La liberalità versi sciolti attribuibili a Vincenzo Gioberti

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La liberalità versi sciolti attribuibili a Vincenzo Gioberti
ISSN: 2038-7296
POLIS Working Papers
[Online]
Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS
Institute of Public Policy and Public Choice – POLIS
POLIS Working Papers n. 231
December 2015
La liberalità
versi sciolti attribuibili a Vincenzo Gioberti
Guido Napolitano and Francesco Ingravalle
UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA
Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria
La liberalità
versi sciolti attribuibili a Vincenzo Gioberti
Edizione a cura di
Guido Napolitano
Premessa e post-fazione di Francesco Ingravalle
1
Indice
1. F. Ingravalle Premessa
2.G. Napolitano, Prefazione
3. V. Gioberti, La liberalità
4. F. Ingravalle, La liberalità. Versi sciolti attribuiti a Vincenzo Gioberti
2
Abstract
The first edition of the unknown Lyric On liberality of Vincenzo
Gioberti, philosopher of italian “Risorgimento”, maybe dated back to
1833-1834 years, with a shortly commentary on the texture of ideas
upon richness and poverty (according to classical and Modern
sources) connected with the christian View of the World and society
of the catholic Liberalism in the middle of XIX Century.
3
Premessa
Il presente Working Paper contiene l’edizione e il commento del componimento poetico
attribuibile a Vincenzo Gioberti e intitolato La liberalità. Scriviamo “attribuibile” per cautela
critica, ma molti sono gli elementi formali e sostanziali che militano a favore
dell’attribuzione al filosofo torinese.
Potrà sembrare curiosa la scelta di pubblicare in una collana di Teoria Politica un testo che
potremmo definire “etico-religioso”; al di là del rilievo di un inedito come quello qui
pubblicato, rilievo dovuto alla personalità dell’autore e al peso che egli ha avuto nello
sviluppo della vicenda risorgimentale, le grandi questioni dell’etica e dei suoi nessi con la
religione, sono tutt’altro che estranee alla Teoria Politica; non era noto alcun particolare
interesse nutrito da Gioberti per il problema della povertà considerato dal lato eticoreligioso; la pubblicazione di questo componimento obbliga a riconsiderare il pensiero
etico-politico dell’abate torinese da un angolo visuale inconsueto per gli studi fin qui
dedicati alla sua figura.
Francesco Ingravalle

Per un orientamento sulla bibliografia di Gioberti e su Gioberti, cfr. M. Mustè, La
scienza ideale. Filosofia e politica in Vincenzo Gioberti, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2000; G. Riconda-G. Cuozzo (a cura di), Giornata giobertiana, Torino,
Trauben, 200; G. Rumi, Gioberti, Bologna, Il Mulino, 2000; F. Traniello, Gioberti
Vincenzo in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 55 (2001), Roma, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana; T. C. Carena, La pneumatologia teologico-estetica di
Vincenzo Gioberti, con prefazione di V. Mathieu, Milano, Mimesis, 2009; T.C.
Carena-F. Ingravalle, Gioberti politico, Torino, Lazzaretti, 2011.
4
Prefazione
E' con orgoglio che racconto, brevemente, la storia della scoperta del manoscritto inedito
autografo di Gioberti.
La vicenda si intreccia, infatti, con la mia passione per il collezionismo cartaceo, nata
qualche anno fa dopo aver acquistato il primo autografo d'epoca: la firma di Vittorio
Emanuele II, apposta in calce ad un documento coevo. Il mio interesse per il più ampio
settore del collezionismo cartaceo si è, poi, concentrato sui documenti manoscritti, in
quanto gli stessi presentano la caratteristica dell'unicità: due firme (così come due parole
manoscritte), per quanto simili, non potranno mai essere uguali tra loro.
Così, nell'ambito delle ricerche condotte tra librerie antiquarie, collezionisti, mercatini, studi
bibliografici, mi è pervenuta, da una nota Fondazione, la segnalazione del nominativo di
una persona (imparentata con una famiglia nobile toscana) che offriva in vendita alcuni
manoscritti ed autografi d'epoca risorgimentale (oltre ad una bellissima lettera del Vate).
L'esame dei documenti offerti in vendita ha subito attirato la mia attenzione su un
manoscritto contenente una lirica, molto fitto e con grafia aulica, senza firma, ma con la
dizione "autografo di Gioberti" riportata sull'estremità superiore della prima facciata, con
grafia ed inchiostro evidentemente d'epoca.
Il manoscritto era conservato, piegato, all'interno del libretto "Programma della Edizione
Nazionale delle Opere Edite ed Inedite di Vincenzo Gioberti promossa dalla Società
Filosofica Italiana e dalla Confederazione Fascista dei Professionisti ed Artisti diretta da
Enrico Castelli - Arti Grafiche Bertarelli - Roma Milano, 1935, XIII" e presentava lo stato di
conservazione tipico dei documenti (quasi) mai consultati, ossia con facciate interne più
chiare di quelle esterne.
Ipotizzando che l'attestazione dell'autografia di Gioberti fosse stata apposta da
personaggio all'epoca molto vicino al Filosofo (presumibilmente un segretario) ho
proceduto all'acquisto della lirica, unitamente ad altri lotti, riservando un successivo esame
analitico comparativo della grafia avvalendomi di manoscritti certi autografi del Gioberti.
Tale operazione mi è stata possibile grazie alla microfilmatura dei preziosi (e
numerosissimi) manoscritti autografi conservata presso la Sezione Manoscritti della
Biblioteca Civica di Torino (Fondo Vincenzo Gioberti) che mi è stata fatta gentilmente
consultare e della quale ho estratto in parte copia, sì da poter condurre un esame
comparativo
con
la
grafia
della
lirica
in
mio
possesso.
I documenti autografi giobertiani microfilmati sono stati di fondamentale aiuto in quanto mi
hanno consentito di disporre della veste grafica utilizzata dal Filosofo allorquando
componeva trattati, più "impostata" e "manierata" di quella, fluida, utilizzata nelle lettere.
L'esame ha avuto inizio con la comparazione di tutte le lettere maiuscole della lirica con
quelle presenti nei manoscritti autografi del Fondo, riscontrando tratti identici.
Eseguita tale prima importante verifica, ho proseguito rintracciando, nell'ambito dell'ampia
documentazione autografa disponibile, singoli termini utilizzati sia nella documentazione
del Fondo che nella lirica, selezionandoli e comparandoli analiticamente.
Ho avuto modo, così, di riscontrare che la grafia è assolutamente identica.
A solo titolo esemplificativo, ho selezionato e riportato su una scheda alcuni termini
rintracciati nel Fondo Gioberti (esattamente nel Manoscritto n. 10 - MIC 1/5, nelle pagine
da 70 ad 80) che compaiono anche nella mia lirica (e, precisamente: "quando", "scherno",
"inferme", "senza", "ognuno", "l'uomo", "il ricco" e "d'empietà") ravvisando perfetta identità
5
grafologica. Tutte le singole lettere che compongono le parole presentano caratteri
riconducibili alla medesima mano e le parole si presentano con struttura identica.
Al termine, quindi, di alcune giornate di analisi sono pervenuto alla conclusione che, a mio
avviso senza alcuna ombra di dubbio, la lirica da me acquistata sia completamente
autografa di Vincenzo Gioberti, ad eccezione della sola frase "autografo di Gioberti".
All'esito della verifica ho ritenuto importante diffondere la scoperta, contattando la Dott.ssa
Tiziana Carena, il cui nominativo mi è stato indicato dal Dott. Alberto Blandin Savoia della
Sezione Manoscritti e Rari della Biblioteca Civica, quale studiosa del Filosofo.
Sono lieto di poter offrire, in tal modo, un mio piccolo contributo alla conoscenza e
diffusione del pensiero del Filosofo torinese.
Guido Napolitano
6
Autografo di Gioberti
La liberalità
Versi sciolti
Polinnia, che presiedi all’opre figlie
Sol del pensiero, e non d’umana parte
Saprai ben tu qual sia il comune grido,
ch’intorno all’amicizia ognor si spande.
5 Né sia ch’il nieghi la tua accorta lingua,
Che te seguendo un Young, un Cicerone
Di scritti prezïosi tante carte
Coperte ci lasciar, che mente ignara
Affatto ne rimanga invan può dirsi.
10 E se da tali genti in se raccolte
Della madre natura meditando
Le più arcane, e più remote cose
Coi pensieri d’un’alma eroica, e grande,
Aggiuntale formar cotante lodi
15 Sopra dell’amicizia il gran sostegno,
7
Non sia, che sol tu neghittosa, e lenta
A me tai voti, e laudi non ispiri
Sì che arrossir non debba in umil parte,
E chinar per vergogna a terra i lumi,
20 Quindi ritrarli per la propria imago
Pinta nel fiume, che mi scorre avanti
U’l’onda bebbi già al tuo stuol sacrata.
Se già per tanto amor celebri furo,
Teseo, Piritoo, Patroclo, e Achille,
25 Pilade fido, e il forsennato Oreste
Damon con Pizia, e che ne’ nostri tempi
Che solo sia l’armonioso lira
Suoni di quegli antichi, e arrechi solo
Vetusti sì, ma non moderni esempli,
30 O se pur questi arrecar voglia finga
Amicizie dell’arte quali furo
Quelle celebri del Boccacci, e Ariosto
Di Ruggiero, e Leon, Gisippo, e Tito
Già non va questo, e i desiati frutti
35 Esempi tai non recano, che poco
Credonsi i fatti favolosi, e misti
Di quegli error ne’ quai cadette il volgo
Ne’ di longevi ben per lungo tempo,
E che occasion dier di riempier più carte
40 Ad Omero, Virgilio, Ovidio, Stazio;
Come se un per dar modello certo
Di fede coniugal Laodamia
Recasse, che morì veggendo l’ombra
8
Del morto sposo a lei apparso in sogno.
