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Dino Ticli FOSSILI E DINOSAURI La scienza sulle tracce di draghi e altri incredibili mostri illustrazioni di Fabio Magnasciutti © 2007 Edizioni Lapis Tutti i diritti riservati, riproduzione vietata ISBN: 978-88-7874-076-1 Edizioni Lapis Via Francesco Ferrara, 50 00191 Roma e-mail: [email protected] www.edizionilapis.it Finito di stampare nel mese di ottobre 2007 presso Grafica Nappa - Aversa (CE) QUANDO I GIGANTI POPOLAVANO LA TERRA Introduzione Volare con un drago, ascoltare il canto delle sirene, farsi portare sulle spalle da un gigante con cinquanta teste: sarebbe bellissimo, sempre che il drago non sputi fuoco, che le sirene non ci tolgano la ragione, che i giganti non siano troppo cattivi e che con le loro cinquanta bocche… non parlino troppo! In effetti, in tanti antichi miti, presenti praticamente in ogni parte del mondo, ricorrono più o meno le stesse figure mostruose. Forse si tratta di un modo per spiegare le forze della natura, incontrollabili in tante loro manifestazioni, come i potenti tuoni, i fulmini accecanti, i terremoti e i maremoti devastanti, la rabbia esplosiva dei vulcani. La mitologia indù credeva, ad esempio, che vivessero otto possenti elefanti a fare da pilastri nelle profondità della terra; quando uno di loro si stancava, scuoteva la testa, causando i terremoti. Grifoni, draghi, serpenti di pietra, dita del diavolo, diavoli ballerini, unicorni, cavalli del tuono, Ciclopi… ogni mitologia è popolata da queste misteriose creature. Ma siamo sicuri che siano solo frutto della fantasia? E i nostri antenati credevano davvero nella loro esistenza? Attraverso questo libro potrai ascoltare come sono andate le cose direttamente dalla bocca di coloro che hanno creato i miti o sono vissuti quando draghi, sirene e giganti esistevano davvero… almeno per loro! I giganti con un occhio solo Ricordate l’appassionante storia del re greco Ulisse e dei suoi compagni nella terra del ciclope Polifemo, un sanguinario gigante che il coraggioso Ulisse accecò, conficcando un grosso tronco nel suo unico occhio? Pur avendo tremato per la sorte degli eroi greci, molti dei quali morirono proprio per mano di Polifemo, nessuno di noi avrà pensato alla reale esistenza di simili mostri. Eppure… facciamo un salto indietro nel tempo e sentiamo cosa può dirci Omero, il padre dell’Odissea. – Signor Omero lei ci ha raccontato le gesta di eroi, avventure però incredibili e spesso ricche di personaggi fantastici. Ad esempio, Polifemo… – Ti fermo subito. Io sono un uomo di lettere e non uno scienziato; i miei eroi affondano le loro radici nei racconti tramandati oralmente dai miei antenati e anche Polifemo, che mi è servito per descrivere le peripezie di Ulisse, fa parte di questi racconti che ci sono stati lasciati in eredità. – Vuol dire che non è una sua invenzione fantastica? 5 – Beh, qualcosa ci ho messo anch’io, però ti assicuro che si tratta di un’antica leggenda, forse con un fondo di verità. – Non vorrà farci credere che i Ciclopi siano davvero esistiti… – Te l’ho detto: non sono uno scienziato, però le voci sulla loro reale esistenza sono insistenti. Prima che tu mi chieda altro, ti consiglio di recarti in Sicilia, là dove ci sono alcune nostre colonie. È da quei luoghi che arrivano queste voci. E allora spostiamoci in Sicilia, qualche decennio prima di Omero, dove stanno sorgendo le prime colonie greche. È sera e due agricoltori, Kephalos e Diocles, sono appena rientrati a casa con il loro gregge di pecore. – Potete raccontarci come avete scoperto l’esistenza dei Ciclopi? – Qualche anno fa, stavamo risalendo i fianchi di un’aspra collina alla ricerca di alcune pecore che si erano allontanate dal resto del gregge. Con una torcia rischiaravamo le ombre della sera. Io, Kephalos, sentii un verso e allora mi diressi con sicurezza fino all’entrata di una grotta dalla quale usciva chiaramente un belato. Avevamo un po’ paura, ma alla fine Diocles prese la torcia e decise di entrare… – … e scommetto che nella grotta avete trovato i giganti! – Se li avessimo trovati davvero, in carne e ossa, non saremmo qui a raccontarti la nostra avventura. Però Diocles, dopo aver fatto uscire le pecore, disse di aver visto qualcosa di molto strano emergere dalla terra sul fondo della grotta e rientrò. Il tempo passava e io cominciavo a preoccuparmi, quando lo vidi uscire con un enorme teschio tra le mani. “Per tutti gli dèi dell’Olimpo!” esclamai inorridito. Era la cosa più strana e spaventosa che avessimo mai visto; grande come cinque o sei teste umane messe insieme, possedeva un’enorme cavità proprio al centro della fronte. Non c’erano dubbi: quella era la testa di un gigante con un occhio solo, sepolto in quella grotta chissà da quanto tempo. – E allora che cosa avete fatto? 6 7 – Abbiamo pensato di scappare, ovviamente: se vi fossero stati altri giganti vivi nelle vicinanze? Tuttavia era poco probabile: esseri così grossi li avremmo già incontrati da tempo. Quindi erano tutti scomparsi per sempre nella notte dei tempi, e le loro ossa erano state ricoperte dalla polvere dell’oblio. – Molto poetico, dovresti fare il letterato anche tu. – Però siamo solo pastori e allora abbiamo deciso di portare al villaggio la nostra scoperta. Da allora abbiamo trovato molti altri resti di Ciclopi in quella grotta e anche in altre. Doveva essere un popolo numeroso un tempo. Devo dirti la verità: non mi dispiace che simili orrende creature siano scomparse per sempre. – Forse, però, non sono mai esistite… – Vuoi mettere in dubbio la nostra parola? Che mi dici allora di questo teschio? Guarda il grande buco al centro della fronte: conteneva sicuramente un occhio enorme e questo prova che si tratta proprio di un teschio di Ciclope! – Avete parlato con qualcun altro della vostra scoperta? – Vuoi dire con gli stranieri? Beh, siamo vicini alla costa e qui passano numerosi forestieri. Ultimamente alcuni arrivano proprio per ammirare i resti dei giganteschi Ciclopi. 8 Sono uomini o animali? In effetti, oltre ad Omero, il filosofo greco Empedocle da Agrigento, vissuto tra il 500 e il 400 a.C., racconta di numerose caverne siciliane nelle quali sono state rinvenute testimonianze di una stirpe di uomini giganteschi oggi scomparsa. Il poeta latino Ovidio (43 a.C.-18 d.C. circa), nel suo libro Le Metamorfosi, rifacendosi al poema di Omero e alle ossa che continuavano a emergere dalle caverne siciliane, narrò le vicende del pastorello Aci e della ninfa Galatea. La loro storia d’amore era osteggiata proprio dal ciclope Polifemo che, invaghito della bellissima ninfa, arrivò a uccidere il giovane Aci scagliandogli contro un enorme masso. Ma gli dèi ebbero pietà del giovane Aci e trasformarono il suo sangue in un torrente che, dalle pendici dell’Etna, si gettava in mare tra le braccia di Galatea che assunse l’aspetto di spuma bianca. In tempi più recenti, perfino il poeta Boccaccio (1313-1375) riferisce di resti spaventosi, le “ossa di Polifemo”, rinvenuti in una grotta presso Trapani. Adesso tutto appare chiaro: i racconti sui giganti con un occhio solo non sono frutto della sola fantasia, ma hanno un fondo di verità. E le ossa di Polifemo stanno lì a dimostrarlo. 9 Tuttavia, è il caso di compiere osservazioni più precise sul teschio che i pastori ci hanno mostrato. Nella parte superiore appare tozzo e ampio, in quella inferiore si restringe diventando prominente; e poi quel foro al centro della fronte ricorda qualcosa di già visto. Infatti, basta guardare le immagini di un buon libro di zoologia per accorgersi che assomiglia fin troppo al cranio degli attuali elefanti: l’ampia cavità non è quella di un occhio ma del naso, da dove parte insomma la lunga proboscide dei pachidermi; una confusione possibile se non si conosce bene l’anatomia comparata (la scienza che studia forma e struttura degli animali). Se osserviamo ancora con attenzione, scopriamo che ai lati del teschio siciliano si aprono, molto meno evidenti e impressionanti, due piccole cavità orbitali, proprio lì dove hanno gli occhi anche gli elefanti attuali. Ormai siamo sulla buona strada per svelare il mistero, ma una differenza balza fin troppo evidente all’occhio: i crani siciliani sono molto più piccoli di quelli dei mastodonti preistorici e degli elefanti contemporanei. Insomma, invece che con resti di uomini giganti, pare che abbiamo a che fare con quelli di elefanti nani. 10 Nei musei a caccia di indizi Un salto nel museo di paleontologia “Gemmellaro” dell’Università di Palermo risolve ogni dubbio: ecco, perfettamente montato, lo scheletro di un bell’esemplare di Elephas mnaidriensis, un pachiderma abbastanza piccolo risalente alla seconda metà del Pleistocene medio, intorno a 200.000 anni fa. Questo animale poteva raggiungere l’altezza di circa un metro e novanta, decisamente poco rispetto ai tre metri e cinquanta dell’elefante africano e agli oltre quattro metri del suo antenato Elephas antiquus. Insieme ai suoi resti, sono stati trovati altri erbivori: cinghiali, uri, bisonti, cervi, daini, ma anche tanti simpatici ippopotami di piccola taglia, stranamente anch’essi nani. Prima di uscire dal museo, un altro resto attira la nostra attenzione: si tratta ancora di un elefante, le forme e le zanne ce lo dicono chiaramente, ma decisamente più piccolo del precedente. Stentiamo a credere ai nostri occhi, eppure è lì, in tutta la sua bassezza: raggiunge a malapena i novanta centimetri, più o meno come un grosso cane! 11 Si tratta dell’Elephas falconeri, il pachiderma più piccolo mai esistito, vissuto in Sicilia circa 500.000 anni fa. Veniamo a sapere che nel museo paleontologico “La Sapienza” di Roma ci sono i resti di un’intera famiglia: il padre, “zannuto”, la madre e due elefantini di dimensioni microscopiche, che ciascuno di noi avrebbe potuto prendere in braccio senza problemi. E tutti con un bel foro in mezzo alla fronte, punto di attacco della proboscide, come ormai sappiamo, e provenienti dalla Sicilia. Abbiamo dunque svelato la nascita di uno dei più suggestivi e conosciuti miti dell’antichità e anche il perché Omero e i suoi contemporanei pensavano che i Ciclopi fossero mangiatori di uomini: le grotte siciliane sono piene di ossa di tanti animali, alcuni più grandi altri meno, scambiate per i resti dei pasti, anche umani, di quei feroci giganti. Tuttavia, rimane una giusta curiosità: come sono potuti comparire nel corso dell’evoluzione elefanti così piccoli? ecc. Charles Darwin (1809-1882), il padre dell’evoluzionismo, potrebbe darci qualche risposta. – Professor Darwin, può fornirci qualche informazione sugli animali insulari? – Niente di più facile. Io ho navigato in lungo e in largo nei mari del mondo, ho conosciuto molte isole e mi sono fatto un’idea abbastanza chiara degli animali che ci vivono attualmente. – E cioè? – Ho notato che molti animali hanno delle forti rassomiglianze con quelli abitanti sui vicini continenti e quindi ho ipotizzato che fossero legati da stretti rapporti di parentela. Giganti nani e nani giganteschi Non solo elefanti nani, ma come abbiamo detto anche altri animali come gli ippopotami. Si tratta ad esempio dell’Hippopotamus pentlandi, alto poco più di un metro e venti centimetri e contemporaneo dell’Elephas mnaidriensis. Oltre che in Sicilia, su altre isole del Mediterraneo sono stati scoperti resti di grandi mammiferi ridotti a piccole dimensioni: ippopotami ancora più piccoli, cervi 12 – Vuole dirci che un tempo vivevano insieme? – Certamente! – Allora si tratta di casi di immigrazione animale… – Proprio così. Può sembrare strano, ma ho scoperto che tanti animali sono in grado di spostarsi usando occasionali mezzi di trasporto come tronchi galleggianti o grandi semi. Alcuni più piccoli possono essere trasportati dal vento. In questo gli uccelli e i pipistrelli sono facilitati dalle ali. 13 – È una teoria convincente, ma come la mettiamo con i grandi mammiferi? Loro avrebbero bisogno di navi e non di tronchi per migrare. In molte isole sono stati trovati in abbondanza i loro resti fossili. – Un bel dilemma, però anche in questo caso mi sono fatto una precisa idea. Isole come la Sicilia, Malta, Creta e altre ancora sono molto vicine ai continenti. Basterebbe che il livello del mare si abbassasse di qualche decina di metri per creare dei ponti di terra attraverso i quali gli animali, anche i grandi Mastodonti, potrebbero passare senza nemmeno bagnarsi i piedi. Col tempo si adatterebbero al nuovo ambiente, subendo anche diverse modificazioni nella forma. – Forse sta sminuendo il problema; nelle isole mediterranee vi sono fossili che mostrano delle spettacolari modifiche: cosa ne pensa di elefanti di novanta centimetri? – Dice a me di non sminuire… ma ti rendi conto che ho dovuto faticare ed essere perfino insultato per far valere le mie idee sull’evoluzione? Non conosco molto bene i fossili di cui parla, ma ti assicuro che il tempo e la selezione naturale sanno fare grandi cose, anche trasformare un gigante in un nano! 14 Su e giù del mare e degli animali Effettivamente, i casi di nanismo sono molto frequenti tra i mammiferi rimasti a lungo isolati in territori ristretti come le isole. Nel caso del nostro “Polifemo”, la specie di taglia normale da cui derivano tutte le altre più piccole è probabilmente l’Elephas antiquus (alto oltre quattro metri) arrivato in Sicilia quando il livello del mare si abbassò drasticamente a causa delle glaciazioni che immobilizzarono negli estesi ghiacciai enormi quantità d’acqua. Lo stretto di Messina si trasformò pertanto in un istmo, creando un ponte con la Calabria. Anche Malta fu collegata alla Sicilia con un istmo. In seguito il livello del mare si innalzò, le isole vennero di nuovo circondate dall’acqua e così gli elefanti si trovarono “separati” dal continente. In un ambiente piccolo come le isole del Mediterraneo le loro grandi dimensioni non li favorivano affatto: il cibo non sarebbe bastato a sfamarli e poi, data l’assenza di grandi carnivori, non avevano più bisogno delle dimensioni giganti per evitare di essere predati. In questo habitat, quindi, gli animali di piccola taglia, sempre presenti in una popolazione, avevano più probabilità di sopravvivere. 15 Nel corso del tempo e col succedersi delle generazioni, la taglia degli elefanti si ridusse sempre di più in tutta la popolazione, portando alle faune nane. Il fatto che l’Elephas falconeri sia vissuto 500.000 anni fa e l’Elephas mnaidriensis molto tempo dopo ci suggerisce che il livello del mare si è innalzato e abbassato più volte nel corso del tempo, consentendo alla selezione naturale di ripetere diverse volte le sue grandi imprese. Ogni volta che si creava un nuovo ponte, tuttavia, nuove specie penetravano nelle isole, entrando in competizione con quelle esistenti che venivano predate. Questo portò di volta in volta alla loro estinzione. Parlando di giganti nani, stiamo dimenticando che la Sicilia ci ha rivelato un altro apparente mistero: i nani diventati giganti. In effetti, sono state rinvenute ossa di roditori giganti, come il ghiro Leithia melitensis. I piccoli mammiferi, in modo inverso rispetto ai grandi erbivori (ma per ragioni analoghe), hanno aumentato la loro taglia. L’ a m b i e n t e insulare per loro si è rivelato molto favorevole: c’era cibo in abbondanza e non era più indispensabile avere piccole dimensioni per nascondersi dai predatori, che sull’isola erano pochi o assenti. 16 Il fenomeno che rende nani i grandi animali e giganti i piccoli è detto “insularismo”. Avviene quando una popolazione di animali, trovandosi completamente isolata dalla sua specie e in un nuovo habitat, modifica il suo aspetto e le sue dimensioni per sopravvivere. (Più in generale, quando una popolazione di organismi modifica le proprie caratteristiche rispetto alle altre popolazioni della stessa specie si parla di “deriva genetica”). L’isolamento geografico di una popolazione è una delle cause della “speciazione”: la nascita di nuove specie. Darwin aveva proprio ragione; Omero e i suoi contemporanei molta fantasia. Teutobodo, il gigantesco re teutone Oltre un secolo prima di Cristo venne combattuta una terribile battaglia tra le truppe romane comandate da Caio Mario e l’esercito cimbro-teutonico che da nord stava scendendo in Italia con l’intento di fare conquiste e saccheggi. I barbari erano conosciuti e temuti per la loro forza, le grandi dimensioni, l’aspetto terribile e feroce, e il loro re Teutobodo era ovviamente il più possente di tutti. Quando finalmente i Romani riuscirono a sconfiggere i temuti barbari, la leggenda del re Teutobodo si ingigantì così come le sue dimensioni, tanto che si finì per descriverlo come un vero e proprio gigante di oltre tre metri di altezza. 17 – E che cosa le risposero? – Non poterono che confermare i miei più paurosi sospetti: quelli erano i resti di un gigante dalle sembianze umane! – Accipicchia! Passarono più di 1600 anni da allora, quando in Francia, nella regione del Delfinato, in una cava di sabbia di proprietà del marchese Nicolas de Langon venne fatta una scoperta incredibile. – Marchese Nicolas de Langon, è vero che furono trovate delle ossa di gigante nei suoi possedimenti? – I lavoratori della cava di sabbia si spaventarono moltissimo quando fecero la scoperta e, in effetti, non potei dare loro torto; quando fui chiamato, mi si presentò davanti uno spettacolo terribile: ossa gigantesche e deformi, denti acuminati, un teschio orrendo… – Va bene, va bene, si calmi: mi pare che si stia impressionando anche adesso solo a parlarne. – Avrei voluto vedere te di fronte a tanto spavento. Ai miei tempi, non era di certo una cosa comune trovare simili resti. Però deve darmi atto che superai in fretta il ribrezzo e il timore, e informai di lì a poco gli esperti dell’università. 18 – Vedo che anche tu ne sei sorpreso, eppure andò proprio così. Per sicurezza, furono consultati anche gli esperti dell’università di Grenoble. – Che hanno detto, se è lecito chiederlo? – Ti posso garantire che tanti di loro, le menti più eccelse del periodo, ribadirono senza ombra di dubbio: ossa di gigante! – E gli altri? – Niente di importante, a mio parere, ma se lo vuoi proprio sapere qualche sciocco pensò che potesse trattarsi di resti di animali come elefanti, rinoceronti o addirittura una balena… Ridicolo, quando mai si sono visti simili animali nel cuore della Francia? Dovresti leggerti l’ottimo libro di Nicolas Habicat che spiega in modo inconfutabile che si tratta proprio di ossa di un gigante. – Se non ricordo male, c’è stata una disputa tra lui e un professore di anatomia che lo criticò aspramente per lungo tempo. Mi dica però una cosa: come c’entra in tutto questo il re Teutobodo? 19 – Qualcuno, mio contemporaneo, ritenne, forse con qualche ragione, che le ossa rinvenute fossero nientemeno che i resti della sepoltura di questo re barbaro. Sto parlando di Pierre Mazurier, un famoso chirurgo dell’università di Parigi a cui cedetti alcune ossa del mio gigante. – Mazurier, Mazurier… Questo nome non mi è nuovo… ma certo! Marchese, forse lei non sa che l’inganno del signor Mazurier venne smascherato qualche decennio dopo… – Inganno? Di quale inganno sta parlando? Che ossa! Il marchese non può più esserci utile in questa indagine, ma il signor Mazurier sicuramente sì e allora consultiamolo. – Lei era un chirurgo e insegnava a Parigi, perché improvvisamente le venne in mente di dedicarsi alla mitologia e all’anatomia comparata? – Ma ti rendi conto di quanto la gente cerchi avidamente strane notizie, storie incredibili di giganti, mostri, draghi…? Io ho solo assecondato questa sete di fantastico. – Allora sta ammettendo che si è trattato di un’invenzione… – Devo rispondere? – In pratica lo ha già fatto, potrebbe però spiegarci come sono andate le cose. 20 – Se proprio insisti, ecco i fatti. Ero amico del marchese de Langon e venni a sapere della sua scoperta eccezionale. Volli andare a vedere e rimasi subito affascinato da quelle ossa enormi. Gigante o animale, poco importava: se quei resti avevano incantato perfino me, uomo di scienza, chissà come avrebbe reagito la gente comune. E allora, con un pizzico di condimento, ecco rinascere la leggenda del gigantesco re Teutobodo che al tempo dell’antica Roma devastò anche la Gallia, la Francia di allora. – Però i testi latini raccontano che il re teutone non morì in Gallia, ma fu portato schiavo a Roma. – Faccende secondarie. Uno sguardo alle ossa mi permise di stimare in diversi metri l’altezza del gigante: circa otto, con un diametro del cranio di quasi tre metri! Il gioco era quasi fatto, non mi restava che chiedere al marchese l’omaggio di alcune ossa e avrei potuto mostrarle in giro per la Francia a chiunque avesse voluto ascoltare una storia affascinante. 21 Terribili animali selvatici – E la gente le credette? – Altroché! Come potevano non credere alla storia di questo gigante la cui tomba riportava sulla lapide a chiare lettere “Re Teutobodo”? – Ma non fu ritrovata nessuna tomba! Mi sta dicendo che li imbrogliò tutti? – Raccontai solamente quello che la gente voleva sentirsi dire. Pensa che fui accolto perfino a corte, a Fontainbleau, dalla regina madre. – Lei, però, era un chirurgo dell’università, uno scienziato! – Questo lo hai già detto, ma forse non ti rendi conto di quanto poco si guadagni con quella professione… Meglio portare in giro il fantastico e l’incredibile: rende molto di più. E poi, non venire a farmi la predica o ad accusare di ingenuità i miei contemporanei: anche ai vostri giorni ci sono molte persone che raccontano storie di giganti e tantissimi altri creduloni che le bevono senza dubitare. 22 Mazurier ha proprio ragione: lo Yeti in Asia, il Bigfoot in America e altri abominevoli uomini in ogni parte del mondo vengono continuamente avvistati anche oggi. Bisognerà vedere chiaro anche in questi avvistamenti. Ma dobbiamo ancora risolvere il mistero del re Teutobodo e allora dobbiamo assolutamente rivolgerci al professor Cuvier (1769-1832), un grandissimo e serio scienziato di fama mondiale, che possiamo definire il padre dell’anatomia comparata, disciplina biologica che opera mediante la “comparazione”, cioè il confronto fra le strutture anatomiche dei diversi gruppi di Vertebrati e si pone l’obiettivo di individuare ed analizzare le cause della loro forma, della loro organizzazione strutturale e dei loro adattamenti. – Professore, che cosa può dirci del gigante ritrovato nel Delfinato? – Ridicolo! Anche un bambino avrebbe riconosciuto in quelle ossa un animale imparentato, anche se alla lontana, con gli attuali elefanti. Quando mi hanno portato i presunti resti di Teutobodo, non ho potuto fare a meno di sorridere: non condivido certamente quello che ha fatto quell’imbroglione di Mazurier, ma almeno lui era consapevole che le sue erano solo bugie; mi meravigliano invece i miei colleghi che hanno pensato a un gigante… Non importa, forse sono eccessivamente pretenzioso, d’altra parte stiamo parlando del secolo precedente al mio, quando le scienze erano ancora intrise di troppa fantasia e magia. 