sintesi della poetica

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sintesi della poetica
GIACOMO LEOPARDI (sintesi della poetica)
1. Momenti salienti della biografia
La biografia del Leopardi, come quella del Manzoni, è povera di avvenimenti esterni, ma è assai ricca
di vita interiore.
Egli nacque nel 1798 a Recanati, nelle Marche, dal conte Monaldo e dalla marchesa Adelaide Antici.
La famiglia era di nobile origine, ma economicamente dissestata per la cattiva amministrazione del patrimonio, dovuta alla leggerezza e alla inesperienza del padre. Alla salvezza del patrimonio si dedicò la
madre del poeta, una donna energica e volitiva, che riuscì nell'intento, ma a prezzo di duri sacrifici per
sé e per la famiglia.
Il poeta compì i primi studi sotto la guida del padre e di due precettori, poi per la precocità dell'ingegno
fu ben presto in grado di studiare da solo, servendosi della ricca biblioteca paterna, dove trascorse, come scrisse poi al Giordani, "sette anni di studio matto e disperatissimo", durante i quali si formò una
vasta cultura, ma si rovinò la salute.
Tra il 1816 e il 1819 si verificarono le cosiddette conversioni del Leopardi; la conversione letteraria col
passaggio dalla erudizione e dalla filologia alla poesia; la conversione filosofica col passaggio dalla fede religiosa, in cui era stato severamente educato da fanciullo, all'ateismo e al materialismo illuministico; la conversione politica, col passaggio dalle idee reazionarie del padre alle idee liberali e democratiche. Sulla conversione politica influì notevolmente l'amicizia col Giordani.
Dopo un infelice tentativo di fuga dalla casa paterna, per evadere dall'ambiente chiuso ed arretrato della
famiglia e di Recanati, il poeta ottenne il permesso di andare a Roma, dove provò una profonda delusione per la meschinità degli uomini e la frivolezza delle donne. Si commosse solamente visitando la
tomba del Tasso sul Gianicolo. Ritornò deluso a Recanati, ma ripartì alla ricerca di una sistemazione.
Fu a Milano, Bologna, Pisa e Firenze, dove conobbe un giovane esule napoletano Antonio Ranieri col
quale strinse amicizia e si trasferì a Napoli. Qui morì nel 1837, mentre nella città imperversava il colera.
2. Genesi filosofica, emotiva e storica del pessimismo leopardiano
Il pensiero del Leopardi parte dalla concezione meccanicistica del mondo, che egli aveva appreso
dall'Illuminismo e fatta propria al tempo della conversione filosofica. Meditando su di essa, egli giunge
ad una forma di materialismo assoluto.
Anche per il Leopardi, infatti, come per il Foscolo, il mondo è governato da leggi meccaniche, da una
forza operosa immanente che trasforma continuamente la
materia, senza che di questo processo di trasformazione si possa comprendere il fine ed il significato.
L'uomo è soggetto anche lui alle leggi di trasformazione della materia, e non solo è una creatura debole
ed indifesa, che dopo una vita di sofferenze senza senso, si annulla totalmente con la morte, ma è anche
un essere insignificante nel contesto della vita universale, è come una pagliuzza nel turbinío del vento o
una goccia nel grembo dell'oceano. Se egli scomparisse, tutti gli altri elementi della natura resterebbero
indifferenti, né si turberebbe minimamente il ritmo della vita universale. A questa concezione materialistica del mondo e dell'uomo il Leopardi resta sempre fedele, polemizzando contro le correnti idealistiche e spiritualistiche del suo tempo e ironizzando sulle pretese di grandezza e di superiorità dell'uomo.
Tuttavia questa concezione materialistica del mondo, che per i pensatori del '700 era motivo di orgoglio, di felicità e di ottimismo, per il senso di liberazione che comportava, dalle superstizioni del passato, e per la nuova fede nella scienza come strumento di progresso umano e sociale, per il Leopardi è
motivo di tristezza, di dolore e di pessimismo, perché egli avverte i limiti della natura umana tutta chiu1
sa nella prigione della materia, in contrasto con l'innata aspirazione dell'uomo all'assoluto e all'infinito.