45 Chi il crederia? Chi ‘n prenderebbe esempio?
Forse un idiota di buon senno privo
Od un fanciul alla nutrice in braccio.
Seguendo dunque il mio proposto scopo
Non trovandosi or più chiariti esempi
50 D’un’illustre amicizia, ad altra parte
Musa, volgi la cetra: ‘e già non lascio
L’intrapreso argomento, in questo solo
Quello voglio cercar, che a’ giorni nostri,
Benché difficilmente, ancor si trova.
55 L’esser io tratto liberale, e molto
Ciò come vedi all’amicizia attiene,
E al vizio opposto, che vicino a morte,
Secondo al dir de’ favolosi carmi,
Condusse il sciocco, e temerario Mida.
60 Ne’ troppo essa giammai lodisi, e esalti,
Che i di lei pregi come dessi andrebbe
Ad esaltar un spirito sublime
Che ad opra grande, grande spirto vuolsi.
Oh ben felice liberalitate
65 Se te seguisse ognuno sempre, e ognuno
Agli amici, e congiunti un tal amore
Insinuar nell’animo cercasse!
Società, società, sì che tu allora
Sì, che faresti tua figura in pompa;
70 Né si vedrebbe più su porte o strade
Gemere il poverel, l’orfano afflitto
9
Piangere amaramente, e abbandonata
La vedova in sospir, e in pianto immersa.
Oh secol d’oro, che sarebbe novo
75 Re di nostre contrade, ed i ricetti
U‘giacion miserabili e languenti
Uomini d’ogni etate, e condizione
Porrebbe in bando non per crudo, e rio
Ma per più umano e generoso core.
80 Ma chi or resista? Alla mattina il ricco
Presso al meriggio sonnacchioso e lento
Dall’letto s’alza, e a lauta mensa assiso
Siede, e l’esempio d’Opulon rinnova.
Dopo il gran cibo i vasi d’oro appresta.
85 Al saziato labbro, e fin che regge
Satollo pasce la sua ingorda gola.
Quindi fumante nelle tazze prende
O il Thè di Londra, od il caffè Mocchese
E i molli membri su gradite piume
90 Stesi si dona a vergognoso sonno,
Finché entra il servo a lo svegliar gli dice,
Signor, è giunta del passeggio l’ora.
Allora dal letto torpide le braccia
Le gambe getta, e più fiate stende
95 Il corpo, ed abbajando appena riapre
Gli occhi ancor mezzo chiusi, ed infiammati
Pel troppo sonno, ed in tal guisa lento
Al passeggio sii reca sino all’ora
Che giunto a casa, alla conversazione
10
100 Dona principio, e a mormorar si mette
Or di costui, or di colui, e scherno
Si fa dei vecchi, e le persone inferme,
Che tutte vide lungo la giornata.
Quindi assisosi a cena in quella guisa
105 Che di Baltazuar fu l’ultima cena
Alla gola consente ed in lascivie
I lubrichi desir, e il corpo sfama
Ed in tal modo dal gran vino oppresso
E pieno di libidine si getta
110 Sul letto u’ trova a’ suoi desiri albergo.
E chi or mai regga? Ed ammalato, e stanco
Prima del sol dal letto alza le membra
Il poverel, e ad adorare Iddio
Porta alla Chiesa il piede, dove assiste
115 Al Divin Sacrosanto sacrificio.
Quindi da questa uscito ei dà principio
Con mille stenti, e con sudor continuo
Fino al meriggio al lavorar, e in questo
Lasso ormai col denar, che la mattina
120 Guadagnò col travaglio un piccol pane
E poche noci accatasi, e sedendo
Su duro scanno qui si ciba, e l’acqua
Soddisfa alla sua sete, e poi ripreso
Il suo lavoro sino a notte oscura
125 Non lo tralascia, e dal mal lento, e passo
Va a casa u’ con pan nero si ristora
Nel crudo Inverno senza foco, e in mezzo
11
I più fessure pe’ quai passa l’aria
Si distende tutto egro, e sì dolente
130 Sul pagliariccio, che dormir non puote,
E passa una gran parte della notte
In penosa vigilia i crudi guai
Si rammentando, che gli è stretto il core.
E chi a questo resiste? Oh umanitate,
135 Quanto discorde sei: più duro il core
Hai ricco, d’una pietra, e la passione
Dell’avarizia con orgoglio giunta
Ti spinge in tal così inumano abisso.
Ah quando mai avrà regno nel mondo,
140 Quando mai regnerà quella sì cara,
Ma poco nota liberalitate?
Che tanto render può l’uomo felice
Non sol nell’altra vita; anco in questa.
Ed a che amar in questa vita tanto
145 Gli agi, gli onori, e le ricchezze quando
Stranier siam noi, e viaggiator soltanto,
E questa vita è un sol notturno albergo?
Ricchi che tanto le ricchezze amate
Sapete ben quel che sarà di voi
150 O morte eterna, o pur eterna vita.
E se è ver che così voi l’oro amate
Porgeten tosto al poverel che geme
Che questo ancor voi porterete in Cielo,
E non quel che spendete in cose solo
155 Di questo mondo ai comodi, ed agli agi
12
O quel che sol per vagheggiar lasciate
Dentro dei vostri ben ferrati scrigni.
Quando giunta sarà quell’ultim’ora
Sconvolto il ciel, e pallide le nubi
160 Tinta la luna di sanguigne macchie
Suonando il Ciel di strepitanti squilli
L’aere assordante con feral rimbombo,
Cadrà giù l’empia degli avari schiatta,
E tosto a tormentarli un folto nembo
165 Di demoni verrà, oh terribil vista!
Anguicrinite, e insanguinate larve
Lacero tosto a quegli avari il core
Lascieran, e di più? Di più veggendo
Di su nel Ciel a celebrar le lodi
170 Attorno al Trono del divino agnello
Vedran chi liberale oprò nel mondo;
vista tal il lor tormento, e pena
Accrescerà con un terribil strazio
In faccia tutti trionfando bella.
175 La liberalità dal Divo Padre
Di corona immortal là coronata.

La numerazione è stata aggiunta dal curatore
13
La liberalità. Versi sciolti attribuiti a Vincenzo Gioberti
Francesco Ingravalle
1. Le discipline filologiche –vale a dire le discipline che si propongono l’interpretazione storico-critica
dei testi – appartengono, sotto il profilo della statuto epistemologico – alle scienze ipoteticodeduttive. Tale appartenenza, generalmente riconosciuta, è particolarmente evidente per le
questioni di attribuzione di testi pervenuti anonimi, oppure la cui attribuzione risulta incerta e nelle
questioni di costituzione di un testo sulla base del confronto tra più manoscritti, naturalmente in
assenza dell’originale redatto dall’autore, ove si tratta di raggiungere quello che, con la maggiore
probabilità, era il testo com’esso era uscito di penna all’autore ( è il caso della filologia classica,
oppure della filologia dantesca, per fare soltanto due esempi)1. Il lavoro storico-critico non può
aspirare che a conseguire un certo livello di probabilità, tanto nelle attribuzioni di testi anonimi o di
cui sia incerta la paternità, quanto nella costituzione di un testo. Tale livello di probabilità è il
risultato della formulazione di ipotesi costruite in seguito a ricerche semantiche, stilistiche, relative
alla storia esterna del testo, a eventuali citazioni da parte di altri autori; esso consiste di ipotesi la
cui solidità va sottoposta ai tentativi più radicali di falsificazione2 che la fantasia dell’interprete e dei
suoi recensori e critici possono suggerire. Non a caso, Friedrich Nietzsche, già filologo classico prima
di essere filosofo, scriveva nel 1888: “Mettiamo che avessi battezzato il mio Zarathustra con il
nome di un altro, per esempio quello di Richard Wagner; ebbene, l’acume di due millenni non
sarebbe bastato per indovinare che l’autore di «Umano, troppo umano» è anche il visionario di
Zarathustra…” Un modo, certamente, paradossale, ma, altrettanto certamente, realistico di
considerare la fondamentale incertezza degli esiti del lavoro filologico3.
1
Si rinvia, per una rapida informazione in merito, alla celeberrima voce dell’Enciclopedia
Italiana redatta nel 1932 da G. Pasquali, Edizione critica, oltre alla sua celebre Storia della
tradizione e critica del testo, e, per esempi tratti dalla filologia romanza, a E. Auerbach,
Introduzione alla filologia romanza, tr. it. Torino, Einaudi, 1973. Per apprezzare il valore
esemplare della filologia classica per la formazione delle altre filologie (filologia romanza,
germanica, slava, semitica ecc.), può essere opportuna la lettura di R. Pfeiffer, Storia della
filologia classica dalle origini alla fine dell’età ellenistica, tr. it. Napoli, Macchiaroli, 1973,
nonché di L. D. Reynolds e N. G. Wilson, Copisti e filologi. La tradizione dei classici
dall’antichità ai tempi moderni, tr. it. Padova, Antenore, 1969, terza edizione, ivi, 1987;
per la prospettiva della filologia italiana cfr. G. Contini, Breviario di ecdotica, Torino,
Einaudi, 1990 (prima edizione 1986) e G. Inglese, Come si legge un’edizione critica.
