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Dino Ticli
FOSSILI
E DINOSAURI
La scienza sulle tracce di draghi
e altri incredibili mostri
illustrazioni di Fabio Magnasciutti
© 2007 Edizioni Lapis
Tutti i diritti riservati, riproduzione vietata
ISBN: 978-88-7874-076-1
Edizioni Lapis
Via Francesco Ferrara, 50
00191 Roma
e-mail: [email protected]
www.edizionilapis.it
Finito di stampare nel mese di ottobre 2007
presso Grafica Nappa - Aversa (CE)
QUANDO I GIGANTI POPOLAVANO LA TERRA
Introduzione
Volare con un drago, ascoltare il canto delle sirene,
farsi portare sulle spalle da un gigante con cinquanta teste:
sarebbe bellissimo, sempre che il drago non sputi fuoco,
che le sirene non ci tolgano la ragione, che i giganti non
siano troppo cattivi e che con le loro cinquanta bocche…
non parlino troppo!
In effetti, in tanti antichi miti, presenti praticamente in ogni parte del mondo, ricorrono più o meno le stesse figure mostruose. Forse si tratta di un modo per spiegare le forze della natura, incontrollabili in tante loro
manifestazioni, come i potenti tuoni, i fulmini accecanti,
i terremoti e i maremoti devastanti, la rabbia esplosiva
dei vulcani.
La mitologia indù credeva, ad esempio, che vivessero
otto possenti elefanti a fare da pilastri nelle profondità
della terra; quando uno di loro si stancava, scuoteva la
testa, causando i terremoti.
Grifoni, draghi, serpenti di pietra, dita del diavolo,
diavoli ballerini, unicorni, cavalli del tuono, Ciclopi…
ogni mitologia è popolata da queste misteriose creature.
Ma siamo sicuri che siano solo frutto della fantasia? E
i nostri antenati credevano davvero nella loro esistenza?
Attraverso questo libro potrai ascoltare come sono
andate le cose direttamente dalla bocca di coloro che
hanno creato i miti o sono vissuti quando draghi, sirene e
giganti esistevano davvero… almeno per loro!
I giganti con
un occhio solo
Ricordate l’appassionante storia del re
greco Ulisse e dei suoi
compagni nella terra
del ciclope Polifemo,
un sanguinario gigante
che il coraggioso Ulisse
accecò, conficcando un grosso tronco nel suo unico occhio?
Pur avendo tremato per la sorte degli eroi greci, molti dei
quali morirono proprio per mano di Polifemo, nessuno di
noi avrà pensato alla reale esistenza di simili mostri.
Eppure… facciamo un salto indietro nel
tempo e sentiamo cosa può dirci
Omero, il padre dell’Odissea.
– Signor Omero lei ci ha raccontato
le gesta di eroi, avventure però
incredibili e spesso ricche di personaggi fantastici. Ad esempio,
Polifemo…
– Ti fermo subito. Io sono un uomo di lettere e non uno
scienziato; i miei eroi affondano le loro radici nei racconti tramandati oralmente dai miei antenati e anche
Polifemo, che mi è servito per descrivere le peripezie di
Ulisse, fa parte di questi racconti che ci sono stati
lasciati in eredità.
– Vuol dire che non è una sua invenzione fantastica?
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– Beh, qualcosa ci ho messo anch’io, però ti assicuro che
si tratta di un’antica leggenda, forse con un fondo di
verità.
– Non vorrà farci credere che i Ciclopi siano davvero esistiti…
– Te l’ho detto: non sono uno scienziato, però le voci sulla
loro reale esistenza sono insistenti. Prima che tu mi
chieda altro, ti consiglio di recarti in Sicilia, là dove ci
sono alcune nostre colonie. È da quei luoghi che arrivano queste voci.
E allora spostiamoci in Sicilia, qualche decennio
prima di Omero, dove stanno sorgendo le prime colonie
greche. È sera e due agricoltori, Kephalos e Diocles, sono
appena rientrati a casa con il
loro gregge di pecore.
– Potete raccontarci come avete scoperto l’esistenza dei Ciclopi?
– Qualche anno fa, stavamo risalendo i fianchi di
un’aspra collina alla ricerca di alcune pecore che si
erano allontanate dal resto del gregge. Con una torcia
rischiaravamo le ombre della sera. Io, Kephalos, sentii
un verso e allora mi diressi con sicurezza fino all’entrata di una grotta dalla quale usciva chiaramente un belato. Avevamo un po’ paura, ma alla fine Diocles prese la
torcia e decise di entrare…
– … e scommetto che
nella grotta avete
trovato i giganti!
– Se li avessimo trovati davvero, in
carne e ossa, non
saremmo qui a raccontarti la nostra
avventura. Però
Diocles, dopo aver
fatto uscire le pecore, disse di aver visto qualcosa di
molto strano emergere dalla terra sul fondo della grotta e rientrò. Il tempo passava e io cominciavo a preoccuparmi, quando lo vidi uscire con un enorme teschio
tra le mani. “Per tutti gli dèi dell’Olimpo!” esclamai
inorridito. Era la cosa più strana e spaventosa che avessimo mai visto; grande come cinque o sei teste umane
messe insieme, possedeva un’enorme cavità proprio al
centro della fronte. Non c’erano dubbi: quella era la
testa di un gigante con un occhio solo, sepolto in quella grotta chissà da quanto tempo.
– E allora che cosa avete fatto?
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– Abbiamo pensato di scappare, ovviamente: se vi fossero stati altri giganti vivi nelle vicinanze? Tuttavia era
poco probabile: esseri così grossi li avremmo già incontrati da tempo. Quindi erano tutti scomparsi per sempre nella notte dei tempi, e le loro ossa erano state ricoperte dalla polvere dell’oblio.
– Molto poetico, dovresti fare il letterato anche tu.
– Però siamo solo pastori e allora abbiamo deciso di portare al villaggio la nostra scoperta. Da allora abbiamo
trovato molti altri resti di Ciclopi in quella grotta e
anche in altre. Doveva essere un popolo numeroso un
tempo. Devo dirti la verità: non mi dispiace che simili
orrende creature siano scomparse per sempre.
– Forse, però, non sono mai
esistite…
– Vuoi mettere in dubbio la
nostra parola? Che mi dici
allora di questo teschio?
Guarda il grande buco al
centro della fronte: conteneva sicuramente un occhio
enorme e questo prova che
si tratta proprio di un
teschio di Ciclope!
– Avete parlato con qualcun
altro della vostra scoperta?
– Vuoi dire con gli stranieri? Beh, siamo vicini alla costa
e qui passano numerosi forestieri. Ultimamente alcuni
arrivano proprio per ammirare i resti dei giganteschi
Ciclopi.
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Sono uomini o animali?
In effetti, oltre ad Omero, il filosofo greco Empedocle
da Agrigento, vissuto tra il 500 e il 400 a.C., racconta di
numerose caverne siciliane nelle quali sono state rinvenute testimonianze di una stirpe di uomini giganteschi oggi
scomparsa.
Il poeta latino Ovidio (43 a.C.-18 d.C. circa), nel suo
libro Le Metamorfosi, rifacendosi al poema di Omero e alle
ossa che continuavano a emergere dalle caverne siciliane,
narrò le vicende del pastorello Aci e della ninfa Galatea.
La loro storia d’amore era osteggiata proprio dal ciclope Polifemo che, invaghito della bellissima ninfa, arrivò a
uccidere il giovane Aci scagliandogli contro un enorme masso. Ma
gli dèi ebbero pietà del giovane
Aci e trasformarono il suo sangue
in un torrente che, dalle pendici
dell’Etna, si gettava in mare tra le
braccia di Galatea che assunse
l’aspetto di spuma bianca.
In tempi più recenti, perfino
il poeta Boccaccio (1313-1375)
riferisce di resti spaventosi, le
“ossa di Polifemo”, rinvenuti in
una grotta presso Trapani.
Adesso tutto appare chiaro: i
racconti sui giganti con un occhio
solo non sono frutto della sola fantasia, ma hanno un fondo di verità.
E le ossa di Polifemo stanno lì
a dimostrarlo.
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Tuttavia, è il caso di compiere osservazioni più precise
sul teschio che i pastori ci
hanno mostrato.
Nella parte superiore appare tozzo e ampio, in quella
inferiore si restringe diventando prominente; e poi quel
foro al centro della fronte
ricorda qualcosa di già visto.
Infatti, basta guardare le immagini di un buon libro di
zoologia per accorgersi che assomiglia fin troppo al cranio
degli attuali elefanti: l’ampia cavità non è quella di un
occhio ma del naso, da dove parte insomma la lunga proboscide dei pachidermi; una confusione possibile se non
si conosce bene l’anatomia comparata (la scienza che studia forma e struttura degli
animali).
Se osserviamo ancora
con attenzione, scopriamo
che ai lati del teschio siciliano si aprono, molto
meno evidenti e impressionanti, due piccole
cavità orbitali, proprio lì
dove hanno gli occhi
anche gli elefanti attuali.
Ormai siamo sulla buona strada per svelare il mistero, ma una differenza balza fin troppo evidente all’occhio:
i crani siciliani sono molto più piccoli di quelli dei
mastodonti preistorici e degli elefanti contemporanei.
Insomma, invece che con resti di uomini giganti, pare
che abbiamo a che fare con quelli di elefanti nani.
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Nei musei a caccia di indizi
Un salto nel museo di paleontologia “Gemmellaro” dell’Università di Palermo risolve ogni
dubbio: ecco, perfettamente montato, lo scheletro di un bell’esemplare di Elephas mnaidriensis, un
pachiderma abbastanza piccolo risalente alla seconda
metà del Pleistocene medio, intorno a 200.000 anni fa.
Questo animale poteva raggiungere l’altezza di circa
un metro e novanta, decisamente poco rispetto ai tre
metri e cinquanta dell’elefante africano e agli oltre quattro metri del suo antenato Elephas antiquus. Insieme ai
suoi resti, sono stati trovati altri erbivori: cinghiali, uri,
bisonti, cervi, daini, ma anche tanti simpatici ippopotami
di piccola taglia, stranamente anch’essi nani.
Prima di uscire dal museo, un
altro resto attira la
nostra attenzione:
si tratta ancora di un elefante, le forme e le zanne ce lo
dicono chiaramente, ma decisamente più piccolo del precedente. Stentiamo a credere ai nostri occhi, eppure è lì,
in tutta la sua bassezza: raggiunge a malapena i novanta
centimetri, più o meno come un grosso cane!
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Si tratta dell’Elephas falconeri, il pachiderma più piccolo mai esistito, vissuto in Sicilia circa 500.000 anni fa.
Veniamo a sapere che nel museo paleontologico “La
Sapienza” di Roma ci sono i resti di un’intera famiglia: il
padre, “zannuto”, la madre e due elefantini di dimensioni microscopiche, che ciascuno di noi avrebbe potuto
prendere in braccio senza problemi. E tutti con un bel
foro in mezzo alla fronte, punto di attacco della proboscide, come ormai sappiamo, e provenienti dalla Sicilia.
Abbiamo dunque svelato la nascita di uno dei più
suggestivi e conosciuti miti dell’antichità e anche il perché Omero e i suoi contemporanei pensavano che i
Ciclopi fossero mangiatori di uomini: le grotte siciliane
sono piene di ossa di tanti animali, alcuni più grandi altri
meno, scambiate per i resti dei pasti, anche umani, di
quei feroci giganti.
Tuttavia, rimane una giusta curiosità: come sono
potuti comparire nel corso dell’evoluzione elefanti così
piccoli?
ecc. Charles Darwin (1809-1882), il
padre dell’evoluzionismo, potrebbe
darci qualche risposta.
– Professor Darwin, può fornirci qualche
informazione sugli animali insulari?
– Niente di più facile. Io ho navigato
in lungo e in largo nei mari del
mondo, ho conosciuto molte isole e mi sono fatto
un’idea abbastanza chiara degli animali che ci vivono
attualmente.
– E cioè?
– Ho notato che molti
animali hanno delle
forti rassomiglianze con
quelli abitanti sui vicini continenti e quindi
ho ipotizzato che fossero legati da stretti rapporti di parentela.
Giganti nani e
nani giganteschi
Non solo elefanti
nani, ma come abbiamo
detto anche altri animali come gli ippopotami. Si tratta ad esempio dell’Hippopotamus pentlandi, alto poco più di un metro e
venti centimetri e contemporaneo dell’Elephas mnaidriensis.
Oltre che in Sicilia, su altre isole del Mediterraneo
sono stati scoperti resti di grandi mammiferi ridotti a
piccole dimensioni: ippopotami ancora più piccoli, cervi
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– Vuole dirci che un tempo vivevano insieme?
– Certamente!
– Allora si tratta di casi di immigrazione animale…
– Proprio così. Può sembrare strano, ma ho scoperto che
tanti animali sono in grado di spostarsi usando occasionali mezzi di trasporto come tronchi galleggianti o
grandi semi. Alcuni più piccoli possono essere trasportati dal vento. In questo gli uccelli e i pipistrelli sono
facilitati dalle ali.
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– È una teoria convincente, ma come la mettiamo con i grandi mammiferi? Loro avrebbero bisogno di navi e non di
tronchi per migrare. In molte isole sono stati trovati in
abbondanza i loro resti fossili.
– Un bel dilemma, però anche in questo caso mi sono
fatto una precisa idea. Isole come la Sicilia, Malta,
Creta e altre ancora sono molto vicine ai continenti.
Basterebbe che il livello del mare si abbassasse di qualche decina di metri per creare dei ponti di terra attraverso i quali gli animali, anche i grandi Mastodonti,
potrebbero passare senza nemmeno bagnarsi i piedi.
Col tempo si adatterebbero al nuovo ambiente, subendo anche diverse modificazioni nella forma.
– Forse sta sminuendo il problema; nelle isole mediterranee vi
sono fossili che mostrano delle spettacolari modifiche: cosa ne
pensa di elefanti di novanta centimetri?
– Dice a me di non sminuire… ma ti rendi conto che ho
dovuto faticare ed essere perfino insultato per far valere
le mie idee sull’evoluzione? Non conosco molto bene i
fossili di cui parla, ma ti assicuro che il tempo e la selezione naturale sanno fare grandi cose, anche trasformare un gigante in un nano!
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Su e giù del mare e
degli animali
Effettivamente, i casi di
nanismo sono molto frequenti tra i mammiferi rimasti a
lungo isolati in territori
ristretti come le isole.
Nel caso del nostro
“Polifemo”, la specie di
taglia normale da cui derivano tutte le altre più piccole è
probabilmente l’Elephas antiquus (alto oltre quattro metri)
arrivato in Sicilia quando il livello del mare si abbassò drasticamente a causa delle glaciazioni che immobilizzarono
negli estesi ghiacciai enormi quantità d’acqua.
Lo stretto di Messina si trasformò pertanto in un
istmo, creando un ponte con la Calabria. Anche Malta fu
collegata alla Sicilia con un istmo.
In seguito il livello del mare si innalzò, le isole vennero di nuovo circondate dall’acqua e così gli elefanti si trovarono “separati” dal continente.
In un ambiente piccolo come le isole del Mediterraneo
le loro grandi dimensioni non li favorivano affatto: il cibo
non sarebbe bastato a sfamarli e poi, data l’assenza di grandi carnivori, non avevano
più bisogno delle dimensioni giganti per evitare di
essere predati. In questo
habitat, quindi, gli animali
di piccola taglia, sempre
presenti in una popolazione,
avevano più probabilità di
sopravvivere.
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Nel corso del tempo e col succedersi delle generazioni, la taglia degli elefanti si ridusse sempre di più in tutta
la popolazione, portando alle faune nane.
Il fatto che l’Elephas falconeri sia vissuto 500.000 anni
fa e l’Elephas mnaidriensis molto tempo dopo ci suggerisce
che il livello del mare si è innalzato e abbassato più volte
nel corso del tempo, consentendo alla selezione naturale di
ripetere diverse volte le sue grandi imprese.
Ogni volta che si creava un nuovo ponte, tuttavia,
nuove specie penetravano nelle isole, entrando in competizione con quelle esistenti che venivano predate. Questo
portò di volta in volta alla loro estinzione.
Parlando di giganti nani, stiamo dimenticando che la
Sicilia ci ha rivelato un altro apparente mistero: i nani
diventati giganti.
In effetti, sono
state rinvenute ossa
di roditori giganti,
come il ghiro Leithia
melitensis.
I piccoli mammiferi, in modo
inverso rispetto ai
grandi erbivori (ma
per ragioni analoghe), hanno aumentato la loro taglia.
L’ a m b i e n t e
insulare per loro si
è rivelato molto favorevole: c’era cibo in abbondanza e
non era più indispensabile avere piccole dimensioni per
nascondersi dai predatori, che sull’isola erano pochi o
assenti.
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Il fenomeno che rende nani i grandi animali e giganti i piccoli è detto “insularismo”. Avviene quando una
popolazione di animali, trovandosi completamente isolata dalla sua specie e in un nuovo habitat, modifica il suo
aspetto e le sue dimensioni per sopravvivere. (Più in
generale, quando una popolazione di organismi modifica
le proprie caratteristiche rispetto alle altre popolazioni
della stessa specie si parla di “deriva genetica”).
L’isolamento geografico di una popolazione è una
delle cause della “speciazione”: la nascita di nuove specie.
Darwin aveva proprio ragione; Omero e i suoi contemporanei molta fantasia.
Teutobodo, il
gigantesco re teutone
Oltre un secolo prima
di Cristo venne combattuta
una terribile battaglia tra le
truppe romane comandate
da Caio Mario e l’esercito cimbro-teutonico che
da nord stava scendendo
in Italia con l’intento di
fare conquiste e saccheggi.
I barbari erano conosciuti e temuti per la loro forza, le
grandi dimensioni, l’aspetto terribile e feroce, e il loro re
Teutobodo era ovviamente il più possente di tutti. Quando
finalmente i Romani riuscirono a sconfiggere i temuti barbari, la leggenda del re Teutobodo si ingigantì così come
le sue dimensioni, tanto che si finì per descriverlo come un
vero e proprio gigante di oltre tre metri di altezza.
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– E che cosa le risposero?
– Non poterono che confermare i miei più paurosi
sospetti: quelli erano i resti di un gigante dalle sembianze umane!
– Accipicchia!
Passarono più di 1600 anni da allora, quando in
Francia, nella regione del Delfinato, in una cava di sabbia
di proprietà del marchese Nicolas de Langon venne fatta
una scoperta incredibile.
– Marchese Nicolas de Langon, è vero che furono trovate delle
ossa di gigante nei suoi possedimenti?
– I lavoratori della cava di sabbia si spaventarono moltissimo quando fecero la scoperta e, in effetti, non potei
dare loro torto; quando fui chiamato, mi si presentò
davanti uno spettacolo terribile: ossa gigantesche e
deformi, denti acuminati, un teschio orrendo…
– Va bene, va bene, si calmi: mi
pare che si stia impressionando
anche adesso solo a parlarne.
– Avrei voluto vedere te di
fronte a tanto spavento.
Ai miei tempi, non era
di certo una cosa comune trovare simili resti.
Però deve darmi atto che superai in fretta il ribrezzo e il
timore, e informai di lì a poco gli esperti dell’università.
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– Vedo che anche tu ne sei sorpreso, eppure andò proprio
così. Per sicurezza, furono consultati anche gli esperti
dell’università di Grenoble.
– Che hanno detto, se è lecito chiederlo?
– Ti posso garantire che tanti di loro, le menti più eccelse
del periodo, ribadirono senza ombra
di dubbio: ossa di
gigante!
– E gli altri?
– Niente di importante, a mio parere, ma se lo vuoi
proprio sapere qualche sciocco pensò che potesse trattarsi di resti di animali come elefanti, rinoceronti o
addirittura una balena… Ridicolo, quando mai si sono
visti simili animali nel cuore della Francia? Dovresti
leggerti l’ottimo libro di Nicolas Habicat che spiega in
modo inconfutabile che si tratta proprio di ossa di un
gigante.
– Se non ricordo male, c’è stata una disputa tra lui e un professore di anatomia che lo criticò aspramente per lungo
tempo. Mi dica però una cosa: come c’entra in tutto questo
il re Teutobodo?
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– Qualcuno, mio contemporaneo, ritenne, forse con qualche ragione, che le ossa rinvenute fossero nientemeno che
i resti della sepoltura di questo re barbaro. Sto parlando
di Pierre Mazurier, un famoso chirurgo dell’università di
Parigi a cui cedetti alcune ossa del mio gigante.
– Mazurier, Mazurier… Questo nome non mi è nuovo… ma
certo! Marchese, forse lei non sa che l’inganno del signor
Mazurier venne smascherato qualche decennio dopo…
– Inganno? Di quale inganno sta parlando?
Che ossa!
Il marchese non può più
esserci utile in questa indagine, ma il signor Mazurier
sicuramente sì e allora
consultiamolo.
– Lei era un chirurgo e
insegnava a Parigi,
perché improvvisamente
le venne in mente di dedicarsi alla mitologia e all’anatomia comparata?
– Ma ti rendi conto di quanto la gente cerchi avidamente
strane notizie, storie incredibili di giganti, mostri, draghi…? Io ho solo assecondato questa sete di fantastico.
– Allora sta ammettendo che si è trattato di un’invenzione…
– Devo rispondere?
– In pratica lo ha già fatto, potrebbe però spiegarci come sono
andate le cose.
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– Se proprio insisti, ecco i
fatti. Ero amico del marchese de Langon e venni a
sapere della sua scoperta
eccezionale. Volli andare a
vedere e rimasi subito affascinato da quelle ossa enormi. Gigante o animale,
poco importava: se quei
resti avevano incantato
perfino me, uomo di
scienza, chissà come avrebbe reagito la gente comune.
E allora, con un pizzico di condimento, ecco rinascere
la leggenda del gigantesco re Teutobodo che al tempo
dell’antica Roma devastò anche la Gallia, la Francia di
allora.
– Però i testi latini raccontano che il re teutone non morì in Gallia,
ma fu portato schiavo
a Roma.
– Faccende secondarie.
Uno sguardo alle ossa
mi permise di stimare in diversi metri
l’altezza del gigante:
circa otto, con un
diametro del cranio di quasi tre metri! Il gioco era quasi
fatto, non mi restava che chiedere al marchese l’omaggio
di alcune ossa e avrei potuto mostrarle in giro per la
Francia a chiunque avesse voluto ascoltare una storia
affascinante.
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Terribili animali selvatici
– E la gente le credette?
– Altroché! Come potevano non credere alla storia di
questo gigante la cui tomba riportava sulla lapide a
chiare lettere “Re Teutobodo”?
– Ma non fu ritrovata nessuna tomba! Mi sta dicendo che li
imbrogliò tutti?
– Raccontai solamente quello che la gente voleva sentirsi dire. Pensa che fui accolto perfino a corte, a
Fontainbleau, dalla regina madre.
– Lei, però, era un chirurgo dell’università, uno scienziato!
– Questo lo hai già detto, ma forse non ti rendi conto di
quanto poco si guadagni con quella professione…
Meglio portare in giro il fantastico e
l’incredibile: rende molto di più. E
poi, non venire a farmi la predica o
ad accusare di ingenuità i miei contemporanei: anche ai vostri giorni ci
sono molte persone che raccontano
storie di giganti e tantissimi
altri creduloni che le
bevono senza dubitare.
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Mazurier ha proprio ragione: lo Yeti in Asia, il Bigfoot
in America e altri abominevoli uomini in ogni parte del
mondo vengono continuamente avvistati anche oggi.
Bisognerà vedere chiaro anche in questi avvistamenti.
Ma dobbiamo ancora risolvere il mistero del re
Teutobodo e allora dobbiamo assolutamente rivolgerci al
professor Cuvier (1769-1832), un grandissimo e serio
scienziato di fama mondiale, che possiamo definire il padre
dell’anatomia comparata, disciplina biologica che opera
mediante la “comparazione”, cioè il confronto fra le strutture anatomiche dei diversi gruppi di Vertebrati e si pone
l’obiettivo di individuare ed analizzare le cause della loro
forma, della loro organizzazione strutturale e dei loro adattamenti.
– Professore, che cosa può dirci del
gigante ritrovato nel Delfinato?
– Ridicolo! Anche un bambino
avrebbe riconosciuto in quelle
ossa un animale imparentato,
anche se alla lontana, con gli
attuali elefanti. Quando mi
hanno portato i presunti resti di Teutobodo, non ho
potuto fare a meno di sorridere: non condivido certamente quello che ha fatto quell’imbroglione di
Mazurier, ma almeno lui era consapevole che le sue
erano solo bugie; mi meravigliano invece i miei colleghi che hanno pensato a un gigante… Non importa,
forse sono eccessivamente pretenzioso, d’altra parte
stiamo parlando del secolo precedente al mio, quando le
scienze erano ancora intrise di troppa fantasia e magia.
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Sono molto sorpreso, però, che anche ai vostri tempi si
raccontino strane favole…
– Non ci si metta anche lei, per favore. Parliamo invece di
questo elefante.
– Ho detto imparentato con gli
elefanti; questo, pur avendo struttura
assai simile,
era piuttosto diverso. Pensa che le corte zanne uscivano
dalla mandibola e non dalla mascella; si piegavano poi
verso il basso e all’indietro. Aveva ossa massicce e possenti e i denti erano più numerosi e diversi da quelli
degli elefanti moderni. A proposito, visto quanto era
stato detto su questo spaventoso gigante, averlo chiamato Deinotherium è stata una bella idea, non credi?