Accanto a questa genesi filosofica del pessimismo leopardiano derivato dalla concezione materialistica
dell'universo e dell'uomo, ne esiste un'altra di natura emotiva. Il Leopardi infatti visse in modo permanente quello che è il dramma momentaneo di tutti gli adolescenti e i giovani, che si verifica quando
questi, ai primi urti con la realtà, che si rivela tanto diversa da quella immaginata e sognata, perdono a
poco a poco le illusioni e le speranze, e sono colti da improvvisi e profondi scoraggiamenti. Per la
maggior parte di essi, questi scoraggiamenti sono momentanei, perché, man mano che acquistano maggiore coscienza della realtà, cessano del tutto, in quanto gradatamente gli uomini finiscono per accettare la vita per quella che è veramente, nel bene e nel male, e vi si adeguano, inserendosi nella società e
in essa operando, magari con l'impegno concreto di migliorarla, ciascuno secondo le proprie aspirazioni
e capacità.
Al Leopardi mancò proprio questo inserimento, un pò per la rigidità e ottusità dell'ambiente aristocratico familiare, che non gli consentiva ampia possibilità di scelta, un pò per l'angustia dell'ambiente paesano, che lo condannò all'isolamento e lo privò di rapporti umani, di esperienze concrete, delle soddisfazioni stesse che provengono all'uomo dal lavoro, da una qualunque attività che lo impegni e che lo
faccia sentire utile a sè e agli altri. Perciò egli si chiuse in sè stesso e di meditazione in meditazione
pervenne ad una visione totalmente pessimistica della vita.
Alla genesi filosofica ed emotiva, se ne aggiunge un'altra di carattere storico, sulla quale insiste particolarmente la critica marxista. Il Leopardi intuì i risvolti negativi della restaurazione e della civiltà borghese dell"800, l'egoismo, l'ipocrisia, l'affarismo, la corruzione, l'industrialismo selvaggio, l'alienazione. tutti elementi che riducevano gli umili e i deboli in schiavitù, condannandoli all'infelicità e al dolore. Questa è la ragione che indusse il Leopardi a farsi antagonista del suo secolo.
Secondo la critica marxista, poi, il Leopardi non solo intuì i risvolti negativi della società del suo tempo, ma nella Ginestra propose anche un rimedio ad essi, indicando agli uomini l'ideale di una umanità
rinnovata, fondata sul sentimento della solidarietà universale.
3. Il pessimismo leopardiano
Gli studiosi hanno distinto tre aspetti del pessimismo leopardiano: il pessimismo personale e soggettivo, il pessimismo storico o progressivo e il pessimismo cosmico, o della "doglia mondiale". Tuttavia
non bisogna credere che i tre aspetti rappresentino tre diversi momenti del pessimismo leopardiano. Essi indicano soltanto alcuni atteggiamenti del pensiero leopardiano, che si alternano variamente e spesso
si contraddicono sia nelle pagine di prosa che nei canti.
Questa disorganicità e incoerenza di pensiero dimostra che il Leopardi, pur essendo naturalmente predisposto alla meditazione filosofica ancor più del Manzoni, fu però più poeta che filosofo, perché in lui
il sentimento spesso contrastava con le conclusioni della ragione. Tuttavia il sentimento leopardiano
acquista una risonanza più ampia e profonda per effetto della meditazione filosofica, perché questa ha il
potere di sollevare su un piano universale una esperienza personale e soggettiva.
a) Il pessimismo personale e soggettivo
Il pessimismo personale e soggettivo è il primo aspetto del pessimismo leopardiano, che sorge quando
il poeta è ancora un adolescente e già si sente escluso dalla gioia di vivere, che vede riflessa negli altri.
A determinare questo sentimento di infelicità personale, concorrono diverse cause, prima fra tutte l'ambiente familiare. La sua famiglia è una delle prime della nobiltà marchigiana, una nobiltà di provincia,
retriva e superba, attaccata tenacemente ai privilegi di casta e al decoro esteriore del rango sociale. La
madre, la contessa Adelaide Antici, non riesce a creare intorno ai figli un'atmosfera calda di premure e
di affetti, sia per la nativa aridità del temperamento, sia perché si dedica anima e corpo alla difesa del
patrimonio familiare, messo in pericolo dalla cattiva amministrazione del marito.
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Questi, il conte Monaldo Leopardi, è un convinto assertore dell'ancien régime, ostile ai principi sociali
della rivoluzione francese, che ben presto per le sue idee reazionarie viene in contrasto con il figlio
Giacomo, il quale per influenza dell'amicizia col Giordani, che era un liberale, si apre a poco a poco alle nuove idee democratiche e sente quanto di antiquato, di stantio e di retrivo ci sia nelle idee del padre.