Elementi di filologia italiana, Roma, Carocci, 20003. Il lavoro filologico non può
prescindere dal sussidio di un’altra disciplina, la semantica, sulla quale cfr. T. De Mauro,
Introduzione alla semantica, Bari, Laterza, 1965 e G. Mounin, Guida alla semantica, tr. it.
Milano, Feltrinelli, 1981, oltre al celebre A. Pagliaro, La parola e l’immagine, Napoli, 1957.
2
Ci si riferisce qui alla metodologia di controllo delle ipotesi elaborata per le scienze della
natura da K. R. Popper, Logica della ricerca scientifica (1934), tr. it. Torino, Einaudi, 1974.
3
Cfr. F. Nietzsche, Opere, volume VI, tomo III, Il caso Wagner, Crepuscolo degli idoli,
L’anticristo, Ecce Homo, Nietzsche contra Wagner, versioni di F. Masini e R. Calasso,
Milano, Adelphi, 1975, p. 296. Ma di Nietzsche va ricordata anche la nota prefazione a
Aurora nella quale è contenuto una sorta di manifesto ‘deontologico’ della filologia, cfr. F.
14
I testi scritti sono condizionati non soltanto, com’è noto, dal tempo e dal luogo (conosciuti o
plausibilmente asseribili) della loro produzione , ma anche dalle modalità con le quali essi ci sono
trasmesse: modalità spesso contorte, intricate, labirintiche, fortunose, tali, cioè, da far conseguire
al filologo risultati sempre discutibili, per quanto plausibili essi siano. Lo si constata con le
discussioni su numerosi falsi letterari, discussioni spesso secolari, con gli studi sulla letteratura
pseudoepigrafa: non è molto frequente il caso in cui si possa diagnosticare la falsità di un
documento con i mezzi di cui si era valso Lorenzo Valla nel 1444 a proposito della Donazione di
Costantino, la diagnosi di autenticità presenta difficoltà anche maggiori: la “cerca” degli errori, degli
anacronismi è meno disagevole che non l’indagine per cui un’opera va attribuita a un certo autore.
Quanto precede valga come premessa di cautela. Esistono, certamente, buone ragioni grafologiche
per attribuire i versi sciolti La liberalità, documentate ampiamente dallo scopritore del testo avv.
Guido Napolitano; esistono ragioni non meno solide, sotto il profilo contenutistico, come vedremo,
per non escludere la paternità giobertiana; ma il fatto, strano, che essi siano sfuggiti alle raccolte
delle opere del “gran filosofo” torinese, getta un’ombra, non spessa, ma pur sempre un’ombra,
solleva interrogativi. Ma vi è un’altra ombra: all’inizio del componimento la musa Polinnia è così
apostrofata: «Polinnia, che presiedi all’opre figlie / Sol del pensiero,» (v. 1): Polinnia è, come
ricorderemo più avanti, per la mitologia greca e romana, la Musa degli inni sacri, non del pensiero.
Come Musa pensante (e quindi, ragionevolmente, come Musa tutrice del pensiero) essa è
raffigurata in una statua scoperta soltanto nel 1927 nel corso degli scavi presso Villa Fiorelli, a
Roma. Si potrebbe supporre, soltanto per questo, una falsificazione? O non potrebbe trattarsi di
una libera interpretazione giobertiana che viene d’uno tratto a coincidere con una realtà
documentata archeologicamente soltanto nel 1927?
All’ombra e agli interrogativi cercheremo di portare luce e risposta con un tentativo di ricostruzione
storico-semantica della figura concettuale celebrata nei versi che ci sono pervenuti, di portare in
chiaro la costellazione concettuale che essi rivelano e, infine, di dare una risposta alla domanda
circa l’epoca della vita di Gioberti cui potrebbero essere fatti risalire.
2. Una composizione poetica non è un teorema. Ma è, comunque, una forma di argomentazione,
soprattutto se si tratta di una composizione poetica didascalica, che esorta a tenere un
determinato comportamento, come è il caso del testo qui èdito. Un testo che si propone non tanto
di informare, quanto di conformare certi comportamenti sociali. Un testo edificante. Un testo che
ha come finalità la persuasione ad agire in un determinato modo.
La poesia didascalica ha una lunga tradizione, che, in occidente, risale alle Opere e i giorni di Esiodo
e che è fondamentalmente morta con lo sviluppo delle poetiche romantiche (pur continuando, per
un certo tempo neppure breve, una sorta di umbratile persistenza).
Ciò che rende poetico il testo qui èdito non è il fatto che esso sia scritto in versi. Già Aristotele
osservava che a torto gli uomini chiamano «poeta» chiunque scriva in versi e notava che l’unica
cosa che il poeta Omero e il filosofo Empedocle di Agrigento abbiano in comune è esclusivamente
lo scrivere in versi4. Quando la poesia didascalica non è la trascrizione in versi di una esposizione di
contenuti meramente scientifici (come, a esempio, i Fenomeni di Arato di Soli, vissuto fra il 315
circa e il 240 a. C. circa), ma di esortazioni morali, dobbiamo aspettarci che, essendo suoi scopi la
persuasione e l’azione, essa sia strutturata secondo una certa qual «architettura persuasiva» il cui
W. Nietzsche, Opere, volume V tomo I, Aurora e Frammenti postumi (1879-1881), tr. it. di
F. Masini e M. Montinari, Milano, Adelphi, 1964, pp. 8-9.
4
Cfr. Aristotele, Poetica, 1, 1447 b 13-20.
15
obiettivo è consigliare un certo modo di agire. Il che farebbe rientrare un simile componimento,
versi a parte, nel genere della oratoria deliberativa com’esso è stato definito da Aristotele5, un
genere che consiglia in merito all’utile e al nocivo6. Che Aristotele parli, nei passi ora richiamati, di
composizioni prosastiche non deve farci dimenticare che l’utilizzo del metro può rientrare, in
determinate fasi della cultura, tra gli espedienti che facilitano la persuasione, la memorizzazione, il
facile richiamo alla mente al momento dell’azione e in certe altre anche tra i mezzi che
conferiscono solennità allo scrivere e ai contenuti che esso comunica.
La liberalità ha una struttura assai nitida: 1) invocazione alla Musa che ispira gli inni religiosi
(Polinnia) presentata come colei che presiede alle “opere del pensiero”; 2) invocazione della
liberalità; 3) descrizione della sofferenza del povero; 4) descrizione degli agi e dei piaceri del ricco;
5) chiusa sul diverso destino post-mortem di chi è avido e di chi è ricco.
Il primo elemento interessante è proprio l’invocazione a Polinnia. Come si è già accennato,la
tradizione religiosa greca ci presenta Polinnia come ispiratrice di inni religiosi7, come dea tutelare
dell’eloquenza. L’inno religioso rientra nella poesia che intende produrre la persuasione e
comportamento conforme al rituale al quale esso si riferisce o che presuppone. Si tratta di
persuadere la divinità a comunicare il suo sapere che il poeta provvederà a mettere in forma di
verso. Sono noti gli esempi di Omero, di Esiodo, di Parmenide8. L’autore sembra identificare la
potenza divina che ispira gli inni sacri e il potere divino che presiede alle opere del pensiero (che
non sono soltanto le composizioni poetiche sacre). Sacralità e pensiero vengono a convergere, sin
dall’inizio del componimento, secondo una modalità ben testimoniata in Gioberti9.
L’autore rileva come un “comune grido” si levi intorno all’amicizia e cita, a mero titolo di esempio,
Cicerone e Young. Non suscita, di certo, meraviglia il nome di Cicerone, qui. Ma perché
menzionarlo soltanto dopo avere menzionato Edward Young (dato che non sembrano esserci
ragioni metriche valide a spiegare la disposizione dei nomi)? Edward Young, vissuto tra il 1683 e il
1765, cappellano di re Giorgio II d’Inghilterra, era noto soprattutto per l’elegia The Complaint: or
Night-Thoughts on Life, Death and Immortality che era stata tradotta in lingua italiana nel
181910,mesta constatazione delle tristi condizioni del vivere umano («Dolce sonno…. Fedele a
visitar que’ luoghi, dove sorride la fortuna, sorvola con ali rapide le abitazioni in cui ascolta gemiti e
strida, e va a posarsi sopra occhi non bagnati di lagrime»); ma era assai conosciuto anche il suo
Giudizio finale (Opere, tomo III) in cui egli descriveva la terribile sorte di chi, in vita, non aveva
obbedito alla parola di Dio e al dovere della carità. In questa prospettiva, l’amicizia, scrive Young, è
5
Cfr. Aristotele, Retorica, I, 3, 1358 b 4-8.
Cfr. Aristotele, Retorica, I, 3, 1358 b 21.
7
Cfr. Esiodo, Teogonia, v. 52; Cfr. Platone, Simposio, 187.
8
Per un esame di questo topos poetico e delle sue connessioni con la figura concettuale
della persuasione cfr. a es. L. Ruggiu, Parmenide, Venezia, Marsilio, 1975. Nel 1927-28,
durante gli scavi presso Villa Fiorelli, a Roma, nell’area degli Horti spei veteris, è stata
scoperta una statua identificata come quella della musa Polinnia e denominata come
«Polinnia pensosa» per la tipica postura del corpo. Si tratta di una copia romana del II
secolo d. C. tratta da un’opera dello scultore Filisco di Rodi, II a. C. L’iconografia antica
riconosceva, dunque, un certo nesso tra la divinità tutelare degli inni sacri e il pensiero.
Cfr. A. Bottini (a cura di), Musa pensosa. L’immagine dell’intellettuale nell’antichità,
Milano, 2008.
9
Si pensi non soltanto alla Teorica del sovrannaturale (1838), ma soprattutto alla
monumentale Introduzione allo studio della filosofia, Brusselle, Dalle Stampe di Marcello
Hayez, tre volumi, 1839-1840.