– In effetti, richiama il nome “dinosauro”.
– Niente dinosauri ai miei tempi, non li conoscevamo
ancora; però i due nomi hanno la stessa origine greca e
la prima parte “deinos” significa “terribile”. I dinosauri erano “lucertole terribili”, il pachiderma da me esaminato un “terribile animale selvatico”. Nessuno lo ha
mai visto vivo, ma sicuramente avrebbe impressionato
chiunque con le sue dimensioni imponenti e maestose.
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Cronache dal passato: il Deinotherium
Quindici milioni di anni fa l’Europa era molto diversa da oggi. Immense foreste di palme, eucalipti, pittospori, tuie e sequoie la coprivano da nord a sud; il clima, più
caldo dell’attuale, era veramente ospitale e animali di tutti
i tipi popolavano ogni suo angolo.
Nei pressi di un’ampia palude, un branco di strani
pachidermi sta pigramente mangiando e qualcuno coglie
l’occasione per rinfrescarsi. La proboscide così come
l’aspetto generale non ingannino: non sono elefanti! Sono
molto alti, più dei nostri proboscidati: qualcuno poco
meno di cinque metri! Tuttavia, la cosa più strana sono
due corte zanne che spuntano in modo bizzarro dalla mandibola e si piegano verso il basso.
Chissà a che cosa possono servire?
Sembrano più di impiccio che altro; se gli animali piegano troppo in avanti la testa potrebbero addirittura ferirsi le lunghe zampe anteriori.
Uno dei pachidermi sembra averci sentito e, quasi a
volerci dimostrare l’utilità dei suoi appuntiti strumenti, si
avvicina a un albero, piega la testa e con maestria strappa
con le zanne ricurve la corteccia in lunghe strisce che infine mangia con grande gusto.
Gli animali d’improvviso sembrano nervosi; gli adulti spingono i piccoli verso il centro del branco e le matriarche si portano davanti con aria minacciosa. Da un gruppo
di palme, spuntano finalmente gli oggetti della loro tensione: un gruppo di grossi carnivori dall’aspetto di iene,
ma spaventosamente più grandi e feroci. Annusano l’aria e
qualcuno emette un suono acuto e penetrante, mostrando
denti acuminati e particolarmente grandi.
Le matriarche si agitano ancor di più e, dopo aver lanciato dei possenti barriti, caricano con rapidità sorprendente
i carnivori che dopo un attimo di esitazione si dileguano
nella foresta.
Nessuno può competere, ieri come oggi, con la forza
e la determinazione dei grandi pachidermi.
Gli abominevoli uomini
Ma è proprio vero che
anche ai nostri giorni crediamo ai giganti come
hanno insinuato Mazurier
e Cuvier?
Prima di negare fermamente e di dichiarare
che non siamo assolutamente così arretrati e ridicoli da pensare ancora a simili
fantastiche presenze, fermiamoci a guardare la cronaca
degli anni passati e quella attuale: nel Nepal gli avvistamenti dello Yeti, l’abominevole uomo delle nevi, sono fin
troppo frequenti; nella lingua locale “yeh-teh” significa
“quella cosa”, cioè un animale indefinibile e completamente diverso da quelli conosciuti.
Spostiamoci quindi in America ed ecco comparire un
altro abominevole uomo: il Bigfoot (“grosso piede”) detto
anche Sasquatch, che continua ad essere avvistato, fotografo e, poco ci manca, intervistato.
Anche in altre parti del mondo vi sono notizie di
strani avvistamenti, perfino nella nostra vecchia Europa,
dove tutto possiamo immaginare che si possa trovare, ma
certo non un uomo gigantesco, abominevole e “selvadego”, come viene definito nell’arco alpino.
Oltre ad aggirarsi per le montagne, l’uomo selvadego
è anche finito in un affresco del 1464, che si può ammi-
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rare a Cosio Valtellino,
in Lombardia.
Qualcuno ha fantasticato ancora di più
su questi strani giganti
moderni che
si lasciano
vedere solo in
modo misterioso, seminando qua e
là qualche impronta di piede, qualche ciuffo di peli o mettendosi in posa, a debita distanza, per qualche immagine
fotografica sbiadita e confusa; infatti è stata proposta una
teoria affascinante quanto indimostrabile: gli Yeti potrebbero essere gli ultimi discendenti del Gigantopithecus, la
scimmia gigantesca del Pleistocene, l’era Glaciale.
Per saperne di più su questo animale, andiamo indietro nel tempo, nel 1934, e spostiamoci in Cina dove Ralph
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von Koenigswald, di origini tedesco-olandesi, noto paleoantropologo, studioso quindi di uomini preistorici, si
aggira tra le farmacie del posto, ricche di quelle che vengono tuttora chiamate “ossa e denti di drago”.
Denti di drago? No, grazie,
meglio un Gigantopithecus
Von Koenigswald ha appena
estratto qualcosa di molto particolare da un grande vaso di vetro
pieno di ossa e denti e lo sta osservando con molta attenzione.
– Professore, la vedo particolarmente agitato e meravigliato: che cosa ha tra le mani?
– Un dente molare, davvero interessantissimo, direi. Non
esito a dire che si tratta della cosa più interessante che
mi sia capitato di scoprire negli ultimi tempi.
– Mi scusi l’ignoranza, ma che cosa può esserci di tanto interessante in un solo dente?
– Ma non vedi? È molto simile a quelli umani, tuttavia
questo è sei volte più grosso.
– In effetti sembra proprio mastodontico. Adesso però deve dirmi
qualcosa di più! Mi ha messo addosso troppa curiosità…
– Questo è un dente fossile, non so ancora a che epoca
possa risalire, ma chi lo possedeva era sicuramente un
essere gigantesco, forse non un uomo ma una scimmia
di proporzioni mai viste… non vorrei azzardare troppo,
ma credo di poter dire che raggiungeva un’altezza di
28
almeno tre metri e una massa
di diverse centinaia di chili.
– E lei riesce a leggere tutte
queste cose in un dente?
– Lo hai detto anche tu che
non sembra per niente
un dente normale.
– Giusto, dente grosso, animale grosso… comunque lo scienziato è lei; però mi lasci
dire che quella che ha proposto sembra proprio la descrizione dell’abominevole uomo delle nevi che si aggira
sull’Himalaya, e in effetti non siamo molto lontani da lì…
– Per carità! Non bisogna mai mescolare la scienza con la
fantasia, non è una buona cosa. Sono sicuro che, a parte
i gorilla, non esistano oggi altre scimmie gigantesche,
ma questo dente ci dice che nel passato sono esistite.
Von Koenigswald scoprì altri denti, che in seguito
furono rinvenuti anche in altre parti della Cina, in India e
in Pakistan; fu così possibile convincersi dell’esistenza di
un grosso primate fossile sino ad allora sconosciuto, come
aveva previsto il paleontologo
tedesco.
Fu perfino ritrovata in
seguito una porzione di mandibola in una caverna a sud
della Cina, studiata da un
altro paleontologo, il dottor
Pei Wen-Chung.
Un suo articolo apparso
nell’American Anthropologist
29
dell’ottobre del 1957 catalogava definitivamente il
Gigantopithecus blackii come un’enorme scimmia antropomorfa, molto simile cioè all’uomo, sia nell’aspetto esteriore che nella struttura anatomica, la più vicina all’orangutan fino ad allora scoperta.
La dieta dell’animale doveva essere prevalentemente
vegetariana, probabilmente ricca di bambù, come per i
panda attuali. Qualcuno sostiene, tuttavia, che forse non
disdegnasse anche cibo di origine animale, un po’ come
noi esseri umani.
Il suo aspetto era davvero imponente, dato che
per statura e costituzione
era circa il doppio o addirittura il triplo di un
attuale gorilla, con un
peso stimato di circa cinquecento chilogrammi.
Visse per molti milioni
di anni, ma si estinse
misteriosamente circa centomila anni fa, quando i nostri
antenati umani già esistevano da tempo e sicuramente
ebbero con esso incontri ravvicinati.
Chissà, forse proprio i suoi resti scheletrici e l’avvistamento di animali corpulenti, orsi ad esempio, scambiati
per scimmie “abominevoli”, hanno dato origine al mito
dei vari Yeti, Yeren e quindi Bigfoot, Skunk Ape, Yowie,
Homo selvadego ecc. Vi ricordate King Kong, il gigantesco scimmione che minacciava la città di New York, arrampicato in cima all’Empire State Buiding?
Beh, il Gigantopithecus si è di certo estinto, ma a
quanto pare è riuscito ugualmente a recitare una parte da
protagonista in tanti film di avventura.
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La guerra dei giganti
Se leggiamo qualche racconto tratto dai miti greci,
scopriamo che i giganti non mancano di certo, anzi, sono
davvero numerosi.
Sarà stato sicuramente difficile per i nostri
antenati immaginare la
nascita dell’universo, così
immenso e incomprensibile, senza riempirlo di
esseri giganteschi, dall’aspetto spaventoso, dalla
forza fuori dall’ordinario,
irascibili e temibili.
E così da Urano, personificazione del cielo
stellato, e da Gea, personificazione della Terra, nascono esseri davvero speciali
come i Titani: sei maschi, Oceano, Ceo, Crio, Iperione,
Giapeto, Crono, e sei femmine, Tea, Rea, Temi, Teti, Febe,
Mnemosine; inoltre gli incredibili Ecatonchiri o
Centimani: Briareo, Gie e Cotto, veri e propri mostri con
cinquanta teste e cento braccia. E per finire, tre Ciclopi:
Bronte, Sterope ed Arge, tutti con un solo occhio in mezzo
alla fronte.
La storia diventa avventurosa quando Crono spodesta
il padre Urano per regnare al suo posto sull’universo.
Come primo atto del suo governo, diede la libertà ai suoi
fratelli Titani, imprigionati nelle profondità della Terra
dal padre che non si fidava di nessuno, non senza qualche
ragione… vista la fine che fece.
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Crono però
lasciò prigionieri
i Ciclopi e gli
Ecatonchiri di cui
aveva un certo
timore, ma commise un grave
errore.
Infatti l’ultimo dei figli di
Crono, il grande Zeus, dopo aver salvato tutti i suoi fratelli, divorati e rinchiusi nello stomaco dal loro temibile
padre, liberò anche i Ciclopi e gli Ecatonchiri che lo aiutarono a sconfiggere Crono e i Titani; fu proprio così che
Zeus divenne il re dell’Olimpo.
I loro straordinari conflitti furono narrati nella
“gigantomachia”, cioè la guerra dei Giganti contro gli
dèi dell’Olimpo, e diversi furono i campi di battaglia che
videro coinvolti i due schieramenti.
Grazie anche all’intervento di Eracle, o Ercole come
lo chiamavano i Romani, gli dèi ebbero infine successo.
Le ossa dei giganti morti però sono ancora sepolte nella
terra dalla quale ogni tanto fuoriescono quando i contadini arano in profondità i loro campi.
Secondo il mito, i durissimi e sanguinosi scontri si
svolsero un po’ dappertutto nell’area del Mediterraneo,
dall’Italia meridionale alla Grecia e così via.
In molti di quei terreni, in effetti, sono state ritrovate ossa gigantesche di grossi mammiferi soprattutto pleistocenici (1,8 milioni - 10.000 anni fa): pachidermi, rinoceronti, ippopotami,
tutti in grado con le
loro ossa massicce e
molto più grandi di
quelle umane di dare
vita a qualsiasi mito
che veda come protagonisti i giganti.
Questo, molto in breve, è quello che racconta la
mitologia greca, ripresa poi da altri popoli come i
Romani. Ma tutto ciò è solo frutto di fantasia e abilità nel
costruire storie complesse e intricate o c’è di più?
Abbiamo visto che i Ciclopi
trovano una spiegazione della
loro nascita nella scoperta delle
ossa degli elefanti nani, e allora
forse bisogna cercare proprio in
quella direzione.
A cavallo del
grande Unktehi
Continuando a leggere le
storie dei miti greci, scopriamo che lo scontro tra gli dèi
dell’Olimpo contro questi esseri immensi continuò ancora a lungo, nonostante la prima vittoria di Zeus. Infatti i
Giganti, altri fratelli dei Titani, cercarono di liberarli e
dichiararono guerra ai nuovi padroni dell’Olimpo.
Ma anche i miti di molti altri popoli vedono all’inizio dei tempi come protagonisti incontrastati e temibili
degli esseri giganteschi e spesso inumani.
Spostiamoci allora negli Stati Uniti, in Dakota, dove
un anziano sciamano Sioux ha una bellissima storia da
raccontarci.
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33
– Cervo Zoppo, vuoi
dell’Uccello del Tuono?
parlarci
– Wakinyan, questo è il suo nome.
Un tempo viveva in queste terre,
sulla montagna più alta delle
sacre Paha Sapa. Ma adesso se n’è
sicuramente andato via. Voi
wasichu, voi bianchi, avete cambiato tutto e sporcato ogni cosa:
l’Uccello del Tuono ama la solitudine e tutto ciò che è pulito e
puro, di certo non i turisti e le bancarelle di hot dog
che hanno invaso le terre dei Sioux.
– Si chiama progresso, ma tu hai mai visto il Wakinyan?
– Il progresso di cui
parli tu non mi piace
per niente e nemmeno al Wakinyan.
Nessuno l’ha mai
visto, anche se qualche volta compare
nel sogno, seppure
non tutto intero. Se sappiamo com’è fatto è perché
abbiamo messo insieme i sogni di tanti sciamani. Invece
la sua voce possente, il tuono, continua a farsi sentire e i
piccoli tuoni rotolanti che seguono quello più grosso
sono le voci dei suoi numerosi figli. Comunque è un
essere benefico che ama gli uomini e li ha perfino salvati dalla distruzione, per questo i Sioux lo venerano.
– Un momento, di quale distruzione parli? Puoi essere più
chiaro?
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– Certo. Quando l’uomo fu creato, Wakinyan e i suoi
figli popolavano già da molto tempo il mondo ed erano
padroni del cielo. Sulla terra però viveva un essere spaventoso e molto cattivo: l’Unktehi. Aveva il corpo di
un grande serpente, con zampe e una testa mostruosa.
Il suo corpo sinuoso riempiva completamente il fiume
Missouri, mentre gli altri corsi d’acqua più piccoli e i
laghi erano popolati dai suoi figli. Odiavano a tal punto
gli uomini che decisero di ucciderli tutti e allora gonfiarono a dismisura i loro corpi: il fiume Missouri straripò così come tutti gli altri corsi d’acqua e i laghi. La
terra fu inondata e molti uomini perirono; altri fuggirono sulle montagne.
– E poi cosa successe? Come fecero gli uomini a salvarsi dalla
furia dell’Unktehi?
La grande battaglia
– Fu per merito di
Wakinyan e dei suoi
figli; apprezzavano
molto gli uomini per
il loro rispetto e vollero pertanto ascoltare
le loro preghiere. Vi fu una durissima battaglia fra gli
Uccelli del Tuono e Unktehi e i suoi figli. Alla fine i
mostri delle acque furono tutti inceneriti e le loro ossa
trasformate in pietra.
– Trasformate in pietra? Interessante…
– Non ci credi? Allora ho un’altra storia da raccontarti e
questa non me l’hanno tramandata i miei antenati perché
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l’ho vissuta in prima
persona. Ero ancora
giovane e vagavo da
solo nelle mie terre
alla ricerca di alcuni
cavalli che mi erano
sfuggiti. All’interno
di un grande canyon
fui colto però da un
improvviso e spaventoso temporale. La pioggia cadeva
fittissima e le tenebre calarono rapidamente. Ebbi
paura di precipitare nel fondo del canyon anche perché
il forte vento e la pioggia quasi mi toglievano il respiro e cercavano di strapparmi dal costone di roccia al
quale mi ero stretto con tutte le mie forze.
– Molte volte ho tentato di ritrovare quel luogo e di portare i miei amici a vedere Unktehi, ma non ne fui più
capace.
Fossili leggendari
Cervo Zoppo non ha raccontato una favola, ma ci ha
fornito involontariamente una spiegazione sulla nascita
dei miti e in particolare di quello di Unktehi. In effetti
in Arizona, come in altre parti degli Stati Uniti, non è
difficile imbattersi in resti di mostri giganteschi:
impronte dei piedi, uova, sterco pietrificato (che i paleontologi chiamano “coproliti”) e ossa di ogni tipo.
– Una situazione davvero angosciante.
– Proprio così, ma a un certo punto sentii la presenza dei
Wakinyan: mi parlavano attraverso il tuono e la folgore, ma io li capii. “Non aver paura! Tutto andrà per il
meglio!” – mi dicevano, incitandomi a resistere – e io
li ascoltai. Un po’ alla volta il temporale cessò e arrivarono le prime luci dell’alba. Ero sfinito, ma non fu per
questo che quasi precipitai, fu per il terrore: ero rimasto aggrappato tutta la notte a una lunga fila di ossa
pietrificate, le più grosse che avessi mai visto.
– Di che cosa si trattava?
– Ma non l’hai capito? Avevo cavalcato per tutta la notte
la spina dorsale del Grande Unktehi! Fu un’esperienza
che non dimenticherò mai.
– Che storia! Sei mai tornato a rivedere il mostro pietrificato?
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Stiamo parlando dei dinosauri grandi e piccoli che
hanno popolato la Terra e l’America nell’era Mesozoica
(da 245 a 65 milioni di anni fa).
La descrizione di Cervo Zoppo ci fa pensare a uno
degli smisurati sauropodi, dinosauri erbivori che camminavano in cerca di cibo lungo le grandi pianure, talvolta
paludose e perfette per lasciare indelebili impronte dei
piedi.
I dinosauri carnivori, detti invece “teropodi”, armati
di artigli affilati e denti acuminati, li seguivano a debita
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distanza, pronti ad afferrare qualche
incauto giovane esemplare erbivoro o a
nutrirsi dei resti dei giganti giunti alla
fine della loro vita. La maggior parte dei
loro resti è andata distrutta, ma qualche
scheletro, addirittura completo, è giunto fino ai nostri giorni.
Molto probabilmente Cervo Zoppo ha proprio cavalcato uno di questi giganti, anche se lui credeva che fossero esseri dai poteri divini.
Tuttavia, c’è qualcosa di attraente e di magico nei
miti e nelle leggende dei popoli primitivi.
L’importante, come sempre, è sapere ben distinguere
la fantasia dalla realtà.
Forse ti sarà
capitato di osservare in un museo la
ricostruzione
di uno scheletro di dinosauro: devi sapere
che per effettuare tali ricostruzioni in modo
attendibile, dopo aver raccolto i resti fossili è necessario
che i paleontologi li studino e li confrontino attentamente
con gli animali viventi che devono pertanto conoscere
molto bene.
Si preoccupano quindi di raccogliere tutte le informazioni possibili sulle abitudini di vita dell’antico organismo, sul suo tipo di alimentazione, sulle sue prede e
così via.
Mettendo insieme tutti questi dati, ricompongono
38
infine le ossa fossili nel modo ritenuto più vicino possibile alla realtà.
Con un po’ di attenzione e molte conoscenze in
campo zoologico, si possono anche tentare delle ricostruzioni complete dell’animale preistorico, con tanto di
carne e pelle.
Il fatto è che le scoperte e le conoscenze in campo
scientifico aumentano sempre di più e così le ricostruzioni che si facevano in passato degli antichi animali spesso
non sono ritenute più attendibili. Basta prendere l’esempio dell’Iguanodon, un dinosauro erbivoro vissuto nel
Cretaceo, tra 140 e 120 milioni di anni fa.
1
Le immagini, numerate da 1 a 5, ti mostrano le ricostruzioni dell’Iguanodon fatte dall’Ottocento fino a oggi.
La prima è la ricostruzione
più antica e la più approssi2
mativa, anche per la mancanza di resti fossili completi. Nella seconda, del 1859,
l’Iguanodon è rappresentato
come un quandrupede tozzo,
simile alle attuali iguane e
con un corno sul muso.
39
3
Questo corno in realtà
non esisteva, ma fu il risultato di un errore di interpretazione: insieme agli scheletri
dell’animale erano state rinvenute alcune ossa appuntite,
scambiate per corni. Si trattava, invece, di protuberanze
ossee dei pollici, usate come
armi di difesa.
Nella terza ricostruzione, del 1960, questo dettaglio
risulta evidente: l’animale è meno tozzo e bipede.
La quarta ricostruzione risale a
qualche anno fa: l’Iguanodon era
4
ancora rappresentato come un
bipede, slanciato e atletico, senza
alcuna rassomiglianza con le iguane ma con la testa più simile a
quella di un cavallo.
Oggi si pensa, per via delle
zampe formate da tre dita e da
particolari zoccoli, che l’Iguanodon
fosse un quadrupede che all’occorrenza poteva alzarsi sulle
zampe posteriori per difendersi dai carnivori con gli aculei dei due pollici, come
mostra l’immagine 5.
I disegni sulla pelle
dell’animale sono solo
frutto di supposizioni perché sui fossili non resta
traccia delle ornamentazioni degli animali.
5
40
Cronache dal passato: il Brontotherium,
cavallo di tuono
Simile a un attuale rinoceronte, alto però quasi tre
metri e con uno stranissimo corno a forma di forcella posto
subito sopra il naso, un grosso brontoterio avanzava lento
nella pianura.
L’odore inconfondibile di un branco di altri brontoteri, sicuramente femmine, lo aveva attratto.
Si fermò solo un attimo per assaporare qualche tenera foglia strappata dalle verdi fronde di un albero, poi
riprese la marcia. Non aveva una grande vista, come tutti
gli appartenenti alla sua
specie, ma l’udito e l’olfatto erano ottimi; rallentò infatti, muovendo
la testa in su e in giù,
con nervosismo ma
anche per annusare
meglio l’aria: l’odore di
un altro grande maschio
arrivò con la brezza del
fresco mattino.
Ne notò il movimento in lontananza e il nervosismo
divenne furia: sbuffò con forza dalle narici, smosse la terra
con le grosse zampe e caricò a testa bassa, puntando il corno
contro il suo avversario che si era messo sulla difensiva.
Il rumore dello scontro si ripercosse per tutta la pianura e fu seguito da possenti sbuffi, grugniti di rabbia e
colpi di testa. Andarono avanti a lungo, fino a che uno
dei due, sfinito e ferito in più punti, si allontanò sconfitto. Il perdente cercò ristoro e refrigerio presso le acque di
uno stagno fangoso, ma si impantanò. Lottò disperato per
liberarsi dalla morsa del fango, ma le forze erano ormai
allo stremo. Infine si lasciò andare.
Il fango e le acque lo ricoprirono e il suo corpo rimase imprigionato nel suolo per trenta milioni di anni, finché le sue ossa non vennero ritrovate.
Stiamo parlando ancora degli indiani Sioux che nelle
Bendlands del Dakota rinvennero proprio quelle ossa che
il tempo e la terra avevano così gelosamente custodito.
Questa volta però non pensarono a giganti di aspetto
umano quanto a giganteschi equini: i cavalli del tuono,
bestie sicuramente più adatte agli spiriti che ai comuni
mortali! E come dare loro torto?
Quando un branco di quegli animali si metteva al
galoppo, il rumore prodotto da quelle grosse zampe sul
terreno avrebbe potuto sicuramente rivaleggiare con i
veri tuoni.
E poi, anche il nome che gli hanno dato gli scienziati non è molto diverso: Brontotherium significa proprio
“bestia del tuono”.
I MISTERIOSI DRAGHI
Draghi
Il grande animale
spalancò le enormi ali
da pipistrello e distese
il corpo allungato e
flessuoso, ricoperto di
squame lucenti come
quelle di un rettile;
quindi grattò la roccia con i terribili unghioni e spiccò il
volo. Dopo aver compiuto diverse evoluzioni, si guardò
intorno con ferocia, sferzò l’aria con la lunga coda e sputò
una lunga lingua di fuoco.
In questa descrizione tutti saremmo in grado di riconoscere un drago, l’animale fantastico che da tempi immemorabili ricorre in moltissime leggende provenienti da
popoli e regioni diverse del mondo; c’è proprio da chiedersi se i draghi non siano esistiti
veramente.
Una leggenda molto
conosciuta racconta la storia
di san Giorgio che uccide
una di queste bestie e salva
una fanciulla dalle sue grinfie.
Molti altri santi sono ritenuti
responsabili dell’uccisione di
draghi in ogni parte d’Europa e
d’Italia; in alcune chiese, come a Verona o presso Brindisi,
a Cuneo e anche altrove vi sono resti ossei di questi draghi.
42
43
Ad Almenno, in provincia di Bergamo, una chiesa
conserva ancora una lunga costola di due metri e mezzo
appartenuta al famelico drago del lago di Gerundo.
Tutto sembra concorrere a una sola conclusione: un
tempo i draghi sfrecciavano davvero nei nostri cieli!
Ma per avere conferme o smentite, dobbiamo assolutamente recarci a Klagenfurt, in Austria, dove ci aspetta
un drago per nulla in carne ma molto in ossa…
dentate lo catturarono e infine lo uccisero. Sul luogo dello
scontro venne edificato subito un castello e intorno alle
sue mura sorse un piccolo villaggio, primo nucleo della
città di Klagenfurt che letteralmente significa “guado dei
lamenti”, a ricordo dei poveretti che erano finiti tra le
fauci del drago.