23 Sono molto sorpreso, però, che anche ai vostri tempi si raccontino strane favole… – Non ci si metta anche lei, per favore. Parliamo invece di questo elefante. – Ho detto imparentato con gli elefanti; questo, pur avendo struttura assai simile, era piuttosto diverso. Pensa che le corte zanne uscivano dalla mandibola e non dalla mascella; si piegavano poi verso il basso e all’indietro. Aveva ossa massicce e possenti e i denti erano più numerosi e diversi da quelli degli elefanti moderni. A proposito, visto quanto era stato detto su questo spaventoso gigante, averlo chiamato Deinotherium è stata una bella idea, non credi? – In effetti, richiama il nome “dinosauro”. – Niente dinosauri ai miei tempi, non li conoscevamo ancora; però i due nomi hanno la stessa origine greca e la prima parte “deinos” significa “terribile”. I dinosauri erano “lucertole terribili”, il pachiderma da me esaminato un “terribile animale selvatico”. Nessuno lo ha mai visto vivo, ma sicuramente avrebbe impressionato chiunque con le sue dimensioni imponenti e maestose. 24 Cronache dal passato: il Deinotherium Quindici milioni di anni fa l’Europa era molto diversa da oggi. Immense foreste di palme, eucalipti, pittospori, tuie e sequoie la coprivano da nord a sud; il clima, più caldo dell’attuale, era veramente ospitale e animali di tutti i tipi popolavano ogni suo angolo. Nei pressi di un’ampia palude, un branco di strani pachidermi sta pigramente mangiando e qualcuno coglie l’occasione per rinfrescarsi. La proboscide così come l’aspetto generale non ingannino: non sono elefanti! Sono molto alti, più dei nostri proboscidati: qualcuno poco meno di cinque metri! Tuttavia, la cosa più strana sono due corte zanne che spuntano in modo bizzarro dalla mandibola e si piegano verso il basso. Chissà a che cosa possono servire? Sembrano più di impiccio che altro; se gli animali piegano troppo in avanti la testa potrebbero addirittura ferirsi le lunghe zampe anteriori. Uno dei pachidermi sembra averci sentito e, quasi a volerci dimostrare l’utilità dei suoi appuntiti strumenti, si avvicina a un albero, piega la testa e con maestria strappa con le zanne ricurve la corteccia in lunghe strisce che infine mangia con grande gusto. Gli animali d’improvviso sembrano nervosi; gli adulti spingono i piccoli verso il centro del branco e le matriarche si portano davanti con aria minacciosa. Da un gruppo di palme, spuntano finalmente gli oggetti della loro tensione: un gruppo di grossi carnivori dall’aspetto di iene, ma spaventosamente più grandi e feroci. Annusano l’aria e qualcuno emette un suono acuto e penetrante, mostrando denti acuminati e particolarmente grandi. Le matriarche si agitano ancor di più e, dopo aver lanciato dei possenti barriti, caricano con rapidità sorprendente i carnivori che dopo un attimo di esitazione si dileguano nella foresta. Nessuno può competere, ieri come oggi, con la forza e la determinazione dei grandi pachidermi. Gli abominevoli uomini Ma è proprio vero che anche ai nostri giorni crediamo ai giganti come hanno insinuato Mazurier e Cuvier? Prima di negare fermamente e di dichiarare che non siamo assolutamente così arretrati e ridicoli da pensare ancora a simili fantastiche presenze, fermiamoci a guardare la cronaca degli anni passati e quella attuale: nel Nepal gli avvistamenti dello Yeti, l’abominevole uomo delle nevi, sono fin troppo frequenti; nella lingua locale “yeh-teh” significa “quella cosa”, cioè un animale indefinibile e completamente diverso da quelli conosciuti. Spostiamoci quindi in America ed ecco comparire un altro abominevole uomo: il Bigfoot (“grosso piede”) detto anche Sasquatch, che continua ad essere avvistato, fotografo e, poco ci manca, intervistato. Anche in altre parti del mondo vi sono notizie di strani avvistamenti, perfino nella nostra vecchia Europa, dove tutto possiamo immaginare che si possa trovare, ma certo non un uomo gigantesco, abominevole e “selvadego”, come viene definito nell’arco alpino. Oltre ad aggirarsi per le montagne, l’uomo selvadego è anche finito in un affresco del 1464, che si può ammi- 26 rare a Cosio Valtellino, in Lombardia. Qualcuno ha fantasticato ancora di più su questi strani giganti moderni che si lasciano vedere solo in modo misterioso, seminando qua e là qualche impronta di piede, qualche ciuffo di peli o mettendosi in posa, a debita distanza, per qualche immagine fotografica sbiadita e confusa; infatti è stata proposta una teoria affascinante quanto indimostrabile: gli Yeti potrebbero essere gli ultimi discendenti del Gigantopithecus, la scimmia gigantesca del Pleistocene, l’era Glaciale. Per saperne di più su questo animale, andiamo indietro nel tempo, nel 1934, e spostiamoci in Cina dove Ralph 27 von Koenigswald, di origini tedesco-olandesi, noto paleoantropologo, studioso quindi di uomini preistorici, si aggira tra le farmacie del posto, ricche di quelle che vengono tuttora chiamate “ossa e denti di drago”. Denti di drago? No, grazie, meglio un Gigantopithecus Von Koenigswald ha appena estratto qualcosa di molto particolare da un grande vaso di vetro pieno di ossa e denti e lo sta osservando con molta attenzione. – Professore, la vedo particolarmente agitato e meravigliato: che cosa ha tra le mani? – Un dente molare, davvero interessantissimo, direi. Non esito a dire che si tratta della cosa più interessante che mi sia capitato di scoprire negli ultimi tempi. – Mi scusi l’ignoranza, ma che cosa può esserci di tanto interessante in un solo dente? – Ma non vedi? È molto simile a quelli umani, tuttavia questo è sei volte più grosso. – In effetti sembra proprio mastodontico. Adesso però deve dirmi qualcosa di più! Mi ha messo addosso troppa curiosità… – Questo è un dente fossile, non so ancora a che epoca possa risalire, ma chi lo possedeva era sicuramente un essere gigantesco, forse non un uomo ma una scimmia di proporzioni mai viste… non vorrei azzardare troppo, ma credo di poter dire che raggiungeva un’altezza di 28 almeno tre metri e una massa di diverse centinaia di chili. – E lei riesce a leggere tutte queste cose in un dente? – Lo hai detto anche tu che non sembra per niente un dente normale. – Giusto, dente grosso, animale grosso… comunque lo scienziato è lei; però mi lasci dire che quella che ha proposto sembra proprio la descrizione dell’abominevole uomo delle nevi che si aggira sull’Himalaya, e in effetti non siamo molto lontani da lì… – Per carità! Non bisogna mai mescolare la scienza con la fantasia, non è una buona cosa. Sono sicuro che, a parte i gorilla, non esistano oggi altre scimmie gigantesche, ma questo dente ci dice che nel passato sono esistite. Von Koenigswald scoprì altri denti, che in seguito furono rinvenuti anche in altre parti della Cina, in India e in Pakistan; fu così possibile convincersi dell’esistenza di un grosso primate fossile sino ad allora sconosciuto, come aveva previsto il paleontologo tedesco. Fu perfino ritrovata in seguito una porzione di mandibola in una caverna a sud della Cina, studiata da un altro paleontologo, il dottor Pei Wen-Chung. Un suo articolo apparso nell’American Anthropologist 29 dell’ottobre del 1957 catalogava definitivamente il Gigantopithecus blackii come un’enorme scimmia antropomorfa, molto simile cioè all’uomo, sia nell’aspetto esteriore che nella struttura anatomica, la più vicina all’orangutan fino ad allora scoperta. La dieta dell’animale doveva essere prevalentemente vegetariana, probabilmente ricca di bambù, come per i panda attuali. Qualcuno sostiene, tuttavia, che forse non disdegnasse anche cibo di origine animale, un po’ come noi esseri umani. Il suo aspetto era davvero imponente, dato che per statura e costituzione era circa il doppio o addirittura il triplo di un attuale gorilla, con un peso stimato di circa cinquecento chilogrammi. Visse per molti milioni di anni, ma si estinse misteriosamente circa centomila anni fa, quando i nostri antenati umani già esistevano da tempo e sicuramente ebbero con esso incontri ravvicinati. Chissà, forse proprio i suoi resti scheletrici e l’avvistamento di animali corpulenti, orsi ad esempio, scambiati per scimmie “abominevoli”, hanno dato origine al mito dei vari Yeti, Yeren e quindi Bigfoot, Skunk Ape, Yowie, Homo selvadego ecc. Vi ricordate King Kong, il gigantesco scimmione che minacciava la città di New York, arrampicato in cima all’Empire State Buiding? Beh, il Gigantopithecus si è di certo estinto, ma a quanto pare è riuscito ugualmente a recitare una parte da protagonista in tanti film di avventura. 30 La guerra dei giganti Se leggiamo qualche racconto tratto dai miti greci, scopriamo che i giganti non mancano di certo, anzi, sono davvero numerosi. Sarà stato sicuramente difficile per i nostri antenati immaginare la nascita dell’universo, così immenso e incomprensibile, senza riempirlo di esseri giganteschi, dall’aspetto spaventoso, dalla forza fuori dall’ordinario, irascibili e temibili. E così da Urano, personificazione del cielo stellato, e da Gea, personificazione della Terra, nascono esseri davvero speciali come i Titani: sei maschi, Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto, Crono, e sei femmine, Tea, Rea, Temi, Teti, Febe, Mnemosine; inoltre gli incredibili Ecatonchiri o Centimani: Briareo, Gie e Cotto, veri e propri mostri con cinquanta teste e cento braccia. E per finire, tre Ciclopi: Bronte, Sterope ed Arge, tutti con un solo occhio in mezzo alla fronte. La storia diventa avventurosa quando Crono spodesta il padre Urano per regnare al suo posto sull’universo. Come primo atto del suo governo, diede la libertà ai suoi fratelli Titani, imprigionati nelle profondità della Terra dal padre che non si fidava di nessuno, non senza qualche ragione… vista la fine che fece. 31 Crono però lasciò prigionieri i Ciclopi e gli Ecatonchiri di cui aveva un certo timore, ma commise un grave errore. Infatti l’ultimo dei figli di Crono, il grande Zeus, dopo aver salvato tutti i suoi fratelli, divorati e rinchiusi nello stomaco dal loro temibile padre, liberò anche i Ciclopi e gli Ecatonchiri che lo aiutarono a sconfiggere Crono e i Titani; fu proprio così che Zeus divenne il re dell’Olimpo. I loro straordinari conflitti furono narrati nella “gigantomachia”, cioè la guerra dei Giganti contro gli dèi dell’Olimpo, e diversi furono i campi di battaglia che videro coinvolti i due schieramenti. Grazie anche all’intervento di Eracle, o Ercole come lo chiamavano i Romani, gli dèi ebbero infine successo. Le ossa dei giganti morti però sono ancora sepolte nella terra dalla quale ogni tanto fuoriescono quando i contadini arano in profondità i loro campi. Secondo il mito, i durissimi e sanguinosi scontri si svolsero un po’ dappertutto nell’area del Mediterraneo, dall’Italia meridionale alla Grecia e così via. In molti di quei terreni, in effetti, sono state ritrovate ossa gigantesche di grossi mammiferi soprattutto pleistocenici (1,8 milioni - 10.000 anni fa): pachidermi, rinoceronti, ippopotami, tutti in grado con le loro ossa massicce e molto più grandi di quelle umane di dare vita a qualsiasi mito che veda come protagonisti i giganti. Questo, molto in breve, è quello che racconta la mitologia greca, ripresa poi da altri popoli come i Romani. Ma tutto ciò è solo frutto di fantasia e abilità nel costruire storie complesse e intricate o c’è di più? Abbiamo visto che i Ciclopi trovano una spiegazione della loro nascita nella scoperta delle ossa degli elefanti nani, e allora forse bisogna cercare proprio in quella direzione. A cavallo del grande Unktehi Continuando a leggere le storie dei miti greci, scopriamo che lo scontro tra gli dèi dell’Olimpo contro questi esseri immensi continuò ancora a lungo, nonostante la prima vittoria di Zeus. Infatti i Giganti, altri fratelli dei Titani, cercarono di liberarli e dichiararono guerra ai nuovi padroni dell’Olimpo. Ma anche i miti di molti altri popoli vedono all’inizio dei tempi come protagonisti incontrastati e temibili degli esseri giganteschi e spesso inumani. Spostiamoci allora negli Stati Uniti, in Dakota, dove un anziano sciamano Sioux ha una bellissima storia da raccontarci. 32 33 – Cervo Zoppo, vuoi dell’Uccello del Tuono? parlarci – Wakinyan, questo è il suo nome. Un tempo viveva in queste terre, sulla montagna più alta delle sacre Paha Sapa. Ma adesso se n’è sicuramente andato via. Voi wasichu, voi bianchi, avete cambiato tutto e sporcato ogni cosa: l’Uccello del Tuono ama la solitudine e tutto ciò che è pulito e puro, di certo non i turisti e le bancarelle di hot dog che hanno invaso le terre dei Sioux. – Si chiama progresso, ma tu hai mai visto il Wakinyan? – Il progresso di cui parli tu non mi piace per niente e nemmeno al Wakinyan. Nessuno l’ha mai visto, anche se qualche volta compare nel sogno, seppure non tutto intero. Se sappiamo com’è fatto è perché abbiamo messo insieme i sogni di tanti sciamani. Invece la sua voce possente, il tuono, continua a farsi sentire e i piccoli tuoni rotolanti che seguono quello più grosso sono le voci dei suoi numerosi figli. Comunque è un essere benefico che ama gli uomini e li ha perfino salvati dalla distruzione, per questo i Sioux lo venerano. – Un momento, di quale distruzione parli? Puoi essere più chiaro? 34 – Certo. Quando l’uomo fu creato, Wakinyan e i suoi figli popolavano già da molto tempo il mondo ed erano padroni del cielo. Sulla terra però viveva un essere spaventoso e molto cattivo: l’Unktehi. Aveva il corpo di un grande serpente, con zampe e una testa mostruosa. Il suo corpo sinuoso riempiva completamente il fiume Missouri, mentre gli altri corsi d’acqua più piccoli e i laghi erano popolati dai suoi figli. Odiavano a tal punto gli uomini che decisero di ucciderli tutti e allora gonfiarono a dismisura i loro corpi: il fiume Missouri straripò così come tutti gli altri corsi d’acqua e i laghi. La terra fu inondata e molti uomini perirono; altri fuggirono sulle montagne. – E poi cosa successe? Come fecero gli uomini a salvarsi dalla furia dell’Unktehi? La grande battaglia – Fu per merito di Wakinyan e dei suoi figli; apprezzavano molto gli uomini per il loro rispetto e vollero pertanto ascoltare le loro preghiere. Vi fu una durissima battaglia fra gli Uccelli del Tuono e Unktehi e i suoi figli. Alla fine i mostri delle acque furono tutti inceneriti e le loro ossa trasformate in pietra. – Trasformate in pietra? Interessante… – Non ci credi? Allora ho un’altra storia da raccontarti e questa non me l’hanno tramandata i miei antenati perché 35 l’ho vissuta in prima persona. Ero ancora giovane e vagavo da solo nelle mie terre alla ricerca di alcuni cavalli che mi erano sfuggiti. All’interno di un grande canyon fui colto però da un improvviso e spaventoso temporale. La pioggia cadeva fittissima e le tenebre calarono rapidamente. Ebbi paura di precipitare nel fondo del canyon anche perché il forte vento e la pioggia quasi mi toglievano il respiro e cercavano di strapparmi dal costone di roccia al quale mi ero stretto con tutte le mie forze. – Molte volte ho tentato di ritrovare quel luogo e di portare i miei amici a vedere Unktehi, ma non ne fui più capace. Fossili leggendari Cervo Zoppo non ha raccontato una favola, ma ci ha fornito involontariamente una spiegazione sulla nascita dei miti e in particolare di quello di Unktehi. In effetti in Arizona, come in altre parti degli Stati Uniti, non è difficile imbattersi in resti di mostri giganteschi: impronte dei piedi, uova, sterco pietrificato (che i paleontologi chiamano “coproliti”) e ossa di ogni tipo. – Una situazione davvero angosciante. – Proprio così, ma a un certo punto sentii la presenza dei Wakinyan: mi parlavano attraverso il tuono e la folgore, ma io li capii. “Non aver paura! Tutto andrà per il meglio!” – mi dicevano, incitandomi a resistere – e io li ascoltai. Un po’ alla volta il temporale cessò e arrivarono le prime luci dell’alba. Ero sfinito, ma non fu per questo che quasi precipitai, fu per il terrore: ero rimasto aggrappato tutta la notte a una lunga fila di ossa pietrificate, le più grosse che avessi mai visto. – Di che cosa si trattava? – Ma non l’hai capito? Avevo cavalcato per tutta la notte la spina dorsale del Grande Unktehi! Fu un’esperienza che non dimenticherò mai. – Che storia! Sei mai tornato a rivedere il mostro pietrificato? 36 Stiamo parlando dei dinosauri grandi e piccoli che hanno popolato la Terra e l’America nell’era Mesozoica (da 245 a 65 milioni di anni fa). La descrizione di Cervo Zoppo ci fa pensare a uno degli smisurati sauropodi, dinosauri erbivori che camminavano in cerca di cibo lungo le grandi pianure, talvolta paludose e perfette per lasciare indelebili impronte dei piedi. I dinosauri carnivori, detti invece “teropodi”, armati di artigli affilati e denti acuminati, li seguivano a debita 37 distanza, pronti ad afferrare qualche incauto giovane esemplare erbivoro o a nutrirsi dei resti dei giganti giunti alla fine della loro vita. La maggior parte dei loro resti è andata distrutta, ma qualche scheletro, addirittura completo, è giunto fino ai nostri giorni. Molto probabilmente Cervo Zoppo ha proprio cavalcato uno di questi giganti, anche se lui credeva che fossero esseri dai poteri divini. Tuttavia, c’è qualcosa di attraente e di magico nei miti e nelle leggende dei popoli primitivi. L’importante, come sempre, è sapere ben distinguere la fantasia dalla realtà. Forse ti sarà capitato di osservare in un museo la ricostruzione di uno scheletro di dinosauro: devi sapere che per effettuare tali ricostruzioni in modo attendibile, dopo aver raccolto i resti fossili è necessario che i paleontologi li studino e li confrontino attentamente con gli animali viventi che devono pertanto conoscere molto bene. Si preoccupano quindi di raccogliere tutte le informazioni possibili sulle abitudini di vita dell’antico organismo, sul suo tipo di alimentazione, sulle sue prede e così via. Mettendo insieme tutti questi dati, ricompongono 38 infine le ossa fossili nel modo ritenuto più vicino possibile alla realtà. Con un po’ di attenzione e molte conoscenze in campo zoologico, si possono anche tentare delle ricostruzioni complete dell’animale preistorico, con tanto di carne e pelle. Il fatto è che le scoperte e le conoscenze in campo scientifico aumentano sempre di più e così le ricostruzioni che si facevano in passato degli antichi animali spesso non sono ritenute più attendibili. Basta prendere l’esempio dell’Iguanodon, un dinosauro erbivoro vissuto nel Cretaceo, tra 140 e 120 milioni di anni fa. 1 Le immagini, numerate da 1 a 5, ti mostrano le ricostruzioni dell’Iguanodon fatte dall’Ottocento fino a oggi. La prima è la ricostruzione più antica e la più approssi2 mativa, anche per la mancanza di resti fossili completi. Nella seconda, del 1859, l’Iguanodon è rappresentato come un quandrupede tozzo, simile alle attuali iguane e con un corno sul muso. 39 3 Questo corno in realtà non esisteva, ma fu il risultato di un errore di interpretazione: insieme agli scheletri dell’animale erano state rinvenute alcune ossa appuntite, scambiate per corni. Si trattava, invece, di protuberanze ossee dei pollici, usate come armi di difesa. Nella terza ricostruzione, del 1960, questo dettaglio risulta evidente: l’animale è meno tozzo e bipede. La quarta ricostruzione risale a qualche anno fa: l’Iguanodon era 4 ancora rappresentato come un bipede, slanciato e atletico, senza alcuna rassomiglianza con le iguane ma con la testa più simile a quella di un cavallo. Oggi si pensa, per via delle zampe formate da tre dita e da particolari zoccoli, che l’Iguanodon fosse un quadrupede che all’occorrenza poteva alzarsi sulle zampe posteriori per difendersi dai carnivori con gli aculei dei due pollici, come mostra l’immagine 5. I disegni sulla pelle dell’animale sono solo frutto di supposizioni perché sui fossili non resta traccia delle ornamentazioni degli animali. 5 40 Cronache dal passato: il Brontotherium, cavallo di tuono Simile a un attuale rinoceronte, alto però quasi tre metri e con uno stranissimo corno a forma di forcella posto subito sopra il naso, un grosso brontoterio avanzava lento nella pianura. L’odore inconfondibile di un branco di altri brontoteri, sicuramente femmine, lo aveva attratto. Si fermò solo un attimo per assaporare qualche tenera foglia strappata dalle verdi fronde di un albero, poi riprese la marcia. Non aveva una grande vista, come tutti gli appartenenti alla sua specie, ma l’udito e l’olfatto erano ottimi; rallentò infatti, muovendo la testa in su e in giù, con nervosismo ma anche per annusare meglio l’aria: l’odore di un altro grande maschio arrivò con la brezza del fresco mattino. Ne notò il movimento in lontananza e il nervosismo divenne furia: sbuffò con forza dalle narici, smosse la terra con le grosse zampe e caricò a testa bassa, puntando il corno contro il suo avversario che si era messo sulla difensiva. Il rumore dello scontro si ripercosse per tutta la pianura e fu seguito da possenti sbuffi, grugniti di rabbia e colpi di testa. Andarono avanti a lungo, fino a che uno dei due, sfinito e ferito in più punti, si allontanò sconfitto. Il perdente cercò ristoro e refrigerio presso le acque di uno stagno fangoso, ma si impantanò. Lottò disperato per liberarsi dalla morsa del fango, ma le forze erano ormai allo stremo. Infine si lasciò andare. Il fango e le acque lo ricoprirono e il suo corpo rimase imprigionato nel suolo per trenta milioni di anni, finché le sue ossa non vennero ritrovate. Stiamo parlando ancora degli indiani Sioux che nelle Bendlands del Dakota rinvennero proprio quelle ossa che il tempo e la terra avevano così gelosamente custodito. Questa volta però non pensarono a giganti di aspetto umano quanto a giganteschi equini: i cavalli del tuono, bestie sicuramente più adatte agli spiriti che ai comuni mortali! E come dare loro torto? Quando un branco di quegli animali si metteva al galoppo, il rumore prodotto da quelle grosse zampe sul terreno avrebbe potuto sicuramente rivaleggiare con i veri tuoni. E poi, anche il nome che gli hanno dato gli scienziati non è molto diverso: Brontotherium significa proprio “bestia del tuono”. I MISTERIOSI DRAGHI Draghi Il grande animale spalancò le enormi ali da pipistrello e distese il corpo allungato e flessuoso, ricoperto di squame lucenti come quelle di un rettile; quindi grattò la roccia con i terribili unghioni e spiccò il volo. Dopo aver compiuto diverse evoluzioni, si guardò intorno con ferocia, sferzò l’aria con la lunga coda e sputò una lunga lingua di fuoco. In questa descrizione tutti saremmo in grado di riconoscere un drago, l’animale fantastico che da tempi immemorabili ricorre in moltissime leggende provenienti da popoli e regioni diverse del mondo; c’è proprio da chiedersi se i draghi non siano esistiti veramente. Una leggenda molto conosciuta racconta la storia di san Giorgio che uccide una di queste bestie e salva una fanciulla dalle sue grinfie. Molti altri santi sono ritenuti responsabili dell’uccisione di draghi in ogni parte d’Europa e d’Italia; in alcune chiese, come a Verona o presso Brindisi, a Cuneo e anche altrove vi sono resti ossei di questi draghi. 