10
Cfr. Opere di Odoardo Young, in tre tomi, a cura di L. A. Loschi, per V. Crescini, Padova,
1819.
6
16
“il vino della vita” perché essa consola delle sofferenze che comporta l’essere nel mondo
conseguente al peccato originale. L’amicizia addolcisce la vita che, di per sé, è terribile («Life is the
desert, life is the solitude, death joins us to the great majority» si legge nell’Atto I di The Revenge).
L’amicizia confina con la carità e con la solidarietà che è un obbligo preciso imposto all’uomo da
Dio. Nel volume Del buono Gioberti avrebbe scritto, a interpretazione del volere di Dio:
«Confòrmati all’ordine delle esistenze da me statuito, cooperando meco alla loro perfezione e
secondando, per quanto sta in te, il mio atto creativo11.» Le indubbie convergenze fra il poeta e il
filosofo non stupiscono: uomini di Dio entrambi, essi colgono l’amicizia in un modo assai diverso da
quello ciceroniano (e aristotelico, per citare un’altra fonte relativa all’amicizia): non tanto lealtà fra
componenti di un medesimo corpo politico (la pólis, la civitas), quanto addolcimento della
condizione post-lapsaria dell’uomo e prescrizione divina. Peraltro, come nella prospettiva
“pagana”, l’amicizia è il presupposto della solidarietà (che, dal punto di vista cristiano, non è
soltanto l’amore per il concittadino, ma per il prossimo) che è il fondamento della liberalità
celebrata nei versi attribuibili a Gioberti. Tutti fratelli in Adamo e in Gesù, gli uomini hanno nel loro
prossimo il loro fratello nei confronti del quale l’amicizia è obbligo sacro e la liberalità è
conseguenza necessaria dell’amicizia stessa. Entrambe fondate teologicamente, amicizia e liberalità
rappresentano il nucleo delle “tante carte” lasciate da Young e da Cicerone (per quanto Cicerone
fosse, e non potesse non essere, pagano).
Il nostro testo prosegue in questi termini: se tu, o musa, hai dato modo a simili ingegni che
indagarono con anima eroica e grande le più arcane e remote cose della madre natura di elogiare
l’amicizia, dona anche a me l’ispirazione che mi permetta di non arrossire e di non abbassare gli
occhi e di ritrarli subito perché vedo rispecchiata la mia immagine nell’acqua del fiume che mi
scorre davanti, del fiume del quale ho bevuto l’onda che già era stata consacrata al tuo stuolo.
L’indagine sui segreti della natura viene presentata brunianamente12 come opera di anime eroiche
e grandi, l’amicizia viene, secondo l’indicazione di Young presentata come «gran sostegno»; anche
l’autore si ritiene un’anima eroica perché dedita alla conoscenza filosofica (che raccoglie in sé i
segreti di madre natura). Il riferimento alla «propria imago / pinta nel fiume, che mi scorre davanti(
U’ l’onda bebbi già al tuo stuol sacrata» potrebbe contenere un riferimento autobiografico.
Quale può essere il fiume la cui corrente è «già al tuo stuol [cioè alle nove Muse] sacrata» e nella
quale l’autore si specchia ? Ammesso che l’autore sia Vincenzo Gioberti, e ammesso che l’immagine
non sia pura fantasia, ma evochi un luogo concreto, il fiume potrebbe essere la Senne, corso
d’acqua che attraversa Bruxelles, città nella quale Gioberti ha risieduto tra il dicembre 1834 e la
fine del1845? Ma gli attributi a esso riferiti dall’autore male si adattano al piccolo fiume, non legato
ad alcuna rilevante tradizione poetica. Potrebbe trattarsi, invece, molto più probabilmente, della
Seine, la Senna, il fiume che attraversa Parigi. A Parigi, infatti, Gioberti ha risieduto dall’ottobre del
1833 alla fine del 1834, come esule politico13, poi dal 1845 all’aprile del 1848, e, infine, dal 1849 alla
morte (25 ottobre 1852) come inviato straordinario del Regno di Sardegna. Al tempo dei tre periodi
parigini di Gioberti, la città può dirsi «città delle Muse» e il suo fiume può ben essere detto,
11
Cfr. V. Gioberti, Del buono (1843) in Id., Scritti scelti a cura di A. Guzzo, Torino, UTET,
1954, p. 552
12
Si pensi ai dialoghi di Giordano Bruno De gli eroici furori Parigi, appresso Antonio Baio
l’anno 1585, leggibile in G. Bruno, Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. Ciliberto, Milano,
Mondadori, 2000.
13
Cfr. T. C. Carena-F. Ingravalle, Gioberti politico, Torino, Lazzaretti, 2011.
17
aulicamente, l’acqua consacrata a esse14. Tanto un Gioberti fresco di studi teologici e di esperienze
politiche come quella che sottostà alla Lettera di Demofilo alla «Giovane Italia», all’arresto e
all’esilio, il Gioberti del 1833-1834, tanto un Gioberti che coglie il tempo nuovo maturato con
l’elezione al soglio pontificio di papa Pio IX e con gli eventi del febbraio-marzo 1848, quanto un
Gioberti disilluso (quale appare dalle pagine del Rinnovamento), il Gioberti del 1849-1852, possono
essere autori del componimento. Nessuna delle ipotesi pare falsificabile con certezza, quindi, per
evitare di entrare inavvertitamente nel genere della ‘vita romanzata’ in cui la fantasia colma i vuoti
di documentazione, è meglio fermarsi qui. Riservandoci, di saggiare più oltre, brevemente, la
plausibilità delle possibili collocazioni cronologiche.
Il poeta lamenta, poi, che gli esempi di amicizia solitamente addotti, sono antichi (Teseo, Piritoo,
Patroclo, Achille, Pilade, Oreste, Damone e Pizia), oppure sono invenzioni letterarie (come quelle,
create da Boccaccio e da Ariosto, tra Ruggiero, Leone, Gisippo e Tito15); proprio perché troppo
antichi, oppure frutto della fantasia, non potrebbero dare, essi, i frutti che ci aspetteremmo. Chi li
sente menzionare li ritiene fatti favolosi, invenzioni, come quelle di Omero, di Virgilio, di Ovidio e di
Stazio. Se volessimo dare un esempio di fedeltà coniugale, non potremmo, di certo, fare l’esempio
di Laodamia (celebrata da Ovidio16), perché nessuno lo prenderebbe come esempio reale e soltanto
gli esempi reali hanno valore. Il fatto di« esser tratto liberale», osserva il poeta, riguarda molto
l’amicizia, ma anche il vizio opposto, che richiama quasi dialetticamente, l’avidità di ricchezze che,
«secondo il dir de’ favolosi carmi17» ha portato Mida vicino alla morte18. Soltanto uno spirito
sublime, cioè che sappia elevarsi al di sopra delle passioni umane, esalta i pregi della liberalità vista
come aspetto dell’amicizia.
Il poeta si rivolge alla liberalità personificata: « Oh ben felice liberalitate, / Se te seguisse ognuno
sempre, e ognuno / Agli amici, e congiunti un tal amore /Insinuar nell’animo cercasse!» (vv. 64-67).
Allora la società (personificata, al pari della liberalità) farebbe una figura magnifica! Non si
vedrebbero gemere i poveri per le strade, non si udirebbe il pianto degli orfani, né il sospiro e il
pianto delle vedove. Queste figure destinatarie della liberalità sono di ascendenza
veterotestamentaria19 e contrassegnano una forte rivendicazione religiosa quale base per
confrontarsi con il secolo.
14
In particolare va ricordato che «Montparnasse» è stata denominata la «collina dei poeti
e delle Muse», ove nel secolo XVII alcuni studenti declamavano versi. Montparnasse, del
resto, è il Monte Parnaso, per analogia con il monte della Grecia centrale che domina
Delfi, a nord del golfo di Corinto, sede dell’importante oracolo del dio Apollo (il dio che
guida le nove Muse figlie di Zeus e di Mnemosine), monte sacro ad Apollo e a Dioniso. Dei
suoi due gioghi, Cirra e Nissa, il primo era consacrato ad Apollo, il secondo alle Muse.
15
Cfr. G. Boccaccio, Decameron, novella ottava, giornata decima; Ariosto, Orlando furioso,
XLIV, 12- XLVI, 78 (terza redazione).
16
Cfr. Ovidio, Heroides, XIII.
17
Cfr. Ovidio, Metamorfosi, XI, 85-193; Igino, Favole, 191, Servio, Commento a Eneide X,
142.
18
Su Mida, non è impossibile che l’autore avesse presente, oltre alle fonti antiche, anche
quanto scrive L. Crasso, Istoria de’poeti greci e di que’che ‘n greca lingua han poetato,
appresso A. Bulifon, All’Insegna della Sirena, 1678, pp. 347-348: avendo ricevuto da
dioniso il dono di trasformare in oro tutto quello che gli capitava di toccare, il principe
frigio Mida non riusciva più a nutrirsi, finché il dio lo liberò dell’infausto dono. Lorenzo
Crasso (metà del secolo XVII) fu avvocato e letterato di Napoli.