La statua è così ben fatta e ricca di particolari che non
si può fare a meno di chiedere direttamente allo scultore
se avesse mai visto il mostro o i suoi resti.
– A parte i complimenti per la sua
opera, signor Hönel, potrebbe
spiegarci se ha mai visto in
vita sua il Lindwurm?
– Certo che l’ho visto!
Il drago di Klagenfurt
– Chissà che paura…
Nella Neuer Platz della città di Klagenfurt, in
Austria, sorge una fontana particolarissima, detta del
Lindwurm; in effetti, un grosso drago alato, dall’aspetto
di un lungo verme con scaglie e ali, sputa dalla bocca un
getto d’acqua (per fortuna). Di fronte a lui, la statua di un
uomo gigantesco, un ercole, con i muscoli contratti e una
grossa clava con chiodi appuntiti, sta per colpire il pericoloso animale.
La leggenda narra che il mostro infestava gli acquitrini che un tempo coprivano una larga area compresa tra il
fiume Drava e il lago Wörth. Per molti anni fu responsabile della misteriosa scomparsa di uomini e animali fino
a quando il duca Karast, che regnava su quelle terre, decise di affidare ai suoi valorosi guerrieri il compito di uccidere il mostro. Con l’astuzia, gli uomini armati di mazze
– Non esageriamo, io
ho esaminato solo il
cranio del drago che
fu ucciso chissà quanti anni fa. Gli abitanti di Klagenfurt rinvennero i suoi
resti nel 1335 cioè almeno 250 anni prima che ideassi e
costruissi la statua.
44
– Solo il cranio? Sarà stato difficile allora ricostruire l’intero corpo del Lindwurm.
– Ho dovuto usare solo un po’ di immaginazione e le
descrizioni che sono state fatte dai nostri antenati. Il
cranio, comunque, è piuttosto orripilante e solo un
mostro poteva possederne uno così. Non faccio fatica ad
ammettere che ne ho fatto un disegno in fretta e furia
45
pur di allontanarmi da quelle ossa. Ho sentito dire che
i draghi possono riprendere vita dai loro resti.
– Se è per questo, ne sono state dette tantissime di cose sui draghi, anche se mi sembrano tutte poco credibili. Tuttavia,
piacerebbe anche a me vedere quel cranio da vicino: mi sa
dire dove si trova?
– Non te lo consiglio, fidati; ma fai pure quello che vuoi.
Ciò che rimane del Lindwurm si trova nel museo statale di Klagenfurt.
I resti di un drago addirittura in un museo, e nemmeno troppo distante dalla statua che è stata eretta a suo
ricordo: veramente elettrizzante!
Tuttavia, scopriamo con delusione che nel museo non
esiste un settore dedicato ai draghi, né austriaci né esotici. La nostra ricerca ci porta invece nel settore degli animali pleistocenici, quelli dell’era
Glaciale per intenderci.
Una ricostruzione sbagliata
In una vetrina riconosciamo
subito il cranio del “drago” perché il
suo aspetto è esattamente quello che
lo scultore ha utilizzato per la parte
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superiore della sua testa: la
forma arrotondata del muso
è identica, mentre le orecchie richiamano ingenuamente la struttura posteriore delle ossa craniche.
La didascalia però ci
avverte che non si tratta di
resti di drago ma di rinoceronte lanoso, il Coelodonta antiquitatis. Scopriamo anche che il cranio, conservato gelosamente per secoli nel municipio della città, fu riconosciuto
come resto di rinoceronte solo nel 1840 dal paleontologo
Franz Unger e nove anni più tardi, quando il museo fu
edificato, fu trasferito in una vetrina.
Non possiamo negare di provare una forte delusione:
siamo partiti da un drago e siamo arrivati a un mammifero. In fondo però, la statua di Klagenfurt rappresenta la
prima ricostruzione paleontologica al mondo, anche se del
tutto sbagliata.
Cronache dal passato: il rinoceronte dalla
folta pelliccia
Una tormenta di neve rendeva totalmente bianco il
paesaggio, mentre la temperatura scendeva sotto i -15
gradi centigradi.
Nella pianura piatta,
si ergeva una strana collinetta di neve che aumentava in altezza di ora in
ora. Poi, d’improvviso,
così come era arrivata, la
tormenta smise di colpo
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e il cielo si colorò di una tenue tinta rosa pastello.
Fu a quel punto che la collinetta si animò improvvisamente e alcuni grossi animali bruni emersero come dal
nulla. Si scossero con vigore la neve di dosso e sbuffarono
calde nuvole di vapore dalle narici; un corno lungo un’ottantina di centimetri adornava il loro muso e uno più
corto lo seguiva subito sopra.
Una folta pelliccia li ricopriva dalla testa ai piedi e
sicuramente li aiutava a sopportare facilmente quelle
temperature polari. Tre piccoli rinoceronti sbucarono dal
centro del gruppo di adulti e sgropparono felici; si avvicinarono quindi alle madri, affamati di latte.
Queste li lasciarono fare, mentre con i lunghi corni
appiattiti lateralmente si misero a spostare con vigore la
neve per raggiungere il suolo gelato. Ben presto emersero erbe secche e licheni congelati che vennero rapidamente brucati per saziare un po’ del potente appetito.
In lontananza l’ululato di un lupo, seguito da molti
altri in risposta, ricordò loro che anche molti predatori
erano in cerca di cibo e che i loro cuccioli andavano sorvegliati con attenzione.
Tuttavia, non
avendolo ancora
incontrato, il piccolo branco non
sapeva ancora che
il loro più accanito predatore non
era il lupo ma
l’uomo che, con le lance appuntite e le pietre taglienti e
ben scheggiate, era in grado di uccidere anche gli adulti.
E di questa sua caccia grossa ha lasciato traccia nelle
incisioni e nelle pitture rupestri.
Draghi indiani
Siamo nel I sec. d.C.
e il filosofo greco
Apollonio di Tiana è di
ritorno da un suo viaggio
in Asia e in India, in particolare. Chissà quante
cose avrà da raccontarci!
Fermiamoci a fare due
chiacchiere con lui.
– È stato tranquillo il viaggio?
– Non mi starai prendendo in giro, vero? Definire “tranquillo” un lungo viaggio nelle terre più selvagge del
mondo è veramente incredibile e offensivo!
– Non sia permaloso, è un modo di
dire, per rompere il ghiaccio…
– Ma che permaloso e permaloso!
E non mi parlare di ghiaccio,
perché non ne ho mai visto
tanto in vita mia. Comunque, se
ti piace viaggiare ti offro un
consiglio: evita quei territori!
– Per quale ragione?
– Lo sapevo che non mi avresti lasciato in pace.
D’accordo, sappi allora che non esiste luogo al mondo
così infestato dai draghi, esseri spaventosi che popolano tutte le montagne di quelle terre ed effettuano scorribande nei villaggi. Una cosa tremenda, da non augurare a nessuno.
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– Mi pare che tu sia sopravvissuto alla loro ferocia…
– Impertinente! Avresti preferito che mi avessero mangiato? Chi avrebbe mai raccontato qui, nel mondo civilizzato, la dura realtà che aspetta i viaggiatori diretti a
Oriente? Comunque, esiste una città chiamata Paraka
dove ho potuto ascoltare storie straordinarie e vedere
con i miei occhi centinaia di teste di drago.
– Ho già avuto a che fare in Austria con altre teste di
drago…
– Austria? Dove si trova questo posto? Se c’è un drago è
sicuramente in India.
– Quindi non ha mai visto un drago volare nei cieli
dell’India…
– Ci mancherebbe altro! Le loro teste sono più che sufficienti. Gli uomini che vivono in quei luoghi devono
essere molto coraggiosi perché non solo li sopportano,
ma sono anche in grado di ucciderli e tenerli lontani.
Sicuramente è per questo che non ne ho mai visto uno
in vita. Mi hanno anche detto che c’è una ragione in più
per ucciderli: nelle loro teste sono state trovate addirittura pietre preziose.
– Non è in India, ma questa non è una cosa importante visto
che ai tuoi tempi non si chiamava così. Piuttosto, mi piacerebbe sapere come erano fatte quelle teste.
– Grosse! Veramente grosse! Questa è la prima impressione che suscitano. Poi si notano delle grandi corna,
due o addirittura quattro; inoltre orecchie contorte
fatte d’osso e tanti denti nella bocca adatti a schiacciare, triturare e spaccare in frammenti ogni cosa che viene
addentata.
50
Il santuario delle mille teste
Apollonio deve aver visto davvero qualcosa, ma la storia si ripete:
ossa e crani di aspetto inquietante,
con corna e altro ancora, tuttavia
niente di vivo.
In questa vicenda particolare, poi, si può aggiungere che sono stati trovati alcuni scritti del 500-640 d.C.
che parlano di una città santa per i buddisti a nord di
51
Taxila in Pakistan chiamata anche “santuario delle mille
teste”.
Una straordinaria coincidenza, tenuto anche conto
che la “Paraka” di Apollonio, che può essere pronunciata
come “Parasha”, potrebbe essere l’attuale Peshawar, esattamente a nord di Taxila. Nei dintorni affiorano sedimenti terziari ricchi di resti di grandi mammiferi e coccodrilli enormi come il Leptorhynchus.
Esaminiamo allora i crani di alcuni mammiferi trovati in quei depositi
sedimentari. Bene, sembrano corrispondere esattamente alla descrizione
fatta da Apollonio: massicci, dotati di
corna e grossi denti. Chiunque
senza un minimo di preparazione scientifica potrebbe ipotizzare l’esistenza di mostri e draghi.
In realtà, si tratta di antenati di qualche milione di anni fa delle attuali giraffe,
per nulla temibili essendo erbivore e assolutamente incapaci di volare e seminare terrore. Inoltre, se osserviamo
con attenzione la testa di un’attuale giraffa, ci accorgiamo
che anch’essa possiede delle corna evidenti anche se nessuno si sognerebbe di scambiarla per un drago.
Sicuramente più temibili sono stati i grandi coccodrilli, le cui ossa sono frequenti in quei depositi, ma
anche in questo caso niente draghi.
Brillanti ma poco preziosi
E le pietre preziose che i draghi conservano nelle loro
teste? Un’altra leggenda inventata dalle menti vivaci e
fantasiose dei nostri antenati?
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Anche qui c’è un fondo di verità. Durante i processi di
fossilizzazione, le ossa conservate nel suolo si sono impregnate di una sostanza chimica piuttosto comune, il carbonato di calcio, che ha formato qua e là tra le ossa dei brillantissimi cristalli bianchi; il calcio si deposita anche sotto
forma di un altro sale, il solfato di calcio, dando vita al
minerale selenite. Niente di prezioso, tuttavia sufficiente
per far “brillare” gli occhi dei primi scopritori delle “ossa di drago”.
Ci sono molti altri posti nel mondo
dove i draghi sono citati da tempi
immemorabili, ma in uno in particolare
il drago è diventato addirittura il simbolo della nazione, considerato da tutti
come essere benefico e non maligno.
Stiamo parlando della Cina.
Ossa e denti di drago
Una prima delusione con le ossa di drago cinesi l’abbiamo già provata, prepariamoci a riceverne un’altra.
Circa due secoli prima di Cristo, com’è riportato nelle
cronache cinesi, venne scavato un canale nella Cina centro settentrionale.
Questi scavi misero alla
luce numerosi resti giganteschi,
subito definiti ossa di drago e il
canale fu denominato “via d’acqua della testa di drago”.
Ma in tempi ancora più
antichi, probabilmente nel
1000 a.C., si parla di ossa di
drago estratte dai contadini
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quattro metri quello che era noto come il più grande dinosauro predatore, il Tyrannosaurus rex, lungo “solo” 12,8
metri. Era un voracissimo predatore sia di altri dinosauri
sia probabilmente di pesce. Visse nel Nordafrica tra 100 e
110 milioni di anni fa, decisamente prima del tirannosauro, col quale quindi non si è mai incontrato.
Draghi buoni dagli occhi a mandorla
nei loro campi. È difficile stabilire che cosa avessero trovato perché non è rimasto più nulla di quei resti; tuttavia,
come nel caso indiano, i fossili di grandi animali, quasi
sicuramente anche dinosauri, si rinvengono frequentemente in Cina.
Molti dinosauri, poi, soprattutto quelli carnivori con
denti lunghi e artigli affilati, avevano indubbiamente
l’aspetto dei draghi, molto simile alle raffigurazioni che ci
sono giunte dalle diverse civiltà del passato.
Può bastare un solo esempio, anche se proveniente da
un’altra regione: lo Spinosaurus eagyptiacus. Come mostra
l’immagine, basterebbe aggiungergli un paio di grosse ali
da pipistrello e non avrebbe bisogno d’altro: un drago perfetto. Ma lo spinosauro
era tutt’altro che benevolo, come affermavano
i cinesi: aveva un cranio
di quasi due metri di
lunghezza, un corpo di
circa diciassette metri e
un peso stimato in
circa nove tonnellate.
Superava di oltre
54
I Cinesi di fronte a quelle ossa massicce che trovavano
un po’ dappertutto evidentemente non si spaventarono, e
d’altra parte che male avrebbero potuto fare un mucchio
di innocue ossa?
In effetti, il drago in Cina è da sempre considerato
benevolo e dotato di grande saggezza, tanto che perfino il
trono dell’imperatore era definito “il Trono del Drago”, e
la sua faccia “il Volto del Drago”.
I Cinesi credevano che, una
volta morto, l’imperatore volasse
in cielo sotto forma di drago;
inoltre affermavano che
quando un drago si alza in
volo, comprime con
le sue zampe le
nuvole e provoca la
pioggia. Proprio per
questo, il re-drago Lung
Wang era considerato
colui che provoca la pioggia.
Probabilmente, è proprio grazie a
questa sua presunta bonarietà che nella farmacia tradizionale cinese vengono tenute in gran conto ossa e denti di
drago, in grado di curare ogni tipo di malattia.
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IL MONDO DEI GRIFONI E DEGLI UNICORNI
I custodi dell’oro
Nei monti Altai, in
Asia centrale, vivevano
degli animali stranissimi,
chiamati grifoni, con la
testa di uccello munita di
un becco curvo e forte,
corpo di leone con zampe
artigliate, lunga
coda e ali di aquila.
Il loro nidi
erano costruiti tra le
rupi, proprio dove si trovavano grandi giacimenti d’oro.
In molti avevano tentato di raggiungere il prezioso
metallo, ma i grifoni si erano sempre opposti aggredendo
e uccidendo all’istante ogni temerario, tanto che un po’
alla volta nessuno ebbe più il coraggio di provarci. Ma,
tra le sabbie dei deserti, ancora oggi è possibile ritrovare
gli scheletri dei ferocissimi grifoni che riescono a incutere ugualmente terrore e sgomento.
Questo quanto un viaggiatore greco, un certo Aristea
di Proconneso, vissuto nel VII secolo a.C., scrisse di avere
appreso da una popolazione di Sciti Saka, gli Issedoni, che
viveva ai piedi dei monti Altai in Siberia, tra la Mongolia
e la Russia.
A rendere ancora più interessante e verosimile questa
storia è proprio il nome “Altai” che significa “monti
d’oro”.
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Un’antica cerimonia
Gli uomini che vivevano in quelle terre
erano abili cavalieri
nomadi, abituati al
clima rigido, alla vita
rude e alle continue
lotte fra le diverse
tribù.
Amavano l’arte e ci
hanno lasciato numerose testimonianze della
loro abilità: oggetti in
oro, oppure intagliati
nell’osso e nel legno e altro ancora.
Probabilmente, proprio grazie ai racconti di Aristea, il
mito dei grifoni si diffuse in tutto il mondo antico dove si
possono osservare le loro raffigurazioni.
Bellissimo, ad esempio, è il mosaico che si può ammirare sui pavimenti di epoca romana di Piazza Armerina in
Sicilia, dove un grifone tenta di aprire una gabbia di legno
all’interno della quale è collocata un’esca umana.
Ma adesso, siete pronti per un salto nel tempo e nello
spazio? Andiamo indietro di 2500 anni e proviamo a unirci a quel gruppo di persone, immobili e silenziose. Deve
essere successo qualcosa…
– Mi scusi, ma che cosa state facendo?
– Sarebbe meglio stare in silenzio, per rispetto.
– Rispetto di chi?
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– Il nostro capo è morto e lo stiamo preparando per la sua
ultima dimora.
amici e nemici, sapessero chi era il più forte e per assumere la potenza e la fierezza di quel selvaggio animale.
– Mi dispiace, ma era molto anziano?
– Non troppo. Aveva qualche acciacco e gli doleva il
polso della mano destra; ma questo è un male comune
tra noi Issedoni: quando non dobbiamo combattere, ci
alleniamo ogni giorno con la spada e i duri colpi e il
peso dell’arma indolenziscono le articolazioni. Il nostro
re era il migliore guerriero che io abbia mai conosciuto: ha ucciso mille nemici, ha cavalcato con il vento, ha
catturato mille prede, ha combattuto mille battaglie…
– Accipicchia, sembra più la descrizione di un dio che di un
uomo.
– Per noi era come un
dio. E poi, solo lui era
in grado di uccidere i
grifoni.
– I grifoni! Sono qui proprio per questo. Vuole
dire che esistono davvero?
– Io non li ho mai visti,
ma il nostro capo sì.
Tempo fa, si recò da solo presso i monti Altai; mai nessuno è tornato vivo da quei luoghi per raccontare le sue
avventure, lui invece ci portò la testa mozzata di un grifone e molte pietre d’oro prese sulle montagne. Non
volle mai raccontare nulla di quell’impresa, ma deve
essere stata una battaglia all’ultimo sangue, quasi
impossibile da vincere: lui però ce la fece! Comunque,
volle farsi tatuare un grifone sulla pelle perché tutti,
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La testa del mostro
– È possibile vedere la
testa del grifone?
– Seguimi in silenzio e
inchinati quando passiamo davanti al re,
steso su quella struttura in legno.
– Ho notato che il corpo
del vostro sovrano aveva molti tatuaggi e tra questi, come lei
diceva, uno splendido grifone con le ali spalancate…
– Hai visto bene e ti ringrazio di averlo apprezzato, perché
proprio io, il migliore della mia tribù a decorare la pelle,
ho ricevuto il grande onore dal mio re di realizzare quel
disegno.
– Chi sono quegli uomini con quegli abiti colorati che gli stanno intorno?
– Sono sacerdoti. Stanno purificando il corpo del re strofinandolo con pomate a base di cera d’api, gommalacca,
resine, oli vegetali e essenze pregiate; così potrà conservarsi per sempre. Eccoci arrivati.
– Dove mi ha portato?
– Nella tenda del re. Guarda in quella direzione, su quella cassa: non ti sembra mostruoso?
– Direi di sì, anche se non è molto grande: quel becco e quel-
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la cresta a ventaglio nella parte posteriore lo rendono
comunque spaventoso. Ma dov’è finito il resto del corpo?
– Sicuramente era troppo pesante da
trasportare a cavallo e allora il nostro
re, dopo averlo ucciso, deve avergli
mozzato la testa che ha portato al
villaggio. Se la tua curiosità è
stata esaudita a sufficienza, vorrei
salutarti perché devo tornare alla
cerimonia. Dopo l’imbalsamazione, porteremo il nostro re nella
tomba che sarà la sua dimora
eterna; lì gli terranno compagnia i suoi amati cavalli.
– I cavalli? Sono morti anche loro?
– No, sono ancora vivi, ma verranno sacrificati e posti
vicino al re; così, nell’oltretomba, potranno continuare
a servirlo per l’eternità.
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Grifoni o “lucertole terribili”?
Lasciamo gli Issedoni ai loro riti funerari che ci hanno
tuttavia consentito di ritrovare intatte diverse mummie
umane, conservate grazie anche al terreno sempre gelato
della Siberia, il “permafrost”; occupiamoci invece di quel
“terribile” cranio che abbiamo
osservato nella tenda del re.
“Terribile” è in effetti la
parola giusta perché si tratta
dei resti di una “lucertola terribile”, cioè di un dinosauro.
Il suo nome è Protoceratops
andrewsi e visse in quella che è
l’attuale
Mongolia
nel
Cretaceo, tra 110 e 70 milioni di anni fa.
Una spedizione scientifica effettuata nel 1922 nel
deserto del Gobi in Mongolia scoprì diversi nidi contenenti uova; vicino ad essi furono trovati scheletri di un dinosauro e successivamente alcuni piccoli
appena nati e addirittura degli embrioni.
Non c’era alcun dubbio: si trattava
di resti di protoceratopo e delle sue
uova, le prime di dinosauro
mai trovate! Questa fu la
prova che i dinosauri erano
ovipari, cioè deponevano le
uova esattamente come coccodrilli e lucertole attuali.
In un solo nido di protoceratopi si trovarono addirittura una trentina di uova, quasi certamente segno che i
nidi erano utilizzati contemporaneamente da più femmine e che la cura delle uova e dei piccoli era praticata
socialmente.
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Il protoceratopo era
un dinosauro vegetariano di piccole dimensioni, diciamo non più
grosso di un vitello, ma
diffusissimo e i suoi
resti affiorano numerosi
e quindi erano probabilmente conosciuti anche
ai tempi degli Issedoni e del greco Aristea.
Se non si conosce nulla dei dinosauri e degli animali
ormai estinti vissuti in epoche remote, è facile scambiare
le ossa di un dinosauro per quelle di un essere fantastico
come un drago, un gigante o un… grifone!
In effetti, il grande becco adunco del protoceratopo
lascia pensare alla testa di un uccello, e la parola “grifone” deriva proprio dal greco gryps che significa “adunco”
in riferimento al forte becco uncinato col quale si narra
che dilaniasse le prede e i poveri malcapitati.
Ma le zampe e la lunga coda sembrano proprio quelle di un rettile o di un mammifero. Mettendo insieme le
varie parti e aggiungendo con la fantasia
un paio di ali, ecco
nascere un temibile
grifone, sanguinario e
strenuo difensore del
proprio nido e dei
giacimenti d’oro dei
monti Altai.
Il re issedone quindi non uccise nessun grifone, ma
semplicemente trovò il resto fossile di un protoceratopo
che contribuì ad aumentare la sua fama e il suo potere.
62
Cronache dal passato: una battaglia cruenta
Il sole batteva implacabile nella prateria e un gruppo
di protoceratopi era intento a mangiare, strappando
foglie e teneri rami da alcuni arbusti. Il vento soffiava
dalla loro direzione verso un gruppo di rocce e non poteva aiutarli a percepire l’odore di chi vi era nascosto: i velociraptor, i loro più
temibili predatori!
Furono osservati
attentamente
per
qualche tempo, poi
uno dei velociraptor si
lanciò in una corsa
rapidissima verso le
prede, le quali si
accorsero ben presto
dell’attacco e, emettendo grida d’allarme, fuggirono terrorizzate.
Il carnivoro non perse però mai di vista la vittima
prescelta e con abili mosse la costrinse a deviare e ad
allontanarsi dal resto del gruppo.
Fu allora che l’erbivoro si accorse di non avere scampo: un secondo predatore lo stava aspettando non visto. In
un attimo venne assalito, ma non si diede per vinto: lottò
strenuamente colpendo a sua volta l’avversario con la
testa, calpestandolo e mordendolo col grosso becco. Ma
gli artigli affilatissimi e i denti micidiali del velociraptor
lo ridussero in fin di vita.
Con un ultimo sussulto, il protoceratopo caricò il suo
nemico, calpestandolo, e gli afferrò una zampa con il forte
becco.
Nessuno dei due si accorse tuttavia di essere ai piedi di
una duna che la loro lotta
aveva reso instabile; così
tonnellate di sabbia li ricoprirono entrambi, racchiudendoli per sempre in un
abbraccio mortale, fino ai
nostri giorni.
In molte leggende medioevali questo mostro fantastico è di solito l’animale domestico di un cavaliere o di un
mago, in grado di volare veloce come un fulmine. Dai
genitori ha preso anche i gusti in fatto alimentare perché
è sia erbivoro come i cavalli sia carnivoro come i grifoni.
Nonostante si sia estinto da 65 milioni di anni, il protoceratopo ha contribuito a far nascere diversi miti e ha
ispirato addirittura opere letterarie.
Il cavallo-aquila
Un’altra creatura mitologica legata al grifone è l’ippogrifo che, come dice il nome (ippo=cavallo), ha origine
dall’incrocio tra un cavallo e un grifone, con testa e ali di
aquila, zampe anteriori e petto da leone e il resto del
corpo da cavallo.
L’invenzione dell’ippogrifo si deve al poeta italiano
Ludovico Ariosto
(1474-1533): nel
suo bellissimo poema
l’Orlando Furioso il
mago Atlante non
cavalca un semplice
cavallo, ma un possente
destriero alato, l’ippogrifo Frontin. Secondo gli
antichi, cavalli e grifoni
sarebbero stati nemici
naturali, quindi questa inimicizia, che diede vita al detto
“incrociare grifoni con cavalli” (simile al nostro “quando
gli asini voleranno”), renderebbe pressoché impossibile il
loro incrocio.
Nella fantasia dei nostri antenati, tuttavia, il risultato è stato raggiunto ed è nato un animale meno selvaggio
e più facile da domare rispetto ai grifoni.