42 43 Ad Almenno, in provincia di Bergamo, una chiesa conserva ancora una lunga costola di due metri e mezzo appartenuta al famelico drago del lago di Gerundo. Tutto sembra concorrere a una sola conclusione: un tempo i draghi sfrecciavano davvero nei nostri cieli! Ma per avere conferme o smentite, dobbiamo assolutamente recarci a Klagenfurt, in Austria, dove ci aspetta un drago per nulla in carne ma molto in ossa… dentate lo catturarono e infine lo uccisero. Sul luogo dello scontro venne edificato subito un castello e intorno alle sue mura sorse un piccolo villaggio, primo nucleo della città di Klagenfurt che letteralmente significa “guado dei lamenti”, a ricordo dei poveretti che erano finiti tra le fauci del drago. La statua è così ben fatta e ricca di particolari che non si può fare a meno di chiedere direttamente allo scultore se avesse mai visto il mostro o i suoi resti. – A parte i complimenti per la sua opera, signor Hönel, potrebbe spiegarci se ha mai visto in vita sua il Lindwurm? – Certo che l’ho visto! Il drago di Klagenfurt – Chissà che paura… Nella Neuer Platz della città di Klagenfurt, in Austria, sorge una fontana particolarissima, detta del Lindwurm; in effetti, un grosso drago alato, dall’aspetto di un lungo verme con scaglie e ali, sputa dalla bocca un getto d’acqua (per fortuna). Di fronte a lui, la statua di un uomo gigantesco, un ercole, con i muscoli contratti e una grossa clava con chiodi appuntiti, sta per colpire il pericoloso animale. La leggenda narra che il mostro infestava gli acquitrini che un tempo coprivano una larga area compresa tra il fiume Drava e il lago Wörth. Per molti anni fu responsabile della misteriosa scomparsa di uomini e animali fino a quando il duca Karast, che regnava su quelle terre, decise di affidare ai suoi valorosi guerrieri il compito di uccidere il mostro. Con l’astuzia, gli uomini armati di mazze – Non esageriamo, io ho esaminato solo il cranio del drago che fu ucciso chissà quanti anni fa. Gli abitanti di Klagenfurt rinvennero i suoi resti nel 1335 cioè almeno 250 anni prima che ideassi e costruissi la statua. 44 – Solo il cranio? Sarà stato difficile allora ricostruire l’intero corpo del Lindwurm. – Ho dovuto usare solo un po’ di immaginazione e le descrizioni che sono state fatte dai nostri antenati. Il cranio, comunque, è piuttosto orripilante e solo un mostro poteva possederne uno così. Non faccio fatica ad ammettere che ne ho fatto un disegno in fretta e furia 45 pur di allontanarmi da quelle ossa. Ho sentito dire che i draghi possono riprendere vita dai loro resti. – Se è per questo, ne sono state dette tantissime di cose sui draghi, anche se mi sembrano tutte poco credibili. Tuttavia, piacerebbe anche a me vedere quel cranio da vicino: mi sa dire dove si trova? – Non te lo consiglio, fidati; ma fai pure quello che vuoi. Ciò che rimane del Lindwurm si trova nel museo statale di Klagenfurt. I resti di un drago addirittura in un museo, e nemmeno troppo distante dalla statua che è stata eretta a suo ricordo: veramente elettrizzante! Tuttavia, scopriamo con delusione che nel museo non esiste un settore dedicato ai draghi, né austriaci né esotici. La nostra ricerca ci porta invece nel settore degli animali pleistocenici, quelli dell’era Glaciale per intenderci. Una ricostruzione sbagliata In una vetrina riconosciamo subito il cranio del “drago” perché il suo aspetto è esattamente quello che lo scultore ha utilizzato per la parte 46 superiore della sua testa: la forma arrotondata del muso è identica, mentre le orecchie richiamano ingenuamente la struttura posteriore delle ossa craniche. La didascalia però ci avverte che non si tratta di resti di drago ma di rinoceronte lanoso, il Coelodonta antiquitatis. Scopriamo anche che il cranio, conservato gelosamente per secoli nel municipio della città, fu riconosciuto come resto di rinoceronte solo nel 1840 dal paleontologo Franz Unger e nove anni più tardi, quando il museo fu edificato, fu trasferito in una vetrina. Non possiamo negare di provare una forte delusione: siamo partiti da un drago e siamo arrivati a un mammifero. In fondo però, la statua di Klagenfurt rappresenta la prima ricostruzione paleontologica al mondo, anche se del tutto sbagliata. Cronache dal passato: il rinoceronte dalla folta pelliccia Una tormenta di neve rendeva totalmente bianco il paesaggio, mentre la temperatura scendeva sotto i -15 gradi centigradi. Nella pianura piatta, si ergeva una strana collinetta di neve che aumentava in altezza di ora in ora. Poi, d’improvviso, così come era arrivata, la tormenta smise di colpo 47 e il cielo si colorò di una tenue tinta rosa pastello. Fu a quel punto che la collinetta si animò improvvisamente e alcuni grossi animali bruni emersero come dal nulla. Si scossero con vigore la neve di dosso e sbuffarono calde nuvole di vapore dalle narici; un corno lungo un’ottantina di centimetri adornava il loro muso e uno più corto lo seguiva subito sopra. Una folta pelliccia li ricopriva dalla testa ai piedi e sicuramente li aiutava a sopportare facilmente quelle temperature polari. Tre piccoli rinoceronti sbucarono dal centro del gruppo di adulti e sgropparono felici; si avvicinarono quindi alle madri, affamati di latte. Queste li lasciarono fare, mentre con i lunghi corni appiattiti lateralmente si misero a spostare con vigore la neve per raggiungere il suolo gelato. Ben presto emersero erbe secche e licheni congelati che vennero rapidamente brucati per saziare un po’ del potente appetito. In lontananza l’ululato di un lupo, seguito da molti altri in risposta, ricordò loro che anche molti predatori erano in cerca di cibo e che i loro cuccioli andavano sorvegliati con attenzione. Tuttavia, non avendolo ancora incontrato, il piccolo branco non sapeva ancora che il loro più accanito predatore non era il lupo ma l’uomo che, con le lance appuntite e le pietre taglienti e ben scheggiate, era in grado di uccidere anche gli adulti. E di questa sua caccia grossa ha lasciato traccia nelle incisioni e nelle pitture rupestri. Draghi indiani Siamo nel I sec. d.C. e il filosofo greco Apollonio di Tiana è di ritorno da un suo viaggio in Asia e in India, in particolare. Chissà quante cose avrà da raccontarci! Fermiamoci a fare due chiacchiere con lui. – È stato tranquillo il viaggio? – Non mi starai prendendo in giro, vero? Definire “tranquillo” un lungo viaggio nelle terre più selvagge del mondo è veramente incredibile e offensivo! – Non sia permaloso, è un modo di dire, per rompere il ghiaccio… – Ma che permaloso e permaloso! E non mi parlare di ghiaccio, perché non ne ho mai visto tanto in vita mia. Comunque, se ti piace viaggiare ti offro un consiglio: evita quei territori! – Per quale ragione? – Lo sapevo che non mi avresti lasciato in pace. D’accordo, sappi allora che non esiste luogo al mondo così infestato dai draghi, esseri spaventosi che popolano tutte le montagne di quelle terre ed effettuano scorribande nei villaggi. Una cosa tremenda, da non augurare a nessuno. 49 – Mi pare che tu sia sopravvissuto alla loro ferocia… – Impertinente! Avresti preferito che mi avessero mangiato? Chi avrebbe mai raccontato qui, nel mondo civilizzato, la dura realtà che aspetta i viaggiatori diretti a Oriente? Comunque, esiste una città chiamata Paraka dove ho potuto ascoltare storie straordinarie e vedere con i miei occhi centinaia di teste di drago. – Ho già avuto a che fare in Austria con altre teste di drago… – Austria? Dove si trova questo posto? Se c’è un drago è sicuramente in India. – Quindi non ha mai visto un drago volare nei cieli dell’India… – Ci mancherebbe altro! Le loro teste sono più che sufficienti. Gli uomini che vivono in quei luoghi devono essere molto coraggiosi perché non solo li sopportano, ma sono anche in grado di ucciderli e tenerli lontani. Sicuramente è per questo che non ne ho mai visto uno in vita. Mi hanno anche detto che c’è una ragione in più per ucciderli: nelle loro teste sono state trovate addirittura pietre preziose. – Non è in India, ma questa non è una cosa importante visto che ai tuoi tempi non si chiamava così. Piuttosto, mi piacerebbe sapere come erano fatte quelle teste. – Grosse! Veramente grosse! Questa è la prima impressione che suscitano. Poi si notano delle grandi corna, due o addirittura quattro; inoltre orecchie contorte fatte d’osso e tanti denti nella bocca adatti a schiacciare, triturare e spaccare in frammenti ogni cosa che viene addentata. 50 Il santuario delle mille teste Apollonio deve aver visto davvero qualcosa, ma la storia si ripete: ossa e crani di aspetto inquietante, con corna e altro ancora, tuttavia niente di vivo. In questa vicenda particolare, poi, si può aggiungere che sono stati trovati alcuni scritti del 500-640 d.C. che parlano di una città santa per i buddisti a nord di 51 Taxila in Pakistan chiamata anche “santuario delle mille teste”. Una straordinaria coincidenza, tenuto anche conto che la “Paraka” di Apollonio, che può essere pronunciata come “Parasha”, potrebbe essere l’attuale Peshawar, esattamente a nord di Taxila. Nei dintorni affiorano sedimenti terziari ricchi di resti di grandi mammiferi e coccodrilli enormi come il Leptorhynchus. Esaminiamo allora i crani di alcuni mammiferi trovati in quei depositi sedimentari. Bene, sembrano corrispondere esattamente alla descrizione fatta da Apollonio: massicci, dotati di corna e grossi denti. Chiunque senza un minimo di preparazione scientifica potrebbe ipotizzare l’esistenza di mostri e draghi. In realtà, si tratta di antenati di qualche milione di anni fa delle attuali giraffe, per nulla temibili essendo erbivore e assolutamente incapaci di volare e seminare terrore. Inoltre, se osserviamo con attenzione la testa di un’attuale giraffa, ci accorgiamo che anch’essa possiede delle corna evidenti anche se nessuno si sognerebbe di scambiarla per un drago. Sicuramente più temibili sono stati i grandi coccodrilli, le cui ossa sono frequenti in quei depositi, ma anche in questo caso niente draghi. Brillanti ma poco preziosi E le pietre preziose che i draghi conservano nelle loro teste? Un’altra leggenda inventata dalle menti vivaci e fantasiose dei nostri antenati? 52 Anche qui c’è un fondo di verità. Durante i processi di fossilizzazione, le ossa conservate nel suolo si sono impregnate di una sostanza chimica piuttosto comune, il carbonato di calcio, che ha formato qua e là tra le ossa dei brillantissimi cristalli bianchi; il calcio si deposita anche sotto forma di un altro sale, il solfato di calcio, dando vita al minerale selenite. Niente di prezioso, tuttavia sufficiente per far “brillare” gli occhi dei primi scopritori delle “ossa di drago”. Ci sono molti altri posti nel mondo dove i draghi sono citati da tempi immemorabili, ma in uno in particolare il drago è diventato addirittura il simbolo della nazione, considerato da tutti come essere benefico e non maligno. Stiamo parlando della Cina. Ossa e denti di drago Una prima delusione con le ossa di drago cinesi l’abbiamo già provata, prepariamoci a riceverne un’altra. Circa due secoli prima di Cristo, com’è riportato nelle cronache cinesi, venne scavato un canale nella Cina centro settentrionale. Questi scavi misero alla luce numerosi resti giganteschi, subito definiti ossa di drago e il canale fu denominato “via d’acqua della testa di drago”. Ma in tempi ancora più antichi, probabilmente nel 1000 a.C., si parla di ossa di drago estratte dai contadini 53 quattro metri quello che era noto come il più grande dinosauro predatore, il Tyrannosaurus rex, lungo “solo” 12,8 metri. Era un voracissimo predatore sia di altri dinosauri sia probabilmente di pesce. Visse nel Nordafrica tra 100 e 110 milioni di anni fa, decisamente prima del tirannosauro, col quale quindi non si è mai incontrato. Draghi buoni dagli occhi a mandorla nei loro campi. È difficile stabilire che cosa avessero trovato perché non è rimasto più nulla di quei resti; tuttavia, come nel caso indiano, i fossili di grandi animali, quasi sicuramente anche dinosauri, si rinvengono frequentemente in Cina. Molti dinosauri, poi, soprattutto quelli carnivori con denti lunghi e artigli affilati, avevano indubbiamente l’aspetto dei draghi, molto simile alle raffigurazioni che ci sono giunte dalle diverse civiltà del passato. Può bastare un solo esempio, anche se proveniente da un’altra regione: lo Spinosaurus eagyptiacus. Come mostra l’immagine, basterebbe aggiungergli un paio di grosse ali da pipistrello e non avrebbe bisogno d’altro: un drago perfetto. Ma lo spinosauro era tutt’altro che benevolo, come affermavano i cinesi: aveva un cranio di quasi due metri di lunghezza, un corpo di circa diciassette metri e un peso stimato in circa nove tonnellate. Superava di oltre 54 I Cinesi di fronte a quelle ossa massicce che trovavano un po’ dappertutto evidentemente non si spaventarono, e d’altra parte che male avrebbero potuto fare un mucchio di innocue ossa? In effetti, il drago in Cina è da sempre considerato benevolo e dotato di grande saggezza, tanto che perfino il trono dell’imperatore era definito “il Trono del Drago”, e la sua faccia “il Volto del Drago”. I Cinesi credevano che, una volta morto, l’imperatore volasse in cielo sotto forma di drago; inoltre affermavano che quando un drago si alza in volo, comprime con le sue zampe le nuvole e provoca la pioggia. Proprio per questo, il re-drago Lung Wang era considerato colui che provoca la pioggia. Probabilmente, è proprio grazie a questa sua presunta bonarietà che nella farmacia tradizionale cinese vengono tenute in gran conto ossa e denti di drago, in grado di curare ogni tipo di malattia. 55 IL MONDO DEI GRIFONI E DEGLI UNICORNI I custodi dell’oro Nei monti Altai, in Asia centrale, vivevano degli animali stranissimi, chiamati grifoni, con la testa di uccello munita di un becco curvo e forte, corpo di leone con zampe artigliate, lunga coda e ali di aquila. Il loro nidi erano costruiti tra le rupi, proprio dove si trovavano grandi giacimenti d’oro. In molti avevano tentato di raggiungere il prezioso metallo, ma i grifoni si erano sempre opposti aggredendo e uccidendo all’istante ogni temerario, tanto che un po’ alla volta nessuno ebbe più il coraggio di provarci. Ma, tra le sabbie dei deserti, ancora oggi è possibile ritrovare gli scheletri dei ferocissimi grifoni che riescono a incutere ugualmente terrore e sgomento. Questo quanto un viaggiatore greco, un certo Aristea di Proconneso, vissuto nel VII secolo a.C., scrisse di avere appreso da una popolazione di Sciti Saka, gli Issedoni, che viveva ai piedi dei monti Altai in Siberia, tra la Mongolia e la Russia. A rendere ancora più interessante e verosimile questa storia è proprio il nome “Altai” che significa “monti d’oro”. 56 Un’antica cerimonia Gli uomini che vivevano in quelle terre erano abili cavalieri nomadi, abituati al clima rigido, alla vita rude e alle continue lotte fra le diverse tribù. Amavano l’arte e ci hanno lasciato numerose testimonianze della loro abilità: oggetti in oro, oppure intagliati nell’osso e nel legno e altro ancora. Probabilmente, proprio grazie ai racconti di Aristea, il mito dei grifoni si diffuse in tutto il mondo antico dove si possono osservare le loro raffigurazioni. Bellissimo, ad esempio, è il mosaico che si può ammirare sui pavimenti di epoca romana di Piazza Armerina in Sicilia, dove un grifone tenta di aprire una gabbia di legno all’interno della quale è collocata un’esca umana. Ma adesso, siete pronti per un salto nel tempo e nello spazio? Andiamo indietro di 2500 anni e proviamo a unirci a quel gruppo di persone, immobili e silenziose. Deve essere successo qualcosa… – Mi scusi, ma che cosa state facendo? – Sarebbe meglio stare in silenzio, per rispetto. – Rispetto di chi? 57 – Il nostro capo è morto e lo stiamo preparando per la sua ultima dimora. amici e nemici, sapessero chi era il più forte e per assumere la potenza e la fierezza di quel selvaggio animale. – Mi dispiace, ma era molto anziano? – Non troppo. Aveva qualche acciacco e gli doleva il polso della mano destra; ma questo è un male comune tra noi Issedoni: quando non dobbiamo combattere, ci alleniamo ogni giorno con la spada e i duri colpi e il peso dell’arma indolenziscono le articolazioni. Il nostro re era il migliore guerriero che io abbia mai conosciuto: ha ucciso mille nemici, ha cavalcato con il vento, ha catturato mille prede, ha combattuto mille battaglie… – Accipicchia, sembra più la descrizione di un dio che di un uomo. – Per noi era come un dio. E poi, solo lui era in grado di uccidere i grifoni. – I grifoni! Sono qui proprio per questo. Vuole dire che esistono davvero? – Io non li ho mai visti, ma il nostro capo sì. Tempo fa, si recò da solo presso i monti Altai; mai nessuno è tornato vivo da quei luoghi per raccontare le sue avventure, lui invece ci portò la testa mozzata di un grifone e molte pietre d’oro prese sulle montagne. Non volle mai raccontare nulla di quell’impresa, ma deve essere stata una battaglia all’ultimo sangue, quasi impossibile da vincere: lui però ce la fece! Comunque, volle farsi tatuare un grifone sulla pelle perché tutti, 58 La testa del mostro – È possibile vedere la testa del grifone? – Seguimi in silenzio e inchinati quando passiamo davanti al re, steso su quella struttura in legno. – Ho notato che il corpo del vostro sovrano aveva molti tatuaggi e tra questi, come lei diceva, uno splendido grifone con le ali spalancate… – Hai visto bene e ti ringrazio di averlo apprezzato, perché proprio io, il migliore della mia tribù a decorare la pelle, ho ricevuto il grande onore dal mio re di realizzare quel disegno. – Chi sono quegli uomini con quegli abiti colorati che gli stanno intorno? – Sono sacerdoti. Stanno purificando il corpo del re strofinandolo con pomate a base di cera d’api, gommalacca, resine, oli vegetali e essenze pregiate; così potrà conservarsi per sempre. Eccoci arrivati. – Dove mi ha portato? – Nella tenda del re. Guarda in quella direzione, su quella cassa: non ti sembra mostruoso? – Direi di sì, anche se non è molto grande: quel becco e quel- 59 la cresta a ventaglio nella parte posteriore lo rendono comunque spaventoso. Ma dov’è finito il resto del corpo? – Sicuramente era troppo pesante da trasportare a cavallo e allora il nostro re, dopo averlo ucciso, deve avergli mozzato la testa che ha portato al villaggio. Se la tua curiosità è stata esaudita a sufficienza, vorrei salutarti perché devo tornare alla cerimonia. Dopo l’imbalsamazione, porteremo il nostro re nella tomba che sarà la sua dimora eterna; lì gli terranno compagnia i suoi amati cavalli. – I cavalli? Sono morti anche loro? – No, sono ancora vivi, ma verranno sacrificati e posti vicino al re; così, nell’oltretomba, potranno continuare a servirlo per l’eternità. 60 Grifoni o “lucertole terribili”? Lasciamo gli Issedoni ai loro riti funerari che ci hanno tuttavia consentito di ritrovare intatte diverse mummie umane, conservate grazie anche al terreno sempre gelato della Siberia, il “permafrost”; occupiamoci invece di quel “terribile” cranio che abbiamo osservato nella tenda del re. “Terribile” è in effetti la parola giusta perché si tratta dei resti di una “lucertola terribile”, cioè di un dinosauro. Il suo nome è Protoceratops andrewsi e visse in quella che è l’attuale Mongolia nel Cretaceo, tra 110 e 70 milioni di anni fa. Una spedizione scientifica effettuata nel 1922 nel deserto del Gobi in Mongolia scoprì diversi nidi contenenti uova; vicino ad essi furono trovati scheletri di un dinosauro e successivamente alcuni piccoli appena nati e addirittura degli embrioni. Non c’era alcun dubbio: si trattava di resti di protoceratopo e delle sue uova, le prime di dinosauro mai trovate! Questa fu la prova che i dinosauri erano ovipari, cioè deponevano le uova esattamente come coccodrilli e lucertole attuali. In un solo nido di protoceratopi si trovarono addirittura una trentina di uova, quasi certamente segno che i nidi erano utilizzati contemporaneamente da più femmine e che la cura delle uova e dei piccoli era praticata socialmente. 61 Il protoceratopo era un dinosauro vegetariano di piccole dimensioni, diciamo non più grosso di un vitello, ma diffusissimo e i suoi resti affiorano numerosi e quindi erano probabilmente conosciuti anche ai tempi degli Issedoni e del greco Aristea. Se non si conosce nulla dei dinosauri e degli animali ormai estinti vissuti in epoche remote, è facile scambiare le ossa di un dinosauro per quelle di un essere fantastico come un drago, un gigante o un… grifone! In effetti, il grande becco adunco del protoceratopo lascia pensare alla testa di un uccello, e la parola “grifone” deriva proprio dal greco gryps che significa “adunco” in riferimento al forte becco uncinato col quale si narra che dilaniasse le prede e i poveri malcapitati. Ma le zampe e la lunga coda sembrano proprio quelle di un rettile o di un mammifero. Mettendo insieme le varie parti e aggiungendo con la fantasia un paio di ali, ecco nascere un temibile grifone, sanguinario e strenuo difensore del proprio nido e dei giacimenti d’oro dei monti Altai. Il re issedone quindi non uccise nessun grifone, ma semplicemente trovò il resto fossile di un protoceratopo che contribuì ad aumentare la sua fama e il suo potere. 62 Cronache dal passato: una battaglia cruenta Il sole batteva implacabile nella prateria e un gruppo di protoceratopi era intento a mangiare, strappando foglie e teneri rami da alcuni arbusti. Il vento soffiava dalla loro direzione verso un gruppo di rocce e non poteva aiutarli a percepire l’odore di chi vi era nascosto: i velociraptor, i loro più temibili predatori! Furono osservati attentamente per qualche tempo, poi uno dei velociraptor si lanciò in una corsa rapidissima verso le prede, le quali si accorsero ben presto dell’attacco e, emettendo grida d’allarme, fuggirono terrorizzate. Il carnivoro non perse però mai di vista la vittima prescelta e con abili mosse la costrinse a deviare e ad allontanarsi dal resto del gruppo. Fu allora che l’erbivoro si accorse di non avere scampo: un secondo predatore lo stava aspettando non visto. In un attimo venne assalito, ma non si diede per vinto: lottò strenuamente colpendo a sua volta l’avversario con la testa, calpestandolo e mordendolo col grosso becco. Ma gli artigli affilatissimi e i denti micidiali del velociraptor lo ridussero in fin di vita. Con un ultimo sussulto, il protoceratopo caricò il suo nemico, calpestandolo, e gli afferrò una zampa con il forte becco. Nessuno dei due si accorse tuttavia di essere ai piedi di una duna che la loro lotta aveva reso instabile; così tonnellate di sabbia li ricoprirono entrambi, racchiudendoli per sempre in un abbraccio mortale, fino ai nostri giorni. In molte leggende medioevali questo mostro fantastico è di solito l’animale domestico di un cavaliere o di un mago, in grado di volare veloce come un fulmine. Dai genitori ha preso anche i gusti in fatto alimentare perché è sia erbivoro come i cavalli sia carnivoro come i grifoni. Nonostante si sia estinto da 65 milioni di anni, il protoceratopo ha contribuito a far nascere diversi miti e ha ispirato addirittura opere letterarie. Il cavallo-aquila Un’altra creatura mitologica legata al grifone è l’ippogrifo che, come dice il nome (ippo=cavallo), ha origine dall’incrocio tra un cavallo e un grifone, con testa e ali di aquila, zampe anteriori e petto da leone e il resto del corpo da cavallo. L’invenzione dell’ippogrifo si deve al poeta italiano Ludovico Ariosto (1474-1533): nel suo bellissimo poema l’Orlando Furioso il mago Atlante non cavalca un semplice cavallo, ma un possente destriero alato, l’ippogrifo Frontin. Secondo gli antichi, cavalli e grifoni sarebbero stati nemici naturali, quindi questa inimicizia, che diede vita al detto “incrociare grifoni con cavalli” (simile al nostro “quando gli asini voleranno”), renderebbe pressoché impossibile il loro incrocio. Nella fantasia dei nostri antenati, tuttavia, il risultato è stato raggiunto ed è nato un animale meno selvaggio e più facile da domare rispetto ai grifoni. 