenter per triennium conquisita, ex authoris autographo et aliis manuscriptis excudi
parant, in iis minus se praebeant fideles, quibus aliquando Theophrastus etiam in physicis
suis libris Papam perstringit liberius; quod non nisi huius doctrinae maximo cum damno
fieret. Omnes itaque enixe te rogamus, ut iisdem tuis erga rempublicam litterariam officiorum
insistens vestigiis, prò tua solita diligentia illorum editionem obseruare non recuses. Ita fiet,
ut magis ac magis de Philosophia bene merendo eruditis omnibus rem gratissimam facias, et
266
eos leuissimo negotio liberes a critica seueriori.
quilibet recte et in hoc et in aliis utatur iudicio. Vale» (Arnaldi Villanovani Philosophi et Medici
Summi Opera Omnia, Basileae ex officina Pernea per Conradum Waldkircherum 1585, col.
2037-2038). L’indicazione di Crato ci permette ora di datare all’anno 1584 l’Index librorum
Officinae P. Pernae & C. Waldkirchii, riprodotto in GÜNTHER RICHTER, Bibliographische
Beiträge zur Geschichte buchhändelerischer Kataloge im 16. und 17. Jahrhundert, in Beiträge
zur Geschichte des Buches und seiner Funktion in der Gesellschaft. Festschrift für Hans
Widmann, (ed.) A. SWIERK, Stuttgart, Hiersemann, 1974, pp. 182-229, Taf. IV. Esiste tuttavia un
altro Index librorvm officinae D. Conradi Waldkirchii Anno M.D.CXCI (1591). Sulle edizioni
basileese del medico valenciano si veda ora Antoine Calvet, Les alchimica d’Arnaud de
Villeneuve à travers la tradition imprimée (XVIe – XVIIe siècles). Questions bibliographiques, in
DIDIER KAHN & SYLVAIN MATTON, Alchimie – art, histoire et mythes (Texts et Travaux de
Chrysopoeia, 1), Paris-Milan, SÉHA - Arché, 1995, pp. 156-190:164, 167-168.
264
Lettera di Crato von Kraftheim a Zwinger del 14. 8. 1584, Basilea, Universitätsbibliothek, ms.
Frey-Gryn. II 9, n. 118.
265
A. ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cit. nota 14), p. 372-374
266
Lettera di Meilan a Zwinger, da datarsi tra la fine del 1587 e l’inizio del 1588, Basilea,
Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II 53, n. 82: Il danneggiamento della parte superiore della
lettera permette di leggere solo il cognome «Maelandus». Si tratta comunque di Guillaume
Meilan da Orleans, medico del principe di Conde. Su di lui v. L. GAUTIER, La médecine à
Genève (cit. nota 42), p. 428. Vedi ora MARTIN STEINMANN (ed.), Sieben Briefe aus der
Korrespondenz von Theodor Zwinger, in Im Spannungsfeld von Gott und Welt. Beitrage zu
Geschichte und Gegenwart des Frey-Grynaeischen Instituts in Basel 1747-1997. hg. v. A. U.
SOMMER, Basel, Schwabe, 1997, pp. 181-209 (edizione critica e traduzione tedesca alle pp. 204208, riprod. fotogr. a p. 203, ma senza la trascrizione dell’illigibile nota scarabocchiata dalla
mano di Zwinger a pie’ di pagina «[…] […] Waldkircherum […] sese nulla Theophrasti […]
vereat»). La lettera prosegue: «Verumenimvero rimanti mihi, ut philosophum decet, doctrinae
istius hypothèses, imo principia et caussas, deferbuit animus ex obscurissimae D. Severini Ideae
lectione, solabarque me interim Erasti disputationibus, manente tamen mihi semper meque
lancinante scrupulo aliquo. Atque dum mordicus omnes sua in hac scientia recondita continere
animadverterem deque doctore omnino desperassem, eccum de repente vir mihi multa
necessitudine coniunctus in illaque apprime versatus inopinato occurrit; qui tot et tanta mihi
patefecit, ut ab iis obrui me potius quam satiari senserim. Hic tamen non conquiescens animus,
nundinis Argentinensibus in Daniam ad D[ominum] Severinum proficiscor. Ibi totos duos
menses maneo, et de his disserentem audio; hominem ut pergat urgeo, Physicam iam exaratam te
expectare narro. Ait stylum illum Ideae solum deficere, in eoque se totum esse, sed quaedam
prolegomena, et Ideae (potissimum trium primorum capitum) interpretationes quasdam prius
editurum. Dicam ego quid de hominis ingenio sentiam. Erat hoc ad scientiam hanc explicandam
- 102 -
Curatore dei volumi era il cattolico Johannes Huser; finanziatore del
progetto l’arcivescovo e principe elettore di Colonia, Ernst von Bayern. Ma
ciò che né Meilan né Severinus sapevano (e che sembra essere sfuggito
anche nei più recenti studi su questa importante edizione) era il fatto che
Zwinger sarebbe dovuto comparire accanto a Huser come co-curatore dei
dieci volumi dei Bücher und Schriften Theophrasti Paracelsi, se non fosse
stato per la morte che lo colse poco prima della stampa.
La più istruttiva è certamente l’ultima delle lettere sull’argomento,
che però non riuscì mai a raggiungere il suo destinatario a Basilea. La
lettera fu spedita da Glogau il 3 maggio 1588 da Huser..267 In essa il
curatore dell’edizione basileese dell’opera completa di Paracelso comunica
a Zwinger di aver in gran parte completato la correzione degli scritti
paracelsiani sulla base dei manoscritti originali e di aver inviato a Basilea il
suo copista e segretario Paul Linck perché egli collabori all’edizione e alla
correzione dei volumi, per tradurli poi in latino, una volta che essi fossero
stati pubblicati in tedesco. Huser raccomanda cordialmente Linck – che era
luterano268 - e prega Zwinger di assisterlo, ogniqualvolta egli avesse
bisogno del suo consiglio o del suo aiuto.
Eum de meliori nota tibi commendo, amanter rogans ut in quacumque re consilio
et auxilio tuo opus habuerit, ei adesse velis, mihi enim feceris quicquid beneficiorum in
269
eum contuleris.
Ancor più rilevante è il fatto che in questa lettera Huser non solo chiedeva a
Zwinger un consiglio sulla disposizione dei singoli volumi, ma gli
proponeva anche di partecipare all’allestimento complessivo della stampa e
di discutere con lui mensilmente per via epistolare dei quesiti che si fossero
via via presentati:
Quem modum et ordinem in editione commodissimum ego iudicem, oretenus ex
Paulo (Linck) intelliges, tu si commodius aliqua disponi posse iudicaveris, me moneas
quaeso, singulis enim mensibus literae Basilea ad nos, et hinc ad vos, perferri possunt […]
si quid praeterea est quod me vis facere, impera et manda, habes enim me ad omnia officia
paratissimum.
L’edizione Huser dell’opera completa di Paracelso avrebbe avuto solo da
guadagnare da un coinvolgimento di Zwinger al progetto. Quando però
natum, si ille in eiusmodi fervore patriam non repetiisset, aulicisque non irretitus, coelum
clementius et musas alio quaesivisset; sed ita in illis est sepultus, ut verear ne ultima primis
respondeant. Conveni et in eadem regione doctum alium chymicum nobilem,Tycho Brahe
nomine, sed omnium fortassis qui unquam fuerunt astronom ingeniosissimum. Is non aulicis
involutus, in insululae eremo, vitam cum musis transigi!. Cuius studia et conatus, etsi forte
alienum sit ab his, narrare, iniucundum tamnen tibi id non fore existimavi […]».
267
Lettera di Huser a Zwinger del 3. 5. 1588, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn. II
28, n. 150. Vedi ora JOACHIM TELLE, Johann Huser in seinen Briefen. Zum schlesischen
Paracelsismus im 16. Jahrhundert, in Parerga Paracelsica. Paracelsus in Vergangenheit und
Gegenwart (Heidelberger Studien zur Naturkunde der frühen Neuzeit, 3), hg. J. TELLE, Stuttgart,
F. Steiner, 1991, 159-248 (edizione critica del testo e traduzione tedesca alle pp. 186-188, riprod.
fotogr. a p. 244).
268
Sul Linck cfr. ivi, pp. 215-216, da completare ora con la notizia a proposito dei suoi scritti
chiliastici in C. GILLY, ‘Theophrastia sancta’. Der Paracelsismus als Religion im Streit (cit. nota
45), pp. 448-449. Sugli epigrammi e le poesie di Linck nei volumi dell’edizione basileese di
Paracelso vedi R.-H. BLASER, Lästerungen und Lobpreisung des Paracelsus in Basel in IDEM,
Paracelsus in Basel.(cit. nota 145), pp. 144-199 (con traduzione tedesca e riproduzione
fotografica. delle pagine corrispondenti).
269
Lettera di Johann Huser a Zwinger del 3. 5. 1588, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn. II 28, 150.
- 103 -
questa lettera arrivò a Basilea, Zwinger era ormai morto da più di due mesi.
A Linck non restò che proclamare la sua morte una grandissima perdita per
il paracelsismo in una poesia in memoriam, che venne stampata in ricordo
di Zwinger in calce al suo ritratto:
Ergo sic perijt ZVINGERUS? et invida tantam
Spem THEOPHRAstaeae Fata tulêre SCHOLae?
Hei rapuêre VIRum immatura Morte: Senectam
FELIX longaevam vivere dignus erat,
MAGNUS erat vivus, quod MVNDI Jnsigne
THEATRVM
Comprobat, et medica conditi in Arte Libri.
Maior ad haec: tanta si (qvod bene coeperat) Arte
Ornasset Musas, ô PARACELSE, Tuas.
Plebs sed iniqua habitat Terras: Ergo aequa futuram
Spem THEOPHRAStaeae Fata tulêre SCHolae.
(Zwinger è dunque morto? Le invide dee del fato hanno privato la scuola di Paracelso della
sua più grande promessa? Con morte immatura le Parche ci hanno strappato un uomo
degno di giungere a un’età veneranda e felice. Zwinger era grande tra i vivi, come è
provato dal suo splendido Theatrum del mondo e dai suoi libri di arte medica. Ma sarebbe
divenuto ancor più grande se egli (come aveva già incominciato a fare), con la sua eccelsa
arte e la sua dottrina avesse adornato le tue muse, o Paracelso. La terra è però popolata di
plebe iniqua; per questo le invide dee del fato si adopreranno per distruggere anche le
future promesse della scuola teofrastica).270
Parte II
VIII La Filosofia di Zwinger: tra filosofia aristotelica e
filosofia platonica
«Solo con Theodor Zwinger discuto volentieri di filosofia» riconosceva
pochi mesi dopo il suo definitivo trasferimento a Basilea il medico e
cabbalista Guillaume Aragosius in una lettera a Crato von Kraftheim.271
Undici anni più tardi, poco dopo la morte di Zwinger, egli prometteva nella
lettera consolatoria ai giovani figli dell’amico di iniziarli, al momento
opportuno, a quella visione del mondo che egli aveva condiviso con il loro
genitore – «et quae inter parentem vestrum et me communia fuerunt,
paterne, fraterne ac sancte vobis loco et tempore fideliter communicabo». 272
Nella corrispondenza che seguì col giovane studente di medicina Jacob
Zwinger, Aragosius non perse in effetti mai l’occasione portare il discorso
sui principi della filosofia ermetica. Aragosius tratteggiò per il figlio di
Zwinger un piano di studi basato quasi esclusivamente su Ippocrate e
Galeno, in cui non mancava nemmeno un esplicito monito a guardarsi dalla
270
C. GILLY, Basel rehabilitiert Paracelsus (1493-1541), in Basler Stadtbuch 1993, Basel,
Merian Verlag, 1994, pp. 35-42, con ripr. fotogr. dell’incisione con il ritratto di Zwinger e la
poesia di Linck. La stessa incisione servì come cornice anche per elogi di Zwinger composti da
altri amici.
271
Lettera di Aragosius a Crato von Kraftheim del 1. 8. 1577, Wrocław, Biblioteka
Uniwersytecka, ms. Rehdiger 248, n. 32; cfr. qui, parte prima, cap. VI, nota 26.
272
Lettera di Aragosius a Bonifacio e Jacob Zwinger a Padova, Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. Frey-Gryn. II 8, n. 54.
- 104 -
medicina empirica di Paracelso;273 accanto alla lettura dei testi della
medicina classica, egli sottolineava insistentemente la necessità di inserire
la medicina in una cornice filosofica. Una cornice che, stando ai numerosi
rimandi al De sole triplici, testo cabbalistico di cui era autore egli stesso, e
alle molteplici citazioni dal Corpus Hermeticum, era disegnata su modello
neoplatonico-cabbalistico. Egli coglieva inoltre l’occasione per richiamare
alla memoria di Jacob la filosofia paterna – «hanc epistolam ad te scribo,
piam tui parentis memoriam recolens» – raccomandandogli di mantenere il
silenzio, perché quei segreti non cadessero nelle mani di gente ignorante dei
principi della vera filosofia – «hanc solus frequenter legito. Ac ne in
homines imperitos et solidae philosophiae expertes incidat, caueto». 274
Ignoranti di una filosofia basata su validi principi erano per Aragosius gli
aristotelici, spregiatori del platonismo, secondo i quali una filosofia in
accordo con la costruzione teologica del mondo (in senso platonicoermetico) altro non era che la più risibile delle favole:
Talia enim φilosoφica quae sacram Theologiam, veluti umbra sequuntur et ipsius
imaginem, iuxta uniuersi constitutionem, referunt, ad vulgus hominum qui leuiter
Peripateticam disciplinam profitentur, Academicam vero prorsus ignorant, sunt
γελαστότερα ἀκούσματα. Sicuti nobilioribus et generosis ingeniis θαυμαστότερα καὶ
ἐνθουσιαστικώτερα, tanquam Divina sapientia et numine sancto flante concepta. 275
Era proprio questa filosofia tanto sottovalutata che Zwinger aveva fatto sua
in un’opera della maturità, abbandonando le remore di segretezza che tanto
assillavano Aragosius. Nella prefazione alla Methodus apodemica del 1577
ogni lettore poteva riconoscere la professione ermetica di Zwinger,
riassunta in poco più di due pagine, «ex fontibus Hippocrateis et Platonicis»
e da colloqui privati con Aragosius:276
Ab uno ente primo, quo ad essentiam suam Potente, Sapiente, Bono; quo ad
accidentia Infinito, Immoto, Aeterno, reliqua entia omnia, Homerica quadam catena
dependent. Et illa quidem respectu Essentiae, quam a perenni illo fonte sumpsere, et
Possunt et Sciunt et Volunt ea, ad quae creata sunt, Agere Patique; at respectu accidentium,
Finita loco, Tempore circumscripta, et quidem ad ortus sui principium redire debent,
273
Lettera di Aragosius a Jacob Zwinger a Heidelberg della fine del 1589, Basilea,
Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II 4, n. 13: «Hoc vnum praeter caetera te admonitum
velim, vt praecaueas a multorum errore, qui dum laborem refugiunt, ad receptas, et Paracelsum
se conuertunt, existimantes in iis arcana summa et diuitias delitescere: a quibus impostorum
nugae et ignorantium fatuitas postea colliguntur. Empειρία vero per se non est damnanda, sed
tuto exerceri sine ratione non potest. Quae ratio a φilosoφia est summenda». Nonostante gli
stretti rapporti con Theodor Zwinger non sembra che Aragosius si sia mai reso conto della
vicinanza tra le sue posizioni e quelle di Paracelso. Un tale atteggiamento può forse aver giocato
un ruolo non trascurabile nel rifiuto da parte del figlio di Zwinger a prendere in considerazione
l’apertura del padre nei confronti di Paracelso («de Theophrasto Paracelso sententia […] quam
longe a parentis iudicio deflectat filius»), v. sopra, capitolo VII, nota 26.
274
Lettera di Aragosius a Jacob Zwinger a Padova del 1. 1. 1592, Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. Frey-Gryn. II 8, n. 52.
275
Ivi. Nonostante i numerosi moniti di Aragosius sul modo in cui gli aristotelici padovani si
prendevano gioco della filosofia platonica ed ermetica, il figlio di Zwinger preferì seguire il suo
maestro Zabarella, invece di seguire le orme paterne di fronte a Paracelso e Ermete. Come ultimo
tentativo, Aragosius gli fece analizzare per proprio uso il testo greco del Corpus hermeticum, ma
di nuovo senza il risultato atteso, come dimostra l’abbozzo autografo del giudizio non molto
entusiasta di Jacob sull'«Hermetis Poemander», Basilea, Universitätsbibliothek, Ms. Frey-Gryn.
I 23, nn. 63v-66v: «Arragosio: Clarissime Domine Doctor. Cum diligentius percurrissem
Hermetis Poemandrum, facile deprehendi singulis exacte perpensis, Hermetem, quicumque
demum is fuit Graecorum, […]».
276
THEODOR ZWINGER, Methodvs Apodemica (cit., cap. IV, nota 13), ff. α 2v-β1v.
- 105 -
perpetuo Motui, qui in Quietem tendit, subiecta existunt. Inter hos rursus secundorum
Entium gradus pro uaria perfectionis ratione, alii maiorum, alii minorum gentium esse, in
Corpora quinetiam et Spiritus uniuersim distingui posse uidentur: ut illa quidem (siquidem
homo ex Protagorae sententia ὰπὰντων μέτρον est) sensu, haec sola intelligentia
apprehendantur. Nam Cabalistarum illud, Hominem universi vinculum esse, proprie
quidem de Messia benedicto, Dei ab aeterno, Hominis in tempore filio, inter τὰ ὰγέννητα
et γεννητά medio, et proinde omnium mediatore, pronunciatum: magno quinetiam illi
Homini, omnia suo ambitu complectenti, cuius Caput supra coelos, Cor in coelis, Manus
ad Ortum et Occasum, Ventrem in Elementis, Pedes in Centro terrae, historica ratione
Trismegistus constituit, accommodatum; non minus de certo et definito etiam gradu
Entium, inter τὰ νοητὰ et αἰσθητά medio, de Homine scilicet proprie nuncupato, intelligi
posse atque debere, tum ratio conuincit, tum auctoritas philosophorum, sed Aristoteles
imprimis persuadet, qui Propter hominem omnia quodammodo facta esse asserere non
dubitauit: multo maiora prolaturus, si huic ipsi non coelestia tantum corpora sed et aeternas
intelligentias ministrare, quodque humanum captum prope superat, si Dei aeterni aeternum
et consubstantialem filium eiusdem fratrem fieri, Reuelationis sacrosanctae radio illustratus
agnouisset. Spiritus igitur ad diuinitatem proprius accedentes (quos et quia intelligendo
maxime valent et intelligendo tantum percipiuntur, Intelligentias uocant) superiorem
uniuersi circumferentiam occupant. Corpora vero ad centrum proprius, sed certis et ipsa
distincta gradibus et intervallis accedunt, sensibus non uno modo exposita et subiecta;
Coelestia nimirum non ipsa per se, cum purissimorum illorum impressiones et suscipere et
propter densitatem retinere queant. Pro varia iccirco seminum coelitus in centrum usque
transmissorum natura, ex primarum qualitatum perpetua actione, passione, mistione,
attemperatione, uarii corporum gradus consurgunt: Lapides, Metalla, Stirpes, Animalia,
inter quae principatum homo obtinet, idemque etiam inter caduca et aeterna medius,
diuinae essentiae Imago et Similitudo, per quem ceu Dei terrenum uicarium omnia ad
Deum tum Agendo tum Contemplando redire debent [...] praeterea omnis motus ad certum
finem destinetur: finis profecti universi erit, ut AB VNO omnia, AD VNVM tandem
redeant omnia. Quod ipsum non ratione circumferentiae, non centri, sed ipsius fiet medii
Hominis [...] Hominis profecto, omnia instar microcosmi comprehendentis, motus erunt
uarii, sic tamen alter in alterum tendat; quies itidem multiplex, sed una omnium
perfectissima. A superioribus Animam suam sumit homo immortalem, ab inferioribus
Corpus mortale. Utriusque coniunctio, Hominem et ab Intelligentiis, et ab inferioribus
entibus, Animalibus scilicet, Animantibus et Inanimatis separat [...] Etsi enim homini
totius uniuersi domino nulla certa patria, nec praedium, nec domicilium, neque uero
officina medica uel mechanica, quod Ariston dicere solebat, ex parentis naturae instituto
tribuatur, sed instar plantae cuiusdam coelestis capite tanquam radice coelo infixus,
pedibus ueluti ramis hinc inde mobilis, ubique terrarum in patrio solo uere recteque
philosophando κοσμοπόλυτης esse debeat, eidem tamen non omnis fert omnia tellus [...]
Ut ergo e toto terrarum orbe preciosae merces in celeberrima convehuntur emporia, et ex
iisdem certatim euehuntur, ita omnigenae sapientiae et uirtutis thesauri per totum
uniuersum disseminati, uel in unam Rempublicam (quod Plato in sua fieri uolebat) uel in
unam Academiam, uel etiam in unam Ecclesiam, peregrinantium studio, conuectae, inde
rursus tanquam ex equo Troiano peti possunt.
Non entrerò qui nel merito dei singoli momenti di questa cosmologia
fondamentalmente ermetica; vorrei sottolineare solo quanto a buon diritto
uno dei corrispondenti di Zwinger, Jacob Haun, definisse il professore
basileese «Hermeticarum Musarum fautorem», e come un suo compagno di
studi, Johann Weidner, si rivolgesse a lui con le parole ῶ Τρισμέγιστε!.277
La sorpresa del lettore non sarà poca nel leggere nella stessa
prefazione con quanto rincrescimento Zwinger riferisca dei suoi primi anni
di studio, in cui egli aveva voltato le spalle quasi con riluttanza alla «fonte
pura della filosofia aristotelica» interessandosi invece con fervore ad una
filosofia falsa, e, cosa ancora più ridicola, mettendosi addirittura alla ricerca
277
Lettera di Weidner a Zwinger del 24. 4. 1584, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.
II 28, n. 384, cfr. cap. VI, nota 34.
- 106 -
dei segreti della cabbala – «et quod magis rideas, etiam Cabbalae arcana
superficietenus consectatus». 278
Contraddizione, dissimulazione o ironia socratica? L’analisi del
rapporto di Zwinger con Paracelso ci ha già insegnato a guardarci bene dal
trarre conclusioni affrettate solo in base ad una semplice affermazione
dell’enigmatico naturalista basileese. Solo un percorso paziente attraverso
la biografia e l’opera di Zwinger può portarci anche in questo caso a
comprendere la coerenza multiforme di un impegno filosofico fuori dal
comune, che, per quanto oggi dimenticato, non è restato senza influsso sui
suoi contemporanei né sui posteri.
Poco più che quindicenne Zwinger era scappato di casa. Lo scolaro
modello, capace di fare ombra a tutti i compagni per la sua padronanza del
latino e del greco, l’appassionato lettore che già al suo ingresso in
università era stato ammesso alle classi più alte, voleva «conoscere nuove
terre, nuovi costumi, atti e misfatti di tutti i popoli, perché anche questo
aiuta a conoscere e comprendere». «Non per cattiveria» aveva tenuto
nascosto il suo piano, scriveva il giovane Zwinger agli ignari genitori in una
lettera di scuse, «ma per timore che non mi avreste fatto andare là dove il
mio cuore da sempre anela d’andare». Anche se avesse imparato un
mestiere avrebbe dovuto affrontare la consueta «peregrinatio» – aggiunge
Zwinger – e certo senza le tante facilitazioni offerte invece ad un giovane
«studiosus», come quella di trovare aiuto e alloggio presso i dotti. 279 Quasi
senza denaro o viveri, ma carico invece di libri e recitando versi per gli
eruditi, Zwinger si mette sulla via di Lione, dove, grazie all’intervento di un
amico di Colonia, Adam Knouff, trova ospitalità e lavoro nella stamperia
dei fratelli Beringer. «Quotquot horas a negotiis reliquas et otiosas suffurari
poterat, studiis dies noctesque impendit», riferisce di quel periodo alcuni
anni più tardi Felix Platter, intimo amico di Zwinger. Possiamo dare quasi
per scontato che dei suoi studi lionesi facesse parte anche la lettura del De
occulta philosophia di Agrippa di Nettesheim, uno dei cavalli di battaglia
della stamperia Beringer.280 Con i risparmi dei tre anni di soggiorno a
Lione, Zwinger ripartì alla volta di Parigi, dove le sue grandi doti gli
guadagnarono l’amicizia di molti. Tra questi, quella di Petrus Ramus, che lo
accolse con affetto paterno nel Collegium Rameum. Zwinger rimase
278
ZWINGER, Methodvs Apodemica (cit., cap. IV, nota 13), f. γ 1v. Su Lando si veda vedi ora
SILVIA FERRETTO, Bassiano Lando e la 'scienza della medicina tra filosofia e teologia nel XVI
secolo (tesi di laurea 2009, Trento: http://eprints-phd.biblio.unitn.it); http://eprintsphd.biblio.unitn.it; vedi anche MASSIMO RINALDI, Arte sinottica e visualizzazione del sapere
nell'anatomia del Cinquecento, Bari 2008.
279
Lettera di Zwinger ai genitori (cioè al patrigno Conrad Lycosthenes e alla madre Christina
Herbst, sorella dello stampatore Oporinus) del settembre 1548, Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. G II 13a, n. 100; estratto in PAUL KÖLNER, Anno dazumal, Ein Basler Heimatbuch, Basel
1929, 416-418; ma si veda ora il testo originale in MARTIN STEINMANN, Sieben Briefe aus der
Korrespondenz von Theodor Zwinger (cit., cap. VII, nota 54), pp. 183-186.
280
FELIX PLATTER, Vita Theodori Zwingeri (cit., proleg., nota 4). Nell'articolo «Libri typis
excusi. Typographi» del volume XX sulle «Artes mechanicae» del Theatrum humanae vitae, ed.
1586, p. 3712, Zwinger scrive del suo soggiorno a Lione: «Eiusdemque [artis typographicae]
beneficio Lugduni primum Adami Knouffiii, Coloniensis medici gratiosissimi, qui tum
Gryphianae officinae praeerat, humana et officiosa intercessione commendationeque, apud
Godofridum et Marcellum Beringos fratres, per omnes fere functionum gradus inopiam nostram,
in quam inconsiderato peregrinandi studio incideramus, frugaliter sustentauimus: inde etiam
Lutetiae Parisiorum iacturam integri triennii quantum licuit resarciuimus».
- 107 -
tuttavia a Parigi solo due anni. Dopo un breve soggiorno a Basilea, nel 1553
egli accompagnò Pietro Perna in un viaggio d’affari a Padova, e lì venne
assunto come segretario dal medico e filosofo Bassiano Landi, ciò che gli
permise di intraprendere gli studi universitari in medicina e filosofia.281
Abbiamo già accennato a come questi anni di gioventù, fino
all’arrivo a Padova, si imprimano nel ricordo di Zwinger. Ma vale
ugualmente la pena di riportare l’intero passo:
Quantum temere suscepta peregrinatio anno aetatis XV studiis meis
incommodarit, qui officinae typographicae integro triennio Lugduni addictus,
florentissimam aetatem non modo sine fructu, uerumetiam cum insigni eorum quae domi
hauseram rudimentorum iactura, contriuerim, non sine dolore recordor. Sed hanc famem
Parisiensis copia per biennium non tam extinxit, quam dum sine duce, sine lege, in omne
genus disciplinarum illotis manibus irrruo, ad alterum extremum perduxit, ut ab ἀγνοίᾳ
κατ᾿ἀπόφασιν aliquantulum liberatus, in ἑκτικήν alteram multo periculosiorem inciderem,
et dum multa paucis, quam pauca multum discere laboro, inexplebili ingluuiae per linguae
Latinae, Grecae, Hebraicae, Syriacae regios campos uagatus, fucatae philosophiae riuulos,
limpidissimis Aristoteleis fontibus propemodum cum execratione posthabitis, et, quod
magis rideas, etiam Cabalae ercana superfecietenus consectatus, in centonibus
disciplinarum eruditionem omnem sitam esse mihi persuaderem. Hac inani specie
Encyclopaediae tumidus, Italiam peto, et ut morbus morbum trahit, praxi medica prius,
quam theoria meipsum ingurgitans, uix tandem BASSIANI Landi Placentini methodica
docendi ratione publice institutus, priuatis quinetiam adhortationibus commonefactus,
insanum Peripateticae philosophiae odium deponere, et redintegratio studiorum curriculo,
ueluti a meta ad carceres redire coepi. Aristotelis interea priuatim interpretandi, et per
schematismos explicandi occasione oblata, necessitateque imposita, superioris uitae errores
facilius agnoscere quam corrigere et emendare licuit. 282
È chiaro che nel quadro fornito nella prefazione alla Methodus apodemica
Zwinger esagera i suoi «peccati di gioventù»: scopo dell’opera era
esattamente quello di incoraggiare i giovani a trarre il meglio, con
attenzione e metodo, dalle loro peregrinazioni di studio. C’è però da dire
che il soggiorno a Padova e la scoperta di Aristotele provocarono
effettivamente una svolta radicale nella vita intellettuale di Zwinger. Questo
nuovo orientamento, per quanto fondamentale nel quadro complessivo
dell’opera dello Zwinger, non poté tuttavia cancellare del tutto le sue
precedenti attitudini filosofiche. La predilezione mai del tutto assopita per
le dottrine platoniche e, soprattutto, l’interesse costante per il suo
«platonico ante literam», Ippocrate, ebbero alla fine su di lui un effetto
simile a quello della radiazione ultravioletta sui palinsesti: pur senza
cancellare il nuovo, anche l’antico viene via via alla luce, con sempre
maggior evidenza.
L’uomo che a Padova convertì il giovane Zwinger alla filosofia aristotelica,
esercitando anche per altri versi un grande influsso su di lui, fu Bassiano
Landi, il successore di Giovan Battista Montano alla cattedra di medicina.
Per due anni Zwinger era stato segretario e lettore («anagnostes») in casa
281
PLATTER, Vita Theodori Zwingeri (cit., proleg., nota 4); si veda anche JOHANNES JACOB
GRYNAEUS, Comparatio Theodor Zwingeri cum Aristotele Stagirita (1589), Basilea,
Universitätsbibliothek, ms. Ki. Ar. 142, n. 6r, e il ringraziamento di Zwinger nella terza edizione
del Theatrum humanae vitae del 1586, p. 3714: «Petrus Perna Lucensis, religionis causa Italiam
exulans, typographiae sero se dedidit. De cuius laboribus iudicet posteritas.Illius ego hoc unum
erga me beneficium amplissimum agnosco, licet extra praesens id sit institutum, quod
peregrinationis italicae auctor, suasuor, deductor nobis fuerit»; cfr. WERNER KAEGI, Historische
Meditationen l, Zürich, Fretz, 1942, pp. 171 sg.
282
ZWINGER, Methodvs Apodemica (cit., cap. IV, nota 13), f. γ 1r-v.
- 108 -
del Landi, e per i successivi quattro egli ne seguì con sommo interesse le
lezioni universitarie. Il primissimo lavoro di Zwinger fu, tra l’altro,
l’edizione degli scritti del maestro.283 «Illius certe est quicquid in me est,
quod uel prodesse aliis uel imitationi esse possit» confesserà più tardi al
lettore lo stesso Zwinger nel suo commento all’Ars medica di Galeno
riconoscendo ampliamente i meriti dell’antico maestro: nella sua
concezione di una medicina inserita in una cornice filosofica Landi avrebbe
per primo colto l’ideale galenico del medico perfetto e nelle sue lezioni
sarebbe contemporaneamente riuscito, come nessun altro, a inculcare nei
lettori il metodo galenico, in una forma elegante, adeguata e concisa. Il suo
più grande desiderio, aggiunge Zwinger, è di venir riconosciuto come
degno allievo di tanto maestro.284
Ancora a Padova e sotto la diretta influenza di Bassiano Landi, videro la
luce le prime tabelle zwingeriane di commento alla logica, alla retorica,
all’etica e alla fisica aristoteliche. Per fare chiarezza a se stesso sulle
dottrine dello Stagirita, ma anche per approntare materiali di sussidio per le
lezioni private che impartiva, Zwinger sceglie in questi anni di esporre il
suo commento in tavole sinottiche, una scelta, questa, che egli manterrà in
tutta la sua produzione e su cui avremo modo di tornare analizzando il suo
metodo filosofico. Dell’«explicatio per schematismos» Zwinger si era
appropriato già prima del suo arrivo a Padova, durante gli anni di studio a
Parigi. Senza prendere in considerazione le male lingue che indicavano
nelle tabelle di commento alle opere di Galeno del 1561 un plagio delle
dispense universitarie del Landi per il suo corso, 285 le tavole sinottiche di
Zwinger vanno piuttosto fatte risalire alla scuola di Petrus Ramus, benché il
basileese si sia in seguito completamente distanziato dalla logica ramista.286
283
BASSIANUS LANDUS, De incremento ad De incremento ad Augustinum Valerium, Venezia, B.
Constantino, 1556; la dedica di Zwinger è a Luigi Contarini.
284
ZWINGER, In Artem medicinalem Galeni Tabulae et Commentarii (cit., cap. IV, nota 2), f.
α3v; cfr. anche A. ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cfr. proleg.,
nota 14), p. 400, nota 20.
285
ARISTOTELIS Stagiritae De Moribvs ad Nicomachvm Libri Decem: Tabvlis perpetuis, quae
Commentariorum loco esse queant, explicati et illustrati, a THEODORO ZVINGGERO Bassiliense
Medico et Philosopho. Vt quorum in THEATRO vitae humanae EXEMPLA historica describuntur,
eorundem in his libris PRAECEPTA philosophica,summa facilitate et perspecuitate tradita
cognoscantur, Basileae, Oporinus & Episcopius, 1566,s, Basileae: Oporinus & Episcopius, 1566,
f. γ 2v-3r. Per la descrizione bibliografica delle edizioni aristoteliche dello Zwinger si veda ora
ALFREDO SERRAI, Storia della bibliografia I Bibliografia e Cabala. Le Enciclopedie
rinascimentali (I), a cura di MARIA COCHETTI, Roma, Bulzoni editore, 1988, pp. 395-413: 400
sg.
286
Per la storia di queste tavole e la loro influenza nelle diverse discipline cfr. K. J. HÖLTGEN,
Synoptische Tabellen in der medizinischen Literatur und die Logik Agricolas und Ramus,
«Sudhoff s Archiv für Geschichte der Medizin und der Naturwissenschaften», XLIX, 1965,
pp. 371-390; si veda anche il capitolo „An der Wiege der Struktur“ in MANFRED WELTI, Die
europäische Spätrenassaince, Basel, F. Reinhardt, 1998, pp. 63-101, con speciale menzione
di Zwinger a pp. 77, 79, 89-91; e il capitolo „Illustrations and diagrams “ in IAN MACLEAN,
Ideas in context. Logic, Signs and Nature in the Renaissance, Cambridge, University Press,
2002, pp. 60-63. Sul presunto (ma inesistente) ramismo di Zwinger rinvio al già citato articolo
di W. ROTHER, Ramus and Ramism in Switzerland (cit., cap. IV, nota 3), , in cui il naturalista
basileese viene consacrato addirittura come «the first and most commited Swiss Ramist» in
base ai contributi su Zwinger che Rother ritiene più recenti, cioè il Lexicon di H. J. Leu
(1765), le Athenae rauricae di Herzog (1778) e l’Allgemeine Deutsche Biographie (1900);
cfr. ancora GUIDO OLDRINI. La disputa del metodo nel Rinascimento. Indagini su Ramo e sul
ramismo, Firenze, Lettere, 1997, p. 208, in cui l’autore dedica appena tre righe a Zwinger, ma
afferma, senza prova alcuna, che i suoi «scholia e tavole analitiche» nell’edizione della
- 109 -
È lo stesso Zwinger a riconoscere apertamente il suo debito nei confronti di
Ramus nella prefazione del commento all’Ethica nicomachea, testo che,
sebbene già noto e commentato, ripropongo qui al lettore quale
straordinario spaccato della formazione filosofica di Zwinger:
Illud ego non obscure fateor, ex praelectionibus simul atque scriptis Talaei,
maxime vero PETRI Rami (quem praeceptoris loco et colui olim, et nunc quoque ueneror)
id boni me consecutum, ut in omnibus omnium scriptis analysin, in privatis
commentationibus genesin logicam meditarer: illud mali, ut Aristotelis philosophiam
omnem, ceu lernam omnium sophismatum, plus quam uatiniano odio prosequerer et
execrarer. Posteaquam uero et aetas iudicium confirmauit, et peregrinationes Italicae studia
nostra medica exacuerunt, necessitate quadam, Peripatetica illa, non Stoica, ad
Peripateticas scholas deductus, tum demum quid distanrent aera lupinis deprehendi. Odium
igitur excepit admiratio, admirationem subsecuta est inuestigatio. Rameum tamem illud
alta manabat mente repostum, ex Aristotele Aristotelem declarari, praecepta ad usum
reuocari debere. Rami itaque monitus, Aristotelis uestigia secutus, in Logicis primum, mox
in Rhetoricis, tamen in Physicis, ad extremum in Ethicis, reconditos sapientiae methodique
Aristotelicae thesauros, pro ingenii mei tenuitate, peruestigare coepi et eruere: eorumque
splendore ita sum delectatus, ut sine hac luce neminem cuiquam in philosophis laude
dignum praestare posse, constanter affirmare audeam. Ramo interim multa debere me
fateor, qui quantumuis ironicos, digitum ad fontem intenderit, et quodammodo per
Regulam falsi (ut loquuntur Arithmetici), ad ueritatis inuestigationem nos deduxerit: longe
plura uero δαιμονίῳ Aristoteli, methodicae artis summo artifici: quem quicunque spernit,
uel imperitus, uel male gratus homo est.287
Per quanto Zwinger tenti qui di presentare la sua posizione nei confronti
dell’antico maestro in maniera obiettiva e minuziosa, il testo non rende
giustizia del grande dibattito cinquecentesco intorno alla filosofia ramista:
non potrebbe soddisfare né Ramus né i ramisti, ma non riuscirebbe
nemmeno a guidare gli avversari verso un’equilibrata valutazione dei meriti
del francese. Se nell’orazione Basilea Ramus accenna alla produzione
filosofica di Zwinger, pur non citando esplicitamente il Theatrum Vitae
Humanae, al contrario Jacob Schegk, professore a Tubinga, crede di trovare
in Zwinger l’interlocutore ideale per dar sfogo ai suoi sentimenti contro
Ramus, «inviato dal diavolo per farsi beffe della vera e ben fondata
filosofia».288 Nella seconda edizione del suo commento ai dieci libri
Politica di Aristotele del 1582 sono redatti «in pretto stile ramista»; anche UDO FRIEDRICH,
Von der rhetorischen zur topologischen Ordnung. Der Wandel der Wissensordnungen im
Übergang zur Frühen Neuzeit, in «Medien Heft», XXII, 2004, pp. 9-14:13, afferma senza
esitazioni che Zwinger «hat seine theoretische Systematik [...] der topischen Methode des
Petrus Ramus entlehnt». Invece JEAN JEHASSE, La Renaissance de la critique. L’essor de
l’Humanisme érudit de 1560 à 1614, Paris Champion, 2002, p. 111, presenta Zwinger,
«éditant la Politique d’Aristote en 1582» come un grande sincretista.
287
ARISTOTELIS Stagiritae De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: Tabvlis perpetuis (cit. nota
15), f. γ 2r-v; P. G. BIETENHOLZ, Basle and France in the sixteenth Century (cfr. proleg., nota
13), p. 155; ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cfr. proleg., nota
14), pp. 370, 400 sg.
288
Lettera di Jacob Schegk a Zwinger del 13. 5. [1571], Basilea, Universitätsbibliothek, FreyGryn. II 5ª, n. 110: «Notus est mihi contemptus uerae et solidae eruditionis philosophicae quae
passim non tam contemnitur, sed etiam, concultatur a Sophistis. Quo magis illum
pestiferumcontemptum in scholas introduceret Satan, in Galliis Ramum excitauit, in Germania
adducto Simonio Italo strenue id procurauit, quorum scripta Basileae sunt ordita, quod ego
uehementer miror. Respondi ego Simonio, librum ad proximas nundinas editum esse cupio
[...]».In diverse lettere a Zwinger (Frey-Gryn. II 2, f. 43, II 5°, ff. 106-112, II 14, f. 31) Schegk
lamentava che, al contrario dei suoi avversari ramisti, dopo la morte di Oporino nel 1568 non
aveva più potuto stampare a Basilea nessuno dei suoi libri. Ma Zwinger non si lasciò coinvolgere
in un dibattito che egli riteneva del tutto inutile, e non lo fece nemmeno quando un altro amico
glielo chiese, cfr. la lettera di Simon Scheible del 11. 10. 1577: «Etsi autem utraque haec mihi
- 110 -
Ethicorum Nicomachiorum Zwinger cassò senza remore il passo che
abbiamo citato, sostituendolo con un testo dal Theatrum, in cui egli, pur
non nascondendo il suo dissenso nei confronti di Ramus, pone la logica
ramista al di sopra dei libri di scuola di tanti sofisti:
Petrum uero Ramum Veromanduum, cur non iure merito his aggregem? Non quia
praeceptor olim noster, sed quia Logicae finem in usu, non in sophistica theoria consistere,
arbitratur? Etsi uero nec in praeceptis, nec in Aristotelis censura cum eo consentio, id
tamen dicere ausim, plus ex ipsius Logica fructus percipi posse, quam ex omnibus omnium
sophistarum, qui paulo ante nostram aetatem uixere, subtilissimis et argutissimis
quaestionibus, summis, compendiis. 289
Egli si spinse ancor più in là riprendendo dalle Aristotelicae
animadversiones e dall’Arithmeticae et Geometriae libri di Ramus la
maggior parte del materiale usato nelle argomentazioni di logica e
matematica contenute nelle edizioni più tarde del Theatrum. Volle anzi
giustificare a posteriori la paradossale sfida di Ramus nei confronti di
Aristotele, affermando che essa era diretta piuttosto contro le «Aristotelicas
simias» che contro Aristotele stesso, «cuius divinum ingenium nemo sanus
merito reprehenderit».290
L’entusiasmo per la filosofia e il metodo aristotelico non impedì a
Zwinger di continuare ad interessarsi a Platone e al neoplatonismo. A
Lorenzo Priuli, suo allievo e patrono negli ultimi anni padovani, Zwinger
espose, accanto ai testi aristotelici, anche i Dialoghi di Platone: «Tu,
quantum in Aristotele et Platone te duce pauci mensibus profecerimus,
nosti» gli scrisse Priuli più tardi a Basilea.291 Nei programmi di Zwinger
rientrava quello di ridurre in tavole analitiche, oltre all’Ethica, anche i
dialoghi platonici.292 Dopo il suo ritorno a Basilea, del resto, la prima
probatur plurimum, tamen quaestioni nostrae, qua petebamur quid de Rami cum reliquis scriptis,
tum de Logica ipsius in uniuersum sentires explicari, nimis oblique respondes. Optassem id
apertius esse factum, sed pietati et modestiae tuae id tribuo, qua cum de aliis, tum de
Praeceptore, quam parcissime et cautissme iudicandum esse statuisti», cfr. Frey-Gryn. II 5a, n.
104. Per la controversia fra Jacob Schegk e Pietro Ramo cfr CESARE VASOLI, La dialettica e la
retorica dell’umanesimo. «Invenzione» e «Metodo» nella cultura del XV e XVI secolo, Milano,
Feltrinelli, 1968; pp. 527-530 e 573-578; BIETENHOLZ, Basle and France (cfr. proleg., nota 13),
p. 158; SACHIKO KUSUKAWA, Lutheran uses of Aristotle: a comparison between Jacob Schegk
and Philip Melanchthon, in Philosophy in the sixteenth and seventeenth centuries. Conversations
with Aristotle, (edd.) C. Blackwell & S. Kusukawa, Aldershot, Ashgate, 1999, pp. 169–188;
IDEM, Uses of Philosophy in Reformation Thought: Melanchthon, Schegk, and Crellius, in The
Medieval Heritage in Early Modern Metaphysics and Modal Theory, 1400-1700, (ed.)
R.L.Friedman, Dordrecht, Kluwer, 2003, pp. 143-163.
289
Theatrum humanae vitae, ed. 1586, p. 1176.
290
Theatrum humanae vitae, ed. 1586, p. 1177: Trascrivo l’anedotto riportato da Zwiger
sull’esame di laurea del giovane Ramo che completa le testimonianze citate ed analizzate
precedentemente da Bietenholz e da Rotondò (si veda nota 17), ma che continuano ad essere
ignorate dagli specialisti del ramismo in Svizzera: «Petrus Ramus Veromandus, Lutetiae
magisterii titulum suscepturus, pro more liberamdisputandi copiam Examinatoribus facere
cogebatur. Ostentandi igitur causa ingenii paradoxum illud suscepit, Quaecumque ab Aristotele
dicta essent comentitia esse. Attoniti nouitate et insolentia problematis magistri, cum
auctoritatem Aristotelis, qua tanquam scuto sese ad omnes insultus munire consueuerant, sibi
ereptam viderent, irrito conatu per diem integrum, Magistrandum oppugnarunt. Ex quo fortuito
successu ansam deinceps serio et libere in Aristoteleas simias potius, quam deinceps in ipsum
Aristotelem, cuius diuinum ingenium nemo sanus merito reprehenderit, animaduertendi et
inquirendi arripuit».
291
Lettera del 1. 3. 1561, (Basel ÜB, Frey-Gryn. II 5a, n. 98).
292
PIETRO BAIRO, De Medendis Hvmani corporis malis Enchiridion : Quod vulgò Veni Mecvm
uocant (ed. Theodorus Zuingger Basiliensis), Basileae, P. Perna, 1560; f. y 3r.
- 111 -
pubblicazione filosofica di Zwinger fu quella che a tutt’oggi rimane l’unica
edizione completa delle opere di Francesco Cattani da Diacceto, uno dei più
caratteristici rappresentanti del platonismo rinascimentale. Negli scritti del
Cattani si assiste proprio al tentativo «di difendere sulla base dei testi
aristotelici la dottrina di Platone e dei Pitagorici contro Aristotele stesso o
di rintracciare in Aristotele alcune dottrine platoniche contro l’opinione
degli aristotelici».293
Considerato il migliore allievo di Marsilio Ficino, Francesco da
Diacceto era stato designato come suo successore all’Accademia platonica
di Firenze; è grazie a questa accademia e ai suoi membri – affermava
Zwinger nell’introduzione ai testi – che siamo ora in grado di far filosofia
con eleganza e in libertà – «quorum opera effectum est, ut liber et elegante
philosophari possumus». Quanto la «respublica literaria» fosse debitrice
all’Accademia e al suo fondatore, Cosimo de’ Medici, aggiungeva Zwinger,
risultava chiaro dal fatto che, dopo un tempo in cui la più oscura barbarie
aveva soffocato e corrotto ogni scienza, alla rinascita del latino e del greco
– «renascentibus Latinis atque Graecis literis» –, l’Accademia Fiorentina
era stata la prima a promuovere lo studio di una filosofia più pura, attinta
direttamente alle fonti platoniche. Da Platone, dunque, non da Aristotele:
sublimità della dottrina ed eleganza del metodo, affermava Zwinger, hanno
da sempre reso la filosofia platonica meno accessibile alle scorrerie dei
sofisti, così da poter essere per prima liberata dalla barbarie.294 Ciò che
spinse il naturalista basileese a pubblicare l’opera del Diacceto, fu
certamente in gran parte il tentativo di quest’ultimo di ricondurre Aristotele
a Platone:
Nullius addictus iurare in uerba magistri, Academiae dignitatem ubiuis tuetur,
Peripateticorum placita non negligit, et quod primum est, Platonem cum Aristotele uel in
Omnibus, uel certe in praecipuis conciliare studet.295
Ciò offrì a Zwinger nella prefazione anche un’opportunità unica per
prendere posizione in maniera programmatica sulle caratteristiche e le
differenze tra le due filosofie, quella platonica e quella aristotelica.
Zwinger afferma che non rende giustizia né a Platone né ad
Aristotele chi si riproponga di metterli a confronto o chi si soffermi a
polemizzare sulla superiorità dell’uno o dell’altro. Essi si differenziano
infatti nel modo di intendere la filosofia e, a suo modo, ciascuno dei due è
un maestro unico e di irraggiungibile eccellenza («in suo quisque genere
excellentissimus est, absque ulla comparatione»).296 L’atteggiamento di
Zwinger cambia tuttavia quando vengano messi a confronto i due diversi
modi di procedere, per individuarne più da vicino scopi, contenuti e metodi
dei due filosofi e, all’occasione, imitarli al meglio. Sugli scopi, afferma
293
Opera Omnia FRANCISCI CATANEI DIACETII Patritii Florentini, Philosophi Svmmi nvnc
primvm in lvcem edita. In quibus praeter multijugam omni Philosophiae genere doctrinam et
pietatem, Academicorum quoque cum Peripateticis consensum, et (quod a multis hactenus
desideratum fuit) utrorumque cum Christiana Religione conuenientiam in plerisque dogmatibus,
lector eruditus deprehendere poterit (ed. Theodorus Zuuinger Basiliensis), Basileae, H. Petri &
P. Perna 1563; P. O. KRISTELLER, Francesco da Diacceto and Florentine Platonism in the
sixteenth Century, in Miscellanea Giovanni Mercati 4 (Studi e Testi 124), Città del Vaticano
1946, pp. 260-304:287 (cfr. in IDEM, Studies in Renaissance Thought and Letters, I, Roma 1956
(1969), pp. 287-336:312).
294
FRANCESCO DA DIACCETO, Opera Omnia (cit. in la nota precedente), f. *4v.
295
Ibidem.
296
Ivi, f. * 2r.
- 112 -
Zwinger, tutti sono concordi: il fine ultimo che entrambi si prefiggevano era
la verità, e nella loro concezione la sapienza doveva essere loro fedele
accompagnatrice. Quanto al contenuto, entrambi estendevano il loro
pensiero a tutta la ricerca filosofica – la filosofia naturale sopratutto, ma
anche la filosofia divina, la morale e, talvolta, anche la matematica -, pur
ponendo via via l’accento su cose diverse. Diametralmente opposti, invece,
erano i principi a partire dai quali ciascuno muoveva alle proprie
dimostrazioni tanto che erano pienamente giustificati i soprannomi di θεῖοϚ
per Platone, δαιμόνιος per Aristotele. Se Platone procede talvolta da
principi indimostrabili, che esulano dal terreno della ragione umana, e
possono essere intesi solo attraverso la fede e l’ascolto ubbidiente –
ἀκρόασις– , Aristotele, al contrario, non tende in alcun modo alle regioni
superne: con i piedi ben poggiati sul terreno della ragione, egli non intende
oltrepassare i limiti segnati testimonianza dei sensi. Egli osa addirittura
affermare che «esiste solo il singolo indivisibile, l’individuo percettibile»,
abbracciando così una posizione diametralmente opposta a quella di Platone
che nel Timeo afferma che solo le idee e le «primae species» esistono
veramente mentre l’esistenza dei singoli individui e delle «ultimae species»
è solo apparente. Su questo punto Zwinger afferma di non voler spingersi
oltre, poiché la materia è nota o comunque può essere appresa in gran parte
dagli scritti del Diacceto.297 L’interesse di Zwinger si concentra sul modo di
procedere dei due filosofi. Platone – continua il nostro – ha cercato di
ripulire il campo della filosofia dalle opinioni sofistiche e per questo ha
fatto uso del dialogo, retoricamente più efficace, che tiene sempre conto
delle posizioni dell’avversario e per negazione e contraddizione mira a
fuorviarlo. Aristotele al contrario ha trovato il campo libero da avversari, e
per questo ha potuto procedere verso la conoscenza senza ricorrere ad
artifici retorici, ma per via naturale. Come la massima autorità è conferita al
generale in tempo di guerra e al legislatore in tempo di pace, così ai due
filosofi va riconosciuta pari dignità, ma a ciascuno nell’ambito che gli è
proprio. Stessa levatura va riconosciuta tanto a Platone che ad Aristotele per
la corretta applicazione dei quattro metodi logici della dimostrazione,298
anche se Aristotele ne fa un uso più frequente, offrendo maggiore chiarezza
poiché il flusso del suo discorso non è continuamente interrotto dalle
obiezioni degli avversari. Rispetto all’ordinamento didattico delle scienze
Aristotele risulta invece senza dubbio il primo e anche l’unico grande
maestro. A lui si devono i tre «ordines didascalici», ripresi poi solo dal suo
allievo Teofrasto e, dopo molti secoli, da Galeno. Anche se ne avesse avuta
notizia – «quis enim tam diuino ingenio tantum bonum defuisse
affirmarit?» – Platone non ne avrebbe comunque fatto uso, sottolinea
Zwinger, poiché egli mirava piuttosto a liberare il terreno dalle false
opinioni che a presentare la filosofia in modo sistematico. D’altra parte
Platone risulta di gran lunga superiore ad Aristotele per quanto riguarda
eleganza letteraria e sublimità dei contenuti. Seguendo la tradizione dei
«prisci theologi», dei primi cabbalisti e dei loro discepoli, egli ha scelto di
nascondere molti misteri sotto il velo della favola: «Habuit ergo Cabbalam
suam fabulosam siue ἀκροαματιακὴν διδασκαλίαν per fabulas traditam ut a
diuinis mysteriis profanum vulgus arceret ».299 Aristotele invece non ha
297
Ivi, f. * 3r.
Ivi, f. * 3v.
299
Ivi, f. * 4r.
298
- 113 -
voluto velare con favole i contenuti della sua filosofia, né ciò si sarebbe
reso necessario, poiché il suo insegnamento non conteneva misteri. Al
contrario: «Rationis enim cum sensu coniunctae ductu sequebatur et ueteres
in eo potissimum reprehendebat, quod in naturalibus tractandis nimis altum
sapere uiderentur».300
Dopo il confronto teorico tra i due filosofi, nella seconda parte della
prefazione Zwinger affronta il problema dal lato pratico, chiedendosi come
mai la filosofia platonica sia assente dall’insegnamento universitario: «Cur
scilicet plures Aristotelem quam Platonem nostra aetate sequantur». 301 La
domanda era di grande attualità anche a Basilea, come dimostrano anche le
lagnanze di un amico più giovane di Zwinger, Adam Hericpetri, nella
prefazione all’Opera omnia di Ficino, del 1561: «Verum hoc nostro saeculo
paucissimos, qui se Platonicae Philosophie dedant et animum ad eam
adjiciant iuvenes, reperies, quod dolendum (est)». 302 Zwinger fa risalire
questo stato di cose a due motivi. Da un lato la filosofia aristotelica
risponde meglio ai requisiti didattici di un insegnamento accessibile,
continuato e di facile comunicazione; dall’altro la filosofia platonica si
mostra così vicina alla dottrina cristiana – un padre della chiesa affermeva
addirittura «paucis demptis Platonicos Christianos fieri posse»303 – da
potersi considerare imperfetta o superflua, una fumosa lampada a olio che
tenti di aumentare la gran luce della rivelazione:
His hunc in modum declaratis, alterum quoque problema, quod quis obiicere
posset, facili negocio soluitur: Cur scilicet plures Aristotelem quam Platonem nostra aetate
sequantur?. Causa duplex est, utraque tamen ex praecedentibus deducitur. Nam cum
philosophicus ager a Platone purgatus sit, Aristotelicam porro culturam, hoc est, apertam,
continuatam et facilem praeceptorum traditionem expetere uidetur. Altera est, quoniam
pietatis et uerae religionis igniculi (quorum merito a ueteribus Plato in summo precio fuit
habitus, nec minus a nostrae religionis assertoribus celebratus, adeo tu paucis demptis
Platonicos Christianos fieri posse non postremus inter Ecclesiae doctores affirmarit) tam
clare et euidenter ex diuinis oraculis colligi et intelligi possunt, ut Platonica Philosophia,
uel quia imperfectaest, uel quia superflua, non magnopere egeamus, ne fumidis lucernis
meridianam lucem illustrare uelle uideamur. 304
Per evitare questo sconveniente stato di cose, Zwinger invita tutti coloro
che vogliano apportare un contributo significativo alla filosofia, a
combinare le dottrine di Platone con i precetti di Aristotele in modo tale da
apprendere prima da questo i metodi didattici e conoscere i confini della
natura e della ragione, per innalzarsi poi, con maggiore sicurezza, verso le
sublimi altezze platoniche: «Wer einmal im Lichte gewandert, der wird die
Mittagssonne besser ertragen als derjenige, der erst aus dem tiefen Dunkel
auftaucht » («Chi abbia camminato nella luce potrà sopportare il sole di
mezzogiorno meglio di chi sia appena uscito dalle tenebre»), spiega l’allora
300
Ibidem.
Ibid..
302
MARSILII FICINI Florentini insignis Philosophi Platonici [...] Opera, Basileae, H. Petri, 1561,
f. α3v. Cito dall’edizione, inalterata rispetto a questa, di Basilea, Ex officina Henricpetrina, 1576.
303
Si tratta di Agostino, cfr. Migne, Patrologia latina, vol. XXXII, col. 442 «Platonicos, paucis
mutatis, Christo pias cervices submittere oportere»; per le variazioni su questo passo (in genere
mal citato) da parte di Bessarion, Champier ed altri difensori del platonismo si veda DANIEL P.
WALKER, The Prisca Theologia in France, (cit., cap. I, nota 30), pp. 210-212, 244-247; cfr.
anche IDEM, The ancient theology. Studies in Christian Platonism from the fifteenth to the
eighteenth century, London, Duckworth, 1972.
ora anche sotto il titolo
304
DIACCETO, Opera Omnia (cit., nota 23), f. *4r.
301
- 114 -
trentenne filosofo basileese, riassumendo le sue indicazioni
programmatiche in termini che restano fondamentali per interpretare anche
per le sue opere successive:305
Ergo prius cum Aristotele quam cum Platone uersandum, non mode quia Elenchus
Didascalia posterior esse debet in discente, uerum etiam quia Peripateticae Philosophiae
assueti, securius postea cum Academicis uersabuntur: leuiter enim meridiano sole
offenditur, qui aliquandiu in luce uersatus est: grauius ille, qui ex profundis tenebris
primum emerserit. Habet certe diuinus Plato magnos spiritus, et illustres, quibus ueluti alis
quibusdam si Daemon Aristotelicus se subleuarit nescio quid perfectum, et omnibus suis
numeris absolutum praestabit. Icundum praeterea est, Christianae pietatis incunabula
quaedam ex Platonis Philosophia decerpere: quibus non minus animi nostri afficiantur,
quam admirandis de Christo seruatore nostro Sibyllarum uaticiniis. Etsi enim religionis
nostrae ea est authoritas, ut nullis rationibus astrui uel possit uel debeat: operaeprecium
tamen est, quaedam ueluti rudimenta religionis in intellectu humano agnoscere, per quae
Philosophi olim Deum comprehenderunt, non tamen (ut D. Pauli uerbis utar) tanquasm
Deum glorificauerunt. Constet igitur, eos optimos esse philosophos, qui in media
Academia περιπατεῖν, hoc est, Aristotelem praeceptori suo Platoni conciliare, et
Peripatetica dogmata Platonicis luminibus illustrare studuerint: explosa eorum amentia, qui
mordicus alterutram sectam tueri, et plus authoritati, quam rerum ueritati tribuere pergunt.
L’atteggiamento così aperto di uno Zwinger non ancora trentenne ci
illumina sulle apparenti contraddizioni che ci stupivano all’inizio, come
pure sugli ulteriori paradossi che incontreremo durante il nostro percorso
attraverso l’imponente opera dell’enigmatico naturalista basileese. Un tale
atteggiamento mostra anche che è impossibile fissare la figura di Zwinger
nell’ambito di una scuola filosofica, come Rotondò per primo ha mostrato:
«Ne era nata una posizione intellettuale spregiudicata, aperta a tutte le
esperienze, e comunque tale da non poter essere definita ramista o
antiramista, aristotelica o antiaristotelica».306 Lo stesso si portrebbe
affermare dellae sue posizioni nei riguardi di Platone come pure di Ermete,
Ippocrate o Paracelso. Ma prima di procedere nel tentativo di precisare
ulteriormente le opzioni filosofiche di Zwinger, dobbiamo ritornare al
problema del metodo che egli segue nella ricerca filosofica.
305
306
Ivi, f. * 4r-v.
A. ROTONDÒ, Studi e Ricerche di storia ereticale (cfr. proleg., nota 14), p. 370, 401.
- 115 -
IX
Il problema del metodo scientifico
Se ci chiediamo quale sia il segno più marcato nella poderosa e
apparentemente disparata produzione del naturalista basileese, la risposta
non può essere che questa: la ricerca di un corretto metodo per la ricerca
scientifica e la sua trasmissione. Ciò veniva sottolineato anche dai primi
biografi di Zwinger, Felix Platter – «uti totus erat methodicus» – e Johann
Jacob Grynaeus – «poiché era un vero maestro del metodo, del buon
insegnamento ordinato» («dieweil er ein rechter Meister war Methodi, guter
ordentlichen unterrichtung»). Ma tale caratteristica può essere osservata già
nei titoli dei volumi che egli scrisse o di cui curò l’edizione, che
continuamente, ed esplicitamente, rimandano ad una problematica
metodologica.307 È in questo senso particolarmente straniante la completa
indifferenza dimostrata nell’ambito degli studi sul metodo rinascimentale,
così vivaci da Cassirer in poi, nei confronti dell’opera di Zwinger.
Nonostante lo spazio riservato talvolta anche a figure di secondo piano,
Zwinger viene in genere tutt’al più relegato in una nota a pie’ di pagina, e la
sua dottrina del metodo non viene comunque quasi mai citata.308
Responsabile di tale ingrato destino è in parte lo stesso Zwinger, che
ha disseminato le sue riflessioni sul metodo e sull’ordinamento delle
scienze nei più disparati luoghi della sua imponente opera, ciò che ne rende
molto macchinoso il reperimento; o, invece, ne ha fornita nei suoi scritti
un’applicazione pratica che è possibile valutare correttamente solo a chi
conosca in profondità la sua opera. La trattazione specifica del problema del
metodo, più volte promessa agli amici che gliela chiedevano con insistenza,
307
In Artem Medicinalen GALENI Tabulae […], artificiosam ordinis Definitivi dialysin (1561);
ARISTOTELIS de moribvs […] Exemplorum methodicorum indice (1566); CONR. LYCOSTHENIS
Similium loci communes […] cum Th. Zwingeri Similitudinum methodo (1575); Methodus
Rustica CATONIS atque VARRONIS (1576); Methodus Apodemica (1577), etc.
308
J.H. RANDALL jr., The Development of scientific Method in the School of Padua, in «Journal
of the History of Ideas», I, 1940, pp. 177-206; N. W. GILBERT, Renaissance Concepts of
Methode, New York 1963; W. RISSE, Die Logik der Neuzeit, Bd. I, 1500-1640, Stuttgart-Bad
Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1964, pp. 14-377; A. CRESCINI, L'origini del Metodo analitico.
Il Cinquecento, Udine, Del Bianco, 1965; IDEM, Il problema metodologico alle origini della
scienza moderna, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1972; C. VASOLI, La dialettica e la retorica
dell’umanesimo. «Invenzione» e «Metodo» nella cultura del XV e XVI secolo (cit., nota 18);
1968; H. SCHILLING, Die Geschichte der axiomatischen Methode im 16. und beginnenden 17.
Jahrhundert, (Wandlung der Wissenschaftsauffassung), Hildesheim-New York 1969; A. POPPI,
La dottrina della scienza in Giacomo Zabarella, Padova, Antenore, 1972, pp. 161-195; W. F.
EDWARDS, Niccolò Leoniceno and the origins of humanist discussion of Methodes, in Philosophy
and Humanism. Renaissance Essays in the Honor of Paul Oskar Kristeller, ed. E. P. Mahoney,
Leiden, Brill, 1976, pp. 282-305; W. SCHMIDT-BIGGEMANN. Topica universalis. Eine
Modellgeschichte humanistischer Wissenschaft (Paradeigma I), Hamburg, F. Meiner, 1983, pp.
29-96 (in tutte quest’opere, di Zwinger non viene citato neppure il nome). Per una bibliografia
più completa e per le diverse posizioni degli studiosi a questo riguardo si veda ora DANIELA
MUGNAI CARRARA, Una polemica umanistico-scolastica circa l' interpretazione delle tre
dottrine ordinate di Galeno, in «Annali dell'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze»,
VIII, 1983, pp. 31-57: 32-35; P. SCHULTESS, Die philosophische Reflexion auf die Methode, in
Überweg: Grundriss der Geschichte der Philosophie. Die Philosophie des 17. Jahrhunderts, Bd.
I. Allgemeine Themen. Iberische Halbinsel, Italien, Hg. J. P. SCHOBINGER, Basel, Schwabe,
1998, pp. 63-77; M. SCATTOLA; Arnisaeus, Zabarella e Piccolomini: La discussione sul metodo
della filosofia pratica alle origini della disciplina poiltica moderna, in La presenza
dell’aristotelismo padovano nella filosofia della prima modernità, a cura di Gregorio Paia,
Roma-Padova, Antenore, 2002, pp. 273-309.
- 116 -
non è mai stata scritta. Così gli scriveva da Zurigo nell'agosto del 1565 il
medico locarnese Taddeo Duni:
Video abs te factam mentionem Commentarii cuiusdam de Ordinum,
Methodorumque tractatione, in praefatione illa tua ualde erudita, Galeni artis medicinalis
libro praefixa, quem inchoatum propediem te dacturum perfectum et elaboratum nobis
polliceris. Heus, Theodore, ne dormias, sed praeclarum hoc olim inchoatum opus, si
perfectum adhuc non est, ocyus perficias; polliceor enim mihi magnum nescio quid, et
admirabile.309
Nell’epistola nuncupatoria premessa alle tavole e al commento dell’Ars
medica di Galeno, cui faceva riferimento Duni, medico ordinario della città
di Zurigo, Zwinger non aveva in realtà fatto solo vuote promesse, ma aveva
anche fornito uno specimen delle proprie posizioni riguardo al problema. Il
punto di partenza era rappresentato dalla domanda sul perché, in un epoca
tutt’altro che povera di grandi dotti e scrittori di talento, solo pochi – o forse
nessuno – fosse in grado di competere con l’antichità classica tanto in
ambito scientifico che filosofico. 310 Influsso astrale, incapacità innata,
abitudini alimentari, clima e quant’altre spiegazioni si potessero fornire
vengono da Zwinger minimizzate, o svuotate completamente di significato.