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L’unicorno
Un’altra conosciutissima figura
mitologica emerge dal lontano passato.
È stata raffigurata in numerosi dipinti
e descritta in altrettante opere letterarie;
la sua immagine è spesso diventata simbolo di fierezza, di coraggio, saggezza e purezza. Aveva un
corpo di cavallo, quasi sempre bianco, e un unico lungo
corno avvolto a torciglione che spuntava dalla fronte, conferendogli un aspetto altero e misterioso.
Nella tradizione medievale il corno a spirale è detto
anche “alicorno”, e gli è attribuita la capacità di neutralizzare i veleni. Causa di questa credenza furono sicuramente
i resoconti di Ctesia di Cnido, uno storico e medico
greco del V-IV secolo a.C. Egli si recò
in India dove disse di aver conosciuto
l’unicorno. Qualcuno lo ha accusato di
essersi lasciato andare alle narrazioni
favolose e fantastiche, ma noi proviamo a chiedergli direttamente cosa ha
realmente osservato nei suoi viaggi.
– Mi scusi, ma è vero che lei ha visto
gli unicorni in India?
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– Quante volte devo raccontare questa storia? Forse non
finirò mai e a volte mi pento di averne parlato tanti e
tanti anni fa. Quando si viaggia molto e si vedono cose
nuove, mai viste prima, si ha voglia di farne partecipi
anche gli altri. Quante sere ho passato davanti a un
fuoco, sommerso dalle domande dei miei amici che
volevano sapere ogni particolare dei miei viaggi!
– E tra queste storie c’è anche quella dell’unicorno…
– Proprio così. Ho visto in India alcuni asini selvatici
grandi come cavalli e anche di più! Avevano il pelo
bianco, la testa rossa e gli occhi blu. La cosa che colpisce di più, tuttavia, è il lungo corno posto proprio in
mezzo alla fronte.
quegli animali si può assumere come portentoso antidoto contro ogni veleno mortale. Inoltre, bere del vino
o dell’acqua da una coppa lavorata a partire dal corno
guarisce dall’epilessia e dalle convulsioni, oltre a neutralizzare gli effetti di qualunque veleno.
– Capisco, però non mi ha detto se lei lo ha visto davvero.
– I sensi ingannano, la vista può tradire: che cosa è reale
e che cosa è frutto della fantasia? E quanto un ricordo è
frutto dell’immaginazione o risponde a fatti realmente
accaduti?
– Non la seguo più e temo che non mi voglia rispondere. Mi
dica allora come è fatto il corno di questi animali.
– L’unicorno! Allora lo ha incontrato davvero!
– Vedi, io sono anche medico e sono interessato a tutto
ciò che può aiutarmi nella mia professione. Io ho curato addirittura il re persiano Artaserse per un brutta
ferita subita nella battaglia di Cunassa.
– Mi scusi, ma questo che cosa c’entra con l’unicorno?
– Allora sei proprio ignorante… La polvere del corno di
– La base del corno, per circa due palmi sopra la fronte, è
candida, poi diviene nerissima e termina con un’estremità appuntita di colore rosso cremisi. La polvere è un
antiveleno veramente efficace, ma è difficilissimo procurarsela perché questi animali sono straordinariamente veloci e potenti, più di qualsiasi cavallo o altro animale. Quando è arrabbiato, l’unicorno carica a testa
bassa e il suo corno diventa un’arma micidiale.
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Non credo che Ctesia ci dirà altro di interessante.
Possiamo però sentire un altro scrittore, Claudio Eliano,
vissuto in Italia agli inizi del III secolo a.C., che nella sua
opera di zoologia Della natura degli animali in diciassette
volumi, parlò anche dell’animale descritto da Ctesia. Fu
anche il primo che lo chiamò unicorno.
Nel viaggio di Sinbad il marinaio viene descritta una
misteriosa e temibile creatura che fa a caso nostro; ma
leggiamo direttamente il racconto.
“Kartazon”!
“In questa stessa isola c’è una specie di bestia selvatica, chiamata karkadann, che pascola nei prati come da noi
le vacche e i bufali, ma il suo corpo è più grande di quello
di un cammello e si ciba di foglie d’alberi e di arbusti.
È un animale notevole, con un corno grande e grosso,
lungo dieci cubiti, piazzato in mezzo alla fronte, e se
questo corno si spacca in
due dentro vi si vede la
figura di un uomo.
Viaggiatori e mercanti
dicono che questa bestia ha
tanta forza che è capace di
infilzare sul corno un elefante e di portarlo, continuando a pascolare per
l’isola e lungo la costa senza avvedersene, fino a che l’elefante muore e il suo grasso, sciogliendosi al calore del sole,
scorre negli occhi del karkadann e lo acceca. Allora l’animale si getta a terra sulla spiaggia adagiato su un lato e poi
arriva il grande uccello Rukh, che lo afferra tra gli artigli
e lo porta ai suoi piccoli i quali si cibano del karkadann e
dell’elefante che ha infilzato sul corno”.
Claudio Eliano ha usato una parola in sanscrito (una
lingua indiana) che ha lo stesso significato di quella
mediorientale in lingua accadica “karkadann”.
Si tratta del nome di un animale di cui si parla anche
nel libro di racconti Le mille e una notte.
Questa descrizione, seppure assolutamente fantastica,
ancor più di quella di Ctesia, ci porta però a pensare a un
animale che vive tuttora sia in Asia sia, soprattutto, in
Africa: il rinoceronte!
– Lei che è uno zoologo può dirci qualcosa di più credibile sull’unicorno rispetto alle fantasie di Ctesia?
– Ctesia ha detto bene: si tratta di
un animale delle dimensioni di
un cavallo, con le zampe di elefante, la coda di capra, ma probabilmente si è lasciato prendere la
mano nella descrizione di altri
particolari; infatti l’unico corno
che possiede questo strano animale è del tutto nero e non multicolore. Questa creatura è veloce
e battagliera e vive nelle regioni aride e montuose
dell’India. Sono luoghi veramente inaccessibili agli
uomini e popolati da innumerevoli creature selvagge
che i sapienti del luogo cercano di studiare e classificare. Il nome che danno a questo animale è “kartazon”.
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In effetti, se non teniamo
conto del secondo corno più piccolo, possiamo considerarlo un
animale unicorno.
Il rinoceronte indiano, poi, ne
possiede proprio uno solo e per
questo è stato denominato dagli
zoologi Rhinoceros unicornis.
Qualche paleontologo pensa
che possa aver contribuito alla
fama dell’unicorno il ritrovamento dei resti fossili di Elasmotherium sibiricum, un enorme rinoceronte lanoso vissuto nell’Asia settentrionale da 1,8 milioni a 600.000 anni fa. Aveva una vistosa protuberanza ossea
sulla fronte, dalla quale si dipartiva un unico corno della
probabile lunghezza di due metri. Per questa ragione è
anche comunemente chiamato “unicorno gigante”.
Nonostante la sua mole, galoppava veloce nelle steppe, proprio come i cavalli, e come questi aveva una dentatura adatta a masticare soprattutto erbe dure e coriacee.
e contorti, utilizzati per fare l’assaggio di tutto il cibo e
le bevande che gli erano servite.
Questa usanza, tuttavia, era già diffusa da tempo
presso le corti dei sovrani europei.
La richiesta era quindi molto elevata, ma visto che in
realtà si tratta di animali fantastici e inesistenti, dove si
potevano trovare i lunghi e preziosi corni?
Semplice, o costruendo dei veri e propri falsi partendo da ossa che venivano intagliate con maestria, o usando
le corna dell’orice, un’antilope africana, o anche il lungo
dente del narvalo, cetaceo dei mari del Nord.
Un corno al giorno
leva il medico di torno
Col tempo, tuttavia, la fama
delle proprietà curative e antiveleno dell’unicorno si diffusero così
tanto da determinare una forte
richiesta dei suoi prodigiosi corni.
Si trova scritto che addirittura il
papa Bonifacio VIII (1230-1303)
possedeva ben quattro corni, lunghi
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LE SIRENE E ALTRI MOSTRI DELLA
MITOLOGIA GRECA
Come ci racconta Omero nell’Odissea, Ulisse e i suoi
compagni, nel viaggio di ritorno alla loro isola natale,
Itaca, incontrarono la maga Circe.
Quando finalmente Ulisse riuscì a convincerla a
lasciarli ripartire, la maga volle avvertirli di un terribile
pericolo che avrebbero corso in mare: in un’sola non lontana vivevano degli esseri malvagi, le Sirene. Chiunque
avesse ascoltato il loro canto ammaliatore
non avrebbe mai più fatto ritorno
a casa. Ma sentiamo direttamente dalle parole di Circe quanto
pericolose e ingannatrici possano essere le Sirene:
“Alle Sirene prima verrai,
che gli uomini stregano tutti,
chi le avvicina.
Chi ignaro approda e ascolta la voce delle Sirene, mai più
la sposa e i piccoli figli, tornato a casa, festosi l’attornieranno,
ma le Sirene col canto armonioso lo stregano, sedute sul prato:
pullula in giro la riva di scheletri umani marcenti; sulle ossa le
carni si disfano.
Ma fuggi e tura gli orecchi ai compagni, cera sciogliendo
profumo di miele, perché nessuno di loro le senta; tu, invece, se ti
piacesse ascoltare, fatti legare nell’agile nave i piedi e le mani
ritto sulla scarpa dell’albero, a questo le corde ti attacchino, sicché tu goda ascoltando la voce delle Sirene.
Ma se pregassi i compagni, se imponessi di scioglierti, essi
con nodi più numerosi ti stringano”.
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Si salvi chi può!
In effetti avvenne come era stato loro descritto: i marinai di Ulisse riuscirono a salvarsi dal canto ammaliatore
delle Sirene grazie ai consigli di Circe, turandosi cioè gli
orecchi con la cera.
Ulisse, invece, non si turò le orecchie ma si fece legare all’albero della nave in modo da ascoltare quel dolce
canto senza correre il pericolo di raggiungere le Sirene
sulla loro isola… e da
lì non fare più ritorno.
Le ossa degli
uomini, che avevano
miseramente perso la
vita attratti da quegli
esseri malvagi, biancheggiavano sugli scogli e sotto la superficie
delle limpide acque.
Ancora una volta il poeta Omero ci consegna un mistero. Non possiamo fare a meno di ascoltare la sua voce.
– Omero, le Sirene sono una sua invenzione? Le descrive come
depositarie di tutta la conoscenza e capaci di far perdere
agli uomini la ragione, stregati e affascinati dall’idea di
scoprire e di sapere anche solo qualcosa in più su questo
mondo terreno e sull’aldilà, sul senso della vita e…
– Grazie, grazie, può bastare così. Modestie a parte, è uno
dei brani del mio capolavoro meglio riusciti. Ma anche
in questo caso non posso di certo appropriarmi completamente della figura delle Sirene.
– Vuol dire che non sono frutto della sua fantasia?
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– Per niente affatto! Già ai miei tempi si parlava delle
Sirene, esseri mostruosi, metà donne e metà uccelli…
– Uccelli? Ma le Sirene non sono per metà pesci?
– Ma che pesci e pesci! Uccelli oltre che donne: ammaliavano e uccidevano coloro chi si fidavano delle loro parole e si lasciavano incantare dalla loro voce melodiosa.
Tanti uomini di mare mi hanno raccontato della loro
esistenza e del pericolo che rappresentano per i marinai.
Omero ci ha già spiegato che lui era un poeta e non
uno scienziato e quindi gustiamoci l’Odissea per quello che
è: un poema epico che narra le vicende di eroi e in particolare di Odisseo, più noto come Ulisse, che dovevano
affrontare prove ai limiti della sopportabilità, incontrare
mostri da sconfiggere, usare l’intelligenza per superare gli
ostacoli più duri, farsi aiutare dagli dèi quando tutto il
resto non era sufficiente. Ma le Sirene?
Italia terra di mostri
– E dove le hanno incontrate?
– Nella lontana Italia,
al largo della penisola che adesso chiamate Sorrento.
– A quanto pare per voi
Greci l’Italia era terra di misteri e di esseri mostruosi e malevoli, come i famosi Ciclopi.
– E non dimenticarti di Scilla e Cariddi, altri due mostri
che si fronteggiano presso uno stretto mare e con i quali
il mio Ulisse ha dovuto fare i conti. L’Italia, come la
chiami tu, era per noi una terra ancora sconosciuta e,
come tutto ciò che è lontano e non si conosce, incuteva
timore e preoccupazione. E poi, tante navi partite dalla
Grecia in esplorazione non fecero mai ritorno: la colpa
fu delle forze della natura, del mare in tempesta, degli
scogli infidi, dei venti contrari e malevoli oppure di
mostri che erano stati disturbati dalle loro esplorazioni?
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Un giro in barca…
Facciamoci condurre in barca lungo la penisola sorrentina da un pescatore vissuto subito dopo i tempi di
Omero.
– Può portarci a vedere l’isola delle Sirene?
– Posso farlo, ma quegli esseri malvagi non esistono più.
– Quindi mi sta dicendo che sarà un viaggio inutile…
– Non ho detto questo. Le Sirene ci rimasero così male di
essere state battute in furbizia da Ulisse che si gettarono in mare dallo scoglio sul quale vivevano e affogarono
miseramente. Tuttavia…
– Vada avanti e non si faccia pregare: la curiosità è tanta!
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– Dicevo che è ancora possibile
visitare l’isola e i poveri resti di
tutti coloro che sono rimasti
incantati dalla voce di quei
mostri e sono morti miseramente: “pullula in giro la riva di
scheletri umani marcenti; sulle ossa
le carni si disfano”…
– Conosco anch’io quei versi di Omero.
– Già, ma adesso guarda in quella direzione: ecco l’isola
delle Sirene! Bisogna stare molto attenti, perché le correnti sono forti e potrebbero spingerci contro i suoi scogli.
– Attenzione, allora: non voglio fare la fine dei marinai
ammaliati dal canto delle Sirene.
– Non ti fidi di me? Io navigo in questi mari da quando
sono nato!
– In realtà, non mi fido
del mare.
– Nessuna paura, ormai
ci siamo: cosa vedi là
tra gli scogli?
… nell’antro delle Sirene
– Caspita! È l’entrata di una grotta…
– Certo, ma osserva ancora con attenzione le pareti rocciose e tra le limpide acque che bagnano gli scogli.
– Ossa! Non c’è dubbio: sono proprio ossa! Alcune sembrano
gigantesche…
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– In tanti si sono avventurati presso quest’isola, anche i
grandi eroi del passato, ma nessuno è tornato vivo…
– Tranne Ulisse, lo so.
– Anche Giasone e gli Argonauti in un’altra avventura si
salvarono grazie all’intervento di Orfeo, che con la sua
musica riuscì a vincere quei mostri. Comunque, chi si
è inoltrato all’interno della grotta ha trovato molte
altre ossa, segno che tanta brava gente ha subito questo
tragico destino.
Dobbiamo ringraziare il nostro
marinaio se forse
abbiamo trovato la
soluzione del mistero delle Sirene.
In effetti, al
tempo di Ulisse e degli eroi greci le fragili navi, spesso
incapaci di opporsi ai forti venti e alle correnti marine,
rischiavano di rompersi facilmente urtando contro gli scogli, specialmente in alcune zone costiere. Ad esempio
Scilla e Cariddi, i due mostri malvagi a guardia dello stretto di Messina, non sono altro che scogli situati in un punto
dello stretto in cui il mare è percorso da forti correnti.
Vicino Sorrento, invece, sono state trovate ossa di
antichi mammiferi pleistocenici, pachidermi, rinoceronti, bisonti, cervi e altri ancora che affiorano dai sedimenti scavati dalle onde e dal tempo.
Questi biancheggiano al sole e la fervida immaginazione dei nostri antenati li ha trasformati nei miseri resti
di chi si è fracassato contro gli scogli.
E chi meglio di una coppia di mostri, le Sirene,
potrebbe essere il responsabile di un simile massacro?
77
Basta aspettare che il vento soffi e giochi tra gli scogli e
si intrufoli nelle caverne per sentire ancora la voce lamentosa e invitante delle Sirene.
Cronache dal passato: Italia, terra di
giganteschi mammiferi e predatori micidiali
Il cielo è limpido, ma il sole non riesce a scaldare troppo l’aria, spinta da un vento piuttosto forte e insistente.
Nella vasta prateria si vede un gruppo di iene cacciatrici (Chasmaportetes lunensis) che si guardano intorno in
cerca probabilmente di una preda; i loro denti non sono
adatti a triturare le ossa, per questo preferiscono la carne
fresca. Improvvisamente si agitano: probabilmente hanno
fiutato odore di preda.
In effetti, poco lontano, una femmina di Acinonyx
pardinensis, un grande ghepardo che popolava l’Italia pleistocenica, ha appena catturato un imponente cinghiale
(Sus strozzii); è probabile che non molto lontano la stiano
aspettando i suoi cuccioli.
In pochi minuti le iene accerchiano completamente il
ghepardo: è sicuramente un avversario pericoloso, ma
loro sono tante e grazie alla pressione psicologica e alle
minacce di aggressione, moltiplicate dal gioco di squadra, convincono rapidamente l’elegante felino ad allontanarsi e ad abbandonare la sua preda.
La pianura è vasta e offre spazio a molti altri animali
affamati: lamentosi miagolii rivelano infatti la presenza di
una famelica tigre dai denti a sciabola: sarà un
Homotherium crenatidens o un Megantereon cultridens?
Ambedue sono caratterizzate dallo straordinario sviluppo dei
canini
superiori,
diventati veri e propri
pugnali appuntiti.
Fra le loro prede
preferite, che uccidono trafiggendole con i
lunghi denti, vi sono
alcuni cervidi di media taglia (Pseudodama lyra, con corna
leggermente arcuate e a tre punte) e i bovidi come il
Leptobos stenometopon o una particolare varietà il tapiro
(Tapirus arvernensis); ma ogni cosa che si muove ed è di
dimensioni adeguate può diventare loro cibo.
Nei pressi delle rive di un ampio stagno, si sta abbeverando un gruppo di proboscidati, gli Anancus arvensis,
che si stringe attorno ai piccoli: sanno che in questo modo
i felini si guarderanno bene dall’attaccarli.
Viceversa, alcuni rinoceronti (Stephanorhinus jeanvireti)
di taglia non troppo grande, e quindi prede decisamente
più facili da catturare, sbuffano nervosamente e dopo
qualche esitazione fuggono al galoppo in direzione opposta a quella delle tigri dai denti a sciabola.
Da uccello a pesce
Abbiamo forse chiarito il mistero delle Sirene, ma esiste un’altra versione del mito che vede le Sirene come esseri per metà donna e per metà pesce. L’imperatore romano
Tiberio (42 a.C. - 37 d.C.) era appassionato di mitologia e
storia greca e raccoglieva ovunque nel suo impero le prove
dell’esistenza degli antichi miti.
Tra questi anche quello delle Nereidi, benevole ninfe
del mare spesso rappresentate come bellissime creature.
Una di queste, Anfitrite, era addirittura la moglie di Nettuno e
madre di Tritone, guarda caso
un altro strano personaggio,
anche lui metà uomo e metà
pesce. Un giorno una Nereide
fu ritrovata nel nord della
Francia e portata a Tiberio.
Forse sarebbe eccessivo
scomodare un imperatore, però il filosofo e naturalista
Plinio il Vecchio, vissuto durante il suo regno, ha molto da
raccontarci ed è sicuramente più adatto al nostro scopo.
– Che cosa può narrarci della scoperta della Nereide?
– In sintesi ti posso raccontare che in un’isola nel nord
della Francia abbiamo trovato un bel mucchio di ossa,
comprese quelle di una Nereide.
– Ci risiamo: sempre e solo ossa!
– Non so cosa vuoi dire e perché sei così deluso, ma stiamo parlando di miti che erano antichi anche ai miei
tempi. Non avrai pensato che avessimo trovato una
Nereide viva…
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– No, assolutamente no… ma perché non ci descrive meglio le
ossa ritrovate?
– Facile, alcune erano chiaramente di elefante, con tanto
di zanne e grandi ossa. Altre erano, mi è parso, di ariete, ma alcune erano veramente strane: un corpo mai
visto e una testa a dir poco insolita e bizzarra, grossa,
con due dentoni che venivano probabilmente usati dalla
ninfa per raccogliere
conchiglie di cui si
nutriva sul fondo
del mare.
Dugongo ovvero la “brutta sirena”
La descrizione delle ossa fatta da Plinio il Vecchio
sembra non lasciare dubbi e quindi non ci servono altre
informazioni. Inoltre, l’isola francese di cui ci ha parlato è
facilmente identificabile perché è l’unica in quella zona a
essere costituita da rocce sedimentarie, le sole che possono
contenere resti fossili.
Già, perché ancora una
volta si tratta proprio di questo e i resti di elefante nominati da Plinio stanno a dimostrarlo; in realtà si tratta
quasi sicuramente di mammut perché le loro ossa sono
ancora presenti in quell’isola.
Per quanto riguarda la
Nereide, Plinio non aveva
sbagliato: gli antichi Romani avevano ritrovato davvero
una sirena-pesce o, meglio, un “sirenide”.
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Vengono chiamati con questo nome alcuni mammiferi tuttora viventi anche se a rischio di estinzione, come il
dugongo e il lamantino.
Un tempo i dugonghi
erano molto diffusi e ciò fa
pensare che proprio essi
abbiano contribuito a far
nascere il mito delle Sirene.
A favore di questa ipotesi ci sono anche alcuni particolari, come l’abitudine di
allattare i cuccioli reggendoli fuor d’acqua con le pinne anteriori, proprio come facciamo noi esseri umani.
Certo un dugongo non ha nulla a che vedere con la
bellezza delle mitologiche Sirene, tuttavia lo stesso
Cristoforo Colombo, dopo aver visto un gruppo di dugonghi nelle lontane Americhe, li definisce “brutte Sirene”.
Il mostro di Troia
Laomedonte, re di Troia, è una delle tante figure della
mitologia greca. Per edificare le mura della sua città chiese addirittura l’aiuto del padre degli dei, Zeus, che ordinò
a Poseidone e ad Apollo di aiutarlo.
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In cambio del lavoro, Laomedonte promise loro alcuni cavalli avuti in dono proprio da Zeus ma quando il
lavoro fu terminato, Laomedonte si rifiutò di mantenere la
parola. Poseidone, il re dei mari, inviò allora un mostro
marino: il terribile mostro di Troia. Per sfuggirgli
Laomedonte fu costretto ad offrirgli in pasto la propria
figlia Esione che, mentre era incatenata alle rocce, venne
salvata casualmente dal possente Eracle, quello che i
Romani chiamavano Ercole.
Un mostro “originale”
Di questa vicenda ci
rimangono il racconto e
diverse raffigurazioni; una in
particolare risulta proprio
sorprendente.
La troviamo su un bellissimo vaso, illustrato con tante
figure colorate tra cui spicca un
strana testa, non particolarmente bella, che dovrebbe rappresentare… il mostro!
Non ci resta che chiedere direttamente all’autore perché in un vaso così
ben fatto ha inserito un disegno tanto brutto.
– Non si offenda, ma a detta di tutti i critici d’arte, le è mancata un po’ di fantasia quando ha dipinto il mostro. Sembra
che improvvisamente le sia mancata la vena artistica.
– Non mi offendo, se non siete capaci di riconoscere l’arte, non è un problema mio.
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– Però in questo modo non
risponde alla critiche…
– Nella mia vita ho realizzato moltissimi vasi e
nessuno si è mai lamentato del mio lavoro. Anzi,
ero fra gli artisti più richiesti del mio tempo. Quando mi è
stato commissionato questo vaso,
mi è stata lasciata mano libera: “basta che si tratti di
una delle fatiche di Eracle”, diceva il mio committente. Così, ho deciso di renderlo più realistico possibile.
– A dire il vero, a nessuno di noi il suo disegno sembra realistico. Tanti altri autori hanno rappresentato il mostro di
Troia come un serpente marino o come un drago o in mille
altri modi: la testa del suo mostro appare invece deforme,
senza corpo, lontanissima dalle rappresentazioni classiche.
– Io non volevo fare
una cosa come quella degli altri: volevo
che rappresentasse
la realtà, come le ho
già detto.
– La realtà? Ma si
tratta di un mito: che
realtà vuole che ci sia
in tutto questo?
– Io quel mostro l’ho
visto davvero. Anzi, ne ho visti molti.
– Lei ha visto il mostro di Troia?
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– Perché vuoi farmi ripetere? Poseidone il re del mare
alleva nel suo regno chissà quanti mostri, ma per fortuna anch’essi muoiono e lasciano nel mare i loro resti. Io
ho potuto osservare diverse teste portate dal mare sulla
spiaggia o inglobate nelle rocce degli scogli.
– Teste, teste, teste: mai un corpo intero che si muova ancora…
che noia!
– Non ce l’avrai mica con me, spero! Sono sicuro che se
avessi visto anche tu i resti di quei mostri non diresti
“che noia”. Ti saluto, però devi farmi il piacere di dire
ai tuoi contemporanei che io ero un maestro nella mia
arte e che il “mio” mostro non è un disegno privo di
fantasia ma una fedele riproduzione
della realtà.
Ercole e la giraffa
Forse non siamo stati
troppo cortesi con il vasaio
greco, anche perché dobbiamo
ammettere che le sue informazioni
sono state davvero preziose.