All'angustia dell'ambiente familiare si aggiunge nel Leopardi una delicatissima sensibilità d'animo,
acuita dal deperimento organico e dalle sofferenze fisiche, determinate, come egli scrive al Giordani,
da sette anni di studio "matto e disperatissimo" fatto durante gli anni del suo sviluppo.
A 20 anni perciò il Leopardi si sente già vecchio spiritualmente e fisicamente, escluso dalla gioia di vivere, come prigioniero nel carcere angusto della casa paterna e nella prigione ancora più grande di Recanati, il "natio borgo selvaggio", che sorge tra l'Appennino e il mare, e che pure costituirà lo sfondo
paesistico indimenticabile delle sue liriche più belle.
b) Il pessimismo storico o progressivo
Altre volte però il Leopardi allarga la sua meditazione e si accorge che la felicità degli altri è solo apparente, che la vita umana non ha uno scopo, un ideale degno, per il quale valga la pena di lottare, che tutto è falso, la religione, la virtù, l'amore, la patria, la gloria, perché gli uomini sono condannati all'infelicità.
Indagando sulla causa dell'infelicità umana, il Leopardi segue la spiegazione di Rousseau, e afferma
che gli uomini furono felici soltanto nell'età primitiva, quando vivevano allo stato di natura; ma poi essi
vollero uscire da questa beata ignoranza e innocenza istintiva e, servendosi della ragione, si misero alla
ricerca del vero. Le scoperte della ragione furono catastrofiche: essa infatti scopri la vanità delle illusioni, che la natura, come una madre benigna e pia, aveva ispirato agli uomini, scopri le leggi meccaniche che regolano la vita dell'universo, scopri il male, il dolore, l'infelicità, l'angoscia esistenziale.
La storia degli uomini quindi, dice il Leopardi, non è progresso, ma decadenza da uno stato di inconscia felicità naturale, ad uno stato di consapevole dolore, scoperto dalla ragione.
Ciò che è avvenuto nella storia dell'umanità, si ripete immancabilmente, per una specie di miracolo
sempre rinnovantesi, nella storia di ciascun individuo. Dall'età dell'inconscia felicità, quale è quella
dell'infanzia, dell'adolescenza e della giovinezza, allorché tutto sorride intorno e il mondo è pieno di incanto e di promesse, si passa all'età della ragione, all'età dell'arido vero, del dolore consapevole e irrimediabile.
Questo secondo aspetto del pessimismo leopardiano è detto pessimismo storico o progressivo, perchè
scoperto progressivamente nel corso della storia. La ragione è colpevole della nostra infelicità, in contrasto con la natura madre próvvida, benigna e pia, che cerca di coprire col velo dei sogni, delle fantasie
e delle illusioni le tristi verità del nostro essere.
c) Il pessimismo cosmico o della "doglia mondiale"
In altri momenti il. Leopardi approfondisce la sua meditazione sul problema del dolore e conclude scoprendo che la causa di esso è proprio la natura, perché è proprio essa che ha creato l'uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che egli non l'avrebbe mai raggiunta. "O natura, natura, perché
non rendi poi quel che prometti altor? Perché di tanto inganni i figli tuoi?", dice il poeta nel canto "A
Silvia".
Così, di fronte alla natura, il Leopardi assume un duplice atteggiamento: ne sente allo stesso tempo il
fascino e la repulsione, in una specie di "odi et amo" catulliano. L'ama per i suoi spettacoli di bellezza,
di potenza e di armonia; la odia per il concetto filosofico che si forma di essa, fino a considerarla non
più la madre benigna e pia, ma una matrigna crudele ed indifferente ai dolori degli uomini, una forza
oscura e misteriosa, governata da leggi meccaniche ed inesorabili. (Cfr. il Dialogo della Natura e di un
Islandese). Perciò tutti gli esseri sono indistintamente infelici, gli uomini e gli animali: "dentro covile o
cuna/è funesto a chi nasce il dì natale", dice il Leopardi nella conclusione del "Canto notturno di un pa3
store errante".
E' questo il terzo aspetto del pessimismo leopardiano, quello del "pessimismo cosmico" o universale,
perché investe tutte le creature.