Per avvicinarsi ad una soluzione, Zwinger distingue due fasi
nell'acquisizione della conoscenza: la conoscenza si raggiunge infatti per
scoperta propria – εὕρεσις, inventio – o attraverso lo studio, proprio o altrui
– διδασκλία / μάθησις, doctrina. Per quanto riguarda la scoperta, continua
Zwinger, gli antichi ci sono superiori solo cronologicamente: se non fossero
stati loro a inventare le arti e le scienze prima di noi, noi le avremmo
scoperte ai nostri tempi, come dimostrano a sufficienza l’invenzione del
compasso nautico, dell’arte tipografica e delle armi da fuoco. Le cose
stanno in maniera diversa per ciò che riguarda invece la doctrina, che poi
altro non è che la trasmissione del sapere dal maestro al discepolo. Essa è
importante quanto la scoperta in sé, poiché la stessa scoperta diviene inutile
se non è possibile trasmettere le conoscenze agli altri. Ci si può addirittura
spingere a dire che la doctrina è superiore all’inventio per certezza e
sicurezza poiché essa non poggia solo sulla fortuna di un singolo, ma sulla
lunga esperienza e il controllo di molti. Scopo della doctrina non è
nient’altro che derivare il metodo e l’ordine che risiedono nella natura quasi
ne costituissero l’anima, fissarlo, e trasmetterlo agli altri:
Methodus vero et ordo Naturam habet authorem, rectorem atque Ducem ipsam
Artem. Quapropter a natura constituenda est, ab arte dirigenda et perficienda. 311
Ma per quanto sia importante il metodo, aggiunge Zwinger, tanto
importante che senza di esso possiamo solo brancolare nel buio – «cum
dempta Methodo sol e mundo literario sublatus esse videatur» – esso è noto
a pochi, ed è ancor più raro che esso venga applicato o commentato. Oltre a
quelli di Ippocrate, Platone, Aristotele, Teofrasto di Ereso e Galeno,
l’antichità non ci ha tramandato scritti metodologici, e, nonostante i
moltissimi dotti greci, latini e arabi vissuti nel frattempo, fino ai tempi
309
Lettera di Taddeo Duni a Zwinger del 31. 8. 1565, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn.II 5a, n. 29.
310
THEODOR ZWINGER, In Artem Medicinalem Galeni, Tabulae et Commentarij: Ex quibus
Medici, longae artis compendium: Philosophi, cognitionem naturae in corpore humani: Logici
denique, artificiosam ordinis Definitiui diallysin, magna cum utilitate et facilitate haurire
poterunt, Basileae, Oporinus, 1561, f. α 2r.
311
Ivi, f. α 2v.
- 117 -
moderni le cose non sono cambiate: «Hanc pestem ad nostra quoque
tempore pervenisse, magno nostro malo experimur». 312
Ritornando al quesito iniziale, Zwinger individua dunque nella
mancanza di un metodo adeguato il principale motivo della decadenza dei
suoi tempi rispetto all’antichità:
Et haec sane prima et praecipua est causa, cur in tanta optimorum authorum turba,
in tanta ingeniorum felicitate et ubertate, in tanta denique omnium eorum quae nos ad
laudem accendere et promovere possunt adiumentorum copia, paucos, ne dicam, nullos
videamus, qui cum antiquis comparari queant. 313
Esiste tuttavia per Zwinger un secondo motivo. Esso consiste nel tempo
quasi infinito che i contemporanei devono investire nello studio delle
lingue, a pieno discapito delle matematiche:
Altera uero est, eaque non contemnenda […] quod quantum pueri olim in
mathematis discendis otii et operae impnedebant, tantum nobis in linguis percipiendis
studii collocandum sit: et quemadmodum Plato Academiae suae inscripsit, οὐδεὶς
ὰγεωμέτρητος εἰσίτω, ita nos Scholis nostris, οὐδεὶς ὰγράμματος.314
Ottant’anni prima di Comenio il naturalista basileese lamenta il fatto che i
migliori anni della giovinezza – «optima certe aetatis nostrae pars» –
vengano sprecati nello studio non delle cose, ma di mere parole, tanto da
non lasciar quasi spazio per avvicinarsi nell’adolescenza ad arti che
nell’antichità venivano apprese senza sforzo già dall’infanzia. Questo
problema, aggiunge Zwinger, era completamente sconosciuto ai greci che
avevano sì ripreso la loro scienza da ebrei, egizi e caldei, ma erano stati
tuttavia sufficientemente ragionevoli da rielaborarla e tramandarla nella
loro lingua madre. I latini avevano seguito l’esempio greco, come non
pochi degli italiani contemporanei, che si sono lodevolmente prefissi lo
scopo di tradurre nella loro lingua tutte le scienze, cosa che sarà di grande
utilità almeno ai loro compatrioti:
Viderunt hoc quoque Latini, et Graecos non infeliciter sunt imitati. Idipsum nostra
etiam aetate Italorum plurimi non sine laude praestare conantur, ut tandem disciplinas
omnes uernacula sua lingua descriptas exhibeant, et suis saltem hominibus consulant:
quandoquidem linguae propagatio(quod nonnulli somniare uidentur) non nisi cum imperio
fieri potest.
Noi invece, continua Zwinger, facciamo tutto il contrario: dimostriamo così
poco amore per la patria e per noi stessi, da ammirare di più ciò che non ci è
proprio. Visto che siamo così presi da tutto quello che ci proviene dai Greci
e dai Latini, imitiamoli anche in questo, preponendo la conoscenza delle
cose alla conoscenza delle lingue. In fondo non studiamo greco e latino per
parlare o scrivere in queste lingue – sono infatti lingue morte, estintesi con
l'antico impero – ma per poter intendere e studiare le arti e le scienze che in
queste lingue ci sono state tramandate:
Utinam uero nos quoque tam φιλοπατρίδες, aut etiam φίλαυτοι essemus, ut nostra
nobis magis placerent quam peregrina, Spartam nostram, non alienam, pietate potius quam
ambitioso πολυγλωττίας titulo moti, excolere studeremus. Graecos et Latinos imitemur
(quandoquidem omnia illorum nobis usque adeo placent) et linguarum cognitionem
multiiugae rerum scientiae postponamus. Neque uero Graece uel Latine discimus, ut
312
Ivi, f. α 3r.
Ivi, f. α 3r-v
314
Ivi, f. α 3v.
313
- 118 -
Graece Latineue loquamur aut scribamus (iamdudum enim cum Imperio linguae istae
conciderunt) sed ut artes atque disciplinas his linguis traditas intelligamus. 315
Può stupire, in un primo momento, che queste affermazioni escano proprio
dalla penna di un uomo che nella sua imponente produzione letteraria ha
fatto quasi esclusivamente uso della lingua latina o di quella greca, e l’ha
fatto con una leggerezza, una precisione e un’eleganza stilistica che
difficilmente trova eguali tra gli umanisti d’oltralpe. Ciononostante
Zwinger, da grande pedagogo quale era, si era reso conto che nella ricerca
come nello studio e nell’insegnamento l’uso della lingua madre era
condizione necessaria per lo sviluppo futuro delle scienze.316 Egli riassume
così il suo pensiero:
Sunt ergo hae duae causae, quae ingeniorum nostrorum profectui obstant:
linguarum scilicet cognitio necessaria et methodi sive ordinis ignorantia. 317
Dei due motivi che impediscono il progresso delle scienze, Zwinger ritiene
il secondo assolutamente insormontabile, almeno per il momento. È per
questo che per tutta la vita dedica i suoi sforzi al superamento del primo.
L’ignoranza dell’ordine scientifico e del metodo è radicata nel fatto che i
grandi maestri dell’antichità, pur avendo applicato ordine e metodo nei loro
scritti, non ne hanno dato formulazione teorica, o, se l’hanno data, i loro
scritti sull’argomento sono andati perduti. Gli unici scritti metodologici che
ci restano, sono, secondo Zwinger, l’introduzione di Galeno all’Ars medica
e alcune singole osservazioni di Aristotele negli Analytica posteriora: ma,
per la concisione del primo, o per l’«obscuritas» del secondo, i
commentatori hanno piuttosto alimentato che risolto dubbi e incertezze
relative al metodo. Si è dovuto aspettare il «nostro secolo» per poter
rilanciare, e non senza ostacoli, il problema del metodo:
Doctrina (ordinum et methodorum) ab Aristotele et Galeno exemplis potius quam
praeceptis proposita, a nostri temporis viris eruditis in lucem revocata est, et vix tamen
credita.318
Un corretto uso di «ordines» e «methodus» in ambito filosofico, rileva
Zwinger, è talmente indispensabile che senza l’uso di tali strumenti logici
non è possibile pervenire a nessuna scienza, se non, tutt’al più, a una
scienza confusa e fallace: «aut scientiam nullam pariet, aut certe confusam
tantum».319
Tra coloro che si sono interessati al metodo Zwinger nomina per
primo Niccolò Leoniceno, che nel De tribus doctrinis ordinatis riesce a
recuperare dall’«infezione sofistica» la dottrina del metodo descritta da
Galeno. Oggi Leoniceno è visto come colui che per primo nell’evo
moderno ha portato alla ribalta il problema del metodo come «a logical
315
Ivi.
Ivi, f. α 3v-a4r. Il programma più radicale di insegnamento dell scienze nelle lingue nazionali
fu formulato dal paracelsista e schwenckfeldiano Samuel Eisenmenger (Syderocrates) nella
prefazione alla Cyclopaedia Paracelsica Christiana, [Strassburg] 1585, cfr. Karl Sudhoff,
Gedanken eines unbekannten Anhängers des Theophrastus Paracelsus von Hohenheim aus der
Mitte des 16. Jahrhunderts über deutschen Jugendunterricht, in «Mitteilungen der Gesellschaft für
deutsche Erziehungs- und Schulgeschichte», V, 1985 , pp. 83-90; C. Gilly, Das Sprichwort ‘Die
Gelehrten die Verkehrten’ oder der Verrat der Intellektuellen im Zeitalter der Glaubensspaltung
(cit., cap. I, nota 32), pp. 347-349.
317
Ivi, f. α 4r.
318
Ivi.
319
Ivi.
316
- 119 -
instrument for the organizing or structuring of a science as a whole, rather
than for the solution of particular problems within a science». 320 Al secondo
posto viene, secondo Zwinger, un allievo del Leoniceno, Giovanni Battista
Montano, e al terzo posto il suo stesso maestro, Bassiano Landi. Ramus
viene per il momento escluso dall’elenco per aver rifiutato il metodo di
Galeno, e dunque anche quello del Leoniceno. Ciò non toglie che nella
presentazione delle sue tavole Zwinger ricorra a concetti considerati
«ramistici».321
Nonostante l’ammirazione per i suoi predecessori, Zwinger imbocca
ben presto una propria strada, convinto che i precetti metodologici
dell’antichità, così come ci sono stati tramandati, siano comunque
imperfetti e poco trasparenti. Forte della sua pluriennale esperienza
nell’analisi degli scritti dei filosofi greci, egli era in grado, come nessun
altro, di muovere ad una nuova ricognizione degli scritti di Platone,
Aristotele e Galeno:
Nam quod iampridem monuimus, praecepta uel nulla, uel certe pauca et ualde
obscura de ordine logico habemus, scripta uero illustria nobis relicta sunt ex quibus
latentem hunc ramum uere aureum educere possumus. 322
Il punto di partenza delle sue osservazioni sul metodo è costituito
dalla definizione aristotelica dell’«ordo logicus»: «Habitudo prius ad
posterius», cioè disposizione secondo il precedente e il successivo. Poiché
però – sostiene Zwinger – noi disponiamo di due diversi organi conoscitivi
(κριτήρια), i sensi e l’intelletto, esistono due maniere diverse di intendere
ciò che è nostro oggetto di cognizione prima o dopo. Il particolare si
presenta infatti prima ai sensi, mentre il generale si presenta prima
all’intelletto. Nel descrivere dunque questo ordine nei termini di
«progressus a priori ad posterius» intendiamo come «ordo» un processo
doppio e inverso dal generale al particolare – e questa è la via
dell’insegnamento ὁδὸς διδασκαλική – e, al contrario, dal particolare al
generale – e questa è la via dell’invenzione, ὁδὸς εὑρετική.323
Questa suddivisione preliminare tra «ordo inventionis» e «ordo
doctrinae» nasconde già in sé un elemento metodologico nuovo in grado di
sconvolgere lo schema dei tre «ordines» e dei quattro «methodi» (modi) di
Galeno e Leoniceno. Nel suo commento al De constitutione artis di Galeno,
pubblicato nel 1561, Zwinger parla infatti di una ὁδὸς o «via cognoscendi»
che proviene dalla natura dell’oggetto da conoscere e dalle condizioni
specifiche del conoscente. Questo – aggiunge Zwinger – confonde molti
sulla differenza tra «ordines» e «methodi», ma senza motivo. «Ordines» e
«methodi» sono infatti disposizioni artificiali dei contenuti da veicolare,
mentre la «via docendi» ricalca la generale «ratio progrediendi a notiori ad
320
W. F. EDWARDS, Niccolò Leoniceno and the origins of humanist discussion of Methodes (cit.,
nota 2), p. 284. D. MUGNAI CARRARA, Una polemica umanistico-scolastica circa l'
interpretazione delle tre dottrine ordinate di Galeno (cit., nota 2), pp. 31-57; STEFANIA
FORTUNA, Galen’s De constitutione Artis medicae in the Renaissance, in «The Classical
Quarterly», n.s., XLIII, 1991, 302-319.
321
Stefania Fortuna, riferendosi alla versione tedesca del presente saggio, mi criticava per aver
accentuato troppo «Zwinger’s methodological debt to Ramus» (cfr. ivi, pp. 314 sg.), mentre
proprio nelle pagine precedenti ero io stesso a negare il presunto ramismo del basileese. Si veda
anche sopra, cap.VIII, note 75-80.
322
ZWINGER, In Artem medicinalem Galeni Tabulae et Commentarii (cit., nota 4), f. α 6r.
323
Ivi, f. α 5r.
- 120 -
ignotum, a confuso ad distinctum», di cui l’uomo è dotato per natura.324
Tale via è dunque comune tanto all’«ordo inventionis» che all’«ordo
docendi», e pertanto la questione del metodo non deve venire circoscritta
alle problematiche legate agli «ordines didascalici» – strutturazione e
trasmissione della scienza – ma abbracciare anche quelle legate alla crescita
delle scienze per l’accumulo di nuove conoscenze, o, addirittura,
all’invenzione di nuove scienze. Quando cinque anni dopo, nel commento
all’Ethica aristotelica, Zwinger parla dei tre «ordines» (definitivus,
compositivus, resolutivus) e dei quattro «methodi» (syllogismus, definitio,
resolutio, divisio) come di un istrumentario logico a sette chiavi atto non
solo a strutturare, spiegare e trasmettere, ma anche a «inventare» tutte le arti
e le scienze,325 è chiaro che si tratta di una svista. Già a partire dalla
seconda edizione si legge infatti «triplex (est) ordo didascalicus, quo artes
et scientiae omnes disponuntur et explicantur». 326 Tanto qui che nell’esteso
carteggio con Jacob Horst sulla questione del metodo in medicina, Zwinger
già limitava l’applicazione degli «ordines didascalici» all’organizzazione e
alla trasmissione delle scienze.327 Con Leoniceno tuttavia Zwinger
distingue tra un «ordo doctrinae» o disposizione delle parti, nell’ambito di
una singola scienza, e un «modus doctrinalis» o argomentazione, all’interno
delle sue singole parti. Come farà poi Zabarella, egli fa uso dei concetti di
«ordo» e «methodus» in modo contrastivo. Prima ancora di Zabarella,
Zwinger si contrappone alla concezione corrente, che tutti gli ordini
didattici riproducano un processo «a principiis ad principiata».328 Per
quanto vicini possano apparire nelle formulazioni, i due filosofi divergono
però totalmente nelle conclusioni tratte da queste premesse. Per meglio
esemplificare le loro posizioni, propongo qui due passi paralleli:
Omnis enim doctrina essentialis ex
principiis primis fit, et per consequens
etiam ordo qui doctrinae dat nomen et
esse. Compositiuus a primis ad ultimas:
Resolutiuus ab ultimis causis ad primas
progreditur; uterque postea ad principiata
descendit, eaque principiis propositis
consentanea esse ostendit. A principiatis
ad principia prima ascendere, non
διδασκαλίας uel ordinis didascalici, sed
εὑρέσεος proprium est.329
Duo igitur soli ordines dantur, qui ex ipsa rerum
cognoscendarum natura prout a nobis cognoscendae
sunt, deriuantur, unus est compositivus, qui a primis
principiis inchoando progreditur ad posteriora
principia, et ad ea, quae ex principiis constant, et a
simplicibus ad composita, ut perfecta rerum
cognitio tradatur; alter est resolutivus, qui proposito
ultimo fine agendo uel efficiendo a nobis,
progreditur ad prima principia indaganda, per quae
finem illum postea producere et comparare
ualeamus.330
324
THEODOR ZWINGER, In Galeni Librvm De Constitvtione artis Medicae, Tabulae et
Commentarij: Ex quibus rationem inueniendi et constituendi artem quamlibet, iuxta Resolutiui
ordinis leges, (cuius natura, ars et usus multis iam seculis latuit) studiosus Lector facili negotio
depromet, Basileae, Oporinus, 1561, p. 5.
325
ARISTOTELIS Stagiritae De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: Tabvlis perpetuis (cit., cap.
VIII, nota 15), f. β 3v.
326
ARISTOTELIS Ethicorum Nicomachiorum libri decem ex DION. LAMBINI interpretatione
Graecolatini THEOD. ZVINGERI argumentis atque Scholiis, Tabvlis quinetiam Novis methodice
illustrati, Basileae, E. Episcopius, 1582, f. γ 2r-v.
327
Zwinger a J. Horst, 21. 3. 1574 (Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II 28, n.
130av). Di tutte le lettere inviate da Zwinger a Horst si sono conservate fino ad oggi soltanto una
lettera stampata e tre frammenti, conservati a Dresda. Poiché si tratta in realtà di interventi
programatici sul metodo, Zwinger ne aveva fatto fare delle copie per sé. Su Jacob Horst vedi
sopra, pp. OOO sg.
328
Aristotelis Stagiritae De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: Tabvlis perpetuis (cit. nota
15), f. δ 2r.
329
Ivi, f. γ 2r-v.
- 121 -
Mentre da questa definizione331 Zabarella fa derivare la famosa regola
secondo cui l’«ordo compositivus» va applicato solo nelle scienze
speculative, l’«ordo resolutivus» solo in quelle pratiche, Zwinger si
propone di applicare l’«ordo compositivus» alla medicina e a tutte le altre
arti applicate. La ragione di tanta divergenza nella conclusioni va ricercata
nell’atteggiamento profondamente diverso dei due autori di fronte ai
concetti di metodo e di scienza: da un lato il filosofo logicizzante, dall’altra
il naturalista filosofo. Metodo (nel senso di «ordo doctrinalis») non
significa per Zabarella seguire le orme della natura, ma indicare la via per
imparare meglio e più facilmente – «quod melius ac facilior discamus». Per
questo si parla di «ordo doctrinae» e non di «ordo naturae». 332 La scienza in
senso proprio riguarda per Zabarella solo le scienze speculative, mentre le
scienze pratiche, sempre orientate verso uno scopo, non si occupano di
principi inalterabili.333 Come abbiamo già visto, per Zwinger, al contrario,
ordine e metodo trovano spazio all’interno della natura, sono l’anima stessa
della natura, ed è proprio nella natura e dalla natura che noi dobbiamo
estrapolare le leggi del metodo:
Quae uero erunt leges (methodi) istae? – chiede Zwinger a Jacob Horst –
Nimirum quas Natura suggerit atque dictat, Ratio effingit et imitatur. 334
Non deve stupire dunque che Zwinger ponga l’«ordo compositivus» al di
sopra di tutti gli altri: egli lo definisce infatti «naturalis» in quanto imita
l’ordine della natura nel dare forma alle cose.335 In questo senso già il
giovane Zwinger osa criticare Galeno, il quale ne ha tramandato nome e
procedure, ma non ha mai adottato l’«ordo compositivus» nei suoi scritti,
dando luogo a non poche ripetizioni e lacune.336 Negli ultimi anni di attività
Zwinger si ripropose di riordinare i singoli scritti di Galeno mettendo in
pratica il suo metodo compositivo: «Τεχνωθῆναι primum, εἷτα ἐγχειρεῖν».
Si trattava di fissare un sistema di teoremi e canoni generali prima, e darne
poi conferma nei singoli fenomeni sulla base dell’esperienza. Sono
inequivocabili qui i segni dei lunghi studi su Ippocrate, e tuttavia il progetto
risponde a opinioni e tendenze radicate in Zwinger già prima dell’interesse
per gli scritti ippocratici. Se l’«ordo compositivus», che Zabarella
circoscrive alle sole scienze speculative, viene applicato anche alla
medicina, vuol dire che questa viene innalzata dal livello di arte o tecnica,
al rango di scienza o, per dirla con le parole di Zwinger, «Inter
330
Iacobi Zabarellae Patavini Opera logica, Venetiis, P. Meietus, 1578, p. 122.
Sebbene la redazione di Zwinger qui citata sia di quattro anni successiva alla pubblicazione
del De methodis di Zabarella, l’ho scelta per la sua brevità. Essa corrisponde perfettamente al
testo dell’edizione del 1566, p. 3l. Al contrario di Zabarella, Zwinger mantiene l’«ordo
definitivus», pur relativizzandone in alcuni casi il significato, come non manca di rilevare Jacob
Zwinger nelle sue De Methodis Theses a IACOBO ZVINGERO [...] Ad disputandum propositae.
Resp. Jacobo Coüeto Burgundo, Basileae, Schroeter, 1598, f. B 2r-3r.
332
Iacobi Zabarellae Patavini Opera logica (come nota 24), p. 98.
333
Ivi, 123. «Proprie sumpta scientia locum non habet nisi in contemplativis, ubi res aeternae et
necessariae tractantur, quum reliquae disciplinae versentur in contingentibus, quae a nobis fieri
et non fieri possunt».
334
Lettera a J. Horst, 21. 3. 1574 (come nota 21):
335
ZWINGER, In Artem Medicinalem Galeni, Tabulae et Commentarij (cit., nota 4), pp. 108 sg.
336
«Saepe confundit ea quae distinguenda fuissent, saepe repetit ea quae omitti potuissent, si
ordinis compositivi capita observasset». «Quamvis autem (libri) a Galeno ordine non sint scripti,
possunt tamen secundum ordinis compositivi normam disponi», ibid.
331
- 122 -
Philosophicas scientias et artes recipi meretur» e «pro colonia
philosophicae civitatis celeberrima haberi potest». 337 La medicina non è
pertanto solo scienza pratica, ma scienza in senso proprio, cioè scienza
teorica; dispone di teoremi generali, da cui particolari possono venire
dedotte tutte le altre conoscenze:
quandoquidem ΓΝΟΣΤΙΚΉ est theorematum atque λόγων, Uniuersalium scilicet
praeceptorum siue canonum (siue quo alio quis nomine conceptus istos appellare uolent, in
palaestra scholastica tanquam leges proponi solitos per Ἀπόδειζιν καὶ Διδασκαλίαν) ad
opus medicum facientium.338
Quello che vale per la medicina vale anche per le altre arti – botanica,
metallurgia, meccanica, alchimia, e sì, perfino agricoltura… 339
Non sorprende affatto incontrare il concetto zwingeriano di scienza
anche in una sua opera di agronomia:
Nam si scientia quaeuis non tam obseruatione, quam ea, quae ex obseruationis
perpetua serie deducta est, praeceptione absoluitur: et Experientia Rationis quidem
obstetrix, Ratio uero eiusdem magistra existit.340
(Qualunque scienza non deriva tanto dalle osservazioni, quanto dai precetti, che
vengono dedotti da una serie continuata di osservazioni: l'esperienza è dunque nutrice della
ragione, ma la ragione resta maestra dell'esperienza).
In altre parole: se esiste una ascesa – «progressus» – dal particolare al
generale, esiste anche una discesa – «regressus» – dal generale al
particolare. I due percorsi insieme costituiscono la scienza e Zwinger si
sente pertanto autorizzato a seguire l’«ordo compositivus» anche nelle
scienze pratiche.341 Egli le insegna quindi ai suoi studenti e ai suoi lettori in
termini teorici, esattamente come se si trattasse della «philosophia
naturalis» di Aristotele, e cioè in forma di tabelle, che garantiscono la
possibilità di lettura in entrambe le direzioni.
Ciò che salta all’occhio sfogliando per la prima volta le opere di Zwinger è
il gran numero di schemi e tabelle presenti nei testi: non c’è volume che
non sia costituito, completamente o in parte, da tabelle. Esaminandole più
da vicino ci si accorge che ne esistono di due tipi: nel caso dei libri di
Galeno, dell’Ethica e della Politica di Aristotele, dei libri di Ippocrate e dei
Salmi si tratta di tavole in cui l’intero testo viene trascritto schematicamente
secondo regole ben precise, e accuratamente commentato passo per passo.
Le tavole allegate alle opere più brevi e al Theatrum vitae humanae offrono
invece un colpo d’occhio sulla struttura logica dei contenuti e affrontano le
337
ZWINGER, Physiologia medica (cit., cap. VII, nota 25), p. 170; THEODOR ZWINGER,
Hippocratis Coi Asclepiadeae gentis sacrae coryphaei viginti dvo commentarii Tabulis illustrati.
Graecus contextus ex doctiss[imorum] vv[irorum] codicibus emendatus. Latina uersio Iani
Cornarij innumeris locis correcta. Sententiae insignes per Locos communes methodice digestae,
Basel, E. Episcopius und Erben N. Episcopius, 1579, (Appendix) Sententiarvm Hipocratearvm
dispositio in calce al volume), f. FF1v.
338
Cfr. nota 21.
339
ZWINGER, Hippocratis Coi viginti dvo commentarii Tabulis illustrati (cit., nota 31), f. FF1v.
340
ZWINGER, Methodvs rvstica […] typice delineata et illustrata (cit., cap. IV, nota 9), f. β 2v.
341
Sul concetto di “regressus” cfr. NICHOLAS JARDINE, Galileo’s Road to Thruth and the
Demonstrative Regress, in «Studies in History and Philosophy of Science», VII, 1976, pp. 277318; IDEM, Epistemology of the sciences, in The Cambridge History of Renaissance Philosophy,
ed. C.B. Schmitt et alii, Cambridge 1988, pp. 686-693; si veda anche l’introduzione alla ristampa
anastatica di J. ZABARELLA, De methodis libri quatuor. Liber de regressu, a cura di CESARE
VASOLI, Bologna, Clueb, 1985, pp. I-XXXVIII.
- 123 -
singole problematiche senza ripetizioni o lacune. Il primo tipo di tabelle ha
dunque carattere analitico, il secondo carattere sintetico. Come lo stesso
Zwinger riconosce, entrambe sono riconducibili, ma solo indirettamente,
all’insegnamento del suo maestro Petrus Ramus che lo ha formato al
principio di riflettere «in omnibus omnium scriptis analysin, in privatis
commentationibus genesin logicam».342 In realtà, l'uso delle tabelle è
anteriore all'insegnamento di Ramus e proviene piuttosto dall'ambito della
medicina e della giurisprudenza.343 Zwinger, da parte sua, si augurava che
l’uso delle tabelle si estendesse a tutte le altre scienze, e ne decantava
appassionatamente l’applicazione in una lettera a Jacob Horst:
Diuinum mihi typorum inuentum esse uidetur, quibus demonstrationes logicae ad
oculum describi possunt, non secus quam mathematicae suis diagrammatis; in quibus uel
abstrusissimae mentis humanae rationes ἐν ἄκαιρει χρόνῳ, miro compendio, pari
perspicuitate elucescunt. Ut qui hanc ceu puerilem operam contemnunt, suam tam
inconsiderato iudicio detegant infantiam. 344
Che tale metodo potesse discostarsi dalle preferenze di alcuni era
chiarissimo anche a Zwinger; anche amici molto vicini a lui lo avevano
ripetutamente pregato di fare un uso più parsimonioso delle tavole, e non
solo perché Simone Simonio, con loro grande dispiacere, ne aveva
pubblicamente negato ogni utilità. Crato von Kraftheim, per esempio,
scrisse a Zwinger anche a nome di altri perché redigesse per esteso ciò che
era contenuto nelle tavole. E questo perché spesso il lettore poteva sentirsi
letteralmente irretito dalle tabelle, e temere di averne trascurato qualche
passaggio e di non poter quindi comprendere l’insieme. Un testo continuo
avrebbe avuto il vantaggio di permettere a qualunque lettore di cogliere
l’essenziale molto più facilmente. Le tabelle, così conclude Cratone,
piacciono molto di più al loro creatore che ai discenti che si trovino
confrontati con esse.345 Pur non nascondendo la delusione di fronte al
giudizio del suo corrispondente, Zwinger rimane tuttavia impassibile:
Ego, mi Crato, non tam mei nominis quam studiorum utilitatis studiosus, facile
patior, me a Simonio uel quibusuis aliis siue ineptiae siue curiositatis nomine damnari,
dum meae uocationi satisfaciam. Et qui potiorem laborant methodum, ea utatur, fruatur,
adoretur etiam per me licet. Fateor meam ruditatem. Praestantiorem aliam non noui siue
άνάλυσιν siue γενέσιν spectem. Et si cui minuti illi ὰποκερμάτισμοι displicebunt, subsistat
ille in primis membris, et pax sit rebus. Prolixos commentarios possem fortasse minore
multo cum labore scribere, sed perspicuitatis et breuitatis in tanta scientiarum amplitudine
rationem habendam puto. Qua quis ratione discitur eadem quoque aliis docere queat:
ignota notioribus declarando, confusa per priora et posteriora distinguendo. Utrique
instituto logici schematismi mirifice satisfaciunt. Sed nolo de his plura, cum res ipsa satis
ostendat, facilius hic tyronibus (nam iis solis cum Epicharmo prodesse studeo) ex
342
V. nota 17.
Per l’indicazione e la datazione di tavole o «Scientific diagrams» anteriori al Ramus e persino
medievali, cfr. cap. VIII, nota 75. Si vedano anche MICHAEL EVANS, The Geometry of the Mind,
in «Architectural Association Quarterly», XII, 1980, pp. 32-55; JOHN E. MURDOCH, Album of
Science. Antiquity and the Middle Ages, New York 1984, no. 36, p. 46; NANCY G. SIRAISI,
Avicenna in Renaissance Italy. The Canon and Medical Teaching in Italian Universities after
1500, Princenton, University Press, 1987, p. 165.
344
Lettera di Zwinger a Horst del 19. 3. 1569, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II
28, 132.
345
Lettera di Crato a Zwinger del 11. 2. 1585, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II
8, 526.
343
- 124 -
compendiosis Tabulis quam ex diexodicis commentariis optimorum auctorum mentem
consequi.346
La predilezione di Zwinger nei confronti di tabelle analitiche e sinottiche
non nasceva esclusivamente dalla loro capacità di fornire uno sguardo
d’assieme sulla materia o dalla loro funzione menmotecnica. Zwinger
riconosceva in esse l’attuazione di quel metodo naturale – «ordo
compositivus» – che egli caldeggiava per la scienza. Per questo più volte
esse vengono paragonate agli alberi nel loro sviluppo: di essi vediamo
infatti venire alla luce prima il tronco, poi i rami, infine foglie, fiori e frutti,
uno dopo l’altro. In questo Zwinger riconosce il carattere naturale del
procedimento. «Ita quoque dispositio per Tabulas naturae aemula
evadit».347 Ma, soprattutto, egli le intende come naturali indicazioni di
percorso, in grado di aiutare lo studioso a non perdersi sulla mappa
eterogenea della scienza.
A questa immagine si rifarà un secolo dopo Leibniz nella Nova
methodus discendae docendaeque Jurisprudentiae, richiamandosi
esplicitamente a Zwinger:
Methodus ejus (Jurisprudentiae) non sit alphabetica, sed accurata et solida. Mirum
enim quam in methodo solida et naturali res rem explicet et memoriae juvetur. Qua in re
commodissimae sunt Tabellae, quarum ope licet uno obtutu primum in generali tabula
totam scientiae velut geographicam mappam, deinde vero speciatim singulas quasi
provincias lustrare. Hae veteribus incognitae, a Petro Ramo ejusque discipulis primum
celebratae sunt. Magnam quoque in illis diligentiam posuit Theodorus Zwingerus in
Ethicis Politicisque, et in Jure Job. Th. Freigius. 348
A Zwinger e a Freigius viene contrapposta da Leibniz la «massa degli
innumerevoli imitatori», incapaci di giungere ad un metodo naturale perché
le loro dicotomie, ottuse e impacciate, fanno perdere di vista l’essenziale:
hos innumerabilium aliorum caterva secuta est, sed vix assecuta quae optamus,
Methodum inquam Naturalem. Nam, ut recte Petro Ramo Ramistisque objecit
incomparabilis Verulamius, effecere illi anxietate dichotomiarum, ut rem coangustarent
magis quam comprehenderent [...] aut pro grano proprietatum inutiles divisionum paleas
relinquebant.349
Ho interrotto volutamente qui il passo, perché una sua lettura troppo
affrettata potrebbe far credere che Leibniz getti Zwinger e Freigius in un
unico calderone, insieme alla «caterva» dei ramisti. Un’estesa lettura aveva
portato il grande filosofo ad apprezzare l’opera e il metodo di Zwinger e a
deplorare sinceramente l’edizione di Colonia del Theatrum, del 1631: «c’est
346
Lettera di Zwinger a Crato del 8. 6. 1585, Breslau, Biblioteka Uniwersytecka, Rehdiger 248,
N. 157.
347
ZWINGER, In Artem medicinalem Galeni Tabulae et Commentarii (cit., nota 4), f. α 6v.
348
G. W. LEIBNIZ, Sämtliche Schriften, 6. Reihe, Bd. 1., Berlin 1966, pp. 295 sg.
349
Ivi, Al contrario di quanto si scrive comunmente, la struttura delle tabelle grafiche di Zwinger
non ha niente di dicotomico, ma imita piuttosto la forma di un albero, dal quale si formano tutti i
rami necessari alla piena fioritura della pianta: «Quemadmodum enim natura uegetratix primum
truncum arboris producit, deinde addit ramos, mox ramum quemlibet suis foliis, floribus et
fructu exornat; ita quoque dispositio per Tabulas naturae aemula evadit, quando id quod
generalissimum est tanquam basim supponit, et ex illo deinde reliqua omnia deducit, eodem
semper et continuato progressu, a magis scilicet uniuersalibus ad minus uniuersalia. Iam uero
quando, quomodoet quibus in locis Tabularum usus oportunus sit, explicare operae precium
erit», cfr. ZWINGER, In Artem medicinalem Galeni Tabulae et Commentarii (cit., cap. IV, nota 2),
f. α 6v; per alcune argomentazioni addotte da Zwinger a conferma della validità dell’uso delle
tavole cfr. ora STEFANIA FORTUNA, Galen’s De constitutione Artis medicae in the Renaissance
(cit., nota 14), pp. 314-315.
- 125 -
ainsi que Zwingerus a tout compris dans son Théâtre Méthodique de la vie
humaine que Beyerling a détraqué en le mettant en ordre alphabétique». 350
La critica di Francis Bacon alla «methodus unica» e alle
«dichotomiae perpetuae» di Ramus e della sua scuola, cui Leibniz accenna,
non coinvolge minimamente Zwinger,351 che in nessuna delle sue opere
spinge verso una «methodus unica» ottenuta per dicotomia di contrari. In
realtà nelle sue tavole egli si serve piuttosto con grande agilità dei quattro
metodi tradizionali dell’argomentazione, cui affianca la ἀπόδειζιϚ che
definisce come ulteriore «instrumentum scientificum, per quod scientia et
adquiritur et docetur».352
Il metodo di Zwinger venne al contrario criticato dal logico
Bartolomaeus Keckermann e dal «polyhistor» Daniel George Morhof. Non
c’è da stupirsi che il grande ammiratore di Zabarella non ritenga esauriente
né corretto «secundum logicam» il metodo di Zwinger:
Plenior ordo alienus in rebus, seu volumen plenius, praescriptum est a Zuingero,
in Theatro vitae humanae, quo ordine conatus est ille vir omnium rerum titulos
comprehendere, ingenti quidem labore, sed nescio an pari fructu: nam nec secundum
Logicam accurate is ordo constitutus est, nec talis, ut omnia ad eum possis referre; nec
denique talis, ut sine difficultate magna possis reperire id quod cupis, nisi confugias ad
indicem alphabetarium.353
Come non deve stupire il fatto che per l’erudito Morhof, al contrario del
filosofo Leibniz, fosse più agevole trovare i singoli luoghi del Theatrum
nell’ordinamento alfabetico della contrafazione di Beyerlinck che in quello
sistematico adottato da Zwinger nelle edizioni originali:
350
G. W. LEIBNIZ, Sämtliche Schriften, 6. Reihe, Bd. 6, p. 522.
Il passo di Bacone dal De augmentis scientiarum è il seguente: «Atque de unica Methodo et
dichotomiis perpetuis nil attinet dicere. Fuit enim nubecula quaedam doctrinae, quae cito transiit;
res certe simul et levis et scientiis damnosissima. Etenim hujusmodi homines, cum Methodi suae
legibus res torqueant et quaecumque in dichotomias illas non apte cadunt aut omittant aut praeter
naturam inflectant, hoc efficiunt ut quasi nuclei et grana scientiarum exiliant, ipsi aridas tantum
et desertas siliquas stringant», in The Works of Francis Bacon, eds. J. SPEDDING, R.I. ELLIOT,
D.D. HEATH, 7 vols., London 1857-1861, vol. I, p. 663.
352
ARISTOTELIS De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: Tabvlis perpetuis (cit., cap. VIII, nota
15), p. 173.
353
BARTHOLOMAEUS KECKERMANN, Operum tomus Secundus, Genevae 1616, p. 211.
Jacob Zwinger, nel quale la lettura di questo giudizio aveva destato grande irritazione,
scrisse nella prefazione alla Physiologia medica del padre, di cui aveva curato l’edizione
postuma: «Quo in genere (methodorum) cum alto consensu omnium excelluerit Theod.
Zuingerus, pater, mirari subit [...] cum [...] aliquando Io. [sic] Keckermanni Politicum
commentarium in manus sumsissem, tantae audaciae virum eum iuuenem fuisse, vt cum
de vniuersa literatorum cohorte, ultro, nec vocatus nec rogatus, quasi id posset vel
deberet, communis literarum censor iudicium ferret, et si quem naeuum in nitido vultu
alterius conspicere se putaret, eundem medio porrecto digito ostenderet: tum in
Zuingerum de re literaria praeclarissime meritum, pari libertate inueheretur», cfr.
ZWINGER, Physiologia medica (cit., cap. VII, nota 25), f. ):( 4v-5r. Su Kekermann si
vedano i contributi più recenti di W. Schmidt-Bigemann e Horst Dreitzel, in Überweg:
Grundriss der Geschichte der Philosophie. Die Philosophie des 17. Jahrhunderts, Bd. IV:
Das Heilige Römische Reich Deutscher Nation. Nord- und Ostmitteleuropa, ed. H.
HOLZHEY (et alii), Basel, Schwabe, 2001, pp. 410-414 e pp. 663-666, Gabriel Naudé
invece apprezzava enormemente l’opere di Zwinger, «a quorum lectione nemo unquam
nisi doctior recessit»; «de la lecture desquels personne iamais n’est sorty que plus docte»,
cfr. G. NAUDÉ, Bibliographia politica, in THOMAS CRENIUS, Consilia et methodi aureae
studiorum optime instituendorum, praescripta studiosae juventuti a maximis in re
litteraria viris, Rotterodami, Vander Slaart, 1692, p. 507; La bibliographie politique dv
Sr. Navdé: contenant les liures & la methode necessaires à estudier la Politique, Paris,
veuve G. Pelé, 1642, pp. 24, 49.
351
- 126 -
Zwingeri Theatrum Vitae humanae aliquoties editum est [...] Imprimis molesta est
tam anxia et sollicita rerum divisio, quae nescio quam (μικρολογίαν sapit, in hoc
scriptorum genere inutilem: distrahit enim animum et oculos inquirentis. Sub eodem titulo
a Beyerlingio Antuerpiae liber ille prodiit, sed accomodatiore ordine alphabetico, et longe
auctior. Ille itaque posterior labor praeferendus est Zwingeri laboribus.354
Laurens Beyerlinck, rettore del seminario episcopale di Anversa, aveva
rimodellato il Theatrum mettendolo in ordine alfabetico e lo aveva ampliato
fino a raggiungere i sette e poi gli otto volumi in folio, annullandone al
contempo la struttura scientifica, eliminando i «Proscenia» e mutilando
sistematicamente il testo. Egli non solo era stato più zelante dello stesso
Antonio Possevino nella sua Bibliotheca selecta, lib. 16, cap. 4, ma aveva
addirittura espurgato più di quanto i diversi Indices expurgatorii spagnoli
avessero richiesto.355 Beyerlinck aveva inoltre stravolto il senso di
innumerevoli affermazioni di Zwinger, tralasciando o aggiungendo
segmenti e capitoli interi tratti da testi cattolici, e limitandosi a segnalare
queste interpolazioni con un asterisco:
354
DANIEL MORHOF, Polyhistor literarius, philosophicus et practicus [...], Editio quarta,
Lübeck, P. Boeckmann, 1747, I, p. 241. La critica di Morhof a Zwinger viene ricordata anche da
HELMUT ZEDELMAIER, De ratione excerpendi: Daniel Georg Morhof und das Exzerpieren, in
FRANÇOIS WAQUET (ed.), Mapping the World of Learning: The Polyhistor of Daniel Georg
Morhof (Wolfenbütteler Forschungen, Bd. 91), Wiesbaden, Harrassowitz, 2000, 75-92:82.
Zedelmaier, , sul quale avremo occasione di soffermarci fra breve, considera il Theatrum di
Zwinger un semplice accumulo di frammenti di conoscenza («bloße Anhäufung gelehrter
Wissenspartikel») inquadrati in una struttura sofisticata («ausgeklügeltes Ordnungsgefüge») con
la pretesa di essere definitiva («das mit dem Anspruch einer als endgültig aufgefaßten dispositio
auftritt»). Cfr. anche ZEDELMAIER, Bibliotheca Universalis und Bibliotheca selecta. Das
Problem der Ordnung des gelehrten Wissens in der frühen Neuzeit, Köln 1992, pp. 227-271,
dove il Theatrum di Zwinger (in accordo con quanto sosteneva Morhof) è definito, per concetto e
struttura, un’opera prettamente medievale come lo Speculum maius di Vincenzo von Beauvais!
Un giudizio quanto meno azzardato da parte di uno studioso di Zwinger che, però utilizza una
sola edizione del Theatrum, quella del 1565, e continua ad ignorare sia le ricerche su Zwinger
degli ultimi trenta anni sia l’esistenza del suo immenso carteggio, come risulta dal recente saggio
di ULRICH JOHANNES SCHNEIDER & HELMUT ZEDELMAIER, Wissensapparate. Die
Enzyklopädistik der frühen Neuzeit, in R. VAN DÜLMEN – S. RAUSCHENBACH, Macht des
Wissens. Die Entstehungs der modernen Wissensgesellschaft, Köln-Weimar-Wien, Böhlau,
2004, 349-363.
355
ANTONIUS POSSEVINUS, Bibliotheca selecta, qua agitur de ratione stvdiorum in Historia, in
disciplinis, in salute omnium procuranda, Colonia, J. Gymnicus, 1607, II, pp. 345-348: Sectio II,
cap. IV: «De Theatro vitae humanae cum multiplicem habeat historiam, cautio»).
All’avvertimento di Possevino segue la censura del Theatrum secondo l’Index Librorvm
expurgatorum, Madrid 1584, del Cardinale Gaspar Quiroga, cfr. J.M. DE BUJANDA, Index de
l’Inquisition Espagnole 1583, 1584 (Index des livres enterdits, VI), Sherbrooke 1993, pp. 867888, 1033-1034. Nell’Archivo Histórico Nacional di Madrid, si trovano tre censure manoscritte
del Theatrum posteriori all’Index di Quiroga, cfr. AHN, Inquisición, leg. 4435 no. 8: Censuras y
pareceres etc. sobre el Theatrum vitae humanae de Th. Zuinger 1586: Dr. Pedro López de
Montoya, Expurgatio siue correctio voluminum Theatri vitae humanae, 1596 (ff. [1]r-[86]v);
[Lic. Joan de Torres] Correctiones Theatri humanae vitae Theodori Zuingheri Basiliensis [1611]
(ff. [1]r-[16]v), Fray Diego de Arze, Expvrgatio vuniversi operis cui titulus: Theatrum vitae
humanae (ff. [1]r-[122]v); tre ulteriori documenti con ammonizioni e aggiunte per l’edizione di
1604 ([3], [7] e [4] pp. n.n.). Nessuna di queste epurazioni corrisponde a quella pubblicata
nell’Index expurgatorius di Sandoval del 1612 (ed. cit. Geneve 1619, pp. 765-803), cfr. C.
GILLY, Spanien und der Basler Buchdruck (cfr, cap. 14, nota 28), pp. 429-431; JOSÉ PARDO
TOMÁS, Ciencia y censura. La Inquisición Española y los libros científicos de los siglos XVI y
XVII, Madrid, CSIC, 1991, pp. 57, 63, 64, 286, 287, 376. Per la corrispondenza fra inquisitori e
censori a proposito del Theatrum di Zwinger si veda anche HENRY C. LEA, A History of the
Inquisition of Spain, New York, MacMillan, 1906-1907, III, p. 495; IDEM, Historia de la
Inquisición Española, tr. A. Alcalá y J. Tobio, Madrid, FUE, 1983, III, pp. 305 sg.
- 127 -
Magnvm Theatrvm Vitae Hvmanae, hoc est Rervm Divinarvm Hvmanarvmqve Syntagma
Catholicvm, Philosophicvm, Historicvm, Dogmaticvm: Nunc Primum Ad Normam
Polyantheae cuiusdam Universalis, iuxta Alphabeti seriem in Tomos VII per libros XX
dispositum [...] Nouis titulis, et Catholicae fidei Dogmatibus, Rerum quarumuis
Definitionibus, Apophthegmatibus et Hieroglyphicis, Nominum Etymologiis et
Exemplorum cuiusvis argumento pluribus Centuriis locupletatum. Insuper ab haeresi,
variisque erroribus repurgatum, ac copiosissimo Indice rRerum, Verborum rt
Exemplorum, cum generali, tum songulorum Tomorum speciali, illustratum: et quatenus
nunc innouatum, *Asterisco notatum . Avctore Lavrentio Bayerlinck Theologo,
Protonotario, Canonico, et Archipresbytero Antuerpensi (Coloniae Agrippinae, Anton &
Arnold Hierat, 1631).
Il testo, dal titolo così pretenzioso, altro non era che un’accozzaglia
inutilizzabile da un punto di vista scientifico, poichè da ogni riferimento
bibliografico erano stati sistematicamente espunti i nomi degli autori e i
titoli dei libri ritenuti dannati.
Questa contraffazione dolosa, le cui uniche linee direttrici sono la
conformità ai dogmi cattolici e l’allontanamento da qualunque influsso
protestante, fu ristampata ancora diverse volte a Lyon nel 1656, 1666, 1678
e a Venezia nel 1707,356 e finì per soppiantare del tutto il Theatrum
originale di Zwinger.357 Non si tratta dunque né di una semplice «revised
and augmented edition of Theodor Zwinger’s Theatrum humanae vitae»
(Langer) né di un esempio canonico di trasmissione del sapere
(«Traditionsbahnen des Wissens: Lycosthenes – Zwinger - Beyerlinck»
(Zürcher-Projekt: “Enzyklopädie”) e neppure di un famigerato caso di
plagio – fenomeno normale nel Cinque e Seicento, ma che nella semiotica
odierna è definito con gli eleganti appellativi di «paratestualità »,
«transtextuality», «intertextuality», «palimpsests » o più tecnicamente
356
ALFREDO SERRAI, Storia della bibliografia I Bibliografia e Cabala. Le Enciclopedie
rinascimentali (cit., cap. X, nota 74), pp. 395-413: 400 sg. A difesa di Beyerlinck, morto nel
1627, è doveroso aggiungere che il Magnum Theatrum è un’opera postuma, e non sappiamo
quindi se l’eliminazione dei riferimenti bibliografici non sia dovuta in parte agli editori del 1631.
In una pubblicazione dello stesso genere redatta prima del 1631, ed estratta anch’essa in gran
parte, pur senza farne apertamente menzione, dal Theatrum di Zwinger, (Apophthegmata
Christianorvm, Antverpiae, Moretus, 1608) Beyerlinck non aveva eliminato i riferimenti agli
autori eretici, al contrario ne aveva aggiunti di nuovi, come, solo per citare un esempio, quello
alla più monumentale antologia di revindicazioni, proteste, e profezie contro il papato, le
Lectionum mirabilium centuriae di Joh. Wolfius, pubblicate a Lauingen 1600 (pag. 225). Sulla
vita del Beyerlinck si veda la voce di Jozef Ijsewijn in Nationaal Biografisch Woordenboek, vol.
12, Brussel, 1987, col. 59-67.
357
Si noti soprattutto quanto diverso fu l’atteggiamento di Benito Arias Montano per
salvare il Theatrum di Zwinger, dopo averlo messo egli stesso all’Index librorum
prohibitorum di Anversa nel 1570. Zwinger riusciì a trovare un’accordo con il censore
reale spagnolo per la sostituzione di sei o sette pagine, e gli esemplari così «contraffati»
del Theatrum del 1571 recano nel frontespizio l’indicazione complementare «atque a
censoribus Galliae Belgicae expurgatum, correctum ac approbatum» e un nuovo indirizzo
tipografico «Basileae, ex Officina Frobeniana, 1575/1576» (Esemplari in München, SB,
2°H.misc. 38c (1-5); Freiburg i/B, UB; Köln, Dombibliothek); cfr. C. GILLY, Spanien und
der Basler Buchdruck bis 1600 (cit. cap. 14, nota 28), pp. 429-430. sg. dove è ancora
segnalata un’edizione anteriore censurata del Theatrum (Paris, Mich. Sonnius, 1571),
«sed castratum, ut vocant, quasi genitalibus abscissis», come protestava da Torino
Ludovic Demoulin de Rochefort il 4 decembre 1572 (Basel, UB, Frey-Gryn. II 26, f,.
136). Per le dichiarazioni di altri corrispondenti cattolici di Zwinger di possedere
un’edizione del Theatrum senza «complura in eo quae catholicos arceant» vedi A.
ROTONDÒ, La censura ecclesiastica e la cultura, in AA.VV., Storia di Italia, V: I
documenti, Torino, Einaudi, 1973, pp. 1399-1496:1499 sg, 1453.
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ancora «coping with Information Overload» (Blair).358 Il Magnum
Theatrum di Beyerlinck fu innanzi tutto un caso di usurpazione e di
violenza sul Theatrum vitae humanae («deformauit et deturpauit
Zuuingerum Beyerlingius»)359, al fine di convertirlo in strumento di
controllo dell’informazione storica, paragonabile soltanto a quello teso a
controllare l’informazione bibliografica messo a punto da Antonio
Possevino nel suo «anti-Gessner», cioè l’Apparatvs Sacer [...] in Dvos
tomos distributus. In quibus plus minus octies mille Auctores partim
indicantur, partim expenduntur, di due decenni prima. In questo caso si era
trattato di trasferire dalla Bibliotheca Universalis di Konrad Gessner e dei
suoi successori unicamente i dati bibliografici riferiti agli autori cattolici,
eliminando come non esistenti ovvero mai esistiti tutti gli altri libri ed
autori, e dando persino alle fiamme, dopo averli utilizzati, i repertori stessi
di Gessner, Simmler e così via, perché non ve ne fosse più memoria:
Bibliotheca Gesneri, Simleri, quaeue auctior postea prodiit, quae tamen paullo
post sunt concremandae.360
Stando così le cose non si comprende l’enorme svista di Pierre Bayle, che,
nel prologo del suo Project d’un Dictionaire critique pubblicato a
Rotterdam cinque anni prima del Dictionaire Historique et critique vero e
proprio, affermava di desiderare per la sua opera un destino simile a quello
del Theatrum di Zwinger, che aveva aumentato il numero dei suoi volumi
numerose volte quasi fino a duplicarli:
Ce seroit quelque chose de curieux, s’il arrivoit a cet Ouvrage ce qui est arrivé à
celuy qu’un docte Suisse intitula le Theatre de la vie humaine, et qu’on a tant de fois
augmenté, qu’enfin il comprend huit gros volumes in folio. 361
Lasciamo immaginare al lettore la quantità di articoli e commenti di Bayle,
che sarebbero finiti direttamente al macero se qualcuno come Beyerlinck si
fosse occupato di «riordinare» ed «aumentare» il Dictionaire Historique et
critique, come era avvenuto per l’opera di Zwinger.362
358
ULRICH LANGER, The Renaissance Novella as Justice, in « Renaissance Quarterly », LII,
1999, p. 311-341:313; Zürcher Projekt www.Enzyklopädie.ch; ANN BLAIR, Coping with
Information Overload in Early Modern Europa, in EADEM, Reading strategies for coping with
information overload ca. 1550-1700, in «Journal of the History of Ideas», LXIV, 2003, pp. 1128.
359
GOTTFRIED PRENZLOW, Introductio ad Collegium De Copia Verborum ac Rerum, cui accessit
Consilium de ratione informandi, Wittemberg, M. Henckel für Joh. Mich. Pabst, 1671, p. 9;
GOTTFRIED WAGENER (ed.), Schvrzfleischiana sive Varia de scriptoribus librisque iudicia
Conradi Samuelis Schvrzfleischii Polyhistoris olim svmmi, Wittemberg, J.F. Schlomacher, 1744,
p. 132.
360
Lettera di Possevino al generale dell’ordine Claudio Acquaviva da Venezia del 7 maggio
1604, in ALFREDO SERRAI, Storia della bibliografia IV. Cathaloghi a stampa. Bibliografie
filosofiche. Antonio Possevino. A cura di MARIA GRAZIA CECCARELLI, Roma, Bulzoni, 1993, pp.
711-760: 720-722. Per la descrizione delle diverse edizioni e il carattere quasi ufficiale
dell’Apparatus sacer, cfr. ivi, pp. 750-760. Sul programma bibliografico di Possevino compilato
come repertorio in opposizione a quello di Gessner cfr. LUIGI BALSAMO, La bibliografia. Storia
di una tradizione, Firenze, Sansoni, 1984, pp. 38 sg.; IDEM, Venezia e l’attività editoriale di
Antonio Possevino (1558-1606), in «La Bibliografia», 1991, 53-93:91.
361
PIERRE BAYLE, Projet et fragments d’un Dictionaire critique, A Rotterdam, Chez Reinier
Leers, 1992, f. * 4r-v; IDEM, Progetto di un dizionario critico, a cura di Lorenzo Bianchi, Napoli,
Bibliopolis, 1987, p. 165.
362
Sulla censura del Dictionaire Historique et critique si veda EUGENIO CANONE, Pierre Bayle
nell'Index librorum prohibitorum, in LORENZO BIANCHI (ed.), Pierre Bayle e l’Italia, Napoli,
Liguori, 1966, pp. 203-225.
- 129 -
Ma torniamo a Morhof e alla sua critica del Theatrum. Il punto è che il
Theatrum di Zwinger non era affatto un mero pozzo di citazioni erudite su
ogni aspetto dello scibile, come sosteneva il polhystor Morhof: esso era
piuttosto il grandioso tentativo di ridurre a sistema metodico di teoremi e
principi ogni attività umana, azioni, conquiste, debolezze, arti, scienze e
perfino religione:
Proinde non Historias tantum κατ’ἐξοχήν dictas, Actiones scilicet et Passiones
animi uel corporis Ethicas, sed Naturales quoque et Theologicas et Mathematicas huic
Theatro subiici; atque ut non sit Historia naturalis in Uniuersum, qualis est Plinii illa, esse
tamen Historiam naturalem humanam. 363
Ciò a cui Zwinger mirava nella sua opera era la pratica, non la teoria, «non
praecepta, sed exempla persequimur». 364 Teoremi e principi raccolti sulla
base dell’esperienza e dell’osservazione devono trovare conferma e
chiarimento negli esempi storici: «Unde Experientes nomen suum trahunt,
sicuti ob praeceptorum cognitionem Sapientes dicuntur». 365 In tal modo il
processo conoscitivo che porta alla scienza trova per via naturale e
metodica il suo epilogo:
Experientia enim simulacra observat, Ratio ideas colligit, Memoria easdem
conservat et vicisim Memoria ideas depromit, Ratio deducit, Experientia accomodat et
confirmat.366
A prima vista la formulazione zwingeriana può sembrare una mera parafrasi
dell’induzione e della deduzione aristoteliche; ma il significato nuovo che il
naturalista basileese attribuisce in questi anni all’esperienza – ricordiamo il
nuovo concetto di χειροτριβίη che egli mutua da Ippocrate nel significato di
sperimentazione con le proprie mani367 – e, soprattutto, la fusione di
esperienza induttiva e ragione deduttiva allo scopo di individuare un nuovo
cammino capace di portare organicamente alla conquista di nuove
conoscenze, pongono Zwinger in maniera molto più evidente tra i
precursori del moderno metodo scientifico. Mentre Bacone insiste
sull’importanza dell’esperienza e del metodo induttivo al fine di svelare i
segreti della Natura, e Descartes illustra il ruolo della ragione e del
procedimento matematico nella strutturazione della scienza, è merito di
Galileo quello di riuscire per mezzo di «conjetture, supposizioni e artifici» a
fondere in un tutto organico le «esperienze sensate e dimostrazioni
necessarie», fondando in tal modo il moderno metodo sperimentale
ipotetico-deduttivo, la «sensata esperienza guidata dal discorso e
confermante il discorso».368 Per quanto lo riguarda Zwinger, egli non era né
un puro empirista come Bacone, né un puro razionalista come Descartes.
Ma prima di Bacone egli indicò l’importanza dell’esperienza diretta,
riallacciandosi a Ippocrate, autore che il filosofo inglese aveva gravemente
363
Theatrum humanae vitae, ed. 1571, p. 11; ed. 1586, f. ** 1r; ed. 1604, f. ):( ):( 3v. Sul
concetto di storia di Zwinger si veda anche ANN BLAIR, Historia in Theodor Zwinger's Theatrum
Humanae Vitae, in Historia: Empiricism and Erudition in Early Modern Europe (cit., cap. X,
nota 22), pp. 269-296.
364
Theatrum humanae vitae, ed. 1571, p. 10; ed. 1586, f. * 6v; ed. 1604, f. ):( ):( 3v.
365
Theatrum humanae vitae, ed. 1571, p. 31; ed. 1586, f. *** 5r; ed. 1604 ):( ):( ):( 5r.
366
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, p. 202; ed. 1586 &1604, p. 1183.
367
Vedi supra, cap. VIII, pp. OOO sgg.
368
C. FERRO, Galilei e il problema del metodo agli inizi dell'età moderna, in Nel quarto
centenario della nascita di Galileo Galilei (Pubblicazioni dell'Università Catolica del Sacro
Cuore, serie terza, Scienze Storiche, VIII), Milano 1966, pp. 71 sgg.
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frainteso.369 Zwinger aveva sottolineato anche l’importanza del metodo
matematico, soprattutto nella elaborazione delle scienze «meccaniche» –
«in Universum autem quo quaeque ars mechanica propinquior est
mathematicis eo liberalior existit». 370 Tuttavia la sua cognizione della
matematica non superava probabilmente quella del suo maestro Petrus
Ramus.371 Con Galileo invece, Zwinger riconosce la fruttuosa fusione di
esperienza induttiva e ragione deduttiva; si stacca inoltre dal significato
aristotelico di esperienza come «inductio per enumerationem simplicem» –
cioè enumerazione meccanica dei singoli casi – per considerarla
osservazione di fenomeni scelti a partire da un serie di casi coerentemente
estesa, sotto la guida attiva della ragione:
(ratio) ex rerum singularium natura naturam colligit uniuersalem et id quod in
multis singularibus verum esse deprehendit, in omnibus esse verum colligit. 372
Chi non voglia lasciare spazio ad una ragione capace di mutuare ipotesi
formulate sulla base del senso comune, ma accetti solo le percezioni basate
sui sensi, si comporta secondo Zwinger in maniera ridicola e stupida: 373
ridicola, come l’etiope di cui narra Luciano, che, non avendo mai visto dei
bianchi in vita sua, riteneva che tutti gli uomini della terra fossero neri;
stupida, come colui che, dotato di un talento innato e senza aver apppreso
alcuna regola, era divenuto pittore e per questo credeva che in pittura non
esistessero né potessero esistere regole.
Eppure, per quanto vicino alla soglia della moderna metodologia
scientifica, l’ammirazione nei confronti di Aristotele impedì a Zwinger di
tagliare il cordone tra antico e moderno. Ciò non sfuggì ad un grande
pensatore danese, il paracelsista Petrus Severinus, che gli scrisse infatti:
Saltem de philosophia Aristotelica, quae cum omnibus fere mortalibus admirari et
uenerari non desinis, pauca exponenda mihi sunt, ut planius conspiciatur quid in doctrina
tot nunc seculis recepta et approbata desiderem. Duo sunt in tota philosophia Aristotelica:
Methodus logica Analytica et synthetica; haec doctrina plane est geometrica et per
numeros demonstrari potest, recipit enim κριτήρια a sensibus, quae postea resoluit,
componit, secat ad usus uitae multiplices tam practicos quam theoricos. His methodis
nullus philosophus carere potest nec est commodior uia tradendi artes. Altera pars agit de
principiis et causis rerum naturalium, de affectibus corporis mobilis. In hac parte infiniti
sunt errores, nec principia, nec elementa, nec semina, nec seminum progressus recte
exposita.374
369
Cfr. Temporis partus masculus in cui Bacone definisce Ippocrate «antiquitatis creatura et
annorum venditor», vd. The Works of Francis Bacon (cit., cap. IX, nota 45), vol. III, p. 534.
Nella successiva Historia vitae et mortis lo definisce tuttavia «in experientia et observatione
multus», ivi,. vol. III, p. 145. Tre decenni or sono, lo specialista di Ramus, Walter Ong, tracciava
un parallelo esplicito tra la «Baconian induction» e il metodo induttivo proposto da Zwinger nel
Theatrum: «‘Induction’ is being encouraged here, subtly but really, by typographically supported
developments within the commonplace tradition. The units are not individual observations of
experiments, but bits of text», cfr. WALTER ONG, Commonplace rhapsody: Ravisius Textor,
Zwinger and Shakespeare, in Classical Influences on European Culture AD 1500-1700, ed. R. R.
Bolgar, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 91-126:109.
370
Theatrum humanae vitae, ed. 1586 & 1604, p. 1250.
371
C. VASOLI, La dialettica e la retorica dell’umanesimo (cit., cap. VIII, nota 19) pp. 565 sgg.
372
ZWINGER, Hippocratis Coi viginti dvo commentarii Tabulis illustrati (cit., nota 31), p. 102.
373
ZWINGER, Methodvs rvstica (cit., cap. IV, nota 9), f. β 3r: «Ita non minus ridiculi erunt qui
praeter eam, quae sensu nititur Obseruationem, nullum locum Ratiocinationi ex sensu communi
certas hypotheses mutuanti relinquent».
374
Lettera di Severinus a Zwinger del 18. 2. 1584, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn.II 28, f. 238; a questo proposito si veda ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e
- 131 -
Da queste parole appare chiaro come in realtà Severinus e Zwinger fossero
pienamente d’accordo sulla centralità del problema del metodo. Nemmeno
riguardo al secondo punto i due naturalisti erano poi così lontani, come
lascerebbe invece supporre l’ironica accusa rivolta da Severinus all’amico
«aristotelico». Purtroppo non sappiamo come Zwinger abbia risposto al
rimprovero. Le opere più tarde dimostrano però che nel pensiero dello
Zwinger più maturo Aristotele non gioca più da tempo il ruolo
centralissimo che aveva ricoperto degli anni giovanili. Egli non cede alle
preghiere di un discepolo a lui molto vicino, Johann Weidner, che nel 1582
gli chiedeva di pubblicare le tavole analitiche della Rethorica aristotelica;
piuttosto lamenta apertamente il fatto di aver pubblicato molte cose troppo
prematuramente e senza possibilità ora di ritirarle:
Tabulas nostras in Aristotelis Rhetorica iuuenilium studiorum nostrorum tyrocinia
edere nec licet nec placet. Dolet mihi multa irreuocabilia emissa, at non dolet, si ansam
haec ipsa aliorum melioribus cogitationibus praebeant. 375
Ancor più significativa per intendere l’atteggiamento di Zwinger nei
confronti del sistema aristotelico è la sua partecipazione proprio in quegli
anni alla pubblicazione delle Discussiones peripateticae di Francesco
Patrizi, «la più sistematica demolizione e la critica più virulenta di tutto il
sistema aristotelico che, a parte gli scritti di Ramus, fossero apparse, allora
e poi, in tutto il Cinquecento». 376 Che in questo caso si trattasse per
Zwinger di qualcosa di più che di un mero incentivo alla circolazione di
un’opera filosofica importante, ma a lui per certi aspetti comunque estranea,
è dimostrato della prefazione alla seconda edizione delle tavole per l’Ethica
di Aristotele del 1582. A proposito del valore e delle differenze tra filosofia
platonica e filosofia aristotelica, nell’edizione del 1565 del Theatrum egli si
era accontentato di rimandare alla sua introduzione alle opere del Diacceto
– «de quibus (Plato et Aristoteles) in Praefatione nostra in Fr. Catanei
Diacetii opera philosophica abunde disseruimus». 377 Nella nuova edizione
dell’Ethicainvece egli riprende quasi senza riserve il punto di vista di
Patrizi:
De quibus uniuersim agere alterius fuerit loci atque temporis (et si post ea, quae a
Fr. Patricio in eruditissimis Discussionum Peripateticarum commentariis tradita sunt, nihil
fortasse afferri possit uel Studio uel laude dignum). 378
Un tale riconoscimento alla monumentale opera antiaristotelica di Patrizi, e
per di più all’interno di un’edizione dell’Ethica aristotelica, non è affatto
contraddittorio, ma rispecchia pienamente l’uso libero e frequente di
terminologia aristotelica anche in campi come la medicina, in cui egli spera
di raggiungere in tal modo una maggiore chiarezza metodologica. 379 D’altra
religiosa di Basilea (cit. . proleg., nota 14), pp. 372 sgg.; su Severinus si veda sopra, cap. IV,
nota 13.