64 L’unicorno Un’altra conosciutissima figura mitologica emerge dal lontano passato. È stata raffigurata in numerosi dipinti e descritta in altrettante opere letterarie; la sua immagine è spesso diventata simbolo di fierezza, di coraggio, saggezza e purezza. Aveva un corpo di cavallo, quasi sempre bianco, e un unico lungo corno avvolto a torciglione che spuntava dalla fronte, conferendogli un aspetto altero e misterioso. Nella tradizione medievale il corno a spirale è detto anche “alicorno”, e gli è attribuita la capacità di neutralizzare i veleni. Causa di questa credenza furono sicuramente i resoconti di Ctesia di Cnido, uno storico e medico greco del V-IV secolo a.C. Egli si recò in India dove disse di aver conosciuto l’unicorno. Qualcuno lo ha accusato di essersi lasciato andare alle narrazioni favolose e fantastiche, ma noi proviamo a chiedergli direttamente cosa ha realmente osservato nei suoi viaggi. – Mi scusi, ma è vero che lei ha visto gli unicorni in India? 65 – Quante volte devo raccontare questa storia? Forse non finirò mai e a volte mi pento di averne parlato tanti e tanti anni fa. Quando si viaggia molto e si vedono cose nuove, mai viste prima, si ha voglia di farne partecipi anche gli altri. Quante sere ho passato davanti a un fuoco, sommerso dalle domande dei miei amici che volevano sapere ogni particolare dei miei viaggi! – E tra queste storie c’è anche quella dell’unicorno… – Proprio così. Ho visto in India alcuni asini selvatici grandi come cavalli e anche di più! Avevano il pelo bianco, la testa rossa e gli occhi blu. La cosa che colpisce di più, tuttavia, è il lungo corno posto proprio in mezzo alla fronte. quegli animali si può assumere come portentoso antidoto contro ogni veleno mortale. Inoltre, bere del vino o dell’acqua da una coppa lavorata a partire dal corno guarisce dall’epilessia e dalle convulsioni, oltre a neutralizzare gli effetti di qualunque veleno. – Capisco, però non mi ha detto se lei lo ha visto davvero. – I sensi ingannano, la vista può tradire: che cosa è reale e che cosa è frutto della fantasia? E quanto un ricordo è frutto dell’immaginazione o risponde a fatti realmente accaduti? – Non la seguo più e temo che non mi voglia rispondere. Mi dica allora come è fatto il corno di questi animali. – L’unicorno! Allora lo ha incontrato davvero! – Vedi, io sono anche medico e sono interessato a tutto ciò che può aiutarmi nella mia professione. Io ho curato addirittura il re persiano Artaserse per un brutta ferita subita nella battaglia di Cunassa. – Mi scusi, ma questo che cosa c’entra con l’unicorno? – Allora sei proprio ignorante… La polvere del corno di – La base del corno, per circa due palmi sopra la fronte, è candida, poi diviene nerissima e termina con un’estremità appuntita di colore rosso cremisi. La polvere è un antiveleno veramente efficace, ma è difficilissimo procurarsela perché questi animali sono straordinariamente veloci e potenti, più di qualsiasi cavallo o altro animale. Quando è arrabbiato, l’unicorno carica a testa bassa e il suo corno diventa un’arma micidiale. 66 67 Non credo che Ctesia ci dirà altro di interessante. Possiamo però sentire un altro scrittore, Claudio Eliano, vissuto in Italia agli inizi del III secolo a.C., che nella sua opera di zoologia Della natura degli animali in diciassette volumi, parlò anche dell’animale descritto da Ctesia. Fu anche il primo che lo chiamò unicorno. Nel viaggio di Sinbad il marinaio viene descritta una misteriosa e temibile creatura che fa a caso nostro; ma leggiamo direttamente il racconto. “Kartazon”! “In questa stessa isola c’è una specie di bestia selvatica, chiamata karkadann, che pascola nei prati come da noi le vacche e i bufali, ma il suo corpo è più grande di quello di un cammello e si ciba di foglie d’alberi e di arbusti. È un animale notevole, con un corno grande e grosso, lungo dieci cubiti, piazzato in mezzo alla fronte, e se questo corno si spacca in due dentro vi si vede la figura di un uomo. Viaggiatori e mercanti dicono che questa bestia ha tanta forza che è capace di infilzare sul corno un elefante e di portarlo, continuando a pascolare per l’isola e lungo la costa senza avvedersene, fino a che l’elefante muore e il suo grasso, sciogliendosi al calore del sole, scorre negli occhi del karkadann e lo acceca. Allora l’animale si getta a terra sulla spiaggia adagiato su un lato e poi arriva il grande uccello Rukh, che lo afferra tra gli artigli e lo porta ai suoi piccoli i quali si cibano del karkadann e dell’elefante che ha infilzato sul corno”. Claudio Eliano ha usato una parola in sanscrito (una lingua indiana) che ha lo stesso significato di quella mediorientale in lingua accadica “karkadann”. Si tratta del nome di un animale di cui si parla anche nel libro di racconti Le mille e una notte. Questa descrizione, seppure assolutamente fantastica, ancor più di quella di Ctesia, ci porta però a pensare a un animale che vive tuttora sia in Asia sia, soprattutto, in Africa: il rinoceronte! – Lei che è uno zoologo può dirci qualcosa di più credibile sull’unicorno rispetto alle fantasie di Ctesia? – Ctesia ha detto bene: si tratta di un animale delle dimensioni di un cavallo, con le zampe di elefante, la coda di capra, ma probabilmente si è lasciato prendere la mano nella descrizione di altri particolari; infatti l’unico corno che possiede questo strano animale è del tutto nero e non multicolore. Questa creatura è veloce e battagliera e vive nelle regioni aride e montuose dell’India. Sono luoghi veramente inaccessibili agli uomini e popolati da innumerevoli creature selvagge che i sapienti del luogo cercano di studiare e classificare. Il nome che danno a questo animale è “kartazon”. 68 69 In effetti, se non teniamo conto del secondo corno più piccolo, possiamo considerarlo un animale unicorno. Il rinoceronte indiano, poi, ne possiede proprio uno solo e per questo è stato denominato dagli zoologi Rhinoceros unicornis. Qualche paleontologo pensa che possa aver contribuito alla fama dell’unicorno il ritrovamento dei resti fossili di Elasmotherium sibiricum, un enorme rinoceronte lanoso vissuto nell’Asia settentrionale da 1,8 milioni a 600.000 anni fa. Aveva una vistosa protuberanza ossea sulla fronte, dalla quale si dipartiva un unico corno della probabile lunghezza di due metri. Per questa ragione è anche comunemente chiamato “unicorno gigante”. Nonostante la sua mole, galoppava veloce nelle steppe, proprio come i cavalli, e come questi aveva una dentatura adatta a masticare soprattutto erbe dure e coriacee. e contorti, utilizzati per fare l’assaggio di tutto il cibo e le bevande che gli erano servite. Questa usanza, tuttavia, era già diffusa da tempo presso le corti dei sovrani europei. La richiesta era quindi molto elevata, ma visto che in realtà si tratta di animali fantastici e inesistenti, dove si potevano trovare i lunghi e preziosi corni? Semplice, o costruendo dei veri e propri falsi partendo da ossa che venivano intagliate con maestria, o usando le corna dell’orice, un’antilope africana, o anche il lungo dente del narvalo, cetaceo dei mari del Nord. Un corno al giorno leva il medico di torno Col tempo, tuttavia, la fama delle proprietà curative e antiveleno dell’unicorno si diffusero così tanto da determinare una forte richiesta dei suoi prodigiosi corni. Si trova scritto che addirittura il papa Bonifacio VIII (1230-1303) possedeva ben quattro corni, lunghi 70 71 LE SIRENE E ALTRI MOSTRI DELLA MITOLOGIA GRECA Come ci racconta Omero nell’Odissea, Ulisse e i suoi compagni, nel viaggio di ritorno alla loro isola natale, Itaca, incontrarono la maga Circe. Quando finalmente Ulisse riuscì a convincerla a lasciarli ripartire, la maga volle avvertirli di un terribile pericolo che avrebbero corso in mare: in un’sola non lontana vivevano degli esseri malvagi, le Sirene. Chiunque avesse ascoltato il loro canto ammaliatore non avrebbe mai più fatto ritorno a casa. Ma sentiamo direttamente dalle parole di Circe quanto pericolose e ingannatrici possano essere le Sirene: “Alle Sirene prima verrai, che gli uomini stregano tutti, chi le avvicina. Chi ignaro approda e ascolta la voce delle Sirene, mai più la sposa e i piccoli figli, tornato a casa, festosi l’attornieranno, ma le Sirene col canto armonioso lo stregano, sedute sul prato: pullula in giro la riva di scheletri umani marcenti; sulle ossa le carni si disfano. Ma fuggi e tura gli orecchi ai compagni, cera sciogliendo profumo di miele, perché nessuno di loro le senta; tu, invece, se ti piacesse ascoltare, fatti legare nell’agile nave i piedi e le mani ritto sulla scarpa dell’albero, a questo le corde ti attacchino, sicché tu goda ascoltando la voce delle Sirene. Ma se pregassi i compagni, se imponessi di scioglierti, essi con nodi più numerosi ti stringano”. 72 Si salvi chi può! In effetti avvenne come era stato loro descritto: i marinai di Ulisse riuscirono a salvarsi dal canto ammaliatore delle Sirene grazie ai consigli di Circe, turandosi cioè gli orecchi con la cera. Ulisse, invece, non si turò le orecchie ma si fece legare all’albero della nave in modo da ascoltare quel dolce canto senza correre il pericolo di raggiungere le Sirene sulla loro isola… e da lì non fare più ritorno. Le ossa degli uomini, che avevano miseramente perso la vita attratti da quegli esseri malvagi, biancheggiavano sugli scogli e sotto la superficie delle limpide acque. Ancora una volta il poeta Omero ci consegna un mistero. Non possiamo fare a meno di ascoltare la sua voce. – Omero, le Sirene sono una sua invenzione? Le descrive come depositarie di tutta la conoscenza e capaci di far perdere agli uomini la ragione, stregati e affascinati dall’idea di scoprire e di sapere anche solo qualcosa in più su questo mondo terreno e sull’aldilà, sul senso della vita e… – Grazie, grazie, può bastare così. Modestie a parte, è uno dei brani del mio capolavoro meglio riusciti. Ma anche in questo caso non posso di certo appropriarmi completamente della figura delle Sirene. – Vuol dire che non sono frutto della sua fantasia? 73 – Per niente affatto! Già ai miei tempi si parlava delle Sirene, esseri mostruosi, metà donne e metà uccelli… – Uccelli? Ma le Sirene non sono per metà pesci? – Ma che pesci e pesci! Uccelli oltre che donne: ammaliavano e uccidevano coloro chi si fidavano delle loro parole e si lasciavano incantare dalla loro voce melodiosa. Tanti uomini di mare mi hanno raccontato della loro esistenza e del pericolo che rappresentano per i marinai. Omero ci ha già spiegato che lui era un poeta e non uno scienziato e quindi gustiamoci l’Odissea per quello che è: un poema epico che narra le vicende di eroi e in particolare di Odisseo, più noto come Ulisse, che dovevano affrontare prove ai limiti della sopportabilità, incontrare mostri da sconfiggere, usare l’intelligenza per superare gli ostacoli più duri, farsi aiutare dagli dèi quando tutto il resto non era sufficiente. Ma le Sirene? Italia terra di mostri – E dove le hanno incontrate? – Nella lontana Italia, al largo della penisola che adesso chiamate Sorrento. – A quanto pare per voi Greci l’Italia era terra di misteri e di esseri mostruosi e malevoli, come i famosi Ciclopi. – E non dimenticarti di Scilla e Cariddi, altri due mostri che si fronteggiano presso uno stretto mare e con i quali il mio Ulisse ha dovuto fare i conti. L’Italia, come la chiami tu, era per noi una terra ancora sconosciuta e, come tutto ciò che è lontano e non si conosce, incuteva timore e preoccupazione. E poi, tante navi partite dalla Grecia in esplorazione non fecero mai ritorno: la colpa fu delle forze della natura, del mare in tempesta, degli scogli infidi, dei venti contrari e malevoli oppure di mostri che erano stati disturbati dalle loro esplorazioni? 74 Un giro in barca… Facciamoci condurre in barca lungo la penisola sorrentina da un pescatore vissuto subito dopo i tempi di Omero. – Può portarci a vedere l’isola delle Sirene? – Posso farlo, ma quegli esseri malvagi non esistono più. – Quindi mi sta dicendo che sarà un viaggio inutile… – Non ho detto questo. Le Sirene ci rimasero così male di essere state battute in furbizia da Ulisse che si gettarono in mare dallo scoglio sul quale vivevano e affogarono miseramente. Tuttavia… – Vada avanti e non si faccia pregare: la curiosità è tanta! 75 – Dicevo che è ancora possibile visitare l’isola e i poveri resti di tutti coloro che sono rimasti incantati dalla voce di quei mostri e sono morti miseramente: “pullula in giro la riva di scheletri umani marcenti; sulle ossa le carni si disfano”… – Conosco anch’io quei versi di Omero. – Già, ma adesso guarda in quella direzione: ecco l’isola delle Sirene! Bisogna stare molto attenti, perché le correnti sono forti e potrebbero spingerci contro i suoi scogli. – Attenzione, allora: non voglio fare la fine dei marinai ammaliati dal canto delle Sirene. – Non ti fidi di me? Io navigo in questi mari da quando sono nato! – In realtà, non mi fido del mare. – Nessuna paura, ormai ci siamo: cosa vedi là tra gli scogli? … nell’antro delle Sirene – Caspita! È l’entrata di una grotta… – Certo, ma osserva ancora con attenzione le pareti rocciose e tra le limpide acque che bagnano gli scogli. – Ossa! Non c’è dubbio: sono proprio ossa! Alcune sembrano gigantesche… 76 – In tanti si sono avventurati presso quest’isola, anche i grandi eroi del passato, ma nessuno è tornato vivo… – Tranne Ulisse, lo so. – Anche Giasone e gli Argonauti in un’altra avventura si salvarono grazie all’intervento di Orfeo, che con la sua musica riuscì a vincere quei mostri. Comunque, chi si è inoltrato all’interno della grotta ha trovato molte altre ossa, segno che tanta brava gente ha subito questo tragico destino. Dobbiamo ringraziare il nostro marinaio se forse abbiamo trovato la soluzione del mistero delle Sirene. In effetti, al tempo di Ulisse e degli eroi greci le fragili navi, spesso incapaci di opporsi ai forti venti e alle correnti marine, rischiavano di rompersi facilmente urtando contro gli scogli, specialmente in alcune zone costiere. Ad esempio Scilla e Cariddi, i due mostri malvagi a guardia dello stretto di Messina, non sono altro che scogli situati in un punto dello stretto in cui il mare è percorso da forti correnti. Vicino Sorrento, invece, sono state trovate ossa di antichi mammiferi pleistocenici, pachidermi, rinoceronti, bisonti, cervi e altri ancora che affiorano dai sedimenti scavati dalle onde e dal tempo. Questi biancheggiano al sole e la fervida immaginazione dei nostri antenati li ha trasformati nei miseri resti di chi si è fracassato contro gli scogli. E chi meglio di una coppia di mostri, le Sirene, potrebbe essere il responsabile di un simile massacro? 77 Basta aspettare che il vento soffi e giochi tra gli scogli e si intrufoli nelle caverne per sentire ancora la voce lamentosa e invitante delle Sirene. Cronache dal passato: Italia, terra di giganteschi mammiferi e predatori micidiali Il cielo è limpido, ma il sole non riesce a scaldare troppo l’aria, spinta da un vento piuttosto forte e insistente. Nella vasta prateria si vede un gruppo di iene cacciatrici (Chasmaportetes lunensis) che si guardano intorno in cerca probabilmente di una preda; i loro denti non sono adatti a triturare le ossa, per questo preferiscono la carne fresca. Improvvisamente si agitano: probabilmente hanno fiutato odore di preda. In effetti, poco lontano, una femmina di Acinonyx pardinensis, un grande ghepardo che popolava l’Italia pleistocenica, ha appena catturato un imponente cinghiale (Sus strozzii); è probabile che non molto lontano la stiano aspettando i suoi cuccioli. In pochi minuti le iene accerchiano completamente il ghepardo: è sicuramente un avversario pericoloso, ma loro sono tante e grazie alla pressione psicologica e alle minacce di aggressione, moltiplicate dal gioco di squadra, convincono rapidamente l’elegante felino ad allontanarsi e ad abbandonare la sua preda. La pianura è vasta e offre spazio a molti altri animali affamati: lamentosi miagolii rivelano infatti la presenza di una famelica tigre dai denti a sciabola: sarà un Homotherium crenatidens o un Megantereon cultridens? Ambedue sono caratterizzate dallo straordinario sviluppo dei canini superiori, diventati veri e propri pugnali appuntiti. Fra le loro prede preferite, che uccidono trafiggendole con i lunghi denti, vi sono alcuni cervidi di media taglia (Pseudodama lyra, con corna leggermente arcuate e a tre punte) e i bovidi come il Leptobos stenometopon o una particolare varietà il tapiro (Tapirus arvernensis); ma ogni cosa che si muove ed è di dimensioni adeguate può diventare loro cibo. Nei pressi delle rive di un ampio stagno, si sta abbeverando un gruppo di proboscidati, gli Anancus arvensis, che si stringe attorno ai piccoli: sanno che in questo modo i felini si guarderanno bene dall’attaccarli. Viceversa, alcuni rinoceronti (Stephanorhinus jeanvireti) di taglia non troppo grande, e quindi prede decisamente più facili da catturare, sbuffano nervosamente e dopo qualche esitazione fuggono al galoppo in direzione opposta a quella delle tigri dai denti a sciabola. Da uccello a pesce Abbiamo forse chiarito il mistero delle Sirene, ma esiste un’altra versione del mito che vede le Sirene come esseri per metà donna e per metà pesce. L’imperatore romano Tiberio (42 a.C. - 37 d.C.) era appassionato di mitologia e storia greca e raccoglieva ovunque nel suo impero le prove dell’esistenza degli antichi miti. Tra questi anche quello delle Nereidi, benevole ninfe del mare spesso rappresentate come bellissime creature. Una di queste, Anfitrite, era addirittura la moglie di Nettuno e madre di Tritone, guarda caso un altro strano personaggio, anche lui metà uomo e metà pesce. Un giorno una Nereide fu ritrovata nel nord della Francia e portata a Tiberio. Forse sarebbe eccessivo scomodare un imperatore, però il filosofo e naturalista Plinio il Vecchio, vissuto durante il suo regno, ha molto da raccontarci ed è sicuramente più adatto al nostro scopo. – Che cosa può narrarci della scoperta della Nereide? – In sintesi ti posso raccontare che in un’isola nel nord della Francia abbiamo trovato un bel mucchio di ossa, comprese quelle di una Nereide. – Ci risiamo: sempre e solo ossa! – Non so cosa vuoi dire e perché sei così deluso, ma stiamo parlando di miti che erano antichi anche ai miei tempi. Non avrai pensato che avessimo trovato una Nereide viva… 80 – No, assolutamente no… ma perché non ci descrive meglio le ossa ritrovate? – Facile, alcune erano chiaramente di elefante, con tanto di zanne e grandi ossa. Altre erano, mi è parso, di ariete, ma alcune erano veramente strane: un corpo mai visto e una testa a dir poco insolita e bizzarra, grossa, con due dentoni che venivano probabilmente usati dalla ninfa per raccogliere conchiglie di cui si nutriva sul fondo del mare. Dugongo ovvero la “brutta sirena” La descrizione delle ossa fatta da Plinio il Vecchio sembra non lasciare dubbi e quindi non ci servono altre informazioni. Inoltre, l’isola francese di cui ci ha parlato è facilmente identificabile perché è l’unica in quella zona a essere costituita da rocce sedimentarie, le sole che possono contenere resti fossili. Già, perché ancora una volta si tratta proprio di questo e i resti di elefante nominati da Plinio stanno a dimostrarlo; in realtà si tratta quasi sicuramente di mammut perché le loro ossa sono ancora presenti in quell’isola. Per quanto riguarda la Nereide, Plinio non aveva sbagliato: gli antichi Romani avevano ritrovato davvero una sirena-pesce o, meglio, un “sirenide”. 81 Vengono chiamati con questo nome alcuni mammiferi tuttora viventi anche se a rischio di estinzione, come il dugongo e il lamantino. Un tempo i dugonghi erano molto diffusi e ciò fa pensare che proprio essi abbiano contribuito a far nascere il mito delle Sirene. A favore di questa ipotesi ci sono anche alcuni particolari, come l’abitudine di allattare i cuccioli reggendoli fuor d’acqua con le pinne anteriori, proprio come facciamo noi esseri umani. Certo un dugongo non ha nulla a che vedere con la bellezza delle mitologiche Sirene, tuttavia lo stesso Cristoforo Colombo, dopo aver visto un gruppo di dugonghi nelle lontane Americhe, li definisce “brutte Sirene”. Il mostro di Troia Laomedonte, re di Troia, è una delle tante figure della mitologia greca. Per edificare le mura della sua città chiese addirittura l’aiuto del padre degli dei, Zeus, che ordinò a Poseidone e ad Apollo di aiutarlo. 82 In cambio del lavoro, Laomedonte promise loro alcuni cavalli avuti in dono proprio da Zeus ma quando il lavoro fu terminato, Laomedonte si rifiutò di mantenere la parola. Poseidone, il re dei mari, inviò allora un mostro marino: il terribile mostro di Troia. Per sfuggirgli Laomedonte fu costretto ad offrirgli in pasto la propria figlia Esione che, mentre era incatenata alle rocce, venne salvata casualmente dal possente Eracle, quello che i Romani chiamavano Ercole. Un mostro “originale” Di questa vicenda ci rimangono il racconto e diverse raffigurazioni; una in particolare risulta proprio sorprendente. La troviamo su un bellissimo vaso, illustrato con tante figure colorate tra cui spicca un strana testa, non particolarmente bella, che dovrebbe rappresentare… il mostro! Non ci resta che chiedere direttamente all’autore perché in un vaso così ben fatto ha inserito un disegno tanto brutto. – Non si offenda, ma a detta di tutti i critici d’arte, le è mancata un po’ di fantasia quando ha dipinto il mostro. Sembra che improvvisamente le sia mancata la vena artistica. – Non mi offendo, se non siete capaci di riconoscere l’arte, non è un problema mio. 83 – Però in questo modo non risponde alla critiche… – Nella mia vita ho realizzato moltissimi vasi e nessuno si è mai lamentato del mio lavoro. Anzi, ero fra gli artisti più richiesti del mio tempo. Quando mi è stato commissionato questo vaso, mi è stata lasciata mano libera: “basta che si tratti di una delle fatiche di Eracle”, diceva il mio committente. Così, ho deciso di renderlo più realistico possibile. – A dire il vero, a nessuno di noi il suo disegno sembra realistico. Tanti altri autori hanno rappresentato il mostro di Troia come un serpente marino o come un drago o in mille altri modi: la testa del suo mostro appare invece deforme, senza corpo, lontanissima dalle rappresentazioni classiche. – Io non volevo fare una cosa come quella degli altri: volevo che rappresentasse la realtà, come le ho già detto. – La realtà? Ma si tratta di un mito: che realtà vuole che ci sia in tutto questo? – Io quel mostro l’ho visto davvero. Anzi, ne ho visti molti. – Lei ha visto il mostro di Troia? 84 – Perché vuoi farmi ripetere? Poseidone il re del mare alleva nel suo regno chissà quanti mostri, ma per fortuna anch’essi muoiono e lasciano nel mare i loro resti. Io ho potuto osservare diverse teste portate dal mare sulla spiaggia o inglobate nelle rocce degli scogli. – Teste, teste, teste: mai un corpo intero che si muova ancora… che noia! – Non ce l’avrai mica con me, spero! Sono sicuro che se avessi visto anche tu i resti di quei mostri non diresti “che noia”. Ti saluto, però devi farmi il piacere di dire ai tuoi contemporanei che io ero un maestro nella mia arte e che il “mio” mostro non è un disegno privo di fantasia ma una fedele riproduzione della realtà. Ercole e la giraffa Forse non siamo stati troppo cortesi con il vasaio greco, anche perché dobbiamo ammettere che le sue informazioni sono state davvero preziose. Basta dare un’occhiata molto attenta alla testa del mostro, un’occhiata da paleontologo per intenderci, per capire che ci ha detto la verità. Prendiamo la testa di una antica giraffa, come il Samotherium, che deve il nome dall’isola greca di Samo. Togliamole adesso le ossa premascellari, quelle senza denti nella parte alta del teschio, come mostrato nell’immagine; in effetti, dopo la morte dell’animale, essendo fragili, si spezzano facilmente. 