Sorpasso in curva Nord

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Sorpasso in curva Nord
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LA PALLA NON È ROTONDA
SORPASSO
IN CURVA NORD
di Gianremo
ARMENI
Come è cambiato il tifo organizzato della Lazio. Dai viaggi senza
biglietto al merchandising e all’uso strategico della radio.
Le simpatie per l’estrema destra extraparlamentare e le derive
razziste. La polizia è il nemico numero uno.
N
1.
EL 1987 IN CURVA NORD, CULLA DELLA
tifoseria laziale, accanto al gruppo storico degli Eagles Supporters, compare per la
prima volta uno striscione con il nome Irriducibili. Un nuovo gruppo di tifosi che
va ad occupare una posizione strategica e simbolica insieme, quella riservata al
gruppo dei Viking. Da allora, gradualmente, il potere di controllo sulla curva (e
non solo) passa dagli Eagles agli Irriducibili, seguendo logiche che così spiega Fabrizio Toffolo, leader storico del «nuovo» gruppo: «Ritenevamo sorpassata una loro
certa mentalità. Ci consideravamo più ultrà, più propensi ad attaccare se attaccati.
Pronti a svolgere una funzione critica a 360 gradi, sia nei confronti del sistema calcio che verso il più vasto panorama sociale. Gli Eagles invece rimanevano ancorati
alla tradizione del tifoso laziale che mai si ribellava. Ma sono stati proprio loro a riconoscere esaurita quella fase. Di aver fatto insomma il loro tempo e non essere
riusciti ad adeguarsi ai cambiamenti della società».
Oggi gli Irriducibili possono contare su una struttura organizzativa degna di
nota. Una piramide al cui vertice c’è il direttivo, composto da tre responsabili tutti
sulla quarantina: il già citato Fabrizio Toffolo, Yuri Alviti e Fabrizio Piscitelli noto
anche come Diabolik. Ognuno con il suo compito. «Io mi occupo prevalentemente
del settore merchandising», racconta Yuri. «Fabrizio Toffolo invece è il nostro leader. È lui che imposta le linee guida degli Irriducibili e si occupa della radio gestendo la comunicazione tra tifoso e gruppo. Fabrizio Piscitelli è lo stratega e mi affianca nella gestione del merchandising. È una sorta di ragioniere e cura gli aspetti
finanziari». Accanto a queste tre figure c’è un gruppetto di 30-40 persone che costituiscono lo zoccolo duro del gruppo. Sono i fedelissimi, che mandano avanti la sede e il magazzino. Molti di loro si occupano degli striscioni, delle coreografie e dei
cori. Ci sono quelli che lavorano in radio, chi cura il sito web e chi collabora al
giornalino che la domenica vendiamo allo stadio. Vertice, zoccolo duro e poi ben
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seimila e cinquecento iscritti. Infine la base della piramide, con tutti i tifosi della
curva che si riconoscono negli Irriducibili. Ma per me», spiega Toffolo, «sono tutti
importanti, dal primo all’ultimo».
«Per chi come noi una ventina di anni fa andava in trasferta in treno, poco meno che ventenni, racconta Toffolo, era inconcepibile pagare il biglietto del treno e
dello stadio. Partivamo da Roma senza cento lire in tasca perché proprio non le
avevamo, e così a volte mi sono macchiato anche di qualche furtarello per trovare
i soldi. Ma quando non li avevi, non ti dicevi certo «niente soldi, niente trasferta».
Per il treno grossi problemi non ce ne erano. Trovavamo sempre degli espedienti
anche perché i controlli della polizia non erano così ferrei come oggi, quando si
muove una tifoseria. Salivamo sul treno cercando di eludere il controllore, salendo
dalla parte opposta, oppure durante il viaggio se passava si metteva paura e se ne
andava. Allo stadio provavamo a scavalcare o comunque un modo per entrare lo
trovavamo sempre. Per mangiare non c’era nessun problema perché assaltavamo
autogrill o qualche bar. Quello che contava», prosegue Toffolo, «era il nostro gruppetto, e di chi non ne faceva parte avevamo molto meno rispetto di quanto se ne
ha oggi. Era difficile entrare a far parte del nostro nucleo, che spesso si lasciava andare a comportamenti che definirei goliardici. Per noi era un gioco, ma certo capisco che per i malcapitati di turno non doveva essere lo stesso. Erano terrorizzati.