375
Lettera di Zwinger a Weidner del 9. 10. 1582, in L. SCHOLZIUS, Epistolarvm
Philosophicarvm, Medicinalivm, ac Chymicarvm, edd. 1598/1610 (cit., cap. VI, nota 16), col.
476-477.
376
ROTONDÒ, L’uso non dommatico della ragione (cit., Proleg, nota 14), p. 404.
377
ARISTOTELIS De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: Tabvlis perpetuis (cit., cap. VIII, nota
15), f. β 2r.
378
ARISTOTELIS Ethicorum Nicomachiorum [...] argumentis atque Scholiis (cit., nota 20), f. β 4v.
379
Lettera di Zwinger a Jacob Horst del 21. 3. 1579, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn.II 28, n. 132: «Principia autem Materiae, Formae, Efficientis, Finis ambitu in Uniuersum
comprehenduntur, cum essentiae rerum in humana mente fontes alii certiores aut clariores
- 132 -
parte Zwinger elimina dalla terminologia medica concetti aristotelici come
«materia», «forma», «privatio», concetti che è impossibile cogliere con i
sensi poiché costituiscono pure costruzioni mentali.380
Con la stessa libertà Zwinger si muove anche nei confronti della
terminologia di Galeno. Il suo pluriennale corrispondente, Jacob Horst,
risoluto a lasciare inalterati nell’esposizione della medicina i «nomina
Galeno et recentioribus usitata», 381 Zwinger rispose di essere convinto che
la terminologia ippocratica fosse molto più adeguata agli esempi reali
offerti dalla natura, come pure al metodo medico-razionale. Inoltre,
aggiungeva Zwinger, se Galeno si era permesso di adottare una
terminologia diversa da quella di Ippocrate, perché a lui (Zwinger) doveva
essere negata la possibilità di ricorrere liberamente a concetti e termini
ippocratici nella presentazione e discussione dalla medicina dello stesso
Ippocrate?382
Hippocrateae medicinae nostrae ideam tibi probari gaudeo. Recte tu, qui Voces
Galeno usitatas putes retinendas. Sed antiquiores merito eae, quibus Hippocrates utitur,
sunt habendae. Ἱστορίην passim τῇ τέχνῃ opponit, uti etiam τῇ φύσει τόν νόμον. Historiae
singularis instrumentum est sensus, eiusdem habitus est ἐμπειρία. Artis instrumentum est
λόγος, eiusdem uero habitus μέθοδος dicitur, hoc est, methodica praeceptorum omnium
cognitio, constitutio, traductioque. Quod si igitur Galenus sui seculi authoritatem secutus
ab Hippocrates recedere potuit, cur nobis in illustranda reducendaque Hippocratea
medicina non licebit uoces hippocrateas retinere?
In realtà ciò che interessava a Zwinger in questo caso non era il puro
problema terminologico, ma piuttosto il superamento della distinzione che
fin dai tempi di Galeno separava la tradizione della medicina razionale da
quella della medicina empirica; questo implicava la pregiudiziale
impossibilità di sottoporre a controllo di verità le proposizioni che
costituivano l’insegnamento medico. Si accettava così per buono solo ciò
che poteva essere accreditato dall’autorità di un grosso nome, declassando
la medicina empirica a mera casistica, la cui corrispondenza con gli
insegnamenti teorici non valeva nemmeno la pena di essere controllata.
«Experientiam in singularibus non ubique cum preaeceptis artis congruere»,
aveva scritto Jacob Horst all’amico basileese. Per questo egli si dichiarava
contrario a far seguire ad ogni asserzione teorica esempi sperimentali:
questi non appartenevano infatti, secondo lui, né alla medicina razionale, né
alla prassi medica generale o speciale, ma solo all’ambito della medica
empirica che, per la varietà dei singoli fenomeni, sfugge ad ogni
descrizione sistematica.383
Zwinger, che grazie allo studio approfondito di Ippocrate proprio in
quegli anni si stava gradualmente volgendo a Paracelso, non poteva
mancare di controbattere all’atteggiamento diffusissimo che ritrovava nel
suo corrispondente, pur nascosto dietro l’autorità di Galeno. Così scriveva
Zwinger al galenista slesiano Horst nell’estate 1575:
inueniri nequeant. Et ne cui videatur insolens, cum in medica arte finem et subiectum omnes
fateamur, necessario quoque formam et efficientem admittere cogentur».
380
ZWINGER, Physiologia medica (cit., cap. VII, nota 25), pp. 187 sg.
381
Lettera di Horst a Zwinger del 26. 12. 1574, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II
28, n. 128.
382
Lettera di Zwinger a Horst del 1. 8. 1575, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II
28, n. 130b.
383
Lettera di Horst a Zwinger del 26. 12. 1574, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II
28, n. 128.
- 133 -
Vtrum uero Empirica viue Historica logicis subnecti debeant, quae Galenus
seorsim tradenda putet, sic habeto. Sensum in in Inueniendo quidem Rationis ueluti
anteambulonem esse: in Docendo uero eisdem pdeissequum: cumque nihil si in intelectu,
quin prius fuerit in sensu. Vicissim quoque quaecumque sunt in intellectu, non potiore alia
ratione, quam epideizei seu historica seu empirica demonstrari posse et declarari. Ergo
siquae sunt historiae uel temperamentorum uel morborum uel signorum uel
medicamentorum uel sententiis praeceptorum recte subtexentur: quandoquidem obseruatio
singularium materiam praeceptorum Vniuersalis subtegerit in Vniuersalium constitutioni,
vti uicissim praeceotorum Vniuersalis cognitio singularium exemplorum inspectionem
dirigit. Etsi uero Exempla quadam a methodi communis praescripto uidebuntur exorbitare,
non iccirco tamen Artis praecepta suspecta redderit. Nam neque Vnica hirundo Ver
consueuit facere, neque ex ceptionis crebrae Grammaticorum regulas uiolant nec legum
authoritatem ex aequo et bono interdum adhibitae interpretationes tollunt, neque monstra
naturae eodem semper modo agentis constantiam conuellunt. Praecepta omnia ws epi to
polu talia sunt, naturae eodem se utplurimum modo habentis simulacra. Sunt enim ta eidea
tes fuseos blashmata: uti uicissim ta orometa ths texnhs gomodetemata esse, testatur
Hippocrates, Fusis reru eidea extra intellectum producit. Hanc imitatur texnh, romous siue
oromata naturae rerum simulacra in intellectu effingens: ita quidem ut ex communissimis
canones et praecepta constituantur, ex singularibus uero canonum exceptiones: quarum
exceptionum rationes nouisse, magni fuerit ingenii;; ignorasse uero neutiquam pudendum
ei, qui Naturam Dei famulam et ministram sapientissimam esse norit, satisque habeat
quadam prodire tenus, cum non datur ultra.
Tradotte in lingua filosofica moderna, le parole di Zwinger possono
essere così interpretate::
Ob die empirischen und historischen Fakten von den theoretischen Lehrsätzen
getrennt vorzutragen seien, wie Galen meint, oder ob jene vielmehr an diese stets
anzuknüpfen seien, darüber hast Du hier meine Meinung . Handelt es sich um ein erstes
Erfassen oder Erfinden eines Sachverhalts, so öffnet unbestritten die Sinneswahrnehmung
den Weg für jegliche Tätigkeit der Vemunft. Im Dozieren aber verhält es sich umgekehrt.
Im Intellekt ist nichts, das nicht früher durch die Sinnesorgane wahrgenommen worden
wäre, und alles, was im Intellekt ist, kann wiederum nicht anders als durch historische und
empirische Einzelfakten nachgewiesen oder erklärt werden. Darum halte ich es für richtig,
einzelne Beispiele aus dem Bereich der Temperamente, der Krankheiten, der Symptome
oder der Arzneimittel mit den theoretischen Präzepten zu durchflechten, denn die
Grundlage für die Gestaltung allgemeiner Lehrsätze wird durch die Beobachtung von
Einzelfällen geschaffen, wie umgekehrt die allgemeine Kenntnis der theoretischen
Präzepte die Untersuchung der Einzelfälle leiten muß. Und wenn es auch Fälle geben kann,
welche von der Regel der allgemeinen Methode abzuweichen scheinen, werden die
Präzepte der Kunst deshalb nicht gleich verdächtig. Weder macht eine Schwalbe in der
Regel schon einen Frühling, noch verletzen die häufigen Ausnahmen die Regeln der
Grammatik, noch untergraben die anderslautenden legitimen Auslegungen die Autorität
der Gesetze; umso weniger schließlich erschüttern die Mißgeburten (monstra) das stets
gleiche Verhalten der Natur und ihre Wirkung. Alle Präzepte sind gewöhnlich solche
Nachbildungen der sich stets gleich verhaltenden Natur. Oder mit den Worten des
Hippokrates: Die Ideen sind Gewächse der Natur wie die Worte Instrumente der
Wissenschaft. Die Natur erzeugt die außerhalb des Intellekts bestehenden Ideen. Die
Wissenschaft ahmt die Natur nach, indem sie Gesetze und Namen, die der Natur der Dinge
entsprechen, im Intellekt nachbildet. So werden aus den sich immer gleich verhaltenden
Phänomenen (ex comunissimis) die Kanones und Präzepte aufgestellt, aus den von der
Regel abweichenden Phänomenen hingegen (ex singularibus) die Ausnahmen zu diesen
Kanones. Die Ursachen solcher Ausnahmen zu begründen, bleibt wohl einem Manne
außerordentlichen Geistes vorbehalten; sie zu ignorieren, bedeutet deshalb noch keinen
Schandfleck für uns, die wir die Natur für die allerweiseste Dienerin und Stellvertreterin
Gottes halten und die wir unsere eigenen Grenzen anerkennen.
Ritengo sia importante mettere in relazione i teoremi e i fatti empirici (cioè
la storia), concludeva Zwinger, non affinchè sia il senso a guidare la
ragione (come è il caso nella invenzione), quanto piuttosto perché la
ragione venga chiarita da esso, ciò che è il compito proprio della dottrina e
dell’insegnamento.
- 134 -
Historia igitur praeceptis recte subiungi existimo, non tam ut ex sensui Ratio
deducatur (quod Inuentionis est) quam ut ex eodem Ratio illustretur, quod Doctrinae
proprium munus esse constat.
Conoscenza e azione
Zwinger ha più volte definito la filosofia come imitazione del buono e vero
Dio – «Dei Veri Bonique imitatio». Conoscenza del vero – theoria – e
realizzazione del bene – actio – sono per lui da considerare come le due ali
che possono aiutare l’uomo a elevarsi alla sua più alta destinazione. La
conoscenza, a sua volta, si divide in storia e teoria, a seconda che essa si
basi sui sensi o sulla ragione. Per storia si intende la conoscenza del
singolo, mentre la teoria ha per oggetto il generale e prende il nome di
scienza. Come la prassi – «actio» – resta ancorata alla conoscenza del
singolo anche quando è orientata verso le norme della conoscenza, così
anche la teoria deve essere collegata alla prassi.384 Scopo della storia è
precisamente quello di indicare e guidare questa interazione: essa mette
teoria e pratica una accanto all’altra assumendo una funzione sussidiaria nei
confronti di entrambe: «Historia igitur humana et Experientiae in
cognoscendo et Arti in agendo confert». 385 Era stata questa l’intenzione di
Zwinger nel decidere di dare forma organica e ordinata all’immensa
«farrago exemplorum» che il suocero Lycosthenes aveva raccolto durante
tutta una vita di letture. Ciò cui Zwinger mirava era dedurre dagli esempi
concreti le norme generali del comportamento umano, da ordinare poi con
metodo per comprovarle e confermarle nuovamente sulla scorta di esempi
tratti dalla storia:
Exempla proinde humanae historiae, uiginti nouem uoluminibus Theatri huius
comprehensa, primario et per se Contemplationi philosophicae inseruiunt, tum Physicae et
Medicae, tum Metaphysicae seu Theologicae, tum Mathematicae, tum Mechanicae, et
maiori sui ex parte Ethicae, Politicae, Oeconomicae: unde Experientes nomen suum
trahunt, sicuti ob praeceptorum cognitionem Sapientes dicuntur. Secundario uero Actioni:
Quatenus exemplis hisce instructi, per epilogismum quendam ad similes actiones physicas,
medicas, mathematicas, theologicas, ethicas, mechanicas, instruuntur et accenduntur, atque
ex his ipsis Artifices boni uel mali nuncupantur.386
Un processo circolare dunque, in cui la scienza verrebbe chiarificata
traendone anche utilità pratica, ma che non porterebbe comunque a nessun
avanzamento conoscitivo? Questa la critica avanzata da Francis Bacon nel
De augmentis scientiarum.387 L’affermazione può valere forse per la prima
edizione del Theatrum vitae humanae, ma solo molto parzialmente per
l’edizione del 1571 e in nessun modo per l’ultima edizione del 1586. E
questo perché il filosofo e naturalista che più volte aveva messo in atto e
descritto tale processo, aveva nel frattempo individuato le spaccature nel
384
Theatrum humanae vitae, ed. 1571, p. 5; ed. 1586, f. * 3r; ed. 1604, f. ):( ):( 5r.
Theatrum humanae vitae, ed. 1571, p. 31; ed. 1586, f. *** 5r; ed. 1604 ):( ):( ):( 5r.
386
Ibid.
387
«Alius error a reliquis diversus, est praematura atque proterva reductio doctrinarum in artes et
methodos; quod cum fit, plerumque scientia aut parum aut nihil proficit. Nimirum ut ephebi,
postquam membra et lineamenta corporis ipsorum perfecte efformata sunt, vix amplius crescunt;
sic scientia, quandiu in aphorismos et observationes spargitur, crescere potest et exurgere; sed
methodis semel circumscripta et conclusa, expoliri forsam et illustrari aut ad usus humanos
edolari potest, non autem porro mole augeri», The Works of Francis Bacon (cit., cap. IX, nota
45), vol. I, p. 460
385
- 135 -
cerchio chiuso della scienza tradizionale e aveva offerto un contributo
sostanziale al suo rinnovamento e al suo sviluppo. Se il Theatrum del 1565
costituisce il tentativo di illustrare i precetti dell’Etica nicomachea con
esempi tratti dalla storia dell’uomo, nell’edizione del 1571 è il significato
scientifico delle «arti meccaniche» ad esser messo in primo piano, mentre il
Theatrum del 1586 equivale ad una vera e propria enciclopedia della
condizione umana, da cui Bacone stesso riprende quasi letteralmente il suo
concetto di scienza e la sua classificazione del sapere.
Sicuramente gli specialisti del filosofo inglese obietteranno a questo
punto che la suddivisione baconiana delle scienze in storia, poesia e
filosofia secondo le tre facoltà dell’animo umano (memoria, fantasia,
ragione) – ripresa letteralmente anche da Diderot nel Prospectus de
l’Encyclopédie – costituiva un’assoluta novità nella storia della filosofia,
mentre Zwinger, è presto detto, era ancora legato alla suddivisione
aristotelica delle scienze in teoretiche, pratiche e poietiche. Ma come è stato
giustamente sottolineato da Siegfried Dangelmayr, la tripartizione
baconiana del sapere, la sua gerarchizzazione e valutazione non modifica
ancora la suddivisione delle scienze in quanto tale: «Vere conseguenze sulla
classificazione si ottennero solo in relazione alla riflessione sul metodo
condotta nel Novum Organon, in virtù dell’identificazione di storia e
esperienza e dell’ordinamento metodico di esperienza e conoscenza
scientifica».388 Il significato del contributo baconiano alla concezione
moderna della scienza non sta dunque tanto nella tripartizione storia, poesia
e scienza – si ricordi inoltre che la poesia viene comunque considerata
come vero «atrio del palazzo dello spirito» – quanto piuttosto nella
distinzione tra storia come conoscenza del singolo evento e scienza come
conoscenza del generale, sapere necessario logico-deduttivo:389
Etenim historiam et experientiam pro eadem re habemus, quemadmodum etiam
philosophiam et scientias.390
Seguendo le orme di Bacone fu Hobbes a trarre le ultime conseguenze dal
dualismo sapere d’esperienza e sapere di ragione: egli escluse dalla
partizione fondamentale la poesia, sottolinenado invece la contrapposizione
tra «historia» e «philosophia», risultanti dai due diversi tipi di conocenza
umana, percezione sensibile e riflessione razionale: 391 «Cognitionis duae
sunt species. Altera facti; et est cognitio propria testium, cujus conscriptio
est historia [...] Altera est consequentiarum, vocaturque scientia; conscriptio
ejus appelari solet philosophia». 392 In John Locke la tripartizione delle
scienze in corrispondenza ai diversi oggetti del sapere ritorna in termini che
ricordano quelli aristotelici e stoici; in realtà si tratta però di uno sviluppo a
partire dalle posizioni di Bacone e di Hobbes. Infatti la sua classificazione
delle scienze in «theorica» (fisica o scienza della natura), «practica» (etica
388
SIEGFRIED DANGELMAYR, Methode und System, Wissenschaftsklassifikation bei Bacon,
Hobbes und Locke (Monographien zur Philosophischen Forschung, Bd. 118), Meisenheim am
Glan, Hain, 1974, p. 10.
389
Ivi, p. 78.
390
The Works of Francis Bacon (cit., cap. IX, nota 45), vol. I, p. 495. Sul rapporto historiaexperientia in Bacone si veda MARTA FATTORI, ‘Phantasia’ nella classificazione baconiana
delle scienze, in Francis Bacon. Terminologia e fortuna nel XVII seculo, a cura di M. Fattori,
Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984, pp. 117-137:122-124.
391
DANGELMAYR, Methode und System (cit., cap. IX, nota 45), pp. 78, 104 sg.
392
THOMAS HOBBES, Opera philosophica, ed. G. Molesworth, London 1839-1945 (repr. Scientia
Aalen 1961), vol. III, p. 66.
- 136 -
e tecnica) e «logica», secondo i tre principi distintivi «cose», «azioni» e
«segni», classificazione destinata ad esercitare un forte influsso
sull’empirismo e sul positivismo, non derivava più dal dualismo storiafilosofia, poiché entrambe ricadevano nel concetto generale di esperienza
(percezione esterna o sensazione; percezione interna o riflessione),
principio unico e ovvio su cui Locke basava ogni possibile conoscenza
umana. «È difficile valutare fino in fondo il significato di questa svolta nel
sistema. Essa mostra che l’ordinamento organico delle singole esperienze e
gli abbozzi scientifico-razionali caldeggiati da Bacone e da Hobbes sono
ora fatti compiuti che si fanno strada nel sistema stesso. Nell’ambito della
riflessione sul metodo l’empirismo filosofico-scientifico e gnoseologico di
Locke porta alle estreme conseguenze il moderno riconoscimento del valore
scientifico dell’esperienza, tanto che esperienza e scienza divengono un
tutt’uno, costituiscono prerogativa scontata già al di fuori del sistema e
definiscono il sistema di classificazione in tutte le sue parti».393 Ma
torniamo a Zwinger e al suo ordinamento di scienza e esperienza, e al
debito di Bacone nei suoi confronti.
All’inizio del capitolo abbiamo visto che per Zwinger la conoscenza
umana si basa o sull’esperienza sensibile o sulla riflessione razionale, e che
egli identifica e contrappone queste due modalità conoscitive nella storia e
nella teoria. La contrapposizione tra storia come conoscenza degli eventi
particolari (cognitio singulorum, τῶν ὁρωμένων στάσις, il luogo delle cose
visibili) e teoria come «scienza» già sulla prima pagina dei Proscenia al
Theatrum vitae humanae del 1571 e del 1586 definisce l’ordinamento di
tutta l’opera e testimonia al tempo stesso del significato attribuito da
Zwinger a questo nuovo modo di ripartire le conoscenze umane.
Tale ripartizione non derivava dall’analisi zwingeriana delle opere
aristoteliche, quanto piuttosto dalla lunga frequentazione con l’autore che
finirà per condurre il naturalista basileese nella direzione di Paracelso.
Quest’autore è Ippocrate.
393
DANGELMAYR, Methode und System (cit., cap. IX, nota 45), p. 79.
- 137 -
X
La classificazione delle scienze
Il problema della classificazione delle scienze interessa il filosofo basileese
già a partire dalla prima redazione del Theatrum, nel 1565. Deciso a
descrivere e a illustrare con esempi storici, nei primi due libri, tutte le
facoltà teoretiche e pratiche dell’uomo e le sue conquiste - «animi bona
theorica et practica» - molto presto Zwinger si rende conto che tanto la
partizione tradizionalmente adottata nelle scuole e nelle università, che
distingueva sette arti liberali e tre scienze insegnate nelle rispettive facoltà
(medicina, teologia e giurisprudenza), quanto quella di natura bibliografica
offerta da Konrad Gessner nel suo Pandectarum libri XXI risultavano
entrambe metodicamente inapplicabili.394 Certo nella sua classificazione
(che serviva al tempo stesso da soggettario della Bibliotheca universalis
pubblicata tre anni prima), Gessner aveva inserito accanto alle scientiae
preparantes e substantiales dello schema tradizionale, anche le scientiae
ornantes – Historia, Geographia, Divinationis et magiae cognitio, varia de
artibus illiteratis cognitio – ma la sua ripartizione, nonostante la funzione
normativa che essa finirà con l’assumere nell’ordinamento per materia delle
biblioteche europee, rispecchiava piuttosto gli interessi del mercato librario
394
Per la storia della classificazione delle scienze si veda il libro classico di ROBERT FLINT,
Philosophy as Scientia Scientiarum and A History of Classifications of the Sciences, Edinburgh –
London 1904 (repr. New York, Arno Press, 1975), in cui però, nelle sole due pagine dedicate ai
secoli decimoquinto e decimosesto, non si accenna che alle clasificazioni di Poliziano
(«revelation, discovery, divination») e di Nizolio («Physics, Politics, Oratory»); si veda invece
ALFREDO SERRAI, Le classificazioni. Idee e materiali per una teoria e per una storia, Firenze,
Olschki, 1977; MAURIZIO MAMIANI, La mappa del sapere: la classificazione delle scienze nella
Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, F. Angeli, [1983]; WALTER TEGA (ed.), L’unità del sapere
e l’ideale enciclopedico nel pensiero moderno, Bologna, il Mulino, 1983; IDEM, Arbor
scientiarum. Enciclopedie e sistemi in Francia da Diderot a Comte, Bologna, il Mulino, 1984;
JEAN-MARC MANDOSIO, La place de l'alchimie dans les classifications du Moyen Age et de la
Renaissance, in «Chrysopoeia», IV, 1990-1991, pp. 199-282 (vedi anche in J.-C. MARGOLIN ET
S. MATTON (eds.), Alchimie et philosophie à la Renaissance (De Pétrarche à Descartes, LVII),
Paris, Vrin, 1993, pp. 11-42; MICHEL MALHERBE, Bacon, Diderot et l’ordre encyclopédique, in
«Revue de synthèse», 4e s. CXV, 1994, pp. 13-38; JAN-DIRK MÜLLER, Universalbibliothek und
Gedächtnis. Aporien frühneuzeitlicher Wissenskodifikation bei Conrad Gesner (Mit einem
Ausblick auf Antonio Possevino, Theodor Zwinger und Johann Fischart, in Erkennern und
Erinnern in Kunst und Literatur, hg. v. D. Peil (et alii), Tübingen, Niemeyer, 1998, pp. 284309:305 sg.; JEAN-MARC MANDOSIO, Méthodes et fonctions de la classification des sciences et
des arts (XVe - XVIIe siècles), in «Nouvelle revue du XVIe siècle», XX, 2002, pp. 19-30;
LAURENCE BROCKLISS, La classification des sciences dans le monde universitaire e les facultés
de Médicine, ivi,m pp. 31-45. PAULA FINDLING, Building the House of Knowledge. The
structures of thought in late Renaissance Europe, in TORE FRÄNGSMYR (ed.), The Structure of
Knowledge: Classifications of Science and Learning Since the Renaissance, Berkeley,
California, 2001. UDO FRIEDRICH, Grenzen des Ordo im enzyklopädischen Schrifttum, in
CHRISTEL MEIER (Hg.), Die Enzyklopädie im Wandel vom Hochmittelalter bis zur frühen
Neuzeit, München, Finck, 2002, pp. 391-408; CHRISTEL MEIER, On the Connection between
Epistemology and Encyclopedic Ordo in the Middele Ages and the Early Modern Period, in
Schooling and Society. the ordering and recordering of knowledge in the Western Middle Ages,
eds. A.A. MacDonald, M. W. Twomey, (Groningen studies in cultural change, 6), Leuven,
Peeters, 2004, pp. 93-114:110 sg.; KLAUS FISCHER, Die neue Ordnung des Wissens. Experiment
– Erfahrung – Beweis – Theorie , in RICHARD VAN DÜLMEN – SINA RAUSCHENBACH, Macht des
Wissens. Die Entstehungs der modernen Wissensgesellschaft, Köln-Weimar-Wien, Böhlau,
2004, pp. 155-1185; U. J. SCHNEIDER & H. ZEDELMAIER, Wissensapparate. Die Enzyklopädistik
der frühen Neuzeit, in Ibidem, pp. 349-363. Soltanto Serrai, Mandosio, Müller, Friedrich,
Schneider & Zedelmaier fanno riferimento a Zwinger.
- 138 -
e dell’insegnamento universitario che non una classificazione delle scienze
condotta criteri logici.395 Nel sesto libro dell’Etica nicomachea Zwinger
trovava però a sua disposizione una partizione delle scienze che rispondeva
perfettamente a queste esigenze e che egli fece sua senza esitazione
(«dispositio uero [...] nostra est, seu potius Aristotelis»); tanto più che non
solo stava lavorando contemporaneamente alle tavole e al commento
all’Etica, ma che era sua intenzione presentare i due lavori come
reciprocamente complementari.396
Ego igitur, cum praeclara Lycosthenis erga me extarent merita (ut qui conditione
uitricus, uoluntate plus quam pater fuisset) simul etiam Reipublicae literariae non parum
interesse arbitrarer, Opus istud in lucem edi, partim priuata pietate, partim utilitate publica
motus, prouinciam hanc suscepi; et ne merus rapsodus esse uiderer, Philosophiae ductu in
eum ordinem exemplorum confusam prius et indigestam farraginem contraxi, qui
perpetuus esse, neque (si me mea fallit imago) a quoquam temere immutari posset. Proinde
Exemplorum congeries Lycostheni accepta ferenda est, quamuis illa eadem nostra industria
non modicum creuerit. Dispositio uero, de qua iam ante disputauimus, nostra est, seu
potius ipsius Aristotelis [...] Ad Ethicam igitur Philosophiam exempla referri debere,
tanquam particulares species ad uniuersalia praecepta [...] Hanc ob causam Practica
Philosophia nomen habuit, quod in Praxi omnis illius uis et facultas cerneretur.
La classificazione aristotelica delle scienze in teoretiche (physica,
mathematica, prima philosophia), poietiche (arti e tecniche) e pratiche
(ethica, oeconomica, politica) abbraccia, innanzi tutto, tutti i campi del
sapere, delle abilità e dell’agire umano. Facendo riferimento ad essa
Zwinger imposta il suo Theatrum. Il primo libro viene dedicato al dominio
delle arti liberali e alla filosofia; il secondo alle arti meccaniche, di cui qui
Zwinger per la prima volta in Europa presenta un catalogo sistematico
(«Hic est igitur Mechanicarum artium catalogus, quam brevissime potuit a
nobis expositus»);397 nei sette libri successivi, infine, egli descrive tutte le
azioni etiche e politiche dell’uomo. Nella suddivisione delle singole scienze
all’interno di uno stesso gruppo Zwinger rimane fedele alla partizione
aristotelica anche laddove essa veniva inevitabilmente in conflitto con il
sistema delle scienze allora dominante. Egli esclude per esempio dalla sua
classificazione grammatica, retoria, poetica e logica perché esse parlano
non delle cose stesse, ma dei nomi e concetti delle cose e dunque in quanto
organon o prolegomena esse non possono essere propriamente dette né arti
né scienze.398 Oppure suddivide la metaphysica – definita con Aristotele
philosophia divina – in teologia e magia, occupandosi della sua messa in
pratica sotto un unico concetto, quello di divinatio. Nel far ciò egli non
manca di ricordare le conseguenze di una suddivisione di questo tipo,
richiamandosi alla libertà del pensiero filosofico: «In qua si quid innouare
395
Pandectarum sive partitionum universalium Conradi Gesneri [...] libri XXI, Zürich,
Froschauer, 1548; Partitiones Theologicae, Pandectarum universalium C. Gesneri Liber ultimus,
Zürich, Froschauer, 1549, f. α8v. Gessner aveva redatto le Pandette in forma di catalogo a
soggetto per la sua Bibliotheca Universalis del 1545 e le designava per questo già sul
frontespizio come «Secundus Bibliothecae nostrae Tomus».
396
Aristotelis Stagiritae De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: [...] Vt quorum in Theatro
uitae humanae habituum EXEMPLA historica describuntur, eorundem in his libris PRAECEPTA
philosophica[...] cognoscantur, Basileae, per Ioan. Oporinvm (1566); Theatrvm vitae hvmanae,
Omnium [...] Bonorum atque Malorum EXEMPLA historica, Ethicae philosophiae PRAECEPTIS
accommodata, et in XIX Libros digesta, Basileae, per Ioan. Oporinvm ... 1565.
397
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 190.
398
«Organici habitus non Rerum, sed Conceptuum, qui de rebus habentur, cognitionem
informant. Eapropter nec ἐπιστῆμαι neque τέχναι ab iis, qui proprie loqul vellint, sed δυνάμειϚ
tantum λογικαί merentur appellari», Theatrum vitae humanae, ed. 1586 & 1604, p. 1083.
- 139 -
videbimur, philosophica id libertate egimus. Qui meliora potest, proferat.
Ego ut veritatem summe diligo, ita confusionem detestor et abominor». 399
Il sistema tripartito della classificazione aristotelica era per Zwinger
abbastanza ampio da abbracciare tutte le scienze fino allora note e anche
quelle da scoprire in futuro. Fu solo di fronte alla necessità di definire la
«scientificità» o «non scientificità» delle arti applicate e delle scienze che il
naturalista basileese cominciò a percepire le lacune del sistema. Le scienze
in senso proprio (ἐπιστήμη) erano per Aristotele solo le scienze teoretiche,
che procedono per deduzione su oggetti eterni e immutabili, ma non le
scienze pratiche (φρόνησις, prudentia) e ancor meno quelle poietiche
(τέχνη) i cui oggetti appartengono al mondo della contingenza e sono
indirizzate al benessere o all’utile. Per questo gli aristotelici veri come
Zabarella o Keckermann non facevano sicuramente un torto allo Stagirita
nel suddividere la filosofia teoretica in tre «scientias» («physica»,
«metaphysica», «mathematica») e la filosofia pratica in tre prudentias
(«ethica», «oeconomica», «politica»), escludendo del tutto le «scientiae
poieticae» dallo schema delle scienze, per il fatto che
oriretur sane magna Philosophici Systematis confusio ex multitudine, si medicina
et reliquae artes liberales , agricultura, fabrilis, sartoria, sutoria intra philosophiae ambitum
reciperentur.400
Su questo punto Zwinger decide di allontanarsi significativamente dagli
aristotelici. Secondo Zwinger tra scienze teoretiche e scienze pratiche non
esiste differenza se non per il fatto che queste ultime trovano compimento
in un’azione o in un’opera:
cum tamen (hae) re vera propagines quaedam Theoreticarum scientiarum existant,
neque per se ab illis differant, sed tantum respectu adiunctae actionis. 401
Se le prime vengono designate come scienze teoretiche, spiega Zwinger, è
perché di per sé in un primo tempo esse restano nell’ambito della teoria; ma
si trasformano in pratiche e meccaniche non appena si faccia ricorso ad esse
in vista di uno scopo preciso.402 Infatti le scienze contemplative non sono
poi così sterili e infruttuose da non potersi calare dalla contemplazione
teoretica all’azione finendo con l’essere di aiuto all’uomo nella sua vita
quotidiana. È piuttosto vero il contrario:
Sic Philosophia naturalis a speculatione ad opus aliquod utile et proficuum homini
in rebus externis descendens, Artem Metallicam, Hydraulicam, Chymicam, ipsam denique
Medicinam, ueluti propagines ex se produxit.403
Quanto è successo per la scienze naturali, continua Zwinger, vale per la
matematica, da cui hanno avuto origine architettura, scultura, pittura e
musica; ed è successo per la grammatica, da cui sono derivate l’arte della
scrittura, l'arte notarile e l'arte della stampa, come pure per la teologia con
tutte le sue «divinationum species». In altri passi Zwinger definisce le
scienze meccaniche «theoreticarum virtutum exercitationes». Tutto questo
vale però anche al contrario. Come le scienze teoretiche possono abbassarsi
al livello del lavoro manuale, così da parte loro le arti meccaniche possono
399
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 105.
BARTHOLOMAEI KECKERMANNI Opervm omnivm qvae extant Tomus Primus, Genevae, Aubert,
1614, col. 15.
401
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 2.
402
Ibid.
403
Ibid.
400
- 140 -
innalzalrsi al livello della teoria per trarre da essa le regole delle loro
operazioni:
Et proinde quemadmodum theorici habitus ad opus interdum mechanicum
descendebant, ita uicissim habitus factiui ad theoriam interdum ascendunt et ex ea ueluti
canones suarum operationum petunt. 404
Facendo uso di queste metafore Zwinger voleva che al lettore risultassero
chiari alcuni punti fondamentali: innanzi tutto che la funzione della scienze
contemplative non è solo quella di tenere occupato l’uomo sul fronte
teoretico. Per il bene stesso dell’umanità, esse devono piuttosto essere
sottratte alla loro dimensione di scienze fini a sé stesse ed essere applicate
nella pratica. Tutte le arti, viceversa, anche le abilità dell’uomo che lavora,
definite per secoli illiberali, meritano di vedersi riconosciuto un carattere di
scientificità nella misura in cui esse dispongano, al di là della mera prassi,
anche dei principi teorici dell’arte. Zwinger, da sperto conoscitore dei testi
aristotelici, poteva far poggiare una tale posizione anche su
un’affermazione dello Stagirita: «τέχνην πᾶσαν περὶ τὸ τεχνάζειν καὶ
θεωρεῖν versari, in sexto Ethicorum [Aristoteles] ait: ut insinuet nobis, in
his artibus theoriam esse, esse etiam Operationem quandam, a posteriore
denominationem ipsam fieri». 405
La stessa posizione ricompare, formulata in termini più radicali, in
una edizione più matura del Theatrum, quella del 1571:
Proinde sicuti Theoria suam habet Praxin siue exercitationem singularium, ita
Praxis suam Theoriam siue cognitionem uniuersalium, denominatione semper ab
excellentiore facta.406
Con questo connubio fra teoria e pratica Zwinger non aveva ancora
scardinato la classificazione tripartita delle scienze di stampo aristotelico
(che infatti veniva mantenuta anche nelle successive edizioni del
Theatrum), ma aveva piuttosto reso permeabile la linea divisoria che le
divideva, e, soprattutto, ridimensionato la loro pretesa gerarchia e scala di
valori riportandola ad un livello comune, ciò che permise a Zwinger di
sviluppare una teoria unitaria della scienza.
Storia e teoria
Per chiarire al lettore la genesi di tale sviluppo riporto qui tre passi paralleli,
risalenti rispettivamente agli anni 1565, 1568 e 1571:
Vt igitur in theoricis (scientiis) uniuersalia rationi, particularia sensui subiacent;
ita quoque in practicis praecepta intellectui, exempla usui et experientiae conuenient. 407
In omnibus artibus et scientiis, quarum finis non in sola ueri cognitione sed et in
boni adeptione consistit, siue practicae sint illae siue Mechanicae, siue theoricae, duo
consideranda sunt: Praecepta uniuersalia, quae Ratione per doctrinam comprehenduntur, et
Exempla particularia, quae sensu per experientiam cognoscuntur.408
Disciplinae omnes, quae certis comprehensae praeceptis doceri possunt, in ἕξεις
atque δυνάμεις; diuiduntur. Ἓξεις uoco Artes et Scientias quarum aliae uniuersalia
404
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 185.
Ibid.
406
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, p. 202; ed. 1586, p. 1183.
407
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 26.
408
Lettera di Zwinger a Jacob Horst, 13. 8. 1568, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn.II 28, 128b-c.
405
- 141 -
praecepta tractant (et proinde in Uniuersum Theoricae dici possunt, siue iam in cognitione
acquiescant, qualis est Philosophia Theorica; siue ad actionem insuper properent, qualis est
Philosophia Practica), aliae particularia exempla persequantur, et haec Historia uocatur, in
quocumque genere philosophiae.409
Comune a tutti e tre i testi è la suddivisione della scienza in norme generali
(praecepta universalia), che vengono stabilite o scoperte dalla ragione
attraverso la riflessione, e fatti particolari (exempla particularia), percepiti
dagli organi di senso nell’esperienza e nell’esercizio attivo. Nel primo testo
però si accenna solo ad un mero parallelismo e a un’affinità di procedura tra
i modi che portano alla conoscenza nell’ambito delle scienze teoretiche e in
quello delle scienze pratiche; tutto il passo può essere ancora considerato
aristotelico, se non nella contrapposizione praecepta-exempla
(παραγγέλματα – παραδείγματα) che in Aristotele manca, certamente
nell’opposizione tutta aristotelica tra due forme di conoscenza (νοῦς o
conoscenza razionale e εἴσθησις o percezione sensibile), cui Zwinger si
richiama apertamente nel suo commento al capitolo sulla classificazione
delle scienze presente nell’Etica nicomachea.410 Il secondo testo appartiene
ai primi abbozzi zwingeriani di una sistematizzazione della medicina di
Ippocrate; in questo caso il binomio praecepta-exempla comincia ad essere
inteso nel significato ippocratico di theoremata e historemata: «Materia
subjecta Medicinae omnia sunt et θεωρήματα et ἱστορήματα artis»,
leggiamo nella redazione pubblicata più tardi,411 sebbene il concetto di
ἱστόρημα venga derivato dal continuo uso ippocratico del termine ἱστορία
per designare i singoli casi patologici. Sotto l’influsso di Ippocrate nel terzo
testo Zwinger estende infine la nuova terminologia a tutti i campi del sapere
(«et haec historia uocatur, in quocumque genere Philosophiae»), ponendo
così la prima pietra dell’epistemologia moderna.
La storia viene definita da Zwinger senza esitazione «ocularis et
sensata cognitio atque demonstratio»412 e messa quindi sullo stesso piano
dell’esperienza: «EXPERIENTIA. ICTOPIA. COGNITIO SENSITIVA»,
come recita il titolo di un capitolo del Theatrum vitae humanae,413 sono
termini che il naturalista basileese usa come perfetti sinonimi. Certo talvolta
Zwinger si riferisce alla storia come αἴσθητική di contro alla teoria o
διανοτική (dove αἴσθησις e διάνοια sono termini prettamente aristotelici);
ma che non si tratti semplicemente di dare un nuovo nome a dei concetti
aristotelici è provato dal capovolgimento di valori che Zwinger mette in
atto sulla scorta della sua riflessione sui testi e sul metodo ippocratico.
Al contrario della filosofia teoretica, che descrive le caratteristiche
normative delle cose («exemplaria»), la storia pone davanti agli occhi i casi
particolari («exempla particularia», cioè i fatti singoli), che, a giudizio di
Zwinger, sono molto più efficaci e atti ad essere imitati:
409
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, p. 613; ed. 1586, p. 1579. Il passo si ritrova invariato nel
contributo di Zwinger all’opera collettiva Artis historicae Penvs (cit., nota 20), II, p. 618643:618.
410
ARISTOTELIS De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: Tabvlis perpetuis (cit., cap. VIII, nota
15), p. 174.
411
ZWINGER, Hippocratis Coi viginti dvo commentarii Tabulis illustrati (cit., nota 31), f. α 3r.
412
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, p. 613; ed. 1586, p. 1579.
413
Theatrum humanae vitae, ed. 1586, p. 3813.
- 142 -
Historia uero eorundem Praeceptorum, Exempla particularia profert, tanto
efficaciora et ad mouendum aptiora, quanto sensus rationem euidentia et certitudine
superare uidetur.414
Se in ambito aristotelico vale sempre il criterio che quanto più astratta è una
scienza, tanto maggiore sarà il grado di certezza che essa raggiunge, 415
Zwinger al contrario declassa gradualmente la teoria a probabilità, per
dedicarsi invece con sempre maggiore intensità alla pratica e all’esperienza,
in una parola alla «storia»:
Tamen in tanta humanae mentis caligine ipsa probabilitate contentos esse oportet,
ut historice quidem res gestae enarrentur, philosophica vero trutina candide et modeste
perpendantur.416
Infatti l’esigenza del naturalista basileese di esporre storicamente i fatti
singoli («historice res gestas enarrare») non vale solo per le azioni
dell’uomo in campo politico o religioso, ma anche per tutte le sue creazioni
letterarie e filosofiche, per le sue conquiste e invenzioni tecniche e
meccaniche e, ancora in più, per tutte le cose, eterne o soggette a
corruzione, al di fuori dell’uomo. Ma per meglio illustrare la sua
suddivisione della storia, diamo la parola allo stesso Zwinger:
Historia versatur circa Exempla particularia earum rerum, quarum Exemplaria tradit Theoria
Philosophica. Res autem illae considerantur vel ut in hominis potestate
1) non sunt sitae: Ut sunt res tum Aeternae, et Historia Metaphysica dici potest; tum
Caducae, Historia Naturalis metallorum, stirpium, brutorum, hominum quinetiam,
quatenus variis bonis naturae beneficio ornantur [...]
2) sunt sitae.τὰ ἀνθρρώϖινα proprie dicta. Actiones videlicet humanae vel
a) Theoricae. Quarum enarratio ex ipso fine Theorica est, et propterea
Philosophiae Theoricae coniungenda.
b) Mechanicae. Harum enarratio Mechanicarum artium tractationi connectenda.
c) Practicae. Et haec est Historia practica, κατ’ἐξοχήν dicta, de qua nunc
loquimur.417
Segue la distinzione di quest’ultima in «historia profana et religiosa;
politica et oeconomica; universalis et particularis; perfecta et mutila;
Chronica, Diaria, Sylva variarum lectionum etc.» sulle quali tuttavia non
vogliamo soffermarci ora.
L’amplimento del concetto di ‘storia’ ad altri ambiti scientifici non
era in sé nuovo. Già nell’antichità Plinio aveva coniato il termine di ‘storia
naturale’, e basta sfogliare la raccolta di scritti sulla storia (Artis historicae
414
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, p. 614; ed. 1586, p. 1580; Zwinger, De historia ,in
JOHANNES WOLF (ed.), Artis historicae Penvs Octodecim Scriptorum tam veterum quàm
recentiorum monumentis, Basilea, Perna, 1579, II, p. 618. Sull’importanza gnoseologica dei fatti
singoli si veda ANTONIO PÉREZ-RAMOS, Francis Bacon’s Idea of Science and the Maker’s
knowledge Tradition, Oxford, Clarendon, 1988, in particulare i capitoli 5 (Maker’s Knowledge),
pp. 48-63, e 13 (Propositional and Operative Knowledge), pp. 150-166; si veda anche RODOLFO
MONDOLFO, Il verum factum prima di Vico, Napoli, Guida, 1969. Per la teoria dell’origine
giuridica del concetto di «modern fact» nella filososofia naturale si veda BARBARA J. SHAPIRO, A
Culture of Fact England, 1550-1720, Ithaca, NY, Cornell University Press, 1999. A proposito
del Theatrum vitae humanae «and the emergence of the fact» si veda ora ANN BLAIR, Historia in
Theodor Zwinger's Theatrum Humanae Vitae, in Historia: Empiricism and Erudition in Early
Modern Europe, ed. Gianna Pomata and Nancy Siraisi, Cambridge, MA, MIT University Press,
2005, pp. 269-296.
415
Vedi, per esempio, FRANCISCUS TOLETUS, Commentaria in universam logicam Aristotelis,
Coloniae Agrippinae, 1579, p. 395.
416
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, 31; ed. 1586, f. ):( ):( ):( 5r.
417
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, 614; ed. 1586, 1580.
- 143 -
penus) pubblicata nel 1579 da Perna (ad essa Zwinger contribuisce facendo
riprodurre, invariato, il capitolo De historia universim dal suo Theatrum)
per imbattersi in concetti come historia humana, naturalis, divina (Bodin) o
historia naturae, sapientiae, prudentiae, literaria (Mylaeus).418 A parte
l’insistenza sulla necessità di accogliere nel panorama storico anche le arti
meccaniche, al pari di ogni altro ambito dell’attività umana, l’innovazione
di Zwinger sta in particolare nell’identificare storia e esperienza e
nell’opporle alla teoria filosofica. Entrambe costituiscono per l’uomo fonti
di conoscenza:
Cognitio vero duobus κριτηρίοις; tanquam cruribus firmata, quorum vis in omni
conatu et effectu necessario requiritur, ex subiecti diversitate, quod vel per se et extra
intellectum, vel certe in intellectu est, nunc huius, nunc alterius praesidio magis nititur: ita
quidem, ut Sensuum praesidio, inter quos Visus principatus obtinet, HISTORIAM, hoc est,
singulorum notitiam persequatur; Rationis adminiculo THEORIAM, sive Universalium
naturam contempletur. Haec Praeceptorum, illa Exemplorum nomen obtinent, atque ut
Historia τῶν ὁρωμένῶν στάσις est, sic Theoria, veluti universalis quaedam cognitio
particulari superaddita, ἐπιστήμης appellationem traxit.419
Questo raffronto e coordinamento i tra storia come conoscenza del
particolare e dell’evento («cognitio singulorum», luoghi delle cose visibili),
e teoria come scienza già sulla prima pagina dei Proscenia al Theatrum
vitae humanae del 1571 e del 1586 determina anche la struttura interna
dell’opera nel suo complesso e testimonia nello stesso tempo il significato
che Zwinger attribuisce a questa sua nuova ripartizione della conoscenza.
Essa costutuisce però anche un contributo significativo, che segnala uno
degli inizi dell’epistemologia moderna e della moderna classificazione delle
scienze. Viene infatti messa in luce una fondamentale unità fra
razionalismo deduttivo e principio empirico e, allo stesso tempo, le nuove
forme delle scienze naturali trovano finalmente un’adeguata formulazione
teorica. 420
L’aver fatto riferimento solo alla prima edizione del Theatrum, del
1565, senza tenere presenti le successive edizioni del 1571 e del 1586, ha
portato due storici tedeschi contemporanei a dare un’interpretazione errata
dell’opera di Zwinger: Helmut Zedelmaier, come abbiamo già accennato,
ha considerato il Theatrum, per concetto e struttura, alla stregua di un’opera
prettamente medievale, come lo Speculum maius di Vincenzo von
Beauvais.421 Arno Seifert, in un libro diventato celebre, Cognitio historica Die Geschichte als Namengeberin der frühneuzeitlichen Empirie, ha
analizzato correttamente la concezione zwingeriana della storia (del 1565!);
ma non avendo tenuto conto della sua evoluzione a partire dal 1571 proprio
su questo punto, egli non ha attribuito a Zwinger la dirompente valenza
innovativa dell’equiparazione di Historia e Experientia, che ha invece letto
come contributo originario di Robertus Goclenius e Francis Bacon, i quali
418
Jean Bodin, Methodus historica, in J. WOLF (ed.), Artis historicae Penvs (cit, nota 20), I, pp.
10 sgg.; Christophorus Mylaeus, De scribenda universitatis rerum historia, ivi, II, pp. 34 sgg.
419
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, 5; ed. 1604, ):( ):( 1r.
420
ZWINGER, Physiologia medica (cit., cap. VII, nota 25), p. 4.
421
HELMUT ZEDELMAIER, Bibliotheca Universalis und Bibliotheca selecta. Das Problem der
Ordnung des gelehrten Wissens in der frühen Neuzeit (cit., cap. X, nota 48), pp. 227-271. L’idea
di equiparare il Theatrum di Zwinger allo Speculum Doctrinale, Naturale, Morale et Historiale
del Bellovacensis era venuta per primo al Morhof. Si veda DANIEL MORHOF, Polyhistor
literarius, philosophicus et practicus [...], Editio quarta, Lübeck, P. Boeckmann, 1747, I, p. 241,
dove ambedue le opere vengono descritte insieme e definite come «libros ejus[dem] generis».
- 144 -
l’avevano invece ripresa a loro volta proprio da Zwinger.422 Vero è, che nel
riprodurre e citare il passo del Lexicon philosophicum di Goclenius, Seifert
non taceva del tutto il chiaro riferimento a Zwinger e al Theatrum, ma non
avendone consultato che la prima edizione del 1565, egli non è stato in
grado di identificare il testo come estratto dai Proscenia della seconda
edizione del Theatrum vitae humanae del 1571 o della terza del 1585-1586,
che abbiamo citato poco sopra. Citiamo di seguito il testo con le varianti del
Goclenius e il passo che Seifert non ha riprodotto:
[Zuingerus in Theat.] Cognitio veri duobus κριτηρίοις; tanquam cruribus firmata,
nixaque sensuum praesidio, inter quos visus principatus obtinet, Historiam, id est,
singulorum notitiam persequitur; Rationis adminiculo Theoriam seu vniversalium naturam
contemplatur. Haec praeceptorum, illa exemplorum nomen obtinet. Historia particularis
cognitio est; Theoria universalis, Illa αἰσθητική: Haec νοητική.423
L’eclettico Goclenius, mutilando la fine della citazione dal Theatrum, sembra
non aver compresso la rilevanza assolutamente nuova del concetto zwingeriamo
di «Historia» in contrapposizione al concetto di «Theoria», cioè di «ἐπιστήμη» o
di scienza («sic Theoria, veluti universalis quaedam cognitio particulari
superaddita, ἐπιστήμης appellationem traxit». Seifert da parte sua – pur non
ignorando il breve contributo di Zwinger (De historia) nell’antologia pubblicata
da Johannes Wolf Artis historicae Penvs nel 1579, ma non riconoscendo in esso
il passo proveniente per intero dalla seconda edizione del Theatrum vitae
humanae del 1571 –424 riduce la definizione zwingeriana della «storia» ad un
eco della ‘conoscenza sensata oculare’ del Patrizi, ed arriva a negare che
l’«aristotelico» Zwinger si fosse realmente occupato della contrapposizione fra
historia e theoria. Egli presenta inoltre il concetto zwingeriano di storia non
soltanto in contrapposizione alla cognizione derivata dall’intelletto e dalla
scienza, ma addirittura in contrasto assoluto con lo stesso concetto di
«experientia».425
Seifert sa apprezzare la precisione terminologica e concettuale («die
begriffliche Exaktheit») del basileese; al quale ascrive il merito, di aver
fissato per la prima volta il concetto di storia in forma categoriale («das
Verdienst aber, sie erstmal kategorial fixiert zu haben kommt Zwinger und
nicht Bodin zu»); loda caldamente il trattatelo zwingeriano De historia («in
422
ARNO SEIFERT, Cognitio historica. Die Geschichte als Namensgeberin der frühneuzeitlichen
Empirie (Historische Forschungen 11), Berlin 1976, pp. 79-88, 116 sg.
423
Ivi, p. 117; RUDOLPH GOCLENIUS, Lexicon Philosophicvm qvo tanqvam clave Philosophiae
fores aperivntvr, Francofurti 1613 (repr. Hildesheim - New York, Olms, 1980), p. 626.
424
THEODORUS ZUINGERUS Medicus Basiliensis De historia, in J. WOLF, Artis historicae Penvs
(cit., nota 20), II, p. 618-643. Si tratta di un capitolo tratto dalla seconda edizione del Theatrum
vitae humanae del 1571, p. 613-626, e mantenuto senza notevoli cambiamenti nella terza
edizione del 1586, pp. 1579-1594.
425
A. SEIFERT, Cognitio historica (cit., nota 28), pp. 81-82:«Mit den genaueren Problemen und
Implikationen dieser dreifältigen Opposition von historia und theoria hält sich der Aristoteliker
Zwinger so wenig wie der Platoniker Patrizi. Wenn aber schon die Formel cognitio quod est
schwerlich in der Lage war, den Gesamtbereich von Naturwissenschaft im aristotelischen Sine
zu überdecken, so blieb erst recht die Cognitio sensata-Definition diese Leistung schuldig, stellte
sie doch die Historie nicht nur zu unterschiedlos allen höheren Erkenntnisvermögen (intellectus
und scientia), sondern sogar zur Erkenntnisweise der experientia in einem ausschliessenden
Gegensatz. Die Disjunktion von “theoretischer” Rational- und “historischer” Sinneserkenntnis
kann also keineswegs als komplett gelten, wobei ungewiss bleib, ob Zwinger sie wirklich mit
Bestimmheit für zweigliedrig hielt». Per un superamento delle tesi di Seifert e Zedelmaier
rispetto a Zwinger si veda ora UDO FRIEDRICH, Grenzen des Ordo im enzyklopädischen
Schrifttum des 16. Jahrhunderts (cit., cap. X, nota 1), pp. 395-401.
- 145 -
der Nachbarschaft der üblichen Historiktraktate hebt sich der kurze, durch
tabellarische Übersichten ergänzte Auszug, den Zwinger dem Artis
historicae Penus beigab, auffallend genug ab»), ma proprio di questo
trattato, la cui parte teorica non occupa più di una pagina, lo storico tedesco
non riporta che le parole «ocularis et sensata cognitio» per definire la storia,
senza rendersi conto né dell’estensione del termine di storia a tutti i campi
del sapere («et haec historia uocatur, in quocumque genere Philosophiae»)
né del maggior grado di certezza ed evidenza attribuito da Zwinger alla
storia dei fatti di contro alla scienza teorica («Historia uero eorundem
Praeceptorum, Exempla particularia profert, tanto efficaciora et ad
mouendum aptiora, quanto sensus rationem euidentia et certitudine superare
uidetur»).426 Seifert inoltre ha riposto troppa fiducia nelle citazioni
incomplete del Theatrum riportate da Goclenius (che ometteva appunto la
frase: «atque ut Historia τῶν ὁρωμένῶν στάσις est, sic Theoria, veluti
universalis quaedam cognitio particulari superaddita, ἐπιστήμης
appellationem traxit»),427 ciò che gli ha impedito di intuire la novità
dell’equiparazione tra Historia e Experientia e la loro correlazione con la
Theoria/Philosophia nell’opera di Zwinger. Egli ha perciò attribuito a
Francis Bacon il merito di aver per primo innalzato la conoscenza «storica»,
al di là del concetto tradizionale, ad una funzione completamente nuova:
«Ohne Historie ist Philosophie, verstanden als Deckbegriff für die
Wissenschaft, absolut unmöglich» - senza la «storia», la filosofia. intesa
come concetto complessivo della scienza, è assolutamente impossibile. 428
Poiché il filosofo basileese, conscio dell’importanza della sua
innovazione, ma anche del suo debito nei confronti degli antichi, non
scrisse alcuna «redargutio philosophiarum», e scelse di non usare toni
stridenti e anatemi di alcun tipo per segnare la rottura con il passato e la
tradizione filosofica, il suo grande e innovativo apporto alla teoria della
scienza, nascosto negli imponenti volumi del Theatrum, non venne
percepito come tale dai suoi contemporanei.429 Solo un attento lettore e
426
ZWINGER, De historia ,in J. WOLF, Artis historicae Penvs (cit., nota 20), II, p. 618; Theatrum
vitae humanae, ed. 1571, p. 614; ed. 1586, p. 1580.
427
Seifert non si occupa inoltre degli altri scritti di Zwinger, non si informa sull’esistenza di un
eventuale carteggio del basileese ed è pertanto costretto a dichiarare che il concetto zwingeriano
di storia, per lui, resta oscuro. «Anders als bei Bodin, und analog zu Patrizi, hat aber eben solche
historia bei Zwinger in allen Sachbereichen eine “theoretische” Erkenntnisweise über sich, deren
Resultate sie didaktisch wirksam transportiert, darüber hinaus wohl auch induktiv erzielen hilft;
dies indessen bleibt ungeklärt», SEIFERT, Cognitio historica (come nota 28), p. 87.
428
Ivi, pp. 81 sg., 116, 119 sg.
429
Quanto l’equiparazione di storia ed esperienza potesse risultare straniante per i contemporai è
testimoniato non solo dalla già citata lettera in cui Jacob Horst esprime all’amico basileese il
proprio disagio di fronte alla sua suddivisione dei trattati medici in historici e logici, e non in
empirici e rationales come consueto nell’ambito della tradizione galenica; di fronte al capitolo
del Theatrum che esibiva nel titolo i tre sinonimi «EXPERIENTIA. ICTOPIA. COGNITIO
SENSITIVA», un altro conoscente di Zwinger, Jacob Ritter, parroco (Pfarrer) di Liestal, trovò
dapprima difficoltà a procedere nella sua lettura: «Quid hoc vocabulum sit ignoro, nec huius
mentionem facit Calepinus», scrisse in margine al suo esemplare dell’edizione del 1586. Solo più
tardi si rese conto del fatto che si trattava della forma epigrafica del termine greco usato per
‘historia’. Sugli aspetti semantici di questi termini nell’età classica siveda ora il
documentatissimo saggio di WALTER BELARDI, Il costituirsi del campo lessicale dell’experientia
in greco e in latino, in MARCO VENEZIANI (ed.), Experientia. X Colloquio Internazionale (cit.,
cap. IV, nota 34), pp. 1-61; Historia in Theodor Zwinger's Theatrum Humanae Vitae, in
Historia, Empiricism and Erudition in Early Modern Europe, ed. Gianna Pomata and Nancy
Siraisi, Cambridge, MA, MIT University Press, 2005, pp. 269-96.
- 146 -
pensatore come Francis Bacon, interessato allo stesso tipo di problematiche
epistemologiche, riconobbe il valore del contributo di Zwinger e ne fece il
punto di partenza della sua rivoluzionaria teoria della scienza. Tacque però
volutamente la fonte che aveva analizzato con tanto interesse. Ed è così che,
mentre Bacon viene da sempre acclamato come fondatore della moderna
filosofia e della moderna teoria della scienza, non ultimo anche per la sua
classificazione delle scienze, l’apporto di Zwinger è caduto nel più
completo oblío.430
Che il filosofo inglese conoscesse bene il Theatrum era già scoperta
dei dotti curatori dell’edizione critica delle opere baconiane, sulla base di
un passo mal citato dall’opera di un umanista italiano.431 Un confronto
sistematico delle opere dei due filosofi porterebbe alla luce ancora molti
punti di contatto con il Theatrum. In virtù della sua sistematicità e della sua
ricchezza contenutistica, quest’ultimo era divenuto all’epoca un apprezzato
digestum locorum communium o florilegium. Montaigne non aveva bisogno
di fare ai suoi lettori il nome Zwinger: gli bastava accennare a lui come a
«celui qui a faict le Theatrum», ed è chiaro che anche Bacone poteva
attingere a piene mani al Theatrum per le sue considerazioni. Egli aveva del
resto riconosciuto la grande utilità che poteva derivare agli studi da una
buona raccolta di loci communes: essi offrono un ricco materiale per
l’invenzione e permettono di concentrare tutta la sottigliezza del giudizio su
un campo ristretto e determinato («veluti quae Inventioni copiam
subministret et aciem Judicii in unum contrahat»)432. Stupisce ancor di più
quindi che Bacone stigmatizzi come del tutto inservibili tutte le raccolte di
loci communes a lui note, Theatrum compreso:
Verum est tamen inter methodos et syntaxes Locorum Communium quas nobis
adhuc videre contingit, nullam reperiri quae alicuius sit pretii; quandoquidem in titulis suis
faciem prorsus exhibeant magis scholae quam mundi; vulgares et paedagogicas adhibentes
divisiones, non autem eas quae ad rerum medullas quovis modo penetrent. 433
La forte avversione di Bacone nei confronti della terminologia scolastica e
dell’adorazione umanistica per l’antichità gli rendevano difficile un
giudizio obiettivo sull’opera di Zwinger. Ad essa va aggiunta la severissima
condanna di tutta la tradizione filosofica e scientifica che guidava la
radicale riforma baconiana. Ciò non gli impedì tuttavia di ispirarsi a
Zwinger in diverse parti della sua opera, e di fare anzi continuamente uso
della sua ricca ed originale terminologia, curando naturalmente di
nominarlo mai. Tra tutti i pensatori del XVI secolo Bacone trovò parole di
elogio solo per Petrus Severinus («Invideo tibi, Paracelse, e sectatoribus
tuis unum Petrum Severinum, virum non dignum qui istis ineptiis
immoriatur»), poiché quest’ultimo, sulle orme del maestro, aveva tentato di
430
Il libro ormai classico di ROBERT FLINT, Philosophy as Scientia Scientiarum and A History of
Classifications of the Sciences, Edinburgh – London 1904 (repr. New York, Arno Press, 1975),
nelle due uniche pagine dedicate ai secoli decimoquinto e decimosesto, non si occupa che delle
classificazioni di Poliziano («revelation, discovery, divination») e di Nizolio («Physics, Politics,
Oratory»).
431
The Works of Francis Bacon (cit., cap. IX, nota 45), II, pp. 95 sg. Su Bacone e il Theatrum di
Zwinger si veda anche W. ONG, Commonplace rhapsody: Ravisius Textor, Zwinger and
Shakespeare (cit., cap. 9 , nota 63), p. 109; A. BERCHTHOLD, Bâle et l'Europe. Une histoire
culturelle (cit. proleg. nota 9), II, p. 656 ; ANN BLAIR, Historia in Theodor Zwinger's Theatrum
Humanae Vitae (cit., cap. 9, nota 57), p. OOO.
432
Ivi, I, p. 647.
433
Ivi.
- 147 -
far comparire le conoscenze umane di fronte al tribunale dell’esperienza. 434
In questo senso non sarebbe certo stato fuori luogo citare Zwinger che si
prefiggeva lo stesso programma, soprattutto tenendo conto del fatto che
Bacone aveva ripreso una porzione sostanziale dell’impalcatura teorica su
cui la sua radicale riforma si basava non dagli scritti di Severinus, ma da
quelli del basileese. L’identificazione di storia ed esperienza e di filosofia e
scienza («Etenim historiam et experientiam pro eadem re habemus,
quemadmodum etiam philosophiam et scientias»),435 come anche la loro
stretta correlazione, deriva infatti a Bacone, come già abbiamo mostrato,
dalla lettura del Theatrum. Nel presentare la Partitio historiae (De augm.
scient. II, 2-12), egli ha senz’altro sott’occhio la suddivisione della storia
nel Theatrum;436 e sempre da Zwinger deriva il concetto di historia artium
mechanicarum e il ruolo di primo piano che ad esso Bacone assegna come
fondamento della filosofia naturale: «Ego vero, si quod sit mei pondus
judicii, sic plane statuo: Historiae mechanicae usum erga Philosophiam
naturalem, esse maxime radicalem et fundamentalem». 437 L’elenco
zwingeriano delle arti meccaniche, presentato nel XXI libro del Theatrum
del 1586, De mechanicis artibus, ebbe inoltre non piccola parte nel
Catalogus historiarum particularium o catalogo delle singole presentazioni
dei fenomeni specifici della natura o dell’attività umana ad essa applicata,
che Bacone giudicava necessaria premessa al rinnovamento delle scienze
naturali.438
434
The Works of Francis Bacon (cit., cap. IX, nota 45), III, p. 533.
Ivi, I, p. 495.
436
Lo stesso vale per la Descriptio globi intellectualis, cap. 1-2, Ivi, III, pp. 327 sgg.
437
FRANCISCI BACONIS Opera omnia, Leipzig, Goetze, 1694, pp. 47, 423.
438
Ivi, pp. 427-431.
435
- 148 -
XI
Liberalizzazione e progresso delle scienze
Non disponendo di un catalogo della biblioteca del filosofo inglese, non
sappiamo se Bacone conoscesse altre opere di Zwinger oltre al Theatrum. I
paralleli che attraversano tutta l’opera di questi due autori sono però
talmente numerosi che una tale ipotesi non può certo essere scartata.
L’invito di Bacone a rendere pubblici i risultati delle ricerche e
dell’invenzione dei singoli per il bene della comunità invece di farne
mistero per arricchirsi o per aumentare il potere della propria patria,439 era
già stato anticipato da Zwinger: «Non tibi certe soli, sed et aliis natus es.
Ergo ne vel imperfecta quae habes communicare verearis», scriveva il
naturalista basileese nella Morum philosophia poetica del 1575; 440 e, due
anni dopo, nel capitolo dedicato alle Mechanicae peregrinationis praecepta
della Methodus apodemica lodava la liberalità francese e italiana nel
rendere accessibile a tutti l’apprendimento delle arti e dei mestieri, di contro
alla severa regolamentazione germanica, che imponeva di tramandare i
segreti dell’arte solo nell’ambito gerarchico delle corporazioni. 441 La
necessità di rendere accessibili a tutti le conoscenze dei singoli risponde
secondo Zwinger ad un secondo istinto di conservazione teso a
salvaguardare dall’estinzione non solo la specie umana, ma anche il suo
sapere. La ragione eterna infatti, afferma Zwinger, non ha dotato di tutte le
virtù interiori ed esteriori un singolo uomo, o un singolo popolo, o una
singola epoca, ma ha piuttosto provvisto di abilità e caratteristiche diverse i
singoli luoghi, le singole persone ed epoche; e ciò per due ragioni. Da un
lato per guidare gli uomini dall’inattività oziosa alla conoscenza e
all’azione («ad contemplandum et agendum invitarentur»), mantenendo
viva, in tal modo, l’attitudine al lavoro e alla conoscenza; dall’altro perché
la necessità del mutuo soccorso salvaguardi la coesione della società
umana, legandola con lacci indissolubili. Quando le arti o le scienze cadono
nell’oblío, come è più volte successo a causa di conquiste, catastrofi o altri
accadimenti simili, come è già spesso avvenuto nel corso della storia,
afferma Zwinger, ciò non è altro che un segno della volontà divina di
aumentare il desiderio di conoscenza e la laboriosità umana, e di fornire un’
occasione per metter in atto l’aiuto reciproco e una più stretta solidarietà:
ea fortasse numinis providentia, ut veritatis in profundis ignorantiae tenebris
abditae tanto maius sit desiderium, et virtus in arduo posita cum labore et sudore
exerceatur, adeoque homines ad mutuum auxilium consiliumque petendum ferendumque
fatali quadam necessitate compellantur.442
Come nel caso dell’autore del De augmentis scientiarum, anche in Zwinger
uno dei temi centrali è costituito dal problema della crescita e
dell’innovazione delle arti e delle scienze. Diversamente da Bacone che,
439
P. ROSSI, Francesco Bacone, Dalla magia alla scienza, Torino 1974, pp. 37-41.
THEODOR ZWINGER, Morum philosophia poetica ex veterum utriusque linguae poetarum
thesauris cognoscendae veritatis et exercendae virtutis ergo [...] octodecim libris methodice
deducta, Basileae, Episcopius, 1575, p. 69.