85 Se poi consideriamo che le femmine di Samotherium non possedevano le corna, ecco sorprendentemente ricostruita la testa del mostro del nostro vasaio greco! Lui in realtà ci ha parlato di molte teste ritrovate, può darsi allora che abbia messo insieme le caratteristiche osservate nei diversi teschi: così si spiega perché sul vaso il mostro possieda così tanti denti e altri particolari non tipici delle giraffe. Inoltre, guardando bene il disegno, si può notare come il mostro non abbia corpo, ma spunti direttamente da una massa nera, probabilmente uno scoglio marino, nel quale il vasaio ha osservato la testa fossile. Quindi, in fondo, Ercole non sta compiendo una grande impresa, perché con le sue frecce non sta uccidendo un famelico mostro, ma sta colpendo un animale fossile, morto ormai da alcuni milioni di anni! QUANDO IL DIAVOLO CI METTE LO ZAMPINO Una “fumatina” diabolica A sentire i nostri antenati, un tempo il diavolo si divertiva a lasciare le sue tracce un po’ dappertutto: tracce dei suoi piedi sulle rocce, unghioni duri e ritorti disseminati qua e là, pietre con impronte del suo volto diabolico e addirittura lunghi sigari che si dice abbia fumato nei momenti di pausa dalle sue azioni malvagie. A quest’ultimo proposito, possiamo ascoltare la storia raccontata da un contadino del XVI secolo a un nugolo di bambini e adulti seduti davanti al fuoco di un camino. – Era una notte senza luna e senza stelle. Il buio era più nero del carbone e io camminavo da solo lungo un sentiero di montagna sconosciuto. – Mi scusi, posso intervenire? – Certamente, agli ospiti non si dice mai di no. – Che cosa ci faceva da solo di notte in un luogo sconosciuto? – Ero andato a pulire il bosco di castagni del mio padrone dai rovi e dagli arbusti. Solo che misteriosamente e inaspettatamente il sole è scomparso e una notte malvagia ha avvolto ogni cosa. 86 87 – Perché “malvagia”? – Perché immediatamente tutti gli animali si sono zittiti, uno strano freddo mi ha raggelato le membra e per colpa del buio ho perso completamente l’orientamento, ritrovandomi su un sentiero mai visto prima. – Caspita che paura! – Puoi ben dirlo! Non sapevo dove stavo andando e avevo il timore di precipitare in un dirupo da un momento all’altro. Poi, all’improvviso… – Anche lei? La prego, non faccia troppe pause e non ci lasci in trepidazione! – Ebbene, ho visto in lontananza un tenue bagliore. “Una persona con una torcia,” ho subito pensato, “di sicuro mi aiuterà!”; quindi mi sono mosso in fretta in quella direzione, anche se qualcosa dentro di me mi diceva di non farlo. Infatti, iniziai ben presto a sentire un odore di zolfo bruciato e una strana risata diabolica. Sigari allo zolfo – Qualcuno in vena di scherzi? – Non si scherza col diavolo! E poi si trattava proprio di lui. Per fortuna lo capii prima di cadere nelle sue grinfie e mi fermai ad osservarlo in lontananza. Era seduto su una roccia, forse a riposare dopo una delle sue tante malefatte e fumava… 88 – Fumava? Capisco che il fumo sia dannoso alla salute e che questo possa piacere al diavolo, ma che addirittura proprio lui ne faccia uso mi sembra troppo. Come possiamo credere a questa storia? – Vuoi verificarlo di persona? Accomodati! Ti porto lassù dove non dovrai fare altro che aspettare la notte e l’arrivo del demonio. Chissà che non offra un sigaro anche a te… si tratta di una cosa da gran signori, dopotutto. Certo, se però ti offrisse un sigaro allo zolfo non credo che saresti molto contento… – Non mi prenda in giro e poi non ho nessuna voglia di passare la notte al freddo, da solo. – E allora devi fidarti di me. Comunque guarda che non sono l’unico ad aver incontrato il diavolo. – Lo so, ed è proprio per capire meglio che sto ascoltando la sua storia. – Visto che fai fatica a credermi, ti mostro i sigari che il demonio ha lasciato sulla roccia dove si era seduto. Ne ho raccolti alcuni per i diffidenti come te: che ne dici? – Ma sono di pietra! – Certo, che cosa ti aspettavi? Il demonio non fa mai regali a nessuno e prima di andarsene li ha gettati via, pietrificandoli. 89 – In effetti sono lunghi e affusolati: sembrano proprio dei sigari mai usati e trasformati in pietra… – Proprio così! Devi sapere che io ho trovato anche altri resti del diavolo, ma te li mostrerò solo se mi assicuri che non ti spaventerai troppo. – Vuole farmi paura? Comunque lo prometto: cercherò di essere forte e coraggioso. – Bene, stavo lavorando il terreno del mio padrone per piantare qualche albero da frutto quando mi parve di sentire una risata che riuscì a paralizzarmi per qualche istante. Ripresi a scavare con timore e fu allora che dalla terra cominciarono a uscire delle strane pietre ritorte. Manicure diabolica – Le ha raccolte? – Ne ho raccolta una e per poco non sono svenuto dalla paura: avevo tra le mani, senza ombra di dubbio, un unghione curvo e dall’aspetto inquietante, sicuramente opera del demonio. – Non starà cercando di farmi credere che il diavolo si è tagliato le unghie nel suo campo… 90 – Il campo non è mio, purtroppo, e quello che ha combinato il diavolo non lo so e non voglio saperlo! Di certo quelle erano unghie in grado di ridurre a brandelli un gigante. – Niente giganti, per favore, con quelli abbiamo già risolto. Mi farebbe vedere l’unghia, piuttosto? – Eccola: non ti sembra orribile? Sigari, dita o calamari? Abbiamo accumulato abbastanza informazioni, quindi possiamo salutare il nostro contadino e lasciarlo con le sue storie di paura che tanto piacciono ai suoi piccoli e grandi ascoltatori. I lunghi sigari di pietra che ci ha mostrato sono stati anche interpretati come dita del diavolo, dita degli gnomi o addirittura come fulmini pietrificati: sono molto affusolati e spesso dopo un temporale, bagnati dalla pioggia, appaiono nitidi e in risalto sulla roccia che li contiene, proprio come se un fulmine vi avesse lasciato la sua punta conficcata. Tuttavia, non corrispondono a niente di tutto ciò, perché in realtà si tratta del rostro delle “belemniti”, molluschi simili agli attuali calamari, con tanto di tentacoli e inchiostro, ma ormai estinti da milioni di anni. Il rostro, che in alcune specie è lungo anche cinquanta centimetri e lascia presupporre un animale lungo almeno tre metri, era un po’ come l’osso di seppia, interno all’animale e posto nella parte terminale del corpo. 91 Le unghie, invece, sono resti della Gryphaea arcuata, un altro mollusco dotato di conchiglia e non molto diverso dalle attuali ostriche. La struttura ricurva consentiva loro di rimanere sollevate dal fondo, impedendo così alla sabbia e ai vari detriti di penetrare quando l’animale sollevava l’altra valva (parte) della conchiglia per nutrirsi. Cronache dal passato: il tirannosauro dei mari di cento milioni di anni fa L’acqua tutt’intorno è ormai nera di inchiostro, ma qualche mollusco riesce a mettersi ugualmente in salvo. Infine il mosasauro si dirige rapido in superficie per respirare e quindi verso il mare aperto, forse in cerca di qualcos’altro da mettere sotto i denti. Sul fondo rimangono solo brandelli di belemnite, subito assaliti da un nugolo di piccoli pesci e da una miriade di granchi affamati. I lunghi rostri appuntiti sono però duri e non commestibili e rimangono pertanto abbandonati sul fondo. Verranno lentamente ricoperti dalla finissima sabbia calcarea e forse si conserveranno fino ai nostri giorni. I diavoli ballerini Nelle acque calde di un mare tropicale, un folto sciame di belemniti sta nuotando lentamente all’indietro in cerca di piccole prede, pesciolini per lo più, di cui sono ghiotte. Niente lascia presagire ciò che sta per accadere: è questione di un istante e dalle acque più buie e profonde, spunta una sagoma nera di parecchi metri di lunghezza che non annuncia nulla di buono. È un sinuoso mosasauro, un famelico rettile marino, un vero e proprio “tirannosauro dei mari” imparentato con gli attuali varani e serpenti. Si muove rapido, con poche spinte delle natatoie si ritrova in mezzo al gruppo delle belemniti. La sua bocca è ampia e numerosissimi denti appuntiti e taglienti sono pronti a ghermire le prede. Ad ogni movimento della testa una belemnite finisce nella sua bocca. I diavoli danzano forse per sfogare la delusione di tante loro imprese non riuscite o viceversa per festeggiare le cattive azioni compiute. Ma come facciamo a saperlo? Evidentemente qualcuno deve averli visti in azione oppure avrà osservato le tracce di questi loro balli frenetici. Siamo ovviamente molto scettici, soprattutto dopo aver scoperto che sigari e unghioni non sono altro che fossili dalla strana forma. Siccome queste voci ci giungono dal passato, facciamo un salto nel XIV secolo e avviamoci su un sentiero di montagna alla ricerca di queste tracce e di qualcuno che possa darci spiegazioni. In effetti, poco distante da noi, un ragazzo si sta arrampicando su quell’impervio sentiero. 93 – Scusa, ti puoi fermare un momento? Ho bisogno di un’informazione! – Non posso perdere troppo tempo: devo raggiungere mio padre al pascolo. – Solo due parole, se sei così gentile da darmi ascolto. – Va bene, dimmi pure. – Hai mai sentito parlare delle danze dei diavoli? – Sì. Nelle notti di luna nuova, quando nemmeno le stelle osano farsi vedere, i diavoli si ritrovano tutti insieme, illuminati da una misteriosa luce rossa, di sicuro proveniente direttamente dall’inferno. Scelgono le rocce ampie, piatte e lisce e ballano e danzano senza sosta, battendo i piedi sulla roccia. Chi li ha visti li descrive come esseri mostruosi, con le corna e le zampe da capra. – Sembrano delle capre? – Capre infernali! I loro piedi hanno degli zoccoli divisi in due e così duri che quando vengono battuti sulla pietra lasciano un’impronta incancellabile. – Ehm, scusa, niente di importante. Dimmi piuttosto come fai a sapere tutte queste cose? Anche tu li hai osservati danzare? – Ci mancherebbe altro! Sarei morto dalla paura! No, no! Però un giovane che li ha visti è ritornato sconvolto. I suoi capelli erano diventati bianchi di colpo: sembrava un vecchio di vent’anni. – Tremendo! Non vorrei essere stato al posto suo. – Nemmeno io, stanne sicuro. – Tuttavia, visto che è stato l’unico ad averli visti, non avete avuto nemmeno il più piccolo sospetto che la sua storia fosse, come dire, un po’ esagerata e inverosimile? – Io non l’ho conosciuto perché quel giovane sventurato è vissuto tanti e tanti anni fa. Ma i nostri vecchi quando raccontano questa vicenda sembrano ancora impauriti e tengono la voce bassa. Col demonio non si scherza e solo lui è capace di ridurre un uomo in quello stato. – Mi hai quasi convinto, però hai detto che le tracce lasciate dai diavoli sono indelebili… – Certo, e allora? Sulle tracce del demonio – Sei proprio bravo a raccontare storie, forse anche meglio del contadino… – Quale contadino? 94 – E allora saranno ancora lì dove quel poveretto ha visto quella danza infernale. – Che tu ci creda o no, è proprio così. – Quelle rocce esistono davvero? 95 – Ti ho detto di sì e non sono nemmeno molto lontane da qui. Se vuoi, visto che per andare da mio padre devo fare proprio quella strada, ti ci porto. – Scusami, ma non hai paura che i diavoli si rifacciano vivi? – Oh caspita! Ma allora non sai proprio niente: i diavoli non tornano mai sui luoghi dove si sono fermati per i loro festini. Adesso sbrighiamoci: non mi piace parlare troppo a lungo di queste cose. – Va bene, va bene, non ti agitare: andiamo pure. La pista da ballo Il ragazzo, forse per non perdere troppo tempo o più probabilmente per paura, dopo un’estenuante salita ci indica un sentiero e continua per la sua strada. Procediamo allora secondo le sue indicazioni e, anche se siamo scettici, con un briciolo di timore. Terminato il bosco, si apre davanti a noi un ampio altopiano, come ci aveva spiegato il ragazzo. Ci guardiamo intorno e vediamo esattamente ciò che cercavamo: una roccia di dolomia bianca, molto simile al calcare, che appare piatta e levigata come se una pialla gigantesca vi fosse passata sopra. Muoviamoci, con una certa cautela, e andiamo ad osservare la pista da ballo dei diavoli. La luce è quella giusta e ci permette di esaminare con 96 precisione ogni dettaglio; dappertutto si possono notare i segni inconfondibili descritti dal ragazzo: impronte di zoccoli di tutte le dimensioni, come se un folto gruppo di capre o demoni, piccoli e grandi, si fosse divertito al ritmo di una musica sovrannaturale. Scattiamo qualche fotografia e ritorniamo nel nostro secolo per raccogliere altre informazioni e fare confronti. Alte e basse maree di oltre duecento milioni di anni fa Rechiamoci allora in un museo geologico per avere notizie sulla roccia “diabolica”. Con le foto da noi scattate tra le mani, scopriamo che si tratta proprio di “dolomia”, appartenente a una formazione geologica molto diffusa in tutto l’arco alpino e da cui le Dolomiti prendono il nome: la Dolomia Principale. Apprendiamo inoltre che la nostra roccia è stata resa così piatta e levigata in superficie durante l’era Glaciale, quando alcune decine di migliaia di anni fa le sono passati sopra diversi ghiacciai; possedendo una spaventosa forza erosiva (vere e proprie pialle di spessore anche superiore ai mille metri), erano in grado di modificare completamente il paesaggio e le cose su cui passavano. Quando si sono ritirati, i segni della loro azione sono tornati alla luce: grandi massi trasportati anche da molto lontano (e per ciò detti erratici) accumuli di detriti (le 97 morene) e anche le cosiddette “rocce montonate”, lisce e levigate come quella sulla quale abbiamo osservato le impronte del diavolo. Approfittiamo di essere al museo per chiedere a un paleontologo qualche spiegazione. Questione di ritmo – Sarebbe così gentile da raccontarci qualcosa di più sulla Dolomia Principale? – Ma certo! Le rocce di cui vuoi che ti parli si sono formate in acque marine non particolarmente profonde, nelle quali sono osservabili strati chiamati “ritmiti”. – Mi scusi l’ignoranza, cosa sono le “ritmiti”? – Semplice, sono strati di sedimenti depositati alternamente durante le basse e le alte maree. – Un momento, vuole dire che si sono depositate in parte durante la bassa marea e in parte durante l’alta marea? – Proprio così, ma ovviamente i maggiori spessori si formarono durante l’alta marea. Sembra incredibile, ma sono cicli che si sono ripetuti senza sosta per milioni di anni. – Accipicchia! Chissà quanti strani animali popolavano quei mari… – A parte i dinosauri, non erano nemmeno poi tanto stra- 98 ni. Ovviamente non erano proprio uguali a quelli attuali, ma nemmeno così diversi. Comunque, alcuni di loro hanno lasciato i loro resti fossilizzati nelle rocce e grazie a questa circostanza possiamo saperne di più. Diavolo di un mollusco! – Mi dica una cosa: non è che per caso uno di questi organismi aveva la forma di uno zoccolo bifido (a due punte) come quello delle capre o addirittura dei… – … diavoli, proprio così! Tanti organismi, approfittavano dell’alta marea e si spingevano verso riva per nutrirsi. Altri invece vivevano infossati nel fango e si nutrivano solo durante l’alta marea; in particolare aveva questo comportamento un mollusco chiamato Megalodon gümbeli. Possedeva una particolare forma a cuore, simile all’impronta di uno zoccolo di capra, e poteva raggiungere dimensioni di diversi decimetri. – Allora si trovano anche sulle rocce montonate, quelle levigate dai ghiacciai. – Esatto, e le loro sezioni risaltano in modo evidente perché sono di colore leggermente più scuro rispetto alla roccia in cui si trovano. 99 Niente esseri infernali, quindi, né balletti indiavolati, solo un semplice e umile mollusco dalla forma tanto particolare da creare una forte impressione nei nostri antenati. E d’altra parte, non è piacevole davanti al fuoco di un camino in una notte d’inverno, stretti gli uni agli altri, ascoltare storie di ogni tipo, comprese quelle di paura? Come il diavolo ci perse la faccia Questa è una strana storia, tanto strana che nessuno sa come abbia avuto origine. Qualcuno la racconta in un modo, qualcun altro, forse vivacizzandola un po’ con la fantasia, in modo diverso; tutte hanno però una cosa in comune: tanto e tanto tempo fa il diavolo… ci perse la faccia. La vicenda appartiene al passato e lì andiamo ad ascoltarla dalla voce di un cantastorie che l’ha narrata mille e mille volte: – “Tanto tempo è passato / da quando un mio lontano antenato con i suoi amici fece una scommessa / che sicuramente non avrebbe persa: si sarebbe inoltrato / per una notte intera/ nella foresta nera!” – Bravo! Belle rime, proprio come quelle dei cantastorie! Però, mi spieghi: era davvero una cosa tanto pericolosa entrare in quella foresta? 100 – Puoi giurarci! Ma per fortuna non esiste più: l’abbiamo tagliata fino all’ultimo albero… – Mi sembra contento di questa impresa, però io credo che tagliare gli alberi non sia mai una bella cosa. – Può darsi, ma in questo caso abbiamo fatto benissimo. La foresta nera era il regno del demonio e chi osava avventurarsi al suo interno non ne usciva più o ritornava fuori di senno. Una leggenda da brivido – Accipicchia! Allora il suo antenato doveva essere proprio coraggioso o un po’ suonato, se mi permette. – Magari tutte e due le cose. Fatto sta che dopo aver scommesso con i suoi amici, anche se probabilmente si pentì di questa sua spacconata, una notte si inoltrò da solo nella foresta, con una torcia, un mantello, un tozzo di pane e poche altre cose. – Che brividi! – All’inizio gli sembrò tutto normale e si rasserenò: forse i racconti sulla tenebrosa foresta erano falsi. Cominciò allora a canticchiare per farsi coraggio e avanzò sempre più spavaldo. – Ho fatto bene a non illudermi: immaginavo che fossero 101 tutte fantasie. Ambasciator non porta pena – Non interrompermi e ascolta attentamente. Era ormai scoccata la mezzanotte quando udì un rumore alle sue spalle: un fruscio di foglie, quindi un venticello gelido e infine un respiro affannoso. “Chi va là?” gridò voltandosi di colpo, ma non vide nulla. – L’immaginazione può fare brutti scherzi… va bene, ho capito: devo stare zitto. – Un sudore freddo cominciò a colargli per le spalle e un tremito incontrollabile lo assalì. “Un altro stupido e incauto si è intrufolato a casa mia”. La voce scaturì improvvisamente dal nulla, molto vicino a lui; poi vide un uomo più o meno della sua altezza ma con un aspetto inquietante. “Io… io… sono venuto proprio per parlare con lei” improvvisò lì per lì come risposta. – Brutta situazione, davvero brutta. – Già, ma ascolta. “Sei venuto a parlare con me? Allora ti invito a restare in questo luogo per tutta l’eternità: non uscirai mai più da questa foresta!” gli disse il diavolo, perché di lui si trattava. Ma il mio antenato aveva mille risorse e non si diede per vinto. “I miei compaesani sono stanchi di te e mi hanno incaricato di portarti un messaggio”. 102 – Ma non era vero, giusto? – Proprio così, però non aveva nessuna intenzione di rimanere per sempre a tenere compagnia al demonio. “Un messaggio? Parla pure, sono curioso” gli rispose quello, ridendo in modo ovviamente diabolico. “Ebbene, il messaggio è questo: nessuno di noi ha più paura di te e se oserai avvicinarti al villaggio ti accoglieremo come meriti!”. Il diavolo si infuriò moltissimo a quelle parole e il mio temerario antenato pensò di averla combinata grossa. – Ci credo! Si è comportato da vero sbruffone. – Il diavolo però, forse perché la rabbia gli tolse la capacità di giudizio, decise di credere alle sue parole e si avviò a grandi passi verso il paese. – Quell’incosciente per salvarsi ha messo tutti in pericolo. – In realtà, il mio antenato aveva fatto una scommessa con i suoi amici: se per la paura fosse uscito dalla foresta prima del sorgere del sole, tutto il paese, riunito ad aspettarlo, lo avrebbe accolto con un lancio di letame, uova marce e pietre. – Adesso ho capito il suo piano! Che furbastro! 103 – Il diavolo uscì dalla foresta con l’intento di dare una lezione a tutti quei pazzi e sconsiderati, ma fu scambiato per il mio antenato. La gente del villaggio cominciò a fischiare e prenderlo in giro. Lui rimase immobile per la sorpresa e fu raggiunto dal lancio di pietre. Urlò, sbraitò, minacciò, ma nessuno gli diede retta. Alla fine, dopo aver emesso un ultimo urlo di rabbia, scomparve nel nulla. – Quindi il tuo antenato salvò se stesso e il paese intero. – Proprio così. – È una bella storia, tuttavia… Un bel piatto di vongole o… myophorelle? Gli oggetti che il cantastorie ci indica non lasciano dubbi: sono piccoli e mostrano tutti chiaramente un volto diabolico. Inquietanti davvero, ma a guardar bene notiamo che tutte queste pietre presentano dei chiari segni di intervento umano e assomigliano proprio ai resti di un piccolo mollusco, la Myophorella incurva, risalente al periodo giurassico (190-135 milioni di anni fa): era un mollusco dotato di conchiglia e l’impronta della sua cavità interna ricorda un volto equino o… diabolico. Sono bastati solo alcuni piccoli ritocchi per renderla una perfetta faccia di pietra! Spesso nei sedimenti se ne trovano moltissime. Tuttavia, quando il guscio non è andato distrutto durante i processi di fossilizzazione, il mollusco non ha per niente l’aspetto di un volto spaventoso, ma quello rasserenante e gustoso di una vongola. – Tuttavia fai parte anche tu della schiera degli increduli, ma io ho qualcosa da mostrati. Quella notte il diavolo perse letteralmente la faccia e le pietre che lo colpirono lo dimostrano chiaramente: guarda con i tuoi occhi! 104 105 LUNA E SUCCO DI RAGGI DI SOLE – Sei stai bene non dovresti essere qui a farmi perdere tempo e non credere che ti dia informazioni sull’arte della guarigione. Ci sono talmente tanti ciarlatani in giro… Le lingue che caddero dalla luna – Non voglio rubarle il mestiere, ma sono incuriosito da una particolare pietra triangolare che si dice cada dal cielo. CHE STRANO INTRUGLIO: LINGUE DI Si narra che quando gli astri si trovano in particolari posizioni nel cielo, dalla luna piovano direttamente sul nostro pianeta strane pietre triangolari aguzze e taglienti. Alchimisti e maghi le hanno raccolte per le loro proprietà terapeutiche, in grado cioè di curare svariate malattie. I nomi della maggior parte di questi raccoglitori si sono perduti, proviamo tuttavia a cercarne almeno uno recandoci nel tardo medioevo. Chiediamo qualche informazione per strada e finalmente otteniamo il nome della persona che cercavamo: Vinicius, un guaritore la cui fama si è diffusa ovunque. – Buongiorno. – Buongiorno a te. In che cosa posso servirti? Hai mal di pancia, ti ha morso un serpente, sei assillato da pulci, zecche e pidocchi, hai perso il senno… – Sto benissimo, grazie, non ho bisogno di cure. Volevo solo chiederle qualche informazione. 106 – Tante pietre cadono dal cielo, ma se mi prometti che non sei venuto a rubare i miei segreti, ti parlerò delle lingue di pietra di cui ci fa dono la luna, con molta parsimonia e moderazione, però. – Grazie e le prometto tutto ciò che vuole. – D’accordo, allora. Comincio col mostrartene una, la più grande che possiedo. Una lingua per ogni occasione – Caspita! – Meravigliato, vero? Si tratta di lingue di serpente, appuntite e pietrificate. Il cielo le manda a noi perché possano aiutarci a curare tanti nostri mali. – Riesce a curare le malattie con quel coso? – Questo “coso” ho deciso di non usarlo: lo tengo con me come simbolo della mia professione. Però ne ho molte altre di lin- 107 gue di pietra, di ogni forma, colore e dimensione. Uso solo queste e quando stanno per finire, vado a cercarne altre. Io so dove trovarle… – Sono curioso di sapere quali malattie riesce a curare con queste “lingue”. – Ricordati la promessa. Ebbene, si tratta di una lunga serie: morsi di serpente, febbri maligne, dolori alla testa, incantesimi malvagi, vomito… – Un po’ di tutto, mi pare di capire, ma come si usano? – Nella maggior parte dei casi vanno ridotte in polvere che deve essere disciolta nell’acqua e bevuta. In caso di incantesimi e morsi di serpente, invece, vanno applicate sulla parte colpita dal serpente o dal malocchio e poi portate al collo con fiducia. – E chi è un po’ incredulo sulla loro efficacia? – Peggio per lui, rischia di morire e io non posso proprio farci nulla. – Capisco… comunque hanno una forma che mi ricorda qualcosa: perché non mi dice dove le ha trovate? – Adesso vuoi sapere davvero troppo. Ti dico solo questo: si tratta di una collina fatta di terra rossa; basta sapere dove scavare e avere un po’ di fortuna per scovarle. 