Accadeva, ad esempio, che facessimo entrare un tifoso, un ragazzetto, nel nostro
scompartimento dove eravamo tutti ammassati e cominciavamo a fargli fare il “sanremo”. Gli facevamo cantare una canzone e se non ci piaceva lo picchiavamo, ma
non nel senso cattivo del termine. Oppure, al grido di “porte e luci” spengevamo
le luci, chiudevamo la porta e cominciavamo a schiaffeggiarlo tutti insieme. Altre
volte a qualcuno abbiamo buttato giù dal treno le scarpe e con altri abbiamo fatto
patti di sangue. Forse non ce ne rendevamo conto di quello che quei poveretti pativano, ma non c’era cattiveria da parte nostra. E quelli che riuscivano a resistere si
meritavano di entrare nel gruppo».
Anche Yuri interviene sul mondo delle trasferte: «Valutavamo attentamente chi
voleva appartenere al gruppo. Per prima cosa non avrebbe mai dovuto abbandonarci: gli si spiegava che una volta giunti a destinazione e scesi dal treno, si poteva
andare incontro a scontri, e posso assicurare che a quei tempi erano all’ordine del
giorno. Se andavi in trasferta a Bergamo o a Pescara era scontato che qualcosa sarebbe successo, e così partivamo muniti di manici di piccone o palle da biliardo.
Eravamo quei venti-trenta che ci ripetevamo “stiamo compatti e uniti che mo’ succede quel che deve succede”. Non nascondo che era anche piacevole, adrenalinico. Sapevo che una volta sceso dal treno ti attendeva una battaglia e che dovevi dimostrare di non aver paura. A vent’anni di distanza però siamo completamente
cambiati. Si continuano a fare trasferte, ma senza armi al seguito, con uno spirito
diverso, ma sempre da ultrà. Per scontrarmi con una tifoseria rivale oggi devo essere provocato, allora ce le andavamo a cercare. Adesso inoltre c’è maggior repressione da parte delle forze dell’ordine, prima invece quando scendevamo dal
treno non eravamo neanche scortati».
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«Oggi siamo tutti molto cambiati», conferma Toffolo. «All’interno del gruppo
devi attenerti a determinate regole. Quando andiamo in trasferta, ad esempio, non
ammettiamo più che si assalti un autogrill, lo riteniamo sbagliato. A quasi 40 anni
cerchiamo di far da guida alle nuove generazioni. Di fargli capire che un’azione di
quel genere è soltanto un atto di sciacallaggio. Cerchiamo insomma di controllare i
più giovani, anche all’interno dello stadio».
2. In una fase in cui le curve vanno inesorabilmente incontro ad un processo
di disgregazione, con il moltiplicarsi di tanti piccoli gruppi spesso in conflitto tra
loro, la curva gestita dagli Irriducibili rappresenta un’eccezione nel panorama delle
tifoserie italiane. E proprio la compattezza sembra essere la forza del gruppo: «A
differenza della curva romanista», spiega Toffolo, «dove la presenza di gruppi e
gruppetti e un susseguirsi continuo di leader ha portato divisione piuttosto che
coesione, noi siamo rimasti sempre gli stessi da venti anni e il nostro gruppo è indiscutibilmente il pilastro su cui poggia tutta la curva Nord. Nella Sud la frammentazione interna segna l’inizio della fine di tutte quelle curve strutturate secondo il
loro modello. Questo si verifica nel momento in cui vengono a mancare quei personaggi di riferimento che, come noi, appartengono alle vecchie generazioni e
hanno fatto la storia della curva, come il Barone per i milanisti e Franchino per la
curva interista, che ancora riescono a tenere in piedi le loro curve. Oggi le nuove
generazioni che vengono allo stadio sono diverse, dopo 3 al massimo 4 anni abbandonano il gruppo perché magari si sposano o altro, mentre noi andiamo avanti
da 25 anni nonostante matrimoni e figli. Nelle tifoserie delle grandi città, poi, ci sono troppo cani sciolti, difficili da controllare. Nel momento in cui verremo a mancare noi tre, anche se ci sono altri ragazzi validi, sarà impossibile portare avanti un
discorso di continuità e progettualità, questo è successo alla curva Sud».
«Rispetto alle altre tifoserie», seguita Toffolo, «oltre ad esserci evoluti dal punto
di vista comunicativo, ci differenziamo perché la nostra lotta non si esaurisce la
domenica allo stadio, va avanti tutta la settimana contro il sistema calcio e il sistema istituzionale in genere. Seguiamo le novità sulle normative, la stampa, insomma tutto ciò che avviene intorno e dentro il pianeta calcio, alziamo sempre la testa
e la facciamo alzare anche al tifoso laziale. Siamo costantemente in lotta. Per me la
Figc è come il governo e le squadre di calcio come i partiti, io vivo l’essere ultrà
parallelamente al sistema sociale».