441
«Apud Germanos collegia Opificum singula fere peculiares de hac re leges habent, ut nec a
quibuslibet ars percipi quaeat, nec cuilibet eius percipiendae facultas detur. Apud Gallos et Italos
maior libertas est», ZWINGER, Methodvs Apodemica (cit., cap. IV, nota 13), p. 103.
442
ZWINGER, Hippocratis Coi viginti dvo commentarii Tabulis illustrati (cit., cap. VIII, nota 31),
f. β 5r.
440
- 149 -
nella lotta contro ogni tipo di sistema chiuso, e dunque destinato a
intralciare qualunque progresso, pretendeva una rottura radicale nei
confronti della scienza tradizionale, il fine di Zwinger è quello di fare
emergere da quella stessa tradizione i metodi e gli approcci ancora validi
per il rinnovamento teorico-scientifico. La veritas rerum aveva
evidentemente per lui più valore dell’auctoritas personarum, per quanto
altisonanti possano essere i loro nomi. Egli non manca mai di tributare alle
effettive conquiste dell’antichità l’interesse che esse meritano: «cum non
quia ab aliis sit dictum, sed quia non sine ratione dictum videtur, illud
amplectamur».443 Norma della conoscenza scientifica è per Zwinger solo la
ragione umana, che dalla «storia» ed osservazione dei singoli eventi è in
grado di derivare teorie e concezioni del mondo; e poiché queste
osservazioni non possono venire raccolte in poco tempo né da un solo uomo
– nonostante l’importanza attribuita all’esperienza del singolo per rifornire
di materiali la ragione – è importante tener conto anche dell’autorità di
coloro «qui cum ratione observata invenerunt, inventa constituerunt,
constituta docuerunt». Il riconoscimento di tale autorità non compromette in
alcun modo la libertà del filosofo né ostacola coloro che riescono a
sviluppare nuove forme di pensiero; essa protegge anzi i meno dotati, e cioè
la maggioranza dell’umanità, impedendole di cercare la verità
sventatamente o tanto per fare, guidata di volta in volta solo dalla tirannia di
ogni nuova moda:
Etsi enim hominem philosophum rationis et orationis libertas, nulli auctoritati
dedita, soli veritati addicta, deceat: eadem tamen ipsa paucos tantum, quos aequus amavit
Iuppiter, quique auctoritatem omnem divinae mentis perspicacia superaverint, cadere
potest: mediocribus interim, quorum est pars maxima, opinionibus antecessorum suorum
servire multo consultius fuerit, quam inconsiderato libertatis studio, repudiata maiorum
auctoritate, τῆς νοδοξίας tyrannidem invadere.444
Se la verità restava per Zwinger al di sopra di ogni autorità, egli
disapprovava l’irruente e chiassosa iconoclastia di molti innovatori che,
rinunciando alla ricca esperienza fornita dal passato, ostacolavano il reale
avanzamento delle scienze non meno dei conservatori, fedeli al principio
d’autorità. Con Aristotele, Zwinger mostrava che le arti e le scienze erano
state scoperte dopo lunga osservazione, e si erano accresciute nel corso di
molti anni: ognuno poteva contribuire a questa crescita con nuove scoperte
ed invenzioni.445 Compito dei dotti non è dunque interrompere la continuità
organica che attraversa la storia del pensiero, ma contribuire al suo
sviluppo, lasciando ai posteri un terreno di ricerca scientifica più ampio di
443
ZWINGER, Physiologia medica (cit., cap. VII, nota 25), p. 148.
PLOTINUS, Operum philosophicorum omnium libri LIV, in sex Enneades distributi, Basileae
1580, f. a 2v. Similmente nella Physiologia medica, p. 148: «Hinc etiam nostro tempore, qui vel
totam artem novant, ut Chymistae, vel dogmata quaedam, ut qui in Paradoxis tam superciliose et
amice desudant, eaque ut minore cum fronte profiteri audeant, libertatem philosophicam
praetendunt. Licuit semperque licebit cuique suam sententiam dicere: dum illud facial cum
observantia maiorum et νομοφυλάκων»; cfr. anche Rotondò cit., 345.
445
ARISTOTELIS Ethicorum Nicomachiorum [...] argumentis atque Scholiis (cit., cap. IX, nota 20),
p. 39: «Confirmat (Aristoteles) Artium et Scientiarum exemplo, quarum theoremata quaedam
definitionibus, quaedam aliis enuntiationibus explicantur. Artes enim omnes a) Inventae sunt non
nisi magna difficultate et observatione multorum. b) Auctae sunt sensim minore cum difficultate,
per multorum annorum seriem. Cuiuslibet enim hominis est, vel mediocri ingenio praediti,
inventis addere».
444
- 150 -
quello ereditato dai propri antenati. Come afferma Democrito, sono ancora
mille e mille i mondi da indagare:
posteris nihilominus non minorem, quam a prioribus acceperunt et contemplandi
et agendi provinciam relinquent; fortassis etiam cum Alexandro conquerentur, nondum uno
devicto, multa mundorum millia secundum Democritum superesse. 446
Anche Bacone si richiamava volentieri, peraltro, alle conquiste di
Alessandro Magno («nos enim Alexandri fortunam nobis expondemus»)
opponendo il suo plus ultra al non ultra della tradizione scientifica del
passato,447 e nel far ciò si sottometteva unicamente a un’unica, suprema
autorità, quella del tempo: «Omnium enim consensu veritatem Temporis
filiam esse. Summae igitur infirmitatis esse, authoribus infinita tribuere,
authori autem authorum atque omnis authoritatis, Tempori, jus suum
denegare».448 Tuttavia il merito di aver per primo compreso e divulgato
l’idea di progresso scientifico o addirittura della possibilità di scoprire
nuove scienze non va riconosciuto né a Bacone né a Zwinger. È in realtà a
Paracelso che dobbiamo essere in entrambi i casi, direttamente o
indirettamente, debitori. In termini astrosofici, nella convinzione cioè che
tutte le arti e le scienze derivassero dalle stelle o dalla Luce della Natura, o
anima mundi, Paracelso aveva espresso la sua convinzione che ogni tempo,
e ogni terra producessero la medicina e la scienza di cui di volta in volta gli
uomini avevano bisogno – o meritavano – in questi termini:
[...] wiewol alle Künst noch nit offenbar seind. Dann es haben noch nit alle
Sternen jhre Wirckung vol / vnd jhr Influentias imprimirt. Darumb ist die erfindung der
Künsten noch an kein end kommen: Darumb ob etwas newes gefunden wirdt / oder ettwas
vnerhörtes zu suchen vnderstanden / soll niemandt verhindert werden / dann das Gestirn
wircket mitsampt dem / der da sucht. Dann wie Christus sagt: Suchet / so findet jhr / das ist
auch im natürlichen Liecht gleich so wol / als in dem Ewigen / dann der Himmel wirckt für
vnd für. Darumb hab ein jeglicher achtung auff diejenigen / so teglich etwas newes suchen
vnnd finden auch teglich ettwas newes vnnd sey welcherley es wölle / in natürlicher
Weiszheit / Künsten oder Geberden / der Himmel bringts herfür. Ausz dem folget nun
newe Lehr / newe Künst / ewe Ordnung / newe Kranckheit / newe Artzney: dann alle Punct
vnd Augenblick vbet sich der Himmel in solchen dingen. Vnd zu dem hatt der Mensch das
vrtheil in jhme / was er soll für lassen gehen oder nit; Dann das ist die warheit / alle Künst
der Metallen kommen ausz dem Gestirn vnd andere alle / so auff der gantzen Erden sind /
aber noch sind sie nit all geborn in die Welt. Also auch alle kreffte der Artzney sind ausz
dem Gestirn / noch aber ist es nit alles gelernt. Alle Weiszheit der Menschen sind ausz dem
Gestirn / aber noch hatt es kein End in der Geburt.449
La consequenza pratica era, per Paracelso, l’indagine diretta sulla natura e
non la continua ripetizione degli insegnamenti del passato: «per questo
l’uomo non deve dipendere dagli insegnamenti del passato, ma deve
ascoltare ciò che giorno per giorno il firmamento intende portare a termine
negli uomini» («Darumb so soll der Mensch der Alten Lehren nicht so gar
anhengen / sonder soll hören / was das Firmament täglich fürnimbt im
Menschen zu vollbringen»).
Non è questo il luogo per verificare se Bacone conoscesse queste
posizioni paracelsiane per aver letto direttamente le opere
446
ZWINGER, Hippocratis Coi viginti dvo commentarii Tabulis illustrati (cit., cap. VIII, nota 31),
f. β 5r.
447
The Works of Francis Bacon (cit., cap. IX, nota 45), III, p. 584.
448
Ivi, III, p. 612.
449
PARACELSUS, Astronomia magna oder die gantze Philosopha sagax, ed. J. HUSER, vol. X, pp.
20 sg.; ed. SUDHOFF, XII, pp. 24 sg.
- 151 -
dell’Hohenheimer o attraverso i testi di Severinus o di Bernard Palissy. 450
Per ciò che riguarda Zwinger non c’è dubbio che egli ne era venuto a
conoscenza per il crescente interesse nei confronti dei testi paracelsiani. Nel
commento all’Ars medicinalis di Galeno egli era infatti ancora
dell’opinione che ci si dovesse rivolgere piuttosto allo studio dell’antico che
impegnarsi in sempre nuove invenzioni e scoperte, poiché tutte le arti e le
scienze erano già state inventate dai nostri antenati, ed erano dunque, per
diritto ereditario, già in possesso della comunità.451
È un dato di fatto che fino alla pubblicazione del De augmentis
scientiarum (1672) la fiducia nell’accrescimento e nel progresso delle
scienze, sotto l’egida di Paracelso, costituisce la linea di demarcazione tra i
conservatori e i fautori di una riforma radicale del sapere. Oswald Croll, per
esempio, nella prefazione programmatica alla sua celebre Basilica Chymica
del 1609 riesce a formulare in termini davvero moderni la posizione di
Paracelso sulla libertà dell’indagine filosofica e scientifica e sulle
inaspettate possibilità della ricerca umana:
Sicuti Philosophiae vulgaris Terminus non in Aristotelem collocatus est, ut solide
demonstravit P. Ramus: sic nec totius Naturae Lumen, teste Paracelso, in solo Galeno est
exhaustum. Libertatem humani ingenii, Naturae Lumen, discernendi judicandique facultatem,
homines hominibus eripere non debent, desiit enim Monarchia Graecorum. Ideo qui in arte
medica excellere cupit (si quidem nemo potest veraciter doctus evadere, qui in unius duntaxat
facultatis rudimenta jurat) ab omni sectae genere debet esse alienus,nec jurare alicujus autoris
sententiam, sed nudam tantum Veritatem sectari eique subscribere, semper memor illius
Horatiani:
Quo me cumque rapit tempestas deferor hospes
Nullius addictus jurare in verba magistri.
Nec aliorum inventa, uni sectae adhaerendo, in Universum reiicienda sunt, sed omnes sectae,
quotquot sunt, familiariter sunt agnoscendae, cum secundum nobilissimum ac sapientissimum
Philosophorum phoenicem Picum Mirandulanum, profundissimi ingenii et multiplicis eruditionis
inimitabile exemplar, in unaquaque familia sit aliquid insigne, quod non sit ei commune cum
caeteris: Nullus liber tam malus et abjectus qui non aliquid boni saepe a praestantissimis
autoribus neglectum in se contineat: Aetas posterior, ait Fabius, priori amplius erudiendae
laboravit, et dum ipsae scientiae cum ingeniis crescunt, multo Ethnicorum turpissimos errores,
postea sapientior proles, tanquam secunda spongia abstersit: Neque dubium, plura adhuc
delitescere in Sapientiae et Naturae Thesauris occlusa (Temporibus et Nationibus in saeculi
consumptionem immutabili lege destinata) sagacium hominum conatibus eruenda, quam quae
nostris sensibus sunt pervia. Natura siquidem, cum sit circularis, difficulter ab ulla mortalium ob
vitae brevitatem integraliter comprehendi potent: Haec cum ita sint, neutrorum sive veterum sive
Theophrasti Medicina in totum reiicienda: neque sic amplectenda, ut si quae alia inventa fuerit
melior, huic quoque locum relinquamus, quia dies diem docet, et secunda prioris magister est,
ambae simul sunt conferendae, et quicquid melius in utraque fuerit retinendum. Homines cum
450
ROSSI, Francesco Bacone (cit., cap. XI, nota 43), p. 13 sg., 75. Sull’influsso delle dottrine di
Paracelso su Bacone, cfr. GRAHAM REES, Francis Bacon's semi-paracelsian Cosmology, in
«Ambix. The Journal of the Society for the History of Alchemy and Chemistry», 22 (1975), 81101, 161-173; EDGARD ZILSEL, The Genesis of the Concept of Scientific Progress, in « Journal of
the History of Ideas». VI, 1945, pp. 325-349; A. C. KELLER, Zilsel, the Artisans, and the Idea of
Progress in the Renaissance («Journal of the History of Ideas», 11, 1950, pp. 235-240, propone
brevi passi da Rabelais, Bodin e Louis Leroy a sostegno dell’ipotesi che anche presso gli
umanisti si fosse già fatta strada un’idea di progresso. Tuttavia egli non accenna minimamente
all’opera di Paracelso e al grande impulso che egli diede appunto a questa convinzione; si
vedano ora anche WOLFGANG KROHN & DIEDERICK RAVEN, The 'Zilsel Thesis' in the Context of
Edgar Zilsel's Research Programme, in «Social Studies of Science», XXX, 2000, pp. 925-933.
451
«In διδασκαλίᾳ igitur multo plus operae atque studii collocandum est, quam in εὐρέσει, nobis
praesertim, qui omnes artes iam inventas et tanquam haereditario iure a maioribus acceptas
possidemus», ZWINGER, In Artem medicinalem Galeni Tabulae et Commentarii (cit., cap. IV,
nota 2), f. a 4v.
- 152 -
sint, humana quoque patiuntur, alicubi errant, alicubi contraria et pugnantia scribunt,
nonnunquam a se ipsis dissentiunt, in multis hallucinantur, nec omnes omnia vident. Solus
Spiritus sanctus plenariam omnium scientiam habet, qui distribuit omnibus secundum certam
mensuram, et spirans ubi vult, multa sibi reservat, ut semper nos habet sui discipulos.452
Anche il messaggio dei Manifesti dei Rosacroce, la Fama e la Confessio
Fraternitatis del 1614 e 1615, presentati sotto forma di proclama e appello
ad una «riforma generale del vasto mondo intero», è incentrato sul
rinnovamento scientifico, teologico e politico. Già nell’aprire la Fama
Fraternitatis R.C. rivolta «ai Capi, agli Stati e ai Dotti d’Europa» l’autore,
Johann Valentin Andreae, prende nettamente posizione a proposito del
progresso delle arti e delle scienze, e critica i conservatori, che restano
legati ai loro «Papa, Aristotele e Galeno», accontentandosi dei loro libri di
carta (di tutto «ciò che assomigli a un codice») invece di gettarsi con mani e
piedi nel grande Libro della Natura e di riformare le arti, imperfette e
corrotte, «affinché l’uomo possa finalmente comprendere la sua nobiltà e la
sua grandezza, per quale ragione egli sia un microcosmo e fino a che punto
la sua conoscenza possa estendersi nella natura».453
D’altra parte, i conservatori come Andreas Libavius si scagliano
invece contro questa idea di progresso e contro i tentativi di riforma che
scaturivano, secondo lui, dal funesto paracelsismo e dalla più nera magia.
Come per tutti i conservatori del suo tempo, anche secondo Libavius –
chimico da tavolino – tutte le arti e le scienze erano giunte al massimo
grado di perfezione. Ciò che di nuovo poteva esserci era al massimo
riportare alla luce quelle parti della scienza «quae veteres sciverunt, posteri
amiserunt».
Fratrum in omnes terras sapientiae causa emissorum Studium est laudabile. Sed si
hoc modo putatis vos posse complere Philosophiam vestram, quanto magis compleverunt
suam veteres? [...] In Physica nescio an amplius quid restet. Scrutati sumus iam a primo
Tubalcaino mineralia, et fere ad manes usque descendimus: metalia, gemmas, succos,
lapides et alia mira copia eruimus: Imo veteres videntur nobis ea in re feliciores fuisse.
Quis enim est, qui possit gemmarium eorum explicare? Si socii Fraternitatis Roseae Crucis
452
OSWALD CROLL, Basilica Chymica continens Philosophicam propria laborum experientia
confirmatam descriptionem et usum remediorum Chymicorum Selectissimorum e Lumine
Gratiae et Naturae desumptorum, Frankfurt a./M., Claude de Marne und Erben des Johann
Aubry [ma stampato in Hanau, nell’Officina Wecheliana], 1609, pp. 65-66. La Praefatio
Admonitoria fu considerata per tutto il Seicento la migliore introduzione al pensiero di Paracelso.
La Basilica Chymica di Oswald Croll (ca. 1560-1608) appartiene al novero dei documenti più
importanti ed influenti della storia del paracelsismo, tanto da esser stata tradotta in quasi tutte le
lingue europee. Perfino Diderot caratterizzava a Croll come l’uomo chi «reduisit le paracelsisme
en Système» e nel suo lungo articolo su Paracelso e i teosofi non fece altro che parafrasare la
«praefatio admonitoria» alla Basilica chymica, cfr. Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des
sciences, des arts et des métiers, vol. 16, Paris, Briasson, 1765, S. 255-258. L’edizione francese
della Basilica chymica usciva a Lione nel 1624, quella tedesca a Francoforte nel 1629 e quella
inglese nel 1657. La traduzione olandese del 1615 (Amsterdam, UB, Ms. IV B 8, pp. 1-404),
quella in spagnolo di Francisco Javier de Santiago Palomares del 1770, quella russa del 1780
circa e anche quella in arabo (Qrûlîûs, Kîmiyâ’ Basîliqâ) sono rimaste inedite, cfr. C. GILLY,
Paracelsus in der Bibliotheca Philosophica Hermetica Amsterdam. Ausstellung zum 500.
Geburtstag des Theophrastus Bombast von Hohenheim, Paracelsus genannt, Amsterdam, In de
Pelikaan, 2003, pp. 70-71, 81-81. Si veda ora OSWALDUS CROLLIUS, De signaturis internis
rerum. Die lateinische Editio princeps (1609) und die deutsche Erstübersetzung (1623), a cura
di. WILHELM KÜHLMANN / JOACHIM TELLE (Heidelberger Studien zur Naturkunde der frühen
Neuzeit, Bd. 5), Stuttgart 1996, pp. 9-12, 254-274; JAMES R. PARTINGTON, A History of
Chemistry, vol. 2, London, Macmillan, 1961,p. 175.
453
Sul movimento dei Rosacroce e la bibliografia più attuale su di esso cfr. sopra, cap. V, nota
10.
- 153 -
sunt emittendi, non tam ut sua axiomata examinent emittendi sunt., quam ut indagent ea,
quae veteres sciverunt, posteri amiserunt. Simile iudicium est de plantis et animalibus, in
quibus omnibus quicquid axiomatice cognosci potuit, cognitum est [...] Dicam ego pro me
cum vestra bona pace sententiam. Si adhuc examinatis vestra axiomata, suffragia quaeritis
apud eos, qui sunt de saliva vestra, et observationes venamini, nego vos SCIRE. Ratio:
Quia scientia est ex principiis et immotis per se veris (loquar de Philosophia et univoca
scientia). At vos emendicatis principia, et petitis per Universum mundum non in scholis
sapientum, sed conventiculis Paracelsistarum et apud eos, qui sunt similes Haselmeieri.
Nego iure vos scire, et tandiu negabo, quando non afferetis principia immota. Si nescitis
ea, quae sunt ante pedes, qui scietis futura? An non Magia malefica praegnantes estis? An
non sapitis id, quod Magus Paracelsus, Tritemius, Agrippa, Artefius, Techellus, Crollius,
Simon Magus, Elymus, Pythonissae, et similia diaboli pecora? Ne arbitremur, facite, ut
vestra axiomata non sint daemoniacae et apparentis, sed verae et divinae humanaeque
sapientiae.454
Nel suo estremo conservatorismo, estraneo allo spirito di riforma emerso
dalla ripresa degli scritti neoplatonici ed ermetici e dagli scritti di Paracelso
e dei suoi seguaci, Libavius aveva certamente colto nel segno nel
denunciare magia e scetticismo come i mali peggiori del suo tempo. 455 In
effetti erano queste – a parte l’applicazione galileiana del linguaggio
matematico ai fenomeni naturali – le due correnti di pensiero che, per
quanto antitetiche possano ora apparirci, spianarono la strada alla filosofia e
alla scienza moderna del XVII secolo, accompagnandone sempre gli
sviluppi.,Da un lato la magia in quanto sapere operativo che piega la natura
alle necessità dell’uomo, e che, invece di alimentare la sterile speculazione
sulla natura, fornisce gli strumenti per esercitare un effettivo dominio sui
processi naturali, portarli a compimento o modificarne addirittura il corso,
producendo opere che costituiscono a loro volta un nuovo sapere. Dall’altro
lo scetticismo, come rifiuto dell’arrogante presunzione di certezza di una
scienza e di una filosofia che rifiutano ogni confronto con l’esperienza,
considerando superflue le opere che ne derivano; una filosofia e una scienza
insomma, che nel mito dell’antichità avevano permesso alla tradizione
aristotelica di relegare l’indagine diretta sulla natura e il lavoro
sperimentale al livello dell’arte dei sarti o dei ciabattini.
Che lo stesso Bacone, nonostante le critiche alla magia e agli
Akatalepsia Pyrrhonorum, fosse di casa in entrambi gli ambiti, è ormai cosa
nota a chiunque abbia letto il bel libro di Paolo Rossi, Francesco Bacone.
Dalla magia alla scienza.
Che Zwinger, trent’anni prima di Bacon, fosse uno dei più prolifici
sostenitori di quelle due correnti di pensiero, è esattamente ciò che
intendiamo dimostrare nelle pagine che seguono.
454
ANDREAS LIBAVIUS, Exercitatio paracelsica nova de notandis ex scripto Fraternitatis de
Rosea Crvce, in IDEM, Examen Philosophiae novae, qvae veteri abrogandae opponitur. In quo
agitur de modo discendi nouo: De veterum autoritate. De Magia Paracelsi ex Crollio. De
Philosophia viuente ex Seuerino per Johannem Hartmannum. De Philosophia harmonica magica
Fraternitatis de Rosea Cruce, Frankfurt a./M., [N. Hoffmann ] per Petrus Kopff, 1615, pp. 289
sg. Su Libavius e la controversa valutazione del suo profilo scientifico si veda la letteratura
cutata nel cap. I, nota 13.
455
Vedi sopra, pp. OOO.
- 154 -
XII
Magia e scienza
L’editio princeps degli scritti greci di Plotino del 1580 si apre con una
prefazione dello stampatore Pietro Perna al senato di Norimberga. Ma
sappiamo dalle ricerche di Antonio Rotondò che quella prefazione era in
realtà uscita dalla penna di Theodor Zwinger.456 Rotondò ha analizzato
molto bene anche il carattere programmatico di quella prefazione,
facendone il punto di partenza della sua indagine sul ruolo della magia nel
programma editoriale dell’impegnato fuoriuscito lucchese. Sebbene in
quegli scritti il termine magia venga sempre riportato a ciò che è empio e
demonico (cui «fortassis» Plotino e comunque molti neoplatonici dopo di
lui «sub praetextu philosophiae» si sarebbero spesso riallacciati per opporsi
agli argomenti del cristianesimo), l’uso di tale termine non implica né per
Perna né per Zwinger un rifiuto o un giudizio negativo sulla magia nel suo
complesso, quanto piuttosto la necessità di purificarla da escrescenze
corrotte e superstiziose. Eliminate queste ultime, la filosofia di Plotino si
mostrerebbe come un sistema in accordo con la natura e con la ragione
umana, non in conflitto con la religione («rationi humanae […] et […]
naturae rectae consentaneum et eatenus a divina Auctoritate non alienum»),
strumento adeguato per la conoscenza e la rappresentazione della realtà
naturale («naturae, hoc est, dei operum, in quovis entium genere
cognoscendae exprimendaeque aemulum») e, non ultimo, riserva
inesauribile di segreti della natura, la cui conoscenza e pratica messa in atto
andrebbero a maggior gloria di Dio se realizzate nell’ambito della
rivelazione («ipsosque naturae thesauros in contemplando et agendo ex
penetralibus istis (Plotini) erutos ad Dei unius gloriae referre, et in luce
illius, qui omnem hominem, sed dispare modo illuminat, acquiescere
discamus»).457 Una filosofia cristiana, dunque, al pari degli oracoli delle
Sibille, e al pari anche, «paucis inmutatis» secondo Agostino, dei platonici,
nella cui schiera Plotino non merita l’epiteto di divino meno di quanto lo
meriti lo stesso Platone in confronto al daimonos Aristotele.458
Dall’arrivo di Bessarione in Italia il passo di Agostino prima citato
sulla concordanza della filosofia platonica con il cristianesimo era presente
in quasi tutti i testi del platonismo rinascimentale.459 Lo stesso Zwinger vi
si era richiamato già nel 1563 nella sua prefazione alle opere del Diacceto,
sottolineando allo stesso tempo gli elementi «cristiani» degli oracoli
sibillini.460 Due anni dopo, nella prima edizione del Theatrum, egli aveva
voluto dar maggior forza a quel richiamo ancora trepidante, accostandolo
questa volta alla teologia di Ermete Trismegisto:
Hermes Trismegistus Aegyptius, maximus sacerdos, maximus rex et maximus
philosophus fuit, primus de sacrosancta trinitate in divinis tractavit, καὶ ἐν τριάδι μίαν εἶναι
θεότητα asseruit: lumine intellectus id assecutus, quod Hebraeorum plurimi etiam sacris
invitatis testimoniis comprehendere non potuerunt. Neque id mirum, quandoquidem et
456
ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cfr. proleg., nota 14), p.
344.
457
PLOTINUS, Operum philosophicorum libri LIV (cit., cap. XI, nota 49), f. α 4r.
458
Ibid.; cfr. AUGUSTINUS, De Civitate Dei, VIII, 10: «»
459
D.P. WALKER, The Prisca Theologia in France, (cit., cap. I, nota 30), pp. 224 sgg.
460
FRANCESCO DA DIACCETO, Opera omnia (cit., cap. VIII, nota 23), f. *4v.
- 154 -
Sibyllas ethnicas longe clarius de Christo Iesu servatore prophetasse constat, ipsius etiam
nomine expresso in Acrostichis, quam ullos Hebraeorum vates. 461
Anche nella lunga premessa alle tavole dell’Etica nicomachea del 1566
Zwinger tentava di spiegare al lettore i disegni della provvidenza divina a
questo proposito, contro l’error ridiculus di coloro che per rinnovare la
scienza si rifiutano di ricorrere a dottrine pagane, opponendo che «quod
Deus Christianis haec arcana revelarit, Ethnicis inviderit». 462 Vero è,
continua Zwinger nella sua presentazione, che Dio si è rivelato agli ebrei
servendosi di Mosè e dei profeti, per via soprannaturale, mentre ha offerto
ai pagani solo la luce della natura. Ma è altrettanto vero che Dio aveva
illuminato le loro menti, e se gli ebrei possedevano una conocenza più
esatta, i pagani li superavano «in reliquiis humani naufragii colligendis
methodo atque arti». Zwinger portava l’esempio di Abramo, che aveva
nominato Isacco suo erede universale, ma nondimeno aveva ampliamente
dotato gli altri suoi figli migrati verso oriente di «munera amplissima». Da
questi ultimi era sorta la «Gymnosophystarum prisca gens, syderum scientia
et naturalis magia clarissima», dalla cui cerchia erano nati i magi che a
Betlemme avevano reso omaggio al Salvatore. Non c’era dunque da
stupirsi, insiste Zwinger, se gli oracoli delle Sibille erano più chiari di quelli
dei profeti biblici, come dimostra già l’acrostico di Cristo, un argomento
sicuro per la conversione dei pagani al cristianesimo. 463
Oltre alla prefazione di Castellione alla sua edizione degli Oracula
Sybillina («sed fateamur sane, Sibyllina oracula esse clariora ») 464 la
presentazione di Zwinger ricorda l’apologia con cui Agrippa apre il De
occulta philosohia: «Sibyllas magas fuisse, proinde de Christo tam
apertissime prophetasse; iam vero et magos ex mirabilibus mundi arcanis
ipsius mundi authorem Christum cognovisse natum omniumque primos
venisse ad illum adorandum». Parafrasando Ficino, Agrippa aggiungeva:
«Magiae nomen acceptum a philosophis, laudatum a theologis, etiam ipso
Evangelio non ingratum. Credo ego istos tam supercilii censores, Sibyllis et
Sanctis Magis et vel ipso Evangelio prius sibi interdicturos, quam ipsum
Magiae nomen recepturi sint in gratiam». 465 In ogni caso nel Theatrum del
1565 Zwinger fatto suo l’argomento del riconoscimento dei magi da parte
di Cristo a riprova dell’esistenza di una magia diversa da quella demonica.
In modo ancor più esplicito e libero da superstizioni che non in Agrippa,
nell’edizione successiva, del 1571, Zwinger proponeva una definizione e
partizione della magia destinate a contribuire significativamente al processo
di dignificazione e ampliamento del concetto di magia iniziato con Ficino e
protrattosi fino ai teosofi del XVII secolo.
461
Theatrum humanae vitae, ed. 1565, p. 106; ed. 1571, p. 302; ed. 1586, p. 1311. Il passo
compare tra quelli da espurgare nell’Index expurgatorius del 1584 (cfr. la ristampa Salmurii
1601, f. 153v) e POSSEVINUS, Bibliotheca selecta (cit., cap. VIII, nota 49), II, 345-348, nonché
nelle quattro censure successive ordinate dal consiglio superiore dell’Inquisizione spagnola
(Madrid, Archivo Histórico Nacional, Inquisición, legajo 4435 n. 8).
462
ARISTOTELIS De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: Tabvlis perpetuis (cit., cap. VIII, nota
15), p. 15.
463
Ibid.
464
Sibyllinorum Oraculorum Libri VIII. Addita S. CASTALIONIS interpraetatio latina, Basileae
(1555), p. 11.
465
H. C. AGRIPPA, Opera qvaecvmque hactenvs vel in lucem prodierunt, vel inveniri potuerunt
omnia, in duos tomos concinne digesta, et diligenti studio recognita, Lugduni, per Beringos
fratres [Basilea, Thomas Guarin, 1579-1580] (ed. facs. Hildesheim, Olms, 1970), I, f. α 2r.
- 155 -
Punto di partenza di questo processo era costituito dal celeberrimo
passo della Historia naturalis di Plinio, in cui si afferma che la magia degli
antichi è costituita da medicina, astrologia e teologia.466 Per elementare
misura precauzionale, nell’Apologia del 1489 Ficino non aveva fatto
riferimento alla religione, e aveva definito la magia una sorta di terapia
medico-astrale.467 Attuando una commistione tra cabbala e magia naturale,
Pico della Mirandola aveva riportato quest’ultima in ambito teologico, ciò
che aveva scatenato numerose controversie a proposito del rapporto tra
religione e magia.468 Agrippa si era spinto ancora oltre: nel terzo libro del
De occulta philosophia egli parlava infatti di una magia sacerdotale e
religiosa che insegnava a compiere veri e propri miracoli ed era al tempo
stesso strumento atto a fondare le norme religiose e addirittura cogliere le
verità cristiane.469 Zwinger, da parte sua, riteneva che la rivelazione di Dio,
dei profeti e dei padri della chiesa fosse essa stessa una sorta di magia, che
egli proponeva di chiamare «pia e divina» («magia appellatur pia sive
divina») per contrapporla alla magia empia del diavolo e delle intelligenze
diaboliche.
Certo Zwinger non era un mago, e tanto meno un mago
irresponsabile come era invece Agrippa, che aveva mescolato e confuso
indistintamente i più vari elementi della tradizione magico-cabbalistica. Per
questo la sua definizione e partizione della magia va considerata nel
contesto di quella monumentale riduzione del pensiero e dell’attività umana
a metodo logico unitario che è il Theatrum vitae humanae.
Una della parti più ricche del Theatrum è il libro dedicato appunto a
teologia e magia viste come le due componenti della metafisica o
philosophia divina.470 Con questo termine Zwinger designa quella parte
della filosofia che tratta di oggetti divini, la conoscenza dei quali è riservata
esclusivamente agli uomini divini. E ‘divini’ sono per Zwinger, secondo il
significato ermetico, quegli uomini che hanno preso coscienza del granello
di dività insito nella loro anima («qui summa perspicacia divinae particulae,
quae in nobis est, praediti sunt»),471 e dallo stato animalesco possono
dunque innalzarsi verso l’alto, oltre le stelle. ‘Divine’ peraltro sono le cose
immateriali, sia quelle che hanno un’esistenza propria al di fuori
dell’intelletto umano (Dio, spiriti, anima), sia quelle riprodotte per
astrazione nell’intelletto umano secondo il modello divino («universales
rerum ideae»).472 Oggetto di questa metafisica, che Zwinger ritiene
indissolubile dalla pratica, sono dunque
466
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 199; ed. 1571, p. 328; ed. 1586, p. 1330.
MARSILIO FICINO, Opera, Basileae 1576, l, 573; DANIEL P. WALKER, Spiritual and Demonic
Magie from Ficino to Campanella, London, The Warburg Institute, 1958, pp. 82 sg.; YATES,
Giordano Bruno e la tradizione ermetica (cit., cap. I, nota 18), p. 121.
468
Ivi, 122 sgg.
469
Ivi, 158 sgg.
470
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, pp. 104-183; ed. 1571, pp. 297-511; ed. 1586, pp. 13051551.
471
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 105; «deinde etiam homo ipse, qui cum divinae
particulam aureae in se habeat, ut ille [Horaz] inquit», ivi, p. 104; cfr. anche Corpus
Hermeticum, ed. A.D. NOCK - A.-J. FESTUGIERE, Paris, Les belles lettres, 1973, II, p. 311 15 e III,
p. 18.4
472
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, p. 206; ed. 1586, p. 1298.
467
- 156 -
non ea tantum, quorum esse per se divinum est [...], sed ea quoque quae licet
caduca sint, sub intellligentiam tamen hominis , non nisi diuina quadam sorte cadunt. Illa
Diuinorum cognitio dici posset, haec uero Diuinatio, quo frequentior, et ad quotidianam
uitam utilior, eo maiore digna studio et consideratione: quandoquidem et exSocratis
sententia scientiarum fructus in actione potissimum spectatur, et quod uere Franciscus
Minoritarum princeps dicebat, Tantum scimus, quantum operamur. Ergo Metaphysica
suam habebit Theoriam, suam quoque Praxim, non minus, quam Mathematica,
quemadmodum ex typo, qui huic Volumine praefixus est, constare potest. 473
(non soltanto gli oggetti in sé divini, ma anche tutto ciò che, se pur mortale, è
accessibile all’intelligenza umana solo attraverso la divinità. La conoscenza delle prime
potremmo definirla “Divinorum cognitio”, mentre la seconda “divinatio”; dal momento
che proprio quest’ultima è la più frequente e la più utile nella vita quotidiana, è anche
quella che più merita la nostra applicazione e la nostra osservazione: giacché anche
secondo Socrate è l’azione lo scopo ultimo della scienza, e come era solito dire Francesco
d’Assisi: “tanto sappiamo quanto operiamo”. Quindi la Metafisica dispone di una propria
teoria, ma anche di una propria pratica, non meno della matematica, come ho già mostrato
al momento opportuno).
Nel corso della sua presentazione Zwinger tratta tuttavia di entrambi i
campi della philosophia divina sotto il concetto generale di divinatio
(«homo quae per se nequit, divinationis adminiculo cognoscit»), e questo
avviene a due livelli, quello teoretico e quello pratico. Fine teoretico della
divinazione è per Zwinger svelare i misteri: essenza e qualità di Dio;
incarnazione, morte e resurrezione di Cristo; essenza degli spiriti buoni e di
quelli malvagi; vere e false religioni; profezie, oracoli e segni divini; virtù e
scienze umane; futuro degli uomini e dei popoli. Fine pratico della
divinazione è costituito invece dall’esercizio del potere divino «quantus
divinitus datur vel permittitur», e cioè l’efficacia dei miracoli «quae
Thaumaturgia theologis christianis appellatur. Magis alias Theurgia
dicta».474 In altre parole, religione e magia vengono considerate oggetto
unitario della filosofia divina, o, nell’altro senso (e in questo senza dubbio
consiste l’elemento provocatorio contenuto nell’interpretazione di Zwinger)
rivelazione divina e suggestioni di buone o cattive intelligenze astrali
vengono intese come due aspetti di un’unica, magica realtà.
È evidente che un tale intreccio di ambiti diversi, tradizionalmente
considerati distanti quanto inferno e paradiso, non poteva avere altro effetto
che evidenziare la stretta analogia esistente tra magia e religione, come
segnalato da D.P. Walker in uno dei passi cruciali del suo fondamentale
Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella: «The historical
importance of these connexions between magic and religion is, I think, that
they led people to ask questions about religious practices and experiences
which would not otherwise have occurred to them; and, by approaching
religious problems through magic, which was at least partially identical
with, or exactly analogous to religion, but which could be treated without
reverence or devotion, they were able sometimes to suggest answers which,
whether true or not, were new and fruitful».475 Valga come esempio il caso,
citato dallo stesso Walker, di Pomponazzi, che aveva cercato di spiegare
come effetti di influssi psicologici e astrologici anche i miracoli evangelici.
Ma non solo. I pericoli insiti nell’interconnessione tra religione e magia
sono sufficientemente chiari anche in casi come quello di Giordano Bruno,
che considerava Cristo un mago e vedeva nella magia egizia la vera
473
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, p. 297; ed. 1586, p. 1305.
Theatrum humanae vitae, ed. 1586, p. 1304.
475
D.P. WALKER, Spiritual and Demonic Magic (cit., nota 12), p. 84.
474
- 157 -
religione, soffocata ad opera della Chiesa;476 di Bartholomäus Sclei, teosofo
originario della “Piccola Polonia” e avversario di Fausto Sozzini, che
applicò la terminologia magica all’uomo e al mondo, alla religione e
addirittura a Dio;477 o dello stesso Jacob Böhme, che nei Sex Puncta
Mystica del 1620 defini la Magia come rappresentazione della sapienza
divina («Formung in der Göttlichen Weissheit»), madre e maestra del
sapere («sie ist ein Meister der Philosophiae, und auch eine Mutter
derselben») e addirittura come la meglior teologia, poiché depositaria della
vera fede («Magia ist die beste Theologia; denn in ihr wird der wahre
Glaube gegründet , und gefunden»).478 Prima di loro Paracelso aveva fatto
lo stesso, ponendo sullo stesso piano maghi e santi: «poiché ci sono santi in
dio nella beatitudine divina (che ) sono detti sancti, e santi in dio nelle forze
naturali, che sono detti magi»
Dan es seind heiligen in got zur seligkeit (die) heiβen sancti, seind auch heiligen
in got zu natürlichen kreften, die heiβen magi.479
Paracelo era giunto a fare direttamente di Dio un mago: «Perché mai non
dovrei far uso della magia celeste, dal momento che dio stesso è un mago,
non nella sua persona, ma per mezzo dei suoi santi e magi».
Warumb solt ich nicht setzen coelestem magicam, so doch got ein magus ist, nicht
in seiner person, sondern durch die seinen. 480
Per un ortodosso come Erasto queste affermazioni erano sicuramente le
bestemmie più assurde: «vocat hic (Paracelsus) quoque Magos sanctos
naturales, ut qui per naturae vires praestent, quod sancti Dei homines
potestate divina perfecerunt [...] (et) audet hoc etiam affirmare, Deum esse
476
YATES, Giordano Bruno e la tradizione ermetica (cit., cap. I, nota 18), pp. 238, 384; sulle
presunte affermazioni del Nolano come per esempio «che Cristo facea miracoli apparenti e
ch’era un Mago e così li Apostoli» si veda ora M. Ciliberto nella introduzione a GIORDANO
BRUNO, Opere magiche, a cura di S. Bassi, E. Scapparone, N. Tirinnanzi, Milano 2000, pp. IXXI.
477
BARTHOLOMÄUS SCLEI, Theosophische Schrifften, s.l. [ma Amsterdam] 1688, pp. 116-119,
125, 130, 782. L’edizione si conclude con alcune poesie latine come il seguente elogio della
«Mageja»:
«Theologia vera Mageja. Magica ergo omnia.
Vera Mageja quid? Cum Christus in triplici cruce adoratur.
Magica vis, viva Virtus, simul potens Omnia
Mors, Infernus,et Tenebrae, Satanae caetera [...]
Christus Magus, Magi summi magicus progenitus
Solis Magis manifestus, non-Magis incognitus,
Recens natus sese ostendit Magis et Pastoribus:
Quimet ipsi transformati veri Magi facti sunt.
Magica sunt omnia summi Magi Eloquia.
Magus Magejam efflavit, ex Mago silentio.
Solis Magis haec sunt nota: non-Magis abscondita.
Audient Magi Venite; non-Magi audient Abite.
Calcant Magos hic non-Magi, Magis nil curantibus:
Magi non-Magos calcabunt in futuro seculo
Non-Magi Magum rogate, quo vos Magos asserat,
Ne non-Magos, vos damnatos, summus Magus ardeat.»
478
JACOB BÖHME, Sex Puncta Mystica oder Kurtze Erklärung Sechs Mystischer Puncte, in IDEM,
Sämtliche Schriften (Facsimile-Neudruck der Ausgabe von J. W. Überfeld, [Leiden?] 1730), ed.
Will-Erich Peuckert, Stuttgart, Frommann-Holzboog, 1957, vol. 4, parte VI, pp. 82-96, 93-95.
479
PARACELSUS, Sämtliche Werke, ed. Sudhoff, (cit., cap. II, nota 12), XII, p. 130.
480
Ivi, p. 404.
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Magum, hoc est, alios facere Magos». 481 Non poteva esistere a suo giudizio
alcuna magia che non fosse diabolica. In una lettera del 1571 all’antistite
zurighese Bullinger, in cui annunciava di aver concluso la prima parte delle
Disputationes contro Paracelso, egli aggiungeva:
Sic autem species magiae omnes confutavi, ut sperem posteros habituros, quod
sequantur. Si Helvetius (quem tamen fuisse Helvetium nec dum credo) scripsit male,
confutavit eundem Helvetius, si non bene, saltem vere. [...] Sancte namque tibi iuro nec
Arium, nec Photinum, nec Mahometem, nec Turcam alium, nec haereticum vixisse ullum
hoc pestilentissimo mago magis haereticum. 482
(Ho confutato ogni sorta di magia e spero che le generazioni future d’ora in poi
sapranno come devono comportarsi. Se uno svizzero ha potuto scrivere tutto ciò ( e
continuo a non essere convinto che Paracelso fosse uno svizzero) è almeno stato un altro
svizzero a confutarlo, se non bene, almeno copiosomante [...] Ti giuro, su tutto ciò che mi
è sacro: né Ario, né Fotino, né Maometto, né alcun turco o eretico era tanto pieno d’eresia
quanto questo mago funesto)..
Erasto non si smise mai di accalorarsi su questo punto: «Religionem veram
non posse partem esse magiae», poiché ogni tipo di magia, anche la
cosiddetta magia naturale, se pur tollerata, non è altro che un assurdo e
offensivo abuso della parola del Signore, da punire in tutti i casi con la
morte («verbi divini impius et turpissimus abusus, poena capitis in omnibus
puniendus»).483
Diametralmente opposta a quella di Erasto la posizione di Zwinger,
che già nel Theatrum del 1565 aveva avvisato i lettori di aver trattato sotto
il concetto più ampio di divinatio tanto religione che magia, spinto dalla
forza della logica e dalla necessità di chiarezza, e ben deciso a non
rinunciare al proprio diritto di filosofare in piena libertà di coscienza: «In
qua (divinatione) si quid innovare videbimur, philosophica id libertate
egimus. Qui meliora potest, proterat. Ego, ut veritatem summe diligo, ita
confusionem detestor et abominor». 484 Per quanto desse a intendere di
essersi appoggiato solo ai testi di Caelius Rhodiginus e Johannes Weyer,485
nella sezione dedicata alla magia e alle sue suddivisioni interne pubblicata
nel Theatrum del 1571 egli continuò per la sua strada con la consueta
autonomia e con un atteggiamento di fondo ben diverso da quello degli
autori citati.
Secondo Zwinger esistono due tipi di magia: la magia naturale e la
magia soprannaturale. La prima è quella che a partire dall’indagine sui
segreti della natura opera o prevede miracoli e prodigi, le cui cause restano
occulte all’uomo comune. Essa si estende al terreno della fisiologia, della
medicina, dell’astronomia e dell’astrologia, e nell’ambito di questa magia si
distinsero gli antichi saggi d’Oriente, come pure i primi medici greci, che
furono anche detti maghi per aver mantenuto il segreto sulle tradizioni della
loro arte.486 La magia non naturalis è invece quella cui l’uomo non può
giungere per mezzo della propria ricerca o del proprio lavoro, ma di cui è
481
THOMAS ERASTUS, Disputationum de medicina nova Philippi Paracelsi Pars prima, Basileae,
Perna, [1571], p. 265.
482
Lettera di Erastus a Bullinger del 9. 4. 1571, Zürich Staatsarchiv, E II 361, f. 18.
483
ERASTUS, Disputationum [...] pars prima (cit., nota 26), p. 135.
484
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 105.
485
«Distinguamus ergo Magiae genera ex iis, quae Caelius lib. 9. cap. 23. Antiquarum
Lectionum, et Ioan. Vierus, medicus excellentiss. in Comment. de Praestigiis daemonum
tradidere», Theatrum humanae vitae, ed. 1586, p. 1329.
486
Ibid.
- 159 -
prerogativa fondamentale un’illuminazione ultraterrena («quae revelatione
potius, quam investigatione humana percipitur»). Questa illuminazione o
rivelazione può provenire
(a) da Dio o dalle divine (guten) intelligenze, «Qualis in Prophetis et Doctoribus
ecclesiasticis fuit, qui huius Divinae Magiae ductu miranda fecere, stupenda praedixere.
Magia appelletur Pia sive Divina; quam Daemones mali tanquam simiae imitantur, et
sacrorum nominum farragine, sacrisque mysteriis adscitis, suas sordes velare conantur».
(b) dal diavolo o dagli spiriti maligni, «Et de hac Magia Impia et Daemoniaca in
praesentia agimus. Magi impii in eo conveniunt omnes, quod cum impuris spiritibus
commercium habent, Deum negant, Daemonem mediate vel immediate adorant (digni
proinde extremo supplicio, nisi simul cum corpore etiam anima, pro qua Christus mori
voluit, aeternae morti addiceretur)». 487
I maghi empi vengono poi suddivisi da Zwinger in malefici e benefici; i
primi vengono suddivisi a loro volta in streghe e maghi veri e propri. Le
prime non fanno in fondo nulla di male, ma sotto tortura si ostinano a
riconoscersi colpevoli di crimini immaginari, frutto in realtà
dell’immaginazione di animi malati, sedotti dal demonio, che, come
afferma Weyer, sarebbe meglio curare con medicine e preghiere che
condannare al rogo. Dall’altra parte stanno i maghi, che con formule
magiche, scongiuri e amuleti, oppure con veleni, causano danni reali alle
persone e sono perciò da punire severamente. Benefici sono infine quei
maghi che con esercizi teurgici e formule spiritiche attuano una terapia
dell’anima o tentano di evocare le divinità. A quest’ultimo gruppo
appartenevano Porfirio, Plotino, Giamblico e altri neoplatonici, che sotto il
pretesto della filosofia giocavano con la magia demonica.
Per quel che ho potuto verificare, né Ficino, né Pico, né Tritemio, né
Agrippa avevano osato definire esplicitamente magia l’insieme delle
profezie e dei miracoli raccolti nel Vecchio e nel Nuovo Testamento. Solo
Ludovico Lazzarelli nel suo Vademecum parlava di una «magia sacerdotalis
e divina, de qua omnis sacra scriptura parabolice tractat». 488 E nel De
harmonia mundi Francesco Giorgio Veneto presentava la rivelazione
angelica ai profeti come il più alto grado di magia.489 Anche Giulio Cesare
487
Ibid.
LUDOVICO LAZARELLI, Vademecum, in: Testi umanistici sull'ermetismo (Archivio di
filosofia), Roma 1955, pp. 75–76: «Hec autem tria arcana nihil aliud sunt quam id quod Picatrix
dicit in libro suo, qui dicitur clavis sapientie: sive coniunctio corporis in corpore; coniunctio
Spiritus in corpore; et coniunctio Spiritus in spiritu. Coniunctio corporis in corpore est
coniunctio carnis celestis sive quinte essentie cum corpore terre virginee et purificate; sic quod
resultat lapis philosophorum, et hec est magia naturalis de qua agunt omnes alchimiste;
coniunctio Spiritus in corpore est coniunctio et attractio Spiritus planetarum in sibi convenientes
corporeas ymagines ex quibus mirabilia resultant, et hec est magia celestis in qua excelluit
Zoroaster, qua etiam docet Thebith, Cembes Ptolomeus, et complures alii; coniunctio Spiritus in
spiritu est coniunctio et sinaxis Spiritus Dei cum spiritu hominis, et hec est magia sacerdotalis et
divina, de qua omnis sacra scriptura parabolice tractat. Sed presertim veritatis preceptor, imo
ipsa verita Christus Iesus in suis evangeliis exprimit et testamento suis discipulis delegavit».
489
FRANCISCUS GEORGIUS (ZORZI) , De harmonia Mundi totius cantica tria, Paris, Berthelin,
1544, f. 380v: «Sed magna est magorum, aut mirabiliter operantium differentia. Sunt enim qui
operantur ingenio, arte et doctrina: supplentes, aut accelerantes, vel augentes naturae opus si licet
[...] Et isti magni, sapientes, aut veri philosophi dicuntur. Sunt etiam qui attentant ea, quae vires
et humanam cognitionem transcendunt. Et hi ea quae nesciunt, et nequeunt sciscitantur [...] Alii
autem virtute nominum divinorum adiurantes, ipsos daemones coartant [...] Alii vero non
contenti inmundis daemonibus, meliores et mundas intelligentias asciscunt, vel ipsum Deum
immediate, quod paucis vel nulli datum est. Nam et Mosi omnium prophetarum summo
loquebatur Deus per angelos [...] Et quod patribus illis faciebant angeli, nobis operatur virtus
488
- 160 -
Scaligero parla di tre tipi di magia, «infima et sordida», «media ex astris»,
«divina», rinfacciando a Cardano di non aver tenuto in considerazione
quest’ultima; egli tuttavia non si esprime sul significato da attribuire alla
magia divina.490 Resta dunque solo Paracelso, che nella Philosophia sagax
scrive della «coelestis magia», che «non è un’arte, ma solo potestas divina»
(«die kein Kunst ist, allein Potestas divina»).491 È irrilevante sapere se
Zwinger conoscesse o meno tutte queste opere (la Philosophia sagax era
uscita pochi mesi prima del Theatrum del 1571 e il Vademecum di
Lazzarelli è stato stampato solo ai giorni nostri), perché la partizione della
magia deriva direttamente dalla sua convizione che magia e religione
appartengono allo stesso terreno filosofico, quello della divinatio, e dunque
la scelta di trattare entrambe sotto un unico concetto di religione o di magia
era metodologicamente giustificato.
In ogni caso con la sua definizione e partizione della magia
Zwinger si avvicinava chiaramente alla Philosophia sagax di Paracelso,
un’opera che quest’ultimo aveva suddiviso in quattro libri, secondo gli
ambiti di influenza (ciò che è opera della Natura, di Dio, della Fede, del
Diavolo), da lui definiti ‘astronomie’:
1) NATURALIS ASTRONOMIA: die kompt aus
dem Firmament, und ist im wesenlich geschaffen
von gott dem Vatter, und verordnet zu seyn ein
Scientia, und also dem Microcosmo, als dem, der
auß dem Limo terrae gemacht ist, zugestellt und
uberlieffert.
2) SUPERA: diese Astronomia hat ir wesenlich
wohnung bei den himmelischen im Himmel und
wird geben denen, so in der newen geburt seind,
und nimpt iren Ursprung auß Christo, und wirt
durch die seinen volbracht, gebraucht und
geordnet.
1) 'ASTRONOMIA NATURALE' - questa
proviene dal firmamento, dove viene originata
essenzialmente da Dio padre, che la ordina
come 'scientia', e la riserva e affida al
microcosmo formato dal 'limo terrae'.
2) 'ASTRONOMIA SUPERIORE' - questa ha la
sua sede essenziale in cielo presso le creature
celesti e viene offerta a coloro che sono rinati;
essa trae origine da Cristo e trova
compimento e applicazione attraverso i suoi
seguaci.
3) OLYMPI NOVI: diese Astronomia entspringt
auß dem glauben also, was der natürlich Himmel
vermag, und noch mehr das vermag auch diese
Astronomia durch den glauben zu fertigen, und
wird gebraucht und geben Fidelibus, und durch
sie vollendt und eröffnet.
3) 'ASTRONOMIA DEL NUOVO OLIMPO' questa scaturisce dalla fede. Tutto ciò che il
cielo naturale può compiere anche questa
astronomia è in grado di compierlo per mezzo
della fede, e viene concessa ai credenti
perché ne dispongano, e attraverso di loro sia
portata a pieno compimento e rilevata.
4) INFERORUM: diese nimpt iren Ursprung auß
dem natürlichen des Firmaments, wirdt allein
gebraucht durch die infernalische geiste, dieweil
unnd sie naturales Astronomi sind, die Species
4) 'ASTRONOMIA DEGLI INFERI' – trae la
propria origine dal firmamento naturale, ed è
impiegata esclusivamente dagli spiriti
infernali, poiché anch'essi sono astronomi
naturali, in grado di penetrare le 'species' nel
modo migliore, attraverso stessi o degli
Christi [...] Hinc iussum est nobis, ut in nomine illo omnia faciamus. Nec enim hoc nostro
tempore alia via faciendi miracula nobis relicta est».
490
JULIUS CAESAR SCALIGER, Exotericarum exercitationum liber quintus decimus de subtilitate
ad Hieronymum Cardanum, Paris, Vascosani, 1557, p. 445: «Eam (magiam) tu cum separas a
divinitate, non nisi ridiculam, ac nefariam istam vestram Picatricis, et aliorum Lemurum nugas
atque somnia videris agnovisse».
491
PARACELSUS, Sämtliche Werke, ed. Sudhoff, (cit., cap. II, nota 12), XII, p. 136.
- 161 -
am geschicktesten künden durch sie selbs oder
durch Menschen eröffnen.
uomini.492
Come si può constatare, la suddivisione zwingeriana della magia
corrisponde, terminologia a parte, alla prima, seconda e quarta astronomia
di Paracelso. La terza astronomia, quella dell’Olimpo e della fede, ne è
invece esclusa. Va detto a questo proposito, che il terzo libro della
Philosophia sagax, se mai fu scritto, non venne mai pubblicato.493 È più che
giustificato chiedersi se nel dare alle stampe l’Arbatel, de magia veterum
nel 1575 l’intimo amico di Zwinger, Perna, non avesse in mente proprio di
colmare tale lacuna. Punto fondamentale nella magia dell’Arbatel è infatti
costituito dalla fede che doma gli spiriti olimpici.494 Oltre a questo va
considerato il fatto che l’Arbatel non solo parla di magia divina e magia
demonica («DUPLEX igitur est MAGIA sua prima divisione. Alia est DEI,
quam donat creaturis Lucis. Alia est similiter DEI, sed donum creaturarum
tenebrarum», Aphor. 38), ma presenta anche in appendice una tabella con
una suddivisione della scientia boni et mali in theosophia, anthroposophia,
kakosophia e kakodaemonia molto più vicina nella formulazione e
nell’impostazione grafica alla suddivisione di Zwinger che non a quella di
Paracelso.495
È dato per scontato che Perna, prima di avventurarsi nella stampa
dell’Arbatel si sia consultato con Zwinger; ed è sempre grazie a lui se le
ripetute condanne di questo volumetto di magia dal pulpito della cattedrale
per bocca dell’antistite Sulzer e la stessa inchiesta ufficiale aperta contro
l’autore e lo stampatore finirono nel nulla, nonostante l’aspro intervento di
Théodore de Bèze.496 Per le sue grandi capacità, già sopra sottolineate, non
mi sentirei di escludere nemmeno che egli possa aver perfezionato
stilisticamente il testo dell’Arbatel, un po’ come aveva fatto con il De nova
stella di Postel, che due anni prima Perna, senza dare indicazione della
stamperia, aveva immesso sul mercato. 497 L’Arbatel, «primo libro di magia
492
PARACELSUS, Astronomia Magna oder Die gantze Philosophia Sagax, Frankfurt, M. Lechler
per H. Feierabend, 1571, f. 24r; ed. Sudhoff, cit., XII, p. 270.
493
PARACELSUS, Sämtliche Werke, ed. Sudhoff, (cit., cap. II, nota 12), XII, p. 603.
494
ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cfr. proleg., nota 14), pp.
347 sgg. Questo non sarebbe stato nemmeno l’ultimo tentativo, poiché nel 1618 nella
compilazione di scritti paracelsiani e weigeliani Philosophia Mystica, Darinn begriffen , Eilff
vnterschidene Theologico-Philosophische, doch teutsche Tractätlein, «Newstatt» [Frankfurt],
Lucas Jennis, 1618, pp. 33-39, fu pubblicata una Astronomia Olympi novi, Das ist: die Gestirn
kunst desz neuen Himmels, welche allein dem Glauben entspringet, daraus der Mensch alle
Magnalia Gottes und der Natur, die dem glaubigen sein zuwissen, sehen und erlernen mag.
Authore Paracelso ab Hohenheim, divisa anch’essa in aforismi; in questo caso però si trattava
però solo di 7 aforismi, di contro ai 7 volte 7 aforismi dell’Arbatel. Il vero autore era però il
paracelsista tirolese Adam Haslmayr, cfr. C. GILLY, Paracelsus in der Bibliotheca Philosophica
Hermetica Amsterdam (cit., cap. XI, nota 57), pp. 63-64; IDEM, Adam Haslmayr. Der erste
Verkünder der Manifeste der Rosenkreuzer, Amsterdam 1994, pp. 183-184, 202-203.
495
Arbatel de Magia Veterum, Summum Sapientiae Studium, Basileae, [Pietro Perna], 1575, pp.
86-87.
496
ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cfr. proleg., nota 14), pp.
378-388; vedi anche Correspondance de Th. de Bèze, XVI, 1993, p. 266, dove si rimanda ad una
edizione fantasma del 1531. Per l’elenco dei manoscritti, edizioni reali ed edizioni fantasma
dell’Arbatel rinvio al contributo Il primo prontuario di magia bianca in Germania / The first
book of white magic in Germany, in C. GILLY – C. VAN HEERTUM, Magia, alchimia, scienza dal
’400 al ’700 (cit., cap. I, nota 1), I, pp. 199-217.
497
ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cfr. proleg., nota 14), p.
342, n. 195 versus finem. Ai dati forniti da Rotondò vanno fatte le seguenti aggiunte: come
- 162 -
bianca in Germania», come lo ha definito Peuckert, è redatto in un
linguaggio che non trova uguali in tutta la letteratura magica per eleganza e
chiarezza, e non sono poche le espressioni o gli usi linguistici che ricordano
l’inconfondibile stile dell’enigmatico naturalista basileese. Non sono invece
propenso a ritenere che fosse Zwinger l’effettivo estensore del testo,
quantunque il primo testo che riporta lunghi passaggi dal De magia
veterum, titolo effettivo dell’Arbatel, porti in apertura una prefazione dello
stesso Zwinger. Si tratta del De secretis libri XVII di Johann Jacob Wecker,
pubblicato da Perna nel 1582 e da Waldkirch nel 1588, 1592, 1598, 1604 e
1613. Nella sezione XV, De secretis scientiarum (ma soltanto a partire
della seconda edizione di 1588), sono riportati gli aforismi 1-7, 25-28, 3940 dell’Arbatel («ex Magia veterum».498 L’Epistola dedicatoria a Lazarus
von Schwendi è firmata da Wecker a Colmar il primo di agosto del 1582
(due settimane prima della morte di Perna), ma fu composta con ogni
sicurezza da Zwinger, che almeno dal 1575 correggeva stilisticamente o
redigeva direttamente le dediche latine del suo amico, e genero, Wecker.
Ciò risulta dalle lettere di richiesta e di ringraziamento di Wecker a
Zwinger per la correzione della dedica prefatoria dell’Antidotarium
generale del 1576: «Verum cum ego tum publicis, tum privatis negotiis
obruor quotidie parumque in scribendo sim exercitatus, ut meo nomine
praefationem aliquam, vel epistolam dedicatoriam construas titulumque
operi novum cudas, te etiam atque etiam rogo»; «Pro praefatione hab ich
grosen danck, ist herlich und wol gemacht» («pro praefatione ti sono molto
riconoscente, è magnifica e ben fatta»); «Die Prefation hab ich gesechen,
gefelt mir recht wol, ist herlich und wohl gemacht» («ho visto la prefazione,
mi piace davvero molto, è magnifica e ben fatta»). 499 Anche l’ultima
Rotondò ha giustamente rilevato l’autografo del De nova stella di Postel si trova al n. 96 del ms.
Frey-Gryn. II 5a; al n. 95 non se ne conserva tuttavia solo una copia del tipografo, ma
l’esemplare di stampa (Druckvorlage) vero e proprio. L’amanuense al servizio di Zwinger eseguì
una copia del testo di Postel, il nostro n. 95, e sullo stesso foglio Zwinger apportò poi dei
miglioramenti al testo originario: un terzo del testo è cassato e le correzioni sono riportate in
margine o in interlinea. La redazione così ottenuta servì poi come esemplare di stampa. Vedi
anche C. GILLY, Guillaume Postel et Bâle. Quelques additions à la Bibliographie des manuscrits
de Guillaume Postel, in Guillaume Postel 1581-1981 (Actes du Colloque international
d’Avranches 2-9 septembre 1981), Paris, Trédaniel, 1985, pp. 41-77 (cit. 51, 58). Il testo
originario di Postel, ma senza le numerose correzioni di Zwinger, è stato pubblicato da JEAN
CÉARD, Postel et l’«étoile nouvelle» de 1572, ivi, pp. 348-360:359-360: l’assenza di queste
correzioni nell’edizione procurata da Céard ha indotto il più insigne specialista della «nova
stella» del 1572 a mettere indebitamente in dubbio l’identità della redazione effettuata da
Zwinger e del testo pubblicato da Perna, cfr. MICHAEL WEICHENHAHN, «Ergo perit coelum ...»
Die Supernova des Jahres 1572 und die Überwindung der aristotelischen Kosmologie (Boethius.
Texte und Abhandlungen zur Geschichte der Mathematik und de Naturwissenschaften, 49),
Stuttgart, F. Steiner, 2004, pp. 542-566. Un semplice confronto del manoscritto Frey-Gryn II 5,
n. 95, con l’esemplare a stampa mostra chiaramente che gli oltre cento cambiamenti effettuati da
Zwinger erano stati tutti riportati nell’edizione di Perna del 1573.
498
ALAIN GODET, «Nun was ist die Imagination anderst als ein Sonn im Menschen» Studien zu
einem Zentralbegriff des magischen Denkens (Diss. Basel 1980), Zürich, ADAG, 1982, pp. 173
sg.
499
In ordine di citazione, lettere di Wecker a Zwinger del 17 luglio 1575 (Basel, UB, ms FreyGryn. II 4, n. 323); si veda la minuta della prefazione originaria di Wecker al suo Medicinae
utriusque syntaxes, Basileae 1576 con le correzioni di Zwinger insieme alla redazione definitiva
di quest’ultimo, Basel, UB. ms. Frey-Gryn. II 4, nn.. 323-324 (ivi, n. 324) del 15 ottobre 1576
(Frey-Gryn. I 4, n. 68); e del 4 febbraio 1576 (Frey-Gryn. I 4, n. 71). Per lo Schwendi e le sue
relazioni anche con Zwinger si veda KASPAR VON GREYERZ, Lazarus von Schwendi (1522-1583)
and Late Humanism at Basel, in The Harvest of Humanism in Central Europe. Essays in Honor
- 163 -
richiesta di Wecker per una «praefatio vel dedicatio» della Practica
medicinae generalis del 1585 all’imperatore Rodolfo II fu nuovamente
accolta da Zwinger.500
Da queste e altre testimonianze si può inferire che Zwinger abbia
scritto per il cognato anche la prefazione al De secretis; la prova più
evidente resta però quella contenutistico-stilistica. La vicenda editoriale del
volume non si conclude tuttavia qui. Wecker scrisse questa raccolta su
richiesta di Perna e ne inviò il testo allo stampatore lucchese già nel 1579.