Ma in questo momento della sua meditazione il Leopardi rivaluta la ragione, prima considerata causa di
infelicità. Essa gli appare colpevole di aver distrutto le illusioni con la scoperta del vero, ma è anche
l'unico bene rimasto agli uomini, i quali, forti della loro ragione, possono non solo porsi eroicamente di
fronte al vero, ma anche conservare nelle sventure la propria dignità, anzi, unendosi tra loro con fraterna solidarietà, come egli dice nella Ginestra, possono vincere o almeno lenire il dolore.
d) La noia o il "taedium vitae"
Effetto del pessimismo universale o cosmico è la noia, il "taedium vitae", la stanchezza del vivere, che
nello Zibaldone il Leopardi definisce il più nobile dei sentimenti umani, "perché rappresenta la insoddisfazione propria degli uomini grandi, a cui l'universo intero non basta, perché il loro spirito sente aspirazioni sempre irrealizzabili. più grandi dell'uomo stesso". Essi cercano sempre l'infinito, come dice
Novalis, e trovano cose.
e) La condanna del suicidio
La conclusione del pessimismo leopardiano dovrebbe essere analoga a quella di Jacopo Ortis: il suicidio, considerato come unico mezzo di liberazione dall'angoscia esistenziale e come protesta dell'uomo
contro il suo destino; ma il Leopardi condanna il suicidio, perché riconosce che alla vita siamo legati
dall'istinto naturale della conservazione, e dal dovere di solidarietà e di fratellanza con tutti gli uomini,
che sono nostri compagni d'infelicità.
La condanna del suicidio è contenuta nel Dialogo di Plotino e Porfirio.
f) Le illusioni leopardiane
Nella meditazione e nelle poesie del Leopardi torna spesso il motivo delle illusioni, che egli chiama variamente, "errori dilettosi": ameni inganni"; "cari compagni della verde etade". La ragione ci dice che
esse sono ingannevoli e vuote, tuttavia esse abbelliscono la vita dei giovani e ritornano, dolci e care, nel
ricordo degli adulti. Sono le stesse illusioni del Foscolo, ma con questa differenza: le illusioni del Foscolo sono vive, operanti, attuali, punto terminale della meditazione del poeta, e danno perciò un fine
ed un significato alla vita e spingono l'uomo all'azione. Le illusioni del Leopardi sono invece anteriori
alla meditazione del poeta e alle sue concrete esperienze di vita, operano magicamente nell'animo dei
giovani, svaniscono all'urto con la realtà, e più tardi rivivono, in una visione retrospettiva, come conforto, nella memoria dell'adulto.
g) Invito all'azione
Per liberarsi poi dall'angoscia e dalla noia di vivere, occorre, secondo il Leopardi, agire, proporsi un fine. Questo fine in sè ha scarso valore, perché tutto è vano, ma valgono molto i mezzi per conseguirlo,
come le speranze del successo e l'impegno che tengono occupato l'animo e lo liberano dal tarlo roditore
del pensiero. Questo invito all'azione è racchiuso in modo particolare nel Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez, ed è analogo all'esortazione di Voltaire: «Fai sempre qualche cosa, se non
vuoi suicidarti».
4. Il Leopardi e il Risorgimento
Negli anni giovanili, il Leopardi, al tempo della conversione politica, abbandonò le idee reazionarie
nelle quali era stato educato e si aprì alle nuove idee della libertà e dell'amor di patria, come attesta soprattutto la canzone All'Italia. Ma poi, dopo che la sua meditazione filosofica si approfondì e sfociò in
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un pessimismo assoluto, egli perdette ogni fede ed entusiasmo. Perciò non solo si isolò e si estraniò
dalla vita e dalla storia del suo tempo, così fervido di speranze, di ansie e di lotte per l'indipendenza
della
patria, ma, nella Palinodia al marchese Gino Capponi e nei Nuovi Credenti, ironizzò sulle nuove filosofie idealistiche e ottimistiche del suo secolo, considerandole come deliri inconcludenti. Inoltre nei Paralipomeni della Batracomiomachia irrise le cospirazioni e le lotte dei patrioti italiani per la libertà della
patria, considerandole come agitazioni senza senso, in un mondo dominato dal dolore.
5. Il pessimismo leopardiano e i giovani
Il pessimismo leopardiano esercita uno strano fascino, specialmente sull'animo dei giovani. Anzitutto è
un pessimismo che non abbatte né deprime l'animo, perché il Leopardi insegna ad accettare la vita e a
sopportare virilmente il dolore. Il suo pessimismo, infatti, dice il Russo, non fu mai querulo e lacrimoso, ma virile ed agonistico.