108 Una “Colonna” della paleontologia moderna Onestamente, io non mi farei mai curare da un “medico” come Vinicius. Tuttavia, grazie alle sue spiegazioni, abbiamo iniziato a capire molte cose. Lo studioso napoletano Fabio Colonna (1567-1640) si è occupato scientificamente delle lingue di pietra o glossopetrae come venivano a chiamate a quel tempo. – Signor Colonna, molti suoi antenati, ma anche tanti suoi contemporanei, dicono che le glossopetrae sono le lingue di serpente pietrificate che cadono dalla luna durante le eclissi o altri avvenimenti celesti. – Lo so benissimo ed è per questo che mi sono dato da fare per capirne di più. È vero che i nostri anziani sono depositari di saggezza, però è sempre meglio controllare le cose, guardare con l’occhio della scienza, effettuare confronti… – E lei li ha fatti, vero? – Verissimo! Ho scritto addirittura un trattato sull’argomento, pubblicato a Roma nel 1616; l’ho intitolato De glossopetris dissertatio. Ho esaminato con cura centinaia di esemplari di glossopetrae prima di esprimermi; d’altra parte bisogna comprendere che avevo bisogno di prove certe prima di mettere in dubbio le credenze popolari e l’uso medico di questi oggetti. Se poi si pensa che… – Non voglio sembrarle scortese, però perché non ci dice subito quali sono state le sue conclusioni? 109 – Avete sempre così tanta fretta dalle tue parti? Sappi che la fretta è cattiva consigliera ed è assolutamente da evitare nel mio lavoro. Comunque, eccoti le conclusioni: non si tratta per niente di lingue di serpente pietrificate, né c’entrano in alcun modo con la luna, le eclissi o altro. – E allora? – Si tratta di denti, denti di pescecane per essere precisi. Avevo notato una certa rassomiglianza con i denti di questi predatori dei mari e allora ho deciso di effettuare una accurata comparazione. Adesso non ho più alcun dubbio: si tratta proprio di denti di squalo imprigionati nella terra e nelle rocce, forse a causa della distruzione prodotta dal diluvio universale. dissectum caput che tradotto suona così: “Dissezione della testa di un Canis charchariae” cioè di uno squalo. La sua conclusione fu la stessa di Colonna: i denti dello squalo e le glossopetre sono la stessa cosa. Cadde così la credenza sulle capacità curative delle lingue di pietra. Tuttavia, ridotte in polvere e bevute, come faceva il nostro Vinicius, sicuramente funzionavano e funzionerebbero su un lieve malanno: i bruciori di stomaco. In effetti le glossopetre sono costituite anche di carbonato di calcio, efficace davvero contro l’acidità gastrica. Meglio però conservare i denti di squalo fossili in un museo e lasciare al bicarbonato di sodio il compito di renderci meno… acidi. Lo squalo di Stenone Denti di squalo! Fabio Colonna aveva visto giusto ed è stato il primo a provarlo scientificamente. Dopo di lui, altri scienziati, come il danese Niels Stensen (16381686), da noi conosciuto come Nicola Stenone, si occuparono di fossili e delle glossopetre. Circa cinquant’anni dopo Colonna, Stenone scrisse un’opera sull’argomento intitolata Canis charchariae 110 Cronache dal passato: il più grande carnivoro della storia Venticinque metri di lunghezza, una bocca smisurata e pinne grandi come vele: in un mare di diversi milioni di anni fa si muove solitario il più grande carnivoro mai comparso sulla Terra: il Charcharocles megalodon, l’immenso squalo dai grandi denti. Probabile progenitore del nostro squalo bianco, che però supera di circa tre volte, si aggira affamato in cerca di prede. Il mare è spietato: per sopravvivere bisogna trovare da mangiare e cercare di non essere mangiati. Ma questo non è di certo un suo problema, quanto di un lungo e sinuoso cetaceo che sta pranzando con un branco di pesci simili alla sardine. Il Megalodon si muove silenzioso nonostante la mole, quindi accelera e con un impeto e uno scatto inaspettati si getta sulla balena che non ha scampo. Scheletri fantasma I nostri antenati sapevano riconoscere i denti dei pesci conservati nelle rocce e nessuno li ha mai scambiati per strani oggetti piovuti dal cielo; perché invece per i denti di squalo non è stato così? La causa va probabilmente ricercata in una caratteristica del gruppo di pesci a cui appartengono gli squali: sono tutti dotati di uno scheletro cartilagineo (fatto di cartilagine) che, a differenza dello scheletro osseo degli altri pesci, si decompone facilmente e non lascia quasi alcuna traccia. In parole povere, mentre i denti di una cernia fossile si trovano insieme al resto dello scheletro, quelli degli squali si trovano invece isolati e non collegati ad alcun altro resto osseo. A Whitby i serpenti persero la testa… Ad ogni morso, quintali di carne vengono strappati e inghiottiti, le ossa vengono triturate e finiscono anch’esse nel gigantesco stomaco. Su un osso più duro, tuttavia, lo squalo si spezza un dente che finisce sul fondo sabbioso. Nessun problema però: allora come oggi, gli squali hanno i denti a crescita continua e quando ne perdono uno, subito un altro è pronto a prenderne il posto. 112 La vicenda dei serpenti di Whitby risale a molti secoli fa e si svolse in Inghilterra nel periodo in cui viveva santa Hilda (614-680 d.C.). Proprio lì dobbiamo recarci se vogliamo raccogliere informazioni di prima mano. A giudicare dai vestiti, quello che stiamo per incontrare è un monaco dell’alto medioevo. 113 – Mi è stato detto che qui a Whitby sorge una famosissima abbazia. – Ti hanno detto bene. In cima alla scogliera, in quel largo altopiano, santa Hilda costruì l’abbazia in cui visse per tanto tempo. … rimanendoci di sasso – E i serpenti se ne andarono? – In realtà, accade una cosa ancora più spettacolare: i serpentelli uscirono fuori tutti dalle loro tane e in massa si precipitarono giù dalla scogliera… – Se non sbaglio, si racconta una strana storia a questo proposito. – Si sono gettati volontariamente? – Strana è dire poco. Devi sapere che quando Hilda ricevette l’incarico di erigere l’abbazia, il luogo prescelto era infestato da serpenti, piccoli ma temibilissimi. – Certamente, altrimenti che miracolo sarebbe stato? Ma le cose straordinarie non finiscono qui: precipitando persero tutti la testa e raggiunto il fondo della scogliera si trasformarono in pietra. – Un bel problema. – Infatti, tanto più che in mille avevano provato a eliminarli ma senza alcun risultato: più ne uccidevano e più ne venivano fuori. Una vera e propria maledizione. – Immagino quindi che il luogo fosse disabitato. – Già, nessuno avrebbe osato vivere in quel posto. – E allora, l’abbazia? – Il merito fu proprio di santa Hilda. Ricevuto l’incarico, si rese conto della situazione di grave pericolo causata dai serpenti e allora decise di ricorrere alla preghiera. 114 – Accipicchia, tuttavia questa storia degli animali diventati pietre l’ho già sentita altre volte. – E allora senti anche questa: nello spasimo della morte, si avvolsero tutti intorno a se stessi e ancora oggi si possono trovare pietrificati e arrotolati nella roccia della scogliera. – Davvero? Allora se volessi, potrei vederne qualcuno anche adesso… mi piacerebbe tanto. – Se vuoi calarti lungo la scogliera, fai pure. Comunque, molti serpentelli arrotolati sono stati raccolti da tempo e possono essere osservati senza pericolo nell’abbazia. Vuoi vederli? 115 Molluschi a reazione – Caspita! Chissà che fatica a nuotare con tutto quel peso. Come non accettare l’offerta del monaco? E così saliamo fino all’abbazia, dove ci aspettano i serpenti pietrificati da santa Hilda. Il monaco ce ne mostra parecchi e qualcuno possiede ancora la testa; però ci spiega che è stata incisa artificialmente per mostrare meglio l’aspetto che doveva avere il serpente in vita. Lo ringraziamo e lo lasciamo al suo lavoro: quei serpenti in realtà ci ricordano altri animali vissuti molto tempo prima di santa Hilda, diciamo tra 415 e 65 milioni di anni fa. In un qualsiasi museo geologico-paleontologico è possibile osservare questi antichi organismi. Dobbiamo solo spalancare gli occhi e soprattutto le orecchie per ascoltare quanto deve dirci il direttore. – Direi proprio di no. Erano invece abili nuotatrici e si spostavano, come tutti i rappresentati del loro gruppo, con movimenti a reazione all’indietro. Una loro specialità era proprio la conchiglia: essendo dotata di tante camere stagne che potevano essere riempite e svuotate di gas, le ammoniti si immergevano e risalivano in superficie, proprio con lo stesso principio che sfruttano i nostri sottomarini. – I fossili esposti in questa vetrina sono tutte ammoniti? Rivelatori del tempo – Sì, si tratta proprio delle famose ammoniti, famose almeno tra noi paleontologi e tra tanti appassionati. Sono molluschi ormai estinti, parenti dell’attuale Nautilus, delle seppie, dei polpi, dei calamari… – E noi che pensavamo di aver inventato chissà che cosa… invece siamo stati battuti ancora una volta dalla natura. Su e giù, su e giù, ma per far cosa? – Noi abbiamo conosciuto le belemniti: c’entrano qualcosa? – Sicuramente, parenti anch’esse. Sono ammoniti esistite di ogni forma e dimensione, ma tutte dotate di un guscio duro quasi sempre avvolto in una tipica spirale; le più grandi potevano raggiungere addirittura i tre metri di diametro. 116 – Per cercare il cibo: si nutrivano di pesci e altri animaletti che riuscivano a catturare, ma a loro volta erano cibo graditissimo per mille altri predatori, pertanto erano costrette a inseguire e fuggire continuamente. – Che vita movimentata! – Ma le ammoniti sono famose anche per un’altra caratteristica: erano così diffuse e differenziate in innumerevo- 117 li forme, in particolare nel periodo Giurassico, che vengono utilizzate dai geologi come ottimi “fossili guida”, fossili cioè che permettono di dare un’età alle rocce in cui sono contenute. – Abbiamo sentito la leggenda di santa Hilda e dei serpenti tramutati in pietra: la conosce anche lei? – Sicuramente Hilda fu una santa rispettabile e importante per la sua Inghilterra, ma il miracolo dei serpenti pietrificati che le fu attribuito è solo frutto della fantasia e possiamo considerarlo una bella leggenda e nulla più. Tuttavia, proprio a causa di questa leggenda, una particolare ammonite, vissuta nel periodo Giurassico inferiore (180 milioni di anni fa), prese il nome da santa Hilda ed è tuttora conosciuta nel mondo scientifico come Hildoceras. Alcuni esemplari sono esposti proprio in questa vetrina e sono degli ottimi fossili guida. Al cospetto del dio Ammon Ma c’è un’altra cosa sulla quale potremmo indagare: perché a questi molluschi è stato dato questo particolare nome? E se lo chiedessimo a un antico filosofo greco? un nostro dio, il culto del quale abbiamo importato dall’Egitto. – Qual è il suo nome? – Che domande: Ammon! Il dio che gli Egizi chiamano Amun. – Interessante… in effetti il nome che mi ha detto è molto simile a quello di “ammonite”. Come mai le avete collegate al vostro dio Ammon? Me lo può descrivere? – Vuoi che ti elenchi tutte le sue virtù? Ci vorrà del tempo. – Non è il caso, mi basta qualche particolare interessante per la mia indagine. – Beh, ha un aspetto maestoso, dovuto anche a un bel paio di corna avvolte strettamente come quelle dei montoni. Noi lo conosciamo infatti come Ammon, il dio dalle corna di montone. Il dio Ammon, certo! Se sfogliamo i primi testi che parlano di ammoniti, le troviamo descritte come Cornu Ammonis, cioè “corna di Ammon”. Un’antica moneta greca risalente al 480 a.C. riporta una scritta che parla proprio delle ammoniti come “corna di Ammon”, in grado di produrre bei sogni. – Ne sa niente lei di ammoniti? – Parli per caso di quelle pietre avvolte a spirale? Noi le usiamo come rimedio contro l’insonnia: basta metterne una al capezzale del proprio letto per avere una notte tranquilla e con sogni gradevoli. Ma questo lo si deve a 118 Paese che vai, ammonite che trovi! La forma particolare delle ammoniti ha da sempre incuriosito i popoli di tutto il mondo. Alcune genti himalaiane avevano come usanza quella 119 – Scusi, posso chiederle che cosa sta mangiando? – Perché, hai fame anche tu? – È molto gentile a chiedermelo, ma la mia è solo curiosità. – In questo momento sto mangiando una zuppa di pesce e verdure, accompagnata da focacce cotte sulla pietra. Mia moglie è veramente straordinaria a cucinare il pesce: sa scegliere con arte le verdure giuste per esaltarne il sapore, poi lo lascia cuocere… di portarle nei templi perché le ritenevano sacre e le definivano “ruote di dio”. In India erano spesso considerate delle rappresentanti del dio Visnù. Per gli indiani d’America erano un dono degli spiriti e portarle addosso rendeva sicuro qualsiasi viaggio, come credevano anche gli aborigeni australiani. L’usanza più strana è forse quella di una popolazione di alcune isole scozzesi che ritenevano le ammoniti utili contro i crampi dei bovini. Bastava immergerne una in un secchio pieno d’acqua e poi con quella lavare i bovini doloranti per ottenere il risultato voluto. Un piatto di dure lenticchie Andiamo nei pressi di una della grandi piramidi egiziane, quella di Cheope può andare bene, e facciamo un salto indietro nel tempo, proprio nel periodo in cui le piramidi erano in costruzione. Arriviamo di sera quando gli operai, ormai a corto di energie, si devono fermare per mangiare qualcosa di energetico e riposare. Proviamo a disturbarne uno. 120 – Mi fa venire l’acquolina in bocca. Lei lavora alla costruzione della piramide, vero? – Certo! Siamo stati chiamati a migliaia per concludere l’opera il prima possibile, ma sono anni che lavoriamo e ancora non si vede la fine. – Oltre al pesce, che cosa mangiate abitualmente? – Mangiamo due volte al giorno: all’alba, prima che inizi il duro lavoro, e alla sera prima di prendere sonno. Il cibo è piuttosto vario e nutriente, altrimenti non potremmo resistere alla fatica. Oltre al pesce e alle verdure, qualche volta mangiamo anche la carne e poi tante cipolle e aglio che danno vigore e tolgono le malattie. – Chissà che odore, ma sono sicuro che non ci fate troppo caso. Mangiate anche legumi come le lenticchie? – Li stavo dimenticando: anche i legumi e tante lentic- 121 chie. Sono buone, sai? Mia moglie poi… – Da come la descrive, deve essere davvero un’ottima cuoca, però mi dica un’altra cosa: non mangiate mai sulle pietre che trasportate per costruire la piramide? – No, però beviamo molto. – Capisco, il caldo e la fatica devono essere esagerati. Io però volevo sapere se vi è mai capitato di rovesciare le lenticchie sulle pietre da costruzione. – Che strana domanda. Innanzitutto, come ti ho detto, mangiamo solo nelle nostre case; inoltre nessuno sarebbe così sciocco da versare il proprio pasto, rimanendo poi senza cibo. Pietruzze misteriose – Il fatto è che nelle pietre delle piramidi, sono state trovate tante piccole pietre di forma particolare che ricordano le lenticchie, e qualcuno ha perfino affermato che si tratta dei resti dei pasti di voi operai egiziani. – Stupidaggini! Ma, forse ho capito di che cosa si tratta. Ti faccio vedere anche subito, se vuoi. Tanto ho finito di mangiare. – Questo è uno dei blocchi che usate per la costruzione della piramide, vero? È gigantesco! 122 – Esatto, domani dovremo versare molto sudore per portarlo lassù in cima. Ma adesso guarda con attenzione: dimmi, cosa vedi? – Sembrano proprio lenticchie! Un mucchio di lenticchie, piccole e grandi. – Non so cosa siano, però ti assicuro che non si tratta di lenticchie: sono troppo dure e poi, nella cava dove vengono estratti questi blocchi, tutta la roccia è piena di queste pietruzze tondeggianti. Spesso si trovano anche strane conchiglie. Vegetali o animali? Lasciamo andare a riposare l’operaio perché lo aspetta un altro giorno di duro lavoro. Concentriamoci invece sulle “lenticchie di pietra”, come erano considerate qualche secolo fa dai nostri antenati, e domandiamoci se hanno davvero a che fare con questi legumi. Lo scienziato Jacopo Bartolomeo Beccari (1682-1766) potrebbe esserci di aiuto, visto che fu il primo ad occuparsi in modo scientifico di alcuni piccoli organismi che forse possono chiarirci molte cose. – Professore, può darci una mano a risolvere il problema delle lenticchie delle piramidi? – Solo gli sciocchi potrebbero credere a una simile fandonia. – Non sia così duro, tutto sommato chi ha pensato queste cose è vissuto in tempi lontani. 123 – Lontani? Che dire allora del filosofo greco Erodoto che già nel V secolo d.C. parlava delle conchiglie ritrovate nelle piramidi egizie in modo corretto? Per lui erano resti di antichi organismi. – Peccato che poi le sue parole siano state dimenticate. – Lasciamo perdere. Io ho studiato al microscopio alcuni piccolissimi gusci di organismi che vivono attualmente nei nostri mari. Si tratta di “foraminiferi”, parola che letteralmente vuol dire “portatore di forellini”. In effetti, l’interno del loro guscio è pieno di piccole camerette, simili a minuscoli buchi. Monete preistoriche – Può descrivere meglio questi organismi? – Sono animali unicellulari, capaci di costruirsi un guscio duro e resistente. Alla loro morte, tutto si decompone e si dissolve tranne il guscio che può essere osservato anche dopo anni e anni. – Ma nelle piramidi abbiamo visto gusci abbastanza grossi e di forma circolare, come delle piccole monete. – Sicuro, gli stessi di cui ci parla Erodoto: si tratta di nummuliti. – Nummuliti? Che stano nome. – Deriva dal latino nummulus che vuol dire “monetina”, proprio la forma che ricordano questi particolari foraminiferi. 124 Caso risolto! E anche questa volta è proprio in un museo che troviamo conferma alle parole del prof. Beccari: nelle rocce delle piramidi egiziane sono presenti grandi quantità di foraminiferi fossili detti “nummuliti”, vissuti all’inizio dell’era Cenozoica (da 65 a 23,5 milioni di anni fa). Alcuni superavano sorprendentemente i dieci centimetri di diametro, un vero record per un organismo unicellulare. Erano talmente specializzati e avevano forme tanto differenti che sono usati come fossili guida dell’era Cenozoica. Quindi, per gli antichi egiziani niente lenticchie mangiate sulle piramidi e nemmeno zuppa di nummuliti visto che erano già estinte e pietrificate da milioni di anni. Succo di raggi di sole L’ambra è una pietra molto conosciuta sia scientificamente sia da un punto di vista ornamentale, visto che se ne ricavano splendidi e ricercati gioielli. Per le sue caratteristiche inconsuete, l’ambra ha riscosso molto successo nelle leggende e nei miti. Se vogliamo ascoltare il mito più conosciuto, dobbiamo rivolgerci al poeta latino Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.) che ne parla proprio nel suo libro Le Metamorfosi. – Salve. Sappiamo che ha scritto molti poemi, ma a noi interessa quello che riguarda l’ambra. 125 – Una pietra straordinaria che non poteva avere che origini divine. – Sta parlando degli dèi dell’Olimpo, immagino. – Esatto. Devi sapere che Apollo, il dio del sole, ha sempre avuto il compito di guidare il carro di fuoco, trainato da cavalli impetuosi. In questo modo permette al sole di sorgere, di attraversare il cielo da est a ovest e quindi di tramontare. – Molto poetico, anche se mi sembra complicato trascinare un astro su un carro. – Nulla è impossibile agli dèi, nemmeno avere un figlio un po’… come dire, scavezzacollo e imprudente. non credevano che fosse figlio di Apollo e lo prendevano in giro. Il giovane allora decise di farsi vedere alla guida del carro del sole per zittirli una volta e per tutte. – E Apollo cedette, giusto? Una prova ardente – Il figlio del dio del sole avrà avuto sicuramente un bellissimo nome. – Sì, ma se ne dovette pentire. Il giovane infatti, per farsi vedere bene alla guida del carro, decise di avvicinarsi alla terra il più possibile, senza accorgersi che ogni cosa al suo passaggio prendeva fuoco. – Si chiamava Fetonte. – Ma qualcuno riuscì a fermarlo, spero. – Non discuto sui gusti degli dèi, anche se questo nome non mi sembra un granché. Mi dica piuttosto che cosa combinò, sono molto curioso. – Sì, Zeus! Il padre degli dèi, nonostante amasse Apollo e il suo figliolo, per fermarlo prima che tutta la terra ardesse fra le fiamme non poté fare altro che scagliargli contro una saetta. – Convinse suo padre a fargli guidare il carro per un solo giorno, anche se era un’impresa davvero difficile. – Non gli avrà ammaccato il carro… – Non essere impertinente e ascolta. Gli amici di Fetonte 126 – Accipicchia, che metodi drastici! – Non c’era altro modo per intervenire in fretta. Il povero Fetonte fu scaraventato fuori dal carro che riprese il 127 – Professore, può dirci che cos’è esattamente l’ambra? – Resina, nient’altro che resina. – Come quella appiccicosa che cola dagli abeti? suo corso normale. Il giovane invece, con i capelli in fiamme, precipitò nel vuoto e alla fine cadde nel fiume Eridano, quello che voi chiamate Po, scomparendo per sempre. – Esatto, solo che questa ormai non appiccica più. Infatti si è fossilizzata, perdendo alcune sue caratteristiche originali e acquisendone altre. Adesso, ad esempio, è dura e resistente. Un’altra sua importante proprietà era conosciuta già nel 600 a.C. – Ah sì? E quale? – Che tragico destino. – Se la strofini, si carica elettricamente e attira piccoli corpi. Fu il filosofo Talete di Mileto (634-547 a.C.) a scoprirlo. – Già e le sue tre sorelle, le Eliadi, piansero fiumi di lacrime, senza sosta. Zeus, impietosito, per calmare il loro dolore le tramutò in pioppi lungo le rive del fiume. – Ho capito! È la stessa cosa che accade alla mia penna di plastica quando la strofino su un maglione e poi la avvicino a un pezzettino di carta: la carta “vola” verso la penna! – Decisione discutibile, a mio parere. – Proprio così. Per questo il nome greco dell’ambra era elektron, da cui deriva anche il termine odierno “elettricità”. – Le tre sorelle, tuttavia, continuarono a lacrimare dai tronchi e il loro padre Apollo, dio del sole, trasformò quelle lacrime in gocce dorate di ambra. E se fossero davvero “lacrime”? L’ambra è un materiale dalle molteplici proprietà, conosciuto da tempi remoti, visto che si ritrova facilmente in alcune rocce o per effetto dell’erosione sul greto dei fiumi. Ma che cos’è l’ambra? Forse il prof. James Dwight Dana (1813-1895), geologo e mineralogista di fama mondiale, potrebbe rispondere a questa domanda. 128 – Straordinario! Ma ritornando all’origine dell’ambra, mi conferma che si tratta di “lacrime” resinose di antichi abeti? – Non credo che fossero abeti, però forse erano lontani parenti, conifere insomma. 