Tre nomi, mille facce. Un invito al viaggio a Istanbul di Brigitta Bianchi

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Tre nomi, mille facce. Un invito al viaggio a Istanbul di Brigitta Bianchi
Tre nomi, mille facce. Un invito
al viaggio a Istanbul
di Brigitta Bianchi*
Il modo migliore per calarsi in Istanbul è arrivare per nave a
Karaköy (=villaggio nero), nell’antico quartiere genovese, all’ombra della torre di Galata, come fanno le due protagoniste di
Un film parlato del regista portoghese Manoel de Oliveira. Varcati i mitici (e storici) Dardanelli, si attraversa lentamente il mar di
Marmara e si penetra nell’antica Costantinopoli già percependone le mille sfaccettature.
Oppure giungiamo per terra (a due, a quattro o più ruote)
dalla Turchia “asiatica”: la città si annuncia, a chi arriva in autostrada da Ankara, già ben prima del maestoso ponte sul Bosforo (il ponte sospeso più lungo d’Europa) dove un cartello annuncia: “Benvenuti in Europa”. Europa? Mai, come di questi
tempi, è attuale questa domanda. Siamo in Europa? Siamo in
Asia? Dove siamo? Istanbul si presenta come una variopinta
matrioska russa: tanti corpi autonomi uno dentro all’altro fino a
quello più piccolo, il centro, l’essenza. La definizione proposta
da un abitante di Göreme per la sua regione, la Cappadocia, va
bene anche qui: Istanbul non è Turchia, Istanbul è Istanbul. Tanto è vero che nel 1923 Atatürk volle come capitale la più turca
Ankara, lasciando a Istanbul il ruolo di porta della Turchia, di
emblema turistico, di crocevia commerciale e culturale.
*
Docente di italiano e latino.
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Quest’anno la città è capitale europea della cultura e ha scelto come tema delle celebrazioni la teoria dei quattro elementi
primordiali: terra, aria, acqua e fuoco. Molti sono i punti della
città in cui ci si può calare nei primi tre elementi. Se l’osservatorio “canonico” della metropoli è la caratteristica torre di Galata,
una vista a 360° si può godere anche dal ponte di Atatürk sul
Corno d’Oro, trafficatissimo punto di passaggio per i locali e
noto agli italiani per un determinante scambio di battute tra
Carlo Verdone e Silvio Muccino nel film Il mio miglior nemico.
Istanbul dei turisti e Istanbul dei turchi: percepiamo questo
binomio (non è uno iato, sono due corpi della stessa matrioska)
anche tra le pagine dei libri. C’è la città dei visitatori e dei viaggiatori e c’è la città dei locali. Queste entità si toccano, si fondono, eppure restano autonome. Fino al secolo scorso c’era anche
Istanbul dei greci, che vennero costretti ad andarsene in seguito
all’inasprirsi del conflitto greco-turco, come racconta con poetica levità il film Un tocco di zenzero del regista greco Tassos Boulmetis. Per i greci la città è sempre Costantinopoli e come tale
viene chiamata nel film. Il titolo originale, Politiki Kouzina, sottolinea ancor meglio il rapporto tra città e arte culinaria che il
protagonista Fanis Iakovidis impara ad assaporare fin da piccolo nella bottega di spezie del nonno e nella cucina di casa sua,
vero fulcro della vita familiare.
Il giovane studente Osman, protagonista di La nuova vita del
premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk1, arriva con il
vaporetto a Karaköy, si muove per il quartiere di Taksim, frequenta l’università Tașkișla (di cui un turista e magari pure un
locale possono ignorare anche l’esistenza).
Nell’autobiografico Istanbul 2 Pamuk chiarisce il nesso tra sé
e la città: «Ci sono scrittori come Conrad, Nabokov e Naipaul
1
2
Einaudi, Torino 2000.
Einaudi, Torino 2006.