Ma Perna aveva giudicato l’opera incompleta e aveva perciò fatto di propria
mano delle aggiunte; aveva infine inviato nuovamente il testo a Colmar: «il
mio esemplare mi è stato restituito da Perna, con alcune aggiunte e
correzioni» («mein Exemplar hab ich widerumb von Perna empfangen, und
ettlichermaßen augiert und außgemacht»), si lamentava Wecker con
Zwinger (Frey-Gryn. II, 4, n. 283). E che le aggiunte vadano fatte risalire
non solo a Perna, ma anche allo stesso Zwinger, è dimostrato, per esempio,
dal passo che segue, in cui la definizione zwingeriana della metafisica che
già conosciamo viene ripresa letteralmente: «Itaque Metaphysica scientia
tractationem de Deo et Angelis seu Daemonibus bonis aut malis sub se
complectitur» (De secretis, ed. 1593, p. 679). Quando l’opera venne
presentata ai censori dell’Università, questi ultimi non vollero autorizzarne
la stampa e trattennero il testo per più di un anno. Solo una lettera di
Wecker al rettore dell’Università, Basilio Amerbach, del 10. 3. 1582
(«dieweil [...] daß Buch nitt in gmeiner teutscher sprach, sondern Latinisch,
so von dem mehreren theil unverstendig, auch an anderen Evangelischen
orten und enden der gleichen sachen mhermal gedruckt worden» (FreyGryn. II, 4, n. 334) e l’intervento di Zwinger resero finalmente possibile la
pubblicazione del De secretis.
Già nel Theatrum del 1565 Zwinger aveva scritto di una magia degli
antichi, una sapienza al più alto grado di perfezione cui può giungere la
conoscenza umana, frutto del dialogo disinteressato con le intelligenze
astratte e diffusa prima che gli ultimi maghi sostituissero gli angeli buoni
con i demoni malvagi per poter soddisfare i loro più infimi desideri.501
Resta fermo che una cosa è contrubuire alla pubblicazione di un testo come
of Lewis W. Spitz, hg. von Manfred P. Fleischer, St. Louis, Missouri, 1992, pp. 179-195; IDEM,
Un moyenneur solitaire: Lazarus von Schwendi et la politique religieuse de l’Empire au XVIe
siècle tardif, in M. ARNOLD/R. DECOT (éds.), Frömmigkeit und Spiritualität. Auswirkungen der
Reformation im 16. und 17. Jahrhundert / Piété et Spiritualité. L’impact de la Réformation aux
XVIe et XVIIe siècles, pp. 147-160; THOMAS NICKLAS, Um Macht und Einheit des Reiches.
Konzeption und Wirklichkeit der Politik bei Lazarus von Schwendi (1522-1583) (Historische
Studien, Heft 442), Husum, Matthiesen, 1995; su Wecker si veda ancora WILLEM F. DAEMS,
Hans Jacob Wecker (1528 Basel – Colmar 1586) und seine Antidotarien, in «Beiträge zur
Geschichte der Pharmazie. Beilage der Deutschen Apotheker Zeitung», XXXI, 1980, pp. 41-44.
500
Lettera di Wecker a Zwinger del 23 gennaio 1585, Basel, UB, ms. Frey-Gryn. II 4, n. 336:
«Quare, Clarissime vir, quamvis antea propter tua erga me officia infinita multam tibi adhuc
debeam gratiam, multumque tibi sim obstrictus, tamen propter veterem nostram amicitiam cogor
rursus te compellare, atque orare, ut hac in re tuam mihi operam praestare velis. Utrum praefatio
aliqua brevis ad Imperatorem sit conficienda: vel dedicatio saltem, una cum praefatione ad
lectorem sufficiat, quae omnino tuo iudicio relinquam. Argumentum aliud non statuam, nisi,
quod tibi commodum videbitur, modo dedicationis causa cum excusatione non omittatur [...]
praefatiuncula vel saltem salutatione ad lectorem addita aliqua, quae paucissimis verbis iam
dicta, cum aliqua authoris laude, comprehendat. Haec sunt Vir Clariss., quae abs te in mei
gratiam fieri velim. Quod si feceris, facies mihi non modo rem gratam, sed etiam me tibi, cui non
solum Fortuna, sed et vita mea est, multo pluribus nominibus in posterum devincies».
501
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 129.
- 164 -
Arbatel, ben altra cosa è però esserne l’autore. Lo spirito che caratterizza lo
scritto è, nella maggioranza dei casi, molto distante da quello che ispira
l’opera di Zwinger.
Sulla paternità dell’Arbatel continuiamo quindi a brancolare nel
buio. È un vero peccato che nella sua severa critica al volume Jean Jacques
Boissard (il quale riprenderà da Zwinger il titolo di Theatrum vitae
humanae per per una delle sue opere), all’epoca della pubblicazione a
Basilea, non abbia voluto dare un nome a quei «dotti e sedicenti timorati di
Dio […] che hanno dato il loro sostegno alle empie imposture contenute in
questo libro».502
A parte l’Arbatel e tutta la letteratura che si richiama ad esso, 503 il
concetto di magia divina ritorna in Bruno, Patrizi, Godelmann e
Campanella.504 Mentre però soprattutto nell’area tedesca il temine magia
divina viene quasi interamente soppiantato da quello, meno sospetto, di
teosophia, in Francia esso resta nell’uso senza riserve: «Magia (divina) è
chiamata dai Francesi» così leggiamo nell’Universal Lexikon dello Zendler
del 1740 «quella che va al di là delle capacità umane e proviene in tutto e
per tutto dall’ispirazione divina». 505 Lo stesso Diderot si vedeva obbligato a
parlare di magia divina nell’Encyclopédie, e sceglieva di farlo in temini
molto vicini alla definizione datane da Zwinger:
La magie divine n’est autre chose que cette connoissance particuliere des plans,
des vûes de la souveraine sagesse, que Dieu dans sa grace revele aux saints hommes
animés de son esprit, ce pouvoir surnaturel qu’il leur accorde de predire l’avenir, de faire
des miracles, et de lire, pour ainsi dire, dans le coeur de ceux à qui ils ont à faire. Il fut de
tels dons, nous devons le croire; si même la Philosophie ne s’en fait aucune idée juste,
502
JEAN-JACQUES BOISSARD, Tractatus posthumus de Divinatione et Magicis Praestigiis,
Oppenheim, Galler, [1615], p. 27: «Monstrosa sunt plane quae in hoc libro (Arbatel) continentur:
et mirum est inveniri hodie homines doctos, et qui pietatem sequi se profitentur, qui harum
nugarum, vel ut melius dicam, impietatis sectatores sint: quique se trahi et agitari patiantur a
Satana, qui tam caute se in Angelum lucis transformat, ut homines seducat et in perditionen
attrahat. Tam belle, tam artificiose suas imposturas tradit, ut videantur Dei summi mandato
contineri: easque non nisi piis, castis et religiosis hominibus committi. Quod si in ejusmodi
traditionibus non semper arti respondeat eventus, statim objicit Diabolus, Magum aliquo peccato
irretitum, et alienatum a spiritibus illis coelestibus, qui non nisi sanctificatis se communicant,
doctis, et intelligentibus secreta Naturae». Su Boissard cfr. Die Matrikel der Universität Basel,
hg. H.G. WACKERNAGEL, 2, 220; vd. anche J.J. BOISSARD, Theatrum vitae humanae, [Metz]
1596, pp. 102 sg.
503
Cfr., per esempio, H. KHUNRATH, Amphitheatrum sapientiae, [Hamburg, Lucius] 1595 und
Hanau, W. Antonius, 1609, passim; W. HILDEBRAND, Magia naturalis, Leipzig 1610, p. 1; J.D.
MYLIUS, Opus Medico-Chymicum Continens tres Tractatus sive Basilicas. Quorum prior
inscribitur Bassilica Medica. Secundis Basilica Chymica. Tertius Basilica philosophica,
Frankfurt, Jennis, 1618, f. kkk2v; IOACHIM FRIZIUS (=R. FLUDD), Summum bonum, o.O. 1529, p.
4; A. LUPPIUS (ed..), Clavicula Salomonis et Theosophia Pneumatica, Wesel, Duisburg und
Frankfurt, Luppius, 1686, passim. Sul primo si veda ora HEINRICH KHUNRATH, Amphitheatrum
sapientiae aeternae – Schauplatz der ewig allein wahren Weisheit, Hrsg. von CARLOS GILLY,
ANJA HALLACKER und HANNS-PETER NEUMANN ( Clavis Pansophiae, VI 1-2), 2 Bände,
Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 2006.
504
Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica (cit., cap. I, nota 18), p. 236; FRANCESCO
PATRIZI, Nova de universis philosophia, Ferrara, Mammarelli, 1591 (in appendice: Zoroastris
Oracula CCCXX ex Platonicis collecta), c. 5r-v; JOH. GEORG GODELMANN, Tractatus de magis,
veneficiis et lamiis, Frankfurt, Bassaeus, 1601, p. 18; TOMMASO CAMPANELLA, De sensu rerum
et magia, Frankfurt , Tampach, 1620, 262; R. GOCLENIUS, Lexicon philosophicum, Frankfurt ,
Musculus, 1613, p. 658 e JOH. EM. PFUEL, Titulus secundus de Magia, Berlin, Rungius, 1665,
pp. 12-21; entrambi citano Zwinger, ma riferiscono solo quanto già detto da altri.
505
J.H. ZEDLER (ed.), Großes vollständiges Universal-Lexicon aller Wissenschafften und Künste,
Leipzig-Halle, J.H. Zedler, 1732-1754, XIX, p. 299.
- 165 -
éclairée par la foi, elle les revere dans le silence. Mais en est–il encore? je ne sai, et je croi
qu’il est permis d’en douter. Il ne dépend pas de nous d’acquérir cette desirable magie; eile
ne vient ni du courant ni du voulant; c’est un don de Dieu.506
Per quanto riguarda invece la magia naturale Zwinger si trovava in
perfetto accordo con tutta la tradizione rinascimentale, da Ficino a Bacone.
La corrispondenza ficiniana tra macro e micro cosmo, l’interazione tra
anima del mondo e corpus aethereum, la tematica pitagorico-numerologica
dell’harmonia mundi, la dottrina architettonico-musicale dei suoni e
l’impostazione magico-astrologica (tutti argomenti che caratterizzano la
definizione di «spiritual magic» data da Walker)507, si ritrovano
puntualmente nel commento di Zwinger al De diaetis di Ippocrate.508 Del
resto l’atteggiamento positivo di Bacone nei confronti della magia («Magia
sibi proponit naturalem philosophiam a varietate speculationum ad
magnitudinem operum revocare»)509 corrisponde pienamente alla posizione
del naturalista basileese, che, come Bacone, dal vasto campo della
tradizione magica estrapola in particolare la concezione di «un sapere come
potenza e di una scienza che si fa ministra della natura per prolungarne
l’opera e portarla a compimento, e che giunge in fine a farsi padrona della
realtà e a piegarla, quasi per astuzia e attraverso una continua tortura, a
servizio dell’uomo».510 O, per dirla con le parole di Zwinger:
Hos stimulos, hosce carceres, Ars sola, certis iisque universalibus Theorematis
efformata, ex singularibus deducta exemplis complectitur: Naturae recte agentis imitatrix
et ministra, deficientis abundantisve correctrix atque domina. 511
Ma, come ho già detto, Zwinger aveva anticipato anche un altro elemento
nuovo, quello che Paolo Rossi ha riconosciuto come merito fondamentale
di Bacone e spartiacque che separa nettamente la filosofia baconiana dalla
magia e dalla scienza rinascimentali («Qui Bacone ha introdotto un
concetto di grande importanza che rimarrà al centro della sua opera di
riforma del sapere: nella scienza si possono raggiungere solidi ed effetivi
risultati solo mediante una successione di ricercatori e un lavoro di
collaborazione fra gli scienziati. I metodi e procedimenti delle arti
meccaniche, il loro carattere di progressività e intersoggettività forniscono
il modello per la nuova cultura»)512. Per Zwinger però non c’era stato
bisogno di prendere le distanze da una magia e da una scienza
«prebaconiane».
La prefazione zwingeriana al De secretis libri XVII di Johann Jacob
Wecker (1582), un testo che ricapitolava in un certo senso la magia del XVI
secolo, ripropone ancora una volta tutti i temi centrali della sua filosofia, su
cui già ci siamo soffermati: l’equiparazione tra lavoro intellettuale e lavoro
manuale, la necessità dell’esperienza diretta, la fiducia nel progresso umano
di fronte allo studio della natura, l’apetura verso la collaborazione
scientifica e la diffusione pubblica di tutti i risultati della ricerca, tutti
506
Encyclopédie, ed. Neuchâtel 1775, IX, p. 852.
D.P. WALKER, Spiritual and Demonic Magic (cit., nota 12), pp 3-35; cfr. Magia e scienza
nella civiltà umanistica. Testi a cura di CESARE VASOLI, Bologna 1976, p. 50.
508
HIPPOKRATES, cit., 398 sg., 402-411, 420-437.
509
The Works of Francis Bacon (cit., cap. IX, nota 45), I, p. 456.
510
ROSSI, Francesco Bacone (cit., cap. XI, nota 43), p. 32.
511
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, 115.
512
ROSSI, Francesco Bacone (cit., cap. XI, nota 43), p. 34.
507
- 166 -
presupposti necessari per un reale crescita e un effettivo rinnovamento delle
scienze:
Homini Deus mentemque manusque concessit, nimirum ut vel ingenio vel labore,
quilibet non sibi ipsi modo, sed quamplurimis aliis esset adiumento [...] Quicquid usquam
toto terrarum orbe comprehenditur, id ad corporis nostri primum, dein et ad animae nostrae
salutem conditum est, ut duplex etiam eorum sit finis, quae mens humana suis tum
sensibus accepta, tum intelligendi virtute conquisita complectitur: Alia namque sciuntur
solum ut contemplantis animum in admirationem divinae potentiae rapiant. Aliis vero
simul etiam competit usus ad humanae vitae commodum aliquod probe comparatus. In
utroque rerum genere singularem ad abstrusas naturae vires, occultasque virium causas
exquirendas humanae mentis perspicaciam et ad concessas naturae dotes arte superandas
miram intueri licet hominum industriam. Non hoc enim unius inventum est, quod
extollimus, sed plurimorum, qui studio ac labore, qui iudicio et ingenio, quas ab aliis
scientias et artes obtinuerint, diligenter excolunt, et inventis etiam non inutilibus
amplificant. Inexhaustus est naturae thesaurus, et delitescunt proculdubio plurima, quae
temporis successu sagacium hominum conatibus eruentur. Nimirum in hac rerum natura
duplex effectuum ratio percipitur, dum alia manifestis agunt qualitatibus, alia vero non
manifesta, sed occulta quadam proprietate suas exerunt vires, quo nullo mentis discursu,
sed ipsa duntaxat experientia nobis innotescunt. . . Ignorantiae vitium est, aut invidiae,
quasi forte nefas sit, evulgari, quae secreta sunt. Plurima nos equidem latent. Haec multis
natura tamen est, ut si quid habent, quod caeteris ignotum sit, secretum esse velint, et sibi
solis usui. Tanto magis eorum est laudanda fides et integritas, qui reconditissimas ingenii
sui dotes opere, verbis et scriptis exponunt, easque non suis modo coaetaneis, sed et non
defraudandae posteritati communicant. Cum itaque complures ex veteribus et recentioribus
ratione pariter et frequentibus experimentis occultas naturae vires explorarint, aut etiam
arte sua locupletaverint, hosque suos ingeniii et industriae fructus multis hinc inde dispersa
libris exhibuerint, res ipsa haec non indigna labore visa est, si quae a multis confuse tradita
essent, in unum congesta volumen brevi quadam et commoda methodo complecteremur. 513
Rossi aveva dunque pienamente ragione nel 1957 a scegliere per il suo libro
il sottotitolo Dalla magia alla scienza, e a volerlo mantenere anche
nell’edizione del 1974, nonostante le sue già menzionate riserve nei
confronti di quegli storici dell’ermetismo che avevano voluto vedere in
Bacone solo il moderno difensore di opere e ideali della filosofia ermetica.
Oggi tuttavia è bene sottolineare nuovamente la connessione tra la
tradizione magica e la cosiddetta rivoluzione scientifica della fine del XVII
secolo: alcuni storici della scienza cominciano infatti a prendere le distanze
dalla «general thesis concerning the influence of magic on science». È
innegabile che negli ultimi vent’anni gli studi ermetici siano diventati una
moda, fino a spingersi talvolta fino ad eccessi entusiastici che oltrepassano
largamente l’efficacia dimostrativa del materiale finora messo a
disposizione degli studiosi. Sulla base del rifiuto o meno dell’eliocentrismo
copernicano da parte di ermetici rappresentativi come Patrizi, Bruno,
Campanella, Fludd, uno studioso di Keplero come R.S. Westman prende
una posizione diametralmente opposta: «What significant physical and
mathematical insights Bruno and other alleged Hermeticists arrived at came
from their individual, creative intuitions, often under the influence of
doctrines first formulated in medieval natural philosophy, and in spite of
their adherence to Hermetic doctrines». 514 E dopo aver riconosciuto alla
513
JOHANN JAKOB WECKER, De Secretis libri XVII. Ex varijs Authoribus collecti, methodiceque
digesti, Basilea, Perna, 1582 (ed.cit. Basilea, Waldkirch, 1592, ff. ):( 2v-4r. Sull’attribuzione di
questa prefazione a Zwinger si veda sopra, nota 44.
514
R.S. WESTMAN, Magical Reform and Astronomical Reform: The Yates Thesis Reconsidered,
in Hermeticism and the Scientific Revolution, Los Angeles 1977, p. 72. Per le polemiche ulteriori
suscitate dalle tesi di Frances A. Yates vedi MARIA LUISA RIGHINI BONELLI & WILLIAM R. SHEA
(edd.), Reason, experiment, and mysticism in the scientific revolution, New York. Science
- 167 -
tradizione ermetica solo un «modest supporting role», limitato a sviluppare
una «physical imagination», lo studioso americano conclude molto
provocatoriamente: «What important contribution did Hermeticism make to
the Scientific Revolution?».
Non è qui certo il luogo per affrontare il problema della continuità o
discontinuità tra magia rinascimentale e nuova scienza.515 È chiaro che il
nuovo metodo ipotetico-matematico e deduttivo-sperimentale non può
essere ricondotto all’ermetismo, né, d’altra parte, all’aristotelismo. Se
Copernico avesse letto i testi platonici e il Corpus Hermeticum prima o
dopo aver formulato la sua teoria eliocentrica; se Galileo provenisse dagli
ambienti platonici o piuttosto da quelli del rinnovato aristotelismo
padovano; se Tycho Brahe, l’amico di Severinus, fosse o meno un seguace
di Paracelso; se Keplero abbia descritto una cosmologia platonico-ermetica
– in ogni caso non «more hermetico»; se a Praga Descartes fosse davvero
alla ricerca dei Rosacroce: tutto questo è del tutto irrilevante. Altro
problema è chiedersi se a quell’epoca si sarebbe potuto dare impulso al
moderno metodo scientifico senza l’effetto corrosivo di un secolo di critica
ermetica nei confronti dell’aristotelismo dominante su tutti i fronti, e senza
che lo studio diretto della natura – ‘magia’ non significa poi nient’altro che
questo – venisse messo in primo piano. La ricaduta epistemologica di
posizioni come quelle di Bacone o di Zwinger non può naturalmente essere
ridotta a semplice eredità del pensiero magico. Ma sarebbe altrettanto
inammissibile negare che entrambi i filosofi naturali fossero partecipi di
quella tradizione, e fossero anche ben coscienti di esserlo. Nel XVII secolo
il confine tra magia naturalis e scienza della natura era tracciato solo
parzialmente; ancora Diderot descriveva come conquista di una nuova
provincia ogni ambito scientifico strappato all’oscuro continente della
magia:
Par la magie naturelle, on entend l’étude un peu approfondie de la nature, les
admirables secrets qu’on y découvre; les avantages inestimables que cette étude a apportés
à l’humanité dans presque tous les arts et toutes les sciences: Physique, Astronomie,
Médecine, Navigation, Méchanique, je dirai même Eloquence [...] Mais nous reprenons
insensiblement le dessus, et l’on peut dire qu'aux yeux mêmes de la multitude, les bornes
de cette prétendue magie naturelle se rétrécissent tous les jours; parce qu’éclaires du
flambeau de la Philosophie, nous faisons tous les jours d’heureuses découvertes dans les
secrets de la nature, et que de bons systèmes soutenus par une multitude de belles
expériences annoncent à l’humanité de quoi elle peut être capable par elle-même et sans
History Publ., 1975; BRIAN VICKERS, Frances Yates and the Writing of History, Journal of
Medieval History 51 (1979) 287–316; IDEM, Analogy versus Identity. The Rejection of Occult
Symbolism, 1580-1680, in IDEM (ed.), Occult and Scientific Mentalities in the Renaissance,
Cambridge, Univ. Press, 1984, pp. 95–163; CHARLES WEBSTER, From Paracelsus to Newton.
Magic and the Making of Modern Science, New York 1982; NICHOLAS H. CLULEE, John Dee’s
Natural Philosophy. Between Science and Religion, London, New York , Routledge, 1988, pp. 118; BRIAN P. COPENHAVER, Hermes Trismegistus, Proclus, and the Question of a Philosophy of
Magic in the Renaissance, in INGRID MERKEL and ALLEN G. DEBUS (eds.), Hermeticism in the
Renaissance: Intellectual History and the Occult in Early Modern Europe, Washington, DC,
Folger Shakespeare Library, 1988, pp. 79-110; IDEM, Natural Magic, Hermetism, and Occultism
in Early Modern Science, in D. C. LINDBERG & R. S. WESTMAN, (eds), Reappraisals of the
Scientific Revolution, Cambridge, University Press, 1990, pp. 261-303; e finalmente PAOLA
ZAMBELLI, L’ambigua natura della magia. Filosofi, streghe, riti nel Rinascimento, Venezia,
Marsilio, 19962, in particolare il capitolo dedicato a «Il mito attuale dell’ermetismo e il dibatitito
storiografico», pp. 251-327.
515
P. ROSSI, Storia e filosofia, Torino, Einaudi, 19752, in particolare il capitolo dedicato ai
«Problemi nella storiografia della scienza», pp. 251-280.
- 168 -
magie. Ainsi la boussole, les théléscopes, les microscopes, etc. et de nos jours, les polypes,
l’électricité; dans la Chimie, dans la Méchanique et la Statique, les découvertes les plus
belles et les plus utiles, vont inmortaliser notre siècle; et si l’Europe retomboit jamais dans
la barbarie dont elle est enfin sortie, nous passerons chez des barbares successeurs pour
autant de magiciens.516
Vorrei chiudere questo capitolo con un breve richiamo alla Institutio
magica che l’autore della Fama Fraternitatis dei Rosacroce, Johannes
Valentin Andreae,517 allegò nel 1617 al suo Menippus sive Dialogorum
satyricorum centuria. Il motivo che mi spinge a farlo è duplice: innanzi
tutto perché in quest’opera Andreae, che non conosceva gli scritti di
Bacone, richiamandosi a Zwinger giunge a postulati molto simili a quelli
baconiani; in secondo luogo perché il passo ci offre ancora una volta e in
maniera molto vivace il quadro dell’intreccio tra magia e rinnovamento
delle scienze. È un vero peccato che Herder, autore di una traduzione di uno
dei dialoghi del Menippus, non abbia tradotto in tedesco l’Institutio magica
pro curiosis.518
La scena riproduce il dialogo tra un ‘curioso’ e un cristiano e si
svolge nello studio di quest’ultimo, sorpreso dal ‘curioso’ mentre è tutto
assorto nelle sue letture:
Curiosus:
Christianus:
Curiosus:
Christianus:
Quid ita solus Christiane?“
Ita soleo, sed qui solus sim, mecum ego sum, & hi
Consiliarii mei mecum.
Fortassis ego disturbavi tuos Consiliarios, meo adventu,
ad evanuerint?
Imo hic sunt, hic Seneca, Tacitus, Thuanus, Zwingerus,
Henningius, Mercator, vis ne plures tibi nominem? 519
Motivo della visita è il desiderio del curioso di conoscere quale sia il vero
atteggiamento del cristiano nei confronti della magia, poiché circola voce
che egli sia un mago.
Curiosus:
Christianus :
Curiosus:
Omnes in eo consentiunt te esse Magum.
Ambitiosum nomen est Magi. Tu vero fortassis
Nigromanticum intelligis
De distinctione mihi non constat .520
A questo punto Andreae comincia a presentare la sua magia, sottoponendo
la scienza tradizionale ad una critica senza esclusione di colpi, soprattutto
per aver sempre trascurato le arti matematiche e quelle meccaniche.
516
Encyclopédie, ed. Neuchâtel 1775, IX, pp. 852 sg.:
Sull’autore dei Manifesti dei Rosacroce e le diverse interpretazioni e teorie nella storiografia
recente sul fenomeno rinvio al saggio C. GILLY, Die Rosenkreuzer als europäisches Phänomen
im 17. Jahrhundert und die verschlungenen Pfade der Forschung, in C. GILLY & F. NIEWÖHNER
(hg.), Rosenkreuz als europäisches Phänomen im 17. Jahrhundert, (Pimander: Texts and Studies
published by the Bibliotheca Philosophica Hermetica, 7), Amsterdam 2002, pp. 19–56.
518
JOHANN GOTTFRIED VON HERDER, Zerstreute Blätter, Sammlung 5, Gotha, C.W. Ettinger,
1793, pp. 77-164.
519
[JOHANN VALENTIN ANDREAE], Menippus Sive Dialogorvm satyricorum centuria Inanitatum
nostrativm specvlvm. Cum quibusdam aliis liberioribus, Helicone juxta Parnassum [Strassburg,
eredi di L. Zetzner], 1617, (cito dalla prima edizione del 1617 e dalla seconda del 1618
Menippus [...], In Grammatticorum gratiam castigatum, p. 236 / 200).
520
Ivi, 238 / 203.
517
- 169 -
Christianus:
[...] saepissime ad Mechanicam etiam respice, in qua
crede mihi, infinita pulcherrima reperies, quae non
tantum delectare te poterunt, et sublimium cogitationum
admonere, sed studia tua etiam explicare, et aperire, ut in
iis deprehendas, quam nunquam observasses [...] Atqui
credibile est, si Mechanicam scientiam nostris literis
saepius iungeremus, quotidie talia, et utilissima, et
ingeniosissima prodirent.521
Andreae si serve delle continue interruzioni del curioso per sottolineare con
ancor maggiore insistenza le proprie posizioni:
Curiosus:
Christianus:
Curiosus :
Christianus:
Curiosus :
Christianus:
Curiosus:
Christianus:
Si te sequerer, literas abiicerem, et Mechanico alicui me
traderem, atque adeo Nautae.
Non inepte loqueris, sed inepte cogitas.
Agricolam me denique facies, aut metallicum?
Imo Philosophum, atque omnino huius Mundi Incolam,
non peregrinum
Aiunt tibi esse artem notoriam, qua exiguo tempore multa
apprehendere possis?
Nonne dixi tibi esse eam, laborem & Constantiam?
Igitur Magia tua nulla alia est?
Trinitatem testor, nullam aliam esse, quam multarum
artium studium, illudque assiduum. 522
La magia si risolveva dunque secondo Andreae nello studio di molte
scienze diverse, soprattutto matematiche e meccaniche - la polymathia
come si dice nella cerchia di Andreae523 - e solo gli ignoranti potevano
ricollegarla al diavolo. L’esercizio continuo di quest’arte rendeva il dotto
realmente tale, come dimostrato dall’esempio di Giulio Cesare Scaligero:
Curiosus:
Christianus:
Fortassis etiam Magus fuit.
Haec vetus vestra cantilena est: Quicquid ineptum,
indoctum, & vilissimum est, Deo adscribitis: si quid
ingeniosum, rarum, & admirandum, vestra sententia,
521
Ivi, 270-271 / 235-236.
Ivi, rispettivamente pp. 253/218, 271-272/237, 278/243, 279/244.
523
CHRISTOPHORUS BESOLD, Academicae Dissertationes [...] V. De antiqua philosophia; VI. De
complexu omnium disciplinarum, Tübingen, Joh. Alex. Cellius, 1621, p. 18; . JAN AMOS COMENIUS,
Prodromus Pansophiae, in Opera Didactica omnia, Amsterdam, C. Cunradus & G. Du Roy per
L. De Geer, 1657, I, col. 448: «Sapientissimus enim nostri aevi Jure-consultus Besoldus (sub
finem sui de disciplinarum omnium complexu discursus) scribit: Ausim definire Polymatheiam
compositam ex facultatibus superioribus, et sapientia quadam sublimiori, plurima ex Theologia,
multa ex Medicina, ex Jurisprudentia pauca, habere». Besold aveva però aggiunto: «Et ea
(polymatheia) demum est Philosophia Graecorum prisca». E nel secondo capitolo della
Confessio Fraternitatis R.C. si legge: «Est autem Philosophia nobis nulla, quam quae facultatum,
scientiarum, Artium caput, quae si nostrum expertemus seculum, Theologiae et Medicinae
plurimum, Jurisprudentiae minimum habeat: quae caelum atque terram exquisitiori anatomia
scrutetur, aut ut summatim dicamus, Unum hominem Microcosmum satis exprimat»; v. anche
JOHANN VALENTIN ANDREAE, Theca gladii spiritus, bearbeitet, ubersetzt und kommentiert von
Frank Böhling, (J.V. ANDREAE, Gesammelte Schriften, Bd. 5), Stuttgart-Bad Cannstatt 2003, p.
80, n. 177: ANDREAE, Theca, cit., n. 177: « Philosophia nobis nulla est, quam quae facultatum,
scientiarum, artium caput; quae si nostrum spectemus seculum, Theologiae plurimum et
Medicinae, jurisprudentiae minimum habet». Per l’interpretazione di questo passo della
Confessio, cfr. C. GILLY, Die Rosenkreuzer als europäisches Phänomen im 17. Jahrhundert und
die verschlungenen Pfade der Forschung (cit., nota 52), pp. 44-46; Fama Fraternitatis. Das
Urmanifest der Rosenkreuzer Bruderschaft zume ersten Mal nach den zeitgenössischen
Manuskripten bearbeitet von PLEUN VAN DER KOOIJ, mit einer Einführung über die Entstehung
der Manifeste der Rosenkreuzer von CARLOS GILLY, Haarlem, Rozekruis Pers, 1998, 17-29, 32.
522
- 170 -
Daemonis est. Et tamen Deus ita ingenia nostra
nobilitavit, ut si excolamus ea, atque a terrenis
abstrahamus, maxime mira, et quasi incredibilia praeclara
possimus: qualia velim aliquando vir eruditus ex
historico theatro in unum colligeret, et ineptis nostris
ostentaret, labor profecto egregius foret.524
Il desiderio qui espresso da Andreae di veder riunite in un unico corpus
tutte le conquiste scientifiche del suo tempo – un theatrum scientiarum
come aveva suggerito all’occasione il suo «consigliere» Zwinger –525
corrispondeva perfettamente all’ambizioso progetto che sottostava alla
Sylva silvarum e alle Historiae particulares di Francis Bacon: «La
compilazione di una grande enciclopedia della natura e dell’arte (o della
natura modificata dalla mano dell’uomo) che potesse fornire le
indispensabili basi alla nuova scienza». 526 Non deve dunque meravigliarci
che la prima eco dell’opera baconiana in Germania si abbia proprio nella
cerchia degli amici stretti di Andreae, e sia contenuta in un’opera «magica».
Così scriveva, nella sua prefazione alla princeps della Civitas solis, Tobias
Adami, amico intimo e di lunga data dell’Andreae, uno probabilmente di
coloro che, all’insaputa di Andreae, organizzarono a Kassel la prima stampa
della Fama dei Rosacroce:
Non sectam condimus, non haereseos placita stabilimus, sed Universalem et
semper veram Philosophiam ex antique Mundi exemplari transcribere satagimus, non
secundum imaginationes disputabiles et variabiles, sed duce sensu et secundum
attestationem Opificis irrefragabilem, cuius digitus in Operibus non dissidet a voce in
literis.
524
J. V. ANDREAE, Menippus, cit., 267/232Andreae ci ha lasciato una rappresentazione grafica di questo Theatrum ovvero Templum
delle scienze non nell’opera in cui ci aspetteremmo tale descrizione, ossia nella Reipublicae
Cristianopolitanae descriptio, Strassburg, Zetzner, 1619, ma piuttosto nel frontespizio e nel
apologo 22 «Florida» dei Mythologiae Christianae sive Virtutum et vitiorum vitae humanae
imaginum Libri tres, Strassburg, Zetzner, [1619], pp. 19 sg. Il frontespizio calcografico mostra il
portico di un magnifico Museo, «in dessen Inneren sämtliche Wissenschaten und Handlungen
des Menschen (Theologia, Mathematica, Physica, Grammatica, Politica, Historia, Mechanica,
Agricvltvra) so kunstvoll und präziss in Bildern dargestellt werden, das hier jeder Besucher mit
grossem Genuss und in sehr kurzer Zeit viel mehr lernen kann, als wenn er eine ganze Bibliothek
verschlingen würde». Nel testo dell’ apologo si spiegano gli emblemi delle scienze incisi sulle
colonne del portico.L’intera rappresentazione può essere letta come una anticipazione dell’Orbis
pictus di Comenio. [Apologus] 22: Florida: Est in Florida insula augustissimum templum, cujus
picturae intus ingeniosissime distributae, rerum humanarum scientias et actiones omnes
elegantissime referunt, et spectatores nulla molestia, voluptate vero infinita brevissimo tempore
felicius, quam omnia Academiarum volumina erudiunt. Eas, si vacet aliquando, aut non sit
ingratum, depingere lubet. Nunc porticum obiter describere visum est. Is utrimque dispositas
tabellas cum statuis affabre factis, et in superiora paulatim ascendentibus habet. In dextri lateris
imo Grammatica se sistit, habetque amicas duas Dialecticam et Rhetoricam: supra eam apparet
Physica, cui Medicina et Chymia sociatae sunt, postea Mathesis conspicitur cum Arithmetica et
Geometria suis familiaribus: denique in fastigio Theologia refulget, cui, ceu Reginae suae,
reliquae omnes ancillantur. Alterius lateris basis Agriculturam exhibet, cum Pastoritia et
Piscatoria; inde Mechanicam, cui Metallica et Nautica fidas manus porrigunt; mox etiam
Historiam, quam Chronologia et Geographia honorant; postremo Politiam, quae unam
Theologiam superiorem agnoscit, caeteras inferiores judicat. Supra portae arcum nomen Jesu
venerabile relucet, verum & bonum sibi vindicans, sibique devinciens: infra nomen tabella
oblonga, cum inscriptione: Quid si sic? ad tabularum bases, duo quadrati lapides, cum titulis,
uno: Suspiciendo despicio: altero: Despiciendo suspicio, in quorum medio caput vultus triplicis,
cum symbolis: disce, age, crede.
526
ROSSI, Francesco Bacone (cit., cap. XI, nota 43), p. 17.
525
- 171 -
Quod si ad finem deducetur sagacissimi Philosophi FRANCISCI BACONIS DE
VERULAMIO Angliae Cancellarii Instauratio Magna; opus suscipiendum, et
consideratione utique ut et auxilio dignissimum, apparebit fortassis ad metam nos tendere
unam, cum iisdem certe vestigiis Rerum per Sensum et Experientiam indagandarum
incidere profiteamur, quamvis non dubitem quin longe plura et malora per inductiones
diligentiores, quibus ille insistit, investigari, multaque emendari et elucidari rectius
possint.527
D’altra parte non dobbiamo meravigliarci del fatto che la New Atlantis di
Bacone rechi «undeniably influences from the Fama» e che le due opere
vengano messe in stretta connessione nella Holy Guide di John Heydon,
una rielaborazione della New Atlantis con interpolazioni rosacrociane. 528
Ma torniamo ora a Zwinger e al secondo «errore», oltre alla magia, di cui
Andreas Libavius accusa la filosofia del suo tempo: lo scetticismo.
527
TOMMASO CAMPANELLA, Realis Philosophiae epilogisticae Partes Quatuor, Hoc est De
rervm natvra, hominvm moribvs, politica, (cui Civitas solis iuncta est) et Oeconomica, Cum
Adnotationibus Physiologicis a Thobia Adami nunc primum editae, Frankfurt, Tampach, 1623, f.
3v. Cfr. ENRICO DE MAS, L’attesa del secolo aureo (1603-1625). Saggio di storia delle idee del
secolo XVII (Il pensiero politico Biblioteca, 8), Firenze, Olschki, 1982, pp. 164-169; C. GILLY,
Campanella fra i Rosacroce, in: Tommaso Campanella e l’attesa del secolo aureo. III giornata
Luigi Firpo 1 marzo 1996 [Fondazione Luigi Firpo, Centro di Studi sul Pensiero Politico 3],
Firenze, Olschki, 1998, pp. 107–155
528
. F.A. YATES, The Rosicrucian Enlightenment, London, Routldge & Kegan, 1972, pp. 126129; (trad. it.) L’illuminismo dei Rosa-Croce. Uno stile di pensiero nell’Europa del Seicento,
Torino, Einaudi, 1976, pp. 150-155.
- 172 -
XIII Incertezza della teoria e certezza dell’azione
«Quando studiavo a Padova» racconta Zwinger nella sua Physiologia
medica «il mio maestro Antonio Fracanzano spesso mi chiedeva: Johannes
(per lui infatti tutti i tedeschi si chiamavano Johannes) quand’è che ti dubiti
delle cose? Con questa domanda voleva che io gli chiedessi chiarimenti su
ciò che non mi era chiaro durante le sue lezioni. Non sapevo in realtà di che
cosa avrei dovuto dubitare io, che nella mia inesperienza avevo preso a
frequentare le lezioni di medicina pratica senza avere ancora la più pallida
idea della teoria: non capivo nulla di quanto ascoltavo, e dunque non potevo
nemmeno avere dubbi».529
Secondo Zwinger, dunque, se comprendere qualcosa significa
accantonare in parte i dubbi, significa però anche d’altra parte aumentarli,
aumentando con essi l’incertezza: non un’incertezza qualunque, ma la
«docta et philosophica ignorantia» che ci fa prendere coscienza del fatto di
sapere poco o niente e di percepire solo le ombre delle cose, come nel caso
di Socrate, che si dichiarava certo di una sola cosa, e cioè di non sapere
nulla.530
Queste poche righe rispecchiano il percorso di Zwinger nella
direzione di un sempre maggiore scetticismo. Nelle prime opere egli
circoscrive le sue riserve quasi esclusivamente all’ambito teologico,
certamente influenzato in tal senso da Sebastiano Castellione. Nel
Theatrum del 1565 alla voce «Iudicii suspensio ἐποχή» egli porta l’esempio
di Evagro che, obbligato ad ascoltare una lunga orazione su Dio e la Trinità,
commentò: «Divinitatem nequaquam definiendam esse; [...] quod ineffabile
est, silentii tantum oratione esse adorandum». 531 Altrove, nel definire il
credo religioso, Zwinger parla di «persuasio» e non di «notitia certa» come
prescritto dalla tradizione teologica.532 Nella stessa edizione del Theatrum
egli non manca di rimandare al mito platonico della caverna, 533 e non si
limita a descrivere l’ἐποχή pirroniana – il dubbio su tutto – ma parla anche
una forma di ἐποχή moderata: «Iudicii suspensio prudens. De incertis
iudicare nolle, sive in iudicio sive extra iudicium». 534 Questa ἐποχή
moderata ritorna sempre più spesso nelle opere e nella corrispondenza degli
anni ’70, tanto da divenire un termine in voga anche nella cerchia dei suoi
529
ZWINGER, Physiologia medica (cit., cap. VII, nota 25), pp. 150 sg.
Ivi, p. 151.
531
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 36.
532
Vedi nota OOO
533
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 27.
534
Ivi, 275: «ἘποχήνAcademici in disputationibus philosophicis inhibendam esse censebant,
quandoquidem in utranque partem probabiliter de quauis re fere disseri posset. Sunt etiam talia
quaedam in uita practica usque adeo ambigua et incerta, ut in quamcumque partem te uerteris,
aliquid quod assensionem iudiciumque tuum impediat, reperire liceat. In quibus ἐποχήν retinere,
iudiciumque suspendere prudentis, libere assentiri, stulti hominis est, et temerarii». Sul
significato del concetto di ἐποχή cfr. JEAN-PAUL DUMONt, Le Scepticisme et le Phénomène.
Essay sur la signification et les origines du pyrrhonisme (Bibliothèque d’Histoire de la
Philosophie), Paris, J. Vrin, 1972, pp. 143 sgg.
530
- 173 -
amici. Nel raccontare all’amico Petrus Monavius del progetto di Leonhard
Thurneisser di pubblicare uno scritto di uromanzia, Zwinger dichiara di
sospendere nel frattempo il proprio giudizio, ma che non si sarebbe
vergognato, se fosse stato necessario, di imparare persino dalle vecchie
donne: «Interea ἐποχῄ vtamur, et cum Tralliano, si res ita ferat, vel a vetulis
nos discere non pudeat ».535 Monavius gli risponde allora di essere
perfettamente dello stesso avviso riguardo a questa pretesa arte («περὶ
οὐρομαντικῆς tecum ἐπέχω»536). Così, dopo aver ricevuto uno scritto di
Monavius sul significato delle comete, Zwinger si congratula con l’antico
allievo per l’atteggiamento scettico mantenuto di fronte alla grande
controversia sulle comete, atteggiamento che egli vorrebbe vedere esteso
anche a molti altri campi del sapere:
De cometis iudicium tuum magnifacio. Etsi in hoc genere, ut in compluribus aliis,
non magis Platonica, quam Christiana ἐποχή mihi probatur, in Academia caelesti aliquando
explicanda.537
E il 4 luglio 1580 Zwinger scrive a Camerarius:
Turneißerus cum redierit, specimen ὰρχυχείας suae exhibebit; idque adeo sponte
se facturum recepit. Habet interim uerisimilia quaedam, quibus ego nec adhibeo nec
derogo fidem. Non magis Academica quam Medica, hic Hippocratea ἐποχῄ cum apud
Empiricos εὐσχήμονος ἱστορίης σύνεσιν sed διεσπαρμένην latitare. Senex noster proferatur
et res ipsa doceat. Ingenio alioqui magno esse mihi persuadeo, et si literarum cultus
accessisset, maximo. Ita scilicet ἐάων δοτῆρες sua distribuunt munera. Non ego alioqui de
quoquam quicquam pronunciare temere uelim, ἡ δέ κρίσις χαλεπή αίπερ ἀνυπεύφυνος.
Neque ego quenquam iudico, qui meipsum iudicare nescio. Spem nuper fecisti Antimonii
Crystallini; si quid explorati, communica. Ego uicissim olei crystalli, nisi illud iam habes.
Genialibus tuis gaudiis ex animo congratulor, ὁμοφρούνην τε καὶ εὐτυχίην opto. De
Amuletis nihil explorati habeo: neque in tam controversis ueterum et recentiorum
opinionibus quid aut quem sequar uideo. τῷ ὄτι dubio τοῦ διότι. Non puto rationem
magnam esse habendam [...].538
535
Lettera del 20. 11. 1578, L. SCHOLZIUS, Epistolarvm Philosophicarvm, Medicinalivm, ac
Chymicarvm, edd. 1598/1610 (cit., cap. VI, nota 16), col. 471.
536
Lettera del 19. 2. 1579 (Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II 28, n. 218).
537
Lettera del 10. 7. 1579, L. SCHOLZIUS, Epistolarvm Philosophicarvm, Medicinalivm, ac
Chymicarvm, edd. 1598/1610 (cit., cap. VI, nota 16), col. 476.
538
Lettera del 4. 7. 1580 (Erlangen, Universitätsbibliothek,Briefsammlung Trew, s.v. ‚Zwinger,
Theodor’, no. 33-34); vedi anche W. KÜHLMANN-J. TELLE, Corpus Paracelsisticum, Bd. II. Der
Frühparacelsismus. 2. Teil (cit., cap. 3, nota 3), p. 760. Non ostante l’ammirazione per l’opera di
Zwinger da parte di grandi scettici come Montaigne (Journal du voyage, cit. p. 29) e Bayle
(Projet et fragments d’un Dictionnaire critique, Rotterdam, R. Leers, 1692, pp. *4r-v), gli storici
dello scetticismo persistono nell’ignorare persino il nome del naturalista basileese, cfr. RICHARD
H. POPKIN, The History of Scepticism. From Savonarola to Bayle. Revised and expanded edition,
Oxford, University Press, 2003. Per quanto riguarda ai «facts» o fatti singoli, BARBARA J.
SHAPIRO, A Culture of Fact: England, 1550-1720 (cit., cap. X. nota 32), argomenta che il
«modern fact» ebbe «a rather late arrival in natural philosophy, having become a wellestablished concept elsewhere before it was adopted by the community of naturalists». Il «fact»,
secondo lei, sarebbe scaturito non nelle scienze, ma dai casi singoli nella prattica legale.
Zwinger, al contrario, lo fecce derivare proprio dal termine ippocratico di ἱστορία (singolo caso
clinico), identificando posteriormente il concetto di fatto con il concetto della storia stessa..
- 174 -
Poiché questa lettera ci permette di gettare uno sguardo anche sul sempre
crescente scetticismo del naturalista basileese ed è fondamentale per
intendere le posizioni di Zwinger, ne riproduciamo il testo anche in italiano:
La prossima volta che verrà [a Basilea], Thurneisser mi mostrerà un esemplare
della sua Magna Alchymia (pubblicata nel 1583), e ciò per suo volere. Dispone nel
frattempo di preparati che promettono grandi successi, ai quali non mi sento né di prestar
fede, né di non farlo. Preferisco astenermi dal giudizio, senza ricorrere in questo caso al
dubbio platonico più che a quello medico, in questo caso ippocratico, poiché so – come
scrisse Ippocrate nelle Praeceptiones – che il giudizio certo sul singolo fatto (Historia) è a
disposizione dei soli empirici. Egli deve solo pubblicarla [la Magna Alchimia] e la cosa si
spiegherà da sé. Ritengo che egli sia un grande intelletto, e se solo avesse coltivato le
lettere, sarebbe uno dei migliori. È così che coloro che dispensano la fortuna,
distribuiscono i loro doni. Inoltre io non desidero gettar lì, senza ragione, giudizi sull’uno o
sull’altro, poiché la decisione è difficile e sarebbe comunque irresponsabile. Come posso
io giudicare qualcuno, se non sono in grado di giudicare me stesso?
Lo scetticismo zwingeriano non significa in alcun modo
indifferenza di fronte allo scottante problema delle comete: lo stesso
Zwinger pochi anni prima aveva perfezionato stilisticamente il Iudicium de
nova stella di Postel del 1573 e ne aveva curata la pubblicazione presso
Perna;539 due anni dopo, inoltre, egli aveva liberamente esposto le sue
opinioni sull’astrologia in una lettera a Georg Henisch, bibliotecario di
Augusta e autore di calendari. Stando a quanto ci è possibile ricostruire
dalla risposta di Henisch, il cielo era secondo Zwinger un libro scritto dalla
mano di Dio che mostra cause ed effetti del male che minaccia l’umanità.
Cause sono le attitudini malvage di ciascuno di noi, che nessuno riesce a
superare del tutto. Effetti sono invece le punizioni dei cattivi costumi e
delle vite smodate cui tali attitudini conducono, in modo tale che ognuno è
artefice del proprio destino («ut ita faber suae sit quilibet fortunae»)540.
539
Vedi sopra, cap. XII, nota 42. Dopo 20 anni Egenolph von Berckheim chiese nuovamente a
Jacob Zwinger che fine avesse fatto lo scritto «uscito dalla penna» del padre «Judicium quod
scripsit (Zwinger) de stella, quae integrum annum luxit septuagesimo secundo, statim post
lanienam parisiensem. Et stellam appellavit stellam iustitiae, quae apparuit sapientioribus in
Occidente, uti eam stellam, quae apparuit Magis in Oriente stellam Misericordiae». Lettera del
22. 8. 1594, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II 8, n. 110. Berckheim accenna qui
al Iudicium di Postel corretto da Zwinger come se si trattasse di uno scritto di quest'ultimo, si
veda ora CARLOS GILLY, Las novas de 1572 y 1604 en los manifiestos rosacruces y en la
literatura teosófica y escatológica alemana anterior a la Guerra de los Treinta Años, in MIGUEL
A. GRANADA (ed..), Novas y cometas entre 1572 y 1618. Revolución cosmológica y renovación
política y religiosa, Barcelona, Edicions de la Universitat de Barcelona, 2012, pp. 275-331 (297298). Zwinger, in realtà, si era accontentato di un accenno molto più breve nella pag. 1384 del
Theatrum di 1586: «Nato Christo Bethlehemae, MAGOS Ethnicorum primitias in Iudeam Stella
in Oriente visa euocauit. Fortassis etiam insolens stella in sidere Cassiopeae cum tribus aliis
Crucis effigiem repraesentans an. Sal. 1572 mense Nouemb. post cruentas illas Gallorum Eoas
per menses aliquos constanter visa, vt Christi inter Gentes iam olim conuersas per Euangelii
annunciationem renascentis coetum, sic et Herodis politicam et Cayphae ecclesiasticam
tyrannidem praecedere , et Iudaeorum simul, et Israelitarum (qui Turcae sunt atque Tartari, ex
Haytono) populus ad puerum Bethlehemae (domus nempe coelestis panis Ecclesia est)
adorandum vocare videtur, vt fiat tandem vnus pastor et vnum ouile».
540
Lettera di Henisch a Zwinger del 1. 9. 1575, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II
5a, n. 51. Un anno prima Henisch aveva tradotto dal greco per Perna uno dei baluardi della più
severa critica antiaristotelica nell’ambito della tradizione platonica, GEORGIUS GEMISTUS
- 175 -
Come più tardi farà Andreas Dudith nel suo pionieristico Commentariulus
de Cometis, Zwinger riconosce agli astri e ai fenomeni celesti solo il
significato di segni capaci di ammonire l’umanità contro il peccato. In tal
modo viene recisamente esclusa ogni ipotesi di predestinazione dell’uomo
da parte dei corpi astrali. Il colpo di grazia inferto da Dudith all’astrologia
nel De cometarum significatione commentariolus non può che tornare
gradito a Zwinger, che ne parla infatti entusiasticamente nell’ultima
edizione del Theatrum:
Nostro vero seculo invalescentibus rursus Astrologis, servata suppositione
Peripateticorum, nihil a Cometis per se, sed per accidens tantum portendi, neque ab illis
quid aliud, praeter siccitates et ventos, etsi non semper, non peculiari astrorum vi, sed
propter materiae totius absumtionem, vel residuae agitationem, effici, et illud ipsum non
Astrologice sed Physice, non singillatim sed universim tantum significare, nobilissimus et
clarissimus vir, Andreas Duditius, Thomae Erasti summi medici et philosophi vestigia
secutus, luculenta ad Iohannem Cratonem Caesareum Archiatrum epistola ostendit. 541
Nell’ultimo dei suoi scritti, la Physiologia medica, pubblicata postuma,
Zwinger nega radicalmente l’esistenza di un simile destino: non esiste
nessun destino («fortuna»), e in realtà ciò che consideriamo tale non è che
un parto dell’intelletto umano, da ricondurre all’affettata ignoranza dei
sofisti delle cause e degli effetti. Questi ultimi sembrano infatti propensi a
credere piuttosto che la natura erri e venga mossa dal caso, che non a
riconoscere il proprio errore, ammettere cioè di non sapere qualcosa - «qui
Naturam potius rerum errare et incertu motu ferri asserere audent, quam se
errare, hoc est, aliquid ignorare, fateri velint». 542 Questa sorta di docta
ignorantia diviene la pietra fondante delle opere zwingeriane della maturità.
Egli giunge a negare che l’uomo nell’arco della propria vita possa
raggiungere la conoscenza perfetta, che è attingibile, al contrario, solo
nell’ambito dell’accademia celeste:
Quod si ergo perfecti quicquam in rebus humanis nec Deus ipse, nec Natura Dei
ministra patitur: de Idaeis profecto rerum argute disputantes summos philosophos, ubi ad
rem ventum est, nihil tale demonstrare posse, sed cognitionem hanc soli Academiae
PLETHO, Platonicae et Aristotelicae Philosophiae comparatio, Basileae 1574. La lunga
prefazione programmatica firmata da Henisch sotto lo pseudonimo di Georgius Chariander, è
molto affine alle posizioni di Perna e Zwinger. Il testo di Henisch e la prefazione vennero più
tardi incluse da Migne nella Patrologia Graeca.
541
Theatrum ed. 1586, 1273. Per la lettera di Dudith a Crato, edita da Perna nel 1579 e nel 1580,
si veda ora l’edizione critica in ANDREAS DUDITHIUS, Epistolae, pars VI: 1577-1580, ed. N.
SZYMANSKI, comm. L. SZCZUCKI et N. SZYMANSKI, Budapest 2002, pp. 108-133. Sul ruolo
centrale dell’antiaristotelico Dudith nel dibattito sulle comete, considerato come «uno dei
tentativi più importanti che la cultura Europea del Cinquecento abbia fatto per sciogliere il nodo
secolare che stringeva in un groviglio inestricabile religione e superstizione, politica e credulità,
formalismo scolastico e scienze della natura», vedi A. ROTONDÒ, L’uso non dommatico della
ragione. Agostino Doni, in Studi e ricerche (cit., Proleg. nota 14), pp. 393-470:467-470. M.
WEICHENHAN, Die Supernova des Jahres 1572 und die Überwindung der aristotelischen
Kosmologie (cit., cap. XII, nota 42, pp. 396-402) - non menziona neppure Dudith conferendo al
violento aristotelico Erastus (pp. 396-402) un ruolo da protagonista del tutto immeritato.
542
ZWINGER, Physiologia medica (cit., cap. VII, nota 25), p. 22.
- 176 -
coelesti divinitus reservari, possessionem vero ibidem obtineri, rationi simul et pietati
consentaneum est.543
Non si tratta in questo caso di semplice platonismo: troviamo queste
affermazioni nel commento di Zwinger a Ippocrate, in termini molto simili
a quelli di Galileo: «Il tentare l’essenza l’ho per impresa non meno
impossibile e per fatica non meno vana nelle prossime sostanze elementari
che nelle remotissime e celesti». 544 Galileo prende qui la parola contro
quelli che pretendono di raggiungere la conoscenza perfetta per sola via
speculativa («specolando»); ma quello è un tipo di conoscenza, aggiunge
Galileo, «che ci vien riservata da intendersi nello stato di beatitudine e non
prima».545
Tuttavia, se rinunciando all’indagine sull’essenza delle cose Galileo
giunse a descrivere con esattezza i fenomeni e i loro comportamenti
costanti fondando il concetto moderno di legge naturale – senza fare mai
uso, va notato, del termine546 - Zwinger restò, con Ippocrate, legato
all’antica contrapposizione tra legge e natura: «Homines νόμον sive legem
sibi ipsis posuerunt, et conceptus formarunt de rebus, quarum naturam et
essentiam ignorant».547 ‘Legge’ rappresenta per Zwinger il tentativo umano
di imitare con la propria arte le opere della natura. Ma si tratta comunque di
tentativi e leggi che si discostano dal comportamento costante della natura,
poiché non sono «nec vera semper nec falsa», ma «nunc cum natura
consentiens, nunc ab ea dissentiens». 548
«Quaenam tantae causa uecordiae?», si chiede allora Zwinger a
proposito di tale discrepanza, lasciando però che sia Ippocrate a ripondergli:
questa è stata la volontá degli dei, quando hanno permesso agli uomini di
imitare le idee delle opere di natura con simulacri delle arti, in cui si
esaurisce la loro scienza, non permettendo loro però di conoscere gli
archetipi:
Deorum mens (διὸϚ μεγάλου δία βουλάς) qui hominibus concessere, ut ideas
naturae operum simulacris artium imitarentur, eaque simulacra cognoscerent: sed ideas
ipsas cognoscere non concessere.549
Se dal carattere imitativo e contingente della pratica e delle arti meccaniche
la filosofia aristotelica tradizionale aveva concluso che né l’una né le altre
potevano appartenere all’ambito della vera scienza – cioè, la scienza
543
ZWINGER, Hippocratis Coi viginti dvo commentarii Tabulis illustrati (cit., cap. VIII, nota 31),
f. β 5r.
544
A. FAVARO (ed.), Le Opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale, Firenze 1890-1909, V, p.
187; cfr. Enciclopedia Filosofica Sansoni, Firenze 1967, V, p. 1154.
545
Ibid.
546
EDGAR ZILSEL, Die sozialen Ursprünge der neuzeitlichen Wissenschaft, Frankfurt, Suhrkamp,
1976, pp. 81 sgg. IDEM, The Social Origins of Modern Science, eds. D. RAVEN, W. KROHN, R.S.
COHEN (Boston Studies in the Philosophy of Science, 200), Dordrecht, Kluwer, 2000; IDEM, The
Genesis of the Concept of Physical Law, in «Philosophical Review», lI, 1942, pp. 245-279.
547
ZWINGER, Hippocratis Coi viginti dvo commentarii Tabulis illustrati (cit., cap. VIII, nota 31),
f. 415. Sulla nascita del concetto di legge nelle scienze si veda JANE E. RUBY, The Origins of
Scientific “Law”, in «Journal of History of Ideas», XLVII, 1986, pp. 341-359.
548
Ibid.
549
Ibid.
- 177 -
contemplativa, che ha per oggetto solo le res aeternae et necessariae
(Zabarella) – Zwinger giunge invece a conclusioni opposte, che lo portano a
riconoscere una supremazia della pratica sulla contemplazione:
Praxim theoriae non per se, sed et huic vitae mortali magis convenientem,
praeferre multoque maiori studio complecti debemus. Recte enim Phythagoras
Philosophiam sapientis Dei imitationem esse definivit, contemplando simul et agendo. 550
Zwinger criticava aspramente coloro che, con Adamo, preferivano nutrirsi
dall’albero della conoscenza invece di coltivare con le proprie mani il
giardino dell’Eden:
Haec Praxis est: quam cum illi otiosae speculationis lenocinio illecti neglexissent,
et cum Adamo Investigando et Contemplando potius quam Excolendo et Agendo Deum
imitari voluissent, turpissime simul et periculosissime impegerunt.551
Le due attività caratteristiche dell’uomo, pensiero e azione, teoria ed
esperienza, sono per Zwinger complementari l’una all’altra e per questo
assolutamente inscindibili: l’una e l’altra sono le ali di cui l’uomo dispone
per innalzarsi e portare a termine il suo più alto mandato, come si legge
nella prefazione al Theatrum del 1565 e del 1586. La vita umana non è
infatti altro che energia tesa ad evitare l’ozio e a produrre effetti, ciò che a
sua volta è la miglior dimostrazione del fatto che si tratti di vera vita.552 Se
manca una delle due ali, è impossibile all’uomo raggiungere il suo fine:
Doctrina sine actione manca est, Actio sine Doctrina temeraria et periculosa.
Mutuas ergo requirunt operas, sed ut Doctrinae quo ad Veritatem, Actioni quo ad
Utilitatem primae partes tribuantur. 553
Chi desideri dunque davvero essere ammesso nella cittadella della virtù e
del sapere deve solo seguire l’esempio dei «prisci philosophi», che
sapevano unire seria riflessione teoretica e assiduo lavoro esterno:
Non immerito priscos illos in his plurium insudasse, easdemque ab omnibus iis,
qui ad virtutis et eruditionis arcem penetrare student, nocturna diurnaque manu versandas,
hoc est, et cogitatione seria complectendas, et opere assiduo veluti animandas esse. 554
L’insistenza sulla prassi e la rivalutazione del fatto empirico procedono in
Zwinger parallelamente ad una crescente avversione contro le dispute
teoretico-speculative, che va ben oltre l’ambito dell’etica, della politica o
della religione, tutte scienze pratiche, cioè scienze il cui scopo non è tanto
di conoscere i principi, ma piuttosto quello di agire seguendo quei principi
stessi.555 Nello Zwinger più maturo il discorso vale anche per tutte le altre
scienze, come ad esempio la filosofia naturale, in cui i fenomeni naturali e i
550
ZWINGER, Morum philosophia poetica (cit., cap. XI, nota 44), p. 31.
Ibid.
552
ARISTOTELIS De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: Tabvlis perpetuis (cit., cap. VIII, nota
15), p. 13.
553
Morum philosophia poetica (cit., cap. XI, nota 44), p. 45.
554
Ivi, pp. 33 sg.
555
ARISTOTELIS Ethicorum Nicomachiorum [...] argumentis atque Scholiis (cit., cap. IX, nota
20), f. β 4r: «Monet passim Aristoteles τὸ ὄτι καὶ τὸ διότι principia esse cognitionis: et in hoc
genere philosophiae (i.e. Ethicae) si τὸ ὄτι habeamus, de altero illo, τῷ διότι, non admodum
sollicitos esse debere».
551
- 178 -
loro effettivi comportamenti (τὸ ὄτι) vengono osservati e accertati per mezzo
dell’esperienza; le cause ultime delle cose – il motivo cioè per cui esse sono
così come sono (τὸ διότι) – restano celate in Dio e verrano comprese
dall’uomo solo nell’ambito dell’accademia celeste.556
Da qui deriva il grande peso che Zwinger attribuisce alla pratica e
all’esperienza nell’ultima fase della sua opera. Una pratica e un’esperienza
intese però non più nel senso di Aristotele, ma nel significato di Ippocrate, e
cioè intese come χειροτριβίη, lo sperimentare diretto, con le proprie mani.
L’esperienza può però essere trasmessa anche per mezzo di esempi viventi:
per questo Zwinger consiglia al lettore della Methodus academica di fare
uso – accanto a γνῶσις e πρᾶζις aristoteliche, entrambe legate ad
osservazioni generali – anche della «particularium ἐγχείρησις», cioè dell’
operazione immediata sul caso concreto «uti vivis exemplis praecepta
contemplationis et actionis illustrarentur».557 Nel corso della trattazione di
questo «manuale per viaggiatori» che proponeva una serie di consigli per
chi si trovava in terra straniera, Zwinger invita ad osservare con attenzione,
e di persona, tutte le cose fuori dal comune, per poterle poi presentare in
maniera metodica. Sceglie un buon esempio presentando fin nei minimi
particolari le quattro città che egli meglio conosce – Basilea, Parigi, Padova
e l’antica Atene. Sono dettagli topografici, politici, sociologici, culturali e
religiosi, con cui egli riesce a metter in pratica il progetto del suo vecchio
amico Hugo Blotius, e cioè quello di descrivere, una volta tanto, non un
repubblica ideale o utopistica alla maniera di Platone o Moro, ma una città
«viva», esistente nella realtà:
Non enim statuo cum Platone aut Thoma Moro ideam reipublicae qualem nemo
unquam digito monstrare potuit, vel Eutopiam quae nusquam extat excogitare aut
somniare, sed vivas rerumpublicarum formas sub aspectu et tanquam sub tactu producere.
Illasque omnes ad illius Reipublicae cuius Deus me partem aut civem fecerit, utilitatem, commodum
558
et ornamentum convertere.
556
Morum philosophia poetica, (cit., cap. XI, nota 44), p. 32 sg.: «Caeterum ut Theoria
summorum naturae arcanorum ἐν τῷ ὄτι potius, quam ἐν τῷ διότι acquiescere cogjtur (nam quod
aquae globus magna ex parte terram ambiat, et sensu et rationi deprehendimus: τὸ διότι vero, a
potentia, sapientia et benevolentia ineffabili primi conditoris mutuatum, per Reuelationem solam
habere possumus) [...] ii uero soli, qui pii sunt, ideam quoque ipsam aliquando in eo Intellectu,
qui primus et purus simplex est, quemque Hebraei Faciem facierum non male uidentur
appellasse, in coelesti Academia tanquam in speculo contemplabuntur».
557
ZWINGER, Methodvs Apodemica (cit., cap. IV, nota 13), f. β 2r. Sulla rivendicazione del
primato incontestato della mano, «organo de gli organi», nei dialoghi di Giordano Bruno, si veda
sopra, cap. IV, nota 22.
558
Lettera di Blotius a Zwinger del 3 dicembre 1569, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. FreyGryn II 08, n. 160. Si veda anche ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di
Basilea (cfr. proleg., nota 14), pp. 288 sg.; C. GILLY, Veras Rerumpublicarum formas. Theodor
Zwingers Beschreibung Basels von 1577, in «Uni Nova – Basel», Nr. 32 (1983), p. 7; IDEM,
Spanien und der Basler Buchdruck bis 1600 (cit., cap. 14, nota 28), pp. 425; cfr. Methodus
apodemica (cit., cap. IV, nota 13), f. β 1v: «Eius primam cogitationem cum mihi ante decennium
clarissimus vir Hugo Blotius I.C. bibliothecae Augustae praefectus iniecisset [...] cum certatim a
studiosis eam (Methodum apodemicam) expeti viderem […] specimen vivum exhiberem». La
Methodus apodemica, concepita da Hugo Blotius per incarico del mercante e politico spagnolo
Marcos Pérez e portata a termine da Zwinger offre una descrizione topografica, minuziosa e
- 179 -
Un atteggiamento simile si ritrova nella presentazione di strumenti di
lavoro e piante della Methodus rustica, o nella descrizione delle foglie del
suo Herbarium, rimasto inedito.559 La sua presentazione minuziosa dell’arte
della stampa – esercitata di persona presso i fratelli Beringer a Lione –
meriterebbe di figurare nell’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert accanto
al Typographeum vivum di Comenius.560 Nel presentare la professione e gli
strumenti del tipografo il fine di Zwinger non era infatti diverso da quello
che aveva in mente Diderot quando aveva incoraggiato il responsabile della
stamperia parigina Le Bretons a scrivere la voce Imprimerie: l’esatta
descrizione dell’arte, come se si trattasse di un altro capitolo dell’Historia
naturalis.
Sarà poi Bacone a superare per primo la contrapposizione tra natura
e arte: «Quando Bacone considera la historia artium come una sezione
della storia naturale» scrive Rossi «e polemizza nei confronti della
contrapposizione arte-natura, egli rompe, decisamente e consapevolmente,
con una tradizione secolare». 561 Ciò che Bacone riesce ad ottenere così sul
piano teroretico («Quia inveteravit prorsus opinio, ac si aliud quippiam
esset ars a natura, artificialia a naturalibus»)562 era già stato preparato, sul
piano pratico, da Zwinger, pur legato ancora alla contrapposizione
ippocratica tra φύσις e νόμος.