Basta dare un’occhiata molto
attenta alla testa del mostro, un’occhiata da paleontologo per intenderci,
per capire che ci ha detto la verità.
Prendiamo la testa di una antica giraffa, come il
Samotherium, che deve il nome dall’isola greca di Samo.
Togliamole adesso le ossa premascellari, quelle senza
denti nella parte alta del teschio, come mostrato nell’immagine; in effetti, dopo la morte dell’animale, essendo
fragili, si spezzano facilmente.
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Se poi consideriamo che le femmine di Samotherium
non possedevano le corna, ecco sorprendentemente ricostruita la testa del mostro del nostro vasaio greco!
Lui in realtà ci ha parlato di molte teste ritrovate, può
darsi allora che abbia messo insieme le caratteristiche
osservate nei diversi teschi: così si spiega perché sul vaso
il mostro possieda così tanti denti e altri particolari non
tipici delle giraffe.
Inoltre, guardando bene il disegno, si può notare
come il mostro non abbia corpo, ma spunti direttamente
da una massa nera, probabilmente uno scoglio marino,
nel quale il vasaio ha osservato la testa fossile.
Quindi, in fondo, Ercole non sta compiendo una
grande impresa, perché con le sue frecce non sta uccidendo un famelico mostro, ma sta colpendo un animale fossile, morto ormai da alcuni milioni di anni!
QUANDO IL DIAVOLO CI METTE
LO ZAMPINO
Una “fumatina”
diabolica
A sentire i nostri
antenati, un tempo
il diavolo si divertiva a lasciare le sue
tracce un po’ dappertutto: tracce dei
suoi piedi sulle rocce, unghioni duri e ritorti disseminati
qua e là, pietre con impronte del suo volto diabolico e
addirittura lunghi sigari che si dice abbia fumato nei
momenti di pausa dalle sue azioni malvagie.
A quest’ultimo proposito, possiamo ascoltare la storia
raccontata da un contadino del XVI secolo a un nugolo di
bambini e adulti seduti davanti al fuoco di un camino.
– Era una notte senza luna e senza stelle. Il buio era più
nero del carbone e io camminavo da solo lungo un sentiero di montagna sconosciuto.
– Mi scusi, posso intervenire?
– Certamente, agli ospiti non si dice mai di no.
– Che cosa ci faceva da solo di notte in un luogo sconosciuto?
– Ero andato a pulire il bosco di castagni del mio padrone dai rovi e dagli arbusti. Solo che misteriosamente e
inaspettatamente il sole è scomparso e una notte malvagia ha avvolto ogni cosa.
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– Perché “malvagia”?
– Perché immediatamente tutti gli animali si sono zittiti,
uno strano freddo mi ha raggelato le membra e per
colpa del buio ho perso completamente l’orientamento,
ritrovandomi su un sentiero mai visto prima.
– Caspita che paura!
– Puoi ben dirlo! Non sapevo dove stavo andando e avevo
il timore di precipitare in un dirupo da un momento
all’altro. Poi, all’improvviso…
– Anche lei? La prego, non faccia troppe pause e non ci lasci
in trepidazione!
– Ebbene, ho visto in lontananza un tenue bagliore. “Una
persona con una torcia,” ho subito pensato, “di sicuro
mi aiuterà!”; quindi mi sono mosso in fretta in quella
direzione, anche se qualcosa dentro di me mi diceva di
non farlo. Infatti, iniziai ben presto a sentire un odore di
zolfo bruciato e una strana risata diabolica.
Sigari allo zolfo
– Qualcuno in vena di scherzi?
– Non si scherza
col diavolo! E
poi si trattava
proprio di lui.
Per fortuna lo
capii prima di cadere nelle sue grinfie e mi fermai ad
osservarlo in lontananza. Era seduto su una roccia, forse
a riposare dopo una delle sue tante malefatte e fumava…
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– Fumava? Capisco che il fumo sia dannoso alla salute e che questo possa piacere al
diavolo, ma che addirittura proprio lui ne
faccia uso mi sembra troppo. Come possiamo credere a questa storia?
– Vuoi verificarlo di persona?
Accomodati! Ti porto lassù dove non
dovrai fare altro che aspettare la notte e
l’arrivo del demonio. Chissà che non offra un sigaro
anche a te… si tratta di una cosa da gran signori, dopotutto. Certo, se però ti offrisse un sigaro allo zolfo non
credo che saresti molto contento…
– Non mi prenda in giro e poi non ho nessuna voglia di passare la notte al freddo, da solo.
– E allora devi fidarti di me. Comunque guarda che non
sono l’unico ad aver incontrato il diavolo.
– Lo so, ed è proprio per capire
meglio che sto ascoltando la
sua storia.
– Visto che fai fatica a credermi, ti mostro i sigari
che il demonio ha lasciato sulla roccia dove si era
seduto. Ne ho raccolti alcuni per i diffidenti come te:
che ne dici?
– Ma sono di pietra!
– Certo, che cosa ti aspettavi? Il demonio non fa mai regali a nessuno e prima di andarsene li ha gettati via, pietrificandoli.
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– In effetti sono lunghi e affusolati:
sembrano proprio dei sigari mai
usati e trasformati in pietra…
– Proprio così! Devi sapere che io
ho trovato anche altri resti del
diavolo, ma te li mostrerò solo
se mi assicuri che non ti spaventerai troppo.
– Vuole farmi paura? Comunque lo
prometto: cercherò di essere forte e coraggioso.
– Bene, stavo lavorando il terreno del mio padrone per
piantare qualche albero da frutto quando mi parve di
sentire una risata che riuscì a paralizzarmi per qualche
istante. Ripresi a scavare con timore e fu allora che
dalla terra cominciarono a uscire delle strane pietre
ritorte.
Manicure diabolica
– Le ha raccolte?
– Ne ho raccolta una e per
poco non sono svenuto
dalla paura: avevo tra le
mani, senza ombra di
dubbio, un unghione
curvo e dall’aspetto inquietante, sicuramente
opera del demonio.
– Non starà cercando di farmi credere che il diavolo si è
tagliato le unghie nel suo campo…
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– Il campo non è mio, purtroppo, e quello che ha combinato il diavolo non lo so e non voglio saperlo! Di certo
quelle erano unghie in grado di ridurre a brandelli un
gigante.
– Niente giganti, per favore, con quelli abbiamo già risolto.
Mi farebbe vedere l’unghia, piuttosto?
– Eccola: non ti sembra orribile?
Sigari, dita o calamari?
Abbiamo accumulato
abbastanza informazioni,
quindi possiamo salutare il
nostro contadino e lasciarlo
con le sue storie di paura
che tanto piacciono ai suoi
piccoli e grandi ascoltatori.
I lunghi sigari di pietra che ci ha mostrato sono stati
anche interpretati come dita del diavolo, dita degli gnomi
o addirittura come fulmini pietrificati: sono molto affusolati e spesso dopo un temporale, bagnati dalla pioggia,
appaiono nitidi e in risalto sulla roccia che li contiene,
proprio come se un fulmine vi avesse lasciato la sua punta
conficcata.
Tuttavia, non corrispondono a niente di tutto ciò, perché in realtà si tratta del rostro delle “belemniti”, molluschi simili agli attuali calamari, con tanto di tentacoli e
inchiostro, ma ormai estinti da milioni di anni.
Il rostro, che in alcune specie è lungo anche cinquanta centimetri e lascia presupporre un animale lungo almeno tre metri, era un po’ come l’osso di seppia, interno
all’animale e posto nella parte terminale del corpo.
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Le unghie, invece, sono resti
della Gryphaea arcuata, un altro mollusco dotato di conchiglia e non
molto diverso dalle attuali ostriche.
La struttura ricurva consentiva loro
di rimanere sollevate dal fondo,
impedendo così alla sabbia e ai vari
detriti di penetrare quando l’animale
sollevava l’altra valva (parte) della conchiglia per nutrirsi.
Cronache dal passato: il tirannosauro dei
mari di cento milioni di anni fa
L’acqua tutt’intorno è ormai nera di inchiostro, ma
qualche mollusco riesce a mettersi ugualmente in salvo.
Infine il mosasauro si dirige rapido in superficie per
respirare e quindi verso il mare aperto, forse in cerca di
qualcos’altro da mettere sotto i denti.
Sul fondo rimangono solo brandelli di belemnite,
subito assaliti da un nugolo di piccoli pesci e da una
miriade di granchi affamati. I lunghi rostri appuntiti
sono però duri e non commestibili e rimangono pertanto
abbandonati sul fondo. Verranno lentamente ricoperti
dalla finissima sabbia calcarea e forse si conserveranno
fino ai nostri giorni.
I diavoli ballerini
Nelle acque calde di un mare tropicale, un folto sciame di belemniti sta nuotando lentamente all’indietro in
cerca di piccole prede, pesciolini per lo più, di cui sono
ghiotte. Niente lascia presagire ciò che sta per accadere: è
questione di un istante e dalle acque più buie e profonde,
spunta una sagoma nera di parecchi metri di lunghezza
che non annuncia nulla di buono.
È un sinuoso mosasauro, un famelico rettile marino,
un vero e proprio “tirannosauro dei mari” imparentato con
gli attuali varani e serpenti. Si muove rapido, con poche
spinte delle natatoie si ritrova in mezzo al gruppo delle
belemniti. La sua bocca
è ampia e numerosissimi denti appuntiti e
taglienti sono pronti a
ghermire le prede. Ad
ogni movimento della
testa una belemnite
finisce nella sua bocca.
I diavoli danzano forse per sfogare la delusione di tante loro imprese
non riuscite o viceversa per festeggiare le cattive azioni compiute.
Ma come facciamo a saperlo?
Evidentemente qualcuno deve averli
visti in azione oppure avrà osservato
le tracce di questi loro balli frenetici.
Siamo ovviamente molto scettici,
soprattutto dopo aver scoperto che
sigari e unghioni non sono altro che
fossili dalla strana forma.
Siccome queste voci ci giungono
dal passato, facciamo un salto nel XIV secolo e avviamoci
su un sentiero di montagna alla ricerca di queste tracce e
di qualcuno che possa darci spiegazioni. In effetti, poco
distante da noi, un ragazzo si sta arrampicando su quell’impervio sentiero.
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– Scusa, ti puoi fermare un
momento? Ho bisogno di
un’informazione!
– Non posso perdere
troppo tempo: devo raggiungere mio padre al
pascolo.
– Solo due parole, se sei così
gentile da darmi ascolto.
– Va bene, dimmi pure.
– Hai mai sentito parlare
delle danze dei diavoli?
– Sì. Nelle notti di luna nuova, quando nemmeno le stelle osano farsi vedere, i diavoli si ritrovano tutti insieme,
illuminati da una misteriosa luce rossa, di sicuro proveniente direttamente dall’inferno. Scelgono le rocce
ampie, piatte e lisce e ballano e danzano senza sosta, battendo i piedi sulla roccia. Chi li ha visti li descrive come
esseri mostruosi, con le corna e le zampe da capra.
– Sembrano delle capre?
– Capre infernali! I loro piedi hanno degli zoccoli divisi in
due e così duri che quando vengono battuti sulla pietra
lasciano un’impronta incancellabile.
– Ehm, scusa, niente di importante. Dimmi piuttosto come fai
a sapere tutte queste cose? Anche tu li hai osservati danzare?
– Ci mancherebbe altro! Sarei morto dalla paura! No, no!
Però un giovane che li ha visti è ritornato sconvolto. I
suoi capelli erano diventati bianchi di colpo: sembrava
un vecchio di vent’anni.
– Tremendo! Non vorrei essere stato
al posto suo.
– Nemmeno io, stanne sicuro.
– Tuttavia, visto che è
stato l’unico ad averli
visti, non avete avuto
nemmeno il più piccolo
sospetto che la sua storia
fosse, come dire, un po’
esagerata e inverosimile?
– Io non l’ho conosciuto perché quel giovane sventurato
è vissuto tanti e tanti anni fa. Ma i nostri vecchi quando raccontano questa vicenda sembrano ancora impauriti e tengono la voce bassa. Col demonio non si scherza e solo lui è capace di ridurre un uomo in quello stato.
– Mi hai quasi convinto, però hai detto che le tracce lasciate
dai diavoli sono indelebili…
– Certo, e allora?
Sulle tracce del demonio
– Sei proprio bravo a raccontare storie, forse anche meglio del
contadino…
– Quale contadino?
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– E allora saranno ancora lì dove quel poveretto ha visto
quella danza infernale.
– Che tu ci creda o no, è proprio così.
– Quelle rocce esistono davvero?
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– Ti ho detto di sì e non sono nemmeno molto lontane da
qui. Se vuoi, visto che per andare da mio padre devo
fare proprio quella strada, ti ci porto.
– Scusami, ma non hai paura che i diavoli si rifacciano vivi?
– Oh caspita! Ma allora non sai proprio niente: i diavoli
non tornano mai sui luoghi dove si sono fermati per i
loro festini. Adesso sbrighiamoci: non mi piace parlare
troppo a lungo di queste cose.
– Va bene, va bene, non ti agitare: andiamo pure.
La pista da ballo
Il ragazzo, forse per
non perdere troppo tempo
o più probabilmente per
paura, dopo un’estenuante
salita ci indica un sentiero
e continua per la sua strada. Procediamo allora
secondo le sue indicazioni
e, anche se siamo scettici,
con un briciolo di timore.
Terminato il bosco, si apre davanti a noi un ampio
altopiano, come ci aveva spiegato il ragazzo.
Ci guardiamo intorno e vediamo esattamente ciò che
cercavamo: una roccia di dolomia bianca, molto simile al
calcare, che appare piatta e levigata come se una pialla
gigantesca vi fosse passata sopra.
Muoviamoci, con una certa cautela, e andiamo ad
osservare la pista da ballo dei diavoli.
La luce è quella giusta e ci permette di esaminare con
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precisione ogni dettaglio; dappertutto si possono notare i
segni inconfondibili descritti dal ragazzo: impronte di
zoccoli di tutte le dimensioni, come se un folto gruppo di
capre o demoni, piccoli e grandi, si fosse divertito al
ritmo di una musica sovrannaturale. Scattiamo qualche
fotografia e ritorniamo nel nostro secolo per raccogliere
altre informazioni e fare confronti.
Alte e basse maree di oltre duecento milioni
di anni fa
Rechiamoci allora
in un museo geologico
per avere notizie sulla
roccia “diabolica”.
Con le foto da noi
scattate tra le mani,
scopriamo che si tratta
proprio di “dolomia”,
appartenente a una
formazione geologica molto diffusa in tutto l’arco alpino
e da cui le Dolomiti prendono il nome: la Dolomia
Principale.
Apprendiamo inoltre che la nostra roccia è stata resa
così piatta e levigata in superficie durante l’era Glaciale,
quando alcune decine di migliaia di anni fa le sono passati sopra diversi ghiacciai; possedendo una spaventosa forza
erosiva (vere e proprie pialle di spessore anche superiore ai
mille metri), erano in grado di modificare completamente il paesaggio e le cose su cui passavano.
Quando si sono ritirati, i segni della loro azione sono
tornati alla luce: grandi massi trasportati anche da molto
lontano (e per ciò detti erratici) accumuli di detriti (le
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morene) e anche le cosiddette “rocce montonate”, lisce e
levigate come quella sulla quale abbiamo osservato le
impronte del diavolo.
Approfittiamo di essere al museo per chiedere a un
paleontologo qualche spiegazione.
Questione di
ritmo
– Sarebbe così gentile da
raccontarci qualcosa
di più sulla Dolomia
Principale?
– Ma certo! Le rocce di
cui vuoi che ti parli
si sono formate in
acque marine non particolarmente profonde, nelle quali
sono osservabili strati chiamati “ritmiti”.
– Mi scusi l’ignoranza, cosa sono le “ritmiti”?
– Semplice, sono strati di sedimenti depositati alternamente durante le basse e le alte maree.
– Un momento, vuole dire che si sono depositate in parte
durante la bassa marea e in parte durante l’alta marea?
– Proprio così, ma ovviamente i maggiori spessori si formarono durante l’alta marea. Sembra incredibile, ma
sono cicli che si sono ripetuti senza sosta per milioni di
anni.
– Accipicchia! Chissà quanti strani animali popolavano quei
mari…
– A parte i dinosauri, non erano nemmeno poi tanto stra-
98
ni. Ovviamente non erano
proprio uguali a quelli
attuali, ma nemmeno così
diversi. Comunque, alcuni
di loro hanno lasciato i loro
resti fossilizzati nelle rocce
e grazie a questa circostanza possiamo saperne
di più.
Diavolo di un
mollusco!
– Mi dica una cosa: non è che per caso uno di questi organismi aveva la forma di uno zoccolo bifido (a due punte) come
quello delle capre o addirittura dei…
– … diavoli, proprio così! Tanti organismi, approfittavano dell’alta marea e si spingevano verso riva per nutrirsi. Altri invece vivevano infossati nel fango e si nutrivano solo durante l’alta marea; in particolare aveva questo comportamento un mollusco chiamato Megalodon
gümbeli. Possedeva una particolare
forma a cuore, simile all’impronta di
uno zoccolo di capra, e poteva raggiungere dimensioni di diversi decimetri.
– Allora si trovano anche sulle rocce montonate, quelle levigate dai ghiacciai.
– Esatto, e le loro sezioni risaltano in modo evidente perché sono di colore leggermente più scuro rispetto alla
roccia in cui si trovano.
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Niente esseri infernali, quindi, né balletti indiavolati, solo un semplice e umile mollusco dalla forma tanto
particolare da creare una forte impressione nei nostri
antenati. E d’altra parte, non è piacevole davanti al fuoco
di un camino in una notte d’inverno, stretti gli uni agli
altri, ascoltare storie di ogni tipo,
comprese quelle di paura?
Come il diavolo ci perse la
faccia
Questa è una strana storia,
tanto strana che nessuno sa come
abbia avuto origine. Qualcuno la
racconta in un modo, qualcun
altro, forse vivacizzandola un po’
con la fantasia, in modo diverso;
tutte hanno però una cosa in comune: tanto e tanto
tempo fa il diavolo… ci perse la faccia.
La vicenda appartiene al passato e lì andiamo ad
ascoltarla dalla voce di un cantastorie che l’ha narrata
mille e mille volte:
– “Tanto tempo è passato /
da quando un mio lontano antenato
con i suoi amici fece una scommessa /
che sicuramente non avrebbe persa:
si sarebbe inoltrato /
per una notte intera/ nella foresta nera!”
– Bravo! Belle rime, proprio come quelle dei cantastorie!
Però, mi spieghi: era davvero una cosa tanto pericolosa
entrare in quella foresta?
100
– Puoi giurarci! Ma per fortuna non esiste più: l’abbiamo
tagliata fino all’ultimo albero…
– Mi sembra contento di questa impresa, però io credo che
tagliare gli alberi non sia mai una bella cosa.
– Può darsi, ma in questo caso abbiamo fatto benissimo.
La foresta nera era il regno del demonio e chi osava
avventurarsi al suo interno non ne usciva più o ritornava fuori di senno.
Una leggenda da
brivido
– Accipicchia! Allora
il suo antenato doveva
essere proprio coraggioso o un po’ suonato,
se mi permette.
– Magari tutte e due
le cose. Fatto sta che
dopo aver scommesso con i suoi amici, anche se probabilmente si pentì di questa sua spacconata, una notte si
inoltrò da solo nella foresta, con una torcia, un mantello, un tozzo di pane e poche altre cose.
– Che brividi!
– All’inizio gli sembrò tutto normale e si rasserenò: forse
i racconti sulla tenebrosa foresta erano falsi. Cominciò
allora a canticchiare per farsi coraggio e avanzò sempre
più spavaldo.
– Ho fatto bene a non illudermi: immaginavo che fossero
101
tutte fantasie.
Ambasciator non porta pena
– Non interrompermi e ascolta attentamente. Era ormai
scoccata la mezzanotte quando udì un rumore alle sue
spalle: un fruscio di foglie, quindi un venticello gelido
e infine un respiro affannoso. “Chi va là?” gridò voltandosi di colpo, ma non
vide nulla.
– L’immaginazione può
fare brutti scherzi…
va bene, ho capito:
devo stare zitto.
– Un sudore freddo
cominciò a colargli
per le spalle e un
tremito incontrollabile lo assalì. “Un
altro stupido e
incauto si è intrufolato a casa mia”. La voce scaturì
improvvisamente dal nulla, molto vicino a lui; poi vide
un uomo più o meno della sua altezza ma con un aspetto inquietante. “Io… io… sono venuto proprio per parlare con lei” improvvisò lì per lì come risposta.
– Brutta situazione, davvero brutta.
– Già, ma ascolta. “Sei venuto a parlare con me? Allora ti
invito a restare in questo luogo per tutta l’eternità: non
uscirai mai più da questa foresta!” gli disse il diavolo,
perché di lui si trattava. Ma il mio antenato aveva mille
risorse e non si diede per vinto. “I miei compaesani
sono stanchi di te e mi hanno incaricato di portarti un
messaggio”.
102
– Ma non era vero, giusto?
– Proprio così, però non aveva nessuna intenzione di
rimanere per sempre a tenere compagnia al demonio.
“Un messaggio? Parla pure, sono curioso” gli rispose
quello, ridendo in modo ovviamente diabolico.
“Ebbene, il messaggio è questo: nessuno di noi ha più
paura di te e se oserai avvicinarti al villaggio ti accoglieremo come meriti!”. Il diavolo si infuriò moltissimo a quelle parole e il mio temerario antenato pensò
di averla combinata grossa.
– Ci credo! Si è comportato da vero
sbruffone.
– Il diavolo però,
forse perché la rabbia gli tolse la
capacità di giudizio, decise di credere alle sue parole
e si avviò a grandi
passi verso il paese.
– Quell’incosciente per salvarsi ha messo tutti in pericolo.
– In realtà, il mio antenato aveva fatto una scommessa
con i suoi amici: se per la paura fosse uscito dalla foresta prima del sorgere del sole, tutto il paese, riunito ad
aspettarlo, lo avrebbe accolto con un lancio di letame,
uova marce e pietre.
– Adesso ho capito il suo piano! Che furbastro!
103
– Il diavolo uscì dalla foresta con l’intento di dare
una lezione a tutti quei
pazzi e sconsiderati, ma
fu scambiato per il mio
antenato. La gente del
villaggio cominciò a
fischiare e prenderlo in
giro. Lui rimase immobile per la sorpresa e fu raggiunto dal lancio di pietre. Urlò, sbraitò, minacciò, ma nessuno gli diede retta. Alla fine, dopo aver
emesso un ultimo urlo di rabbia, scomparve nel nulla.
– Quindi il tuo antenato salvò se stesso e il paese intero.
– Proprio così.
– È una bella storia, tuttavia…
Un bel piatto di vongole o… myophorelle?
Gli oggetti che il cantastorie ci indica non lasciano
dubbi: sono piccoli e mostrano tutti chiaramente un
volto diabolico.
Inquietanti davvero, ma a guardar bene notiamo che
tutte queste pietre presentano dei chiari segni di intervento umano e assomigliano proprio ai resti di un piccolo mollusco, la Myophorella
incurva, risalente al periodo
giurassico (190-135 milioni
di anni fa): era un mollusco
dotato di conchiglia e l’impronta della sua cavità
interna ricorda un volto
equino o… diabolico.
Sono bastati solo alcuni
piccoli ritocchi per renderla
una perfetta faccia di pietra!
Spesso nei sedimenti se ne trovano moltissime.
Tuttavia, quando il guscio non è andato distrutto durante i processi di fossilizzazione, il mollusco non ha per
niente l’aspetto di un volto spaventoso, ma quello rasserenante e gustoso di una vongola.
– Tuttavia fai parte anche tu
della schiera degli increduli, ma io ho qualcosa da
mostrati. Quella notte il
diavolo perse letteralmente la faccia e le pietre che lo colpirono lo dimostrano
chiaramente: guarda con i tuoi occhi!
104
105
LUNA E SUCCO DI RAGGI DI SOLE
– Sei stai bene non dovresti essere qui a farmi perdere
tempo e non credere che ti dia informazioni sull’arte
della guarigione. Ci sono talmente tanti ciarlatani in
giro…
Le lingue che caddero dalla luna
– Non voglio rubarle il mestiere, ma sono incuriosito da una
particolare pietra triangolare che si dice cada dal cielo.
CHE STRANO INTRUGLIO: LINGUE DI
Si narra che quando
gli astri si trovano in
particolari posizioni nel
cielo, dalla luna piovano direttamente sul
nostro pianeta strane
pietre triangolari aguzze e taglienti.
Alchimisti e maghi
le hanno raccolte per le
loro proprietà terapeutiche, in grado cioè di
curare svariate malattie. I nomi della maggior parte di
questi raccoglitori si sono perduti, proviamo tuttavia a
cercarne almeno uno recandoci nel tardo medioevo.
Chiediamo qualche informazione per strada e finalmente otteniamo il nome della persona che cercavamo:
Vinicius, un guaritore la cui fama si è diffusa ovunque.
– Buongiorno.
– Buongiorno a te. In che cosa posso servirti? Hai mal di
pancia, ti ha morso un serpente, sei assillato da pulci,
zecche e pidocchi, hai perso il senno…
– Sto benissimo, grazie, non ho bisogno di cure. Volevo solo
chiederle qualche informazione.