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che hanno scritto con successo pur avendo cambiato lingua,
nazione, cultura, paese, continente, persino civiltà. Io so che la
mia ispirazione trae vigore dall’attaccamento alla stessa casa,
alla stessa strada, allo stesso panorama e alla stessa città, come
l’identità creativa di quegli scrittori ha preso forza dall’esilio e
dall’emigrazione. Questo mio legame con Istanbul significa che
il destino di una città può diventare il carattere di una persona.» 3
Più avanti Pamuk si sofferma sul fascino di un luogo per gli
stranieri e per i locali: «Walter Benjamin, in un suo saggio intitolato Il ritorno del flâneur, mentre presenta Passeggiare a Berlino di Franz Hessel afferma: “Se si volessero suddividere in
due gruppi tutte le descrizioni di città esistenti secondo il luogo di nascita dell’autore, risulterebbe certamente che quelle
scritte dalle persone native del luogo sono nettamente in minoranza.” Secondo Benjamin, ciò che entusiasma la maggior
parte degli stranieri in una città sono i panorami esotici e pittoreschi. Invece l’interesse delle persone nei confronti della
città in cui sono nate e cresciute si confonde sempre con i loro
ricordi. Ciò che descrivo potrebbe alla fine non essere prerogativa della sola Istanbul, a causa dell’inevitabile occidentalizzazione di tutto il mondo. Ma è vero che la vita delle generazioni passate della città in cui vivo, cioè il diario della vita di
Istanbul, è stata raccontata dagli stranieri.» 4 Il viaggiatore non
musulmano si stupirebbe senz’altro di incontrare, in pieno
centro, nell’imminenza della festa del sacrificio, un’imponente
pecora legata che bruca un’aiuola striminzita. Forse si ricorderebbe, tutt’al più, della sabiana capra dal viso semita.
Lo scrittore si domanda poi: «Dove sta il segreto di Istanbul?
Nella miseria che vive accanto alla sua grande storia, nel suo
condurre segretamente una vita chiusa di quartiere e di comuni-
3
4
Ivi, p. 6.
Ivi, p. 237.
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tà, nonostante fosse così aperta agli influssi esterni, oppure nella sua vita quotidiana costituita di rapporti infranti e fragili, dietro la sua chiara bellezza monumentale e naturale? In realtà ogni
frase sulle caratteristiche generali di una città si trasforma in un
discorso sulla nostra vita, e soprattutto sul nostro stato d’animo. La città non ha altro centro che noi stessi.» 5 Sembra di sentir parlare il Marco Polo del calviniano Le città invisibili che, nel
descrivere a Kublai Kan i luoghi da lui visitati, ripensa e ripropone sempre la sua città, Venezia. Pamuk individua nella tristezza la cifra significativa di Istanbul.
Diversa è la città, più “classica”, stereotipata e nota al lettore occidentale, che attraversa la narratologa inglese Gillian
Perholt, protagonista del breve romanzo fantastico di Antonia
S. Byatt Il genio nell’occhio d’usignolo6: sfilano davanti agli occhi
del lettore il palazzo del Topkapi, la basilica di Santa Sofia e il
Gran Bazar «più vivace e luminoso dell’immensità cavernosa
di Santa Sofia. Era un dedalo di portici, di grotte d’Aladino
zeppe di lampade e tappeti magici, d’argento e ottone e oro e
ceramiche e piastrelle».7
Un osservatorio ancora diverso ce lo offre Alexia Brue in
Cattedrali del corpo8: l’americana protagonista, avendo deciso di
aprire con un’amica un bagno turco negli Stati Uniti, passa in
rassegna vari luoghi in tutto il mondo famosi per il benessere
del corpo e comincia il suo “pellegrinaggio” proprio da Istanbul, dove però viene disillusa dalla sua guida Kemal: «I turchi
non vanno più all’hammam. È poco igienico. Bisogna stare attenti. [...] I turchi moderni, come me o Baksim, considerano gli
hammam un’abitudine d’altri tempi, una cosa che andava bene
5
Ivi, p. 343.
Einaudi Tascabili, Torino 1995.
7
Ivi, p. 58.