Il gruppo di tifosi possiede un’evidente potenzialità nella mobilitazione delle
masse, se rimane unito e compatto. I tifosi, indubbiamente, hanno giocato un ruolo decisivo nell’evitare il fallimento della società Lazio con la protesta sotto l’agenzia delle Entrate, come ha riconosciuto lo stesso presidente del Consiglio Berlusconi. «Quando abbiamo voluto siamo riusciti anche a far vendere 5 mila copie in meno alla Gazzetta dello Sport, qui a Roma», ricorda Toffolo.
Sottolinea Yuri: «Nel modo di concepire la curva, di organizzare il tifo (su novanta minuti non ci fermiamo mai), di inventare le coreografie, di impegnarci nel
sociale, nessun’altra tifoseria è al nostro livello. Le nostre battaglie altri non le
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avrebbero nemmeno iniziate, si sarebbero arresi in partenza. Noi ci battiamo incessantemente per un sistema calcio migliore. C’è molta mafia nel calcio e al tifoso
non piacciono le porcherie, a noi in particolare. Basti pensare ad una squadra come la Juventus, il cui medico viene condannato per la storia dei farmaci: perché tu
condanni lui e non la società? Sarebbe stato giusto consegnare quegli scudetti a chi
è arrivato secondo, la Lazio avrebbe un paio di scudetti in più! A me questo gioco
non piace più. Così come bisognerebbe fare luce su alcune morti che ci sono state
nel calcio, come, ad esempio, quella di Signorini del Genoa. Lo schifo nel mondo
del calcio è ovunque eppure per i media il teppista sono io, siamo noi. Persino
dentro Montecitorio i parlamentari si lasciano andare a comportamenti tutt’altro
che edificanti, e per giunta lì c’è gente laureata, mica con la terza media! E poi io
vengo definito teppista quando nelle alte sfere è pieno di pedofili, i nomi si conoscono ma nessuno li rende noti, vengono coperti, e anche se su Internet vengono
smascherate le loro reti i nomi non vengono mai fatti. Il tifoso rimane l’unico ad
essere demonizzato perché da fastidio, tira fuori il problema, noi degli Irriducibili
tiriamo sempre fuori il problema. Un anno abbiamo esposto in curva uno striscione contro la pedofilia, e una persona di cui non faccio il nome ma che ricopre un
incarico istituzionale importante – non si tratta di un politico – mi ha detto “non ti
azzardare più”, non in modo cattivo, ma per farmi capire che sarebbe stato meglio
lasciare perdere quei discorsi. Mi ha detto “guarda Yu’ non ti conviene parlare di
pedofilia”, era un consiglio, non una minaccia. Ma noi ne parliamo lo stesso e ad
alta voce, specie in radio».
Yuri ritiene che la prima regola da osservare nel gruppo sia: non tradire mai. È
una regola da «strada», che deve essere osservata soprattutto in trasferta: se arriva
una carica avversaria non bisogna mai abbandonare il gruppo, non bisogna mai tirarsi indietro. «Ci identifichiamo molto nel motto “tutti per uno, uno per tutti”. La
seconda regola, poi, a cui deve attenersi chi fa parte del gruppo è il rispetto per la
gerarchia».
Per Paolo Arcivieri – membro storico degli Irriducibili definito il «tecnico», perché si occupa della comunicazione e della radio – esistono gruppi ultrà che, pur
festeggiando il trentesimo anno di attività, possono esibire solo un nome e uno
striscione. «Noi», prosegue Paolo, «siamo arrivati alle soglie del 18° anno e per poter mantenere i livelli che abbiamo raggiunto adesso siamo convinti di doverci rapportare ai mutamenti degli scenari calcistici e sociali in genere, rimanendo comunque sempre fedeli ai nostri princìpi di lealtà, trasparenza, di vicinanza nei confronti
dei tifosi della Lazio, e quindi dei più deboli, perché se dai fastidio diventi l’anello
debole del circo calcistico».
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3. Il controllo sulla curva da parte degli Irriducibili è totale e oculato. In curva
Nord sono presenti gruppi minoritari, ciascuno con i propri striscioni, ma nessuno
di loro può competere con il gruppo leader. I più noti tra loro sono: Banda Noantri
creato negli ultimi anni e composto esclusivamente da giovani, e due gruppi storici come Viking e Cml (Commandos Monteverde Lazio). «Ai ragazzi di Banda sono
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molto affezionato», afferma Toffolo, «rivedo in loro quello che ero io qualche anno
fa quando avevo la loro stessa età, hanno deciso di darsi un altro nome per un loro
senso di appartenenza; i Viking (di cui agli inizi ho anche fatto parte), così come il
Cml, sono entrambi gruppi storici. La cosa più importante è che rispettino tutti una
certa gerarchia, così come è sempre avvenuto in curva Nord. Noi che rappresentiamo il gruppo portante decidiamo tutto, ma allo stesso tempo siamo molto aperti al
dialogo, se qualcuno mi fa notare un errore lo prendo sempre in considerazione».