106
– Tante pietre cadono dal cielo, ma se mi prometti che
non sei venuto a rubare i miei segreti, ti parlerò delle
lingue di pietra di cui ci fa dono la luna, con molta parsimonia e moderazione, però.
– Grazie e le prometto tutto ciò che vuole.
– D’accordo, allora. Comincio col mostrartene una, la più
grande che possiedo.
Una lingua per ogni occasione
– Caspita!
– Meravigliato, vero? Si tratta di lingue di serpente,
appuntite e pietrificate. Il cielo le manda a noi perché
possano aiutarci a curare tanti nostri mali.
– Riesce a curare le malattie con quel coso?
– Questo “coso” ho
deciso di non usarlo: lo tengo con
me come simbolo
della mia professione. Però ne ho
molte altre di lin-
107
gue di pietra, di ogni forma, colore e dimensione. Uso
solo queste e quando stanno per finire, vado a cercarne
altre. Io so dove trovarle…
– Sono curioso di sapere quali
malattie riesce a curare con queste
“lingue”.
– Ricordati la promessa. Ebbene,
si tratta di una lunga serie:
morsi di serpente, febbri maligne, dolori alla testa, incantesimi
malvagi, vomito…
– Un po’ di tutto, mi pare di capire, ma come si usano?
– Nella maggior parte dei casi vanno ridotte in polvere
che deve essere disciolta nell’acqua e bevuta. In caso di
incantesimi e morsi di serpente, invece, vanno applicate sulla parte colpita dal serpente o dal malocchio e poi
portate al collo con fiducia.
– E chi è un po’ incredulo sulla loro efficacia?
– Peggio per lui, rischia di morire e io
non posso proprio farci nulla.
– Capisco… comunque hanno una
forma che mi ricorda qualcosa:
perché non mi dice dove le ha trovate?
– Adesso vuoi sapere davvero troppo. Ti dico solo questo: si tratta
di una collina fatta di terra
rossa; basta sapere dove scavare e
avere un po’ di fortuna per scovarle.
108
Una “Colonna” della paleontologia moderna
Onestamente, io non mi farei mai curare da un “medico” come Vinicius. Tuttavia, grazie alle sue spiegazioni,
abbiamo iniziato a capire molte cose.
Lo studioso napoletano Fabio Colonna (1567-1640) si
è occupato scientificamente delle lingue di pietra o glossopetrae come venivano a chiamate a quel tempo.
– Signor Colonna, molti suoi antenati, ma
anche tanti suoi contemporanei, dicono
che le glossopetrae sono le lingue di serpente pietrificate che cadono dalla luna
durante le eclissi o altri avvenimenti
celesti.
– Lo so benissimo ed è per questo
che mi sono dato da fare per
capirne di più. È vero che i
nostri anziani sono depositari di
saggezza, però è sempre meglio controllare le cose, guardare con l’occhio della scienza, effettuare confronti…
– E lei li ha fatti, vero?
– Verissimo! Ho scritto addirittura un trattato sull’argomento, pubblicato a Roma nel 1616; l’ho intitolato De
glossopetris dissertatio. Ho esaminato con cura centinaia di
esemplari di glossopetrae prima di esprimermi; d’altra
parte bisogna comprendere che avevo bisogno di prove
certe prima di mettere in dubbio le credenze popolari e
l’uso medico di questi oggetti. Se poi si pensa che…
– Non voglio sembrarle scortese, però perché non ci dice subito
quali sono state le sue conclusioni?
109
– Avete sempre così tanta
fretta dalle tue parti?
Sappi che la fretta è cattiva consigliera ed è assolutamente da evitare nel
mio lavoro. Comunque,
eccoti le conclusioni: non
si tratta per niente di lingue di serpente pietrificate, né
c’entrano in alcun modo con la luna, le eclissi o altro.
– E allora?
– Si tratta di denti, denti di pescecane per essere precisi.
Avevo notato una certa rassomiglianza con i denti di
questi predatori dei mari e allora ho deciso di effettuare
una accurata comparazione. Adesso non ho più alcun
dubbio: si tratta proprio di denti di squalo imprigionati nella terra e nelle rocce, forse a causa della distruzione prodotta dal diluvio universale.
dissectum caput che tradotto suona così: “Dissezione della
testa di un Canis charchariae” cioè di uno squalo.
La sua conclusione fu la stessa di Colonna: i denti
dello squalo e le glossopetre sono la stessa cosa.
Cadde così la credenza sulle capacità
curative delle lingue di pietra.
Tuttavia, ridotte in polvere e bevute, come faceva il nostro Vinicius,
sicuramente funzionavano e funzionerebbero su un lieve
malanno: i bruciori di stomaco.
In effetti le
glossopetre sono costituite anche di carbonato di calcio,
efficace davvero contro l’acidità gastrica.
Meglio però conservare i denti di squalo fossili in un
museo e lasciare al bicarbonato di sodio il compito di renderci meno… acidi.
Lo squalo di Stenone
Denti di squalo!
Fabio Colonna aveva
visto giusto ed è stato il
primo a provarlo scientificamente.
Dopo di lui, altri
scienziati, come il danese Niels Stensen (16381686), da noi conosciuto
come Nicola Stenone, si occuparono di fossili e delle glossopetre. Circa cinquant’anni dopo Colonna, Stenone scrisse un’opera sull’argomento intitolata Canis charchariae
110
Cronache dal passato: il più grande
carnivoro della storia
Venticinque metri di lunghezza, una bocca smisurata e
pinne grandi come vele: in un
mare di diversi milioni di anni
fa si muove solitario il più
grande carnivoro mai comparso
sulla Terra: il Charcharocles megalodon, l’immenso squalo dai
grandi denti.
Probabile progenitore del nostro squalo bianco, che
però supera di circa tre volte, si aggira affamato in cerca di
prede.
Il mare è spietato: per sopravvivere bisogna trovare da
mangiare e cercare di non essere mangiati.
Ma questo non è di certo un suo problema, quanto di
un lungo e sinuoso cetaceo che sta pranzando con un branco di pesci simili alla sardine.
Il Megalodon si muove silenzioso nonostante la mole,
quindi accelera e con un impeto e uno scatto inaspettati si
getta sulla balena che non ha scampo.
Scheletri fantasma
I nostri antenati sapevano
riconoscere i denti dei pesci
conservati nelle rocce e nessuno
li ha mai scambiati per strani
oggetti piovuti dal cielo; perché invece per i denti di squalo
non è stato così?
La causa va probabilmente
ricercata in una caratteristica del gruppo di pesci a cui
appartengono gli squali: sono tutti dotati di uno scheletro cartilagineo (fatto di cartilagine) che, a differenza
dello scheletro osseo degli altri pesci, si decompone facilmente e non lascia quasi alcuna traccia.
In parole povere, mentre i denti di una cernia fossile
si trovano insieme al resto dello scheletro, quelli degli
squali si trovano invece isolati e non collegati ad alcun
altro resto osseo.
A Whitby i serpenti persero la testa…
Ad ogni morso, quintali di carne vengono strappati e
inghiottiti, le ossa vengono triturate e finiscono anch’esse
nel gigantesco stomaco. Su un osso più duro, tuttavia, lo
squalo si spezza un dente che finisce sul fondo sabbioso.
Nessun problema però: allora come oggi, gli squali
hanno i denti a crescita continua e quando ne perdono
uno, subito un altro è pronto a prenderne il posto.
112
La vicenda dei serpenti di Whitby
risale a molti secoli fa e si svolse in
Inghilterra nel periodo in cui viveva santa Hilda (614-680
d.C.). Proprio lì dobbiamo
recarci se vogliamo raccogliere informazioni di
prima mano.
A giudicare dai vestiti, quello che stiamo per
incontrare è un monaco
dell’alto medioevo.
113
– Mi è stato detto che qui
a Whitby sorge una
famosissima abbazia.
– Ti hanno detto bene.
In cima alla scogliera, in quel largo altopiano, santa Hilda
costruì l’abbazia in
cui visse per tanto
tempo.
… rimanendoci di sasso
– E i serpenti se ne andarono?
– In realtà, accade una cosa
ancora più spettacolare:
i serpentelli uscirono
fuori tutti dalle loro
tane e in massa si precipitarono giù dalla
scogliera…
– Se non sbaglio, si racconta una strana storia a questo proposito.
– Si sono gettati volontariamente?
– Strana è dire poco. Devi sapere che quando Hilda ricevette l’incarico di erigere l’abbazia, il luogo prescelto era
infestato da serpenti, piccoli ma temibilissimi.
– Certamente, altrimenti che miracolo
sarebbe stato? Ma le
cose straordinarie non finiscono qui: precipitando persero tutti la testa e raggiunto il fondo della scogliera si
trasformarono in pietra.
– Un bel problema.
– Infatti, tanto più che in mille avevano provato a eliminarli ma senza alcun risultato: più ne uccidevano e più
ne venivano fuori. Una vera e propria maledizione.
– Immagino quindi che il luogo fosse
disabitato.
– Già, nessuno avrebbe osato vivere
in quel posto.
– E allora, l’abbazia?
– Il merito fu proprio di santa Hilda.
Ricevuto l’incarico, si rese conto
della situazione di grave pericolo
causata dai serpenti e allora decise
di ricorrere alla preghiera.
114
– Accipicchia, tuttavia questa storia degli animali diventati
pietre l’ho già sentita altre volte.
– E allora senti anche questa: nello spasimo della morte,
si avvolsero tutti intorno a se stessi e ancora oggi si possono trovare pietrificati e arrotolati nella roccia della
scogliera.
– Davvero? Allora se volessi, potrei vederne qualcuno anche
adesso… mi piacerebbe tanto.
– Se vuoi calarti lungo la scogliera, fai pure. Comunque,
molti serpentelli arrotolati sono stati raccolti da tempo
e possono essere osservati senza pericolo nell’abbazia.
Vuoi vederli?
115
Molluschi a reazione
– Caspita! Chissà che fatica a nuotare con tutto quel peso.
Come non accettare
l’offerta del monaco? E
così saliamo fino all’abbazia, dove ci aspettano i
serpenti pietrificati da
santa Hilda.
Il monaco ce ne
mostra parecchi e qualcuno possiede ancora la testa; però
ci spiega che è stata incisa artificialmente per mostrare
meglio l’aspetto che doveva avere il serpente in vita.
Lo ringraziamo e lo lasciamo al suo lavoro: quei serpenti in realtà ci ricordano altri animali vissuti molto
tempo prima di santa Hilda, diciamo tra 415 e 65 milioni di anni fa.
In un qualsiasi museo geologico-paleontologico è possibile osservare questi antichi organismi. Dobbiamo solo
spalancare gli occhi e soprattutto le orecchie per ascoltare
quanto deve dirci il direttore.
– Direi proprio di no. Erano invece abili nuotatrici e si
spostavano, come tutti i rappresentati del loro gruppo,
con movimenti a reazione all’indietro. Una loro specialità era proprio la conchiglia: essendo dotata di tante
camere stagne che potevano essere riempite e svuotate
di gas, le ammoniti si immergevano e risalivano in
superficie, proprio con lo stesso principio che sfruttano
i nostri sottomarini.
– I fossili esposti in questa vetrina sono tutte ammoniti?
Rivelatori del tempo
– Sì, si tratta proprio delle famose ammoniti, famose
almeno tra noi paleontologi e tra tanti appassionati.
Sono molluschi ormai estinti, parenti dell’attuale
Nautilus, delle seppie, dei polpi, dei calamari…
– E noi che pensavamo di aver inventato chissà che cosa…
invece siamo stati battuti ancora una volta dalla natura.
Su e giù, su e giù, ma per far cosa?
– Noi abbiamo conosciuto le belemniti: c’entrano qualcosa?
– Sicuramente, parenti anch’esse. Sono ammoniti esistite
di ogni forma e dimensione, ma tutte dotate di un
guscio duro quasi sempre avvolto in una tipica spirale;
le più grandi potevano raggiungere addirittura i tre
metri di diametro.
116
– Per cercare il cibo: si nutrivano di pesci e altri animaletti che riuscivano a catturare, ma a loro volta erano
cibo graditissimo per mille altri predatori, pertanto
erano costrette a inseguire e fuggire continuamente.
– Che vita movimentata!
– Ma le ammoniti sono famose anche per un’altra caratteristica: erano così diffuse e differenziate in innumerevo-
117
li forme, in particolare nel periodo Giurassico, che vengono utilizzate dai geologi come ottimi
“fossili guida”, fossili cioè che
permettono di dare un’età alle
rocce in cui sono contenute.
– Abbiamo sentito la leggenda
di santa Hilda e dei serpenti
tramutati in pietra: la conosce
anche lei?
– Sicuramente Hilda fu una santa rispettabile e importante per la sua Inghilterra, ma il miracolo dei serpenti pietrificati che le fu attribuito è solo frutto della fantasia e
possiamo considerarlo una bella leggenda e nulla più.
Tuttavia, proprio a causa di questa leggenda, una particolare ammonite, vissuta nel periodo Giurassico inferiore (180 milioni di anni fa), prese il nome da santa Hilda
ed è tuttora conosciuta nel mondo scientifico come
Hildoceras. Alcuni esemplari sono esposti proprio in
questa vetrina e sono degli ottimi fossili guida.
Al cospetto del dio Ammon
Ma c’è un’altra cosa sulla quale potremmo indagare:
perché a questi molluschi è stato dato questo particolare
nome? E se lo chiedessimo a un antico filosofo greco?
un nostro dio, il culto del quale
abbiamo importato dall’Egitto.
– Qual è il suo nome?
– Che domande: Ammon! Il dio
che gli Egizi chiamano Amun.
– Interessante… in effetti il nome
che mi ha detto è molto simile a
quello di “ammonite”. Come mai le
avete collegate al vostro dio Ammon?
Me lo può descrivere?
– Vuoi che ti elenchi tutte le sue virtù? Ci vorrà del
tempo.
– Non è il caso, mi basta qualche particolare interessante per
la mia indagine.
– Beh, ha un aspetto maestoso, dovuto anche a un bel paio
di corna avvolte strettamente come quelle dei montoni.
Noi lo conosciamo infatti come Ammon, il dio dalle
corna di montone.
Il dio Ammon, certo! Se sfogliamo i primi testi che
parlano di ammoniti, le troviamo descritte come Cornu
Ammonis, cioè “corna di Ammon”. Un’antica moneta greca
risalente al 480 a.C. riporta una scritta che parla proprio
delle ammoniti come “corna di Ammon”, in grado di produrre bei sogni.
– Ne sa niente lei di ammoniti?
– Parli per caso di quelle pietre avvolte a spirale? Noi le
usiamo come rimedio contro l’insonnia: basta metterne
una al capezzale del proprio letto per avere una notte
tranquilla e con sogni gradevoli. Ma questo lo si deve a
118
Paese che vai, ammonite che trovi!
La forma particolare delle ammoniti ha da sempre
incuriosito i popoli di tutto il mondo.
Alcune genti himalaiane avevano come usanza quella
119
– Scusi, posso chiederle che cosa sta mangiando?
– Perché, hai fame anche tu?
– È molto gentile a chiedermelo, ma la mia è solo curiosità.
– In questo momento sto mangiando una zuppa di pesce e
verdure, accompagnata da focacce cotte sulla pietra. Mia
moglie è veramente straordinaria a cucinare il pesce: sa
scegliere con arte le
verdure giuste per
esaltarne il sapore,
poi lo lascia cuocere…
di portarle nei templi perché le ritenevano sacre e le definivano “ruote di dio”. In India erano spesso considerate
delle rappresentanti del dio Visnù.
Per gli indiani d’America erano un dono degli spiriti e portarle addosso rendeva sicuro qualsiasi viaggio,
come credevano anche gli aborigeni australiani.
L’usanza più strana è forse quella di una popolazione
di alcune isole scozzesi che ritenevano le ammoniti utili
contro i crampi dei bovini. Bastava immergerne una in
un secchio pieno d’acqua e poi con quella lavare i bovini
doloranti per ottenere il risultato voluto.
Un piatto di dure lenticchie
Andiamo nei pressi di una della grandi piramidi egiziane, quella di Cheope può andare bene, e facciamo un
salto indietro nel tempo, proprio nel periodo in cui le
piramidi erano in costruzione.
Arriviamo di sera quando gli operai, ormai a corto di
energie, si devono fermare per mangiare qualcosa di energetico e riposare. Proviamo a disturbarne uno.
120
– Mi fa venire l’acquolina in bocca. Lei
lavora alla costruzione della piramide,
vero?
– Certo! Siamo stati chiamati a migliaia per concludere
l’opera il prima possibile, ma sono anni che lavoriamo
e ancora non si vede la fine.
– Oltre al pesce, che cosa mangiate abitualmente?
– Mangiamo due volte al giorno: all’alba, prima che inizi
il duro lavoro, e alla sera prima di prendere sonno. Il
cibo è piuttosto vario e nutriente, altrimenti non
potremmo resistere alla fatica. Oltre al pesce e alle verdure, qualche volta mangiamo anche la carne e poi tante
cipolle e aglio che danno vigore e tolgono le malattie.
– Chissà che odore, ma sono sicuro che non ci fate troppo caso.
Mangiate anche legumi come le lenticchie?
– Li stavo dimenticando: anche i legumi e tante lentic-
121
chie. Sono buone, sai? Mia moglie poi…
– Da come la descrive, deve essere davvero un’ottima cuoca,
però mi dica un’altra cosa: non mangiate mai sulle pietre
che trasportate per costruire la piramide?
– No, però beviamo molto.
– Capisco, il caldo e
la fatica devono
essere esagerati. Io
però volevo sapere
se vi è mai capitato di rovesciare
le lenticchie sulle
pietre da costruzione.
– Che strana domanda. Innanzitutto, come ti ho detto,
mangiamo solo nelle nostre case; inoltre nessuno sarebbe così sciocco da versare il proprio pasto, rimanendo
poi senza cibo.
Pietruzze misteriose
– Il fatto è che nelle pietre delle piramidi, sono state trovate
tante piccole pietre di forma particolare che ricordano le lenticchie, e qualcuno ha perfino affermato che si tratta dei
resti dei pasti di voi operai egiziani.
– Stupidaggini! Ma, forse ho capito di che cosa si tratta.
Ti faccio vedere anche subito, se vuoi. Tanto ho finito
di mangiare.
– Questo è uno dei blocchi che usate per la costruzione della
piramide, vero? È gigantesco!
122
– Esatto, domani dovremo versare molto sudore per portarlo lassù in cima. Ma adesso guarda con attenzione:
dimmi, cosa vedi?
– Sembrano proprio lenticchie! Un mucchio di lenticchie, piccole e grandi.
– Non so cosa siano, però ti assicuro che non si tratta di
lenticchie: sono troppo dure e poi, nella cava dove vengono estratti questi blocchi, tutta la roccia è piena di
queste pietruzze tondeggianti. Spesso si
trovano anche strane conchiglie.
Vegetali o animali?
Lasciamo andare a riposare
l’operaio perché lo aspetta un
altro giorno di duro lavoro.
Concentriamoci invece sulle
“lenticchie di pietra”, come erano
considerate qualche secolo fa dai nostri antenati, e domandiamoci se hanno davvero a che fare con questi legumi.
Lo scienziato Jacopo Bartolomeo Beccari (1682-1766)
potrebbe esserci di aiuto, visto che fu il primo ad occuparsi in modo scientifico di alcuni piccoli organismi che forse
possono chiarirci molte cose.
– Professore, può darci una mano a risolvere il problema delle
lenticchie delle piramidi?
– Solo gli sciocchi potrebbero credere a una simile fandonia.
– Non sia così duro, tutto sommato chi ha pensato queste cose
è vissuto in tempi lontani.
123
– Lontani? Che dire allora del filosofo greco Erodoto che
già nel V secolo d.C. parlava delle conchiglie ritrovate
nelle piramidi egizie in modo corretto? Per lui erano
resti di antichi organismi.
– Peccato che poi le sue parole siano state dimenticate.
– Lasciamo perdere. Io ho studiato al microscopio alcuni
piccolissimi gusci di organismi che vivono attualmente
nei nostri mari. Si tratta di “foraminiferi”, parola che
letteralmente vuol dire “portatore di forellini”. In effetti, l’interno del loro
guscio è pieno di piccole camerette, simili a minuscoli buchi.
Monete preistoriche
– Può descrivere meglio questi
organismi?
– Sono animali unicellulari,
capaci di costruirsi un guscio duro e resistente. Alla
loro morte, tutto si decompone e si dissolve tranne il
guscio che può essere osservato anche dopo anni e anni.
– Ma nelle piramidi abbiamo visto gusci abbastanza grossi e
di forma circolare, come delle piccole monete.
– Sicuro, gli stessi di cui ci parla Erodoto: si tratta di
nummuliti.
– Nummuliti? Che stano nome.
– Deriva dal latino nummulus che vuol dire “monetina”,
proprio la forma che ricordano questi particolari foraminiferi.
124
Caso risolto! E anche questa volta è proprio in un
museo che troviamo conferma alle parole del prof. Beccari:
nelle rocce delle piramidi egiziane sono presenti grandi
quantità di foraminiferi fossili detti “nummuliti”, vissuti
all’inizio dell’era Cenozoica (da
65 a 23,5 milioni di anni fa).
Alcuni superavano sorprendentemente i dieci centimetri
di diametro, un vero record per
un organismo unicellulare.
Erano talmente specializzati
e avevano forme tanto differenti
che sono usati come fossili
guida dell’era Cenozoica.
Quindi, per gli antichi egiziani niente lenticchie mangiate sulle piramidi e nemmeno zuppa di nummuliti visto che erano già estinte e pietrificate da milioni di anni.
Succo di raggi di sole
L’ambra è una pietra molto conosciuta sia scientificamente sia da un punto di vista ornamentale, visto che se
ne ricavano splendidi e ricercati gioielli. Per le sue caratteristiche inconsuete, l’ambra ha riscosso molto successo
nelle leggende e nei miti.
Se vogliamo ascoltare il mito più conosciuto, dobbiamo rivolgerci al poeta latino Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.)
che ne parla proprio nel suo libro Le Metamorfosi.
– Salve. Sappiamo che ha scritto molti poemi, ma a noi interessa quello che riguarda l’ambra.
125
– Una pietra straordinaria che non poteva avere che origini divine.
– Sta parlando degli dèi dell’Olimpo, immagino.
– Esatto. Devi sapere che Apollo, il dio del sole, ha sempre avuto il compito di guidare il carro di fuoco, trainato da cavalli impetuosi. In questo modo permette al
sole di sorgere, di attraversare il cielo da est a ovest e
quindi di tramontare.
– Molto poetico, anche se mi
sembra complicato trascinare
un astro su un carro.
– Nulla è impossibile agli dèi,
nemmeno avere un figlio un
po’… come dire, scavezzacollo e imprudente.
non credevano che fosse figlio di Apollo e lo prendevano in giro. Il giovane allora decise di farsi vedere alla
guida del carro del sole per zittirli una volta e per tutte.
– E Apollo cedette, giusto?
Una prova ardente
– Il figlio del dio del sole avrà
avuto sicuramente un bellissimo nome.
– Sì, ma se ne dovette pentire. Il giovane infatti, per farsi
vedere bene alla guida del carro, decise di avvicinarsi
alla terra il più possibile, senza accorgersi che ogni cosa
al suo passaggio prendeva fuoco.
– Si chiamava Fetonte.
– Ma qualcuno riuscì a fermarlo, spero.
– Non discuto sui gusti degli dèi, anche se questo nome non mi
sembra un granché. Mi dica piuttosto che cosa combinò, sono
molto curioso.
– Sì, Zeus! Il padre degli dèi, nonostante amasse Apollo
e il suo figliolo, per fermarlo prima che tutta la terra
ardesse fra le fiamme non poté fare altro che scagliargli
contro una saetta.
– Convinse suo padre a fargli guidare il carro per un solo
giorno, anche se era un’impresa davvero difficile.
– Non gli avrà ammaccato il carro…
– Non essere impertinente e ascolta. Gli amici di Fetonte
126
– Accipicchia, che metodi drastici!
– Non c’era altro modo per intervenire in fretta. Il povero Fetonte fu scaraventato fuori dal carro che riprese il
127
– Professore, può dirci che cos’è esattamente
l’ambra?
– Resina, nient’altro che resina.
– Come quella appiccicosa che cola
dagli abeti?
suo corso normale. Il giovane invece, con i capelli in
fiamme, precipitò nel vuoto e alla fine cadde nel fiume
Eridano, quello che voi chiamate Po, scomparendo per
sempre.
– Esatto, solo che questa ormai
non appiccica più. Infatti si è fossilizzata, perdendo
alcune sue caratteristiche originali e acquisendone altre.
Adesso, ad esempio, è dura e resistente. Un’altra sua
importante proprietà era conosciuta già nel 600 a.C.
– Ah sì? E quale?
– Che tragico destino.
– Se la strofini, si carica elettricamente e attira piccoli corpi.
Fu il filosofo Talete di Mileto (634-547 a.C.) a scoprirlo.
– Già e le sue tre sorelle, le Eliadi, piansero fiumi di lacrime, senza sosta. Zeus, impietosito, per calmare il loro
dolore le tramutò in pioppi lungo le rive del fiume.
– Ho capito! È la stessa cosa che accade alla mia penna di
plastica quando la strofino su un maglione e poi la avvicino a un pezzettino di carta: la carta “vola” verso la penna!