Il fascino di esso sui giovani si spiega col fatto che il Leopardi visse e rappresentò nella poesia lo stesso
dramma di ansietà e di sconforto che vivono da sempre i giovani di tutte le generazioni. Questo dramma consiste nell'aspirazione ad un mondo ideale, fatto di amore e di virtù, e nel turbamento e scoramento profondo in cui cadono i giovani, quando, sin dai primi urti con la realtà, il mondo ideale vagheggiato e sognato, a poco a poco si sfalda e crolla del tutto, e le illusioni si dimostrano vane e ingannevoli. Cessa allora la poesia dei sogni e delle illusioni e incomincia l'arida prosa della realtà.
Ma, anche quando il Leopardi riconobbe la vanità delle illusioni, egli ne sentì sempre la dolcezza e l'incanto, perché comprese che esse sono i soli fiori nel deserto della vita. Le illusioni per il Leopardi, dice
efficacemente il Cappuccio, "erano come una persona cara scomparsa, che la ragione sa di non poter
più ridestare, ma che pure torna continuamente nel desiderio: e anche nella sua irrealtà diventa la luce e
il calore della vita"
Il De Sanctis, in un giudizio famoso, mise in evidenza il carattere non solo non depressivo, ma addirittura stimolante del pessimismo leopardiano. "Il Leopardi, dice il De Sanctis, produce l'effetto contrario
a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa
amare. Chiama illusioni la gloria, l'amore, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto; ha
così basso concetto dell'umanità, e la sua anima alta, gentile e pura l'onora e la nobilita. E, mentre
chiama «larva» ed errore tutta la vita, non sai come, ti senti stringere più saldamente a tutto ciò che nella vita è nobile e grande".
Lo stesso De Sanctis chiamò Leopardi "il poeta dei giovani", dei giovani patrioti impegnati nella lotta
per la libertà e l'indipendenza della patria, e aggiunse che "se il destino gli avesse prolungato la vita fino al '48, se lo sarebbero trovato al loro fianco, confortatore e combattitore".
Michele Saponaro conclude la biografia del Leopardi dicendo che "i giovani della cospirazione e della
rivoluzione accorsero al Leopardi come al loro poeta. I soldati del riscatto nazionale portavano il libro
dei Canti nel loro zaino: - Con Manzoni alla chiesa e con Leopardi alla guerra" (M.S. - Leopardi, Milano, Garzanti 1941, p. 397.).
6. La poetica, cioè la concezione della poesia che ebbe il Leopardi
Nella poetica del Leopardi dobbiamo distinguere due momenti: il momento classicistico e il momento
romantico.
a) Il momento classicistico
Il momento classicistico risale agli anni della polemica in Italia tra classicisti e romantici (1816), durante la quale il Leopardi, in una lettera diretta ai compilatori della Biblioteca italiana, difende il classici5
smo, ma lo fa in una maniera tale che la sua difesa si risolve in fondo in una prima adesione al romanticismo.
Infatti, quando il Leopardi difende il classicismo, non difende tutto il classicismo, ma il classicismo
primitivo, quello dei poeti più antichi, Omero soprattutto, i quali osservano e imitano direttamente la
natura, ed esprimono i loro sentimenti con sincerità e naturalezza, senza tener presente nessun modello,
tutto diverso quindi dal classicismo di tipo rinascimentale ed arcadico, fondato sull'imitazione dei modelli e per ciò stesso falso e artificioso.
Lodando il classicismo primitivo, il Leopardi si accostava alla teoria vichiana del poeta primitivo e al
Romanticismo che considerava la poesia come espressione spontanea del _ sentimento. Ma il Leopardi
si accosta ancora al Romanticismo quando riconosce nella poesia l'importanza del "patetico", che è il
sentimento del dolore universale. Tuttavia egli toglie il merito della scoperta del patetico ai romantici,
perchè lo ritrova già nei classici, in Omero, Catullo, Virgilio, Petrarca, Tasso, ecc., che lo seppero
esprimere con misura e pudore, mentre i romantici lo esprimevano spesso con cattivo gusto, esagerando
in languori, sospiri e lacrime.
b) Il momento romantico
Il momento romantico della poetica leopardiana si ha quando il Leopardi fa sua la distinzione dei romantici tedeschi fra poesia di immaginazione e poesia di sentimento. La poesia di immaginazione è
quella che si nutre di miti e di fantasie, come la poesia di Omero e degli antichi, ed è la poesia vera,
perfetta, inimitabile, perché i poeti primitivi credevano veramente nei miti che cantavano.