«Per il fatto di possedere una personalità fortemente carismatica e di incarnare
maggiormente il modo di essere ultrà, individuiamo senza dubbio in Fabrizio
Toffolo il nostro leader», ha sentenziato Yuri. «È una persona in cui ho la massima
fiducia, lo conosco da venti anni, è colui che non ti tradisce mai, si schiera sempre
in prima persona, come diciamo noi ci mette sempre la faccia, a volte anche troppo. Lo apprezziamo per questo soprattutto».
«Da quando svolgo questa funzione», evidenzia lo stesso Toffolo, «ho seguito
una strategia per raggiungere un obiettivo che mi ero posto e che adesso ho raggiunto, è stato un duro lavoro ma sono orgoglioso e fiero di avercela fatta. Negli
ultimi tre o quattro anni sono riuscito a riunire la tifoseria laziale in un unico fronte, caratterizzato dal bene che vogliamo a questa squadra. Prima c’erano delle invidie nei nostri confronti, quello che stava in tribuna spesso non era d’accordo con
quello che stava in curva, molta gente pensava a criticare quello che facevamo noi
piuttosto che a sostenere la Lazio. E qui ritorna la strumentalizzazione, eravamo
raccontati male, ci accusavano di pensare al guadagno economico e ad altre cose
del genere. In occasione di un Lazio-Perugia di qualche anno fa, mentre noi contestavamo la squadra, il resto della tifoseria laziale ha cominciato a fischiarci: mi sono sentito come un tifoso avversario in casa mia, e quell’episodio è una ferita ancora aperta dentro di me. Oggi c’è decisamente molta più coesione. L’altro grande
obiettivo raggiunto è stato quello di un’apertura maggiore verso i mass media allo
scopo di farci conoscere meglio. Sono entrato in un meccanismo che prima non
riuscivo né a capire né a vedere. Partecipare ad una trasmissione televisiva mi dà
la possibilità di esprimermi e di farmi capire anche da un pubblico diverso da
quello che ci segue in radio. In questo modo raccogliamo consensi maggiori. È comunque un dare e avere, chi mi invita nella sua trasmissione sa che la mia presenza comporta un alto seguito da parte del mio pubblico. Anche se non è semplice
guidare una curva, a me riesce abbastanza naturale. Quando sei una persona vera,
capace di non tradire il suo popolo e di non accettare compromessi, tutto diventa
più facile».
Per concludere, commenta Toffolo, «la curva la considero come casa mia, le
amicizie più belle, come quelle con Yuri e Fabrizio “Diabolik”, le ho coltivate lì. La
curva, questo spicchio di stadio che i moralisti e i benpensanti definiscono sempre
con accezioni negative, non è altro che uno spaccato della società in cui viviamo e
ormai rappresenta l’unico punto di aggregazione giovanile rispetto a quando c’era
l’oratorio o il classico muretto. Noi ci sforziamo di trasmettere in curva dei valori
come la lealtà, l’amicizia, il coraggio di esprimere le proprie idee, sono cose fonda-
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mentali queste. L’amicizia per noi è un valore molto forte, un valore estremo, e il
nostro cameratismo è una cosa che nella società non trovi più».
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4. «L’impegno sociale nasce dalle singole coscienze, dalla generosità e dalle
iniziative di ognuno, non c’è una strategia che ci porta a dire “facciamo un po’ di
beneficenza così ci porta dei punti”», spiega Arcivieri. «A volte sono gli altri che si
rivolgono a noi. Schierarsi al fianco dei più deboli è uno dei tratti caratteristici del
gruppo ma a questo non ne viene dato il giusto risalto perché “a loro” non fa comodo, noi dobbiamo essere visti soltanto come demoni che mangiano i bambini,
ma fortunatamente non è così e la gente lo ha capito, i consensi che abbiamo lo attestano».