129 Imprigionati ma in bella vista – Integri? – Ambra… che strano nome le avete dato. – Conservazione “in toto”, dicono i paleontologi. In molti frammenti di ambra si possono osservare splendidi insetti che sembrano ancora vivi. Sono stati trovati addirittura piccoli vertebrati, come le lucertole. – Ambra è un termine antico e deriva dall’arabo anbar. In realtà con questo nome si indicava una sostanza cerosa, aromatica, prodotta dallo stomaco dei capodogli; si rinviene in mare sulla cui superficie galleggia essendo più leggera. Niente a che fare però con l’ambra fossile, nonostante quella dei capodogli venga chiamata “ambra grigia”. – Un bel disguido. – E non è l’unico. L’ambra fossile la si ritrova un po’ dappertutto nel mondo, ma quella più abbondante proviene dal Baltico, nel nord dell’Europa. È leggermente diversa dalle altre e per renderla più facilmente riconoscibile ho proposto per lei un nuovo nome: “succinite”. – Perché succinite? – Semplice, deriva dalla parola succinum, con il quale gli antichi Romani chiamavano l’ambra. – Ricapitolando, la chiamate “ambra fossile” perché è un resto di un antico organismo, giusto? – Sicuramente. Però, quando la resina scorre sui tronchi degli alberi è fluida e appiccicosa, in grado di catturare e ricoprire qualsiasi piccolo essere vivente si trovi sul suo percorso. Gli animaletti, intrappolati al suo interno, vengono protetti dalla decomposizione e conservati integri per milioni di anni. 130 I segreti dell’ambra Non c’è praticamente museo di storia naturale al mondo che non esponga un frammento di ambra contenente un insetto. In Svezia è possibile ammirare il campione di ambra più grosso mai estratto: circa 10,5 chili. I famosi film della serie “Jurassic Park” sono nati da una serie di considerazioni: le zanzare vivevano anche al tempo dei dinosauri; una o più di loro potrebbero aver succhiato il sangue di un dinosauro ed essere state intrappolate nell’ambra; dentro i loro corpi potrebbero ancora contenere parte o tutto il DNA del rettile stesso; partendo infine da questo DNA, si potrebbero ricreare copie in carne e ossa dei dinosauri. Per adesso si tratta evidentemente solo di fantascienza, tuttavia l’ambra sembra proprio un fantastico contenitore di segreti tutti da scoprire. 131 Cronache dal passato: una prigione dorata Il sole è alto nel cielo e fa capolino in una foresta di conifere di trenta milioni di anni fa. Sulla corteccia di un albero sta acquattato da chissà quanto tempo un grasso ragno salticidae, uno di quelli cioè che non costruiscono la ragnatela, ma restano in agguato, pronti a spiccare un balzo e ghermire inaspettatamente la preda. Non è detto che la giornata si riveli fruttuosa per il ragno e possono passare giorni prima che riesca a catturare qualcosa di decentemente grosso; ma pare che questa sia la sua giornata fortunata: una mosca pasciuta ha deciso di fare le pulizie a due passi dal predatore. Il ragno aspetta il momento opportuno e, dopo aver calcolato la distanza, spicca uno dei suoi caratteristici balzi. Forse per colpa di un raggio di sole dispettoso o forse intorpidito per aver aspettato immobile così a lungo, il ragno fallisce il suo assalto e finisce in una strana macchia collosa. La mosca ringrazia per la fortuna e si dilegua ronzando tra le ombre della foresta. Il ragno è abituato all’immobilità, ma questa è un’esperienza completamente nuova: non riesce a staccare le zampe dal tronco e più ci prova più si sente appiccicare irrimediabilmente. Di lì a poco, un nuovo fiotto di resina profumata cola lungo il tronco e ricopre completamente il piccolo ragno, racchiudendolo in una splendida ma mortale prigione dorata. 133 PROVE DI CREAZIONE E SCHERZI DELLA NATURA Scherzi della natura o scherzi e basta? Questa storia risale al XVII secolo quando un professore dell’università tedesca di Wurzburg, un certo Johann Beringer, fece una serie di spettacolari scoperte. – Prof. Beringer, sarebbe così gentile da raccontarci la sua vicenda? – Avrei voluto dimenticare tutta questa storia, ma non credo che sarà mai possibile. Mi ha perseguitato per tutta la vita e così sarà per i secoli a venire. – Mi dispiace che sia così amareggiato, ma perché non ce ne parla? – Tanto ormai… Ebbene, stavo compiendo una esplorazione in una cava nelle vicinanze dell’università, quando mi imbattei in una pietra “spettacolare” a dir poco. – Di cosa si trattava? – Un blocco argilloso sul quale 134 si vedeva chiaramente una forma animale. Aveva un corpo allungato e ritorto, terminante con due piccole braccia e una testa con due occhietti e due antenne. – Un fossile, insomma. – Un fossile, sì, ma stranissimo. Non fu l’unico che trovai quel giorno e ognuno era una vera sorpresa. – Immagino la sua soddisfazione. – Ah, certo, quei momenti furono i più soddisfacenti della mia carriera professionale; ero davvero al settimo cielo, come si dice. Senza contare che nei giorni e nelle settimane seguenti le scoperte si moltiplicarono. – Sempre fossili “strani”? – Sempre più strani: ragni con le ragnatele, insetti di ogni tipo, forma e dimensione; piccoli rettili, anfibi in ogni posa, vermi, molluschi completi di guscio e parti molli, uccelli pronti a spiccare il volo, fiori che parevano ancora in vita… – Caspita! Sarebbero stati la gioia di qualunque studioso. – E anche la mia, almeno all’inizio. – Ne parlò con i suoi colleghi? – Ma è ovvio! Ebbi lunghe discussioni con molti di loro. A mio parere quelle forme stavano a indicare una cosa chiara… 135 – Che un tempo esistevano organismi diversi da quelli attuali! – Ti ci metti anche tu? Erano forme troppo strane che non avrebbero mai potuto vivere; in realtà erano lì per dimostrare una cosa sola, come andavo ipotizzando ormai da tanto tempo, e su quella teoria basai tutte le mie discussioni e battaglie. – Assolutamente no, anche se in molti provarono a convincermi: per me erano solo invidiosi delle mie scoperte. E allora non mi fermai, così scrissi e pubblicai quella che doveva diventare l’opera più importante mai scritta prima di allora: la Lithographia Wirceburgensis! Un imbroglio ben architettato Una brutta copia del mondo – Come andarono a finire le cose, professore? – E quali erano queste sue idee? – Malissimo! Come hai pensato anche tu, quei resti non erano altro che il frutto di un terribile imbroglio, una truffa malvagia, una frode talmente inaudita che non volli crederla possibile. – Semplice: il Creatore, prima di iniziare la sua opera definitiva, aveva fatto numerose prove che gli servirono da modello per creare la vita come la conosciamo oggi. I fossili non sono nient’altro che questo. – Una tesi piuttosto difficile da dimostrare. – E invece no: io avevo quei resti così particolari tra le mani! Pensa che rinvenni perfino delle lettere dell’alfabeto greco ed ebraico e altri strani segni. – Davvero? Sembra impossibile. – Infatti! Ma visto che le lettere dell’alfabeto non possono fossilizzarsi e pietrificarsi spontaneamente, erano lì a confermare quanto allora credevo giusto. – Ma non le è venuto il sospetto che potesse essere lo scherzo di qualcuno? 136 – Saranno stati i suoi studenti in vena di scherzi goliardici, immagino. – Così pensarono in molti. Invece fu addirittura opera di due miei colleghi: Ignatz Roderick, professore di matematica, e Georg von Eckart, ministro e bibliotecario dell’università. – Concordo con lei, fu proprio uno scherzo di pessimo gusto. Però, deve ammettere che le sue tesi erano un po’… come dire, originali. – Non ho più voglia di commentare. Fatto sta che passai il resto della mia vita nel tentativo di ritirare dalla circolazione tutti i libri che avevo fatto stampare, ma non credo di esserci riuscito. 137 Lasciamo il povero prof. Beringer alle sue amare considerazioni. Aggiungiamo solo che, dopo la sua morte, la richiesta del suo libro, che possedeva tra l’altro delle splendide tavole illustrate, divenne pressante. I suoi eredi rivenderono quindi le copie da lui sequestrate e l’editore fu costretto a stamparne molte altre. Il suo libro divenne un “best seller” dell’epoca ma non credo che questa notizia possa risollevargli il morale e quindi non glielo diremo. Il periodo in cui visse Beringer era in effetti pieno di contraddizioni e se da una parte vi erano ormai interpretazioni corrette sull’origine dei fossili, dall’altra sopravvivevano ancora strane spiegazioni. Molti di loro, però, ci avevano visto giusto; tra questi Ristoro d’Arezzo (XIII secolo), monaco e grande studioso del mondo naturale, autore della voluminosa opera Della composizione del mondo. Anche la natura si diverte – Tanti miei contemporanei credono che la natura si diverta a scherzare con la creazione. Chiamano lusus naturae, “scherzi della natura”, i fossili. Nelle rocce sedimentarie, e solo in quelle, si trovano spesso tanti resti dalle forme note o meno note che noi moderni non facciamo fatica a riconoscere come resti di organismi, anche se ormai pietrificati. Abbiamo visto che spesso gli antichi, non sapendo come spiegare la natura dei fossili, hanno fatto nascere miti e leggende alle quali, in fondo, ci siamo affezionati. 138 – Se possiamo rubarle un po’ di tempo, potrebbe dirci qualcosa su tutti quei resti che si trovano nelle rocce e che ricordano organismi attualmente viventi? – Fossilia! Ne ho scavati diversi nelle terre di Toscana. Mi hanno molto incuriosito. Con Ristoro non si scherza – Benissimo! E che ne pensa? – Una natura burlona, carina questa: non l’avevo ancora sentita. – Altri ritengono che la natura abbia provato e provi ancora a imitare il nostro Creatore e così i fossili sono il prodotto di una vis formativa, cioè di una forza interna alla terra che nel tentativo di imitare i viventi ne produce solo brutte copie inanimate e pietrificate. 139 – Da mattacchiona a “copiona”: la natura ne esce proprio conciata male. – Tante volte mi sono chiesto anch’io che cosa fossero quegli oggetti pietrificati. Ah, saperlo! Tuttavia… – La prego, ci dica che cosa sono i fossili per lei. – Ho osservato la sabbia delle spiagge e ho notato come sia spesso ricoperta di conchiglie. Anche scavando nei terreni e nelle rocce se ne trovano di ogni forma e tipo. “Lapis stellaris” ovvero sotto l’influsso delle stelle Ancora oggi troppi di noi credono di essere sotto l’influsso delle stelle. Nonostante la maggiore diffusione del pensiero scientifico e della tecnologia, c’è ancora chi si fida di maghi o cartomanti. Molti criticano il medioevo, ma magari solo un attimo prima hanno verificato quale destino gli riserva l’oroscopo del giorno! Siamo decisamente contraddittori… ora, però, andiamo nel XIII secolo, abbiamo appuntamento proprio con un astrologo. – E allora? – E allora io penso che un tempo fossero tutti vivi come lo siamo noi adesso. Poi deve essere successo qualcosa di catastrofico, forse proprio il diluvio universale: tutti furono trasportati lontano dal luogo in cui vissero e infine ricoperti dalle argille e dalle sabbie marine. Il tempo ha fatto il resto, trasformando in pietra ogni essere un tempo vivente. Ristoro d’Arezzo, a parte il diluvio universale, fu uno dei primi a vederci chiaro e a scartare le ipotesi fantasiose sull’origine dei fossili e sulla natura in vena di scherzi. Tuttavia, la sua teoria non venne accettata da tutti e ci vollero molti secoli per eliminare dalle scienze ogni ipotesi fantastica sui fossili. A lungo durarono anche quelle relative alle rocce stellate e alle rondini di pietra. 140 – Scusi, so che lei si occupa di leggere le vicende degli uomini interrogando gli astri. – Verissimo! Sono un rinomato astrologo, alchimista e medico. Che cosa vuoi sapere? – Che strana mescolanza di mestieri… Lasci perdere e mi spieghi gentilmente una cosa: è possibile che le stelle abbiano un influsso anche sulle pietre? – Che domande! Certo che è così. Io preparo le mie medicine solo dopo aver interrogato gli astri. Raccolgo erbe e minerali quando le stelle sono propizie e le loro proprietà al massimo grado. – È difficile credere che oggetti così lontani nello spazio possano aver qualche influsso su di noi. 141 – Lontani? Ma se sono lì nella volta celeste. Sei proprio strano, sai. – Sì, ha ragione, in effetti siamo nel medioevo. Piuttosto, ho sentito parlare di pietre molto speciali che sono nate proprio sotto l’influsso delle stelle. – Ho capito di cosa parli e hai fatto bene a ricordarmi la loro esistenza. Mi domando allora perché dubiti che le nostre vite dipendano anche dagli astri. Ma non sei l’unico, figurati che un mio contemporaneo, un certo Ristoro d’Arezzo, ritiene che i fossili siano resti di organismi trasportati insieme con i sedimenti a formare rilievi ad opera di acque di un diluvio. Ridicolo, non credi? – Capita, ma spesso sono tenacemente immerse nella roccia e bisogna faticare per estrarle. Pensa che tempo fa a colpi di martello e scalpello sono riuscito a tirarne fuori parecchie decine in una sola volta. Le stelline di pietra erano attaccate una all’altra a formare uno strano e lungo peduncolo. Scommetto che la causa fu una stella cometa. – Ipotesi suggestiva e interessante. Quindi lei è convinto che sono le stelle a modellare la pietra. – Non tanto, però io vorrei che ci parlasse delle pietre-stelle… – Proprio così, non ho dubbi. – Farò di più, te le mostrerò. Guarda pure con i tuoi occhi e togliti ogni dubbio. – Ma che uso ne fa di quegli oggetti? – Noi le chiamiamo Lapis stellaris e sono degli specialissimi amuleti contro diversi malanni. Estrazioni stellari – In effetti hanno proprio la forma di piccole stelle. – Certo, durante particolari notti l’influsso degli astri è talmente forte che perfino le pietre ne rimango colpite. – Stelle pietrificate… Scusi se sono scettico, ma di pietre strane ne ho viste fin troppe. – Anch’io ne ho viste molte di “pietre strane” e la forma di queste dichiara indiscutibilmente la loro origine. – Le trova così, libere sul terreno? 142 Fiori acquatici A parte le spiegazioni poco scientifiche che abbiamo sentito sull’origine delle pietre-stella, credo che un paleontologo non avrebbe potuto descrivere meglio l’estrazione di un fossile dalla roccia. Già, perché proprio di fossili si tratta. Quello descritto dall’astrologo medioevale era un antico organismo di un tipo particolare che ha discendenti tuttora viventi: i “crinoidi”, conosciuti anche come “gigli di mare”. A volte possiedono una forma stellata, più spesso le singole parti hanno un aspetto di piccoli cilindri più o 143 meno schiacciati. Questi hanno dato origine in Germania a un’altra leggenda, quella delle monetine di san Bonifacio. Intorno al 700 d.C., il santo, in missione in Turingia, regione della antica Germania che desiderava cristianizzare, punì i nobili ricchi e malvagi trasformando in pietra tutte le loro monete d’oro. Queste sono ancora lì a testimoniare la punizione divina. Possiede degli organi di presa con i quali si è fissato al tronco che usa come mezzo di trasporto. Il lungo peduncolo è costituito da moltissimi pezzettini, detti articoli, legati l’uno all’altro e di forma pentagonale, tipica del gruppo, vere e proprie stelle a cinque punte. I ramoscelli non sono altro che braccia tentacolari con le quali il giglio spinge i piccoli organismi contenuti nell’acqua verso la bocca posta al centro del pennacchio. Alla sua morte, potrà conservarsi integro nei sedimenti o molto più probabilmente si disarticolerà completamente ad opera delle onde. A noi giungerà solo una bella manciata di stelline di pietra. Cronache dal passato: gli affamatissimi gigli di mare Un volo di rondini nell’uragano Un tronco affiora sulla superficie del mare di 160 milioni di anni fa. Le acque non sono molto agitate e il sole brilla forte nel cielo. Sotto il pelo dell’azzurissima acqua, qualcosa pende dal tronco, apparentemente inerte. È uno strano organismo che sembra aver piantato profonde radici nel vegetale. Un lungo stelo porta verso la cima un grosso pennacchio costituito da una miriade di ramoscelli. Si lascia cullare dalle onde, ma quelli che avevamo scambiato per ramoscelli si stanno muovendo e creano un mulinello d’acqua che finisce al centro del pennacchio. Si tratta di un giglio di mare, un crinoide del genere Pentacrinus, un animale e non una pianta! Dobbiamo andare nella Cina del V secolo d.C. perché si è da poco verificato uno stranissimo fenomeno. – Onorevole Li Tao-Yuan, ho saputo che lei è uno studioso della natura, è così? – Sì, ma non solo di quella. La natura non è altro che una manifestazione dello spirito e io studio anche questo. – Complicato, ma interessante. Io però volevo chiederle un’altra cosa… – Non dirmi che vuoi sapere anche tu delle rondini di pietra. – È una cosa disdicevole e sconveniente per un onorevole studioso come lei? 145 – No, è solamente noioso: le persone che mi hanno chiesto di parlarne sono così tante che se le mettessi in fila eguaglierebbero la nostra grande muraglia cinese. addirittura un uragano. La pioggia cadeva scrosciante, i lampi e i tuoni sconquassavano il cielo. Poi insieme alla pioggia iniziò a piovere fango. – Vorrà dire che con me batteremo il record superandola. – Lei racconta proprio bene: mi sembra di vivere quell’evento spaventoso. Però, che cosa c’entra con le rondini di pietra? – Vedo che non ti manca l’ironia e che non ti arrendi facilmente, credo che ti meriti una risposta e ti racconterò ciò che vuoi sapere. – Ebbene, come se fossero state svegliate dal frastuono, riempite di energia dai tuoni e dai fulmini, molte rondini di pietra presero il volo e caddero infine sul nostro villaggio una volta finita la tempesta. – Grazie, onorevole studioso. – Basta con questo “onorevole” e ascolta. Nei terreni della mia provincia spesso si trovano dei piccoli e strani oggetti in pietra, del tutto simili a piccole rondini con le ali spiegate. Racconti leggendari… – Allora è vero… – Verissimo! Ne esistono di due tipi: una piccola e con le ali sottili e una grande, con ali possenti e massicce. Forse queste ultime sono i genitori e gli altri i piccoli figli. – I pulcini con papà e mamma, carino questo fatto. – Ma la cosa straordinaria è accaduta non molto tempo fa. Era una notte strana e un rumore di temporale si avvicinava velocemente nella nostra direzione; poi scoppiò 146 – Vuole dirmi che avete trovato le rondini di pietra fuori dalle vostre abitazioni? – Proprio così! Le conservo ancora tutte a casa mia: le posso mostrare in qualsiasi momento. … e spiegazioni scientifiche Non possiamo di certo mettere in dubbio la parola dell’onorevole Li Tao-Yuan, almeno non davanti a lui. Chiunque però avrebbe potuto raccogliere le rondini dalle rocce e affermare che fossero piovute dal cielo. Tuttavia, nel suo racconto si parla di fango caduto con la pioggia. Il furioso uragano potrebbe aver sollevato fango, sassi e con essi le rondini di pietra, e averle trasportate fino al villaggio, lasciandole cadere quando la sua energia si esaurì. 147 Ma rimane una domanda: che cosa sono in realtà le rondini di pietra? Vi ricordate che abbiamo fatto la conoscenza di un paleontologo in un museo? Rivolgiamoci nuovamente a lui. – La storia delle rondini di pietra è poetica e affascinante, ma di che cosa si tratta in realtà? – Di un organismo molto particolare, appartenente al gruppo dei brachiopodi. – Brachiopodi? Mai sentiti nominare. – Sappi che sono animali ancora viventi anche se ne esistono poche specie. Possiedono una conchiglia fatta da due valve… Spirifer – Ma allora sono i molluschi bivalvi come le cozze, le vongole… – E no! Se vuoi si assomigliano, ma niente di più. Le rondini di pietra sono un particolare tipo di brachiopodi vissuto parecchie centinaia di milioni di anni fa. Noi studiosi lo chiamiamo Spirifer e ne esistono diverse specie. 148 In effetti, la loro conchiglia che si apre in due ampie ali, ricorda un uccello in volo. Ma i brachiopodi non hanno mai volato, anche perché vivono in fondo al mare, in molti casi a notevoli profondità. I miti e le strane interpretazioni appartengono solo al passato? Ormai abbiamo capito che la storia della paleontologia è ricca di racconti fantastici, molto spesso affascinanti e poetici, ma assolutamente lontani dalla realtà. Sorridiamo pensando all’ingenuità dei nostri antenati che credevano al volo delle rondini di pietra, al demonio che fuma sigari o si taglia le unghie, ai giganti e ai Ciclopi. Ma siamo sicuri che oggi non costruiamo più interpretazioni fantastiche? Abbiamo già detto di quanto l’astrologia o la cartomanzia siano presenti anche oggi, quindi non dovremmo meravigliarci quando ci viene spiegato che, ad esempio, le incisioni di Nazca sono state realizzate da extra-terrestri. Nel 1939 una flotta aerea che sorvolava la pianura desertica del Perù notò sul suolo la presenza di strane linee, sicuramente tracciate da esseri umani. Se saliamo su una mongolfiera e raggiungiamo una discreta altezza, ecco comparire animali come una scimmia, un ragno, un colibrì, una balena o una formica; ma anche fiori, mani… Per la maggior parte si tratta di strane 149 figure geometriche, tutte di enormi dimensioni. Veramente straordinario, ma chi le ha realizzate? Gli autori sono quasi certamente gli indios Nazca, una popolazione più antica degli Inca: risalgono a un periodo che va probabilmente dal 500 a.C. al 500 - 600 d.C., prima quindi della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo. Era un popolo di semplici agricoltori che non ha però lasciato discendenti o testimonianze scritte, solo qualche reperto nelle migliaia di tombe scoperte; per cui i veri motivi che li hanno spinti a intraprendere un lavoro così immenso non sono ancora chiari, anche se qualche ipotesi è stata fatta. Tuttavia qualcuno, rapito sicuramente dal fascino di queste immagini, si è sbilanciato a tal punto da ipotizzare un legame con esseri venuti dallo spazio; in effetti i grandi disegni possono essere “gustati” bene, nella loro interezza, solo dall’alto e alcuni possono essere interpretati come piste di atterraggio di veicoli spaziali. Un’immagine, poi, è stata descritta come la rappresentazione di un extraterrestre con tanto di casco e tuta spaziale. Ma l’immaginazione di noi uomini del duemila non si 150 ferma qui e allora ecco nascere ipotesi fantasiose sulle piramidi egiziane, sulla civiltà di Atlantide, sul tempio megalitico di Stonehenge in Inghilterra, sui cerchi e altre figure geometriche nel grano, sulle statue dell’isola di Pasqua, sul famigerato triangolo delle Bermuda, sul mostro di Lochness ecc. E non dimentichiamoci dei continui avvistamenti di ufo nel cielo o degli incontri ravvicinati del terzo tipo con gli extra-terrestri. L’uomo non è per nulla cambiato e lì dove le spiegazioni scientifiche non sono ancora del tutto arrivate, dove rimane ancora qualche angolo buio da scoprire e spiegare, immediatamente sorgono racconti fantastici e improbabili. È forse questa una delle caratteristiche più straordinarie di noi esseri umani: saper ritornare bambini per provare il piacere, anche solo per un momento, di vivere al di là della realtà. L’importante è rimettere in fretta i piedi per terra quando le circostanze lo richiedono. 