– Decisione discutibile, a mio parere.
– Proprio così. Per questo il
nome greco dell’ambra era
elektron, da cui deriva anche il
termine odierno “elettricità”.
– Le tre sorelle, tuttavia, continuarono a lacrimare dai
tronchi e il loro padre Apollo, dio del sole, trasformò
quelle lacrime in gocce dorate di ambra.
E se fossero davvero “lacrime”?
L’ambra è un materiale dalle molteplici proprietà, conosciuto da tempi remoti, visto che si ritrova facilmente in
alcune rocce o per effetto dell’erosione sul greto dei fiumi.
Ma che cos’è l’ambra? Forse il prof. James Dwight
Dana (1813-1895), geologo e mineralogista di fama mondiale, potrebbe rispondere a questa domanda.
128
– Straordinario! Ma ritornando
all’origine dell’ambra, mi conferma che si tratta di “lacrime”
resinose di antichi abeti?
– Non credo che fossero abeti,
però forse erano lontani
parenti, conifere insomma.
129
Imprigionati ma in bella vista
– Integri?
– Ambra… che strano nome le avete dato.
– Conservazione “in toto”,
dicono i paleontologi. In
molti frammenti di ambra
si possono osservare splendidi insetti che sembrano
ancora vivi. Sono stati trovati addirittura piccoli vertebrati, come le lucertole.
– Ambra è un termine antico e deriva dall’arabo anbar. In
realtà con questo nome si indicava una sostanza cerosa,
aromatica, prodotta dallo stomaco dei capodogli; si rinviene in mare sulla cui superficie galleggia essendo più
leggera. Niente a che fare però con l’ambra fossile,
nonostante quella dei capodogli venga chiamata
“ambra grigia”.
– Un bel disguido.
– E non è l’unico. L’ambra fossile la si ritrova un po’ dappertutto nel mondo, ma quella più abbondante proviene dal Baltico, nel nord dell’Europa. È leggermente
diversa dalle altre e per renderla più facilmente riconoscibile ho proposto per lei un nuovo nome: “succinite”.
– Perché succinite?
– Semplice, deriva dalla parola succinum, con il quale gli
antichi Romani chiamavano l’ambra.
– Ricapitolando, la chiamate
“ambra fossile” perché è un resto
di un antico organismo, giusto?
– Sicuramente. Però, quando la
resina scorre sui tronchi degli
alberi è fluida e appiccicosa, in
grado di catturare e ricoprire
qualsiasi piccolo essere vivente
si trovi sul suo percorso. Gli animaletti, intrappolati al
suo interno, vengono protetti dalla decomposizione e
conservati integri per milioni di anni.
130
I segreti dell’ambra
Non c’è praticamente museo di storia naturale al
mondo che non esponga un frammento di ambra contenente un insetto. In Svezia è possibile ammirare il campione di ambra più grosso mai estratto: circa 10,5 chili.
I famosi film della serie “Jurassic Park” sono nati da
una serie di considerazioni: le zanzare vivevano anche al
tempo dei dinosauri; una o più di loro potrebbero aver
succhiato il sangue di un dinosauro ed essere state
intrappolate nell’ambra; dentro i loro corpi potrebbero
ancora contenere parte o tutto il DNA del rettile stesso;
partendo infine da questo
DNA, si potrebbero ricreare copie in carne e ossa dei
dinosauri.
Per adesso si tratta evidentemente solo di fantascienza, tuttavia l’ambra
sembra proprio un fantastico contenitore di segreti
tutti da scoprire.
131
Cronache dal passato: una prigione dorata
Il sole è alto nel cielo e fa capolino in una foresta di
conifere di trenta milioni di anni fa. Sulla corteccia di un
albero sta acquattato da chissà quanto
tempo un grasso ragno salticidae, uno di
quelli cioè che non
costruiscono la ragnatela,
ma restano in agguato,
pronti a spiccare un balzo
e ghermire inaspettatamente la preda.
Non è detto che la
giornata si riveli fruttuosa
per il ragno e possono
passare giorni prima che
riesca a catturare qualcosa
di decentemente grosso; ma pare che questa sia la sua giornata fortunata: una mosca pasciuta ha deciso di fare le
pulizie a due passi dal predatore.
Il ragno aspetta il momento opportuno e, dopo aver
calcolato la distanza, spicca uno dei suoi caratteristici
balzi.
Forse per colpa di un raggio di
sole dispettoso o forse intorpidito per
aver aspettato immobile così a lungo,
il ragno fallisce il suo
assalto e finisce in una
strana macchia collosa.
La mosca ringrazia per
la fortuna e si dilegua ronzando tra le ombre della
foresta.
Il ragno è abituato all’immobilità, ma questa è
un’esperienza completamente nuova: non riesce a staccare le zampe dal tronco e più ci prova più si sente
appiccicare irrimediabilmente.
Di lì a poco, un nuovo fiotto di resina profumata cola
lungo il tronco e ricopre completamente il piccolo ragno,
racchiudendolo in una splendida ma mortale prigione
dorata.
133
PROVE DI CREAZIONE E SCHERZI
DELLA NATURA
Scherzi della
natura o scherzi
e basta?
Questa storia
risale al XVII
secolo quando un
professore dell’università tedesca di Wurzburg, un certo
Johann Beringer, fece una serie di spettacolari scoperte.
– Prof. Beringer, sarebbe così gentile da raccontarci la sua
vicenda?
– Avrei voluto dimenticare tutta questa storia, ma non
credo che sarà mai possibile. Mi ha perseguitato per
tutta la vita e così sarà per i secoli a venire.
– Mi dispiace che sia così amareggiato,
ma perché non ce ne parla?
– Tanto ormai… Ebbene, stavo
compiendo una esplorazione
in una cava nelle vicinanze
dell’università, quando mi
imbattei in una pietra “spettacolare” a dir poco.
– Di cosa si trattava?
– Un blocco argilloso sul quale
134
si vedeva chiaramente una
forma animale. Aveva un
corpo allungato e ritorto, terminante con due piccole
braccia e una testa con due
occhietti e due antenne.
– Un fossile, insomma.
– Un fossile, sì, ma stranissimo. Non fu l’unico che trovai
quel giorno e ognuno era una
vera sorpresa.
– Immagino la sua soddisfazione.
– Ah, certo, quei momenti furono i più soddisfacenti
della mia carriera professionale; ero davvero al settimo
cielo, come si dice. Senza contare che nei giorni e nelle
settimane seguenti le scoperte si moltiplicarono.
– Sempre fossili “strani”?
– Sempre più strani: ragni con le ragnatele, insetti di
ogni tipo, forma e dimensione; piccoli rettili, anfibi in
ogni posa, vermi, molluschi completi di guscio e parti
molli, uccelli pronti a spiccare il volo, fiori che parevano ancora in vita…
– Caspita! Sarebbero stati la gioia di qualunque studioso.
– E anche la mia, almeno all’inizio.
– Ne parlò con i suoi colleghi?
– Ma è ovvio! Ebbi lunghe discussioni con molti di loro.
A mio parere quelle forme stavano a indicare una cosa
chiara…
135
– Che un tempo esistevano organismi diversi da quelli attuali!
– Ti ci metti anche tu? Erano forme troppo strane che non
avrebbero mai potuto vivere; in realtà erano lì per dimostrare una cosa sola, come andavo ipotizzando ormai da
tanto tempo, e su quella teoria basai tutte le mie discussioni e battaglie.
– Assolutamente no, anche se in molti provarono a convincermi: per me erano solo invidiosi delle mie scoperte. E allora non mi fermai, così scrissi e pubblicai quella che doveva diventare l’opera più importante mai
scritta prima di allora: la Lithographia Wirceburgensis!
Un imbroglio ben architettato
Una brutta copia del
mondo
– Come andarono a finire
le cose, professore?
– E quali erano queste sue
idee?
– Malissimo! Come hai
pensato anche tu,
quei resti non erano
altro che il frutto
di un terribile
imbroglio, una truffa malvagia, una
frode talmente inaudita che non volli crederla possibile.
– Semplice: il Creatore,
prima di iniziare la sua
opera definitiva, aveva
fatto numerose prove
che gli servirono da
modello per creare la vita come la conosciamo oggi. I
fossili non sono nient’altro che questo.
– Una tesi piuttosto difficile da dimostrare.
– E invece no: io avevo quei resti così particolari tra le
mani! Pensa che rinvenni perfino delle lettere dell’alfabeto greco ed ebraico e altri strani segni.
– Davvero? Sembra impossibile.
– Infatti! Ma visto che le lettere dell’alfabeto non possono
fossilizzarsi e pietrificarsi spontaneamente, erano lì a
confermare quanto allora credevo giusto.
– Ma non le è venuto il sospetto che potesse essere lo scherzo di
qualcuno?
136
– Saranno stati i suoi studenti in vena di scherzi goliardici,
immagino.
– Così pensarono in molti. Invece fu addirittura opera di
due miei colleghi: Ignatz Roderick, professore di matematica, e Georg von Eckart, ministro e bibliotecario
dell’università.
– Concordo con lei, fu proprio uno scherzo di pessimo gusto.
Però, deve ammettere che le sue tesi erano un po’… come
dire, originali.
– Non ho più voglia di commentare. Fatto sta che passai
il resto della mia vita nel tentativo di ritirare dalla circolazione tutti i libri che avevo fatto stampare, ma non
credo di esserci riuscito.
137
Lasciamo il povero prof.
Beringer alle sue amare considerazioni. Aggiungiamo solo che, dopo
la sua morte, la richiesta del suo
libro, che possedeva tra l’altro
delle splendide tavole illustrate, divenne pressante. I suoi
eredi rivenderono quindi le
copie da lui sequestrate e l’editore
fu costretto a stamparne molte altre.
Il suo libro divenne un “best seller” dell’epoca ma
non credo che questa notizia possa risollevargli il morale
e quindi non glielo diremo.
Il periodo in cui visse Beringer era in effetti pieno di
contraddizioni e se da una parte vi erano ormai interpretazioni corrette sull’origine dei fossili, dall’altra sopravvivevano ancora strane spiegazioni.
Molti di loro, però, ci avevano visto
giusto; tra questi Ristoro d’Arezzo (XIII
secolo), monaco e grande studioso del mondo naturale,
autore della voluminosa opera
Della composizione del mondo.
Anche la natura si
diverte
– Tanti miei contemporanei credono che la
natura si diverta a
scherzare con la creazione. Chiamano lusus
naturae, “scherzi della
natura”, i fossili.
Nelle rocce sedimentarie, e
solo in quelle, si trovano spesso
tanti resti dalle forme note o
meno note che noi moderni non
facciamo fatica a riconoscere
come resti di organismi, anche
se ormai pietrificati.
Abbiamo visto che spesso
gli antichi, non sapendo come
spiegare la natura dei fossili,
hanno fatto nascere miti e leggende alle quali, in fondo,
ci siamo affezionati.
138
– Se possiamo rubarle un po’ di
tempo, potrebbe dirci qualcosa su
tutti quei resti che si trovano nelle rocce e che ricordano organismi attualmente viventi?
– Fossilia! Ne ho scavati diversi nelle terre di Toscana. Mi
hanno molto incuriosito.
Con Ristoro non si scherza
– Benissimo! E che ne pensa?
– Una natura burlona,
carina questa: non l’avevo ancora sentita.
– Altri ritengono che la natura abbia provato e provi
ancora a imitare il nostro Creatore e così i fossili sono il
prodotto di una vis formativa, cioè di una forza interna
alla terra che nel tentativo di imitare i viventi ne produce solo brutte copie inanimate e pietrificate.
139
– Da mattacchiona a “copiona”: la natura ne esce proprio conciata male.
– Tante volte mi sono chiesto anch’io che cosa fossero quegli oggetti pietrificati. Ah, saperlo! Tuttavia…
– La prego, ci dica che cosa sono i fossili per lei.
– Ho osservato la sabbia delle spiagge e ho notato come
sia spesso ricoperta di conchiglie. Anche scavando nei
terreni e nelle rocce se ne trovano di ogni forma e tipo.
“Lapis stellaris” ovvero sotto l’influsso delle stelle
Ancora oggi troppi di noi credono di essere sotto l’influsso delle stelle. Nonostante la maggiore diffusione del
pensiero scientifico e della tecnologia, c’è ancora chi si fida
di maghi o cartomanti. Molti criticano il medioevo, ma
magari solo un attimo prima hanno verificato quale destino gli riserva l’oroscopo del giorno! Siamo decisamente
contraddittori… ora, però, andiamo nel XIII secolo,
abbiamo appuntamento proprio con un astrologo.
– E allora?
– E allora io penso
che un tempo
fossero tutti vivi
come lo siamo
noi adesso. Poi
deve essere successo qualcosa di
catastrofico, forse
proprio il diluvio
universale: tutti furono trasportati lontano dal luogo in
cui vissero e infine ricoperti dalle argille e dalle sabbie
marine. Il tempo ha fatto il resto, trasformando in pietra ogni essere un tempo vivente.
Ristoro d’Arezzo, a parte il diluvio universale, fu uno
dei primi a vederci chiaro e a scartare le ipotesi fantasiose
sull’origine dei fossili e sulla natura in vena di scherzi.
Tuttavia, la sua teoria non venne accettata da tutti e ci vollero molti secoli per eliminare dalle scienze ogni ipotesi
fantastica sui fossili.
A lungo durarono anche quelle relative alle rocce stellate e alle rondini di pietra.
140
– Scusi, so che lei si occupa di leggere le vicende degli uomini
interrogando gli astri.
– Verissimo! Sono un rinomato astrologo, alchimista e
medico. Che cosa vuoi sapere?
– Che strana mescolanza di mestieri… Lasci perdere e mi
spieghi gentilmente una cosa: è possibile che le stelle abbiano un influsso anche sulle pietre?
– Che domande! Certo che è così. Io preparo le mie medicine solo dopo aver interrogato gli astri. Raccolgo erbe
e minerali quando le stelle sono propizie e le loro proprietà al massimo grado.
– È difficile credere che oggetti così lontani nello spazio possano aver qualche influsso su di noi.
141
– Lontani? Ma se sono lì nella volta celeste. Sei proprio
strano, sai.
– Sì, ha ragione, in effetti siamo nel medioevo. Piuttosto, ho
sentito parlare di pietre molto speciali che sono nate proprio
sotto l’influsso delle stelle.
– Ho capito di cosa parli e hai fatto bene a ricordarmi la
loro esistenza. Mi domando allora perché dubiti che le
nostre vite dipendano anche dagli astri. Ma non sei
l’unico, figurati che un mio contemporaneo, un certo
Ristoro d’Arezzo, ritiene che i fossili siano resti di organismi trasportati insieme con i sedimenti a formare
rilievi ad opera di acque di un diluvio. Ridicolo, non
credi?
– Capita, ma spesso sono tenacemente immerse nella roccia e bisogna faticare per estrarle. Pensa che tempo fa a
colpi di martello e scalpello sono riuscito a tirarne fuori
parecchie decine in una sola volta. Le stelline di pietra
erano attaccate una
all’altra a formare uno
strano e lungo peduncolo. Scommetto che la
causa fu una stella
cometa.
– Ipotesi suggestiva e interessante. Quindi lei è
convinto che sono le stelle a modellare la pietra.
– Non tanto, però io vorrei che ci parlasse delle pietre-stelle…
– Proprio così, non ho dubbi.
– Farò di più, te le mostrerò. Guarda pure con i tuoi occhi
e togliti ogni dubbio.
– Ma che uso ne fa di quegli oggetti?
– Noi le chiamiamo Lapis stellaris e sono degli specialissimi amuleti contro diversi malanni.
Estrazioni stellari
– In effetti hanno proprio la forma di
piccole stelle.
– Certo, durante particolari notti l’influsso degli astri è talmente forte che
perfino le pietre ne rimango colpite.
– Stelle pietrificate… Scusi se sono scettico, ma di pietre strane ne ho viste fin troppe.
– Anch’io ne ho viste molte di “pietre strane” e la forma
di queste dichiara indiscutibilmente la loro origine.
– Le trova così, libere sul terreno?
142
Fiori acquatici
A parte le spiegazioni poco scientifiche che abbiamo
sentito sull’origine delle pietre-stella, credo che un paleontologo non avrebbe potuto descrivere meglio l’estrazione di un fossile dalla roccia.
Già, perché proprio di fossili si tratta. Quello descritto dall’astrologo medioevale era un antico organismo di
un tipo particolare che ha discendenti tuttora viventi: i
“crinoidi”, conosciuti anche come “gigli di mare”.
A volte possiedono una forma stellata, più spesso le
singole parti hanno un aspetto di piccoli cilindri più o
143
meno schiacciati.
Questi hanno dato origine in
Germania a un’altra leggenda,
quella delle monetine di san
Bonifacio.
Intorno al 700 d.C., il santo,
in missione in Turingia, regione
della antica Germania che desiderava cristianizzare, punì i nobili ricchi e malvagi trasformando in pietra tutte le loro monete d’oro. Queste sono
ancora lì a testimoniare la punizione divina.
Possiede degli organi di presa con i quali si è fissato
al tronco che usa come mezzo di trasporto. Il lungo
peduncolo è costituito da moltissimi pezzettini, detti
articoli, legati l’uno all’altro e di forma pentagonale, tipica del gruppo, vere e proprie stelle a cinque punte.
I ramoscelli non sono altro che braccia tentacolari con
le quali il giglio spinge i piccoli organismi contenuti
nell’acqua verso la bocca posta al centro del pennacchio.
Alla sua morte, potrà conservarsi integro nei sedimenti o molto più probabilmente si disarticolerà completamente ad opera delle onde. A noi giungerà solo una
bella manciata di stelline di pietra.
Cronache dal passato: gli affamatissimi gigli
di mare
Un volo di rondini
nell’uragano
Un tronco affiora
sulla superficie del mare
di 160 milioni di anni
fa. Le acque non sono
molto agitate e il sole
brilla forte nel cielo.
Sotto il pelo dell’azzurissima acqua, qualcosa pende dal tronco, apparentemente inerte. È uno strano organismo che sembra aver piantato profonde radici nel
vegetale. Un lungo stelo porta verso la cima un grosso
pennacchio costituito da una miriade di ramoscelli.
Si lascia cullare dalle onde, ma quelli che avevamo
scambiato per ramoscelli si stanno muovendo e creano un
mulinello d’acqua che finisce al centro del pennacchio.
Si tratta di un giglio di mare, un crinoide del genere
Pentacrinus, un animale e non una pianta!
Dobbiamo andare nella Cina
del V secolo d.C. perché si è da
poco verificato uno stranissimo
fenomeno.
– Onorevole Li Tao-Yuan, ho saputo
che lei è uno studioso della natura, è così?
– Sì, ma non solo di quella. La natura non è altro che una
manifestazione dello spirito e io studio anche questo.
– Complicato, ma interessante. Io però volevo chiederle un’altra cosa…
– Non dirmi che vuoi sapere anche tu delle rondini di
pietra.
– È una cosa disdicevole e sconveniente per un onorevole studioso come lei?
145
– No, è solamente noioso: le persone che mi hanno chiesto di parlarne sono così tante che se le mettessi in fila
eguaglierebbero la nostra grande muraglia cinese.
addirittura un uragano. La pioggia cadeva scrosciante, i
lampi e i tuoni sconquassavano il cielo. Poi insieme alla
pioggia iniziò a piovere fango.
– Vorrà dire che con me batteremo
il record superandola.
– Lei racconta proprio bene: mi sembra di vivere quell’evento
spaventoso. Però, che cosa c’entra con le rondini di pietra?
– Vedo che non ti manca l’ironia e che non ti arrendi facilmente, credo che ti meriti
una risposta e ti racconterò
ciò che vuoi sapere.
– Ebbene, come se fossero
state svegliate dal frastuono, riempite di
energia dai tuoni e dai
fulmini, molte rondini
di pietra presero il volo
e caddero infine sul
nostro villaggio una
volta finita la tempesta.
– Grazie, onorevole studioso.
– Basta con questo “onorevole” e ascolta. Nei terreni
della mia provincia spesso si trovano dei piccoli e strani oggetti in pietra, del tutto simili a piccole rondini
con le ali spiegate.
Racconti leggendari…
– Allora è vero…
– Verissimo! Ne esistono di
due tipi: una piccola e con le
ali sottili e una grande, con
ali possenti e massicce. Forse
queste ultime sono i genitori e gli altri i piccoli figli.
– I pulcini con papà e mamma, carino questo fatto.
– Ma la cosa straordinaria è accaduta non molto tempo fa.
Era una notte strana e un rumore di temporale si avvicinava velocemente nella nostra direzione; poi scoppiò
146
– Vuole dirmi che avete trovato le rondini di pietra
fuori dalle vostre abitazioni?
– Proprio così! Le conservo ancora tutte a casa mia: le
posso mostrare in qualsiasi momento.
… e spiegazioni scientifiche
Non possiamo di certo mettere in dubbio la parola
dell’onorevole Li Tao-Yuan, almeno non davanti a lui.
Chiunque però avrebbe potuto raccogliere le rondini
dalle rocce e affermare che fossero piovute dal cielo.
Tuttavia, nel suo racconto si parla di fango caduto
con la pioggia. Il furioso uragano potrebbe aver sollevato
fango, sassi e con essi le rondini di pietra, e averle trasportate fino al villaggio, lasciandole cadere quando la sua
energia si esaurì.
147
Ma rimane una domanda: che cosa sono in realtà le
rondini di pietra? Vi ricordate che abbiamo fatto la conoscenza di un paleontologo in un museo?
Rivolgiamoci nuovamente a lui.
– La storia delle rondini di pietra è poetica e affascinante, ma
di che cosa si tratta in realtà?
– Di un organismo molto particolare, appartenente al
gruppo dei brachiopodi.
– Brachiopodi? Mai sentiti nominare.
– Sappi che sono animali ancora viventi anche se ne esistono poche specie. Possiedono una conchiglia fatta da
due valve…
Spirifer
– Ma allora sono i molluschi bivalvi come le cozze, le vongole…
– E no! Se vuoi si assomigliano, ma niente di più. Le rondini di pietra sono un particolare tipo di brachiopodi vissuto parecchie centinaia di milioni di anni fa. Noi studiosi lo chiamiamo Spirifer e ne esistono diverse specie.
148
In effetti, la loro conchiglia che si apre in due ampie ali,
ricorda un uccello in volo. Ma i brachiopodi non hanno
mai volato, anche perché vivono in fondo al mare, in
molti casi a notevoli profondità.
I miti e le strane interpretazioni
appartengono solo al passato?
Ormai abbiamo capito che
la storia della paleontologia è
ricca di racconti fantastici,
molto spesso affascinanti e poetici, ma assolutamente lontani
dalla realtà.
Sorridiamo pensando all’ingenuità dei nostri antenati che credevano al volo delle rondini di pietra, al demonio che fuma
sigari o si taglia le unghie, ai giganti e ai Ciclopi.
Ma siamo sicuri che oggi non costruiamo più interpretazioni fantastiche?
Abbiamo già detto di quanto l’astrologia o la cartomanzia siano presenti anche oggi, quindi non dovremmo
meravigliarci quando ci viene spiegato che, ad esempio, le
incisioni di Nazca sono state realizzate da extra-terrestri.
Nel 1939 una flotta aerea che sorvolava la pianura
desertica del Perù notò sul suolo la presenza di strane
linee, sicuramente tracciate da esseri umani.
Se saliamo su una mongolfiera e raggiungiamo una
discreta altezza, ecco comparire animali come una scimmia, un ragno, un colibrì, una balena o una formica; ma
anche fiori, mani… Per la maggior parte si tratta di strane
149
figure geometriche, tutte di
enormi dimensioni.
Veramente straordinario,
ma chi le ha realizzate?
Gli autori sono quasi certamente gli indios Nazca, una
popolazione più antica degli
Inca: risalgono a un periodo
che va probabilmente dal 500
a.C. al 500 - 600 d.C., prima
quindi della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo.
Era un popolo di semplici agricoltori che non ha però
lasciato discendenti o testimonianze scritte, solo qualche
reperto nelle migliaia di tombe scoperte; per cui i veri
motivi che li hanno spinti a intraprendere un lavoro così
immenso non sono ancora chiari, anche se qualche ipotesi
è stata fatta.
Tuttavia qualcuno, rapito sicuramente dal fascino di queste
immagini, si è sbilanciato a tal
punto da ipotizzare un legame con
esseri venuti dallo spazio; in effetti
i grandi disegni possono essere
“gustati” bene, nella loro interezza, solo dall’alto e alcuni possono
essere interpretati come piste di
atterraggio di veicoli spaziali.
Un’immagine, poi, è stata
descritta come la rappresentazione
di un extraterrestre con tanto di casco e tuta spaziale.
Ma l’immaginazione di noi uomini del duemila non si
150
ferma qui e allora ecco nascere ipotesi fantasiose sulle piramidi egiziane, sulla civiltà di Atlantide, sul tempio megalitico di Stonehenge in Inghilterra, sui cerchi e altre figure geometriche nel grano, sulle statue dell’isola di Pasqua,
sul famigerato triangolo delle Bermuda, sul mostro di
Lochness ecc.
E non dimentichiamoci dei continui avvistamenti di
ufo nel cielo o degli incontri ravvicinati del terzo tipo con
gli extra-terrestri.