«Sono particolarmente orgoglioso dell’aiuto costante che diamo al canile Cocconi sulla via Ostiense», racconta Toffolo. «Questa iniziativa è partita dalla sensibilità che da sempre nutro verso gli animali. Ci siamo attivati anche in aiuto delle case famiglia di suor Paola, abbiamo contribuito all’acquisto di un macchinario destinato al Bambin Gesù, quello che possiamo fare lo facciamo e nel corso dell’anno
aderiamo sempre ad almeno due o tre iniziative sociali. Spesso allo stadio abbiamo esposto striscioni contro la pedofilia e a favore di Telefono azzurro, ma non
senza problemi. Lo striscione a favore di Telefono azzurro non volevano farcelo
entrare perché accanto alla scritta c’era il marchio degli Irriducibili e quindi abbiamo dovuto tagliare la parte che “loro” consideravano incriminata. Dopo la tragedia
dello tsunami», prosegue Toffolo, «abbiamo raccolto circa 500 mila bottiglie d’acqua ma non se ne è parlato sui giornali. Gli Irriducibili devono sempre essere messi in cattiva luce, quello che hanno inventato sulla nostra curva non ha eguali in
nessun altro stadio, siamo scomodi».
Nel corso degli anni è diventato un vero e proprio lavoro. «Con orgoglio», dice
Yuri, «noi tre abbiamo tutti la terza media eppure siamo riusciti a creare un impero,
siamo fieri di questo. Allo stato attuale vantiamo dodici punti vendita in franchising
che riforniamo dei nostri prodotti».
Il processo che ha portato il merchandising della Lazio a questi livelli lo sintetizza Toffolo: «Alla gestione Cragnotti questo settore non interessava molto, inizialmente vi erano i Lazio point che vendevano il materiale ufficiale della squadra.
Successivamente, vuoi per una cattiva gestione, vuoi perché la Lazio chiedeva
troppi soldi per i diritti, questi negozi non hanno avuto un buon rendimento. A
quel punto la società Lazio ha affidato tutto il marchio alla Puma che attualmente
gestisce il suo merchandising. Tutto questo ci ha in un certo senso favorito, anche
se poi al riguardo ci sarà un processo visto che un magistrato ha pensato che se
noi vendiamo le magliette è perché la Lazio ci ha dato il benestare e se ce lo ha dato è perché li abbiamo minacciati, questa è in sintesi l’equazione che fa il magistrato che si è accanito contro di noi. È solo grazie alla nostra intelligenza che siamo
riusciti a creare un nostro merchandising e a crearlo di questa portata. La gente oltre a ritenere i nostri prodotti di qualità e a prezzi concorrenziali rispetto al marchio ufficiale, ci preferisce. Il tifoso si identifica nel nostro marchio, esiste quindi
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anche un elemento passionale che accomuna un po’ tutti, come un senso di appartenenza, e oggi, con orgoglio, posso dire che ci contrapponiamo ad una multinazionale come la Puma».
«Ci siamo ingigantiti notevolmente», sostiene Yuri, «produciamo di tutto: dal
vestiario più comune come magliette e cappellini ai teli da mare, ai costumi, camicie militari, oggettistica varia, orologi da polso e da muro, tutto ciò che può interessare il tifoso noi lo creiamo. È una gestione oculata, siamo molto attenti al trend
del momento. I ricavi vanno poi a coprire tutte le spese di gestione: il pagamento
degli affitti della sede e di un magazzino di 600 mq, il pagamento degli stipendi di
qualche ragazzo. E poi, questo va detto senza ipocrisia, essendo un lavoro a tutti
gli effetti, abbiamo anche il nostro guadagno».
5. Tendenzialmente il nocciolo duro della curva Nord si rispecchia nei valori
politico-ideologici dell’estrema destra, più precisamente di una destra antisistema.
Chiarisce Toffolo: «Storicamente noi ci identifichiamo in una destra estrema extraparlamentare e quindi in valori che oggi né la destra né la sinistra incarnano. Se ci
fosse ancora il fascismo probabilmente saremmo fascisti, anche se il termine va ormai rivisto perché l’ideologia è morta sessant’anni fa e i tempi cambiano».
Il discorso politico è più complesso di quanto si possa pensare e la trattazione
di questo tema può essere utile solo se si esce dagli schemi interpretativi consueti.
Le dichiarazioni dei leader ultrà ci mostrano un panorama ibrido, articolato, che
non si esaurisce nella logica delle contrapposizioni esclusive. Esiste, sì, una tendenza dominante, ma all’interno dello stesso direttivo emergono posizioni soggettive e tra loro antitetiche.
Secondo Yuri, «il motivo principale dello stare in curva va rintracciato nel denominatore comune dell’amore per la Lazio, del tifo per la squadra, dello stare insieme e del calore che in una curva predomina, a dispetto di chi non perde occasione per identificare negli Irriducibili la fazione che allo stadio vuole fare politica.
Gli Irriducibili sono un fenomeno ultrà e non politico, anche se poi una caratterizzazione politica ce l’hanno».