19
Cfr. Esodo, 22:22-23: «Non maltratterai la vedova o l’orfano»; Salmo 68, 5: «Dio è padre
degli orfani, difensore delle vedove»; Deuteronomio, 27:19: «Maledetto chi calpesta il
diritto dello straniero, dell’orfano e della vedova.»; Isaia 1, 17: «Cercate la giustizia,
rialzate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la vedova»; Zaccaria 7, 10: «Non
18
«Oh secol d’oro, che sarebbe novo / Re di nostre contrade, ed i ricetti / U’ giacion miserabili e
languenti / Uomini d’ogni etate, e condizione / Porrebbe in bando non per crudo, e rio / ma per il
più umano e generoso core.» (vv. 74-79): la generosità detesta gli ospizi per poveri e vorrebbe
abolirli in nome della dignità umana: se la liberalità regnasse nei cuori, avremmo il ritorno dell’età
dell’oro20, sarebbero banditi i ricoveri per i più poveri per consegnarne gli ospiti a un destino degno
della loro umanità.
La descrizione della giornata del ricco (vv. 80-110), per i suoi accenti può ricordare il poemetto di
Giuseppe Parini Il giorno: il levarsi del ricco dal letto quasi a mezzogiorno, il sedersi a tavola come il
ricco Epulone di evangelica memoria21 per soddisfare l’ingordigia (non la fame!) e, dopo avere
mangiato, si abbandona «a vergognoso sonno» (v. 90) finché lo sveglia un servo per la passeggiata.
Poi egli si dedica alla conversazione in casa e si fa beffe dei vecchi e degli infermi che gli è capitato
di vedere durante la passeggiata. Poi, a cena, «Alla gola consente ed in lascivie / I lubrichi desir, e il
corpo sfama / Ed in tal modo dal gran vino oppresso / E pieno di libidine si getta / Sul letto u’ trova
a’ suoi desiri albergo.» (vv. 106-110). Memorie letterarie e testimonianze personali22? Il ricco qui
descritto vive della corporeità e senza Dio.
A forte contrasto con la vita del ricco viene descritta la giornata del povero. Ammalato, stanco,
prima che si levi il sole, il povero si alza dal letto e va in Chiesa ad adorare Dio e assiste alla Messa.
Quando esce, la sua giornata prosegue fra mille stenti, nel lavoro. A mezzogiorno mangia pane e
qualche noce, bevendo acqua. Riprende, poi, il lavoro fino a notte fonda. Al ritorno a casa, mangia
pane nero. Dalle fessure, d’inverno, entra l’aria gelida. Si stende, infine, sul pagliericcio senza
potere dormire, perché le sofferenze della sua vita gli tolgono il sonno. Il poeta si rivolge, dunque,
al ricco: «Più duro il core / hai, ricco, d’una pietra, e la passione /dell’avarizia con orgoglio giunta / ti
spinge in tal così inumano abisso.» (vv. 135-138). Avarizia e orgoglio, dunque: le passioni più
lontane dalla pratica della vita cristiana.
A che pro, chiede l’autore, amare in questa vita gli onori, gli agi, le ricchezze «quando stranieri siam
noi, e viaggiator soltanto / E questa vita è un sol notturno albergo?» (vv. 145-147) toccando corde
famigliari alla lirica di Young. Del resto, nella Lettera agli Ebrei Paolo di Tarso scrive (13, 14): «non
habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus.» Come ricorda anche Paolo Segneri nel
suo Quaresimale, «noi qui non siamo cittadini di stanza, ma ospiti di passaggio23.» Per tutti,
opprimete la vedova, né l’orfano, lo straniero, né il povero; nessuno di voi, nel suo cuore,
trami il male contro il fratello.»
20
L’espressione usata dall’autore, che si legge, oltre che in Poliziano, anche nel cosiddetto
«Monologo del Satiro» respinto da Silvia, tratto dall’ Aminta di Torquato Tasso: «Non son
io brutto, no, né me tu sprezzi / perché sì fatto io sia, ma solamente / perché povero sono.
Ahi, ché né le ville / seguon l’essempio delle gran cittadi! E veramente il secol d’oro è
questo, poiché solo vince l’oro e regna l’oro» (vv. 55-58, Atto II, scena I); l’espressione
“secol d’oro” deriva da Ovidio, Ars amatoria II, 277-278; Virgilio, Ecloga IV, Esiodo, Le
opere e i giorni, 109 ss. L’immagine evoca, come il celebre dipinto di Lucas Cranach il
Vecchio, la vita perfetta, felice, della originaria stirpe umana plasmata dagli dèi.
21
Luca, 16, 19-31.
22
«Quindi assisosi a cena in quella guisa / che di Baltazuar fu l’ultima cena». Il riferimento
più plausibie come un’eco è a La cena del rey Baltasar di Pedro Calderon de la Barca,
scritta nel 1632. La fonte comune è il libro di Daniele, la descrizione delle vicende
dell’esilio babilonese del popolo ebraico (587-538 a. C.) del profeta Daniele. Al 1636 risale
Il festino di Baltasar dipinto da Rembrandt. Baltasar, nonostante l’assedio di Ciro, sceglie
di organizzare un banchetto nella corte, senza preoccuparsi di difendere la città. Coppe e
vasellame sulla tavola provengono dal saccheggio del Tempio compiuto da
Nabucodonosor al tempo della conquista di Gerusalemme.
23
Cfr. P. Segneri, Quaresimale, vol. 1, Firenze, Jacopo Sabadini, 1679, p. 476.
19
l’alternativa è «o morte eterna, o pur eterna vita» (v. 150). Quando sarà giunta l’ultima ora, «cadrà
giù l’empia degli avari schiatta / E tosto tormentarli un folto nembo / Di demoni verrà, oh terribil
vista!» (vv. 164-166).
Non solo l’avido soffrirà le pene comminategli, ma dovrà patire la vista della beatitudine di chi ha
agito generosamente nel mondo: «La liberalità dal Divo Padre / Di corona immortal là coronata.»
(vv. 176-177).
Occorre chiarire, a questo punto, la vicenda semantica della liberalità nella lingua e nella cultura
italiane che il nostro testo presuppone.
3. Il tessuto concettuale della liberalità
Come accade non di rado, in principio troviamo la riflessione filosofica di Platone (Repubblica 402)
e quella di un ignoto platonico influenzato dalla Stoà del III secolo a. C., l’autore degli Ὅροι
(Definitiones).
Nella Repubblica (402 e 1 ss.) troviamo menzionata la liberalità (ἐλευθεριότης) assieme alla
temperanza, al coraggio, alla magnanimità quali doti alle quali vanno istruiti i guardiani dello Stato.
Si tratta di doti immediatamente politiche, perché in grado di configurare il buon comportamento
pubblico e la coesione della città-Stato. E parlando di Teeteto, nell’omonimo dialogo (144), si rileva
non soltanto che è stato rovinato dai suoi amministratori, ma che egli è liberale nel trattare dei suoi
beni (τῶν χρημάτων) e Socrate commenta che egli è uomo nobile. La nobiltà del carattere si
definisce, dunque, come una certa qual autonomia dai beni che si possiedono.
Negli Ὅροι la liberalità è definita «inclinazione (ἕξις24) all’arricchimento secondo il necessario;
elargizione o acquisizione dei beni secondo il bisogno.» Sia l’arricchimento, sia l’elargizione sono
sottoposte a una misura suggerita dalla temperanza: necessità e bisogno sono i limiti che
configurano la liberalità – rispetto all’avarizia, all’avidità e alla prodigalità. Proprio perché gli Ὅροι
sono materiale di scuola, essi mostrano che nel contesto dell’Antica Accademia platonica il
concetto era di uso comune, oggetto di sforzo definitorio – quali che siano le limitazioni critiche da
addurre nella considerazione del processo di formazione della raccolta stessa25.
Liberalità (ἐλευθεριότης) è derivato da ἐλευθερία, «libertà» condizione giuridica e politica opposta
a quella dello schiavo, ma ben distinta anche da quella di chi, pur non essendo giuridicamente
schiavo di nessuno, lavora per conto di terze persone, il lavoratore dipendente, la condizione che,
nel mondo romano era detta libertas. Sotto il profilo economico, la liberalità presuppone
l’’autosufficienza, oppure la ricchezza, la disponibilità di beni; i nobili, tanto nel mondo greco,
quanto nel mondo romano, sono i «benestanti», i «potenti», come aveva rilevato Friedrich
Nietzsche nel primo dei saggi compresi nella raccolta del 1887 Zur Genealogie der Moral (La
genealogia della morale).
Nella strutturazione del campo semantico del termine «liberalità» grande importanza ebbero gli
apporti di Cicerone (De officiis I, 12) e di Seneca (De beneficiis I, 11-12). Cicerone riporta l’esempio
del re Pirro, a proposito di un riscatto di progionieri. Rifiutando di barattare la libertà dei prigionieri
con oro, Pirro rivendica la qualità di combattenti per i propri soldati, come per i soldati avversari e
afferma: «quorum virtutei belli fortuna pepercit, eorundem liberati me parcere certum est. Dono
ducite doque volentibus cum magnis Dis», «ho deciso di rendere liberi i prodi cui la fortuna
24
Il termine greco qui citato, héxis, indica sia il possesso, sia l’acquisizione, sia lo stato
morale o fisico (come il latino habitus), quindi “facoltà”, “inclinazione”, oppure
“abitudine”.
25
Cfr. in merito Platon, Oeuvres complètes, Tomo XIII, Parte 3 ͣ, a cura di J. Souilhé, Paris,
Les Belles Lettres, 1962, Notice, pp. 153-159.
20
dell’armi incolume ha resa la vita. Riconduceteli in patria, ch’io ve li dono, e che gli Dèi, nella loro
grandezza, vi facciano lieti26.» La magnanimità è componente della liberalità qui ben chiara nel
rifiuto del riscatto in oro. La liberalità si definisce come libertà dall’interesse rappresentato dalla
ricchezza, quindi come autonomia dai beni materiali.