8
Feltrinelli, Milano 2004.
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per i nostri nonni. La Turchia si è modernizzata sotto la fantastica guida di Atatürk.»9
Un lettore occidentale non potrà non pensare alla Istanbul di
Agatha Christie, che al Pera Palace nel quartiere di Tepebași era di
casa. E il suo spirito poliziesco sembra aleggiare ancora sulla città
e ispirare gli scrittori se guardiamo ai numerosi gialli o noir ambientati tra i viali e i vicoli. Due sono stati recentemente proposti
in Italia da Sellerio: Scandaloso omicidio a Istanbul di Mehmet Murat
Somer e, pochi mesi fa, Hotel Bosforo di Esmahan Aykol.
Forse per attirare lettori ormai sazi di noir ambientati a tutte
le latitudini, la casa editrice palermitana ha pubblicizzato quest’ultimo come un libro la cui protagonista è Istanbul, ma ancora una volta sono i luoghi classici e canonici a sfilare davanti agli
occhi del lettore, che però impara a conoscere meglio gli abitanti con le loro abitudini e le loro manie annotate con un sorriso
dalla protagonista della storia, Kati Hirschel, una quarantenne
tedesca-turca (come l’autrice) che ha aperto una libreria specializzata (guarda caso!) in gialli nel quartiere di Kuledibi.
Le prime frecciatine sono per la propensione turca al fumo:
«All’aeroporto Atatürk, ampliato da poco per tentare di fare
concorrenza ad Atene, trascorsi un’interminabile ora seduta in
un bar. Il fumo delle sigarette era così denso che non si vedeva
a un palmo dal naso. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’agitazione non c’entrava nulla. Le persone che erano venute a prendere o a salutare amici e parenti potevano anche
essere agitate, ma non era per questo che fumavano. I turchi
non hanno bisogno di simili pretesti per accendere una sigaretta
dopo l’altra. Mi bruciavano gli occhi e faticavo a respirare, ma
era una cosa assolutamente normale. Non potendo fare altro,
mi unii alla schiacciante maggioranza dei fumatori.» 10
9
Ivi, p. 26 s.
AYKOL E., Hotel Bosforo, Sellerio, Palermo 2010, p. 26.
10
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Fumo e cura della persona però non sembrano inconciliabili: «Una delle cose che mi piacciono di più di Istanbul è proprio
l’aspetto curato dei suoi abitanti: qui è assolutamente normale
andare dal parrucchiere o dall’estetista. In Germania, invece, le
donne si tagliano e si tingono i capelli da sole.»11
L’intrepida Kati non risparmia neppure le forze dell’ordine e
allude al pluridecennale tentativo della Turchia di entrare a far
parte dell’Unione Europea: «Non capitava tutti i giorni di incontrare un commissario così gentile. Anche il poliziotto di
Ortaküy con cui avevo parlato al telefono, quello con il nome
normale che però non riuscivo a ricordare, mi aveva trattato
con cortesia. Questo poteva significare solo una cosa: che l’Europa doveva tenersi forte. La Turchia si era messa in testa di
entrare nell’Unione e stava facendo di tutto per raggiungere il
suo obiettivo. Ora anche i poliziotti turchi dovevano mostrare
un po’ di rispetto per i diritti umani.»12
Dopo questo excursus nella Istanbul “di carta” torniamo a
quella di pietra, di maioliche e di minareti.
Il turista frettoloso (ma come si può avere fretta in una
città del genere?) limiterà sì la sua visita al Topkapi, a S. Sofia,
alla Moschea Blu dai sei minareti, alla Moschea di Solimano
(capolavoro dell’architetto Sinan) e al Gran Bazar, ma non potrà
dire di conoscere Istanbul. L’avrà soltanto assaggiata. E lo avrà
fatto attorniato da una moltitudine di estimatori, come lui, del
fast food culturale. Il viaggiatore curioso si prenda del tempo
per degustare, sempre restando nei percorsi canonici, il buio
affascinante della sotterranea cisterna Yerebatan dalle trecento colonne: costruita dall’imperatore Costantino e ampliata da
Giustiniano, serviva a raccogliere l’acqua che proveniva dagli
acquedotti di Adriano e Valente e fungeva da serbatoio per il
11
12
Ivi, p. 31.