Paolo Arcivieri ribadisce con decisione che all’interno del gruppo ognuno ha
le sue posizioni e che esiste una certa tendenza a strumentalizzare e generalizzare:
«La nostra comunità, anche se orientativamente abbraccia determinati valori ideologici, si caratterizza soprattutto per aspetti estranei alla politica, circoscritti al ruolo
del tifoso. Bisogna spiegare a tutti i benpensanti che gli Irriducibili non si riuniscono il lunedì o il martedì per studiare una strategia politica a tavolino, o tracciarne
gli orientamenti. Si riuniscono per fare i tifosi di calcio. È capitato spesso nella nostra trasmissione radiofonica di trattare temi di attualità. Abbiamo parlato della
guerra in Iraq e abbiamo fatto le nostre valutazioni; ci hanno subito tacciato di essere antiamericani, ma non è cosi. È sotto gli occhi di tutti che dopo tre anni la situazione è quella che è: una guerra fatta per interessi, dove continuano a morire
soldati italiani. Allora se questo significa essere antiamericani lo siamo, ma non a
priori come dice qualcuno».
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«Io personalmente», continua Paolo, «condanno nettamente i crimini nazisti, è
scontato che siano cose orrende, ma allo stesso tempo sono contro questo popolo
di Israele perché lo considero intollerante e incongruente. Questa posizione non
deriva certo dall’essere nazista o seguace di Hitler, non mi interessa niente di Hitler
e della svastica, li condanno fermamente. Su una curva di 20 mila persone ci sarà
pure qualche filonazista o quello che ha la svastica tatuata, ma non rispecchiano la
linea di condotta del gruppo. Se poi vogliamo parlare della simbologia politica in
curva, da questo punto di vista abbiamo fatto dei progressi incredibili negli ultimi
cinque anni. Ad eccezione della partita Lazio-Livorno, che ha rappresentato una
parentesi all’insegna della provocazione contro i tifosi avversari che hanno esposto
la simbologia della falce e martello – e preciso che personalmente anche in questo
caso il giorno dopo in radio ho preso le distanze dalle svastiche (peraltro esposte
anche da chi del nazismo non gliene fregava niente) – ebbene, ad eccezione di
quell’episodio sono stati cinque anni trascorsi all’insegna del cambiamento. Il
gruppo si è dissociato nettamente dalle svastiche. Dopo Lazio-Livorno però, io
non mi sono dissociato dal simbolismo celtico e in questo posso affermare che anche per la maggioranza del gruppo questa simbologia incarna e rappresenta dei
valori. Fortunatamente, grazie al nostro mezzo di comunicazione – la radio – qualcosa sta cambiando, la gente inizia a capire che allo stadio andiamo per fare il tifo
e non politica e fuori dal contesto stadio ognuno può fare ciò che vuole. Teniamo
fede alla linea di condotta di questi cinque anni. È successo che abbiamo fatto togliere una svastica comparsa per mano di qualche singolo, però per i media rimaniamo etichettati, un po’ come il portiere di calcio che fa una papera e tutti lo ricordano per quella piuttosto che per i meriti».
A proposito dei crimini nazisti anche Toffolo assume una posizione di netta
condanna: «La svastica per me è un simbolo orrendo perché in suo nome si sono
perpetrati crimini efferati, ma al pari della svastica anche la falce e martello è un
simbolo che andrebbe condannato e che io ripudio. Odio coloro che puntano il dito sempre contro un simbolo quando poi tacciono come hanno fatto per molti anni
sui gulag e altro; e perché non si condannano anche nettamente gli ebrei d’Israele
per quello che provocano a danno dei palestinesi? Se nella mia curva dovesse uscire una svastica, io, personalmente, non la farei togliere proprio per questo motivo,
per provocazione e contro coloro che individuano il male soltanto in un simbolo.
Non la farei togliere proprio per dar fastidio, per polemizzare, anche se poi ripeto
che è un simbolo che a me dà fastidio. In ogni caso, al di fuori di Lazio-Livorno ho
deciso di non far comparire più nessun segno politico, così evitiamo le solite strumentalizzazioni che ci identificano solo con la simbologia esposta. Le strumentalizzazioni sono sempre dietro l’angolo, lo si è visto anche al funerale di uno dei leader
della curva romanista, Paolo Zappavigna. È stato scritto che siamo andati al funerale
per testimoniare una comunanza di idee politiche, quando invece si è trattato solo
dell’amicizia che da anni ci legava, e per tutti quei tifosi laziali che sono venuti con
me e che neanche lo conoscevano si è trattato di una forma di rispetto sportivo; tutto il resto (saluto romano eccetera) è stato fatto perché a lui avrebbe fatto piacere».