Seneca afferma, nel capitolo 12 del De beneficiis, che il dono in cui consiste l’atto liberale
dev’essere un ché di duraturo, una reale provvigione di ciò di cui un altro ha bisogno. Posto questo,
se ne deduce che la liberalità è il superamento sia della logica dei rapporti di forza, sia del connesso
«do ut des» che caratterizzano tutte le forme di utilitarismo pratico; un superamento inteso in
nome di una potenza che si manifesta non come oppressione, ma come beneficio, come
«sovrabbondanza di essere», non come restrizione degli spazi della personalità altrui. Stando così le
cose, non c’è da stupire se la liberalità, nell’età ellenistico-romana andava di pari passo, almeno
semanticamente con la εὐεργεσία27, il «beneficio» inteso come il buon agire tipico (almeno sotto il
profilo del dover essere) di chi dispone legittimamente del potere sovrano (si pensi, a esempio, a
Tolomeo III Evergete, re d’Egitto dal 246 alla morte, nel 221 a. C., figlio di Tolomeo IIe di Arsinoe I)
inteso come un potere rivolto a giovare ai sudditi, disinteressatamente (come sarà nel modello del
buon principe elaborato da Seneca nel De clementia e da Plinio il Giovane nel Panegirico di
Traiano, trasmessosi, attraverso la tradizione degli Specula Principum nel Medio-Evo latino, fino alla
Institutio Principis Christiani di Erasmo da Rotterdam e alla descrizione del Summus Magistratus
nella Politica methodice digesta exemplis sacris atque profanis inlustrata di Johannes Althusius
(1603, terza edizione 1614)28. Il ruolo fondamentale del principe è quello di essere benefattore,
come tale egli viene descritto in numerose iscrizioni in lingua greca tra la metà del IV secolo a. C. e
gli ultimi decenni del I secolo a. C. In Roma, gli edili avevano a disposizione una somma tratta dal
bilancio pubblico spesso insufficiente a essere liberali e dovevano, per finanziare feste religiose,
divertimenti, spettacoli circensi, opere pubbliche, attingere alle proprie personali ricchezze. Il
pubblico potere si manifesta, dunque, come magnificenza e liberalità; le stesse Res gestae di
Ottaviano Augusto si soffermano sulle spese sostenute dal princeps per lo Stato e per il popolo
romano; da Nerone in poi, gli imperatori continueranno nella politica di elargizioni attingendo al
bilancio pubblico.
Tramontato il modo di produzione schiavistico, cristianizzatosi l’impero romano, soprattutto dopo
l’Editto di Tessalonica del 380 emanato da Teodosio, tanto ἐλευθεριότης29, quanto il suo
equivalente latino liberalitas si depoliticizzarono progressivamente sino ad assumere un significato
etico-religioso; le opere di carità, le elemosine, l’abbellimento delle chiese saranno il segno della
magnificenza e della liberalità di un potere conferito da Dio30; in italiano (e nelle lingue neolatine31)
liberalitas ha assunto precisamente il significato di una denotazione etica, pertinente al carattere e
26
Cfr. Cicerone, Dei doveri, versione di G. Lattanzi, Istituto Editoriale Italiano, Milano,
1928.
27
Il termine euergesìa è già presente in Omero (Odissea, XXII, 235); in Tucidide indicava un
titolo di benemerenza politica che comportava privilegi (I, 129); ne conosciamo addirittura
una personificazione in Dione Cassio (LXXI, 34) equivalente al latino Liberalitas.
28
Cfr. J. Althusius, La politica. Elaborata organicamente e con metodo e illustrata con
esempi sacri e profani, a cura di C. Malandrino, Torino, Claudiana, 2009.
29
Eleutheriòtes derivato da eleutherìa, “libertà” è un altro equivalente del latino
liberalitas. Tuttavia, mentre euergesìa sottolinea il bene fatto per la collettività,
eleutheriòtes mette in primo piano la libertà da ogni vincolo di interesse e / o di denaro.
30
Cfr. J. M. Laboa, Storia della carità nella vita del cristianesimo. «Dai loro frutti li
riconoscerete», tr. it. Milano, Jaca book, 2012.
31
Liberalidad in spagnolo, liberalidade in portoghese, libéralité in francese, liberalitate
(oltre che dărnicie in rumeno).
21
alle inclinazioni della vita privata, per quanto considerata, quest’ultima, sempre in rapporto con la
vita pubblica ormai disegnata secondo le linee della morale cristiana (che viene ad ampliare le
nozioni di bene pubblico implicite nel linguaggio etico-politico e nella pratica greca e romana).
Va considerata, inoltre, un’altra radice della nozione di liberalità, quella che affonda nell’ Etica
nicomachea di Aristotele che ha influito sullo sviluppo del campo semantico del nostro termine
attraverso la filosofia di Tommaso d’Aquino. Alla liberalità è dedicato il libro IV dell’ Etica
nicomachea; la liberalità viene definita «la medietà riguardo alle ricchezze32» Ricchezza è tutto ciò
che è misurato con la moneta33; la prodigalità e l’avarizia indicano l’eccesso e il difetto relativo
all’uso della ricchezza. Il generoso «elargirà in vista del decoro e rettamente, cioè alle persone a cui
si deve e quanto e quando si deve e si conformerà a tutte le norme di una retta elargizione34.» Il
generoso non guarda a sé35. La generosità, comunque, non consiste nella quantità delle cose date,
ma «nella disposizione d’animo di chi le dà36», cioè con piacere o senza dolore; ma egli non darà a
chi non deve dare, né quando non deve dare. Il prodigo finisce, poi, per essere avido di prendere
per il suo desiderio di elargire37. Dalla prodigalità, si può guarire, tuttavia, mentre dall’avarizia non
c’è modo di uscire.
Nella Summa Theologica (art. 2, quaestio 117) Tommaso d’Aquino afferma che la liberalità può
essere detta anche «larghezza»; le cose che debbono passare da un uomo a un altro uomo sono i
beni posseduti indicati dalla parola «denaro». Ne consegue che la materia propria della liberalità è
l’uso del denaro38. Fedele esegesi delle vedute aristoteliche, essa congiunge, poi, la liberalità alla
giustizia, alla fortezza e alla temperanza, altrettante modalità per mettere in forma l’impulso
acquisitivo (base psicologica dell’avarizia /avidità) e il desiderio di essere benvoluti dal prossimo
grazie alle elargizioni (base psicologica della prodigalità).
Dante Alighieri, nel Convivio39, afferma: «Acciò che nel dono sia pronta liberalitade e che essa si
possa in esso notare, ancora si conviene essere netto d’ogni atto di mercatanzia, conviene essere lo
dono non domandato.» La lezione ciceroniana del De officiis, nell’esempio di Pirro, e di Aristotele,
attraverso l’esegesi di Tommaso d’Aquino traspare con una certa chiarezza dalla parole di Dante
Alighieri. Liberale non è chi opera secondo una pratica di scambio, ma chi dà senza alcun ritorno
economico o di altra natura.
La prima trattazione sistematica moderna su base aristotelica del tema si deve a Emanuele Tesauro
(Torino 1592-Torino 1675), drammaturgo, rètore e letterato, gesuita dal 1611, precettore storico di
Corte di Casa Savoia, uscito dalla compagnia di Gesù nel 1635 pur restando sacerdote secolare.
Nella sua opera La filosofia morale derivata dall’alto Fonte del grande Aristotele Stagirita40 egli
precisa: «Donar salutari consiglia a’ perplessi, non è liberalità, ma umanità. Donar ajuti con buoni
officj appresso a’potenti, non è liberalità, ma offiziosità. Donar conforti agli afflitti, non è liberalità,
32
Cfr. Aristotele, Etica nicomachea, IV, 1, 1119 b 22-23, tr. it. di A. Plebe, Bari, Laterza,
1961, rist. in Aristotele, Opere, Bari, Laterza, 1973, vol. 7.
33
Cfr. Aristotele, Etica nicomachea, cit., IV, 1, 1119 b 27-28.
34
Cfr. Aristotele, Etica nicomachea, cit., IV, 1, 1120 a 23-25.
35
Cfr. Aristotele, Etica nicomachea, cit., IV, 1, 1120 b 7.
36
Cfr. Aristotele, Etica nicomachea, cit., IV, 1, 1120 b 7-8.
37
Cfr. Aristotele, Etica nicomachea, cit., IN 1, 1120 b 32-33.
38
Cfr. Tommaso d’Aquino, La somma teologica, Edizioni dello Studio Domenicano,
Bologna, 1996, traduzione a cura della redazione delle Edizioni Studio Domenicano.
39
Cfr. Dante Alighieri, Convivio, I, VIII, 16.
40
Cfr. E. Tesauro, La filosofia morale derivata dall’alto Fonte del Grande Aristotele
Stagirita del Conte e Cavalier di Gran Croce D. Emanuele Tesauro, patrizio torinese, in
Venezia, MDCCXXIX, presso Niccolò Pezzana, con licenza de’ Superiori.