151 UN FOSSILE PER OGNI MOSTRO In questa parte di Fossili e Dinosauri trovi delle schede di approfondimento con semplici ed essenziali informazioni scientifiche sui fossili trattati nel libro. Alcuni sono antichi animali molto conosciuti – mammut e dinosauri –, altri sono organismi meno noti come sirenidi, belemniti o brachiopodi. Siccome alcuni erano giganteschi, oltre al centimetro (cm) e al grammo (g), vengono utilizzate altre unità di misura: il metro (1 m = 100 cm) per la lunghezza, il quintale (1 q = 100 kg) e la tonnellata (1 t = 1000 kg, cioè più del peso di tutti i vostri compagni di classe messi insieme!) per il peso. Nelle schede il nome del fossile è preceduto dal “mostro” per cui è stato scambiato: come abbiamo visto, infatti, i nostri antenati pensavano che le enormi ossa di mammut o il teschio terribile di un dinosauro appartenessero a strane creature: draghi, demoni, sirene… Ma si trattava solo di interpretazioni fantastiche! Oggi sappiamo dell’esistenza degli animali preistorici grazie al lavoro degli scienziati che cercano di risalire al loro aspetto usando il metodo scientifico: paragonano i fossili agli esseri viventi attuali e infine propongono delle ricostruzioni il più attendibili possibile. Così scopriamo che i draghi erano in realtà dinosauri, giraffe o rinoceronti dell’era glaciale; che i giganti erano elefanti nani e i sigari del diavolo degli umili e innocui molluschi. 153 1. Ciclopi = Elefanti nani Nelle isole del Mediterraneo, durante il Pleistocene, vivevano mammiferi diversi da quelli continentali. L’Elephas falconeri era un elefante alto al massimo 90 cm, comparso circa 500.000 anni fa. L’Elephas mnaidriensis, apparso 200.000 anni fa, era più grande del precedente (180 cm circa), ma pur sempre piccolo rispetto all’Elephas antiquus, loro progenitore alto più di 4 m. Oltre ad animali nani, in queste isole vivevano anche mammiferi giganti, come il ghiro Leithia melitensis, quattro volte più grande dei ghiri attuali. Per adattarsi all’ambiente “isolato”, alla carenza di cibo e all’assenza di grandi predatori, questi animali hanno dovuto modificare nel tempo le loro dimensioni, rimpicciolendole (nanismo) o aumentandole (gigantismo). 3. Abominevoli uomini = Gigantopithecus Gigantopithecus blackii fu un genere di scimmia antropomorfa (cioè dalle sembianze umane) vissuta tra 5 milioni e 100.000 anni fa in un territorio comprendente l’attuale Cina, l’India e il Vietnam. Probabilmente nel nord dell’India e in parte della Cina viveva anche un’altra specie molto simile: il Gigantophitecus giganteus. Queste scimmie avevano dimensioni straordinarie: con i loro 3 m di altezza e 500 kg di peso sono le più grandi mai esistite. Erano quasi sicuramente erbivore, con una dieta a base di bambù e frutta. Probabilmente si estinsero a causa delle condizioni ambientali divenute meno adatte alle loro esigenze alimentari. 4. Unktehi = Sauropodi e Teropodi 2. Teutobodo = Deinotherium Il deinoterio (Deinotherium), detto anche “dinoterio”, è un gigantesco parente estinto degli elefanti, alto fino a 4,5 m, apparso durante il Miocene medio (circa 15 milioni di anni fa) e scomparso nel Pleistocene (circa 1 milione di anni fa). Il suo aspetto non ha mai subito particolari trasformazioni: era abbastanza simile a un elefante, ma aveva le zanne sulla mandibola, incurvate all’ingiù, in modo simile a due uncini. Il corpo era più corto e tozzo di quello degli elefanti odierni. Visse in vaste aree di Europa (Deinotherium giganteus, il più grande), Asia (Deinotherium indicum, dai denti più robusti) e Africa (Deinotherium boxasi, quello vissuto più a lungo). 154 I Dinosauri sono un gruppo di rettili che dominarono la Terra per oltre 165 milioni di anni; la loro comparsa si fa risalire al Triassico medio, mentre la loro estinzione alla fine del Cretaceo, 65 milioni di anni fa circa. Le cause di questa grande estinzione, che coinvolse anche altri gruppi di esseri viventi, non sono ancora del tutto chiare: forse furono i profondi cambiamenti climatici o forse il risultato catastrofico dell’impatto di un meteorite o di una cometa. I dinosauri sono stati divisi in due ordini: • I Saurischia (dal greco, “bacino di lucertola”). Si tratta di dinosauri che hanno conservato la struttura delle anche dei loro antenati. Ne fanno parte tutti i Teropodi (carnivori bipedi come il Tirannosauro) e i Sauropodi (erbi- 155 vori dal collo lungo come il Diplodoco o l’Argentinosauro). • Gli Ornithischia (dal greco, “bacino d’uccello”), la maggior parte dei quali erano erbivori quadrupedi come l’Iguanodon. 5. Cavallo di tuono = Brontotherium Nelle sterminate pianure dell’Oligocene, circa 30 milioni di anni fa, viveva – assieme ai primi cavalli e cammelli – il Brontotherium, alto ben 2,5 m. Era un erbivoro che consumava grandi quantità di foglie e rami teneri; per questo era dotato di grandi denti quadrati ricoperti da uno spesso strato di smalto. Sul muso aveva una protuberanza a forma di V, simile a una fionda, di dimensioni maggiori negli esemplari maschi, molto utile nei combattimenti per la conquista delle femmine. Probabilmente la scomparsa degli arbusti a favore di vaste pianure ricche di erbe molto dure portò questo gigantesco animale all’estinzione. 6. Drago di Klagenfurt = Coelodonta antiquitatis Coelodonta antiquitatis è una specie estinta di rinoceronti, vissuti in Eurasia all’epoca delle glaciazioni. Il loro corpo era ricoperto da un fitto pelo. Un esemplare pesava presumibilmente 2-3 t, era alto 2 m e lungo 4. Possedeva due corni: il primo, più grande e piatto, poteva raggiungere il metro; quello più piccolo non superava i 40 cm. I fossili di questo rinoceronte sono stati scoperti in 156 gran parte di Europa e in Asia, dalla Corea alla Spagna. Era molto diffuso in Russia dove viveva insieme ai mammut lanosi. Ne sono stati trovati alcuni perfettamente conservati nel limo ghiacciato e in terreni saturi di petrolio. I nostri antenati li cacciavano e ne dipinsero molti nelle caverne. Comparve circa 350 mila anni fa e si estinse circa 10 mila anni fa, alla fine delle glaciazioni. 7. Draghi indiani = Sivatherium Sivatherium, che vuol dire letteralmente “Bestia di Shiva”, in onore di un dio Indù, è un genere estinto di giraffidi, diffuso dall’Africa al Sud-est asiatico, ma particolarmente frequenti in India. La specie africana si chiama Sivatherium maursium. I Sivatherium erano molto simili agli attuali okapi, ma più alti (2,2 m alla spalla) e avevano due paia di ossiconi (le “corna” delle giraffe): un paio sopra gli occhi, molto simile a quelli delle attuali giraffe, e un altro sulla testa. Le spalle erano molto muscolose e forti perché dovevano sorreggere il peso del loro grosso cranio. 8. Draghi pachistani = Giraffokeryx Giraffokeryx fu un giraffide vissuto nel Miocene, da 26 a 7 milioni di anni fa. La specie Giraffokeryx punjabiensis in particolare visse nella regione di Siwalik, nel nord dell’India. Altre specie di Giraffokeryx sono state rinvenute anche in Nepal. Probabilmente era simile alla giraffe moderne e paren- 157 te dell’okapi. Era alto circa 160 cm e pesava circa 150 kg. Ma, a differenza dell’okapi e della nostra giraffa, che hanno 2 ossiconi (corna), il Giraffokeryx ne possedeva ben 4! 9. Draghi = Spinosaurus eagyptiacus alto 80-100 cm e lungo pressappoco 2 m con un peso presumibile di circa 400 kg. Nonostante la sua mole, era una delle prede preferite dei Velociraptor anche se si è scoperto che sapeva difendersi molto bene e non sempre perdeva il confronto con il suo feroce predatore. 11. Unicorno = Elasmotherium Lo Spinosaurus - cioè “rettile spinoso” era un dinosauro carnivoro lungo fino a 17 m per 9 t di peso. I suoi denti erano più adatti a catturare prede acquatiche che terrestri. Era piuttosto abile nella corsa e si muoveva sulle zampe posteriori lasciando libere le anteriori. Visse esclusivamente in Africa centro-settentrionale, durante il Cretaceo, circa 110 milioni di anni fa. A causa del torrido clima, possedeva un particolare sistema di controllo della temperatura: una sorta di grande vela dorsale, alta 2 m circa. Al sorgere del sole, assorbiva il calore attraverso la vela. Nelle ore calde, invece, poteva esporla alla brezza per disperdere l’eccesso di calore accumulato. Forse la vela gli serviva anche come segnale di minaccia per gli altri maschi o per attrarre le femmine. 10. Grifoni = Protoceratopo e Velociraptor Si tratta di due dinosauri vissuti 90 milioni di anni fa (Cretaceo). Il Velociraptor mongoliensis era alto meno di 1 m, lungo 2 m e pesava attorno ai 70-90 kg. Era un feroce carnivoro e cacciava in gruppo: il suo corpo era probabilmente ricoperto di piume e penne come gli attuali uccelli. Il Protoceratops andrewsii era invece un erbivoro 158 L’Elasmotherium è un rinoceronte estinto vissuto in Asia durante il Pliocene e il Pleistocene. Le sue dimensioni erano enormi: 2 m di altezza, 6 m di lunghezza, un peso di circa 5 t e un corno lungo fino a 2 m! Le sue zampe erano piuttosto lunghe e adatte al galoppo. È infatti probabile che fosse un veloce corridore, nonostante la mole. Sono esistite varie specie di questo animale: i più antichi, rinvenuti in Cina orientale in terreni risalenti al Pliocene superiore, appartengono alle specie E. inexpectatum (“E.” sta per Elasmotherium) ed E. peii. L’E. caucasicum e E. sibiricum vissero invece in Russia nel Pleistocene. Gli elasmoteri si estinsero probabilmente alla fine del Pleistocene medio. 12. Sirene pesce = sirenidi I sirenidi sono mammiferi acquatici erbivori, che vivono attualmente in ambienti marini costieri o in acque dolci tropicali. Si dividono in due famiglie e quella dei dugongidi comprende rispettivamente la specie Dugong dugon, il dugongo, e tre diverse specie di lamantini. 159 I sirenidi sono mammiferi acquatici come i cetacei, ma forse sono imparentati alla lontana con gli elefanti! Hanno il corpo affusolato e massiccio e la loro pelle è dura e spessa. Gli arti anteriori hanno la forma di pinne, quelli posteriori sono invece scomparsi; una sorta di coda piatta e orizzontale li aiuta nel nuoto. Possono restare immersi anche 20 minuti prima di risalire in superficie a respirare. 13. Mostro di Troia = Samotherium Il Samotherium è parente delle attuali giraffe e degli okapi, di cui aveva circa le stesse dimensioni. Visse dal Miocene al Pliocene. Deve il suo nome all’isola di Samo, dove fu scoperto per la prima volta. Ne esistono diverse specie ritrovate in varie parti di Europa, Asia e Africa. lusco bivalve simile alle ostriche, vissuto nel periodo Giurassico inferiore. Possedeva una conchiglia non molto grande, ma piuttosto spessa e resistente; la parte dorsale, detta “umbone”, era molto arcuata e gli conferiva un aspetto inconfondibile, come un grosso artiglio ricurvo. È un tipico fossile guida. 16. Impronte del diavolo = Conchodon e Megalodon Sono due molluschi bivalvi dalla caratteristica forma a cuore. Il genere Megalodon risale all’era Paleozoica; le forme vissute nel Triassico sono conosciute invece come Neomegalodon. 17. Il volto del diavolo = Myophorella incurva 14. Sigari del diavolo = Belemniti Le Belemniti sono molluschi comparsi nel Triassico ed estinti 65 milioni di anni fa, nel Cretaceo. Erano cefalopodi marini, cioè lontani parenti delle attuali seppie e calamari, caratterizzati da una conchiglia interna dura, che poteva conservarsi facilmente allo stato fossile. Erano carnivore e si nutrivano di crostacei e pesci e forse vivevano in gruppo. 15. Unghie del diavolo = Gryphaea arcuata La Gryphaea arcuata è una specie di mol- 160 La Myophorella è un genere di molluschi bivalvi vissuta nel Giurassico. 18. Denti di squalo = Glossopetrae (Carcharocles megalodon) Gli squali sono un gruppo di pesci primitivi comparsi all’inizio dell’era Paleozoica e tuttora viventi, grazie alle loro caratteristiche anatomiche che li rendono animali perfetti per il nuoto e magnifici predatori. A differenza della maggior parte dei pesci attuali, possiedono uno scheletro cartilagineo che si decompone facilmente alla morte e non lascia quasi mai resti. Viceversa, i loro 161 denti sono molto duri e resistenti e si ritrovano in gran numero nei sedimenti marini. Il Conchodon megalodon è sicuramente il più grande squalo e carnivoro mai esistito, con i suoi 20 m circa di lunghezza e 48 t di peso. I suoi denti potevano raggiungere i 20 cm di lunghezza. Visse nel Miocene e si estinse nel Pliocene. 19. Serpenti arrotolati = Ammoniti come Hildoceras Poiché si ritrovano abbastanza frequentemente nelle rocce calcaree del Paleogene, questo periodo è conosciuto anche come “Nummulitico”. La specie Nummulites gizehensis prende il nome dalla città di Giza, in Egitto, dalla quale sono stati estratti i grandi blocchi di pietra per la costruzione delle piramidi. I nummuliti hanno subito una rapida evoluzione e sono pertanto utilizzati come fossili guida. 21. Lacrime dorate = ambra Le Ammoniti sono un importante gruppo di molluschi cefalopodi, come polpi, seppie e calamari, comparso nel tardo Siluriano dell’era Paleozoica. Si estinse completamente alla fine del Cretaceo, insieme ai dinosauri e a molti altri organismi. Le Ammoniti erano caratterizzate, per la maggior parte, da una conchiglia avvolta a spirale (un po’ come gli attuali Nautilus), che utilizzavano come protezione, ma soprattutto per spostarsi su e giù nelle acque, esattamente come i nostri sommergibili. Erano carnivore e popolavano tutti gli ambienti marini. Sono diventate molto importanti e diffuse nell’era Mesozoica, tanto che molte di loro sono spesso usate come fossili guida. 20. Lenticchie delle piramidi = Nummuliti Sono foraminiferi (esseri fatti da una sola cellula, detti “protozoi”) con guscio calcareo avvolto a spirale piana (cioè piatta), suddivisa in numerose piccole “camere”. Ne sono esistite diverse specie e le più grosse superavano i 10-12 cm di diametro. 162 L’ambra è una resina fossile prodotta da diverse piante, come le conifere, che secernono questa sostanza vischiosa, anche in gran quantità, soprattutto da tagli e ferite del tronco. Quando è ancora fluida, è molto appiccicosa e imprigiona oggetti e organismi che trova al suo passaggio. Col tempo la resina perde gran parte delle sostanze volatili e indurisce; questo consente a molti frammenti di fossilizzarsi e conservarsi nel tempo. Come un vero e proprio scrigno, l’ambra contiene i piccoli organismi che – perfettamente preservati dalla decomposizione – rivelano anche i più delicati particolari anatomici. Esistono ambre di ogni età, ma le più famose sono quelle del Baltico. 22. Lusus naturae e prove di creazione = fossili in genere I fossili, studiati da una scienza chiamata “paleontologia”, sono resti di organismi vissuti in un’epoca anteriore a quella attuale. Il processo di fossilizzazione non è 163 molto comune e pertanto la maggior parte degli organismi del passato non ha lasciato alcun resto. Bisogna anche considerare che molti organismi, come vermi e meduse, non possiedono parti dure – ad esempio conchiglie o scheletri – e pertanto molto raramente riescono a fossilizzarsi. I fossili sono utilissimi da molti punti di vista: per le datazioni, per ricostruire la storia della vita sulla Terra i processi evolutivi, per studiare la forma, le caratteristiche e la distribuzione della terra e dei mari nelle ere geologiche passate. 23. Lapis stellaris e monetine di san Bonifacio = Crinoidi (Pentacrinus e altri) I Crinoidi sono animali marini meglio conosciuti come “gigli di mare”; appartengono agli Echinodermi come i ricci di mare (Echinoidi), le stelle marine (Asteroidi), i cetrioli di mare (Oloturoidi) e le ofiure (Ofiuroidi). Se ne conoscono forme molto antiche (Ordoviciano). Vivono ancora oggi, anche se con molti meno rappresentanti. Sono spesso costituiti da un lungo peduncolo (stelo) col quale si fissano a superfici dure; dalla parte opposta, al centro di un nutrito fascio di tentacoli, si apre la bocca. Il peduncolo è costituito da tanti dischetti, detti “articoli”, uniti l’uno all’altro. La decomposizione tende a far staccare i dischetti l’uno dall’altro, infatti spesso è così che si trovano allo stato fossile. Alcune specie non si fissano sui fondali, ma si muovono liberamente insieme al plancton. 164 24. Rondini di pietra = Brachiopodi (Spirifer) I Brachiopodi sono un gruppo di invertebrati dotati di una conchiglia simile a quella dei bivalvi, ma tra loro non ci sono rapporti di parentela. Le due valve della conchiglia sono asimmetriche e quindi diverse una dall’altra. Grazie a un peduncolo che fuoriesce dall’umbone, cioè la parte sporgente della conchiglia, questi animali possono fissarsi alle rocce o ad altri oggetti solidi del fondo. Sono comparsi all’inizio dell’era Paleozoica e vivono tuttora, anche se molto ridotti di numero, e in zone di acque profonde. Il genere Spirifer è vissuto esclusivamente nell’era Paleozoica, dal Devoniano al Permiano (da 417 a 250 milioni di anni fa). 165 INDICE DEI CAPITOLI Introduzione ....................................... 5 Quando i giganti popolavano la terra ...... I giganti con un occhio solo .......................... Sono uomini o animali? ............................... Nei musei a caccia di indizi .......................... Giganti nani e nani giganteschi ...................... Su e giù del mare e degli animali .................... Teutobodo, il gigantesco re teutone .................. Terribili animali selvatici ............................. Cronache dal passato: il Deinotherium ............... Gli abominevoli uomini .............................. Denti di drago? No, meglio un Gigantopithecus .... La guerra dei Giganti ................................. A cavallo del grande Unktehi ........................ Cronache dal passato: il Brontotherium, cavallo di tuono ....................................... 5 5 9 11 12 15 17 23 25 26 28 31 33 I misteriosi draghi ................................ Draghi . . . . . . . . ......................................... Il drago di Klagenfurt ................................ Una ricostruzione sbagliata ........................... Cronache dal passato: il rinoceronte dalla folta pelliccia .................................... Draghi indiani . ........................................ Il santuario delle mille teste .......................... 43 43 44 46 41 47 49 51 167 Brillanti ma poco preziosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Ossa e denti di drago . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 Draghi buoni dagli occhi a mandorla . . . . . . . . . . . . . . . . 55 Alte e basse maree di duecento milioni di anni fa ... 97 Come il diavolo ci perse la faccia ..................... 100 Un bel piatto di vongole o… Myphorelle? .......... 105 Il modo dei grifoni e degli unicorni . . . . . . . . I custodi dell’oro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un’antica cerimonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Grifoni o “lucertole terribili”? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cronache dal passato: una battaglia cruenta . . . . . . . . . Il cavallo-aquila . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’unicorno ..... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Kartazon! ...... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . Che strano intruglio: lingue di luna e succo di raggi di sole ........................ 106 Le lingue che caddero dalla luna ...................... 106 Una “Colonna” della paleontologia moderna ........ 109 Cronache dal passato: il più grande carnivoro della storia . . . . ......................................... 111 A Whitiby i serpenti persero la testa ................. 113 A cospetto del dio Ammon ........................... 118 Paese che vai, ammonite che trovi .................... 119 Un piatto di dure lenticchie .......................... 120 Succo di raggi di sole ................................. 125 E se fossero davvero lacrime? ......................... 128 Cronache dal passato: una prigione dorata ........... 132 Le Sirene e altri mostri della mitologia greca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Si salvi chi può . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia, terra di mostri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cronache dal passato: Italia, terra di giganteschi mammiferi e predatori micidiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Da uccello a pesce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dugongo ovvero la “brutta sirena” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il mostro di Troia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . Quando il diavolo ci mette lo zampino . . . . . Una “fumatina” diabolica . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . Sigari, dita o calamari? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cronache dal passato: il tirannosauro dei mari di cento milioni di anni fa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I diavoli ballerini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La pista da ballo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 56 56 57 61 63 64 65 68 72 73 74 78 80 81 82 87 87 91 92 93 96 Prove di creazione e scherzi della natura 134 Scherzi della natura o scherzi e basta? ................ 134 Un imbroglio ben architettato ........................ 137 Anche la natura si diverte ............................. 138 Lapis stellaris ovvero sotto l’influsso delle stelle ..... 141 Cronache dal passato: gli affamatissimi gigli di mare 144 Un volo di rondini nell’uragano ...................... 145 I miti e le strane interpretazioni appartengono solo al passato? ........................................ 149 Appendice . ......................................... 153 Un fossile per ogni mostro ............................ 153 169 di a ! ur nt erlo e vv ap L’a h, s A Ettore Perozzi Il cielo sotto la terra In viaggio nel sistema solare Anna Parisi Numeri magici e stelle vaganti I primi passi della scienza Seguendo i ragionamenti dei primi uomini che hanno cercato di capire come funziona la natura, il volume ripercorre i primi passi del lungo cammino della scienza, tra bellissime risposte, problemi irrisolvibili, misteri insondabili. Anna Parisi Ali, mele e cannocchiali La rivoluzione scientifica Pianeti, decine di nuovi satelliti, stelle, asteroidi. Un “universo” tutto da scoprire. Questo libro racconta ai ragazzi con semplicità e assoluto rigore scientifico che cosa succede quando si parla di Scienze Planetarie. Anna Parisi - Lara Albanese Dipende Einstein e la teoria della relatività Protagonista di questo volume è il grande fisico Albert Einstein, che “aiutato” da altri importanti scienziati, tra aneddoti, vignette e dimostrazioni spiega ai ragazzi la teoria della relatività. Ali, mele e cannocchiali racconta lo sviluppo della prima rivoluzione scientifica. Da Copernico a Newton i giovani lettori potranno scoprire con facilità il “nuovo” e affascinante disegno dell’universo, che passerà alla storia con il nome di “fisica classica”. 172 Anna Parisi - Alessandro Tonello Il filo conduttore L’anticamera dell’atomo Vincenzo Guarnieri Maghi e reazioni misteriose L’alchimia e la chimica a spasso nel tempo Il volume affronta quel periodo di sensazionali scoperte che portò a comprendere e utilizzare le grandi potenzialità dell’elettricità e del magnetismo, alla definizione della termodinamica fino all’ipotesi atomica! Questo volume è dedicato alla storia della chimica. Un libro per ragazzi che viaggia attraverso i secoli, dai primi “strambi” stregoni fino ai più grandi chimici del Novecento. Una divertente avventura pronta a svelare tutti gli enigmi della natura. 173 Clara Frontali Geni Dalle prime domande sull’ereditarietà all’ingegneria genetica Geni è il viaggio tra le scoperte che hanno portato l’uomo a capire come si trasmettono le informazioni genetiche tra i genitori e i figli, fino alle tecniche di ingegneria genetica oggi utilizzate dagli scienziati. L’avventura di Ah, saperlo! continua… Mario Corte Goal! Le origini del calcio, il calcio cinese e il calcio azteco, il football medievale inglese e il calcio fiorentino, la storia della Coppa dei Campioni, il Pallone d’oro e l’Italia che ci fece sognare nell’82… insomma tutto, ma proprio tutto sul mondo del calcio. 174 175