Se lo Zwinger filosofo non riuscì dunque a superare questa
contrapposizione, lo Zwinger pedagogo riuscì però a introdurre tra natura e
quasi inventaristica della vita economica, culturale e religiosa delle quatro città care al naturalista
basileese. Considero del tutto fuorviante il tentativo recente di ridurre questo libro ad una
sequenza di diagrammi binari (del tutto inesistenti) o ricondurlo all’influsso (qui anche questo
inesistente) di qualsiasi altro principio di metodo, topologia o disposizione ramista: «Zwinger's
anti-rhetorical statements, combined with his obsession with roughly dichotomous diagrams and the
methodical disposition of topics (e.g. Methodus apodemica), can probably be attributed to his
admiration for Ramist principles of disposition», cfr. ANN BLAIR, Historia in Theodor Zwinger's
Theatrum Humanae Vitae (cit., cap. 9, nota 57), p. OOO. Sulla Methodus Apodemica si veda ora
JUSTIN STAGL., A History of Curiosity. The Theory of Travel 1550-1800, Chur, Harwood, 1995
(Eine Geschichte der Neugier. Die Kunst des Reisens 1550-1580, Wien, Böhlau, 2002). Anche in
questo caso le tavole di Zwinger vengono tuttavia definite come le più «conspicuous» prodotte
dal ramismo, cfr. p. 69 sg. MOLINO, FELICI, JUDY A. HAYDEN Travel Narratives, the New
Science, and Literary Discourse, 1569-1750, Ashgate Publishing, Ltd., 2012, passim.
559
Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.I 12, n. 373. Si tratta di un piccolo fascicolo in
8° (24 pp.) in cui Zwinger elenca alfabeticamente e descrive la sua collezione di foglie.
Sull’interesse di Gessner per questo piccolo catalogo cfr. Conradi Gesneri Epistolae
medicinales, Zürich 1577, p. 113.
560
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, pp. 3265 sgg; ed. 1586, pp. 3782 sgg.; J, A. COMENIUS,
Ausgewählte Werke, hg. von K. Schaller, Hildesheim-New York, Olms, 1973-1983, I, pp. 250
sgg.; Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, cit., VIII, pp.
609-620. Un acenno all’articolo ars typographica di Zwinger e al Typographeum vivum des
Comenius si trova in ULRICH ERNST, Standarisiertes Wissen über Schrift und Lektüre, Buch und
Druck. Am Beispiel des enzyklopädischen Schrifttums vom Mittelalter zur frühen Neuzeit, in
CHRISTEL MEIER (Hg.), Die Enzyklopädie im Wandel vom Hochmittelalter bis zur frühen Neuzeit
(cit. cap. X, nota 1), pp. 450-494:485-487
561
ROSSI, Francesco Bacone (cit., cap. XI, nota 43), p. 39. Sull’opposizione φύσις - νόμος cfr.
anche J.C. MORRISON, Philosophy and History in Bacon, in «Journal of the History of Ideas»
XXXVIII, 1977, 594.
562
Francisci Baconis Opera omnia, Leipzig, Goetze, 1694, p. 45.
- 180 -
legge un terzo concetto, che potesse valere come base operativa per
entrambe: l’exercitatio («Medium locum inter Naturam et Artem videtur
obtinere Exercitatio»)563. A questi tre concetti è riservato uno dei nuovi
volumi che arricchiscono l’edizione del Theatrum del 1586.564 Dei tre
strumenti («praesidia») ultili alla scoperta, al mantenimento e al progresso
di ogni arte e scienza, la natura è, secondo Zwinger, quello principale:
«Natura inter haec tria principatum obtinet». 565 Essa fornisce le basi della
scienza e dell’arte, come queste, da parte loro, ricoprono la funzione di
portare a termine e completare la natura: «Natura igitur tum Artis circa
universalia occupatae fundamentum est atque basis: uti econtra, Ars naturae
perfectio atque complementum». 566 La natura indica però anche il percorso
che deve seguire l’exercitatio o esperienza («exercitationis circa singularia
dux et magistra»). La funzione dell’exercitatio o esperienza (che Zwinger
chiama anche «χρῆσις», «χειροτριβίη» o «scientia operum naturae») è
dunque quella di osservare i singoli fenomeni e le singole opere della natura
e di portarle a termine, essendo riusciti a riconoscerne l’andamento costante
e a individuare il «principio obiettivo» (norma comportamentale) che sta
alla base di essi:
quatenus experiundo, naturae exempla observans eodem modo sese habentia
innumera, unam eandemque rationem circa singularia versandi deprehendit, quatenus
communi natura participant: quae communis naturae observatio principium Artis evadit,
κατὰ τὸ ὄτι scilicet.567
Funzione dell’arte, da parte sua, è infine quella di trarre dai «principi
obiettivi» dei fenomeni naturali individuati per mezzo dell’exercitatio le
regole e le leggi generali («principia κατὰ τὸ διότι») fornendo così
fondamento e forma alla scienza.
Una scienza che non sia fondata su exercitatio e esperienza è
dunque, secondo Zwinger, del tutto inutile per chi voglia comprendere e
dominare la natura: «Cognitio universalis, experientia carens, inutilis est ad
intelligentiam cognatam, naturae scilicet operum singularium». 568 Solo la
«χειροτριβίη» o «usus et exercitatiosingularium», non le profonde
speculazioni o i grandi principi generali, riesce a superare l’incertezza delle
scienze e a fare delle arti uno strumento utile all’uomo:
In artibus enim non opinari tantum, et universalium cognitionem habere oportet:
sed multo magis agere et in singularibus exerceri. Opinio sine actione et praeceptorum
veritatem reddit suspectam, et vero etiam inutilis evadit. 569
563
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, p. 3.
Theatrum humanae vitae, ed. 1586, pp. 3728-3900: «Volumen XXI [...] quatuor libros
complectens, quorum sane I. De NATURA disputat, II. De ARTE agit, III. De
EXERCITATIONE disserit, IV. De INSTRUMENTIS secundariis decernit».
565
ZWINGER, Hippocratis Coi viginti dvo commentarii Tabulis illustrati (cit., cap. VIII, nota 31),
p. 85.
566
Ibid.,
567
Ibid.
568
Ivi, p. 86.
569
Ibid.
564
- 181 -
Da qui deriva il costante invito a fondare e trasmettere agli allievi ogni
scienza e ogni arte secondo i principi della teoria, gli esempi della storia, le
applicazioni nell’ambito della propria esperienza.
Sarà solo Comenius, altro grande pedagogo e accanito lettore delle
opere di Zwinger, a fondere questi tre concetti per farne una legge
universale della pedagogia moderna: «Methodi lex aeterna esto» scriveva
nelle Leges scholae bene ordinatae «omnia docere et disci Exemplis,
preaeceptis, et Usu, seu imitatione»; 570 e nella Machina didactica, seguendo
la formula di Zwinger Theoria, Praxis, Chresis affermava: «Ecce Methodus
naturalis perpetua: Omnia discenda spectare (in Zwinger: contemplatio),
omnia agenda tentare (actio), omnia fruenda Usibus debitis applicare
(exercitatio)».571
570
JAN AMOS COMENIUS, Opera didactica omnia (cit., cap. XII, nota 68), II, p. 787.
COMENIUS, Ausgewählte Werke (cit., cap. XIII, nota 32), I, p. 243. Zwinger non viene
nominato in nessuna delle opere a stampa di Comenio. Il primo lavoro letterario di quest’ultimo
fu però un’enciclopedia ceca che non portò mai a termine e di cui conserviamo solo piano
generale e prefazione. In questo testo egli non solo nomina il filosofo basileese, ma riprendere da
lui addirittura il titolo dell’opera: Theatrum Universitatis Rerum, in Johannis Amos Comenii
Opera omnia, (Kritische Ausgabe der Prager Akademie), Pragae 1969, Bd. l, 117-183. L’opera
era divisa in quattro parti: Theatrum Naturae, Theatrum Vitae Humanae, Theatrum Orbis
Terrarum, Theatrum Seculorum.
571
- 182 -
XIV La religione di Zwinger
«Hai provato a tutto il mondo delle lettere, uomo chiarissimo, quanto sei
grande nella medicina, quanto nell'etica. Orsù, dimostra loro anche quello
che Dio ti ha messo in grado di fare come filosofo cristiano nelle scuole di
Cristo ». Così scriveva Egenolph von Berckheim a Zwinger nel 1582, dopo
aver letto due piccoli manoscritti teologici del suo amico basileese. 572 Il
nobile alsaziano affermava nella lettera di essere al corrente della riduzione
in tabelle dei quattro Evangeli – o almeno delle parti lette la domenica in
chiesa – che Zwinger aveva approntato secondo il suo metodo; ma non si
diceva disposto a dare alle stampe lo scritto per la pedanteria (morositas)
dei teologi del tempo: i loro modi e i loro scritti polemici costituiscono per
Berckheim motivo sufficiente per tenersi lontano dagli studi teologici in
genere e serbare per sé le proprie opinioni in materia, limitandosi a vivere
in pace e metterle in pratica. Tuttavia, di fronte a uomini di chiesa che con
tanto zelo procurano di aumentare la propria supremazia invece di coltivare
la vigna del Signore e cullano il popolo ignaro con certezze ingannevoli –
continua Beckheim – egli lamenta ancor più il fatto che Zwinger rinunci a
pubblicare i suoi scritti religiosi:
Et certe, si quis inspiciat mores et ipsorum virulenta scripta quae intra quatuor uel
plures annos alii in alios torserunt odiose, uidetur aliquam habere caussam, ob quam se uel
omnino a tam alto profundoque genere studioirum abstineat; si id pie fieri possit, uel si
quid in eo assequutus sit, sibi clam seruet, ut in priuata pace uiuere liceat [....] Quotidianus
usus quidem docet quam pene nostra aetas in atheismum incurrat. Nec mirandum, sed
dolendum, necesse est enim; dum Antistites suae praeminentiae propagandae potius, quam
uinae domini excolendae, inseruiunt; et populus insipidus periculosae securitati indormit
[....].Sed non leuis est authoritas eorum qui censent, Multis emergentibus malis, plurimis
contra cunta bonis. Et hodie quoque Elias cum suis millibus superest. Ill certe digni sunt
quibus tam honorificum donum largiaris. Licet moram sit memorem monere, tamen hiic
non possum intermittere, quin te tuorum admoneam uerborum: Scripsisti olim, Deum non
minorem curam habere librorum quam liberorum. Quum ergo hac spe et pia et uera, Seo
adoptiuos libros in publicum mittis: multo magis eos ueri et proprii Dei sunt emittes.
Argentea aliaque praeciosa ad templum Domini attulisti, et aureum istud talentum apud te
defodies? Non facies, opinor. Imo quanto preciosius , tanto magis illud exercebis, quo
plurimos fructus suo Dom[ino] ferat. Vniuerso mundo literato probasti, quid possis in
Physicis, quid in Ethicis: Eia, age, quaeso, Vir Clarissime, ut eidem pateat quid tibi
Christiano Philosopho, in Christi scholis praestare a Deo Optimo Maximo concessum
sit.573
Zwinger non accolse l’invito di Beckheim, permettendendo che i suoi scritti
venissero copiati solo nella più ristretta cerchia di amici. Sarà il figlio
Jacob, unidici anni dopo la morte del padre, a far stampare le tavole
572
Lettera di Berckheim a Zwinger del 23. 11. 1582 (Basilea, Universitätsbibliothek, ms. GII 31,
n. 31). Su Berckheim cfr. Die Matrikel der Universität Basel, hg. von H.G. WACKERNAGEL, Bd.
2, Basel 1956, 230.
573
Ibid. La lettera di Berckheim, con la sua critica acerba dei teologi al potere, offre un’ennesima
testimonianza del crescente estraniamento e dell’alienazione reale di una vasta cerchia di
credenti dalle loro confessioni ufficiali. Questo è un dato di cui sembra ci si dimentichi spesso
negli studi, oggi di gran moda, sul «confessionalismo» e sul «disciplinamento sociale». Per una
nuova prospettiva si veda ora KASPAR VON GREYERZ et alii (edd.), Interkonfessionalität Transkonfessionalität - binnenkonfessionelle Pluralität. Neue Forschungen zur
Konfessionalisierungsthese (Schriften des Vereins für Reformationsgeschichte, 201), Güterloh
2003, e in particolar modo il contributo di THOMAS KAUFMANN, Proches étrangers. Aspects de
la perception des „Schwärmer“ par la premièrte otrthodoxie luthérienne, ivi, pp. 179-241.
- 181 -
analitiche dei Salmi e il catechismo latino in un volume in folio.574 Degli
altri scritti teologici di Zwinger cui si accenna nell’epistolario (In evangelia
dominicalia tabulae, In septem Christi oracula in cruce, Totius sacrae
scripturae theologica delineatio)575 ci rimane solo il piccolo manoscritto
del Catechismus unsers Christlichen glaubens proveniente dalla biblioteca
di Basilio Amerbach.576 Per quanto interessanti e significativi possano
essere questi scritti, essi non ci permetterebbero di conoscere il versante
religioso della personalità di Zwinger, se non potessimo metterli in
correlazione con le opinioni teologiche che Zwinger esplicita in moltissimi
altri luoghi della sua opera e della sua corrispondenza. È facendo
riferimento a questi ultimi che vorrei qui tentare di mettere in luce le reali
esigenze religiose di un uomo cui tanto luterani che calvinisti, tanto
antitrinitari che cattolici confidarono le proprie opinioni in fatto di
religione. Un uomo che, con cortesia ma con fermezza, seppe d’altra parte
allontanare un intimo amico e convinto calvinista come François Hotman
quando sentì toccate le sue più intime convinzioni.577 Le vicende legate
all’allontanamento di Hotman da parte di Zwinger (ma anche di Basilio
Amerbach e di Simon Sulzer) sono già state illustrate da Werner Kaegi nel
suo Machiavelli in Basel, in cui viene sottolineata anche la scarsa unità
confessionale dei basileesi, già registrata da un attento osservatore come
Montaigne.578 Le ricerche di Guggisberg e Rotondò hanno poi permesso di
farci un’idea sulle attività del seguace di Castellione a Basilea.579 Ma la
storia delle lotte dogmatiche all’interno della Chiesa ufficiale basileese
574
Psalmorum Davidis analyses. Decalogi item Orationis Dominicae et Symboli apostolorum
Commentariorum vice vere Methodicae THEODORI ZUINGERI Philosophi et Medici Basiliensis
Studio concinnatae, Basileae 1599.
575
Nel 1580 Zwinger consegnò le Tabulae in Evangelia dominicalia ad un suo familiare, David
Zwinger, perché le copiasse (Lettera di David Zwinger a Theodor del 22. 6. 1580, Basilea,
Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II14, n. 74.). Anche Grynaeus le nomina nella sua
Comparatio Theodori Zwingeri cum Aristotele Stagirita, Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Ki.
Ar. 142, n. 9. Per quanto mi è stato possibile verificare il Kommentar zu den sieben Worten
Christi am Kreuz viene invece nominato solo da Berckheim. La Totius Sacrae Scripturae
delineatio fu invece spedita da Zwinger ad Anversa, al suo corrispondente e amico Daniel
Michael Regius. «Ad haec Hypotiposis tua Theologica omnibus numeris adeo absoluta, ut nihil
quod ipsa longitudine molestum, nec breuitate ademtum esse quis iure dixerit» gli scrisse Regius
mesi dopo, dopo aver fatto vedere lo scritto a noti teologi belgi, «Ex hac igitur quid sis et
quantum ualeas liquido deprehendere facillimum est. Ad generalia summaque Theologiae
nostrae capita et locorum communium nullam commodiorem exquisitioremque dispositionem
posse inueniri crediderim». Secondo Regius, che nella stessa lettera comunica a Zwinger di aver
deciso di farsi monaco, egli era «tam sincerus purusque in religionem catholicam, ut etiam si
uelles (Zwinger), non posses deficere a Fide simul suscepta» (Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. Frey-Gryn.II 26, n. 23).
576
Catechismus vnsers Christlichen glaubens gestelt durch den hochgelerten herren D. THEOD.
ZVINGERUM BASIL. der Artzney doctorem. 1580 Mense Octobris. Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. A X 42; 56 cc., in 8° piccolo. Già nel 1668 l’operetta di Zwinger era stata menzionata da
Teophil Gottlieb Spizelius (Spitzel) nella sua Sacra Bibliothecarum illustrium Arcana retecta
sive Mss. Theologicorum in praecipuis Europae Bibliothecis extantium designatio, Augsburg,
Goebel, 1668.
577
Francisci et Johannis Hotomanorum [...] Epistolae, Amsterdam, Gallet, 1700, p. 139, in cui
«Zwinglium» sta ovviamente per «Zwingerum».
578
WERNER KAEGI, Historische Meditationen (cit., cap. VIII, nota 11), I, pp. 158, 178.
579
HANS R. GUGGISBERG, Sebastian Castellio im Urteil seiner Nachwelt vom Späthumanismus
bis zur Aufklärung (Basler Beiträge zur Geschichtswissenschaft 57), Basel-Stuttgart 1956; IDEM,
Pietro Perna, Fausto Sozzini und die “Dialogi quatuor“ Sebastian Castellios, in Studia
bibliographica in honorem Herman De La Fontaine Verwey, Amsterdam 1967, pp. 107-201; A.
ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cfr. proleg., nota 14).
- 182 -
prima degli anni dell’alta ortodossia, tra gli anni ’70 e primi anni ’80 del
XVI secolo, aspetta ancora di essere scritta.580 Alle lotte interne e ai
dissensi faceva riferimento Johann Jacob Grynaeus che nel 1582 scriveva a
Norimberga a Chr. Andreas Julius, parlando evidentemente di Sulzer e
Coccius:
(Basileae) habeo enim quos fugiam, quem sequar non habeo. Zwingerum vere αἱ
τύχαι ποικίλως ξωγραφοῦσιν.581
Dobbiamo ritenere davvero che al cambiar del vento Zwinger cambiasse di
volta in volta opinione come una banderuola? Prova sufficiente che le cose
non stessero così sembra avere avuto il teologo zurighese Johannes Wolf un
decennio prima della grande svolta di Basilea verso calvinismo. Wolf aveva
giustificato di fronte a Zwinger il suo lungo silenzio non solo con le sue
tante occupazioni, ma anche con il fatto che tutto ciò che veniva scritto e
mandato da Zurigo a Basilea pareva risultare sospetto ai basileesi; finché
era durata la disputa (sull’eucarestia), egli si era rifiutato di inviare missive
a Basilea, per non mettere gli amici in cattiva luce.582 La risposta di
Zwinger a Wolf contiene un insegnamento che il teologo zurighese non
deve aver dimenticato facilmente:
Tuam ego in me amando constantiam, quo minore meo id fit merito, eò maioris
facio. Absit uero, ut propter eas quae ultro citroque inter theologos, quo consilio nescio,
magna certe cum honorum omnium offensione, agitantur controuersias, amicitiae nostrae
exercitia languescere sinamus. Proinde quam in silentii tui causam affers, negociorum
uidelicet multitudinem, amice suscipio: alteram uero, ne tuis me literis suspectum redderes,
nec agnosco nec admitto. Prudentiam quidem ego tuam laudo, sed meae interim libertatis,
non tam philosophicae, quam christianae, mihi conscius sum, et mihi persuadeo, in iis quae
magnis utrinque animis atque uiribus nituntur opinionibus, theoria per christianam ἐποχήν
in medio relicta, sic tamen ut quam cuique dominus intelligentiae portionem dederit,
religiose amplectatur et custodiat; ad praxim, qua sola fidei arcana reuelantur et
illustrantur, sese conferre, non tam dubitantis esse, quam Christi genuinum characterem, in
sola charitate et dilectione positum, quantum per humanam licet imbecillitatem, imitari et
exprimere conantis. Et hoc ipso animo in ea etiam, quae nunc unice sanctorum
communione labefactare uidetur, Eucharistiae controuersia persisto, ut quando utrinque
uiri docti et pii suas habent rationes, ea quae mihi prae caeteris potissimum arridet Christi
optimi maximi verborum interpretatione, quoad domino uidebitur, per fidem suscepta, ad
opus ipsum, in quo omnes uno ore consentiunt, memetipse accingam, et eos, quos quidam,
uelut ἑτεροδόξος, suae sectae christianum zelum praetexentes, abominantur, pro fratribus
amplectar, ut qui dubia et controuersa raciocinatione superari nequeunt, certa et constanti
dilectione animaduersa, eius quem summe colunt Christi nos asseclas esse reipsa
deprehendat. Haec tecum ego libentius, quod modestiam christianam tibi summopere cordi
esse, et scripta et uita tua luculenter testantur.583
580
M. GEIGER, Die Basler Kirche und Theologie im Zeitalter der Hochorthodoxie, ZollikonZürich 1952; si veda ora anche HANS R. GUGGISBERG, Basel in the Sixteenth Century. Aspects of
the City Republic before, during, and after the Reformation, St. Louis, Missouri, 1982; ALFRED
BERCHTHOLD, Bâle et l'Europe. Une histoire culturelle, I-II, Lausanne, Payot, 1990.
581
JOH. JAC. GRYNAEI Epistolae LXVI ad Christ. Andr. Julium, Nürnberg 1720, p. §35.
582
Lettera di Wolf a Zwinger, 25. 8. 1571 (Basilea, Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II 14,
n. 152). Cfr. anche nota seguente.
583
Zürich Staatsarchiv, ms. E II 377, n. 2505. Nella storia della chiesa basileese questa
controversia tra teologi e pastori è nota come Paroxysmus Basilisensis anni 1571. Dopo che
cinque anni prima l’antistite Simon Sulzer e i suoi amici Coccius e Flueglin erano riusciti ad
evitare l’ingresso di Basilea nella Confessio Helvetica posterior, la controversia sull’eucarestia si
ripresentò molto frequentemente. Più volte il Consiglio ammonì gli ecclesiastici coinvolti perché
abbandonassero «fango e ingiurie» («Schmutzen und Schmähen»). Poiché neanche questo ebbe
effetto, nel marzo 1571 il Consiglio ingiunse loro di sottoscrivere la Concordia stretta nel 1537
tra i teologi di Strasburgo e la chiesa di Basilea. Mentre Sulzer e i suoi accettarono subito di
- 183 -
(La costanza dell’affetto che mi porti, ha per me un valore tanto maggiore, quanto
minore è il mio merito nel suscitarla. Non permettiamo dunque che la pratica della nostra
amicizia abbia a soffrire per le controversie che da ogni parte sorgono tra i teologi, non so
esattamente per quale motivo, ma certo con gran danno di tutti loro. Prendo dunque
amichevolmente per buona la causa che adduci per spiegare il tuo silenzio, cioè la gran
quantità di cose che hai da fare: ma l’altra causa, il tuo timore cioè di rendermi sospetto a
causa delle tue lettere, non intendo né riconoscerla, né ammetterla. Trovo certo lodevole la
tua prudenza, ma sono nello stesso tempo ben consapevole della mia libertà, non solo
filosofica, ma anche cristiana, e sono convinto che in quelle opinioni che con tanto grande
animo e con tanta forza gli uni contro gli altri sostengono, la teoria deve lasciare il posto
alla cristiana sospensione del giudizio (ἐποχή), cosicché ognuno abbracci e custodisca
religiosamente la porzione di intelligenza che Dio gli ha dato. E che il dedicarsi alla pratica
invece, unica nella quale vengono rivelati e illustrati i misteri della fede, non è tanto cosa
di chi dubita, ma di chi si sforza di imitare ed esprimere, per quanto ci concedono le deboli
forze umane, il genuino carattere di Cristo, che risiede nella sola carità e nell’amore. E
persisto in questo parere in questa controversia sull’Eucarestia, che da sola sembra ora
rompere la comunione dei santi. E visto che uomini dotti e pii di ciascuna fazione hanno le
proprie ragioni, io mantengo la mia fede nell'interpretazione della parola di Cristo ottimo
massimo, che mi convince più delle altre, come pare al Signore, e passo personalmente
all'azione, sulla quale tutti sono unanimi. E accoglierò come fratelli tutti coloro che alcuni,
adducendo a pretesto lo zelo cristiano della propria setta, rifiutano come eretici; cosicché,
nell’affetto sicuro e costante che abbiamo verso di loro, questi ultimi, che non riescono a
superare con la ragione dubbi e controversie, potranno riconoscere che anche noi siamo
seguaci di quello stesso Cristo che essi adorano sopra ogni cosa. Mi è ancor più grato dirti
tutto questo, perché i tuoi scritti e la tua vita testimoniano molto apertamente quanto ti stia
a cuore la moderazione cristiana.)
Dopo queste affermazioni del grande basileese (in realtà non tanto
inabituali e rare quanto vogliono far credere certi storici dell’epoca
confessionale) potremmo in realtà anche chiudere il capitolo sulla teologia
di Zwinger, senza timore di aver trascurato alcunché di sostanziale. Esse
contengono infatti la sua professione di fede, il suo programma
pubblicistico-teologico e il suo percorso pragmatico in seno al
cristianesimo. Le pagine che seguono hanno l’unico scopo di spiegare un
po’ più da vicino queste scelte di fondo.
Libertas christiana
Accennando a controversi problemi teologici all’interno delle sue opere
filosofiche e mediche, Zwinger stupisce spesso il lettore con affermazioni
firmare, Heinrich Erzberger rifiutò recisamente di farlo e preferì abbandonare il suo diaconato
nella chiesa di St. Peter, scegliendo di abbandonare la città. Altri, come Johannes Brandmüller,
Jonas Grasser e il clero dei paesi intorno alla città (Baselbiet) finiro con l’accettare, non senza
riluttanza. Le divisioni tuttavia continuarono, poiché nel Sinodo convocato due mesi dopo,
Sulzer presentò un’interpretazione dell’eucarestia di forte sapore luterano (Basilea,
Universitätsbibliothek, Ki. Ar. 22a, 392-408.). Con l’arrivo a Basilea di Johann Jacob Grynaeus
nel 1573, la disputa scoppiò nuovamente, ma il Consiglio riuscì a tenerla sotto controllo. Molto
significativa per comprendere la situazione basileese negli anni successivi è una lettera degli anni
’70 di Grynaeus a Abraham Musculus, in cui il primo parla di una presunta affermazione di
Sulzer a Francoforte: «Ante hoc tempus narratur, a Domina sive Electore in mensam
interrogatus, an Zwingliani Basileae aliqui essent. Respodit Sulcerus, duos tantum ibi ministros
superessent, Grynaeum et quendam alterum. Hoc manifeste dicto probavit se Zwinglianum non
esse sed Lutheranum», cfr. Basilea, Universitätsbibliothek, ms. G I 68, n. 95. Solo dopo la morte
di Sulzer il nuovo antistite Grynaeus riuscì a riportare la città in seno allo zwinglianismocalvinismo aprendo così l’era della stretta ortodossia:(Hochortodoxie), vgl. KARL RUDOLF
HAGENBACH, Kritische Geschichte der Entstehung und der Schicksale der ersten
Baslerkonfession und der auf sie gegründeten Kirchenlehre nebst Beilagen, Basel, J. G.
Neukirch, 1827.
- 184 -
del tipo «Haec sunt theologorum», «Theologicam materiam theologi
iudicent», «De haereticis et magis disputare theologi munus esse» o
«theologorum haec sunt propria, quorun placitis subscribere, censurae
acquiescere, et recta ratione et vetusta auctoritate iubemur». Si può avere
dapprima l’impressione che Zwinger aggiri il problema. Ma ad una lettura
più attenta ci si rende presto conto che si tratta di abbellimenti retorici che
permettono di evitare l’oziosa e ingarbugliata controversia del giorno. Sulle
questioni che gli stanno a cuore Zwinger non conosce invece compromessi.
Egli colpisce in termini sferzanti, pari a quelli del Castellione nella Quinque
impedimentorum enumeratio, la follia di chi è convinto che una fede teorica
sia sufficiente a raggiungere la beatitudine e trascura per questo le opere. 584
Poiché il passaggio non è riportato nelle edizioni del Theatrum successive
alla prima, faremo riferimento ad una sua definizione della fede rimasta
invariata in tutte le edizioni:
Fides sive Religio Christiana [...] rerum invisibilium certa est persuasio
(persuasionem voco: nam si scientia esset, non esset fides. Certam addo, vt eam a falsa
opinatione distinguam atque separem) 585
Cercheremmo invano una simile definizione nelle confessioni di fede
protestanti.586 Si tratta infatti, di nuovo, del concetto di fede come inteso da
584
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, [praefatio], p. 18: «Cuius si unquam alias, nostro certe
hoc tam dissoluto seculo maximus erit usus: ut qui pro uera et Christiana libertate, carnis
uitiorumque abominandam licentiam introduxerunt, eoque deuoluti sunt dementiae, ut pietatem
nostram theorica quadam credulitate, neglecta interim charitate practica, constare putent, ad
saniorem uiuendi rationem religiosis sanctissimorum hominum exemplis reducantur: et morum
integritate vitaeque innocentia in Ethnicis etiam observata pudore suffusi, poenitentiam porro
suorum agant scelerum».
585
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 760; ed. 1571, p. 1852; ed. 1586, p. 2998.
586
Nella Confessio Helvetica posterior del 1562, per esempio, si trova la definizione: «Fides
enim Christiana non est opinio ac humana persuasio, sed firmissima fiducia et evidens ac
constans animi assensus, denique certissima comprehensio veritatis Dei, propositae in scripturis,
et symbolo Apostolico...», cfr. RUDOLPH HOFMANN, Symbolik oder systematische Darstellung
des symbolischen Lehrbegriffs der verschiedenen christlichen Kirchen und namhaften Sekten,
Leipzig 1857, pp. 321 sg. Eccezion fatta per certe mode umanistiche come la sostituzione «fides
christiana» con «christiana persuasio» proposta nel 1524 da Christophe du Longueil, ma
severamente criticata da Erasmo nel Cicerionanus (LB, t. V, col. 996, 1018; ASD, t. I, 2, pp.
332.13, 697.9), il termine «persuasio» era stato utilizzato dallo stesso Erasmo nel suo
Ecclesiastes (LB, t. V, col. 1078 sg; ASD, t. V, 2, p. 632), occasionalmente da M. BUCER,
Enarratio in Matthaeum, c. VIII («Vera utique fides, certaque de Dei erga nos bonitate
persuasio»), e sporadicamente anche da Agrippa von Nettesheim, e Sebastian Franck (cfr.
ALFRED HEGLER, Geist und Schrift bei Sebastian Franck, Freiburg i.B., Mohr, 1892, pp. 98-101.
Dopo Descartes, ma in senso non soggettivo, il termine fu utilizzato da calvinisti ortodossi come
Joh. Heinrich Heidegger nel 1700 («In universum ergo fides est πεισμονή (Gal. V 8) sive
persuasio de veritate a sensibus remota per testimonium Dei revelantis»), cfr. HEINRICH HEPPE,
Die Dogmatik der evangelisch-reformirten Kirche dargestellt und aus den Quellen belegt,
Elberfeld, R.L. Friderichs, 1861, pp. 372 sg., 384. Per la radicale distinzione fra credere e sapere
(«persuasio non est scientia») come concetto cardine del pensiero di Descartes si veda ora
MURRAY MILES, Insight and Inference: Descartes’ Founding Principle and Modern Philosophy,
Toronto, University of Toronto Press, 1999, pp. 47-48, 107-109, 151-164. Nella Germania
luterana fu forse Kant il primo a riformulare in termini filosoficamente adeguati la definizione
della fede proposta da Zwinger («Glauben ist subjektiv zureichendes Fürwahrhalten», «ein
praktisches Fürwahrhalten» (Krit. d. r. Vern. S. 622 sg.); «ein Fürwahrhalten aus einem. Grunde,
der zwar objektiv unzureichend, aber subjektiv zureichend ist» (Log. S. 101), cioè, un tener-pervero, un essere persuaso o convinto, in base a ragioni oggettivamente insufficienti, ma
soggettivamente sufficienti), cfr. RUDOLF EISLER, Wörterbuch der philosophischen Begriffe und
Ausdrücke, Berlin, E.S. Mittler, 1904, pp. OOO.
- 185 -
Castellione.587 E se leggiamo il Catechismus latino di Zwinger, troviamo
che il passo biblico sui dieci comandamenti è presentato proprio nella
traduzione della Bibbia di Castellione. 588 Quando nel 1580 Karel Utenhove
invia a Basilea un saggio (o piuttosto una prefazione) per una nuova
edizione della Bibbia nella traduzione francese di Castellione, è sempre
Zwinger che gli risponde: «Quod tu Castellionis manibus dedisti, Perna suo
tempore Bibliis praefiget, sed parenthesi exempta». 589
Allo stato attuale delle ricerche è possibile fare solo delle congetture
su che parte possa aver avuto Zwinger nel progetto e nella realizzazione da
parte di Perna dell’edizione di Castellione, o su quanto egli possa essere
stato al corrente dell’intera vicenda. XXXXX
Miror Castalionis umbram tam vehementer conuitiis proscindi.
Aliqui indigne ferunt illum naturali morti ex hac vita decessisse. Nunc
aostatam, nunc
Sappiamo tuttavia che il suo richiamo a Castellione come
«santissimo e dottissimo uomo» nella prima edizione del Theatrum causò
già nel 1567 la dura reazione del calvinista ortodosso Guglielmo Grataroli,
che accusò i suoi antagonisti basileesi di essere una setta di castellionisti
(«qui illius, nempe Castalionis, sententiam (ne dicam sectam) sequuntur et
extollunt») e Zwinger di esserne stato intimo amico e difensore («quem
doctissimum ac sanctissimum eius successor esse scripsit»).590 Sappiamo
del resto che Zwinger, rifiutato il mandato all’università di Vienna per
succedere nel 1563 alla cattedra di greco di Basilea che era stata di
Castellione, devolveva alla vedova di quest’ultimo il suo compenso
annuale.591 Tutto questo è risaputo, come pure gli stretti contatti di Zwinger
con gli eretici italiani a Basilea e altri dissidenti in tutta Europa. 592
587
Alla definizione della fede di Calvino nella Institutio di 1559 («fidem esse divinae erga nos
voluntatis notitiam ex eius verbo praeceptam»), Castellione eveva risposto nel De arte dubitandi:
«Fidem enim tradiderunt esse notitiam sive scientiam, in quo plane sese ostenderunt minus
sapere quam illiterati homines, quam foeminae, quam denique pueri sapiunt», poiché «ubi
scientia incipit, ibi fides desinit»; «est enim fides via ad scientiam eadenque, ubi venit scientia,
desinit», cfr. SEBASTIAN CASTELLIO, De Arte Dubitandi et Confitendi, Ignorandi et Sciendi, (ed.)
E. FEIST HIRSCH ( Studies in medieval and Reformation Thought, 29) Leiden 1981, pp. 52, 89.
588
Catechismi christiani praecipua capita, in ZWINGER, Psalmorum Davidis analyses. Decalogi
item Orationis Dominicae et Symboli apostolorum Commentariorum vice vere Methodicae
(come nota 3), p. 379.
589
Lettera di Utenhove a Zwinger del 8. 10. 1580 (Basilea, Universitätsbibliothek,
Autographensammlung Geigy-Hagenbach, n. 723). Sul carteggio di Utenhove con i basileesi a
proposito dell’eventuale pubblicazione degli scritti di Castellione cfr. ROTONDÒ, cit., 303 sg.;
549 sg.
590
GUGGISBERG, Sebastian Castellio im Urteil seiner Nachwelt (cit., nota 8), pp. 14 sg.; IDEM,
Sebastian Castellio. Humanist und Verteidiger der religiösen Toleranz, Göttingen, Vandenhoeck
& Ruprecht, 1997, p. 9; ROTONDÒ, Pietro Perna e la vita culturale e religiosa di Basilea (cfr.
proleg., nota 14), pp. 284-286, 499; C. GILLY, Die Zensur von Castellios “Dialogi quatuor”
durch die Basler Theologen (1578), in Freheitsstufen der Literaturverbreitung. Zensurfragen,
cerbotene und verfolgte Bücher, hrsg. von JÓZSEF JANKOVICS und S. KATALIN NÉMETH
(Wolfenbütteler Abhandlungen zur Renaissanceforschung, 18), Wiesbaden, Harrassowitz, 1998,
pp. 147-176:157. Il passo di Zwinger su «Seb. Castalio Allobrox, uir doctissimus et
sanctissimus» si trova già nel Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 1321, e il passo più noto
«Seb. Castellio Allobrox [...] scholaeque Basiliensis ob eruditionem uitaeque sanctimoniam
decus » si legge ivi, p. 1225.
591
JOH. JAC. GRYNAEUS, Comparatio Theodori Zwingeri (cit., cap. VIII, nota 12), f. 7v.
592
Alle opere citate alle note 8, 9 e 18 di questo capitolo si devono aggiungere P.G. BIETENHOLZ,
Basle and France (cit., Proleg. nota 13); UWE PLATH, Calvin und Basel in den Kahren 1552-
- 186 -
«It does not seem that he (Zwinger) was directly involved in
theological confrontations» è stato però scritto prima della pubblicazione
degli Studi e ricerche di Rotondò, «but the fact that he was trusted by
Antoine Lescaille, and greeted by Claude Aubery and the Italo–Hungarian
A. Dudith, might cast some slight doubt on his Calvinist loyalties». 593 Solo
qualche dubbio? Non sappiamo che cosa abbia scritto Zwinger a Postel nel
1566 a proposito dei ginevrini, ma stando alla risposta del visionario
francese, che Théodore de Béze definisce «sanguinarius nebulo», non
doveva certo essere nulla di buono:
Quod porro de Archipapatu Synagogae Gebennatum scribis, nobis plus aeque
notum est, non solo Bohino nostro, quem salutatum cupio. 594
Zwinger prendeva senz’altrodi mira tra gli altri anche i ginevrini quando
scriveva nel Theatrum: «Religionis Zelus, qui non est secundum scientiam,
vindictae fomitem subiicit».595 Ai cattolici – che avevano più volte
censurato e messo all’Indice il Theatrum – ma in fondo anche ai calvinisti
ginevrini si rivolgeva del resto parlando di coloro che condannano in toto
gli eretici, e non vorrebbero vedere citato nel Theatrum nemmeno quanto
essi hanno detto di buono:
Quod si in haeretico mendacium vti notam daemonis abominaris, cur non
veritatem in eodem veluti symbolum diuini spiritus amplecteris? Nisi forte in ea es
opinione, vt quos tu ex viuentium numero tuo calculo exterminandos censes, eosdem
quoque statim ex harum rerum vniversitate a summo illo imperatore Deo ad ima destrusos
Tartara imagineris: quibus tamen coelestis pater hunc solem, hanc auram vitalem, omni
bonorum externorum copia exornatam (vt de animis interim virtutibus prophanis, quae iam
inde a mundi ortu in ethnicis et haereticis non minus quam in piis et religiosis hominibus
illustres extitere, taceam) liberalissime simul et indulgentissimecommunicat. Dubia semper
in melius interpretanda, caritas religiosa docet, veritatem vel in inimico amplectendam,
cum ethnica tum christiana philosophia: mendacium vero apertum vt in nullo commendari,
a nemine potest atque debet laudari, ita quod in ambiguo est, dictatoria auctoritate
proscribere, et propter vnum aliquod de veritate suspectum exemplum multa omnium
testimonioapprobata bona damnare velle, nescio quam pium fuerit. Sodomitis Deus
optimus maximus, si quinque inter eos viri boni reperirentur, sese parsurum profitetur;
vnius Abrahami pietas nepotum innumera contexit scelera; et Christuus omnium virtutum
exemplar, vitaeque nostrae canon, zizania adolescere sinit, ne dum feruido zelo extirpantur,
bonae per inconsideratiam proterantur segetes. Idem ille daemonum quoque praeconia et
acclamationes audit, sed auditas respuit: tam in non admitendo cautus, vt suo semetipsum
gladio Cerberus iugularet. Huius si vel aequanimitatem vel sapientiam, quisquis es
Christianus, imitare voles, vti quae placebunt diuinae benignitatis charismata admittes
omnia, ita vicissim quae displicebunt ea moderatione feres, vti ne iudicando iudiceris. 596
1556 (Basler Beiträge zur Geschichtswissenschaft, 133), Basel & Stuttgart, Helbing und
Lichtenhahn, 1974; senza dimenticare, naturalmente, i due grandi studi classici su questo tema,
FERDINAND BUISSON, Sébastian Castellion, sa vie et son oeuvre, 1515-1563, 2 vols., Paris,
Hachette, 1892 ( repr. Nieuwkoop, de Graaf, 1964), e DELIO CANTIMORI, Eretici italiani del
Cinquecento. Ricerche storiche, Firenze, Sansoni, 1939; IDEM, Italienische Haeretiker der
Spätrenaissance. Deutsch von Werner Kaegi, Basel, Schwabe, 1949.
593
BIETENHOLZ, Basle and France, cit., 71.
594
F. SECRET, Notes sur Guillaume Postel 11:Quatorze lettres à Théodore Zwinger, in
«Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance», 26, 1964, 130; A. ROTONDÒ, Guillaume Postel a
Basilea, in «Critica storica», X, 1973, pp. 114-159, ora in Studi e Ricerche di storia ereticale
(cfr. proleg., nota 14), pp. 117-159; C. GILLY, Guillaume Postel et Bâle. Quelques additions à la
Bibliographie des manuscrits de Guillaume Postel, in: Guillaume Postel 1581-1981 (Actes du
Colloque international d’Avranches 2-9 septembre 1981), Paris, Trédaniel, 1985, pp. 41-77.
595
Theatrum humanae vitae, ed. 1586, p. 3236.
596
Theatrum vitae humanae, ed. 1571, pp. 14 sg., ed. 1604, f. ):( ):( 4v.
- 187 -
Sono però certamente i calvinisti che Zwinger ha davanti agli occhi quando
nel Catechismus latino presenta come dispregiatori del nome di Dio tutti
coloro che ritengono o tanto ristretta la giustizia di Dio, da non lasciar
spazio al perdono per nessun peccatore, o tanto ampia la sua misericordia
da far loro credere che ciascuno possa assicurarsi la propria salvezza anche
senza le buone azioni, come se già la sola fede bastasse. 597 Nella stessa
categoria rientrano, ad esempio, anche i «Trinitarii et omnes cum essentia
divina θεομαχοῦντες». Non mi è possibile dire se in questo caso Zwinger
intenda riferirsi solo agli antitrinitari o anche a tutti coloro che prendevano
appassionatamente parte alla controversia trinitaria. Nel prendere posizione
a proposito del dogma trinatario, l’enigmatico filosofo basileese si mostra
sempre pienamente ortodosso; e tuttavia egli era intimamente legato ad
antitrinitari come Perna. Che Zwinger mostrasse propensione verso i
luterani è da escludere, poiché in entrambi i catechismi la presentazione
della dottrina dei sacramenti è di stampo zwingliano. 598 Restano i cattolici:
sebbene alcuni dei suoi amici cattolici - tra cui si annoverano personaggi di
spicco come Benito Arias Montano – lo considerassero un seguace della
«vera catholica et ortodoxa religio», sarebbe davvero assurdo voler fare di
Zwinger un cattolico «in pectore». 599
Fosse rimasto altrove, Zwinger si sarebbe probabilmente adeguato
alla confessione locale, come egli stesso dice nel suo catechismo di coloro
che si trovano in un paese di fede diversa: «Hi propter loci consuetudinem
observare debent, non secus atque boves et asini, ne dent scandalum
caeteris».600 In fondo ciò che gli rincresceva della Riforma era appunto
l’alto prezzo che si era dovuto pagare per il suo successo: la rottura
dell’unità della chiesa. Così scrive Zwinger in un breve profilo di Bonifacio
Amerbach:
Bonifacius Amerbachius, Basiliensis, Iureconsultus doctissimus, uir sanctissimus
[...] Proinde horribili illo in religione Christiana sub orto dissensionum incendio, cum
pleraque adfectu studioque priuato geri, uitijsque apertis quo iure qua iniuria uel
sacrosancti Euangelii uel ueterum patrum uelamentum praetendi cerneret, libertate
Christiana, quae spiritus est, in licentiam et carnem degenerante: nihil antiquius habuit,
atque uerae Catholicae ecclesiae, immo eius sponso Christo seruatori semet totum et
commendare et deuouere. Cuius unius meritis, in nullis alterius uerba quam illius ipsius
addictus seruari, et apud patrem coelestem misericordiam consequi sperans, pie in Christo
597
ZWINGER, Psalmorum Davidis analyses (come nota 3), p. 386.
Zwinger era comunque amico di Simon Sulzer e ne ammirava gli scritti, in particolare la
prefazione ai lettori cristiani che l’antistite aveva premesso allo scritto di Johann Brandmüller
imperniati sui frutti della fede, Zwölff Dialogi und freundtliche Colloquia: oder Gespräche
Zweyer Brüder vor etlichen zeichen zeugnussen thaten, oder früchten [...] auss einem jeglichen
Artickel unsers Christlichen Glaubens Sampt einer Verrede ... Simon Sultzers, Frankfurt, Pet.
Schmid, 1566; Zwinger contribuì molto alla diffusione di questo testo, così vicino a lui nello
spirito.
599
Lettera di Daniel Michael Regius (Conincx) a Zwinger del 23. 10. 1575 (Basilea,
Universitätsbibliothek, ms. Frey-Gryn.II 26, n. 27). Per l’atteggiamento di Zwinger nei confronti
di Arias Montano e di altri spagnoli dei Paesi Bassi vedi C. GILLY, Spanien und der Basler
Buchdruck bis 1600. Ein Querschnitt durch die spanische Geistesgeschichte aus der Sicht einer
europäischen Buchdruckerstadt (Basler Beiträge zur Geschichtswissenschaft 151),
Basel/Frankfurt 1985, pp. 427-431 e passim.
600
ZWINGER, Psalmorum Davidis analyses (come nota 3), p. 389; cfr. anche ZWINGER, Methodvs
Apodemica (cit., cap. IV, nota 13), p. 48: «In aliena domo mutum et surdum esse oportet, inquit
ille; multo magis in regione aliena. Obseruet, non reprehendat uel mores, uel (quod cum periculo
etiam summo coniunctum est) religionem. Nam qui hic fraternitatis legem in religione quibusuis
communicanda urgent, uidentur illi sane pio hoc facere zelo, sed nulla uocationis cuiusque
ratione habita».
598
- 188 -
Basileae obdormiuit, anno Salutis M,.D.LXII. Viii. Cal. Maii; aetatis suae LXVII, tertio
dierum septenario.601
Un erasmiano come Bonifacius Amerbach? Il concetto di ‘erasmiano’ è
troppo amplio e al tempo stesso troppo ristretto. Lasciamo che sia lo stesso
Zwinger a proclamare a quale chiesa voglia appartenere:
Nach lut des nüntdten Artikels, beken ich ein heylige Algemeinne Apostolische
Kirchen, die do hie uf Erden an kein gwyss ort bunden ist, sondern durch die gantze welt
ausgespreittete. Welche durch einnigkeit des Apostolischen glauben underwysen, durch die
hofnung beschirmpt und erhalten wirdt.602
(Secondo quanto dice il nono articolo, riconosco una, santa, comune chiesa
apostolica, che qui sulla terra non è legata ad alcun luogo specifico, ma si espande per il
mondo intero. La quale è protetta e mantenuta dalla speranza e alla quale appartengono
tutti quanti sono unanimi nel Credo degli apostoli).
Il passo si riferisce all’esposizione del nono articolo del simbolo apostolico
contenuta nel catechismo tedesco di Zwinger.
Cristiano scetticismo e cristiano agire.
Come Castellione aveva dato la sua definizione di fede nel De arte
dubitandi («est enim fides via ad scientiam eademque, ubi venit, scientia,
desinit»,603 così Zwinger già nel 1566 parte dalla sua concezione della fede
(«fides enim in cognitionem et scientiam mutabitur») - per dar forma al
concetto di ἐποχή cristiana. Credendo davvero di poter raggiungere la
perfetta conoscenza una volta in cielo, scrive Zwinger nella prefazione
all’Etica nicomachea, non si disputerebbe tanto sconsideratamente intorno
alle dottrine principali della religione cristiana, poiché queste possono
essere colte solo per mezzo della fede, e non della ragione. In tutte le
controversie, invece, si tratta nella maggior parte dei casi di difendere
ostinatamente di fronte agli altri un’opinione già presa. Bisognerebbe
invece sospendere il giudizio con ἐποχή cristiana, poiché ciascuno di noi –
in un futuro non lontano – sarà comunque in grado di trovare risposte certe
a questa come pure ad altre profonde controversie nell’accademia celeste.604
Il termine ἐποχή, ancora estraneo a Castellione, entrò diffusamente
in uso dopo che nel 1562 Henri Estienne tradusse le Pyrrhonicae
Hypotyposes di Sesto Empirico. Alla fine del XVI il termine era già di uso
comune. A Basilea e tra i corrispondenti di Zwinger l’espressione
‘christiana ἐποχή’ divenne di moda, tanto che già nel 1578 Johann Jacob
Grynaeus si sentì obbligato a significare il suo dissenso: «Nos fidem veram,
non cum Academica dubitatione καὶ τῇ ἐποχῇ sed cum vera certitudine καὶ
πλεροφορίᾳ, coniungendam statuimus».605
Le posizioni dei due amici non potevano essere più distanti.
Entrambi erano d’accordo nel ritenere che erano state le dispute teologiche
601
Theatrum vitae humanae, ed. 1565, p. 245; traduzione tedesca di M.-L. Portmann in
appendice alle «Basler Nachrichten» del 10. 9. 1965,v. s., nota 7.
602
ZWINGER, Catechismus vnsers Christlichen Glaubens (come nota 5), f. 24v.
603
S EBASTIAN CASTELLIO, De Arte Dubitandi et Confitendi, Ignorandi et Sciendi (cit., nota 16),
pp.OOO 388.
604
ARISTOTELIS De Moribvs ad Nicomachvm Libri decem: Tabvlis perpetuis (cit., cap. VIII, nota
15), p. 10; ROTONDÒ, Studi e Ricerche, cit., 293 sg.
605
JOH. JACOB GRYNAEUS, Character Christianorum seu de fidei, spei et charitatis doctrina
theses, Basileae, off. oporiniana, 1578, p. 60.
- 189 -
a fare sorgere i dubbi in fatto di religione; ma mentre Grynaeus è dell’idea
che esse servano ad illustrare e chiarire i dogmi della religione («immo haec
certamina ad eruendam et illustrandam Religionis nostrae veritatem
plurimum faciunt»),606 secondo Zwinger tali dispute sono in realtà le radici
di ogni male. Ci si ferma ostinatamente alla teoria e si trascura così la
pratica.607 I teologi hanno imitato Adamo, scrive Zwinger altrove; hanno
preferito mangiare dall’albero della conoscenza invece che coltivare e
difendere il giardino dell’Eden. È certo che la teoria in sé è più nobile della
pratica: ma durante la vita è quest’ultima a dover essere preposta alla prima,
ed è su di essa che va concentrata la maggior parte delle nostre forze. E
Zwinger aggiunge:
Haec praxis est [aggiunge Zwinger] quam cum illi otiosae speculationis lenocinio
illecti neglexissent, et cum Adamo Investigando et Contemplando potius quam Agendo
Deum imitari voluissent, turpissime simul et periculosissime impegerunt. 608
Sono infine le opere («pietatis erga Deum et iustitiae erga homines
observatio») che rendono l’uomo gradito a Dio. Da questo punto di vista va
riconosciuto che molti pagani si sono dimostrati superiori a noi cristiani,
che seguiamo Cristo più a parole che nelle azioni. 609 Si pensi solo alle
Sibille, a Ermete, agli antichi Magi, a Giobbe o al centurione Cornelio:
Qui ex gentibus naturam sequebantur Ducem, non pravis iudiciis opinionibusque
inquinatam et corruptam, tam grati esse Deo poterant, quam qui legem Mosaicam
servaverunt. Quod enim hi consequebantur per legem, illi consequuti (!) poterant sine lege;
[...] idem etiam nostro tempore continget ei, qui quum nihil de Christo audierit in
remotissimis Oceani terris natus, duo illa maxima servaverit mandata, in quis Veritas ipsa
legem totam prophetasque constitutos affirmavit, de Deo et proximo diligendis: huic sua
conscientia est lex.610
In questo passo, tratto dal primo libro del ventinovesimo volume del
Theatrum, dedicato alla Religione naturale, Zwinger segue il commento di
Juan Luis Vives al De civitate Dei.611 Il commento di Vives era stato
parafrasato per la prima volta da Celio Secondo Curione nei suoi due
dialogi De amplitudine beati regni Dei ([Poschiavo] 1554) e poi addotto a
prova della sua ortodossia nell’Apologia ad patres Academiae Basiliensis
606
JOH. JACOB GRYNAEUS, De christianae doctrinae certitudine Theses demonstrativae,.
oppositae periculosis imaginationibus Academicis et Pyrrhoniis, eorum qui de illa ἐπέχειν non
satis vident pietati christianae minime esse consentaneum. De iis autem, D. Johan. Jacobo
Grynaeo Praeside [...] respondebit Andreas Baudisius Vratislaviensis, (Basilea 1582), f. 3r.
607
CONR. LYCOSTHENIS RUBEAQUENSIS Similium Loci [...] cum Theod. Zvingeri Similitudinum
Methodo, Basileae, Episcopius, 1575, p. 65 «Ita nostro etiam aeuo quidam non magis de
intelligenda et docenda ueritate praesentiae Christi in sacra coena, quam de qualitate suae
praeminentiaeque solliciti, dum fidei theoriam urgent, charitatis uero praxim negligunt, scelere
quam zelo maiore, sua potius quam ea quae Christi sunt quaerere uidentur».
608
ZWINGER, Morum philosophia poetica (cit., cap. XI, nota 44), p. 31.
609
Ivi, pp. 32 sg.
610
Theatrum humanae vitae, ed. 1604, p. 4076; ANTONIO ROTONDÒ, Nuove testimonianze sul
soggiorno di Francesco Pucci a Basilea, in Istituto di Storia [...] Università degli Studi di
Firenze, Studi e Ricerche I, Firenze 1981, pp. 271-288:284.
611
AURELIUS AUGUSTINUS, Opus absolutissimum, de Ciuitate dei, magnis sudoribus emendatum
ad priscae uenerandaeque uetustatis exemplaria per uirum clarissimum et undequaque
doctissimum Ioann. Ludouicum Viuem Valentinum, et per eundem eruditissimis planeque diuo
Augustino dignis commentariis sic illustratum ut opus hoc eximium [...] nunc demum renatum
uideri possit, Basilea, Froben, 1522, p. 623, cfr. C. GILLY, Spanien und der Basler Buchdruck bis
1600 (cit. cap. 14, nota 28), p. 177; IDEM, Erasmo, la Reforma radical y los heterodoxos
radicales españoles, in Lenguas y literaturas peninsulares entre los siglos XVI-XVIII, «Boletín
de la Sociedad Castellonense de Cultura», LXXIV (2004), pp. 225-350, cit. 289 sg.
- 190 -
contra Vergerium dell’agosto del 1557.612 Zwinger aggiunge a questo
punto:
Nos vero, qui extra Christum et Ecclesiam nullam salutem esse certo scimus, hos
ipsos Misericordis et Miseratoris domini gratiae relinquimus.
Riferendosi ai buoni pagani, che hanno seguito le leggi della natura e della
coscienza, Zwinger intendeva solo mostrare ciò che è davvero importante
per il cristiano: seguire l’esempio di Cristo. Possiamo dunque concludere
queste osservazioni sulla teologia zwingeriana con le tavole premesse al
catechismo tedesco:613
Jnhalt des Catechimi:
Ein Christen mensch tröstet sich allein Christi seines Heilands, diser trost haltet in sich
die
Erkanntnuss
Des ellends, dorinn der mensch steckett. Do sind zwey stuck zubedencken.
1. Zu was ehren der mensch von Gott erschaffen sey.
2. In was vnehren der mensch sich selbs gesteckt habe.
Der erloedigung von dem selbigen ellend. Vid. (Aa). 614
Vollstreckung vnd annemmung der erlösung durch nachuolgung Christi: Welche
nachuolgung da stoht in dem das wir
Wissen, was wir sollend
Bekennen im glauben, so da begriffen ist in dem Apostolischen
symbolo.
Thun und lassen durch die liebe, welcher lehr die 10. gebott
inhaltend.
Würcken. Hie ist zu betrachten
1. Wer solle würcken.
2. Warumb man soll würcken.
3. Wie.
4. Was, nämlich die werck
des glaubens gegen Gott,
der liebe gegen den nächsten,
der hoffnung gegen uns selbs.
612
JOHANN GEORG SCHELHORN, Amoenitates literariae, vol. XII, Frankfurt - Leipzig, D.
Bartholomei, 1730, pp. 611 sg.; MARCUS KUTTER, Celio Secondo Curione. Sein Leben und sein
Werk (1503-1569) (Basler Beiträge zur Geschichtswissenschaft, 54), Basel - Stuttgart 1955, 210,
279. Il testo con il commento di Vives, estratto personalmente da Curione e che Kutter credeva
perduto, si conserva ancora come ai tempi dello Schelhorn alla Stadtbibliothek di Schaffhausen
(Ms. Scaph. 8, vol. IV, Fasc. 7/14). Il fascicolo successivo (Fasc. 7/15) dello stesso manoscritto
contiene testi analoghi di Francesco Pucci e Antonio del Corro. Entrambi fanno parte della
‘Briefsammlung’ di Lodovicus Lucius (1577-1642), il più giovane protetto ed ultimo
«amanuensis» di Theodor Zwinger, cfr. J. W. HERZOG, Athenae Rauricae. Sive Catalogus
Professorum Academiae Basiliensis [...] cum brevi singulorum biographia (cit., Proleg. nota 8),
pp. 392-397.
613
Catechismus vnsers Christlichen glaubens gestelt durch den hochgelerten herren D. THEOD.
ZVINGERUM Basil. der Artzney doctorem. 1580 Mense Octobris. Basilea, Universitätsbibliothek,
ms. A X 42; cc. 1r-56r, cit. 1v.
614
Aa: Die erledigung stecht in vier dingen. 1) Warumb diese Erledigung geschehe. 2) Von wem
sie geschehe. 3) Wie sie geschehe. 4) Wer dieser erlösung theilhaftig werd. Die Erledigung
geschicht in zwen weg: Leyblich durch Christi menschheit. Geistlich durch das Predigtamptals
Christi Stadthaltung. dorin vier ding zumercken sind: 1. Von wem es eingesetzt. 2. Warum es
eingestzt. 3. Durch wen es verrichtet. 4.Wie es verrichtet werde, auff drey weg: a)
Vnsichtbarlich. b) sichtbarlich. Nemlich durch 1) das Wort Gottes. 2) die sacrament, welche do
dienende zum theil daz wir A) von dem bösen erlöst erden. Vide (Bb). [(Bb). Als nemlich von
der α) Erbsünd durch den teuff. β) Täglichen sünd, durch de Asolution.] B) Mit dem guten uns
verinbaren ducrch das heylige nachtmal.»
- 191 -
(Il cristiano trova consolazione solo in Cristo suo salvatore. La consolazione contiene in
sé
Conoscenza
Delle miserie che affliggono l’uomo. A questo proposito vanno considerate due
cose.
1. Grazie a che nobiltà l’uomo sia stato creato da Dio.
2. A quale meschinità l’uomo si sia ridotto.
Per la liberazione da queste miserie (Vide segno Aa).615
Realizzazione ed accettazione della redenzione seguendo e imitando Cristo. Seguire
Cristo consiste in questo, che noi
Sappiamo che cosa dobbiamo
Credere nella fede, come inteso nel simbolo apostolico
Fare e non fare, per mezzo dell’amore, come insegna il decimo
comandamento.
Agiamo. Va qui considerato
1. Chi deve agire.
2. Perché deve agire.
3. Come.
4.Che cosa, cioè le opere
di fede, nei confronti di Dio,
d’amore, nei confronti degli altri uomini,
di speranza, nei confronti di se stessi).
Insistenza sulla pratica cristiana, risoluzione del cristianesimo nei
«fundamentialia fidei», attenersi al credo degli apostoli come unico
denominatore comune a tutti i cristiani e proclamazione della tolleranza
religiosa. Cinquant’anni prima tutto questo avrebbe potuto essere preso per
sinceramente erasmiano e avrebbe disturbato solo i «monachos quosdam
hispanos» e gli altri sedicenti inquisitori che scrissero contro Erasmo. Ma in
quei cinquant’anni i dogmi delle diverse confessioni si erano così
profondamente stabilizzati, che esigenze di queso tipo venivano
stigmatizzate come i migliori segni di riconoscimento di irenisti ed
eretici.616
615
Ivi, 2r. Sig. Aa. parla della liberazione della miseria per mezzo del Cristo, della predicazione
e dei sacramenti. vedi nota precedente.
616
L’uso del solo Simbolo degli Apostoli, senza menzione del niceno e dell’atanasiano, non
aveva niente di eterodosso in sé, poiché così avevano fatto Lutero nei sui primi scritti catechistici
(WA, 6, 215-220; WA, 30 I, pp. 182-192), Erasmo nel colloquio Inquisitio de fide (LB, I, pp.
728-732), Calvino nei suoi catechismi fino al 1545 (CO, 5, pp. 37-343; CO, 6, pp. 13-44). Ma
dopo le esperienze fatte con Gribaldi, Gentile, Alciati e Biandrata, la chiesa italiana di Ginevra
nel maggio 1558 dichiarò questo Credo come insufficiente («Ancor che la confession de la fede
contenuta nel Simbolo de gli Apostoli doverebbe bastare per la semplicità del popolo christiano.
Nondimeno percioche alcuni essendosi per la loro curiosita disviati da la pura e vera fede, hanno
turbato l’unione e concordia di questa chiesa, e seminato de le opinioni false et erronee», cfr.
CO, IX, p. 384). Nella seconda stessura della Confessio Gallicana del 1559 si introdusse allora la
frase «Et suivant cela nous advouons les trois simboles, assavoir des Apostres, de Nice, et
d’Athanase, pource qui’ls sont conformes à la parole de Dieu» (cfr. CO, IX, p. 741), e di lì passò
alla Confessio Belgica del 1561 (art. 9), alla Confessio Helvetica posterior del 1566 (art. 11) e a
tutte le ulteriori confessioni della chiesa riformata, fatta eccezione per la Confessión de fe che un
futuro protetto di Zwinger, Casiodoro de Reyna, aveva scritto in spagnolo e in latino per la
chiesa spagnola di Londra nel 1563. Preside del Concistoro di quest’effimera chiesa era
Giacomo Aconcio, che nei suoi Stratagemata Sathanae pubblicati nel 1565 a Basilea si era
pronunciato in questi termini riguardo al sospetto nei confronti di coloro che aderivano
esclusivamente a questo Credo: «Extat quidem antiquissimum fidei symbolum apostolorum
titulo, sed illud ita probant omnes, ut tamen eius usum non agnoscant», cfr. GIACOMO ACONCIO,
Stratagemata Sathanae libri VIII, a cura di GIORGIO RADETTI (Edizione nazionale dei classici
del pensiero italiano, VII), Firenze 1946, p. 512.
- 192 -
Non stupisce pertanto che molti, a Basilea e fuori, disdegnassero gli
scritti teologici di Zwinger, rinfacciandogli più tardi di aver mietuto con
falce indesiderata i raccolti altrui:
Quae enim in Philosophia pars unquam fuit aut esse potuit, quam ille non et
ingenio penetraverit, et iudicio accurato tractaverit? Quid in medicina fuit a plurimorum
sensu remotum, quod ille non planum fecerit in quavis parte: sive quis Galeni sequeretur
artem, sive Paracelsi novitatem tueretur? Nisi forte hoc laudi eius aliquam offundere possit
nubeculam: quod animum suum, rerum maximarum capacissimum, ad Theologiae quoque
Studium adiunxit, et falcem, ut quidam loquitur, in messem sibi incognitam inmisit. Quasi
vero non iubeamur omnes, quocumque fuerimus loco, statu, genere, scripturas scrutari; aut
quasi nemo, nisi qui vertice fuerit raso, conferre aliquid lucubrationibus suis debeat, ad
Ecclesiae aedificationem, ad religionem propagandam. 617
Nessuno però osò criticare apertamente le posizioni religiose dell’uomo a
proposito del quale Basilius Amerbach aveva detto «piget me vivere post
tantum virum, cuius doctrina magna fuit, sed exigua, si cum pietate
conferatur».618 Dopo la morte di Zwinger, lo stesso Théodore de Bèze,
benché acerrimo avversario di molti dei suoi amici e confidenti, compose
per lui il seguente epitafio:
Memoriae viri tum pietate tum omni bonarum Artium cognitione, Ornatissimi
Theodori Zvingeri, huius nostri Seculi Varronis alterius, Inclytae Basiliensis Academiae
Insignis Ornamenti.619
617
CASPAR DORNAVIUS, Vir bonus et doctus, Hoc est Jacobi Zwingeri ... vita et mors, Gorlici
1612, f. A3v. Con poche modifiche lo stesso ritratto di Zwinger si trova in Herzog, Athenae
Rauricae (cit., Proleg.,nota 8), p. 210
618
Theatrum humanae vitae, ed. 1604, f. ):( 4r.
619
Lettera di Theodore de Bèze a Joh. Jac. Grynaeus del 4. 5. 1588, Basilea,
Universitätsbibliothek, Ki.-Arch. 18b, n. 127 sg.: «Carmen ἐπιτάφιον scripsi D. Theodori
Zwingeri amicissimi nostri memoriae, quale quidem fundere animus moerore plenus potuit. Id
ego ad te mitto, ut si tibi videbitur, caeteris quae aliunde accipies, accenseatur». L’epitafio di
Theodore de Bèze venne stampato un anno più tardi nelle Icones aliquot clarorum virorum [...]
cum Elogiis parentalibus factis Theodoro Zvingero, Basilea, Waldkirch, 1589, f. Aa6v.
- 193 -
Conclusione
Solo pochi grandi medici e filosofi del XVI ebbero tanti riconoscimenti e
onori in vita quanti Theodor Zwinger; nessuno di loro cadde però come lui
così velocemente e irrevocabilmente nell’oblío. Il motivo di tutto ciò va
ricercato non solo nell’ampiezza e presunta eterogenità della sua opera, e
nel suo carattere suppostamente compilatorio, ma anche, per quanto strano
questo possa sembrare, nella modernità di Zwinger. Molti dei suoi
contemporanei si meravigliarono di cose che a noi oggi sembrano invece
secondarie, mentre mostrarono disinteresse o registrarono con distacco le
innovazioni più significative e pionieristiche del medico basileese. 620 Solo
più tardi grandi ingegni come Bacone, Andreae o Comenius seppero portare
avanti ciò che Zwinger aveva incominciato, ma soltanto gli ultimi due, e
successivamente Leibniz e Bayle, si richiamarono direttamente a lui. Per
questo la storia della letteratura e della filosofia accennano a Zwinger al
massimo nei termini di un polyhistor – un modo pù elegante per dire
«autore di molti scritti» – ed è questo il quadro di lui giunto fino ai giorni
nostri.621 Solo con la ripresa degli studi su Paracelso alla fine del secolo
scorso, la sua personalità è tornata alla ribalta. Tuttavia lo stesso Sudhoff e
gli storici della medicina suoi seguaci non hanno saputo valutare
l’importanza di Zwinger per la storia del paracelsismo e della medicina in
generale, confusi probabilmente dalle sue affermazioni contraddittorie a
proposito dell’Hohenheimer. Anche nei numerosi studi degli ultimi decenni
su eretici italiani del tardo rinascimento, visionari francesi ed esuli per
motivi di religione, o ancora sulla seconda grande stagione della stampa
basileese, il nome di Zwinger rimane solo sullo sfondo. Va sottolineato qui
come unica eccezione lo studio più volte citato di Antonio Rotondò, che ha
stimolato l’autore del presente studio a interessarsi più da vicino a Zwinger.