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«Io da sempre mi considero comunista», mette in risalto Yuri, «e quindi spiegatemi come potrei stare nel direttivo del gruppo se quest’ultimo, come molti dicono, dovesse occuparsi di politica piuttosto che fare il tifo! Io amo lo sport, lo pratico da sempre, sono un aspirante maestro di pugilato, ho un brevetto da istruttore,
odio ogni genere di droga, l’unica cosa che mi interessa è il tifo per la Lazio e lo
sport, della politica non me ne importa niente. Allo stadio sono rispettato perché
sono Yuri, lo Yuri che da più di vent’anni è fedele alla curva, che va sempre in trasferta per seguire la squadra. Poi, come ognuno di noi, ho i miei orientamenti e
faccio le mie valutazioni personali. Per quanto mi riguarda credo che Hitler e Stalin
siano stati due grandi personaggi storici, così come Mussolini è giusto che venga
ricordato come un grande statista. Tutti e tre hanno creduto in un’ideologia in quel
particolare contesto storico. Credere fortemente in qualcosa e andare per la propria strada per me è un merito, se dopo sessant’anni esistono ancora dei nostalgici
per queste ideologie ciò dimostra quanto questi personaggi siano stati importanti
per le loro nazioni, magari avranno pure sbagliato a commettere i crimini che hanno commesso, ma non mi sento di condannarli perché hanno creduto in qualcosa.
A più di mezzo secolo di distanza la mia coscienza mi induce piuttosto a condannare i crimini che gli israeliani commettono contro il mondo palestinese, ho davanti agli occhi quello che per me assomiglia ad un altro Olocausto e mi fa rabbia
constatare che gli americani non prendono una posizione netta contro questa
gente che ha innalzato altri muri quando anche il più emblematico, quello di Berlino, è venuto giù. Non sono antisemita a priori e qualche amico ebreo che ogni
tanto vado a trovare lo dimostra. Sono a favore della pace nel mondo, non mi piace quello che gli americani sono andati a fare in Iraq, ma non mi trovo d’accordo
con chi espone la classica bandiera della pace: per molti è anche diventata una
forma di business, se la comprano tutti! La pace secondo me va cercata e non
sventolata. Di quelle bandiere ne è comparsa una in curva una volta e l’abbiamo
fatta togliere perché non è questo il modo di fare la pace. Fuori dallo stadio, poi,
puoi fare quello che vuoi».
Sui temi razziali dice Toffolo: «Al contrario di come si pensa, io non ho assolutamente una pregiudiziale razzista, io sono stato in carcere con dei ragazzi di colore che per me erano migliori di tanti bianchi, condividevamo il mangiare, io potevo fare la spesa e la facevo anche per loro. Sono gli altri che creano questi pregiudizi. Spesso le liti tra bianchi e neri non hanno nulla a che vedere con una motivazione razziale, possono anche essere originate da screzi tra due bianchi, e invece
gli viene dato un risalto gigantesco».
La posizione di Yuri: «Io personalmente ho allacciato amicizie con diversi giocatori di colore che hanno militato e militano nelle file laziali, da Winter a Dabo
tanto per fare due esempi. Aggiungo che in passato una nostra delegazione è partita da Roma, destinazione Parma, per rassicurare il giocatore Thuram sulle nostre
posizioni, visto che lui aveva manifestato le sue perplessità sull’ipotesi di trasferirsi
alla Lazio. Cesar è il beniamino del gruppo. Liverani, e anche qui voglio ribadire
che non era una questione razziale, fino a due anni fa riceveva fischi da alcuni set-
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tori della curva per aver in passato dichiarato una fede romanista e perché non
rendeva al meglio delle sue capacità. Noi ci siamo battuti affinché la tendenza si
invertisse, perché era un giocatore della Lazio, lo abbiamo invitato in radio e abbiamo fatto capire al pubblico che bisognava ricucire lo strappo che quei fischi
avevano generato. Chiariamo anche, una volta per tutte, che i «buu» verso i giocatori di colore non hanno mai avuto per noi una connotazione razziale, si facevano
per goliardia, per non farli rendere al cento per cento, alla stregua dei fischi indirizzati ai giocatori bianchi. Quando in qualche occasione abbiamo fischiato i giocatori di colore e fatto i «buu» ai calciatori bianchi, ebbene nessuno ne ha parlato».