22
ma pietà. Donare il sangue per la Patria non è liberalità, ma fortezza. Gli oggetti della liberalità
sono i beni di fortuna, che si misurano con l’oro; perché circa questi la liberalità per proprio offizio
modera l’affetto umano […]. Il donare del liberale, non è solamente il trasferire la proprietà di una
gemma o di una somma d’oro in colui che riceve; ma spendere largamente in splendidi palagj,
amene ville, deliziosi giardini, e fonti, e statue, e pittura preziose e peregrine fiere; non per delizia
sua, ma del popolo; ritenendone la proprietà, per farne usufruttuarj gli occhi di tutti. Perocché
siccome l’avaro con cento catenaccj chiudendo le sue case, e le sue casse, per farle impenetrabili
anco del Sole, a guisa del vigile serpente degli orti esperj non ne gode, e non ne lascia godere, il
liberale per opposito allora gode, quando gli altri ne godono, sicché veramente chiamar si possono
Delizie del popolo, le sue delizie41.» Il filosofo aristotelico continua: «L’oro, non men che il ferro è
un utile instromento; ma inutile nelle mani dell’avaro; pernicioso in quelle del prodigo. Il sol liberale
ha l’arte di bene adoprarlo42.» Il dono va proporzionato, inoltre, alla qualità di chi dona e di chi
riceve il dono, cioè ai gradi etici e sociali; e non si deve donare tutto a uno solo. E va ricordato che
«il donare a genti infami, quando sono miserabili, non è liberalità, ma umanità, e debito
naturale43.» La liberalità, inoltre, conferisce gloria.
La rielaborazione o amplificazione delle vedute di Aristotele lascia traccia negli esempi raccolti dal
Vocabolario degli Accademici della Crusca44quasi a conferma della rielaborazione di Tesauro (e altri)
affermatasi nel senso comune degli scrittori moderni dii etica. Fra le più significative attestazioni c’è
quella di Torquato Tasso il quale (Lettere, 2, 281) esorta, inoltre, il principe a «distinguere
minutissimamente tra la prodigalità e la liberalità» confermando il ruolo del principe come
promotore della liberalità stessa. Ulteriori conferme del quadro aristotelico emergono dalla voce
Liberalità del Dizionario della lingua italiana di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini45.
Nel Rinnovamento Gioberti scrive: «Che se in noi la libertà e la liberalità differiscono, la parentela
delle due voci ne fa risalire alla fonte comune ed archetipa delle doti che rappresentano.» Il
comportamento dell’uomo libero della tradizione platonico-aristotelica va a fondersi con la libertà
del cristiano e con i suoi obblighi verso la legge di Dio e verso il prossimo, nonché con gli ideali di
libertà professati dal liberalismo e con gli ideali di carità emergenti dal cristianesimo sociale di
Lamennais – autore ben e polemicamente noto a Gioberti46. Già all’inizio del Rinnovamento
troviamo un’affermazione assai significativa: “Tre sono i bisogni principali dell’età nostra, cioè il
predominio del pensiero, l’autonomia delle nazioni e il riscatto della plebe, che è quanto dire del
maggior numero47.” La libertà stessa non è che uno strumento dell’ordine politico e non ne può
essere assolutamente il fine. Intesa e praticata come fine, la libertà può volgersi al bene come al
41
Cfr. E. Tesauro, La filosofia morale, cit., pp. 144-145. Alla liberalità è dedicato l’intero
libro VI, pp. 137 ss.
42
Cfr. E. Tesauro, La filosofia morale, cit., p. 149.
43
Cfr. E. Tesauro, La filosofia morale, cit., p. 152.
44
Cfr. Vocabolario degli Accademici della Crusca, vol. IX, in Firenze, nella tipografia
galileiana, 1905 s. v. Liberalità.
45
Cfr. Dizionario della lingua italiana nuovamente compilato dai signori Nicolò Tommaseo
e cav. Bernardo Bellini […], vol II, parte II, UTET, Torino-Napoli, 1869.
46
Cfr: L. Giusso, Gioberti, Milano, Garzanti, 1948, pp. 111-115. Si vedano anche le pagine
dedicate a Lamennais nei Pensieri numerati vol II, a cura di G. Bonafede, Padova, CEDAM,
1995, pp. 91-92. Giusso, peraltro, avverte: «I fiscali della contraddizione possono ben
sogghignare davanti alle oscillazioni d’una “formula ideale” che sbanda vertiginosamente
tra l’identificazione colla “Monarchia cristiana” e il riassorbimento senza residui nelle
istituzioni democratiche al tempo del Rinnovamento.»
47
Cfr. V. Gioberti, Del Rinnovamento civile d’Italia, tomo I, Parigi e Torino, a spese di
Giuseppe Bocca libraio di S.S.R.M., Chamerot, rue du Jardinet, 13, 1851, p. 86.
23
male: “E nel modo che la libertà è la potenza di fare il bene, similmente la liberalità è l’inclinazione
a comunicarlo, onde viene il nome di liberale, comune a quelli che amano il vivere libero e a quelli
che largheggiando, ne appianano agli altri il godimento48.”
La liberalità che è al centro del componimento attribuito a Gioberti sembra prendere come suo
antipodo la frase di George Farquhart (1678-1707): «Nulla è scandaloso quanto gli stracci e nessun
crimine è vergognoso quanto la povertà.» Essa, infatti, si presenta come carità e la carità, come non
conosce scandali, così non conosce vergogna. Non è istanza giudicante sul piano etico, ma amore
per il prossimo.
Nella prima metà del XIX secolo si è sviluppata una vasta letteratura sulla povertà coeva di «quel
complesso fluttuante di aspirazioni sentimentali, che si è più volte cristallizzato nelle utopiche
creazioni artificiali di un nuovo mondo umano, che per un tocco magico dovrebbe sostituirsi
dall’oggi al domani al vecchio mondo in cui viviamo49.» In Inghilterra, nel 1834, una legge abolì la
carità legale proibendo l’aiuto a domicilio e costringendo i poveri a entrare in nuove Workhouses
(tra i promotori della legge l’allievo del filosofo utilitarista Jeremy Bentham, sir Edwin Chadwick,
vissuto tra il 1800 e il 189050); in Francia, l’accademia delle Scienze Morali e Politiche promosse
un’inchiesta sulle condizioni operaie e, agli inizi degli anni Quaranta, Antoine-Eugène Buret tenta di
sviluppare una sociologia della povertà e di studiare la connessione di simultaneità tra povertà delle
masse popolari e ricchezza della nazione51. Sono gli anni del pieno sviluppo della prima rivoluzione
industriale: di lì a poco Friedrich Engels pubblicherà (1844) Le condizioni della classe operaia in
Inghilterra. Non andrebbero neppure passate sotto silenzio le secolari iniziative come, per
ricordarne una, quelle della Congregazione di San Vincenzo de’ Paoli che doveva essere
particolarmente nota a Gioberti. Eppure, leggendo la sua composizione, pare che nessuno si prenda
cura dei poveri, nessuno si interessi delle loro condizioni. Potremmo considerarlo un modo di
criticare radicalmente quanto si veniva facendo in materia di “governo della povertà”, quale che
fosse in contesto, francese, belga o piemontese, in cui si radicava la composizione.
Il modo di avvicinarsi al problema dell’autore del nostro componimento è diverso da quello degli
studiosi della povertà o da quello degli istituti caritatevoli: la fede nell’Agnello di Dio deve muovere
i cuori, tutti i cuori, verso chi è povero pur essendo oberato dal lavoro; lo scenario è ben lontano da
diagnosi sociologiche o da prospettive politiche e sembra collocarsi in una teologia politica52 della
ricchezza e della povertà, in una esortazione a prendere finalmente sul serio il Vangelo.
4. Quali conclusioni?
«L’amore degli uomini innestato per dir così dal senso religioso diventa Carità. Quanto è
infiammante quest’ultimo vocabolo, tanto è freddo e secco quello di filantropia.» Così si legge nei
48
Cfr. V. Gioberti, Del Rinnovamento, cit., p. 134. Si veda anche la nota n. 2 alla medesima
pagina.
49
Cfr. E. Ferri, Socialismo e scienza positiva (1894) leggibile in
http://ww2.bibliotecaitaliana.itt/view?docld=bibit001109/bibit00
50
Cfr. S. Finer, The Life and Times of sir Edwin Chadwick, London, Methuen, 1952; R. A.
Lewis, The Public Health Movement 1832-1854, London-New York-Toronto, Longmanns,
Green and Co. 1952.
51
Cfr. Antoine-Eugène Buret, De la miserie des classes laborieuses en Angleterre et en
France; de la nature de la misère, de son existence, des ses effects, des ses causes, et de
l’insuffisance des rèmedes qu’on a lui opposées jusqu’ici; avec l’indication des moyens
propres a en affranchir les societés, Bruxelles, Societé Typographique Belge,1842, tome II,
livre III, chapitre. V, p. 86 (il volume era già apparso nel 1840, Paris, Paulin).
52
Per l’utilizzo di questa denominazione cfr. M. Scattola, Teologia politica, Bologna, Il
Mulino, 2011
24
Pensieri numerati53. Potrebbe essere questa l’epigrafe da anteporre ai versi sciolti La liberalità. La
carità cristiana è il fondamento della lettura della liberalità che viene data nel componimento.
Dire tuttavia che esso non ripugna alla costellazione ideale giobertiana, per quel tanto che essa si
nutre, in materia di morale religiosa, delle elaborazioni dell’aristotelismo mediate dalla cultura
tardo-medievale e moderna, è altra cosa dal dire che Gioberti è autore dei versi da noi pubblicati
qui. La ricostruzione del contesto storico-concettuale della composizione suggerisce che nulla osta
a confermare l’attribuzione a Gioberti de La liberalità.
A che serve la filologia? A giungere a leggere un testo con la certezza che esso sia dell’autore
dichiarato in frontespizio e della forma in cui l’autore voleva che fosse diffuso. In seconda battuta,
essa serve ad avvicinare quanto più possibile il campo semantico dell’autore al campo semantico
ipotizzabile nel lettore. La filologia è una scienza che costruisce poche certezze e apre spazi di
perplessità. Per obbligo professionale il filologo è un diffidente. Si tratta sempre di vedere se per
peso le poche certezze riescano a vincere sulle perplessità, oppure no. Ritorniamo, dunque su
queste ultime con le quali abbiamo dato inizio alle nostre considerazioni.