Ivi, p. 55.
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Tre nomi, mille facce. Un invito al viaggio a Istanbul
vicino palazzo del Topkapi. Lo stesso viaggiatore curioso assaggi pure, tra S. Sofia e la Moschea Blu, la maestria profusa
dall’architetto Sinan (definito da alcuni, per la smania occidentale di porsi sempre come riferimento, il Brunelleschi orientale) nel realizzare l’hammam detto di Roxelana, ora centro di
vendita di tappeti.
Se vogliamo addentrarci lungo il Corno d’Oro (canale lungo 7 km), fissiamo come meta il rione di Eyüp (che prende il
nome da uno dei compagni di Maometto qui sepolto) con la
retrostante collina cara allo scrittore francese Pierre Loti o, più
vicino, l’ex chiesa di S. Salvatore in Chora (oggi Kariye Camii).
Ciò che colpisce e affascina di questo gioiellino, oltre alla struttura articolata e composita (navata preceduta da nartece ed esonartece e affiancata da parecclesion), è la profusione di mosaici
e affreschi incentrati tutti sulla vita di Maria e di Gesù. Si resta
abbagliati dai mille colori che narrano con dovizia di particolari
scene più o meno note delle Scritture. Il viaggiatore appassionato d’arte non si stancherebbe mai di rovesciare il collo (e la
posizione non è certo delle più comode) per scoprire sempre
nuovi dettagli, sempre nuovi particolari. Sono mosaici e affreschi popolati di figure umane, ma anche di animali, usati sia
come riempitivo sia come parte integrante delle scene.13 Qui un
pavone impettito e colorato, lì una chiocciola bianca, quasi madreperlacea. Figure ieratiche, come Abramo con in braccio Lazzaro, si alternano a personaggi amorevoli, come Giuseppe che
porta sulle spalle il bambino Gesù tornando a Nazaret. Non
solo a chi ha la smania dei paragoni con l’Occidente verranno in
mente i mosaici bizantini di Ravenna (arte come ponte culturale). E in Italia, precisamente in Campania, ci porterà anche la
proprietaria del vicino negozietto di ceramiche tipiche (ma a
quel punto lo possiamo chiamare artigianato turco?). Questa
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Immagini preziose ed incredibili nell’aniconismo musulmano.
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rimpatriata forzata, ammettiamolo pure, produrrà un lieve fastidio nel viaggiatore curioso che contempla i mosaici beatamente
calato nella Bisanzio del XIV secolo. Egli sentirà allora il bisogno contemporaneamente di spazi aperti e di pura vita locale.
Tornerà verso il centro (la matrioska più piccola) e, vicino al
ponte di Galata, si imbarcherà su un non pulitissimo e affollato
vaporetto. Destinazione: mar Nero. La linea, che tocca alternativamente le due sponde del Bosforo, è fatta, oltre che per i
turisti, per i locali che la usano per lavoro (le prime fermate,
compresa quella dell’università citata da Pamuk) e per svago: il
villaggio di pescatori di Anadolu Kavagi
˘ all’estremità orientale
del Bosforo è meta delle scampagnate domenicali. Il turista
amante dell’Occidente (specie se italiano) con orgoglio scoprirà
la nave scuola Amerigo Vespucci puntare decisa verso la Crimea
(visibile in condizioni di cielo particolarmente terso e limpido
come può essere il cielo turco in autunno) favorita dalle onde di
quello che fu chiamato Ponto Eusino (Mare Accogliente).
Questo carattere ospitale di un mare, che poi diventò inospitale (e ora perciò si chiama Nero), resta alla città, che offre al
viaggiatore la possibilità di calarsi in essa, scrutarla, conoscerla
e, anche, amarla.
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