L’uomo non è per nulla cambiato e lì dove le spiegazioni scientifiche non sono ancora del tutto arrivate, dove
rimane ancora qualche angolo buio da scoprire e spiegare,
immediatamente sorgono racconti fantastici e improbabili. È forse questa una delle caratteristiche più straordinarie
di noi esseri umani: saper ritornare bambini per provare il
piacere, anche solo per un momento, di vivere al di là della
realtà.
L’importante è rimettere in fretta i piedi per terra
quando le circostanze lo richiedono.
151
UN FOSSILE PER OGNI MOSTRO
In questa parte di Fossili e Dinosauri trovi delle schede di approfondimento con semplici ed essenziali informazioni scientifiche sui fossili trattati nel libro.
Alcuni sono antichi animali molto conosciuti –
mammut e dinosauri –, altri sono organismi meno noti
come sirenidi, belemniti o brachiopodi.
Siccome alcuni erano giganteschi, oltre al centimetro
(cm) e al grammo (g), vengono utilizzate altre unità di
misura: il metro (1 m = 100 cm) per la lunghezza, il quintale (1 q = 100 kg) e la tonnellata (1 t = 1000 kg, cioè
più del peso di tutti i vostri compagni di classe messi
insieme!) per il peso.
Nelle schede il nome del fossile è preceduto dal
“mostro” per cui è stato scambiato: come abbiamo visto,
infatti, i nostri antenati pensavano che le enormi ossa di
mammut o il teschio terribile di un dinosauro appartenessero a strane creature: draghi, demoni, sirene… Ma si
trattava solo di interpretazioni fantastiche!
Oggi sappiamo dell’esistenza degli animali preistorici grazie al lavoro degli scienziati che cercano di risalire
al loro aspetto usando il metodo scientifico: paragonano i
fossili agli esseri viventi attuali e infine propongono delle
ricostruzioni il più attendibili possibile.
Così scopriamo che i draghi erano in realtà dinosauri, giraffe o rinoceronti dell’era glaciale; che i giganti
erano elefanti nani e i sigari del diavolo degli umili e
innocui molluschi.
153
1. Ciclopi = Elefanti nani
Nelle isole del Mediterraneo, durante il
Pleistocene, vivevano mammiferi diversi da
quelli continentali. L’Elephas falconeri era
un elefante alto al massimo 90 cm, comparso circa 500.000 anni fa. L’Elephas mnaidriensis, apparso 200.000 anni fa, era più grande del precedente (180
cm circa), ma pur sempre piccolo rispetto all’Elephas
antiquus, loro progenitore alto più di 4 m. Oltre ad animali nani, in queste isole vivevano anche mammiferi
giganti, come il ghiro Leithia melitensis, quattro volte
più grande dei ghiri attuali. Per adattarsi all’ambiente
“isolato”, alla carenza di cibo e all’assenza di grandi predatori, questi animali hanno dovuto modificare nel
tempo le loro dimensioni, rimpicciolendole (nanismo) o
aumentandole (gigantismo).
3. Abominevoli uomini =
Gigantopithecus
Gigantopithecus blackii fu un genere
di scimmia antropomorfa (cioè dalle sembianze umane) vissuta tra 5 milioni e
100.000 anni fa in un territorio comprendente l’attuale
Cina, l’India e il Vietnam. Probabilmente nel nord
dell’India e in parte della Cina viveva anche un’altra specie molto simile: il Gigantophitecus giganteus.
Queste scimmie avevano dimensioni straordinarie:
con i loro 3 m di altezza e 500 kg di peso sono le più
grandi mai esistite. Erano quasi sicuramente erbivore,
con una dieta a base di bambù e frutta. Probabilmente si
estinsero a causa delle condizioni ambientali divenute
meno adatte alle loro esigenze alimentari.
4. Unktehi = Sauropodi e Teropodi
2. Teutobodo = Deinotherium
Il deinoterio (Deinotherium), detto anche
“dinoterio”, è un gigantesco parente estinto
degli elefanti, alto fino a 4,5 m, apparso
durante il Miocene medio (circa 15 milioni
di anni fa) e scomparso nel Pleistocene
(circa 1 milione di anni fa). Il suo aspetto non ha mai
subito particolari trasformazioni: era abbastanza simile a
un elefante, ma aveva le zanne sulla mandibola, incurvate all’ingiù, in modo simile a due uncini. Il corpo era più
corto e tozzo di quello degli elefanti odierni. Visse in
vaste aree di Europa (Deinotherium giganteus, il più
grande), Asia (Deinotherium indicum, dai denti più
robusti) e Africa (Deinotherium boxasi, quello vissuto
più a lungo).
154
I Dinosauri sono un gruppo di rettili
che dominarono la Terra per oltre 165
milioni di anni; la loro comparsa si fa risalire al Triassico medio, mentre la loro estinzione alla fine del Cretaceo, 65 milioni di
anni fa circa. Le cause di questa grande estinzione, che
coinvolse anche altri gruppi di esseri viventi, non sono
ancora del tutto chiare: forse furono i profondi cambiamenti climatici o forse il risultato catastrofico dell’impatto di un meteorite o di una cometa.
I dinosauri sono stati divisi in due ordini:
• I Saurischia (dal greco, “bacino di lucertola”). Si
tratta di dinosauri che hanno conservato la struttura delle
anche dei loro antenati. Ne fanno parte tutti i Teropodi
(carnivori bipedi come il Tirannosauro) e i Sauropodi (erbi-
155
vori dal collo lungo come il Diplodoco o l’Argentinosauro).
• Gli Ornithischia (dal greco, “bacino d’uccello”),
la maggior parte dei quali erano erbivori quadrupedi
come l’Iguanodon.
5. Cavallo di tuono = Brontotherium
Nelle sterminate pianure dell’Oligocene,
circa 30 milioni di anni fa, viveva – assieme
ai primi cavalli e cammelli – il Brontotherium,
alto ben 2,5 m.
Era un erbivoro che consumava grandi
quantità di foglie e rami teneri; per questo era dotato di
grandi denti quadrati ricoperti da uno spesso strato di
smalto. Sul muso aveva una protuberanza a forma di V,
simile a una fionda, di dimensioni maggiori negli esemplari maschi, molto utile nei combattimenti per la conquista delle femmine. Probabilmente la scomparsa degli
arbusti a favore di vaste pianure ricche di erbe molto dure
portò questo gigantesco animale all’estinzione.
6. Drago di Klagenfurt =
Coelodonta antiquitatis
Coelodonta antiquitatis è una specie
estinta di rinoceronti, vissuti in Eurasia
all’epoca delle glaciazioni.
Il loro corpo era ricoperto da un fitto
pelo. Un esemplare pesava presumibilmente 2-3 t, era
alto 2 m e lungo 4. Possedeva due corni: il primo, più
grande e piatto, poteva raggiungere il metro; quello più
piccolo non superava i 40 cm.
I fossili di questo rinoceronte sono stati scoperti in
156
gran parte di Europa e in Asia, dalla Corea alla Spagna.
Era molto diffuso in Russia dove viveva insieme ai mammut lanosi. Ne sono stati trovati alcuni perfettamente
conservati nel limo ghiacciato e in terreni saturi di petrolio. I nostri antenati li cacciavano e ne dipinsero molti
nelle caverne.
Comparve circa 350 mila anni fa e si estinse circa 10
mila anni fa, alla fine delle glaciazioni.
7. Draghi indiani = Sivatherium
Sivatherium, che vuol dire letteralmente
“Bestia di Shiva”, in onore di un dio Indù, è
un genere estinto di giraffidi, diffuso
dall’Africa al Sud-est asiatico, ma particolarmente frequenti in India. La specie africana si chiama Sivatherium maursium.
I Sivatherium erano molto simili agli attuali okapi, ma
più alti (2,2 m alla spalla) e avevano due paia di ossiconi
(le “corna” delle giraffe): un paio sopra gli occhi, molto
simile a quelli delle attuali giraffe, e un altro sulla testa.
Le spalle erano molto muscolose e forti perché dovevano
sorreggere il peso del loro grosso cranio.
8. Draghi pachistani = Giraffokeryx
Giraffokeryx fu un giraffide vissuto nel
Miocene, da 26 a 7 milioni di anni fa. La
specie Giraffokeryx punjabiensis in particolare visse nella regione di Siwalik, nel
nord dell’India. Altre specie di Giraffokeryx
sono state rinvenute anche in Nepal.
Probabilmente era simile alla giraffe moderne e paren-
157
te dell’okapi. Era alto circa 160 cm e pesava circa 150 kg.
Ma, a differenza dell’okapi e della nostra giraffa, che hanno
2 ossiconi (corna), il Giraffokeryx ne possedeva ben 4!
9. Draghi = Spinosaurus
eagyptiacus
alto 80-100 cm e lungo pressappoco 2 m con un peso presumibile di circa 400 kg. Nonostante la sua mole, era una
delle prede preferite dei Velociraptor anche se si è scoperto che sapeva difendersi molto bene e non sempre perdeva il confronto con il suo feroce predatore.
11. Unicorno = Elasmotherium
Lo Spinosaurus - cioè “rettile spinoso” era un dinosauro carnivoro lungo fino a 17
m per 9 t di peso. I suoi denti erano più
adatti a catturare prede acquatiche che terrestri. Era piuttosto abile nella corsa e si muoveva sulle
zampe posteriori lasciando libere le anteriori. Visse esclusivamente in Africa centro-settentrionale, durante il
Cretaceo, circa 110 milioni di anni fa.
A causa del torrido clima, possedeva un particolare
sistema di controllo della temperatura: una sorta di grande vela dorsale, alta 2 m circa. Al sorgere del sole, assorbiva il calore attraverso la vela. Nelle ore calde, invece, poteva esporla alla brezza per disperdere l’eccesso di calore
accumulato. Forse la vela gli serviva anche come segnale
di minaccia per gli altri maschi o per attrarre le femmine.
10. Grifoni = Protoceratopo e
Velociraptor
Si tratta di due dinosauri vissuti 90
milioni di anni fa (Cretaceo). Il Velociraptor
mongoliensis era alto meno di 1 m, lungo 2
m e pesava attorno ai 70-90 kg. Era un feroce carnivoro e cacciava in gruppo: il suo corpo era probabilmente ricoperto di piume e penne come gli attuali uccelli.
Il Protoceratops andrewsii era invece un erbivoro
158
L’Elasmotherium è un rinoceronte estinto
vissuto in Asia durante il Pliocene e il
Pleistocene. Le sue dimensioni erano enormi: 2 m di altezza, 6 m di lunghezza, un
peso di circa 5 t e un corno lungo fino a 2 m!
Le sue zampe erano piuttosto lunghe e adatte al
galoppo. È infatti probabile che fosse un veloce corridore, nonostante la mole.
Sono esistite varie specie di questo animale: i più
antichi, rinvenuti in Cina orientale in terreni risalenti al
Pliocene superiore, appartengono alle specie E. inexpectatum (“E.” sta per Elasmotherium) ed E. peii. L’E. caucasicum e E. sibiricum vissero invece in Russia nel
Pleistocene. Gli elasmoteri si estinsero probabilmente
alla fine del Pleistocene medio.
12. Sirene pesce = sirenidi
I sirenidi sono mammiferi acquatici
erbivori, che vivono attualmente in ambienti marini costieri o in acque dolci tropicali.
Si dividono in due famiglie e quella dei
dugongidi comprende rispettivamente la
specie Dugong dugon, il dugongo, e tre diverse specie di
lamantini.
159
I sirenidi sono mammiferi acquatici come i cetacei,
ma forse sono imparentati alla lontana con gli elefanti!
Hanno il corpo affusolato e massiccio e la loro pelle è dura
e spessa. Gli arti anteriori hanno la forma di pinne, quelli
posteriori sono invece scomparsi; una sorta di coda piatta
e orizzontale li aiuta nel nuoto. Possono restare immersi
anche 20 minuti prima di risalire in superficie a respirare.
13. Mostro di Troia = Samotherium
Il Samotherium è parente delle attuali
giraffe e degli okapi, di cui aveva circa le
stesse dimensioni. Visse dal Miocene al
Pliocene. Deve il suo nome all’isola di
Samo, dove fu scoperto per la prima volta.
Ne esistono diverse specie ritrovate in varie parti di
Europa, Asia e Africa.
lusco bivalve simile alle ostriche, vissuto nel periodo
Giurassico inferiore. Possedeva una conchiglia non molto
grande, ma piuttosto spessa e resistente; la parte dorsale,
detta “umbone”, era molto arcuata e gli conferiva un
aspetto inconfondibile, come un grosso artiglio ricurvo. È
un tipico fossile guida.
16. Impronte del diavolo =
Conchodon e Megalodon
Sono due molluschi bivalvi dalla caratteristica forma a cuore. Il genere Megalodon
risale all’era Paleozoica; le forme vissute nel
Triassico sono conosciute invece come
Neomegalodon.
17. Il volto del diavolo =
Myophorella incurva
14. Sigari del diavolo = Belemniti
Le Belemniti sono molluschi comparsi
nel Triassico ed estinti 65 milioni di anni
fa, nel Cretaceo. Erano cefalopodi marini,
cioè lontani parenti delle attuali seppie e
calamari, caratterizzati da una conchiglia
interna dura, che poteva conservarsi facilmente allo stato
fossile. Erano carnivore e si nutrivano di crostacei e pesci
e forse vivevano in gruppo.
15. Unghie del diavolo = Gryphaea
arcuata
La Gryphaea arcuata è una specie di mol-
160
La Myophorella è un genere di molluschi
bivalvi vissuta nel Giurassico.
18. Denti di squalo = Glossopetrae
(Carcharocles megalodon)
Gli squali sono un gruppo di pesci primitivi comparsi all’inizio dell’era
Paleozoica e tuttora viventi, grazie alle loro
caratteristiche anatomiche che li rendono
animali perfetti per il nuoto e magnifici predatori. A differenza della maggior parte dei pesci attuali, possiedono
uno scheletro cartilagineo che si decompone facilmente
alla morte e non lascia quasi mai resti. Viceversa, i loro
161
denti sono molto duri e resistenti e si ritrovano in gran
numero nei sedimenti marini. Il Conchodon megalodon
è sicuramente il più grande squalo e carnivoro mai esistito, con i suoi 20 m circa di lunghezza e 48 t di peso. I
suoi denti potevano raggiungere i 20 cm di lunghezza.
Visse nel Miocene e si estinse nel Pliocene.
19. Serpenti arrotolati = Ammoniti
come Hildoceras
Poiché si ritrovano abbastanza frequentemente nelle
rocce calcaree del Paleogene, questo periodo è conosciuto
anche come “Nummulitico”. La specie Nummulites gizehensis prende il nome dalla città di Giza, in Egitto, dalla
quale sono stati estratti i grandi blocchi di pietra per la
costruzione delle piramidi.
I nummuliti hanno subito una rapida evoluzione e
sono pertanto utilizzati come fossili guida.
21. Lacrime dorate = ambra
Le Ammoniti sono un importante gruppo di molluschi cefalopodi, come polpi, seppie e calamari, comparso nel tardo Siluriano
dell’era Paleozoica. Si estinse completamente
alla fine del Cretaceo, insieme ai dinosauri e a molti altri
organismi. Le Ammoniti erano caratterizzate, per la maggior parte, da una conchiglia avvolta a spirale (un po’ come
gli attuali Nautilus), che utilizzavano come protezione, ma
soprattutto per spostarsi su e giù nelle acque, esattamente
come i nostri sommergibili. Erano carnivore e popolavano
tutti gli ambienti marini. Sono diventate molto importanti e diffuse nell’era Mesozoica, tanto che molte di loro sono
spesso usate come fossili guida.
20. Lenticchie delle piramidi =
Nummuliti
Sono foraminiferi (esseri fatti da una
sola cellula, detti “protozoi”) con guscio
calcareo avvolto a spirale piana (cioè piatta),
suddivisa in numerose piccole “camere”. Ne
sono esistite diverse specie e le più grosse superavano i
10-12 cm di diametro.
162
L’ambra è una resina fossile prodotta
da diverse piante, come le conifere, che
secernono questa sostanza vischiosa, anche
in gran quantità, soprattutto da tagli e ferite del tronco. Quando è ancora fluida, è
molto appiccicosa e imprigiona oggetti e organismi che
trova al suo passaggio. Col tempo la resina perde gran
parte delle sostanze volatili e indurisce; questo consente a
molti frammenti di fossilizzarsi e conservarsi nel tempo.
Come un vero e proprio scrigno, l’ambra contiene i piccoli organismi che – perfettamente preservati dalla
decomposizione – rivelano anche i più delicati particolari anatomici. Esistono ambre di ogni età, ma le più famose sono quelle del Baltico.
22. Lusus naturae e prove di
creazione = fossili in genere
I fossili, studiati da una scienza chiamata “paleontologia”, sono resti di organismi vissuti in un’epoca anteriore a quella
attuale. Il processo di fossilizzazione non è
163
molto comune e pertanto la maggior parte degli organismi del passato non ha lasciato alcun resto. Bisogna anche
considerare che molti organismi, come vermi e meduse,
non possiedono parti dure – ad esempio conchiglie o
scheletri – e pertanto molto raramente riescono a fossilizzarsi. I fossili sono utilissimi da molti punti di vista: per
le datazioni, per ricostruire la storia della vita sulla Terra
i processi evolutivi, per studiare la forma, le caratteristiche e la distribuzione della terra e dei mari nelle ere geologiche passate.
23. Lapis stellaris e monetine di
san Bonifacio = Crinoidi
(Pentacrinus e altri)
I Crinoidi sono animali marini meglio
conosciuti come “gigli di mare”; appartengono agli Echinodermi come i ricci di mare
(Echinoidi), le stelle marine (Asteroidi), i cetrioli di mare
(Oloturoidi) e le ofiure (Ofiuroidi). Se ne conoscono
forme molto antiche (Ordoviciano). Vivono ancora oggi,
anche se con molti meno rappresentanti.
Sono spesso costituiti da un lungo peduncolo (stelo)
col quale si fissano a superfici dure; dalla parte opposta,
al centro di un nutrito fascio di tentacoli, si apre la bocca.
Il peduncolo è costituito da tanti dischetti, detti “articoli”, uniti l’uno all’altro. La decomposizione tende a far
staccare i dischetti l’uno dall’altro, infatti spesso è così
che si trovano allo stato fossile. Alcune specie non si fissano sui fondali, ma si muovono liberamente insieme al
plancton.
164
24. Rondini di pietra =
Brachiopodi (Spirifer)
I Brachiopodi sono un gruppo di
invertebrati dotati di una conchiglia simile
a quella dei bivalvi, ma tra loro non ci sono
rapporti di parentela. Le due valve della conchiglia sono
asimmetriche e quindi diverse una dall’altra. Grazie a un
peduncolo che fuoriesce dall’umbone, cioè la parte sporgente della conchiglia, questi animali possono fissarsi
alle rocce o ad altri oggetti solidi del fondo. Sono comparsi all’inizio dell’era Paleozoica e vivono tuttora, anche
se molto ridotti di numero, e in zone di acque profonde.
Il genere Spirifer è vissuto esclusivamente nell’era
Paleozoica, dal Devoniano al Permiano (da 417 a 250
milioni di anni fa).
165
INDICE DEI CAPITOLI
Introduzione .......................................
5
Quando i giganti popolavano la terra ......
I giganti con un occhio solo ..........................
Sono uomini o animali? ...............................
Nei musei a caccia di indizi ..........................
Giganti nani e nani giganteschi ......................
Su e giù del mare e degli animali ....................
Teutobodo, il gigantesco re teutone ..................
Terribili animali selvatici .............................
Cronache dal passato: il Deinotherium ...............
Gli abominevoli uomini ..............................
Denti di drago? No, meglio un Gigantopithecus ....
La guerra dei Giganti .................................
A cavallo del grande Unktehi ........................
Cronache dal passato: il Brontotherium,
cavallo di tuono .......................................
5
5
9
11
12
15
17
23
25
26
28
31
33
I misteriosi draghi ................................
Draghi . . . . . . . . .........................................
Il drago di Klagenfurt ................................
Una ricostruzione sbagliata ...........................
Cronache dal passato: il rinoceronte
dalla folta pelliccia ....................................
Draghi indiani . ........................................
Il santuario delle mille teste ..........................
43
43
44
46
41
47
49
51
167
Brillanti ma poco preziosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
Ossa e denti di drago . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
Draghi buoni dagli occhi a mandorla . . . . . . . . . . . . . . . . 55
Alte e basse maree di duecento milioni di anni fa ... 97
Come il diavolo ci perse la faccia ..................... 100
Un bel piatto di vongole o… Myphorelle? .......... 105
Il modo dei grifoni e degli unicorni . . . . . . . .
I custodi dell’oro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Un’antica cerimonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Grifoni o “lucertole terribili”? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cronache dal passato: una battaglia cruenta . . . . . . . . .
Il cavallo-aquila . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’unicorno ..... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Kartazon! ...... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . .
Che strano intruglio: lingue di luna
e succo di raggi di sole ........................ 106
Le lingue che caddero dalla luna ...................... 106
Una “Colonna” della paleontologia moderna ........ 109
Cronache dal passato: il più grande carnivoro
della storia . . . . ......................................... 111
A Whitiby i serpenti persero la testa ................. 113
A cospetto del dio Ammon ........................... 118
Paese che vai, ammonite che trovi .................... 119
Un piatto di dure lenticchie .......................... 120
Succo di raggi di sole ................................. 125
E se fossero davvero lacrime? ......................... 128
Cronache dal passato: una prigione dorata ........... 132
Le Sirene e altri mostri
della mitologia greca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Si salvi chi può . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Italia, terra di mostri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cronache dal passato: Italia, terra di giganteschi
mammiferi e predatori micidiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Da uccello a pesce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dugongo ovvero la “brutta sirena” . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il mostro di Troia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . .
Quando il diavolo ci mette lo zampino . . . . .
Una “fumatina” diabolica . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . .
Sigari, dita o calamari? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cronache dal passato: il tirannosauro dei mari
di cento milioni di anni fa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I diavoli ballerini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La pista da ballo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
168
56
56
57
61
63
64
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68
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73
74
78
80
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82
87
87
91
92
93
96
Prove di creazione e scherzi della natura 134
Scherzi della natura o scherzi e basta? ................ 134
Un imbroglio ben architettato ........................ 137
Anche la natura si diverte ............................. 138
Lapis stellaris ovvero sotto l’influsso delle stelle ..... 141
Cronache dal passato: gli affamatissimi gigli di mare 144
Un volo di rondini nell’uragano ...................... 145
I miti e le strane interpretazioni appartengono
solo al passato? ........................................ 149
Appendice . ......................................... 153
Un fossile per ogni mostro ............................ 153
169
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Ettore Perozzi
Il cielo sotto la terra
In viaggio nel sistema solare
Anna Parisi
Numeri magici e stelle vaganti
I primi passi della scienza
Seguendo i ragionamenti dei primi uomini che hanno
cercato di capire come funziona la natura, il volume
ripercorre i primi passi del lungo cammino della
scienza, tra bellissime risposte, problemi irrisolvibili,
misteri insondabili.
Anna Parisi
Ali, mele e cannocchiali
La rivoluzione scientifica
Pianeti, decine di nuovi satelliti, stelle, asteroidi.
Un “universo” tutto da scoprire. Questo libro racconta ai ragazzi con semplicità e assoluto rigore
scientifico che cosa succede quando si parla di
Scienze Planetarie.
Anna Parisi - Lara Albanese
Dipende
Einstein e la teoria della relatività
Protagonista di questo volume è il grande fisico
Albert Einstein, che “aiutato” da altri importanti
scienziati, tra aneddoti, vignette e dimostrazioni
spiega ai ragazzi la teoria della relatività.
Ali, mele e cannocchiali racconta lo sviluppo della
prima rivoluzione scientifica. Da Copernico a
Newton i giovani lettori potranno scoprire con facilità il “nuovo” e affascinante disegno dell’universo, che
passerà alla storia con il nome di “fisica classica”.
172
Anna Parisi - Alessandro Tonello
Il filo conduttore
L’anticamera dell’atomo
Vincenzo Guarnieri
Maghi e reazioni misteriose
L’alchimia e la chimica a spasso nel tempo
Il volume affronta quel periodo di sensazionali scoperte che portò a comprendere e utilizzare le grandi
potenzialità dell’elettricità e del magnetismo, alla definizione della termodinamica fino all’ipotesi atomica!
Questo volume è dedicato alla storia della chimica.
Un libro per ragazzi che viaggia attraverso i secoli,
dai primi “strambi” stregoni fino ai più grandi chimici del Novecento. Una divertente avventura
pronta a svelare tutti gli enigmi della natura.
173
Clara Frontali
Geni
Dalle prime domande sull’ereditarietà
all’ingegneria genetica
Geni è il viaggio tra le scoperte che hanno portato
l’uomo a capire come si trasmettono le informazioni
genetiche tra i genitori e i figli, fino alle tecniche di
ingegneria genetica oggi utilizzate dagli scienziati.
L’avventura di Ah, saperlo! continua…
Mario Corte
Goal!
Le origini del calcio, il calcio cinese e il calcio azteco,
il football medievale inglese e il calcio fiorentino, la
storia della Coppa dei Campioni, il Pallone d’oro e
l’Italia che ci fece sognare nell’82… insomma tutto,
ma proprio tutto sul mondo del calcio.
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