Se siamo riuscititi a richiamare dall’ombra la figura di Zwinger e
guadagnarle così la posizione centrale che le compete nell’ambito della
storia della scienza e della filosofia della prima età moderna, lo scopo del
620
Del Theatrum vitae humanae si sono serviti, forse più di tutti, i predicatori e i moralisti, ma
anche famosi e meno famosi autori di teatro vi attinsero a piene mani motivi e personaggi da
utilizzare nelle proprie opere, e non è forse per caso che in una recente storia del teatro europeo il
capitolo terzo dove si tratta di Shakespeare e del secolo d’oro spagnolo venga proprio intitolato
«Theatrum vitae humanae», cfr. ERIKA FISCHER-LICHTE, History of European Drama and
Theatre, London & New York, Routledge, 2004; ma si veda WALTER ONG, Commonplace
rhapsody: Ravisius Textor, Zwinger and Shakespeare, in Classical Influences on European Culture
AD 1500-1700, ed. R. R. Bolgar, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 91-126; PEDRO
CALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, ed. CIRIACO MORÓN ARROYO, Madrid, Cátedra, 1990,
pp. 17. Mentre Shakespeare utilizzava il Theatrum originale di Zwinger, Calderón dovette
accontentarsi con gli otto volumi della contraffazione di Beyerlinck, come risulta dal testamento del
drammaturgo spagnolo: « Ítem es mi voluntad que los ocho libros del Theatrum vitae humanae se
den y entreguen al padre fray Alonso de Cañizares, religioso de Nuestro Padre San Francisco,
predicador de Su Majestad», cfr. CRISTÓBAL PÉREZ PASTOR. Documentos para la biografía de D.
Pedro Calderón de la Barca, Madrid, Fortanet, 1905, doc. 188, p. 373. Anche BENITO JERÓNIMO
FEIJÓO si valse assiduamente del «Beyerlinck» per la composizione del suo Teatro Crítico
Universal. Discursos varios en todo género de materias , para desengaño de errores comunes,
vol. I-VIII, Madrid, P. Marín, 1726-1739.
621
Sul termine, anche applicato a Zwinger, si veda ora HELMUT ZEDELMAIER, Von den
Wundermännern des Gedächtnisses. Begriffsgeschichtliche Anmerkung zu ‚Polyhistor’ und
‚Polyhistorie’, in CHRISTEL MEIER (Hg.), Die Enzyklopädie im Wandel vom Hochmittelalter bis
zur frühen Neuzeit, München, Finck, 2002, pp. 423-450.
- 194 -
nostro intervento può dirsi raggiunto. È chiaro che nella gran messe di
materiali a stampa e manoscritti lasciati da Zwinger, non è stato possibile
citare molte cose importanti, come per esempio la sua posizione nei
confronti di Machiavelli e dei «politiques», le sue annotazioni in campo
archeologico ed epigrafico, o il suo influsso sulla politica liberale della città
e, soprattutto, dell’Università di Basilea.
Oggi, trent’anni dopo di aver scritto quanto precede, gli studi su
Zwinger sono stati portati avanti da storici della enciclopedia, della
metodologia, dell’università e del teatro; da studiosi della tolleranza, del
paracelsismo, dei Rosacroce e dell’alchimia; da specialisti di Montaigne, di
Andreae, di Althusius e di Comenius; e non ultimo, da storici della stampa,
del commercio librario, dell’epigrafia e dell’arte del viaggio. La
consultazione di opere importanti nell’abbondante bibliografia di Zwinger e
anche di alcuni volumi, di cui egli scrisse le prefazioni, è ora divenuta più
agevole, grazie ad edizioni in Microfiches. E dal suo ricchissimo carteggio
sono state pubblicate in edizione critica (o sono in corso di stampa) lettere
singole e gruppi di lettere di particolare momento. Ma trattandosi di
un’autore del calibro ... ...
QUI SIGNALERÒ, PER CONCHIUDERE, LO STATO DELLE
RECERCHE SU ZWINGER E CHE, COME MODELLO DI EDIZIONE,
PUBBLICHIAMO DUE-TRE LETTERE IN APPENDICE, OLTRE
L’ELENCO COMPLETO DELLE LETTERE, RIASSUNTO
BIOGRAFICO E COSI VIA
Inoltre la parte più preziosa della sua corrispondenza, le lettere cioè
che egli stesso scrisse, giace dispersa e ignota in numerose biblioteche
europee. La presente pubblicazione ha come scopo immediato il
reperiemento di questi materiali, poiché lo studio della corrispondenza
costituisce la più sicura indicazione di percorso all’interno dell’imponente
opera zwingeriana. Nello stesso tempo l’epistolario di Zwinger costituisce
la fonte più ricca e organica per la conoscenza della filosofia, della scienza
e, non ultima, della teologia europea nel passaggio dal rinascimento all’età
moderna.
Appendice I:
CURRICULUM VITAE OVVERO BIOGRAFIA SOMMARIA DI
ZWINGER
Zwinger, Theodor; nato a Basilea il 2 agosto 1533; morto a Basilea
il 10 marzo 1588. Umanista, filosofo e professore di medicina, al centro
della vita culturale della sua città, trasformatosi da strenuo oppositore a
fautore del paracelsismo.
Era figlio di un pellicciaio originario di Bischofszell (Cantone
Thurgau), Leonhard Zwinger (Spiser), e di Christina Herbster, sorella di
quel Johannes Oporino che dal 1527 al 1529 era stato al servizio di
Paracelso. Nel 1544 il padre morì, e la madre sposò in seconde nozze il
teologo e filologo Konrad Lycosthenes (1518-1561), cfr. Herzog (1778), p.
208; Portmann (1987), p. 14.
Zwinger frequentò la scuola «auf Burg» di Thomas Platter (14991591), insieme a Basilius Amerbach (1534-1591) e Felix Platter (15361619), cui rimase intimamente legato fino alla morte. Nel maggio 1548, non
ancora quindicenne, si immatricolò all’università dove fu subito promosso
- 195 -
ai corsi superiori per la sua grande padronanza del greco e del latino. Nel
settembre dello stesso anno egli tuttavia scappò di casa per andare a
conoscere il mondo. Trascorse tre anni a Lione, dove lavorò come
assistente nella stamperia dei fratelli Beringer, cfr. Platter, Vita Theodori
Zwingeri (1594), in Th. Zwinger, Theatrum humanae vitae, ed. 1604, cc. ):(
3v-4r.
Con il denaro risparmiato, nel 1551 Zwinger partì alla volta di
Parigi, dove Petrus Ramus lo accolse paternamente nel suo Collegium
Rameum. Si radicò qui nell’animo del giovane – che senza alcuna guida si
era gettato nello studio dei più disparati ambiti di conoscenza occupandosi
pefino di cabbala – un odio cieco nei confronti di Aristotele. Zwinger
rimase a Parigi solo due anni. Dopo un breve soggiorno a Basilea, nel 1533
egli accompagnò Pietro Perna a Padova, dove, su consiglio di quest’ultimo,
accettò il posto di segretario presso Bassiano Landi, professore di medicina,
ciò che gli permise di iniziare lo studio della medicina e della filosofia
presso quella università.
Dal 1553 al 1559 Zwinger studiò a Padova, dove proprio il Landi,
titolare della cattedra di medicina teorica che era stata di Giovan Battista
Montano, esercitò su di lui particolare influenza. Landi riguadagnò il
giovane Zwinger alla filosofia di Aristotele e, nello stesso tempo, al metodo
di Galeno, e alla concezione galenica di una medicina inserita in una
cornice filosofica (cfr. Gilly (1979), pp. 129-131). Il primo scritto di
Zwinger fu l’edizione di un’opera del Landi, che Zwinger nella sua
prefazione considera come l’espressione più alta dell’aristotelismo - «quo
nihil unquam [...] praeclarius et magis peripateticum post Aristotelis
tempora fuit inventum» (B. Landi, De incremento, Venetiis 1556, cc. a2v3r).
Dopo un successivo soggiorno a Basilea, ai primi di settembre del
1556 Zwinger fece nuovamente ritorno a Padova, divenendo precettore del
patrizio veneziano Lorenzo Priuli, cui egli espose non solo gli scritti di
Aristotele, ma anche i dialoghi di Platone, insegnandogli a ridurli in tavole
analitiche, come lo stesso Priuli ricorderà più tardi, dopo il ritorno di
Zwinger a Basilea («Tu, quantum in Aristotele et Platone te duce paucis
mensibus profecerimus, nosti», Basel, UB, Frey-Gryn. II 5a, Nr. 98). Dopo
il definitivo ritorno a Basilea, la prima edizione di testi filosofici fu quella
che finora è rimasta l’unica edizione completa delle opere dell’allievo
preferito di Ficino, Francesco Cattani da Diaceto (Basel, H. Petri e P. Perna,
1563). Stando agli Atti della Nazione Germanica dell’Università di Padova,
la promozione del «iuvenis si quis alius eruditus» Zwinger a dottore in
medicina e filosofia ebbe luogo nel gennaio 1559, cfr. Favaro (1911), vol. I,
pp. 24, 28.
Tornato da poco a Basilea (il 15 settembre 1559), Zwinger diede
prova del suo sapere e della sua eloquenza in una disputa pubblica in cui
invitò professori e studenti a misurarsi con lui nell’«aula medicorum» sul
divario tra teoria e pratica nell’esercizio dell’arte medica. Nella disputa, il
suo intervento in difesa del guaiaco come cura contro il ‚mal francese’
doveva essere indirizzato contro i primi seguaci di Paracelso. Non trovando
per il momento a Basilea un posto adatto a lui, e vedendolo ancora
desideroso di andare lontano, e comunque di intraprendere una carriera di
letterato, gli amici, preoccupati, videro bene di fargli sposare in tutta fretta
una ricca vedova, Valeria Rüdin (1532-1601), che portò con sé due figli di
- 196 -
primo letto e diede a Zwinger altri otto figli, di cui solo cinque riuscirono a
sopravvivere, cfr. Portmann (1987), p. 18; cfr. anche Basel UB, Ms. Ki.Ar.
142, cc. 9r-12r: Geburts- und Sterbedaten sämtlicher Mitglieder der Familie
Zwingers zwischen 1533 und 1629).
A partire dal matrimonio (17 settembre 1561) Zwinger rimase
sempre a Basilea, presso la cui università egli ricoprì dapprima la cattedra
di greco (1565), poi di etica (1571) e infine di medicina teorica (1580). Fin
dall’inizio egli prese a pubblicare in stretta successione opere di
consultazione di mole sempre crescente tanto in campo medico che
filosofico, opere che egli accompagnava anche con un commento,
generalmente sotto forma di tavole analitiche, quelle tavole che aveva in un
primo tempo appreso da Ramo e poi perfezionato presso il Landi (Gilly,
1979, pp. 130-131, 146-148). Dire che egli abbia sprecato le sue grandi doti
nella promozione di opere altrui, come lamenta Jacques Auguste de Thou
nell’Historiae sui temporis (lib. 49 ad annum 1589), non è del tutto vero. A
nessuno dei suoi lettori più attenti potevano infatti sfuggire le idee
sorprendenti e pionieristiche contenute nei suoi commenti, perfino a
un’altezza cronologica in cui Zwinger poteva ancora essere considerato uno
dei più fedeli seguaci di Aristotele e di Galeno.
Nel 1561 Zwinger pubblicò le sue Tabulae et commentarii tanto
all’Ars medica che al De constitutione artis medicae di Galeno, con due
prefazioni programmatiche, in cui egli – seguendo le orme dei padovani N.
Leoniceno, G.B. Montano, G. Capivacci e B. Landi, ma avendo presenti
anche i suoi maestri parigini, Ramo e A. Turnèbe – già si interrogava in
particolare sulle caratteristiche del metodo scientifico tanto nell’ambito
della scoperta scientifica che in quello della trasmissione del sapere. Da
questo momento, «dieweil er ein rechter Meister war Methodi» - «poiché
era un vero maestro del metodo» (Grynaeus, 1588), e «uti totus erat
methodicus» (Platter, 1594), non c’è un solo libro nell’imponente opera di
Zwinger in cui il problema del metodo non venga affrontato in profondità, e
anzi molti dei suoi scritti recano il termine Methodus, o quantomeno
methodice, già sul frontespizio.
Nel 1565 Zwinger pubblica il Theatrum vitae humanae, una raccolta
di «exempla» appartenenti ad ogni campo dell’esperienza umana che il suo
patrigno Lycosthenes aveva raccolto e che Zwinger aveva ordinato
metodicamente secondo i «praecepta» dell’etica aristotelica. I «praecepta»
vennero anch’essi pubblicati nel 1566 con un commento in forma di tavole,
e vennero presentati come opera complementare alla precedente: Aristotelis
Stagiritae de moribus ad Nichomacum libri decem [...] Ut quorum in
Theatro vitae humanae habituum EXEMPLA historica describuntur,
eorundem in his libris PRAECEPTA philosophica, summa facilitate et
perspicuitate tradita cognoscantur. Il quadro che Zwinger traccia dei
paracelsisti in questa prima edizione del Theatrum, è un quadro di «spiriti
fantastici che senza alcuna vergogna e con il plauso degli ignoranti tentano
di sostiuire all’antica medicina le loro fantasticherie». «Galeno ha
combattuto contro i sofisti», continua Zwinger, «noi invece abbiamo a che
fare con dei mostri. Speriamo appaia presto un nostro vendicatore –
«exorietur fortasse ultor aliquis», cfr. Theatrum (1565), p. 90.
Tra il 1566 e il 1571 Zwinger fu impegnato nell’ampliamento del
Theatrum, che egli voleva trasformare da raccolta esemplare dell’agire
umano in una storia naturale dell’uomo. Egli lavorava nel frattempo anche a
- 197 -
un esame filologico e a una valutazione medico-scientifica degli scritti di
Ippocrate, nella speranza di poter chiudere la bocca una volta per tutte ai
sedicenti innovatori della medicina, che egli reputava solo una schiera di
ciarlatani. Istigato dapprima da Konrad Gessner, poi da Johann Crato,
Simon Scheibe, Johann Wier, Girolamo Donzellini e addirittura dal suo
amico e collega Felix Platter, Zwinger avrebbe dovuto attaccare e
distruggere i «Paracelsica monstra»; egli tuttavia si accontentò, per il
momento, di fornire nella seconda edizione del Theatrum (1571) un quadro
di Paracelso e dei Paracelsisti certo più preciso, ma altrettanto poco
lusinghiero. Aveva infatti problemi ben più radicali da risolvere.
La classificazione aristotelica delle scienze in scienze teoretiche
(physica, mathematica, prima philosophia), ‘poietiche’ (arti e tecniche) e
pratiche (ethica, oeconomica, politica), cui egli aveva fatto riferimento nel
Theatrum del 1565, sembrava in quel momento a Zwinger sufficientemente
ampia da abbracciare tutte le scienze conosciute, e anche quelle ancora in
attesa di essere scoperte. Nella seconda edizione del Theatrum, quella del
1571, tutte le scienze – si tratti di teoretiche, pratiche o meccaniche vengono già riunite sotto un comune denominatore: tutte infatti sono
costituite da «praecepta universalia», prodotti dalla ragione per mezzo della
riflessione, e di «exempla particularia», percepiti dagli organi di senso
nell’esperienza. Già a questo punto Zwinger incomincia a leggere il
binomio praecepta-exempla nei termini di theoremata e historemata, dove il
concetto qui introdotto di ἱστορήμα, deriva dall’uso costante che Ippocrate
fa del termine ἱστορία (historia) per designare i singoli casi clinici. La storia
viene definita da Zwinger «ocularis et sensata cognitio atque demonstratio»
e identificata con l’esperienza: ‘EXPERIENTIA – ἹΣΤΟΡΙΑ – COGNITIO
SENSITIVA’, come si legge nel titolo di uno dei capitoli del Theatrum (ed.
1586, p. 3813), sono termini trattati come perfetti sinonimi. Oltre
all’insistenza sulla necessità di estendere il quadro storico anche alle ‚arti
meccaniche’ e a tutti gli altri ambiti del lavoro e della considerazione
umana, l’assoluta novità consisteva soprattutto nell’identificazione di storia
e esperienza e nella loro contrapposizione alla teoria filosofica. L’una e
l’altra costituivano per Zwinger le due uniche fonti di conoscenza. Egli si
spinge anche un passo più avanti, come dimostra lo spostamento dei valori
cui egli giunge riflettendo sugli scritti e sul metodo ippocratico.
Al contrario della filosofia teroretica, che descrive il comportamento
normativo (exemplaria) di tutte le cose, la storia ne presenta le circostanze
particolari (exempla particularia); queste ultime sono per Zwinger tanto più
efficaci e tanto più adatte ad essere imitate, quanto l’esperienza sensibile
riesce a superare la ragione in fatto di evidenza e certezza. Se per tutto
l’aristotelismo valeva il principio che il grado di certezza di una scienza è
tanto più alto quanto più essa è astratta, ora Zwinger degradava
gradualmente la teoria a probabilità, per dedicarsi con sempre maggiore
intensità alla pratica e all’esperienza, cioè alla historia, in grado di offrire
un maggior grado di sicurezza. Si trattava in ogni caso di una historia che
doveva includere anche le conquiste ‘meccaniche’. È per questo che il libro
dedicato alle ‘mechanicis artibus’ prende, nelle diverse edizioni del
Theatrum sempre più spazio: 25 pagine nella prima, 87 nella seconda e 464
nella terza.
L’aver fatto riferimento solo alla prima edizione del Theatrum, del
1565, senza tenere presenti le successive edizioni del 1571 e del 1586, ha
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impedito ad Arno Seifert (Cognitio historica - Die Geschichte als
Namengeberin der frühneuzeitlichen Empirie) di tener conto
dell’evoluzione del filosofo basileese a partire dal 1571 proprio riguardo
alla concezione della storia, attribuendo la dirompente valenza innovativa
dell’equiparazione di historia ed experientia a Robertus Goclenius e a
Francis Bacon (Seifert, 1976, pp. 79-88, 116), i quali l’avevano invece
ripresa proprio da Zwinger.
La svolta di Zwinger nei confronti del paracelsismo deve aver avuto
luogo abbastanza repentinamente nell’inverno 1575, nonostante il fatto che
egli da qualche tempo avesse preso a produrre nel suo laboratorio preparati
iatrochimici. La sua ultima critica ufficiale ai paracelsisti (in una prefazione
firmata da J. J. Wecker) porta la data 1 gennaio 1576, ma si tratta di un
testo redatto almeno quattro mesi prima (cfr. Nr. 81, nota al 50). Già alla
fine del 1575 Zwinger aveva permesso che, contro ogni regola, l’alchimista
francese Joseph Du Chesne venisse promosso privatamente in casa sua,
naturalmente con l’impegno a mettersi in pari quanto prima con la lettura di
Aristotele e Galeno.
Quando, nell’estate 1576, Zwinger comunicò i primi risultati del
suoi studi su Ippocrate nella Praefatio alla Methodus rustica Catonis atque
Varronis pubblicata da Perna, indicando non nei galenisti, ma soprattutto in
Paracelso il vero successore del grande medico greco, tanto i suoi amici che
i suoi nemici restarono probabilmente a bocca aperta. Già il 20 di ottobre
Toxites si affrettò a far pervenire a Zwinger per mezzo di un suo allievo
uno scritto paracelsiano (come in Sudhoff, 1894, Nr. 171); questo stupì non
poco il latore del plico: «Licet autem norim ante, Excellentia Tua hominis
illius [Toxites] demonstrationibus et scriptis non usque adeo affici, volui
tamen, id a me prestitum intelligat», (Basel UB, Ms. Frey-Gryn. II 28, Nr.
19). Nel marzo del 1577 Bodenstein gli regalò un esemplare del suo scritto
sulla peste (Herrlicher Philosophischer rhatschlag), dedicando di proprio
pugno il volume «Clarissimo viro D. D. Theodor Zwingeren Ad. v. Bod.
d[onum] d[edit] 15. M[artii?] (Basel UB, Sign. VB G 59, Nr. 4). Invece
Jacob Horst, con cui Zwinger era stato per anni in contatto epistolare
discutendo del problema del metodo in medicina, gli rinfacciò
immediatamente di aver preso a proteggere i paracelsisti «i quali in realtà
non fanno che diffondere menzogne»; non era suo desiderio «che grazie
all’elogio di Zwinger i paracelsisti, falsi come sono, si moltiplichino, o che
l’autorità di Zwinger si renda sospetta» (Basel UB, Ms. Frey-Gryn. II 4, Nr.
137). Anche un suo antico compagno degli anni padovani, Paul Hess,
scrisse da Breslavia che Zwinger avrebbe fatto meglio «almeno a non
nominare esplicitamente Paracelso prendendone le difese in pubblico,
poiché ciò non poteva che guadagnargli il giudizio di ateo e ignorante da
parte di persone dotte e pie » (Basel UB, Ms. Frey-Gryn. II 28, Nr. 119).
Forse Hess voleva ricordare a Zwinger la lettera (qui pubblicata) che egli
stesso aveva scritto a G. Marstaller?
Da questo momento in poi Zwinger diviene per i paracelsisti una
sorta di asso nella manica: tanto i francesi, come Joseph Du Chesne, il
Vidâme di Chartres Jean de Ferrières, Bernard Georges Penot, Gillaume
Meilan, Guillaume Baucinet e Isaac Harvet, quanto gli inglesi, come
Thomas Moffett; i danesi come Petrus Severinus e Thomas Fink; i boemi,
come Wenceslaus Lavinius o i tedeschi, come Johann von Kitlitz, Johann
Arndt, Johann Rungius, Salomon Teichmann, Konstantin Oesler, Johann
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Weidner, Paul Linck, Johann Huser e, non ultimo, il basileese Leonhard
Thurneisser – non c’è paracelsista famoso che non abbia fatto visita a
Zwinger a Basilea o non abbia intrattenuto con lui un rapporto epistolare
(per non parlare di alchimisti non paracelsisti come Guillaume Aragos,
François Hotman, Nicolas Barnaud e altri). Delle circa 2350 lettere
indirizzate a Zwinger e conservate come deposito del Frey-Grynaeischen
Institut presso l’Universitätsbibliothek Basel, 500 almeno hanno per
argomento paracelsismo e alchimia. La percentuale aumenta ancora nelle
circa 200 lettere di Zwinger disseminate in diverse biblioteche europee
(Basilea, Wroslaw, Cracovia, Amburgo, Monaco di Baviera, Parigi,
Strasburgo, Vienna, Zurigo). Quanto alle lettere a stampa (L. Scholzius,
Epistolarum medicinalium, medicinalium ac chymicarum [...] volumen,
Frankfurt 1595; poi Frankfurt 1598 e Hanau 1610), tutte e venti le lettere di
Zwinger, come pure le sei lettere a lui indirizzate hanno per argomento
l’alchimia o Paracelso.
Appendice II:
IN NOME DEL TIPOGRAPHO: PREFAZIONE DI ZWINGER A
UN’OPERA DI PARACELSO. INTRODUZIONE, TRASCRIZIONE E
TRADUZIONE.
Theophrastus Paracelsus von Hohenheim, Schreiben von den
Frantzosen in IX Bücher verfasset. Inn welchen nicht allein der Vrsprung /
Zeichen sampt anderen Arzten bisher begangne jrrthummen erkant /
sondern auch die rechte / wahre Cur tractirt wirt. Jetzt erstmals von einem
Liebhaber der Artzney an tag geben. Mit Röm[isch] Key[serlichen]
Maiest[ät] Gnad vnd Freyheyt. Getruckt zu Basel bey Peter Perna. Anno
1577, ff. )?( 2r-6v).
Sebbene la prefazione al lettore venga ascritta al tipografo, e a lui
siano certamente riconducibili almeno le affermazioni a proposito dei criteri
editoriali e dell’acquisizione a Colmar del manoscritto di stampa, è da
escludere che Pietro Perna sia l’autore di questo testo; l’estensore deve
essere piuttosto la persona che spesso aveva redatto per lui (e per il suo
successore Konrad Waldkirch ) prefazioni e dediche, o almeno parti di esse.
Non abbiamo prove dirette che la prefazione in questione sia stata redatta
da Theodor Zwinger, poiché in questo, a differenza di altri casi, gli
interessati non si sono espressi in proposito. Pienamente documentabile è
invece il coinvolgimento di Zwinger nella redazione della prefazione delle
seguenti opere: a) l’edizione del 1 settembre 1570 del De compositione et
usu medicamentorum di Vittore Trincavelli, dedicata a Crato von Kraftheim
(per desiderio espresso di quest’ultimo, cfr. la lettera di Cratone a Zwinger,
datata Speier, 20.VIII.1570, in Basilea UB, ms. Frey-Gryn. II 8, Nr. 460:
«Perna mihi significavit, se librum Trincavellae de compositione
medicamentorum meo nomine velle divulgare. Facile hoc patior, qui
Trincavellica potius eum quam Paracelsica exprimere cupio, modo ut tu
illam προσφώνησιν [dedica] prius inspicias, ne quid παρὰ τὸ πρεπόν
[contro quanto si conviene] committatur»); b) la prefazione «Typographus
lectori christiano et philosopho» in [Hieronymus Wolf], Doctrina recte
- 200 -
vivendi ac moriendi (Basilea, Perna, 1577); cfr. la lettera in proposito di
Wolf, dell’11 giugno 1577, contenente le critiche a Perna («Typographi
licentiam in pervertendo ordine libellorum et audaciam mutandi tituli») e il
ringraziamento a Zwinger («de navata opera [...] maximam habeo
gratiam»), in Basilea UB, ms. Frey.-Gryn I 11, Nr. 356 e, soprattutto, il
testo leggermente diverso della seconda edizione del Vitae et mortis
compendium (Basilea, Waldkirch, 1586), in cui il passo «hosce
commentarios [...] uno volumine complecti volui» del 1577 viene sostituito
con il passo seguente: «uno volumine coniuctos ut ederet, autor fui
Typographo»; c) a Zwinger è riconducibile anche la prefazione
«Typographus lectori medico et philosopho» in Arnau de Villanova, Opera
omnia (Basel, Waldkirch, 1585), che Perna aveva commissionato a
Nicolaus Taurellus, chiamato nel frattempo a Altdorf, e di cui egli aveva
annunciato l’imminente pubblicazione nel catalogo in folio patente del
1578 («Arnoldi de Villanova opera omnia sub praelo»); cfr. la lettera di
ringraziamento del Taurellus a Zwinger del 20 ottobre 1585 «Ex tua in
Arnoldum praefatione satis intellexi tuum erga me amorem et favorem», in
Basilea UB, ms. Frey-Gryn. II 4, Nr. 310; cfr. Gilly (1977), p. 92, 134; d) lo
stesso vale per l’ultimo dei libri pubblicati da Perna, e cioè Johann Jakob
Wecker, De secretis libri septemdecim, Basilea 1582 (almeno dieci
successive edizioni entro il 1750); la dedica di Wecker a Lazarus von
Schwendi è firmata il 1 agosto 1582, esattamente due settimane prima della
morte di Perna, e l’autore è nuovamente Zwinger, che almeno dal 1575
correggeva stilisticamente o redigeva direttamente le dediche latine del suo
amico, e genero, Wecker (cfr. le lettere di ringraziamento di Wecker a
Zwinger per la correzione della dedica prefatoria dell’Antidotarium
generale del 1576: «pro praefatione hab ich grosen danck, ist herlich und
wol gemacht» («pro praefatione ti sono molto riconoscente, è magnifica e
ben fatta»), in Basilea UB, ms. Frey-Gryn. I 4, Nr. 68; e del Medicinae
utriusque syntaxes, sempre del 1576: «die Prefation hab ich gesechen,
gefelt mir recht wol, ist herlich und wohl gemacht» («ho visto la prefazione,
mi piace davvero molto, è magnifica e ben fatta»), in Basilea UB, ms. FreyGryn. I 4, Nr. 71; cfr. anche l’ultima richiesta di Wecker per una «praefatio
vel dedicatio» della Practica medicinae generalis del 1585 all’imperatore
Rodolfo II; la richiesta fu nuovamente accolta da Zwinger, vedi Basilea
UB, ms. Frey-Gryn. II 4, Nr. 336.
E certamente ciò che andava bene per il genero, medico
ufficiale della città di Colmar, ancor meglio andava al vecchio e fidato
amico di Basilea; nel caso di Perna non c’era comunque bisogno di lettere,
perché tra la sua bottega (St. Johannvorstadt 23) e la casa di Zwinger
(Nadelberg 23) correvano poco più di 500 metri. Nel caso di altre dediche,
se è vero che mancano riscontri documentari, è anche vero che abbondano
riscontri tematici e stilistici sulla base dei quali è stato possibile attribuire i
testi a Zwinger: Omer Talon, Opera, Perna 1575 e Waldkirch 1586; Plotino,
Operum philosophicorum omnium, Perna 1580, cfr. Rotondò (1974), p.
344; Machiavelli, Princeps, Perna 1580 (solo la terza dedica, quella
definitiva, «Typographus candido lectori», che sostituì le due precedenti
dediche di Johann Nicolaus Stupanus al vescovo controriformista di Basilea
Jakob Christoph Blarer von Wartensee).
È stato necessario ripetere tutto questo perché, nella sua
recente biografia di Perna, Leandro Perini sostiene che tutte le dediche e
- 201 -
prefazioni uscite dall’officina di Perna con l’intestazione «Typographus»
sono da ricondurre per intero e senza eccezione alcuna a Perna. Perini
imputa inoltre a chi si è occupato fin qui del tipografo basileese (Antonio
Rotondò e chi scrive) di aver creato alle spalle di Perna «con prove molto
labili o addirittura inesistenti» una sorta di fantasma cui verrebbe attribuita
la responsabilità dei testi che il tipografo esplicitemente si attribuisce (cfr.
Perini, 2002, p. 6-7). A riprova Perini cita dai saggi dei suoi predecessori
solo i passi che sembrano tornare utili dal suo punto di vista, rigettando
invece con gran disinvoltura tutte le indicazioni riportate sopra e molte altre
prove e indizi in grado di mostrare la stretta collaborazione tra Perna e
Zwinger, e comprovare la loro appartenenza alla stessa cerchia di amici. In
tal modo Perini si è negato la possibilità di scoprire altre «prefazioni» del
suo «Typographus», come per esempio il già citato caso della Doctrina
recte vivendi del 1577, che egli non conosce, sebbene bastasse digitare il
nome dell’autore e del tipografo per vederne la riproduzione integrale in
internet! Nello stesso tempo Perini tralascia completamente (fatta eccezione
per tre lettere di Perna indicate nel catalogo delle corrispondenze della UB
di Basilea e comunque già note) di considerare l’enorme mole della
corrispondenza di Zwinger, circa 60 lettere pubblicate e più di 2500 lettere
manoscritte, in cui, come abbiamo visto prima, si parla di Perna e dei libri
da lui stampati. Ma c’è dell’altro. Di contro alle affermazioni dello stesso
Perna, che nel 1578 ammise di fronte alla censura «er sye khein gelerter,
könne nur ein wenig Latin» («di non essere un dotto, di sapere solo un po’
di latino», cfr. Guggisberg, 1967, p. 201), Perini insiste nell’esaltare la gran
dottrina del suo eroe, che, durante l’attività febbrile e stressante per
l’imminente Fiera di Francoforte, si sarebbe preso il tempo e la fatica di
curare nei dettagli tanto dal punto di vista stilistico che dei contenuti
ognuna delle dediche prefatorie da lui firmate, testi che spaziano negli
ambiti più vari, dalla medicina, alla filosofia e alla storia. Tutto questo,
naturalmente, non solo in latino, ma anche in tedesco, come mostrano i caso
sopra citati; in tedesco, cioè in una lingua che Perna sapeva certamente
leggere e parlare, ma in cui è ben difficile pensare che egli abbia mai scritto
di sua mano un solo rigo.
Tutto questo non toglie naturalmente nulla al grande apporto
di Perna in campo tanto religioso che scientifico, poiché i grandi meriti che
egli si è conquistato non risiedono solo nelle dediche o nelle prefazioni,
siano esse di mano sua o di altri, quanto piuttosto nel suo ardito programma
editoriale, nella sua grande professionalità di stampatore e tipografo, e nella
collaborazione dei suoi amici, cui Perna si rivolgeva spesso e a alla cui
cerchia Zwinger appartiene fin dalla gioventù. Sulla lunga amicizia tra
Perna e Zwinger, vedi sotto.
Come editore di tutto il libro compare sul frontespizio un
«Liebhaber der Artzney» non altimenti noto.
–––––––––––––––––
[S. )?(2r] TYPOGRAPHVS LECTORI S[alutem ] D[icit].
ALle ding vnter des Himmels thron (geliebter Leser) sein inhalt
bekandnuß aller Menschen wandelbar vnnd verenderlich. Derwegen kein
wunder / ob schon auch die Künsten in gemein / vnd die Göttlichen dingen /
- 202 -
welche von natur gerecht / volkommen / vnd warhafftig von Gott dem herrn
/ der die warheit selber ist / herfliessende / allhie inn diser welt beweglich
vnd verenderlich sein: solches aber beschicht nicht von jhrer angeregter
natur / sondern durch Accidentia vnd zufählen / namlich durch den
corrumpirten vnd gebrechlichen [S. )?(2v] menschen selbs / welcher in
disem wetterlich vnnd verenderlichem stat / dem er vnterworffen / wegen
dunckler befleckung der Corruption / die rechte pur lautere warheit nicht
erkennen kan.
Vnnd wiewol er von natur geneigt zu der wissenheit der
geheimnussen Göttlicher dingen vnnd aller künsten in gemein / vnd zum
rechten zil zu gelangen / suchet vnd grüppelt hin vnnd wider / so kompt
doch niemandts darzu / dann derselbig dem es von Gott gegeben / vnnd
erleuchtet ist / dern lobliche Namen / wie menniglich bewust / vnzalbar
sein. Was aber die andern belanget / welche dz rechte zil nit erreiche[n] /
sondern nur jren selbs opiniones vnd eigensinnigkeit nachgehn / vnd mit
jhrer lehr vnd zufelligen mißbreuchen ein Monarchiam auffzurichten
suchen / die erwecken vnd bringen nichts dann Confusiones vnd
verwirrungen inn der welt / nicht allein in den künsten in gemein / sondern
auch in der Christlichen lehr. Dann gleich wie die rechte Christlich Religion
/ wegen mißbreuch vnd [S. )?(3r] mehrerley zufähl bißher vil gelitten hat /
vnnd noch teglich leiden muß: also ist auch eruolgt vnd noch dermassen
jmmerdar im schwung in der Götlichen vnnd hohen gab der Ertzney kunst.
Dan scheinbarlich ist / daß die Medici altens hehr schier selten einer
meinung / vnd jederzeit mehrer vnd grösserer erfahrenheit notturfftig
gewesen. Wie dann dessen gnugsam exempel / welchermassen die
Medicina bey menschen gedencken / nemlich bey hundert jaren hehr vil
verenderungen gelitten / vnd villeicht an jtzo noch vil mehrers leidet.
Es haben noch bey vnsern zeiten die Auicennisten benantlich die
Arabier triumphiret mit jren Recepten vnd Compositionibus / deren
nammen noch heutigs tag die Apotecken vol stecken / vnd bei den jetzigen
Medicis mehrertheils dermassen im brauch.
Volgendts sein wider auffgestanden die Galenisten vngefehrlich bei
lx jaren / schier eben zu gleicher zeit da Mart[inus] Luther wider die
Bäbstische Religion zu lehren angefangen.
Wenig zeit [S. )?(3v] darnach vngefehrlich bey xx jaren oder minder
/ hat sich der von Gott hochbegabt vnnd erleuchtet Mann Theophrastus
Paracelsus Schweitzer / eines wunderbaren hohes verstands auffgeleynt
wider die Artzney vnnd jrer vermeinten kunst der Medicina / mit solchem
ernst / worten vnd wercken zuuerwerffen / nit allein jhre Recepten vnnd
falschen wohn / sondern auch mit fürtreffenlichen wercken fürgenommen /
klarlichen zu weisen die jrthummen der Arabier vnd Galenisten / ja auch
darneben sich von anfang hehr die fundamenta der Aristotelischen
Philosophey sampt der gantzen Galenischen secten / die Artzney
belangende vmbzustossen vnderfangen / in massen / daß im fahl er den
Clauam vnd Herculis kolben inn henden gehabt hette / Namlich einen
zirlichen stilum zuschreiben (dessen er sich dann / wie man sihet / nicht
geachtet) so wer er zweifels one genugsam starck gewesen zuuertilgen biß
an Herculis seülen die gantze Galenische vnd Arabische Medicin / vnd
seine seülen [S. )?(4r] mit mehrerem Triumph vil weiter hinauß zu
pflantzen / dann Galenus / Auicenna / vnd all andere so seidher des Grossen
- 203 -
Hippocratis gewesen / vnd zu verdunckeln mit seiner Sonnen jr grosses
liecht.
Wiewol er sie aber ohne daß vbel außgehandlet / sie grosser
einfeltigkeit gestrafft: vnd vnter andern daß sie fürgeben dorfften / viel
kranckheiten seyen / die man nicht Curieren vnnd heilen köndte / vnnd wo
sie dann solcher kunst beraubt gewesen / hat er es jhnen gewisen mit der
that vnd fürtrefflichen wercken / alß in der Lepra / Epilepsia / vnnd inn viel
andern dergleichen kranckheiten. Vnd sage das / wann die alten deren
siechtagen vorzeiten nur einen gereiniget vnd geheilet hetten / so wurden
sie mit Aesculapio vnd Apolline / heidnischer thorheit nach / gar in himmel
gesetzt worden sein.
Ich wil nun geschweigen / was für andere Werck mehr (ob Gott
will) in kurtzer zeit an den tag kommen werden durch mittel des
hochgelehrten herren Leonhardi Turneisser zum Thurn / fleissi-[S.
)?(4v]gen nachuolger gedachtes Paracelsi / namlich neben andern die
Erkantnus mehrerleien Simplicium / deren tugendt Paracelsus mit seiner
tewren kunst im distilliren allein gefunden / vnnd menschlichem Cörper zu
grossem heil in brauch gesetzt / zu gleicher gestalt wie er zu grossem
wunder mit den Mineralibus auch erzeigt.
Waß erkandtnus ist vor seiner zeit gewesen von dem Antimonio,
spiritibus Vitrioli oder Sulphuris [?]. Ich wil nit melden von jhren quintis
Essentijs vnd Auro potabile / welche sachen jhme (wie in seinen schrifften /
wunderbarlichen thaten vnd wercken scheinet) leicht vnd gemein gewesen.
Was were nun zu sagen von den vntödtlichen wercken der Chirurgia vnd
jren jeden theilen sonderlich? dises allein were gnugsam jne für einen
rechten von Gott erleüchteten Meister der Ertzney zu erkennen: vnd solches
Werck wöllen wir (ob Gott wil) in kurtz auff ein newes vil Correcter vnd
reichlicher mehrung / dann zuuor durch andere Druckerherren beschehen /
an [S. )?(5r] tag geben / durch den hochgelehrten herrn Doctor Adamen von
Bodenstein / seliger gedechtnuß / ersten imitatoren vnnd befürderern diser
kunst zu stenden bereittet.
Vnd wiewol in gemelter Chirurgia von dem Morbo Gallico was
zertheilter weiß gemeldet wirt / so hat er aber nichts desto weniger ein
sonderbares Volumen in IX Büchern getheilt / derwegen gestelt / welches
zu vnsern henden kommen / ist durch des gelehrten vnd frommen herren
Johannis Oporini / seligen / eigner hand geschrieben / alß er noch inn der
jugent des Theophrasti Auditor gewesen. In solchem exemplar befinden
sich nit allein an viel orten die Correctiones / sondern auch die Argumenta
der inhaltenden Büchern mit des Authoris selbs eigner hand geschriben /
wie dann eines jeden gefallen nach im fahl der noth bei vns zusehen / in
massen daß zweiffels ohne dises Buch warhafftig / vnd nutzlich / des
mehrgedachten Theophrasti pflantzung ist. Wiewol nun wahr daß zwen
geschribne bogen etwas [S. )?(5v] schaden gelitten vnd zum theil erfaulet /
welche örter wir mit den sternlin gezeichnet / dieweil wir den klaren text nit
ersinnen haben können / vnd nichts von andern an solche stell setzen
wöllen. Vnd möchte sich leichtlich begeben / daß mit der zeit ein ander
solches Exemplar gefunden / vnnd der abgang wider erstattet vnnd
volkommenlich gemachet: wiewol in allem vber zehen oder zwölff zeil
nicht mangeln.
Gleicherweiß im ersten Buch manglet das ende / aber wie wir
erachten / sehr wenig: dann es verbleibet inn dem xij Capitel / vnd kein
- 204 -
ander Buch vbertrifft dise zal / ja etlich erreichen es nicht. Derwegen /
geliebter Leser / haben wir dich dise sachen freundtlich vnd trewlicher weiß
berichten wöllen / damit du dich hierinnen zu regiren wissest / vnd sehen /
daß wir in vnsern Büchern ein klare ordnung halten / vnd vns nicht
vermessen / mehrers dan der Author selbs zu wissen / etwas zu verendern /
hinzu oder dauon zuthun / oder darüber zu glossiren / wie dann etliche
vermessne [S. )?(6r] pflegen / vnd jhrer fantasey nach anderer Authoren
Exemplaria corrumpieren / die aber nicht wenig straffwirdig weren. Nun
wie dem allem / so geben wir dir dise Bücher in gstalt vnd massen / wir sie
gefunden / damit du der Richter seiest / vnd nit wir. Fehrner bekennen wir
mit gleichem trewe[m] gemüth / daß wir in dem Exemplar an zweien orten
etliche Annotationes mit des ob berürten herren Doctor Adams von
Bodenstein eigne handschrifft geschriben gefunden / welche wir an seinem
ort mit kleinerer schrifft geregistrirt.
Vnnd ist mir zwar frembd / dieweil ich noch vor iii oder iiii jaren
dises Buch sampt andern schrifften vnd zertheilte bogen gemeltes
Theophr[asti] Paracelsi eigne handschrifften zu Colmar kaufft / vnnd daß
ichs meines wissens / mehrgedachten herren Doctor Adamen von
Bodenstein nie gewisen habe. Es seie nun wie dem wölle / so will ich dich
nit lenger auffhalten / sondern dir hiemit von Gott dem herren vil glück vnd
heil wünschen / damit du hierinnen Gott [S. ):( 6v] zu lob / ehr vnd preiß /
vnd dem nechsten zu wolfahrt was fruchtbarlich außrichtest.
Neben dem so wöllen wir mit Gottes hilff auch nicht feyren / deine
studia inn dieser facultet der Medicina mit andern Büchern zubefürdern.
Der Allmechtig ewig Gott wölle sein gnad darzu / vnnd vns allen nach
disem die ewige freud verleihen. Amen.
In Basel den j. Septembris / Anno M.D.LXXVII.
________________
IL TIPOGRAFO AL LETTORE. Salute.
Tutte le cose che stanno al di sotto del trono celeste (caro lettore)
risultano, come ogni uomo sa, mutevoli e alterabili. Non sorprende, quindi,
che anche le arti comuni e le cose divine, che per natura discendono giuste,
perfette e vere dal Signore nostro Dio, che è la verità in sé, siano in questo
mondo alterabili e mutevoli; ciò non dipende dalla loro natura originaria,
ma dagli accidenti e dal caso, e anzi dall’uomo stesso, che è corrotto e
fragile, il quale, soggetto a questo mutevole e alterabile stato, a causa della
macchia oscura della corruzione, non riesce a riconoscere la verità limpida,
schietta e pura.
Così, pur essendo predisposto per natura alla conoscenza dei misteri
delle cose divine e di tutte le arti in generale, e al raggiungimento del giusto
fine, l’uomo cerca e si lambicca il cervello sempre e di nuovo, e nessuno vi
riesce, se non colui al quale ciò è concesso per illuminazione da Dio, i cui
nomi, come molti sanno, sono infiniti nel numero.
Invece per quel che riguarda gli altri, che non riescono a raggiungere
la giusta meta, ma seguono solo le loro opinioni personali e si lasciano
guidare solo dalla propria caparbia, cercando con la loro dottrina e i loro
casuali abusi di instaurare una monarchia: costoro non riescono a
risvegliare e portare nel mondo altro che confusione e scompiglio, e non
- 205 -
solo nelle arti comuni, ma anche nella dottrina cristiana. E come la vera
religione cristiana ha finora molto sofferto, e continua ogni giorno a soffrire
per abusi e casi di ogni tipo, così è accaduto e continua ancora oggi ad
accadere nella stessa misura anche per il divino ed eccelso dono dell’arte
medica.
È infatti evidente che i medici proprio dall'antichità fino ad oggi
sono stati raramente della stessa opinione e in ogni momento hanno avuto
bisogno di sempre maggiore e più ampia esperienza. E ci sono esempi
sufficienti per dimostrare quanto la medicina, a memoria d’uomo, cioè negli
ultimi cento anni, abbia subito molte alterazioni, e forse ora ne subisce
ancora di più.
Ancora ai nostri tempi hanno trionfato gli avicennisti, come sono
chiamati gli arabi, con le loro ricette e composizioni, i cui nomi continuano
a riempire ancor oggi le farmacie, e che vengono usate dalla maggior parte
degli odierni medici.
Poi, circa sessant’anni fa, più o meno al tempo in cui Martin Lutero
prese a insegnare contro la religione papista, contro di loro si sono levati i
galenisti.
Poco tempo dopo, forse vent’anni o ancor meno, si è levato contro i
loro medicamenti e la loro supposta arte della medicina un uomo molto
dotato e illuminato da Dio, lo svizzero Teofrasto Paracelso, un uomo di
elevatissimo ingegno. Con parole e opere di grande serietà egli ha inteso
non solo rigettare le loro ricette e il loro falso benessere, ma anche mostrare
chiaramente, con opere di grande valore, gli errori degli arabi e dei
galenisti. E, in più, già dal primo momento, ha preso a rovesciare i
fondamenti della filosofia aristotelica e di tutte le sette galeniche riguardo
alla medicina. E lo ha fatto in modo tale che, se avesse avuto in mano la
clava e la mazza di Ercole, se avesse cioè avuto uno stile elegante nello
scrivere (cosa di cui egli allora, come si può vedere, non si prese cura),
sarebbe stato senza dubbio forte abbastanza da estirpare fino alle colonne
d’Ercole l’intera medicina galenica e araba e di piantare le sue, con maggior
trionfo, molto più in là di Galeno, di Avicenna e di tutti gli altri che sono
venuti dopo il grande Ippocrate; sarebbe stato in grado di oscurare, con il
suo sole, la loro grande luce.
Ma anche senza di questo, egli [i.e. Paracelso] ha chiuso loro male i
conti, dimostrando la loro ignorante semplicioneria, e, tra le altre cose,
distruggendo l'opinione da loro diffusa che molte malattie fossero
incurabili, e siccome erano privi di una tale arte, egli ha dimostrato loro,
con fatti e opere di gran pregio, che la cura era possibile, come nel caso
della lebbra e dell’epilessia e in molte altre malattie del genere. Anzi dico
che, se durante la loro vita mortale gli antichi avessero pulito e curato anche
solo uno, sarebbero stati messi in cielo, secondo la loro follia pagana, con
Esculapio e Apollo.
Non voglio ora parlare di quali altre opere (se Dio vorrà) verranno
tra breve alla luce per opera del dottissimo signor Leonhard Thurneisser
zum Thurn, fedele seguace di quel Paracelso di cui si diceva prima, cioè, tra
le altre, la scienza di molteplici semplici le cui virtù sono state riconosciute
solo da Paracelso grazie alla sua preziosa arte di distillare, e di applicarli al
corpo umano con lo stesso successo e così mirabilmente come egli ha fatto
con i minerali.
- 206 -
Quale scienza c'è stata prima di lui dell’antimonio, degli spiriti del
vetriolo o degli zolfi? Non voglio parlare qui delle sue quintessenze e
dell’oro potabile, cose per lui semplici e comuni (come mostrano i suoi
mirabili scritti, fatti e opere). E cosa dovremmo dire delle opere immortali
della Chirurgia e di ogni sua parte in particolare? Già questa sola sarebbe
sufficiente per riconoscere in lui un vero maestro di medicina illuminato da
Dio. Tra breve (se Dio vorrà) vorremmo dare alla luce quest’opera in una
edizione molto più corretta ed ampliata di quella apparsa presso altri
stampatori e messa a punto dal dottissimo signor dottore Adam von
Bodenstein, di felice memoria, primo imitatore e promotore di quest’arte.
Sebbene nella già nominata Chirurgia in maniera frammentaria [già]
si parli del Morbo gallico, egli tuttavia non ha rinunciato a dedicarvi un
volume a parte in nove libri, che è giunto nelle nostre mani tramite il dotto e
pio signor Johannes Oporinus, buon’anima, scritto di sua mano quando in
giovinezza era ancora auditor di Teofrasto. In quest’esemplare si trovano
non solo correzioni in molti luoghi, ma anche gli argomenti dei libri in esso
contenuti, [scritti] di mano dell’autore stesso, come ognuno, se necessario,
potrà vedere a suo piacere presso di noi, in modo che senza dubbio questo
libro è veritiero e utile frutto del più volte nominato Teofrasto. Ora, in
realtà, due fogli scritti hanno subito tuttavia qualche danno e sono in parte
danneggiati: abbiamo segnalato questi luoghi con degli asterischi, poiché
non siamo riusciti a ricostruire il testo con chiarezza e non siamo voluti
ricorrere a integrazioni altrui. Potrebbe facilmente accadere di trovare tra
qualche tempo un altro esemplare del genere così da poter riparare alla
perdita e completare il testo, di cui non mancano tuttavia più di dieci o
dodici righe.
Allo stesso modo manca la fine del primo libro, ma solo poco, a
nostro parere: poiché si ferma al capitolo XII e nessun altro capitolo va
oltre questo numero, anzi alcuni non lo raggiungono nemmeno. Per questo,
caro lettore, abbiamo voluto raccontarti queste cose amichevolmente e con
fiducia, in modo tale che tu sappia orientarti all’interno del libro e veda che
nei nostri volumi noi manteniamo un ordine chiaro e non presumiano di
saperne di più dell’autore stesso, non ci arroghiamo il diritto di cambiare
alcunché, aggiungendo o togliendo qualcosa qua e là o inserendo glosse al
al testo, come alcuni arroganti sono soliti fare, corrompendo di loro fantasia
gli esemplari degli altri autori, operazione che sarebbe degna di castighi non
indifferenti.
Ora, stiano come stiano le cose, noi ti diamo questi libri nella forma
e nella misura in cui noi stessi li abbiamo trovati, in modo che ne sia
giudice tu, e non noi. Inoltre, con la stessa sincerità d’animo riconosciamo
che in questo stesso esemplare abbiamo trovato in due luoghi alcune note
scritte di mano del già nominato signor dottor Adam von Bodenstein, che
abbiamo registrato in carattere minore nei luoghi corrispondenti.
E questo mi sorprende perché ancora tre o quattro anni fa io stesso
ho acquistato questo libro a Colmar, insieme ad altri scritti e fogli sciolti
provenienti dai manoscritti del già nominato Teofr[asto] Paracelso e, per
quel che ne so, non l’ho mai mostrato al già ricordato signor dottor Adam
von Bodenstein. Sia come sia, non ti voglio trattenere oltre, ma augurarti
felicità e salute con l’aiuto di Dio, così che tu possa trarre da qui qualcosa
di fruttuoso che sia di encomio, onore e lode al Signore e di beneficio al tuo
prossimo.
- 207 -
Oltre a questo [i.e. libro], con l’aiuto di Dio, non vogliamo anche
noi, restare oziosi [e continueremo] a favorire i tuoi studi in questa facoltà
di medicina con altri libri. Voglia Dio eterno e onnipotente inoltre
concedere la sua grazia e donare anche a noi tutti felicità eterna. Amen. In
Basilea, il I settembre 1577».
Appendice III
CONTRO PARACELSO E I SUOI SEGUACI
THEODORUS ZWINGGERUS GERVASIO Marstallero Archiatro
Brunswicum. S[alutem] D[icit].
Gratissimae mihi fuerunt literae tuae, vir Doctissime, tum
quia te amicitiae nostrae, quae optimarum literarum studijs Patauij coaluit,
adhuc memorem esse uideo, tum quia veteris et antiquae Medicinae, h[oc]
e[st] ipsius veritatis, te studiosissimum esse reipsa comperio. Itaque ad ea,
quae petis, etsi respondere difficile est, tamen amicitia tua fretus, tibi hac in
re quoque obsecundabor; ut uel hinc intelligas te mutuum in amore habere.
Quandoquidem igitur de Theophrasto Paracelso eiusque
scriptis iudicium meum requiris, sic habeto.
Plurimos adhuc eosque non uulgares testes in vrbe nostra
extare, qui Germanice profitentem audiuerunt, et cum illo quoque
familiariter uersati sunt. Illi cum Theophrasti ingluuiem et impietatem, cum
crassa quadam, uerum audaci ignorantia coniunctam norint,mirari satis
nequeunt, quosdam homines eo amentiae uenisse, ut eum et pietatis et
eruditionis nomine non recentioribus tantum, sed ipsis quoque ueteribus
conferre atque etiam praeferre audeant.
Et quidem de moribus illius verba facere hic superuacaneum
existimo; neque enim eruditioni quidquam uel addunt uel adimunt. De
pietate uero id unum possum testari, multa [c. 15v] de Religione eum
scripsisse, quae apud sectatores ejus adhuc ὡς κειμήλια ἔργα seruantur,
cum interim manifestum Atheismum prae se ferrent. Nota est illius uox,
cum publice profiteretur, et remediorum formulis incantationes quoque
admisceret, reprehensus a quodam, quod parum Christiana haec essent,
inflatis buccis respondit: Will Gott nitt, so helffe der Teufel.
Quin etiam uocatus ad aegrum quendam, cum uix tandem
crapulam hesternam edormisset, accessit. Verum ut sacrosanctam
Eucharistiam eum paulo ante sumpsisse cognouit, indignabundus abijt, in
haec uerba prorumpens: Hatt Er Einem andern helffer gesucht, so darff er
meiner nichts. Quo quidem inhumano facinore, ne dicam impio, territus
Oporinus cum per biennium integrum eum passim per Alsatiam secutus
esset (Basilea namque profugerat Theophrastus, quod liberius et petulantius
in Magistratum fuerat inuectus) ei ualedixit, et in urbem reuersus, relicta
Medicina ad literas humaniores se contulit. Haec et ego et multi alij ex
Oporino saepe audiuimus.
Jam vero quantum ad scripta illius attinet, si conuitia et
maledicta eximas, pauca certe supererunt, atque etiam quidem talia, ut a
somniante potius quam uigilante concepta uideantur.
- 208 -
Veterum doctrinam et authoritatem leuissimis [c. 16r]
rationibus eleuat; sua figmenta interim nulla ratione, sed Chymica tantum
fretus experientia, nobis obtrudere conatur. Aristotelica tria principia reijcit,
quod ex incorporeis corpus componi nequeat. At si uel primis tantum digitis
in Lycaeo potius, quam in fumosis Chymistarum fornacibus uersatus esset,
et futile hoc argumentum, et multo ante confutatum, cognouisset. Elementa
tanquam nimis remota principia sub medici considerationem non uenire
asserit. Et tamen ille idem in gradibus medicamentorum assignandis ex
Elementis ordinem assignare nititur. Humores 4 in corpore quidem reperiri
concedit, uerum non solos: sed quamlibet corporis partem proprium suum
ac peculiarem humorem habere autor est. Quo ipse satis indicat ignorare se
qui primi, qui secundi sint in corpore humores, quae natura, quis usus
humorum.
Jpse interim tres substantias prima corpora statuit, ex quibus
omnes corporis partes constent, siue humorosae sint, siue solidae, siue
spirituosae. In omnibus enim reperiri aliquid, quod sulphuri proportione
respondeat, ardendo, Mercurio exhalando, sali subsidendo, et haec quidem
oculos rudis et imperiti medici effugere, at Chymistae sensibus
comprehendi. Denique Medicum ex igne probari, et omnia medicamenta ui
ignis resolui debere. Dicit multa, pauca probat, [c. 16v] neque in toto
Paramiro (in quo omnes ingenij sui vires et neruos intendisse uidetur) aliud
praeter λόγους ἅνευ λόγου serere uidetur.
Legi librum illum, et quidem diligenter legi. Possem quoque
Theophrasteam Theoricam, si insanire placeret, methodo comprehendere.
Sed ingenue fateor, multum sulphuris ardentis h[oc] e[st] conuitiorum et
calumniarum, plurimum Mercurii fumantis h[oc] e[st] ambitionis et
κενοδοξίας, Salis uero minimum eo in libro me reperisse.
Quae uero haec insania est naturalium rerum artificialia
constituere principia? Aut si ignis artifex ille est, qui occulta haec principia
sensibus conspicienda exhibet, cur non in magno etiam mundo
sublimationes istas uidemus? Meteora certe plurima in dies contingunt,
neque tamen ullus unquam, uel salem, uel sulphur, uel Mercurium in
sublimi natum aperuit. Quod si ea quae ardent sulphurea, quae congelantur
in aquam Mercurialia Meteora esse dixerit, quid prohibet quominus ego
similiter in nominibus ludam, et pro tribus illis puluerem, pinguedinem et
rorem substituam? Nam et in magni mundi partibus saepius occurrunt et
magis generalia uidentur esse.
At uero, ut concedamus, Chymica haec esse principia,
quoniam hi mutationis artificialis, quae quidem ab igne fiat, termini sunt,
nun idcirco naturalia [c. 17r] esse fatebimur? Quod si cogamur, pari certe
ratione Carbonarius a nobis exiget, ut omnia ex carbonibus constare
dicamus, cum omnia uehementiori ui ignis in carbones resolui possint, et
non minus carbones quam Sulphur aut Mercurium in metallis reperiri ipsa
demonstret experientia.
Ex his ipsis iam Paracelsus infert, morbi materiam non in
humoribus quatuor consistere, sed in aliqua trium substantiarum, ut pote uel
resoluto sale, uel sublimato Mercurio, uel incenso Sulphure: uno absurdo
concesso, innumera alia sequi consentaneum est. In hydrope sal resolutus
est et ille quidem expelli debet. Si sal resolutus, an non sulphur quoque et
mercurius necessario separabuntur. Nam cum tria ista corporis naturam
constituant, certe uno aliquo soluto, etiam reliqua duo concident. Deinde
- 209 -
uel totius corporis salem resolutum esse oportebit, uel alicuius partis. Si
totius corporis, et ille expelli debeat, profecto incurabilis erit Hydrops, quia
simul etiam reliquae duae substantiae separabuntur. Sin uero partis
alicuius? Quae illa est, aut enim ad uitam nesessaria est aut non est. Si illud,
resoluto sale tota certe pars illa interibit. Quomodo ergo superuiuet animal?
Sin hoc, quomodo [c.. 17v] lethalis erit morbus? Sed quid ego in istis
ineptijs diutius immoror?
Idem esto iudicium de temperatura, quam corporis uiui
accidens esse arbitratur, et manifeste indicat Medicorum sententiam de
temperatura (unde scilicet generetur et qua ratione forma mixti corporis
appelletur) sese nunquam intellexisse, uel certe malitiose interpretatum
esse. In morbis qualitatum rationem habendam esse negat, proinde non
contraria contrariis, sed similia similibus curari debere aperit. Philosophiae
ignoratio in quantas tenebras Theophrastum induxit? Elementorum
transmutationes non intelligit, nec quomodo intensis uel remissis
qualitatibus formae accedant uel recedant, assequitur. Itaque ne aegrorum
quidem corporum alterationem intelligere potuit. Forma sanitatis et
aegritudinis sibi mutuo succedunt: at medijs qualitatibus fit successio ista.
Quantum enim alterius qualitatibus accedit, tantumdem alterius qualitatibus
detrahitur, et sic sensim formae diuersae introducuntur.
Poterant hoc Chymistae ex imaginario suo lapide
philosophico discere, qui metalla ex specie in speciem mutatione qualitatum
et accidentium aliorum quorumlibet transferre dicitur. Ignorant tamen illi
boni viri omnem morbum [c. 18r] habere formam suam, suam quoque
materiam, et eam duplicem: in qua et ex qua. Nam si haec ex ipsis fontibus
didicissent, nunquam profecto ad tam absurdas imaginationes deuoluti
essent, ut morbum homini similem esse dicerent, qui curari non possit, nisi
similem medicinam nactus fuerit. Similitudinem autem istam ab Anatomia
essata, quae ui ignis perficitur, petendam esse. Ex innumeris certe locis
Paracelsus ipse sibi ipsi contrarius conuinci posset, in quibus contraria
contrarijs adhibet. Itaque uel Medicorum dogmata et rationes non intellexit,
uel certe studio contradicendi noua quaedam inuehere uoluit, ut si quando
rationes deficerent, et calumnias et Bacchicos clamores ueluti ex subsidijs
in aciem produceret.
Iam uero si praxin Theophrasti consideremus, faeliciter
profecto in ea uersatus esse perhibetur. Testatur hoc Oporinus, Indiuiduus
olim illius Comes, testantur et alij permulti, ac saepe etiam infaeliciter ei
cessit. Et quid mirum? Exempla prae oculis habemus cotidiana, eundem
morbum a diuersis medicis per eadem remedia curari et uni quidem omnia
prospere succedere, alteri uero non item. Hoc est ἄφατον illud, quod in
Medico Galenus requirit: Dona Dei optimo Maximi varia sunt. [c. 18v] Et
ut in Ecclesia olim non qui sacris literis uersatissimi, ijden quoque
sanationis dono clarissimi erant, ita quod non necessarium est, ut qui
faelicissime praxin exercent, ijdem quoque doctissimi sint Medici. Atque ut
concedamus (id quod negari non potest) Chymistas praeclaros esse coquos
in parandis medicamentis, num idcirco rationem quoque administrandorum
medicamentorum melius caeteris nouerunt? Vetus error est, Coquinariam
cum Medicina confundere uelle: praestat illa quidem medicinae operam,
non tamen imperat.
Profitetur Theophrastus in suis libris, Omnes morbos a
medico curandos esse. At si exempla proferantur, Theophrastum certe
- 210 -
Medicum non fuisse conuincemus. Ut qui uerbis omnes, reipsa rarissimos
ex deploratis curarit. Nisi quis parum forte inter esse putat, promittat quis
aliquid, an praestet. In medico certe solo curationem morbi positam esse,
quodam in loco non obscure profitetur Theophrastus, ea tamen conditione,
si medicamenta oportuna nouerit. At quid hoc aliud, quam nimium uiribus
suis tribuere, et a diuino auxilio implorando Medicos auertere. Cum illis
persuasum sit, non minus in medico curationem morbi sitam esse, quam in
sutore conficiendi calcei potestatem? Habent Medici prognostica sua [c.
19r] tam salutis quam mortis. At ea semper causae superiori subijciunt, et
Hesiodi illud subinde instillant διὸς μεγάλοιο ἕκητι. At noster ille tanquam
Briaereus aliquis, ipsi etiam Ioui uinculas iniecturus ἁπλῶς et absque
conditione ulla certo temporis spacio morbos quoslibet se profligaturum
profitetur. Norunt hoc eius discipuli, et praeceptorem suum pari audacia,
nec faeliciori sucessu, imitantur.
Illud unum addo, pharmacum quoddam Laudani nomine
Theophrastum circumtulisse, eoque in desperatissimis morbis tantum fuisse
usum, triumque cicerum magnitudine, saliua prius subactum, exhibuisse.
Medicamento deuorato aegros leuis somnus corripiebat; a somno melius
habebant semper, non tamen omnes conualescebant. Vim quandam
soporiferam in eo fuisse, somnus ipse indicat. Nec tamen usus illius tutum,
quandoquidem in deploratis tantum eo utebatur absque discrimine. Qui eo
usi fuissent, et conualuissent, post aliquos menses grauioribus morbis
correptos, nonnulli testantur. Utut sit, narcoticum mira arte temperatum esse
oportuit.
Oporinus certe, spe huius medicamenti allectus,
Theophrastum integro biennio sequutus est. Verum cum eum promissis non
stare uideret, et noua illa (quam supra recitaui) exacerbatio accessisset, [c..
19v] remissit illum cum Laudano et Spagiricis praeparationibus, portione
tamen Laudani prius ab eo donatus, qua postea semetipsum Oporinus
seruauit, cum pilulis de praecipitato deuoratis (quas in vsu habebat
Paracelsus) copiosam aquam frigidam bibisset, et toto corpore intumuisset,
ut pro deplorato haberetur. Narrat et illud Oporinus, Theophrastum integro
biennio sese nunquam exuisse noctu. Bene potum media nocte surgere, et
gladio (quem a Carnifice quodam emerat) hinc inde parietes petere solitum,
ac si cum Cacodaemone aliquo pugnaret. Profussus alioqui et pecuniae
contemptor, non quidem pauperibus erogans aliquid, sed ebriis rusticis. Et
haec quidem de Theophrasto.
Quod si iam eius sectatores aggredi fas est, digni certe
praeceptore discipuli esse uidebuntur, et ut in prouerbio est: κακοῡ κόρακος
κὰκιστον ὠόν.
Adamus a Bodenstein ante biennium, ni fallor, cum nihil
adhuc tum ex Theophrasti scriptis editum esset, Collegio Medicorum in hac
urbe libellum quendam obtulit, ut si dignus uideretur in publicum exiret.