1. Come mai la composizione – che grafologicamente è giobertiana54- è sfuggita agli editori
giobertiani, soprattutto a Giuseppe Massari?
2. Come mai Gioberti celebra Polinnia, musa degli inni sacri, come Musa delle opere sol del
pensiero?
3. Come mai nell’opera edita e inedita di Gioberti il concetto di liberalità non pare avere un ruolo
così centrale come ci si aspetterebbe una volta terminata la lettura dei versi sciolti qui
pubblicati?
4. Posto che il componimento sia opera di Gioberti, a quale periodo della sua vita potrebbe
risalire?
Cercheremo di rispondere, ora a queste domande.
1. È molto arduo rispondere al quesito circa la fortunosa vicenda della composizione
giobertiana. Il suo destino sembra quella di una composizione d’occasione, affidata subito a
un destinatario senza che l’autore ne salvasse una copia per sé. Ma quale occasione? Il
lascito giobertiano e l’epistolario, soprattutto, non sembra riservare alcuna spiegazione,
alcun indizio dotato di credibilità. Non resta da fare nient’altro, forse, che accettare il dato
di fatto dell’esistenza de La liberalità con attribuzione di mano ignota a Gioberti.
2. Nulla, nella tradizione greca e romana, poteva indurre Gioberti a designare Polinnia come
Musa che presiede alle opere del pensiero. Tale associazione è possibile soltanto
considerando come la conoscenza e la fede derivino, per Gioberti da una sola e medesima
radice – sicché una potenza divina che presieda alla composizione di inni sacri è
inevitabilmente connessa con la conoscenza, con il pensiero; la tradizione antica offriva
soltanto la possibilità di tirare semplicemente le somme dagli stretti rapporti che poeti,
oratori e filosofi dichiararono con le Muse in generale, non con Polinnia in particolare.
Tuttavia, come abbiamo già ricordato,nel 1927/28, una scoperta nel corso degli scavi
archeologici degli Horti Spei Veteris, nell’area del colle Esquilino, presso Villa Fiorelli,
53
Cfr. V. Gioberti, Pensieri numerati vol I, a cura di G. Bonafede, Padova, CEDAM, 1993, p.
247.
54
Potrebbe essere un falso? Ma il sospetto di una falsificazione abbisogna di elementi
indiziari che mancano totalmente; né tali si possono considerare la fortunosa trasmissione
del testo e neppure la singolare designazione sulla quale ci soffermeremo ancora della
Musa Polinnia come ispiratrice delle opere del pensiero.
25
avrebbe confermato l’identificazione compiuta nella composizione attribuibile a Gioberti: la
scoperta della statua identificata con Polinnia pensosa. La statua, attualmente conservata
presso i Musei capitolini risalirebbe al II secolo d. C. e consisterebbe in una copia dell’opera
scolpita dallo scultore greco Filisco di Rodi nel II secolo a. C., secondo una tipologia non
ignota55. Ma Gioberti non poteva avere notizia della statua; non è necessario, qui,
immaginare un falsario all’opera: basta pensare che Gioberti considerava il sacro come
oggetto centrale del pensiero, come già si è ricordato, e, quindi, poteva pensare a Polinnia,
Musa degli inni sacri, come tutrice delle opere del pensiero.
3. Gioberti menziona assai raramente la liberalità, anche perché il suo stile di pensiero è
piuttosto lontano da quello della trattatistica che si era occupata di questa figura etica. Al di
là dello scritto Sul buono, del 1843, Gioberti si è chinato piuttosto di rado sui temi della
filosofia morale, dandoli, in certo qual modo, per acquisiti dalla precedente riflessione; la
sua concordia discors con Lamennais lascia trasparire una vicinanza difficilmente
contestabile ai temi del cristianesimo sociale bandito dall’inquieto pensatore francese, ma
non per questo concorre a fare della liberalità un tema centrale di riflessione. A parte,
beninteso, la composizione qui pubblicata che, però, è più opera di perorazione religiosa
che non di riflessione filosofica.
4. Non vi sono elementi che permettano di collocare il componimento in un punto
determinato della vicenda intellettuale di Gioberti, anche se il tono esortativo sembra
essere confacente a un Gioberti non ancora provato dal fallimento dei suoi obiettivi politici
che non al disincantato pensatore del Rinnovamento. L’identificazione –meramente
probabile - del fiume menzionato nella composizione permette di ipotizzare tre datazioni:
ottobre 1833-fine 1834, oppure 1845-1848, oppure 1849-25 ottobre 1852. Ma se
l’impressione ora manifestata è corretta, la datazione ipotetica potrebbe essere ottobre
1833-fine 1834.
55
Cfr: A. Bottini (a cura di), Musa pensosa. L’immaginario dell’intellettuale nell’antichità, Milano, Mondadori Electa,
2008.
26
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“Quando” a pag. 76 / 77 del manoscritto della Biblioteca Civica (pag. 4 del PDF)
“Quando” a pag. 3 del mio manoscritto
“scherno” a pag. 76 / 77 del manoscritto della Biblioteca Civica (pag. 4 del PDF)
“scherno” a pag. 3 del mio manoscritto
“infermo” a pag. 76 / 77 del manoscritto della Biblioteca Civica (pag. 4 del PDF)
“inferme” a pag. 3 del mio manoscritto
“Il” a pag. 80 del manoscritto della Biblioteca Civica (pag. 6 del PDF)
“Il” a pag. 3 del mio manoscritto
“senza” a pag. 80 del manoscritto della Biblioteca Civica (pag. 6 del PDF)
“senza” a pag. 3 del mio manoscritto
“ognuno” a pag. 80 del manoscritto della Biblioteca Civica (pag. 6 del PDF)
“ognuno” a pag. 2 del mio manoscritto
“l’uomo” a pag. 76 / 77 del manoscritto della Biblioteca Civica (pag. 4 del PDF)
“l’uomo” a pag. 3 del mio manoscritto
“ricco” a pag. 72 / 73 del manoscritto della Biblioteca Civica (pag. 2 del PDF)
“ricco” a pag. 2 del mio manoscritto
“d’empietà” a pag. 76 / 77 del manoscritto della Biblioteca Civica (pag. 4 del PDF)
“l’empia” a pag. 4 del mio manoscritto
Recent working papers
The complete list of working papers is can be found at http://polis.unipmn.it/index.php?cosa=ricerca,polis
*Economics Series
Q
**Political Theory and Law

Al.Ex Series
Quaderni CIVIS
2015 n.231** Guido Napolitano and Francesco Ingravalle: La liberalità. Versi sciolti
attribuibili a Vincenzo Gioberti
2015 n.230** Francesco Ingravalle (ed): Filippo Giordano Bruno: Cabala del Cavallo
Pegaseo con l'Aggiunta dell'Asino Cillenico
2015 n.229** Matteo Cannonero et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie
locali N.7/2015
2015 n.228*
Michele G. Giuranno and Rongili Biswas: Internal migration and public policy
2015 n.227*
Giuseppe Di Liddo and Michele G. Giuranno: Strategic delegation under the
subsidiarity principle
2015 n.226*
Giampaolo Arachi, Giuseppe Di Liddo and Michele G. Giuranno: Cooperazione
locale in Italia: le Unioni di Comuni
2015 n.225*
Guido Ortona: A commonsense assessment of Arrow's theorem
2015 n.224*
Michele Giuranno and Antonella Nocco: Trade tariff, wage gap and public
spending
2015 n.223*
Giuseppe Di Liddo and Michele Giuranno: Asymmetric yardstick competition
and municipal cooperation
2015 n.222** Maria Bottiglieri: Il diritto al cibo adeguato. Tutela internazionale,
costituzionale e locale di un diritto fondamentale “nuovo”
2015 n.221** Piera Maria Vipiana and Matteo Timo: Le direttive UE del 2014 in tema di
appalti pubblici e concessioni
2015 n.220
Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: Competition and its effects on
cooperation – An experimental test
2015 n.219
Marco Novarese and Viviana Di Giovinazzo: Not Through Fear But Through
Habit. Procrastination, cognitive capabilities and self-confidence
2014 n.218** Nicola Dessì et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali
N.6/2014
2014 n.217*
Roberto Ippoliti: Efficienza tecnica e geografia giudiziaria
2014 n.216** Elena Ponzo et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali
N.5/2014
2014 n.215
Gianna Lotito, Anna Maffioletti and Marco Novarese: Are better students really
less overconfident? - A preliminary test of different measures
2014 n.214*
Gloria Origgi, Giovanni B. Ramello and Francesco Silva: Publish or Perish.
Cause e conseguenze di un paradigma
2014 n.213** Andrea Patanè et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali
N.4/2014
2014 n.212** Francesco Ingravalle et al.: L’evento. Aspetti e problemi
2013 n.211** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme
internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura .
Case study: La valorizzazione della Cittadella di Alessandria e del sito storico
di Marengo.
2013 n.210** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme
internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura
2013 n.209** Maria Bottigliero et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali
N.3/2013
2013 n.208** Joerg Luther, Piera Maria Vipiana Perpetua et. al.: Contributi in tema di
semplificazione normativa e amministrativa
2013 n.207*
Roberto Ippoliti: Efficienza giudiziaria e mercato forense
2013 n.206*
Mario Ferrero: Extermination as a substitute for assimilation or deportation: an
economic approach
2013 n.205*
Tiziana Caliman and Alberto Cassone: The choice to enrol in a small university:
A case study of Piemonte Orientale