La poesia di sentimento è quella che si nutre di affetti e di idee (filosofiche, morali, sociali ecc.), ed è la
poesia dei tempi moderni più razionali e filosofici e perciò meno immaginativi e poetici. Accettata questa distinzione, il Leopardi si pone il problema dei modi espressivi della poesia di sentimento.
Se la poesia di sentimento è poesia di idee, ossia ha un contenuto filosofico, morale, sociale, oratorio in
genere, il poeta si servirà della tecnica letteraria del classicismo, allo scopo di rendere suggestivo un
contenuto di per sè arido, alla maniera dei poeti didascalici del '700. Questa poetica di una poesia di
idee, letterariamente elaborata, la troviamo applicata nelle canzoni civili e filosofiche, nelle Operette
Morali e nelle poesie del periodo napoletano. Se invece la poesia di sentimento è poesia di affetti, ha
cioè un contenuto lirico, psicologico, allora essa deve essere lirica pura, cioè pura voce del cuore, ingenua e limpida espressione di sentimento, immune da elementi allotri, intellettualistici, eruditi, oratori.
Questa poetica di una poesia lirica, ingenua e pura espressione di affetti, la troviamo applicata nei piccoli e nei grandi
Con tale poetica il Leopardi anticipa il concetto di poesia pura, che più tardi sarà l'aspirazione ossessiva
dei poeti decadenti e degli ermetici.
7. Romanticismo e classicismo del Leopardi
Anche per il Leopardi, come per il Foscolo, si pone la questione se fu un poeta romantico o classico. La
risposta al quesito non è diversa da quella che si dà per il Foscolo, perchè anche il Leopardi fu, come il
Foscolo, nello stesso tempo romantico e classico.
Infatti se consideriamo il contenuto del suo pensiero e delle sue poesie, il Leopardi è senz'altro un poeta
romantico. Egli ha la stessa concezione meccanicistica della natura che ebbe il Foscolo, una concezione
che, accettata razionalmente, invece di acquietarlo nella soddisfazione della verità finalmente raggiunta, lo getta in una cupa tristezza, perchè contro la scoperta della ragione si erge il sentimento, l'ansia religiosa dei romantici, il desiderio cioè di superare i limiti della natura umana, di dare un fine e un significato valido alla vita.
Certamente anche il sentimento del Leopardi si apre alle "illusioni" foscoliane, la bellezza, l'amore, la
libertà, la patria, la gloria, l'onore, ma, mentre per Foscolo esse diventano degli stimoli potenti che lo
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spingono all’azione per calarle nella realtà, per il Leopardi esse restano pure e semplici illusioni, "fantasmi", "ameni inganni", "mero desio", anteriori all'esperienza della vita, pronte a dissolversi come
nebbia al primo urto contro la realtà.
Il contrasto tra la realtà e le ispirazioni dell'animo, che è un tema tipicamente romantico, è il motivo
centrale della poesia del Leopardi, che rievoca spesso le illusioni giovanili e la tristezza irrimediabile
del loro svanire davanti al vero.
Perciò, oltre che per il pensiero, anche per il contenuto delle poesie il Leopardi è un poeta romantico.
Ma il Leopardi è un poeta romantico anche per le forme esteriori della sua poesia. A mano a mano che
si precisa la sua poetica, cadono le scorie della sua formazione classicistica, come i richiami mitologici,
le inversioni, la sintassi complessa, gli echi e le reminiscenze degli scrittori classici; e quando egli perviene al concetto della lirica pura, esse scompaiono del tutto, la sintassi si fa più elementare, il linguaggio più semplice, al limite quasi della lingua parlata, ma estremamente suggestivo e musicale.
Al contrario del Foscolo che restò fino all'ultimo fedele ai miti e alle forme del classicismo, il Leopardi
se ne distaccò sempre più fino a liberarsi di essi.
Ma del classicismo che fu la sua solida formazione di base, rimase al Leopardi la lezione più prof onda
e perenne: la lucidità del pensiero, il dominio del sentimento, che lo tenne lontano dai languori del romanticismo deteriore, la struttura razionale e armonica delle composizioni, la chiarezza e la linearità
espressiva. Naturalmente la distinzione fra elementi classici ed elementi romantici va fatta solo a scopo
didattico, in quanto serve a comprendere storicamente la poesia del Leopardi, non il suo valore artistico. Infatti, presa in sè e per sè, cioè staccata dal suo contesto storico, la poesia del Leopardi si sottrae ad
analisi scolastiche di questo genere, in quanto è espressione personale ed inimitabile del sentimento del
poeta, di valore metastorico e di validità artistica perenne ed universale.
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