Medici igitur nostri, ne forte inuidia tantos Thesauros suppresisse
uiderentur (iam enim celebre erat Theophrasti nomen, et nescio quae arcana
mysteria ampullosis et sesquipedalibus verbis [c. 20r] iactabantur) quamuis
τά σκοτείνα ἐκείνα non intelligerent, ut tamen ederetur permiserunt:
sperabant semper meliora et ea quae sequerentur clariora et aperta magis
fore arbitrabantur. Diuersi postea libelli eiusdem autoris absque autoritate
nostri Collegii in uulgus prodierunt, quos veritatis cognoscendae studio
medici nostri aequo animo pertulerunt. Caeterum cum omnia Theophrasti
- 211 -
scripta eiusdem fere generis esse iam constaret, Medicorum collegium
Adamo seuere interdixit, ne quid amplius similis argumenti vel in urbe vel
alibi suo nomine edendum curaret. Nam neque rationes solidas ullas
subesse, neque calumnias illas diutius perferri posse. Pariturum sese ille
professus est. Ego certe illo familiariter in caeteris rebus utor, in Medicina
non item. Eaque causa est, cur grauius aliquid de illo scribere nolim.
In praxi praeceptorem suum imitatum promittunt certe
Medici, praesertim Theophrastaei. Sed nihil maius ab eo hactenus
praestitum uidi, quod non idem a Galeni sectatoribus minori cum sumptu et
periculo praestari potuerit. Exempla odiosa sunt, quorum tamen aliquot
perferre possem. Verum enim uero inimici fortassis animo haec scribere
uidebor.At quam inimico nosti.
Velim ego atque adeo peruelim [c. 20v] et Theophrasti
medicinam et Adami pollicitationes ueras esse; quantum putas compendij
studijs nostris accederet? Quin etiam studiosos hortor, et hortabor, ut
Chymicam hanc parandorum medicamentorum rationem discant et
obseruent. Sed illud multo magis, ut Methodum illis utendi non ex
fornacibus Chymicis, sed ex scholis philosophorum et χαριέντων ἰατρῶν
petant. Plurima certe medicamenta Arabes inuenerunt, neque tamen idcirco
a Graecorum placitis recesserunt, praeterquam in paucis. Thessalus olim
Methodum quandam in caelis habitantem fingebat. At quae saeculi nostri
uel infaelicitas uel amentia? In tenebrosis pannosorum Chymistarum
fornacibus latitantem Theophrastus eruit. Credamus hoc illi, licet nunquam
reipsa experiemur, nisi quis forte nouum hominem noua ratione utentem
introducere uelit. Nam qui haec monstrosa fingunt, satis aperte portentosa
sua produnt ingenia. Et tamen ut maiorem scriptis suis autoritatem
concilient, et tanquam ex Aditis mera oracula locuti uideantur, vocabulis
Graecis, Arabicis et Haebraicis, quaeque ne ipsi quidem satis intelligunt,
hiantibus discipulis obtrudunt. Theophrastus certe, si quando ab auditoribus
de re quapiam difficile interrogaretur, tam ambigue et obscure respondebat,
ut facile cum Delphico Apolline certare posse [c. 21r] uideretur.
Peculiare hoc semper fuit Magis et omnibus aliis qui uetitas
artes exercerent, aut qui sub honestae scientiae praetextu monstrum aliquod
alerent, ut ignotis uocabulis sapientiae existimationem apud rudem
plebeculam uenarentur. Id ipsum ex Haeresiarcharum rebus gestis uidere
licet. Ego certe, si sectam aliquam ordiri aut fouere in animo haberem, non
Graeca tantum et Hebraea, uerum Turcica quoque et Tartarica Verba
intermiscere possem. Eodem consilio Theophrastus barbaribus uocibus Ilec
et Adec et Scaiolis monstrosis, quin etiam diuersarum linguarum
compositionibus sua scripta ceu flosculis quibusdam exornauit, ut imperitis
cruce simul cum laqueo suffigeret.
Interim tamen, si Diis placet, Medicorum Lutherum illum
appellare asseclae eius non uerentur. Quod si nouitate usque adeo
delectantur et Veterum scripta absque ulla ratione contemnunt et huius
insaniam habent autorem Theophrastum, illis quidem Lutherus esto, ac
uideant interim, ne eos, qui maxime dissimiles sunt, temere et absque
iudicio comparare inter se conentur. Num sacrosancta Euangelia (quorum
fides sola autoritati constat) Lutherus reiecit? Num aduersarios suos absque
ratione oppugnauit? Minime. At Theophrastus et Veteres contempsit et
noua quaedam dogmata ἄνευ λόγου proposuit. Ergo [c. 21v] Lutherus
Medicorum (an potius eorum Arrius) appellari debebit! Quod si nimis longe
- 212 -
petita est Metaphora, sit certe nouus quidam Thessalus, non Trallianus: sed
Eremitanus.
Et haec quidem de Theophrasto et eius Ajace dicta sint,
quae, ut uera sunt, ita me illorum neque pudet neque pudebit unquam.
Veritatis enim potior habenda est ratio, quam ullius uel gratiae uel
amicitiae. Ratio enim Tyronum habenda est, qui his ueluti discipulis
facillime illaqueantur, ut ardua uerae uirtutis et eruditionis uia relicta, ad
planam illam atque patentem errorum atque ignorantiae semitam declinent.
Nulla fuit unquam tam absurda haeresis, quae non suos habuerit fautores.
Quod si hoc in Religione accidit, cuius errata aeterna morte coercentur,
quid de Medicina esse debet, in qua et φιλοτιμία et φιλοχρηματία homines
ad quaevis etiam maxima scelera incitare possunt. Erit fortassis aliquis, qui
utriusque medicinae collatione, et veteris illius et Theophrasteae nouae
ueritatem tueri aggredietur.
[p. 67*] Iam vero quae in fine epistolae de matris tuae
valetudine subgiungis, id quoque mihi tuo nomine molestum est. Neque
vero ego vel ad illam vocatus, vel unquam ea de re compellatus fui.
Judicium tuum de Tabulis nostris in Galenum, cum quia ab homine docto,
tum quia ab amico sincero non ab adulatore profectum est, mihi
iucundissimum accedit. Sed vereor ne ex abundantia quadam amoris erga
me plus mihi quam oporteat tribuas. Primus ille rudisque foetus fuit; qui
sequentur politiores fortassis, et eruditiores erunt. In Ethicis, Politicis et
Oeconomicis Aristotelis resoluendis nunc totus sum, nec minus hac ratione
modo communibus studijs bene mereri posse confido, quam si vel medica
tractem, praesertim cum Cyclopes nostri non medicinam tantum, verum
etiam philosophiam uniuersam [p. 68] ut inanem et methodo carentem
vituperare non erubescant, atque id agant, ut quae multis seculis vix dum in
ordine redacta sunt et constituta, ea rursus in chaos antiquum reuoluantur.
Sequentur fortassis, Deo dante, tabulae in totam artem Medicam ordine
compositiuo traditae. Plura non addo, ne nimium pollicendo nihil videar
polliceri.
Joachimi Senensis praxis medica, opus eruditum, a Perna
typographo non ita pridem in lucem emissum est. Oporinus prae manibus
habet Cardani commentarium in Aphorismos Hippocratis, quam doctos
autor ipse uiderit. Harmoniam quoque Graecorum posteriorum, ut puta
Aegineta, Oribasij, Aetij et similium, a Massario editam. Crato periochen in
Methodum Galeni compendiosissimam et utilissimam euulgauit. Gesnerus
in historia stirpium totus est. Haec ego ad te prolixius fortassis quam pro
epistola; verum ita existimes, Marstallere doctissime, ut nihil amicitia tua
vel gratius vel optatius mihi accidere potuit, ita quoque hoc ipso tempore,
quo tecum per literas colloquor, nullum aliud magis iucundum contingere
posse. Tu modo, quae tua est humanitas, rudi et incondito stylo primum,
deinde rerum tenuitati veniam des: Quandoquidem haec ipsa, quae multa
tamen longaque consideratione [p. 69] indigebant praecipitare καὶ
aὐτοσχεδιάξειν festina nuncij abitio coegit. Alias de his plura.
Vale, amicorum suauissime atque eruditissime, atque a nobis
omnia ea, quae ab amico animo expectari possunt, officia iure tuo flagitare
et exigere perge.
Basileae, VII. Januarij. M.D.LXIIII.
- 213 -
Obtulit Adamus a Bodenstein ante menses aliquot collegio nostro
libellum Theophrasti de peste, in quo sui similis est Theophrastus, in
calumnijs atque figmentis φορτικώτατος. Eum igitur supprimendum esse
medici censuerunt. Perlegi ego totum et quae ἀμεθόδως ac confuse a
Theophrasto dicta sunt, in ordinem redegi, typoque descripta ad te mitto, ut
vel hinc si opus sit studiosi discant, Theophrasti scripta a Galeni quoque
sectatoribus legi, eo quidem iudicio, ut quae nec Theophrastus ipse, nes eius
asseclae potuerunt vel poterunt unquam in his artificium quoque
didascalium inuenire et obseruare queant.
Leguntur igitur a viris doctisTheophrasti scripta, verum cum
iudicio, et propterea illis non acquiescunt; non quia a Deo non sunt
illuminati, sed ob illud ipsum, quod a Deo sunt illuminati, hoc est, quod ea
rationis perspicacia sunt praediti, ut verum a falso discernere possint.
Tu ergo, vir doctissime, ex breui ἀνατυπώσει Theophrasteae
Medicinae, quam in peste observavit, coetera quoque cognosce; ex uno
crimine disce omnes reliquas ineptias. Vale iterum.
Pestis seminaria non obscura in urbe nostra grassantur; nemo
tamen quod sciam vel magna [p. 70] pollicentem Adamum consuluit, nisi
forte, ut ille ait, virtutem incolumen odimus, sublatam ex oculis quaerimus
inuidi. Atqui nemo est qui tam certo periculo plus suis affectibus quam suae
saluti dare malit. Vos ergo isthic acutius Adami excellentiam dijudicare
potestis, quam nos hic, tantum homo homini praestat. Hoc certe habet
Adamus, quod sua mysteria non cuiuis communicat, nec nisi precibus et
pretio magno solicitatus.
Theodorus Zwinggerus.
Varianti al testo
1.
(f. 15r) brunswicum] C: brunsuicum
2.
(f. 15r) literae] A: ljterae
3.
(f. 15r) vir Doctissime] A: manca
4.
(f. 15r) amicitia] A: amjcitia
5.
(f. 15r) literarum] C: artium
6.
(f. 15r) coaluit] B C: coaluit; A: aluit
7.
(f. 15r) hac in re quoque] BC: hac quoque in re
8.
(f. 15r) audieuerunt] C: audierunt
9.
(f. 15r) nequeunt] A: nequunt
10.
(f. 15r) conferre] C: conferrent
11.
(f. 15r) superuacaneum] C: supervacuum:
12.
(f. 15v) ferrent] C: ferret
13.
(f. 15v) Will Gott nitt, so helffe der Teufel] B (al margine)
und C (nel testo): Si Deus nolit, iuuet nos Diabolus
14.
(f. 15v) crapulam hesternam] B: crapulam externam
15.
(f. 15v) A (al margine): Colmariae
16.
(f. 15v) Hatt Er Einem andern helffer gesucht, so darff er
meiner nichts] B (al margine, altra mano) und C (nel testo): Si quaesijsti
alium auxiliatorem, non eges mea ope
17.
(f. 15v) supererunt] B: superunt
18.
(f. 16r) Humores 4] B, C: Humores quatuor
19.
(f. 16r) solos] B, C: solis
- 214 -
20.
(f. 16r) ipse] B, C: ipso
21.
(f. 16v) λὸγος ἄνευ λόγου] Α: λόγους ἄνευ λόγου
22.
(f. 16v) haec insania] C: insania haec
23.
(f. 16v) aperuit] C: asseruit
24.
(f. 16v) quominus] A: quo minus
25.
(f. 17r) materiam] C: naturam
26.
(f. 17r) et mercurius necessario]C: et necessario
27.
(f. 17r) incurabilis] A: mirabilis; B, C: incurabilis
28.
(f. 17r) quae] B: quae nam; C: quaenam
29.
(f. 17v) ex imaginario] A: et Imaginarii; B, C: ex imaginario.
30.
(f. 17v) in speciem mutatione qualitatum] A: in speciem
qualitatum
31.
(f. 18r) Anatomia] A: Auicenna, aber korr. in Anatomia
32.
(f. 18r) produceret] A, B: A: producerent
33.
(f. 18v) praxin] A, B: praxin; C praxim
34.
(f. 18v) idcirco] B: id circa
35.
(f. 18v) spacio] C: spatio
36.
(f. 19r) eius] C: etiam
37.
(f. 19r) pari audacia, nec faeliciori] B, C: pari nec feliciore
38.
(f. 19r) Laudani] B, C: Laudani; A: Landini
39.
(f. 19r) utebatur] B, C: utebantur.
40.
(f. 19v) copiosam aquam frigidam] C: copiosam aquam
41.
(f. 19v) κάκιστον] B, C: κακόν
42.
(f. 19v) tum ex] A: tum a; C: dum ex
43.
(f. 19v) auoris] C: auctoris
44.
(f. 19v) autoritate] C: authoritate
45.
(f. 19v) quos] C: quas
46.
(f. 19v) pertulerunt] C: pertulerant
47.
(f. 19v) imitatum] C: imitaturum
48.
(f. 20r) pollicitationes] B: policitationes
49.
(f. 20v) in caelis] A: incolis; B, C: in caelis
50.
(f. 20v) amentia? In] A amentia in; B, C: amentia? In
51.
(f. 20v) certare posse] C: certasse; A, B: certare posse
52.
(f. 20v) dissimiles sunt] A, B: dissimiles sunt; C: dissimiles
sint
53.
(f. 20r) Ergo Lutherus] A: Ergo Lutherus Medicorum. An
potius eorundem Arrius appellari debetur; B, C: Ergo Lutherus Medicorum
appellari debebit!
54.
(f. 20r) Trallianus] B: Thrallianus
55.
(f. 20) habenda est ratio] B, C: habenda est ratio; A: habenda
ratio.
56.
(f. 21v) illaqueantur] A: illuqueantur; B: illoqueantur; C:
illaqueantur
57.
(f. 21v) hoc] B: haec
58.
(f. 21v) aggredietur] A: aggredietur. Hactenus Zwingerus.
59.
(p. 69) Perlegi] C: Perlegi; B: Eum igitur supprimendum esse
medici censuerunt. Perlegi
60.
(p. 69) illuminati] C: illuminati, hoc est; B: illuminati, sed ob
illud ipsum, quod a Deo sunt illuminati, hoc est,
61.
(p. 69) Theodorus Zwinger] B, C: Theodorus Zwinggerus
- 215 -
––––––––––––––––––––-
THEODOR ZWINGER a GERVASIO Marstaller Archiatra
Braunschweig. Salute.
Ho ricevuto le tue lettere con grandissimo piacere, uomo
dottissimo, non solo perché ti mostrano ancora memore della nostra
amicizia, cresciuta con lo studio delle ottime lettere a Padova, ma anche
perché in esse ti scopro intento nello studio dell’antica medicina, cioè della
verità stessa. E sebbene sia difficile rispondere alle domande che poni, ti
asseconderò in questo tuo desiderio, forte dell’amicizia che mi porti. Potrai
così intendere come anch’io ricambi l’amore nei tuoi confronti.
Poiché mi chiedi un giudizio su Teofrasto Paracelso e sui
suoi scritti, ecco ciò che ne penso.
Ci sono ancora nella nostra città molte persone, e non
persone qualunque, che hanno ascoltato di persona le sue lezioni in lingua
tedesca e hanno addirittura avuto con lui stretti rapporti personali. Costoro,
conoscendo la smoderatezza e l’empietà di Teofrasto, unita ad una crassa e
invero audace ignoranza, non sanno spiegarsi come alcuni siano giunti
all’assurdità di paragonarlo per pietà ed erudizione non solo agli autori più
recenti, ma anche agli antichi, giungendo anzi a preferirlo ad essi.
Ritengo tuttavia superfluo parlare qui dei suoi costumi, che
nulla possono togliere o aggiungere alla sua scienza. Quanto al suo
atteggiamento nei confronti di Dio e della religione, posso dire solo una
cosa, e cioè che egli [c. 15v] ha scritto molto in proposito, che i suoi
seguaci ancor oggi conservano gelosamente i suoi scritti come se fossero
tesori, sebbene siano contrassegnati da un aperto ateismo. È quasi
proverbiale una sua battuta, quando, al tempo in cui esercitava ancora
pubblicamente intercalando incantazioni a formule medicinali, a uno che gli
obiettava di parlare poco cristianamente, egli rispose sbuffando: «Se Dio
non vuole, che m’aiuti il diavolo».
E un’altra volta, chiamato al capezzale di un malato, si
presentò senza avere del tutto smaltito gli effetti della crapula del giorno
prima. Saputo che costui aveva ricevuto poco prima la santa comunione, se
ne andò indignato urlando: «Se ha cercato l’aiuto di un altro, allora non ha
certo bisogno del mio». Al che, atterrito dal modo di fare disumano e direi
quasi empio, Oporino, che per due anni interi l’aveva seguito per l’Alsazia
(Teofrasto aveva infatti dovuto abbandonare Basilea per essersi comportato
senza alcun rispetto né vergogna nei confronti di un magistrato) si allontanò
da lui e, tornato in città, si diede allo studio delle umane lettere
abbandonando la medicina. Questo è quanto io e molti altri abbiamo più
volte sentito dal racconto di Oporino.
Per quanto riguarda i suoi scritti, se togli improperi e
maledizioni, ben poco ne resta e si tratta comunque di cose che sembrano
concepite e scritte piuttosto nel sonno che nella veglia.
Con ragioni molto labili egli tenta di distruggere la dottrina e
l'autorità degli antichi [c. 16r], e di farci ingoiare le sue fantasie non con la
ragione, ma poggiando solo sulle esperienze chimiche. Respinge i tre
principi aristotelici, poiché non crede che un corpo possa comporsi di
elementi incorporei. Ma se solo avesse studiato i rudimenti
- 216 -
dell’insegnamento del Liceo, invece che dedicarsi esclusivamente ai fumi
delle fornaci chimiche, avrebbe riconosciuto la futilità di un tale argomento,
già confutato molto tempo prima di lui. Egli afferma che gli elementi sono
principi troppo remoti per essere presi in considerazione dai medici. Eppure
egli stesso parte dagli elementi nel tentativo di assegnare un ordine graduale
ai medicamenti. E concede che nel corpo si trovano quattro umori, e non
solo: attribuisce a ciascuna parte del corpo un umore che le sarebbe proprio.
E nel far ciò mostra di ignorare egli stesso quali umori corporei siano
primari, quali secondari, quale sia la loro natura, quale sia il loro uso.
Contemporaneamente egli asserisce che esistono tre sostanze
prime, da cui deriverebbero tutte le parti del corpo, siano esse liquide,
solide o aeree. In ognuna di esse si troverebbe infatti qualcosa che
corrisponde ardendo allo zolfo, esalando al mercurio, depositandosi al sale.
Tutto ciò sfugge secondo lui agli occhi rozzi e inesperti del medico, ma non
ai sensi accorti del chimico. Il medico deve dunque passare per la prova del
fuoco, e con la forza del fuoco si devono produrre tutti i medicamenti. Parla
molto, fornisce poche prove di quel che dice, [c. 16v] e in tutto il
Paramirum (in cui sembra aver messo a frutto tutte le forze del suo ingegno
e i suoi nervi) non sembra fare altro che intrecciare parole senza ragione.
Ho letto quel libro, e l’ho letto con attenzione. Potrei
addirittura cercare di applicare il metodo per comprendere la teoria di
Teofrasto, se mi sentissi votato all’insania. Ma, per dirla francamente, in
quel libro ho trovato molto zolfo ardente, fatto di improperi e calunnie,
molto mercurio fumante, fatto di ambizione e vanità, ma sale quasi nulla.
A cosa può mai servire questa follia di spiegare la
costituzione delle cose naturali per mezzo di principi artificiali? E se
davvero è il fuoco l’artefice che rende esperibile ai sensi questi principi
occulti, come mai non siamo testimoni di queste sublimazioni anche nel
macrocosmo? Ogni giorno appaiono molte meteore, ma mai si manifestano
sale o zolfo o mercurio nelle regioni superiori. E se quelle che ardono sono
sulfuree, quelle che si congelano nell’acqua sono mercuriali, chi mi vieta –
per giocare anch’io con i nomi – di sostituire i tre principi paracelsiani e
parlare invece di polvere, grasso e rugiada, tre cose che nelle varie parti del
macrosmo si manifestano certamente più frequentemente e sono dunque più
generali?
Invero, anche concedendo che queste tre sostanze chimiche
siano principi in quanto risultanti dalla mutazione artificiale che ha luogo
per mezzo del fuoco, vorremo forse spingerci a considerarle principi [c.
17r] anche delle cose naturali? Spingendoci tanto in là, a pari diritto un
carbonaio potrà esigere da noi che si affermi che tutto deriva dai carboni,
visto che la più potente forza del fuoco può ridurre tutto in carbone, e
l’esperienza mostra che nei metalli è possibile trovare carbone non meno
che zolfo e mercurio.
A partire da questi principi Paracelso conclude che la materia
della malattia non risiede negli umori, ma in una delle tre sostanze, il che
significa o nel sale disciolto, o nel mercurio sublimato o nello zolfo arso:
vedi come concedendo anche una sola assurdità, ne conseguono
necessariamente innumerevoli altre.
Nell’idropisia il sale è disciolto eppure va ugualmente
espulso. Se il sale si discioglie, non si separeranno necessariamente anche
zolfo e mercurio? Infatti, poiché questi tre principi costituiscono la natura
- 217 -
dei corpi, se uno solo di loro esce dalla composizione, anche gli altri due
elementi vengono a cadere con esso. Inoltre occorrerà eliminare il sale o da
tutto il corpo, o solo da una parte di esso. Se da tutto il corpo, chi soffre di
idropisia sarà insabile, perché come il sale anche le altre due sostanze si
separeranno. O forse solo una loro parte? Qualunque sia questa parte, essa
sarà necessaria alla vita, oppure no. Nel primo caso, una volta eliminato il
sale, la parte certamente morirà. E come potrà allora sopravvivere
l’animale? Nel secondo caso [c. 17v] come potrà il morbo risultare letale?
Ma perché perdere ancora tempo in queste inezie?
Lo stesso vale per le sue considerazioni intorno alla
temperatura, che egli ritiene essere un accidente del corpo vivente,
mostrando di non avere mai compreso la posizione dei medici in proposito
(da che cosa essa si generi e per quale motivo venga detta forma del corpo
misto), o, quantomeno, di averla interpretata maliziosamente. Nega inoltre
che nel considerare la malattia si debba tenere conto delle qualità, e non
crede dunque che i contrari debbano essere debellati dai contrari, ma
piuttosto che i simili debbano essere curati con i simili. In quali tenebre
l’ignoranza della filosofia ha trascinato Teofrasto! Egli non ha compreso la
trasmutazione degli elementi, né in qual modo l’aumento o l’indebolimento
delle qualità regoli l’accesso o il recesso delle forme. La forma della salute
e della malattia si succedono mutuamente, e tale successione avviene in
virtù delle qualità medie. Infatti una qualità recede dalle caratteristiche che
le sono proprie nella stessa misura in cui viene alterata, e così,
gradualmene, le nuove forme vengono introdotte.
Gli alchimisti possono aver appreso tutto questo dalla loro
immaginaria pietra filosofale, che, come loro affermano, trasformerebbe i
metalli di specie in specie per mutazione di qualità e accidenti. I
brav’uomini ignorano però che ogni malattia [c. 18r] ha una forma propria,
e una sua materia, quest’ultima duplice, nella quale [sussiste] e dalla quale
[deriva]. Se avessero infatti appreso la dottrina direttamente dalle fonti,
certo mai sarebbero giunti a pensare cose tanto assurde, come, per esempio,
ad affermare che la malattia è simile all’uomo, che non può essere curato se
non offrendogli una medicina simile a lui. Questa similitudine deve essere
stata presa dall’anatomia «essata», che viene portata a termine dalla forza
del fuoco. Ci sono moltissimi luoghi in cui Paracelso stesso potrebbe
convircersi del contrario, poiché egli stesso si contraddice. Pertanto o non
ha compreso gli insegnamenti e le ragioni dei medici, o ha voluto introdurre
tesi nuove per il solo gusto di contraddire, come quando, a corto di ragioni,
fa ricorso nella disputa a calunnie e clamori bacchici.
Se consideriamo invece la pratica di Teofrasto, lo troviamo
al contrario felicemente versato in essa. Ne rende testimonianza Oporino,
che gli è stato compagno, e lo testimoniano anche molti altri, sebbene
affermino che le sue cure non giungevano sempre a buon fine. Non c’è da
meravigliarsi. Abbiamo giorno per giorno davanti agli occhi molti esempi:
cure uguali per le stesse malattie, nelle mani di medici diversi, talvolta
portano al risultato desiderato, talvolta invece all’insuccesso. È quello che
si dice ἄφατον, quel ‘non so che’ che Galeno richiede al medico: i doni di
Dio ottimo massimo sono diversi. [c 18v] E come nell’ambito della Chiesa
un tempo chi fosse versatissimo nelle sacre lettere non aveva per questo il
dono di sanare gli altri, così anche in campo medico chi esercita
felicemente la prassi non è necessariamente nello stesso tempo anche un
- 218 -
medico dottissimo. Ma concediamo anche che gli alchimisti siano degli
ottimi cuochi nel preparare i medicamenti (ciò che certo non si può negare),
chi dice che per ciò stesso sappiano somministrare tali medicamenti meglio
degli altri? È un vecchio errore confondere la medicina con l’arte della
cucina: quest’ultima è infatti al servizio di quella, ma non deve dettarle
legge.
Teofrasto sostiene nei suoi libri che ogni malattia può essere
curata dal medico. Tuttavia, a fare degli esempi, dovremmo concludere che
Teofrasto non fosse un medico, poiché a parole egli ha curato tutti i malati,
ma in realtà ne ha guariti pochissimi. A meno di non voler giudicare alla
stessa maniera chi promette solo e chi, invece, mantiene le promesse fatte.
In un certo passo Teofrasto afferma apertamente, e non a torto, che la cura
di una malattia risiede solo nel medico, a condizione che costui conosca le
medicine opportune. Cosa significa tutto ciò se non porre troppa fiducia
nelle proprie forze, distogliendo i medici dal chiedere l’aiuto divino? Egli si
mostra infatti persuaso del fatto che la cura sia riposta nel medico, non
meno che in un ciabattino la capacità di confezionare un calceo. I medici
possono fare i propri pronostici [c. 19r] di vita e di morte, ma in ogni caso
essi sottostanno ad una causa superiore ed è instillato in loro il volere del
gran Dio, come dice Esiodo. Ma il nostro, come Briareo ἁπλῶς, vuole
legare lo stesso Giove e mostra di voler sanare ogni morbo in un certo arco
di tempo e senza sottostare a condizione alcuna. Di queste opinioni si
nutrono i suoi discepoli, e, pari per audacia al loro precettore, né
caratterizzati da maggior successo, vogliono imitarlo.
Aggiungo solo che Teofrasto portava sempre con sé un certo
farmaco che porta il nome di ‘laudano’ e che sembra egli usasse solo nei
casi disperati; esso ha la grandezza di tre ceci e sprigiona il suo potere dopo
essere stato inumidito dalla saliva. Dopo aver preso il medicamento, il
malato viene preso da un sonno leggero. Il sonno indica che nel farmaco è
contenuta un certa virtù soporifera. E non sembra che l’uso di tale farmaco
fosse sicuro se Teofrasto stesso ne faceva uso solo nei casi disperati senza
discrimine. Alcuni affermano che coloro che ne fecero uso, migliorarono
dapprima, ma dopo alcuni mesi vennero colpiti da malattie ancor più gravi.
Comunque stiano le cose, deve essersi trattato di un narcotico preparato
veramente ad arte.
Certo è che Oporino, sollecitato dalla fiducia che riponeva in
questo farmaco, seguì Teofrasto per due anni interi. Poi, accortosi che in
realtà quest’ultimo non stava alle promesse fatte, ed essendosi esacerbata la
sua posizione in città (come ho detto sopra), [c. 19v] Oporino decise di
abbandonare Teofrasto con tutto il suo laudano e i suoi preparati spagirici,
portando tuttavia a casa con sé la porzione di laudano che gli era stata
donata e con cui riuscì poi a salvarsi la vita una volta che, assunte d’un sol
colpo delle pillole (che lo stesso Paracelso usava) insieme ad abbondante
acqua fredda, tutto il corpo gli si gonfiò tanto che i medici lo diedero per
spacciato.
Lo stesso Oporino narra che Teofrasto non si spogliò mai per
due anni interi. E che si alzava nel mezzo della notte ben ubriaco, e
brandiva la spada (acquistata da un boia) scagliandosi contro le pareti come
se lottasse contro un cacodemone. Non teneva in grande considerazione il
denaro, e non pretendeva mai denaro dai poveri, ma solo dai contadini
ubriachi. E questo è tutto a proposito di Teofrasto.
- 219 -
E se ora è lecito scagliarsi contro i suoi seguaci, i discepoli
devono certo mostrarsi degni del maestro, perché, come dice il proverbio,
da corvi cattivi solo cattive uova.
Circa due anni fa, se non sbaglio, quando ancora non era
stato pubblicato nessuno degli scritti di Teofrasto, Adam von Bodenstein
portò davanti al Collegio dei medici della nostra città un libricino, perché si
giudicasse se fosse opportuno darlo alle stampe. Perché il loro giudizio di
sopprimere un così grande tesoro non sembrasse dettato solo dall’invidia (il
nome di Teofrasto era infatti già celebre, e i suoi presunti arcani misteri
venivano già proclamati con motti ampollosi e smisurati), i nostri medici,
[c. 20r] senza aver capito niente di queste tenebre, concessero il permesso
di stampare: speravano che i libri successivi sarebbero stati migliori, più
chiari ed aperti. Diversi libri dello stesso autore si diffusero
successivamente tra il popolo senza l’autorizzazione del nostro Collegio, e i
nostri medici sopportarono tale situazione con equità d’animo tenendo
davanti agli occhi solo la ricerca della verità. Ma quando fu chiaro che tutti
gli scritti di Teofrasto erano di quello stesso genere, il Collegio dei medici
proibì rigorosamente ad Adam di curare o pubblicare a suo nome scritti
simili, nella nostra città o altrove. Essi non contenevano infatti alcuna
solida ragione, ma solo calunnie che non era più il caso di tollerare.
Bodenstein si sottomise al giudizio. Per quel che mi riguarda, escludendo le
questioni di medicina, ho con lui rapporti amichevoli. È per questo che
preferisco non prendere più decisamente posizione contro di lui.
Nella prassi certi medici, e i medici teofrastici in particolare,
promettono di imitare i propri precettori. Ma per ora non ho visto da loro
nulla che non sia stato già stato offerto dai seguaci di Galeno con costi
minori e minore pericolo. Ci sono esempi odiosi, ma posso comunque darne
qualcuno. Forse scrivendo mi mostrerò loro nemico – e tu sai quanto!
Tu non sai quanto vorrei [c. 20v] che la medicina di
Teofrasto e le promesse di Adam fossero vere; riesci a immaginarti quanto
ne verrebbe semplificato lo studio della medicina? Per questo esorto sempre
gli studenti – e sempre lo farò – a studiare l’arte alchemica della
preparazione dei medicamenti e a esercitarla. Tutto questo a condizione
però che seguano il metodo che si apprende non dalle fornaci degli
alchimisti, ma dalle scuole dei filosofi e dei medici più dotati. È certo che
gli arabi hanno scoperto molti nuovi medicamenti; non per questo però
hanno voltato le spalle agli insegnamenti dei greci, se non in minima parte.
Tessalo diede una volta forma a un metodo che diceva avesse sede nei cieli.
A che livello di sterilità o follia siamo ormai giunti? Teofrasto ha riportato
alla luce quel metodo traendolo dalle oscure fornaci di alchimisti cenciosi.
Diamoglielo per buono, anche se non ne potremo avere esperienza diretta,
finché qualcuno forse non vorrà introdurre un uomo nuovo, guidato da una
ragione nuova. Coloro che si fingono nella mente tali mostruosità, sono
soliti far mostra abbastanza apertamente del loro ingegno portentoso.
Tuttavia, per dare maggiore autorità ai propri scritti, e far sì che sembrino
oracoli tratti dagli antri più remoti, li infarciscono di termini greci, arabi ed
ebraici per i loro discepoli anelanti. È certo che Teofrasto, di fronte a
domande difficili dell’uditorio su un qualunque argomento, rispondeva con
tale oscura ambiguità da poter gareggiare senza alcuna difficoltà [c. 21r]
con l’Apollo di Delfi.
- 220 -
Questa è sempre stata del resto una caratteristica dei Magi e
di tutti coloro hanno esercitato arti proibite, o che hanno tentato di
alimentare pretestuosamente mostri di ogni tipo sotto l’abito di una scienza
onesta, allo scopo di procacciarsi presso la rozza plebaglia la fama di
sapiente esibendo vocaboli oscuri. Lo stesso si può constatare
nell’atteggiamento degli eresiarchi, come si legge nei libri. Io di certo, se
avessi in animo di creare e dare forza a una setta, potrei inframezzare non
solo parole greche ed ebraiche, ma anche turche o tartariche. Della stessa
opinione è stato Teofrasto, che ha infarcito i suoi scritti di ornamenti e di
voci barbariche come ‘Ilec’ e ‘Alec’ e ‘Scaiolis’ mostruosi, combinando tra
loro lingue diverse, tanto per mettere in croce, legato, l’uditore inesperto.
Intanto, se così piace agli dei, i suoi discepoli non esitano a
chiamare Paracelso il ‘Lutero dei medici’. E se anelano in tal misura ad
ogni novità, avendo in dispetto senza alcuna ragione gli scritti degli antichi,
e sono convinti che ci sia Paracelso dietro a queste idee folli, riconoscano
pure in lui il loro Lutero. Si renderanno presto conto di aver paragonato fra
loro temerariamente e senza alcuna ragione due personalità molto diverse.
Forse che Lutero ha rinnegato i santi Evangeli (la cui autorità poggia
esclusivemente sulla fede)? Ha forse attaccato i suoi avversari senza
ragione? In nessun caso. Teofrasto, al contrario, ha disprezzato gli antichi e
ha proposto senza ragione alcuna nuovi dogmi! Per questo [c. 21v]
[secondo la logica loro] dovrebbe essere chiamato ‘Lutero dei medici’, o,
meglio ancora, il loro Ario! Se la metafora è troppo adusa, consideriamolo
pure il nuovo Tessalo, non da Tralle, ma da Einsiedeln!
Questo è quanto volevo dirti a proposito di Teofrasto e del
suo Aiace. È tutto vero, dunque non mi vergognerò di quanto ho detto, né
ora né mai. Bisogna infatti tener sempre conto della verità, prima che della
compiacenza o dell’amicizia. E bisogna tener sempre conto dei giovani
ancora inesperti, che, considerati presto discepoli, vengono sedotti molto
facilmente, invitandoli ad abbandonare il cammino tortuoso della virtù e
della erudizione per imboccare l’agevole e facile scorciatoia dell’ignoranza
e dell’errore. Nessuna eresia è mai stata tanto assurda da non aver avuto
fautori. E se ciò accade per la religione, in cui l’errore condanna alla morte
eterna, cosa dovrà accadere per la medicina, in cui ambizione e avidità,
possono spingere le persone alle scelleratezze più efferate? Forse, un
giorno, ci sarà chi, mettendo a confronto le due medicine, quella antica e la
nuova medicina di Teofrasto, riuscirà a scorgere la verità.
[p. 67*] Ciò che aggiungi alla fine della lettera riguardo alla salute
di tua madre, dispiace molto anche a me, e soprattutto per te. Non sono
infatti mai stato chiamato al suo capezzale, né sono mai stato consultato. Il
tuo giudizio sulle mie tavole per il Galeno mi ha dato gran gioia, sia perché
conosco la tua grande scienza, sia perché ti so amico sincero e non
adulatore. Temo però che il tuo affetto nei miei riguardi abbia in qualche
modo esagerato il tuo giudizio positivo. Quello che hai avuto tra le mani
non è che un primo abbozzo; ciò che seguirà mostrerà, spero, maggior
eleganza e maggiore scienza. Sono ora tutto preso nell’analisi dell’etica,
della politica e degli oeconomica aristotelici, campi in cui spero che i nostri
comuni studi mi possano essere di maggior aiuto che se mi occupassi solo
di medicina; e ancor di più dal momento che i nostri ciclopi non si
vergognano di affermare che non solo la medicina, ma anche l’intera
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filosofia [p. 68] è vuota e priva di metodo. In tal modo essi riportano
all’antico caos ciò che dopo lunghi secoli siamo riusciti a definire e
ordinare adeguatamente. Se Dio me ne darà la forza, seguiranno le tavole di
tutta l’arte medica presentata secondo l’ordine compositivo. Non aggiungo
altro, perché, facendo troppe promesse, non ti sembri che io non prometta
in realtà nulla.
Non è molto che il tipografo Perna ha pubblicato la Praxis medica di
Gioacchino da Siena, opera piena di scienza. Oporino ha per le mani il
commento di Cardano agli Aforismi di Ippocrate: quanto siano dotti, lascio
dire all’autore stesso. Anche Massario ha pubblicato un’armonia di alcuni
greci della tarda antichità, come Egineta, Oribasio, Aezio e altri simili.
Crato ha pubblicato un utilissimo compendio del metodo galenico. Gessner
è tutto preso nella sua storia delle piante. Forse ho indugiato troppo su tutto
questo; tieni però sempre presente, caro Marstaller, che nulla mi è più caro
della tua amicizia, e nulla mi può giungere più gradito e piacevole,
soprattutto di questi tempi, che intrattenermi con te per via epistolare.Tu,
saggio e virtuoso, perdona innanzi tutto lo stile rozzo e poco curato, e, in
secondo luogo, la pochezza dell’argomento: soprattutto rispetto alle cose
che ho dovuto trattare frettolosamente e senza considerazione [p. 69] per
l’assillo del messaggero che doveva partire. Un’altra volta torneremo
sull’argomento con maggior agio.
Abbi cura di te, carissimo e dottissimo amico, e considera
che resto a tua completa disposizione per tutto ciò che un amico può
chiedere all’amico.
Basilea, VII. Gennaio M.D.LXVIIII.
Alcuni mesi fa Adam von Bodenstein ha presentato davanti al
nostro Collegio un libretto di Teofrasto sulla peste, in cui quest’ultimo non
si smentisce e resta fermo nelle sue calunnie e nelle sue fantasie. I medici
gli hanno ingiunto di sopprimerlo. Io ho letto tutto quello che Teofrasto ha
scritto senza metodo e confusamente, e l'ho messo in ordine; te ne invio uno
specimen, così che gli uomini di scienza vedano che gli scritti di Teofrasto
possono essere letti e intesi anche dai seguaci di Galeno, con un
discernimento e con un artificio didattico che né lo stesso Teofrasto né i
suoi seguaci sono mai stati né saranno mai capaci di rinvenire e di
osservare.
Gli scritti di Teofrasto vengono dunque letti dagli studiosi, e
con attenzione. E se non si trovano d’accordo con ciò che leggono, non è
perché non siano illuminati da Dio, ma proprio perché godono invece
dell’illuminazione divina, sono cioè dotati di una ragione acuta e perspicace
che li mette in grado di distinguere il vero dal falso.
In ogni modo tu, uomo di grande scienza, da questa breve
presentazione della medicina teofrastica in materia di peste puoi farti
un’idea anche del resto. Da un unico crimine impara dunque a conoscere
anche le altre assurdità. Di nuovo, stammi bene.
Focolai inequivocabili di peste si sono moltiplicati nella nostra città;
che io sappia, però, nessuno ha consultato [p. 70] Adam che pur promette
grandi rimedi. Forse per il fatto che, come egli stesso dice, abbiamo in odio
la virtù intatta, e solo quando ci viene tolta da sotto gli occhi pretendiamo
che ci venga invidiata. Nessuno tuttavia, di fronte ad un pericolo come
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questo, cui non è possibile scampare, preferisce anteporre le proprie
passioni alla propria salute. Da lì certamente voi siete in grado di giudicare
dell’eccellenza di Adam meglio di noi da qua, che gli stiamo fianco a
fianco. Questo è chiaro allo stesso Adam, che non a tutti parla dei suoi
segreti, e anche quando acconsente, non lo fa certo senza farsi pregare o
comunque a gran prezzo.
Theodor Zwinger.
(Note ai passi importanti nelle lettere precedenti:)
des Grossen Hippocratis] Prendendo le distanze dalla tradizione
medica del tempo, in cui gli accenni a Ippocrate, Galeno e Avicenna erano
sempre congiunti (cfr. per esempio gli Statuta del 1464 e le Leges del 1570
edicina di Basilea, in
Burckhardt, 1917, pp. 335-385), in questo caso è solo Ippocrate, che era già
stato oggetto degli elogi di Paracelso (Sieben Defensiones, ed. Sudhoff, vol.
11, p. 225), ad essere definito grande; in generale su Ippocrate v. CP, vol. 1,
pp. 67 sg.
Nella già citata Praefatio alla sua Methodus rustica, pubblicata da
Perna nel 1576, Zwinger per la prima volta aveva accusato Galeno e i suoi
seguaci di avere tradito Ippocrate, negando loro il diritto – in quanto
«improbi nepotes» e «ignavi possessores» – di considerarsi eredi della
medicina ippocratica:«Hippocrateam medicinam iam per aliquot annos
meditamur, quantumque per otium licet persequimur [...] Iam si Res ipsas
perpendas, cum Hippocratea ab iis, quae posteriores sunt amplexi,
dogmatibus, maxime quoad Morborum causas et Remediorum seriem, non
parum videantur diferre; eademque ab iis etiam, qui inflatis buccis sese
Asclepiadeos profitentur, vel non intelligantur, vel certe negligantur: non
penitus iniustam Nouae Medicinae, a Theophrasto Paracelso populare
nostro introductae, sectatoribus occasionem dedere, improbos nepotes, quod
amplissimos eruditionis medicae thesauros in Hippocrate latentes, per
socordiam hactenus nec eruere, nec excolere studuerint: serio accusandi et
reprehendendi: adeoque in Hippocrateos agros, ab ignauis possessoribus
desertos atque neglectos, chymicas colonias introducendi. Quibus ipsis et
modeste et methodice, addo etiam et aperte philosophantibus, vti ob
veritatis studium, quo se omni auctoritate repudiata flagrare profitentur,
inimicus esse nolo: ita gratiam insuper habiturus sum, si studia quorundam
e nostris, maiore fastu quam gustu medicinam profitentium, instar cotis
acuerint, et ad Hippocrateam haereditatem vel asserendam vel postliminio
etiam repetendam serio coegerint», cfr. Methodus rustica, Basel, Perna
[1576], cc. α 2v-3v).
Il passo, che nella cerchia degli amici e corrispondenti di Zwinger
ebbe l’effetto di una vera bomba, in italiano suona più o meno così: «Da
anni ormai mi occupo di medicina ippocratica, cui dedico tutto il mio tempo
libero [...]. A considerare bene le cose, ci si accorge che la medicina di
Ippocrate si discosta non poco da quella dei suoi successori, soprattutto per
quanto riguarda i principi fondamentali cui essi ricorrono per spiegare le
cause delle malattie e la serie dei rimedi disponibili. La medicina
ippocratica non è stata intesa o è stata comunque accontonata perfino da
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coloro che, riempiendosi la bocca, si proclamano asclepiadi. La nuova
medicina introdotta da Paracelso, un figlio del nostro popolo, ha dato
occasione ai suoi seguaci, e non del tutto a torto, di indirizzare accuse e
rimproveri nei confronti di questi improbi discendenti che per indolenza
non hanno riportato alla luce, né hanno cercato di coltivare, i grandi tesori
di conoscenza medica nascosti in Ippocrate. Per gli stessi motivi ai
paracelsisti si è offerta l’occasione di impiantare le loro colonie chimiche
sui campi ippocratici ormai negletti e disertati dai loro ignavi proprietari.
Non voglio essere nemico di questi seguaci della nuova medicina,
finquando essi ragionano con apertura, umiltà e metodo, poiché non voglio
essere nemico di chi arde dal desiderio di ricercare la verità ripudiando ogni
autorità. La mia gratitudine sarebbe ancor maggiore se essi avessero
l’effetto di una pietra per affilare la ricerca di quelli dei nostri che
esercitano invece la medicina più per superbia che per vero interesse,
costringendoli così a reclamare l’eredità ippocratica e a rivendicarne il
diritto di far ritorno in patria», cfr. Gilly (1977), pp. 101 sg.; (1979), pp.
154 sgg..
Leonhardi Turneisser zum Thurn] Sul Thurneisser, v. Nr. 64: Cenni
biografici — L’autore si riferische all’Herbarium del Thurneisser, che
Toxites, pieno di aspettative, aveva annunciato come l’«Herbarium»
dell’Hohenheimer; vedi in proposito, in questo volume, pp. OOO. Otto
mesi prima della stampa di questa prefazione, e precisamente il 3 gennaio
1576, da Berlino Alexander Thurneisser aveva inoltre scritto a Zwinger,
pregandolo di prestargli un testo di botanica, la Stirpium historiae di
Rembert Dodonaeus, di cui aveva assolutamente bisogno il fratello
Leonhard per un Herbarium che aveva a sua volta progettato, cfr. Börlin
(1976), p. 182 sg. Effettivamente Zwinger inviò a Berlino poco dopo
l’opera richiesta, porgendola a Leonhard Thurneisser come dono di «buon
anno», cfr. ivi., p. 184. Dell’Herbarium si parla ancora in una lettera di
Zwinger a Petrus Monavius del 20 novembre 1578, cfr. Scholzius,
Epistolarum ... volumen, 1610, p. 471: nella lettera Zwinger dichiara di aver
parlato con Thurneisser («cum illo contuli quaedam») e anche di aver visto
le illustrazioni dell’Herbarium («Apparatum Herbarij vidi maximum, et
opinione grandiorem, icones plurimi, vt si nihil aliud in praesens,
φιλοπονίαν certe tantam laude dignissimam iudicem»). Thurneisser aveva
certamente portato con sé a Basilea alcuni esemplari della sua Historia siue
Descriptio Plantarum, uscita a Berlino nel marzo del 1578. Cinque mesi
dopo, il 23 marzo 1579, Thurneisser stesso scrive a Zwinger una lunga
lettera, in cui parla delle cose bellissime che ha «raccolto durante i suoi
numerosissimi viaggi, e non solo in fatto di erbe e di piante, ma
appartenenti anche a tutti gli altri dei regni naturali, e anche oggetti prodotti
dalle arti. Tutto questo, oltre all’Herbarium, che non mi costa certo poco,
vorrei poterlo pubblicare» («auff meinen unzelichen reisen colligiert habe,
nicht allein in Herbis und Plantis, auch fast inn allen weltlichen und
natürlichen auch künstlichen hendlen. Diese alle wolte ich neben dem
Herbario, der mich nicht ein geringes kostet, in das werck und an Tag
bringen»), cfr. Börlin (1976), p. 187. Nella dedica prefatoria del suo
«Botanologicum» o Herbarium al re di Polonia, Stephan Báthory,
Thurneisser afferma di essersi attenuto prevalentemente al metodo di
- 224 -
Salomone, di Esculapio e, soprattutto, di Paracelso, «qui plantarum virtutes
iudicarunt, a visu, a comparatione, sympathia, antipathia, atque argumentis
naturae aliis». Thurneisser si schiera perché nella distillazione delle piante
non ci si accontenti più solo di olii ed essenze – poiché si tratterebbe in
questo caso solo di un parergon (παρέργως) –, ma perché ci si spinga nella
ricerca delle «più nobili sottigliezze di tutte le cose naturali» («aller
Naturdinge edelsten Subtillitäten»), puntando non ai quattro elementi
classici («utpote Ignis Aeris, Aquae et Terrae»), ma ai tre principi («sed ad
Principia tria: Sal, Sulphur et Mercurium»), poiché «per mezzo della
distillazione le piante possono essere ridotte solo ad essi», ciò che egli
ricerca per via sperimentale, v. Thurneisser, Historia siue Descriptio, 1578,
pp. )( 4v-5r.
Thurneisser ricopre un ruolo di primaria importanza anche nella
corrispondenza tra Zwinger e Joachim Camerarius d.J. (Erlangen UB,
Briefsammlung Trew, sub voce ‚Zwinger, Theodor‘, Nr. 33-34). Il 4 luglio
1580 Zwinger scrive a Camerarius: «Turneißerus cum redierit, specimen
ὰρχυχείας suae exhibebit; idque adeo sponte se facturum recepit. Habet
interim uerisimilia quaedam, quibus ego nec adhibeo nec derogo fidem.
Non magis Academica quam Medica, hic Hippocratea ἐποχῄ cum apud
Empiricos εὐσχήμονος ἱστορίης σύνεσιν sed διεσπαρμένην latitare. Senex
noster proferatur et res ipsa doceat. Ingenio alioqui magno esse mihi
persuadeo, et si literarum cultus accessisset, maximo. Ita scilicet ἐάων
δοτῆρες sua distribuunt munera. Non ego alioqui de quoquam quicquam
pronunciare temere uelim, ἡ δέ κρίσις χαλεπή αίπερ ἀνυπεύφυνος. Neque
ego quenquam iudico, qui meipsum iudicare nescio. Spem nuper fecisti
Antimonii Crystallini; si quid explorati, communica. Ego uicissim olei
crystalli, nisi illud iam habes. Genialibus tuis gaudiis ex animo congratulor,
ὁμοφρούνην τε καὶ εὐτυχίην opto. De Amuletis nihil explorati habeo: neque
in tam controversis ueterum et recentiorum opinionibus quid aut quem
sequar uideo. τῷ ὄτι dubio τοῦ διότι. Non puto rationem magnam esse
habendam [...]».
Poiché questa lettera ci permette di gettare uno sguardo anche sul
sempre crescente scetticismo del naturalista basileese, ne riproduciamo il
testo, così importante per intendere le posizioni di Zwinger, anche in
italiano: «La prossima volta che verrà [a Basilea], Thurneisser mi mostrerà
un esemplare della sua Magna Alchymia [pubblicata nel 1583], e ciò per
suo volere. Dispone nel frattempo di preparati che promettono grandi
successi, ai quali non mi sento né di prestar fede, né di non farlo. Preferisco
astenermi dal giudizio, senza ricorrere in questo caso al dubbio platonico
più che a quello medico, in questo caso ippocratico, poiché so – come
scrisse Ippocrate nelle Praeceptiones – che il giudizio certo sul singolo fatto
[historia] è a disposizione dei soli empirici. Egli deve solo pubblicarla [la
Magna Alchimia] e la cosa si spiegherà da sé. Ritengo che egli sia un
grande intelletto, e se solo avesse coltivato le lettere, sarebbe uno dei
migliori. È così che coloro che dispensano la fortuna, distribuiscono i loro
doni. Inoltre io non desidero gettar lì, senza ragione, giudizi sull’uno o
sull’altro, poiché la decisione è difficile e sarebbe comunque irresponsabile.
Come posso io giudicare qualcuno, se non sono in grado di giudicare me
stesso? Con il tuo antimonio cristallino hai suscitato in me grandi speranze;
se ne viene fuori qualcosa fammelo sapere, ti prego. Da parte mia potrei
farti avere olio di cristallo, se non lo hai già. Mi congratulo di cuore per la
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bella notizia e ti auguro felicità e concordia. Di amuleti non ho alcuna
esperienza, e in una questione tanto controversa tra antichi e moderni non
vedo davvero da che parte ci si debba schierare. Nel ‘che cosa’ dubito del
‘perché’. Non credo si debba tenere troppo conto / Mi sembra che la
ragione non sia tanta, quanto si crede [...]’.
wir in vnsern Büchern ein klare ordnung halten] Perna teneva in
grande considerazione la sua professione e per questo non si tirava indietro
nella scelta degli autori (vedi Giudizio generale), non si faceva impaurire
dalla mole di lavoro, né badava a spese pur di veder stampati i suoi testi con
accurata precisione, cfr. la lettera a Pietro Vettori del 1569 a proposito di
una progettata edizione bilingue di Aristotele (Rotondò, 1974, p. 278 sg.);.
sul controllo testuale, di cui si incaricava personalmente affinché i libri
stampati fossero ancor più belli e corretti degli esemplari di stampa dei
manoscritti (????), cfr. anche la lettera a Marco Mantova Benavides a
Padova, del 22 aprile 1560 (Perini, 2002, p. 276: «che altro è stampare di
noi qua, altro il dipignere et ritrarre di quei di Venezia»).
Il programma presentato da Perna nel 1578 nella dedica
prefatoria al principe elettore August von Sachsen dell’Opera del Giovio a
proposito dei libri di teologia, («ut theologicos libros omnis generis
ecclesiae salutares atque utiles quam emendatissime excuderem, essemque
tanquam publicus quidam notarius adversus multiplices ... errores», cit. in
Kaegi, [1942], p. 173) veniva in realtà già applicato da anni nell’ambito
delle scienze profane e Perna si era anzi già pubblicamente difeso contro
ogni accusa di falsificazione: così, per esempio, nel 1568 contro Gohory
(vedi sopra, in questo stesso volume, Nr. 80) come pure nella prefazione
alla Chirurgia Magna del 1573, in cui Perna comunicava all’ambasciatore
francese Pierre de Grantry la rottura con Gerhard Dorn, perché quest’ultimo
gli aveva consegnato delle traduzioni di Paracelso del tutto inattendibili
(cfr. Sudhoff, 1894, p. 245-248; cfr. anche la riproduzione della prefazione
in Perini, 2002, p. 326-330, dove peraltro Perini non riesce ad identificare il
«Gerhardus Spina» criticato da Perna («non identificato»), cioè lo stesso
Dorn). In nessun altro passo Perna espone con tanta chiarezza il suoi
principi di edizione dei testi e il suo rispetto per la tradizione testuale a lui
accessibile: a) non cambiare nulla, b) non aggiunger nulla, c) non togliere
nulla e d) non introdurre glosse. Resta da vedere se questi principi siano da
mettere in conto a Zwinger (dei suoi Hippocratis commentarii del 1579 si
continua a tener conto anche negli apparati critici delle edizioni moderne di
Ippocrate) o se essi siano da attribuire a Perna. Si conserva in ogni caso un
importantissimo esemplare di stampa, pieno di correzioni, tagli e aggiunte
di mano di Perna che procedono in direzione diametralmente opposta a
quanto enunciato prima: si tratta dell’esemplare di stampa per i Dialogi IIII
del suo amico Sebastiano Castellione, che egli pubblicò con una prefazione
di Fausto Sozzini e false note tipografiche («Arisdorffii. Per Theophilum
Philadelphum. 1578» ) sei mesi esatti dopo la presentazione di questi
principi editoriali. Su questa rischiosa edizione, che costò a Perna un
processo e alcune settimane di prigione, e per un’analisi di questo
manoscritto esemplare di stampa (Basel UB, Ms. Jorislade XVI) cfr.
Guggisberg (1567), pp. 171-201; Rotondò (1974), p. 273-391, in particolare
pp. 314-337; Gilly (1998), pp. 147-176. Perini, al contrario, di accontenta di
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ripertere la deposizione di Perna durante l’interrrogatorio (il cui testo era
stato pubblicato da Perini in un saggio del 1966), e non ritiene necessario
spendere nemmeno una parola intorno all’esistenza, o all’ubicazione, per
non dire poi intorno alla letteratura critica sul manoscritto, nel frattempo
rinvenuto, cfr. Perini (2002), pp. 229 sg.; quanto poi alla religione di Perna,
Perini vi dedica un’unica pagina (ivi, p. 224), facendone dapprima un
simpatizzante di Lelio Sozzini, poi improvvisamente un seguace
dell’ultraluterano Mattia Flacio Illirico e subito dopo, se non ho capito
male, un difensore dell'erastianismo! C’è da dire che Sebastian Franck ha
avuto dunque una bella fortuna ad essere stato considerato da Perini solo
»un famoso anabattista» (ivi, p. 105).
(Nr. 80-82, valutazione generale Perna / Zwinger)
Chi sfogli l’indice dei nomi della Bibliographia Paracelsica di
Sudhoff, del 1894, vedrà che il nome di Pietro Perna compare più di 49
volte. Non vale invece la pena di mettersi a cercare il nome di Theodor
Zwinger, che non compare né qui né in nessun altro scritto di Sudhoff su
Paracelso.
Solo nelle Paracelsus-Forschungen del 1889 viene fatto il nome di
Zwinger, ma solo quale latore di una celebre affermazione
dell’Hohenheimer, e cioè che egli aveva «preso la penna in mano » per
«insegnare qualcosa» a Lutero e a Zwingli «e soprattutto al papa ».
Sudhoff non aveva ripreso questa testimonianza direttamente da Zwinger,
ma piuttosto da von Murr; non aveva però ritenuto opportuno riportare
l’intero passo di von Murr sul medico e filosofo basileese.: «Theodor
Zwinger war wohl unter allen seinen Landsleuten am billigsten gegen sein
[Hohenheims] Andenken [...] und in seinem Theatro uitae humanae gibt er
ihm ein großes Lob» («Tra i suoi concittadini Theodor Zwinger era
certamennte colui che più blandamente di opponeva alle posizioni [di
Paracelso] [...] e nel suo Theatrum uitae humanae gli tributa grandi elogi»).
Quando nella sua Geschichte der Medizin Sudhoff prende a caratterizzare
amici e nemici di Paracelso, egli colloca Zwinger sotto l’ambigua etichetta
di «diffusore / intermediario», insieme a Gessner e a uno degli
antiparacelsisti per antonomasia, Libavius.
Alla domanda se Zwinger sia stato paracelsista o meno sono state
date le risposte più disparate: che fu «bedingter Anhänger des Paracelsus»
(«solo in un certo senso seguace di Paracelso») (Burckhardt, 1917), «weder
bedingter noch unbedingter Paracelsist, sondern leidenschaftsloser Kritiker
des Paracelsus» («non fu paracelsista né in un senso né nell’altro, ma solo
impassibile critico di Paracelso») (Karcher, 1956), e che appoggiò
«schärsften und rabiatesten Gegner Hohenheims» («i più accaniti e rabbiosi
oppositori di Hohenheim») (Weber, 1971).
Di fronte a tali giudizi è difficile trovare il bandolo della matassa,
almeno quanto è difficile farlo a partire dalla personalità di Zwinger così
come si ritenva di poterla descrivere trent’anni fa: «a typical representative
of post –Erasmian Basle: friendly to refugees and flattered by the esteem of
noted scholars abroad, deliberate – perhaps even courageous – in his noncommittal attitude to the ideological and professional controversies of the
day, but for the same reason failing to make a historical impact. In some
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ways he seems to prefigure the confortable bourgeoisie of a subsequent
age».
L’evidente incongruenza tra il poco interesse generale per la figura
di Zwinger e il ruolo significativo giocato invece da questo umanista e
medico basileese è stata riconosciuta per la prima volta nel 1974 da
Rotondò nel suo fondamentale studio su Pietro Perna, che si estendeva,
contemporaneamente, anche a Zwinger. Analizzando la corrispondenza di
Zwinger con i più illustri dei suoi contemporanei e l’attività editoriale del
tipografo italiano Perna, di cui Zwinger era intimo amico e consigliere,
Rotondò è riuscito a ricostruire anche il quadro della crisi religiosa e
culturale di un epoca in cui l’intero edificio del sapere filosofico e
scientifico, basato sull’insegnamento di Aristotele e Galeno, cominciava a
sgretolarsi irrimediabilmente.
Il conflitto che doveva fungere da catalizzatore, accelerando
sensibilmente tale crisi, aveva un nome ben preciso: era la disputa intorno a
Paracelso. Si trattava di una polemica rappresentata solo in parte dalla
discussione intorno alla nuova medicina paracelsista, che tuttavia ne fu per
decenni l’elemento paradigmatico e più eclatante. Alla base della
discussione stavano due risposte diametralmente opposte alla domanda
intorno ai limiti della rivelazione e della scienza, e, di conseguenza, due
metodi di lavoro completamente diversi. La polemica verteva su concetti
come ‘esperienza’ e ‘autorità’, ‘ragione’ e ‘lumen naturale’, e, soprattutto,
sul concetto stesso di ‘Natura’. Nessuno, nell’ambito della discussione,
poteva dirsi veramente al di sopra delle parti, e men che meno uno
stampatore come Perna, che pur riteneva il contrario: «Cum praesertim
meum non sit docere, aut partes defendere, sed bonarum literarum et artium
doctores in publicum ad communem utilitatem edere, et inter se eos
committere, ut veritas tanquam ex silicum collisione excutiatur». Egli
aveva un alto concetto della propria professione («essemque tanquam
publicus quidam notarius adversus multiplices illos errores») , e sceglieva
egli stesso gli autori da pubblicare. Questi si chiamavano Ochino e
Castellione, Aconcio e Machiavelli (di cui egli non solo stampò il Principe,
ma si impegnò anche a stampare la traduzione dell’Opera omnia ), erano
autori di scritti alchemici, l’anonimo autore dell’ Arbatel e Paracelso stesso.
Lo svuotamento e la sovversione dell’immagine tradizionale del mondo
attraverso il rilancio della magia e la diffusione della gnosi paracelsiana, da
un lato, la relativizzazione del valore dei dogmi dall’altro, si intrecciavano
in lui almeno tanto strettamente quanto accadeva, diametralmente cambiato
di segno, in un personaggio come A. Libavius che nel 1600 coglieva
davvero nel segno indicando i «due gravissimi, fondamentali mali» del suo
tempo: la magia e lo scetticismo.
Alla nascita di Zwinger Perna era già un quindicenne che entrava
nell’ordine domenicano, in seno al quale sarebbe rimasto fino alla fuga per
Basilea, nel 1542. Nulla sappiamo di una eventuale amicizia o anche solo
conoscenza tra il giovane Zwinger e Perna, garzone e correttore nella
bottega di M. Isengrin. Tuttavia nel 1553, tornato a Basilea da Parigi,
Zwinger accompagnò Perna in un viaggio a Padova che egli stesso definsce
come un avvenimento fondamentale della sua vita: «Petrus Perna Lucensis,
religionis causa Italia exulans, typographiae sero se dedit. De cuius
laboribus iudicet posteritas. Illius ego hoc unum erga me beneficium
amplissimum agnosco, licet extra praesens id sit institutum, quod
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peregrinationis Italicae author, suassor, deductor nobis fuerit». Perna aveva
quindi proposto e consigliato a Zwinger di andare in Italia con lui; l’aveva
introdotto nell’ambiente padovano e gli aveva presentato i suoi conoscenti e
i suoi clienti. Ma quando nel 1559 Zwinger fece ritorno a Basilea con il
titolo dottore in filosofia e medicina, fu anche l’ammirazione per
Castellione a legarlo ancor più profondamente allo stampatore, divenuto nel
frattempo antitrinitario.
Tra il 1561 e il 1563 Zwinger cura le edizioni di autori italiani
pubblicate da Perna (Sante Ardoino, Pietro Bairo, Francesco Cattani da
Diacceto); 1573 egli cura una revisione stilistica del De noua stella ...
Postelli iudicium, [Basel, Perna] 1573, e, dopo una lunga pausa, nel 000
appare anche la Methodus rustica, in cui Zwinger rende nota la sua apertura
nei confronti del paracelsismo. Ciò non significa che nel frattempo i
rapporti tra i due si fossero raffreddati (per esempio a causa dell’impegno di
Perna nella publicazione di scritti paracelsistici): Zwinger non manca mai di
intercedere presso Cratone ogniqualvolta Perna faccia richiesta di privilegi
imperiali, anche quando si tratta di scritti di Paracelso.
È difficile definire esattamente il ruolo di Zwinger come
consulente scientifico di Perna, un ruolo che gli si è venuti ascrivendo dal
1974 (Rotondò), e che ora Perini mette in dubbio, senza fornire alcuna
prova in proposito. Quanta parte abbia avuto Zwinger nell’edizione di
Castellione curata da Perna, quanto egli fosse al corrente di tutta
l’operazione non è in realtà stato ancora sufficientemente chiarito. È però
un fatto che quando nel 1580 K. Utenhove inviò a Basilea il suo testo (in
realtà una Praefatio) per la ristampa della Bibbia francese di Castellione, fu
proprio Zwinger a rispondergli: «Quod tu Castellionis manibus dedisti,
Perna suo tempore Bibliis praefiget, sed parenthesi excepta». E quando
nello stesso anno scoppiò la polemica tra Johann Nicolaus Stupanus e Perna
a proposito della stampa del Principe e si dovettero mandare al macero le
prime due prefazioni, fu di nuovo Zwinger a scrivere la prefazione
definitiva. È certo che Zwinger non è stato a fianco del vecchio amico nelle
questioni legate a Paracelso, almeno fino al 1575/76. Da quel momento in
poi egli venne però consultato da Perna, ma anche da altri stampatori, come
Samuel Apiarius, che nel settembre 1582, un mese e mezzo dopo la morte
di Perna, stampò la Pandora, Das ist / die Edleste Gab Gottes curata da H.
Reusner servendosi di un esemplare di stampa che si trovava ancora a
Basilea (UB, Ms. L IV 1); su di esso è possibile leggere di mano di Zwinger
tanto lo pseudonimo dell’autore, «Franciscus Epimetheus» che il titolo
definitivo dell’opera.
Una testimonianza precisa e definitiva del contributo di Zwinger
all’attività di Perna e di suo genero Konrad Waldkirch manca ancora. Ma
che a partire dalla grande svolta intellettuale Zwinger abbia partecipato alle
operazioni di Perna, e a quelle di Waldkirch, legate a Paracelso è dimostrato
dalla prefazione pubblicata al Nr. 81, e, ancora, dalla lettera di Huser giunta
a Basilea dopo la morte di Zwinger. Fu solo la morte a impedire che
Zwinger prendesse attivamente parte alla prima edizione completa delle
opere mediche e filosofiche di Paracelso, pubblicata a Basilea da Waldkirch
nel 1589-1591. Il Tessalo di Einsiedeln, come Zwinger ironicamente
definisce Paracelso nella lettera a Marstaller, era divenuto «un figlio del
nostro popolo» già nella Methodus Apodemica del 1577, un uomo che a
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suo modo costituiva un esempio irraggiungibile: «Theophrastus Paracelsus
popularis noster, uir in suo genere maximus».
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