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6. La ragione che ha portato il gruppo ad entrare nel mercato dei mass media con una radio, o meglio con un programma radiofonico, La voce della Nord,
trasmesso da un’emittente romana, consiste principalmente nel prendere coscienza
che anche i gruppi ultrà devono adeguarsi ai mutamenti sociali e stare al passo coi
tempi. La radio, assieme al sito web e al giornalino che la domenica circola allo stadio, ha permesso di avvicinare il gruppo ai tifosi laziali e di far conoscere le proprie
posizioni, le idee, le iniziative. Gli Irriducibili hanno sentito l’esigenza di raccontarsi
per mezzo della propria voce e di non essere solo raccontati dagli altri.
Racconta Paolo Arcivieri: «Nel momento in cui è nata, La voce della Nord ci ha
portato ad assumere un impegno maggiore, ad acquisire vedute più ampie, a documentarci e a studiare l’ambiente che ci circonda. All’inizio ci chiudevano un po’
tutti le porte, poi hanno cominciato a capire quello che era veramente la trasmissione ed è diventato un format molto richiesto, perché dà spazio al contraddittorio.
La comunicazione interna ha portato dei miglioramenti, ci ha dato la possibilità di
confrontarci con la gente, di entrare nelle case e nelle macchine delle persone. Fino ad allora ci conoscevano esclusivamente attraverso gli articoli e le strumentalizzazioni dei giornali, è chiaro che ci siamo molto evoluti da questo punto di vista rispetto alle altre tifoserie».
La radio svolge quindi soprattutto il ruolo di far circolare all’esterno le proprie
idee. Lo conferma Toffolo: «Da qualche anno attraverso la trasmissione cerchiamo
di inculcare nel tifoso laziale la cultura della sconfitta. Si parla tanto, infatti, del
modello inglese, delle norme antiviolenza, di togliere le barriere negli stadi, quando quello di cui c’è veramente bisogno è di importare la cultura che vige da loro e
che è opposta a quella italiana. Non si può adottare il modello inglese solo in parte: in Italia, con gli arbitraggi scandalosi che abbiamo, credo che togliere le barriere sarebbe deleterio, da loro c’è la cultura della sconfitta che da noi manca, qui
non si riesce ad accettare una partita persa senza che il malumore si trasformi in
rabbia ed esasperazione. Noi Irriducibili, invece, questa cultura l’abbiamo abbracciata con fierezza, io ritengo che se una squadra dà il massimo in campo, si può
anche perdere, e con la radio cerchiamo di trasmettere questa mentalità anche al
tifoso laziale. Non si possono fare processi alla squadra se ci mette l’anima, nel
calcio si vince e si perde. In Inghilterra c’è molto meno stress ed esasperazione,
non ci sono programmi televisivi come il Processo del lunedì che sono all’insegna
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LA PALLA NON È ROTONDA
dell’istigazione creata ad arte. In Inghilterra se simuli vieni fischiato, da noi la simulazione te la insegnano nelle scuole calcio. I benpensanti e i moralisti hanno
dichiarato che non si va più allo stadio perché c’è violenza, mentre noi, grazie ad
un sondaggio fatto dalla radio, abbiamo riscontrato che ci sono almeno altri due
motivi che prima del fattore “violenza” concorrono ad allontanare la gente dagli
stadi: in primo luogo la scarsa credibilità del calcio stesso, in secondo luogo il caro biglietti».
«Attraverso la radio», afferma Yuri, «stiamo portando avanti anche un’altra battaglia contro l’iniziativa del presidente Lotito di costruire il nuovo stadio. La gestione Cragnotti era più aperta al problema del tifoso, quella attuale è completamente
indifferente. Lotito non capisce che la Lazio non è un giocattolo, è una realtà. Vuole fare lo stadio nuovo fuori Roma quando in città ce ne sono già due, lo stadio
Flaminio ristrutturato andrebbe benissimo alla Lazio e alla sua tifoseria».
In cosa consiste il vero nemico ce lo spiega Toffolo: «Rispetto alle trasferte degli anni scorsi, un fattore è sicuramente mutato: prima i tafferugli erano prevalentemente tra le due tifoserie rivali, oggi invece assistiamo con più frequenza agli
scontri con le forze dell’ordine piuttosto che contro il tifoso avversario. Oggi le
forze dell’ordine sono molto più presenti nelle trasferte e nella gestione dei tifosi
ospiti e quindi sono diventati un po’ come la terza tifoseria che si contrappone alle altre due.
Continua Toffolo: «Le forze dell’ordine rappresentano per noi un nemico perché fanno parte del sistema repressivo. A queste forze è stato dato un potere così
ampio da farci sentire dei deportati quando andiamo in trasferta, tutti ammassati,
incolonnati, senza la possibilità di prendere una bottiglietta d’acqua dopo decine
di ore di viaggio. Bisognerebbe interrogarsi sul nervosismo che crea tutto ciò. Fa
rabbia vedere certe scene repressive contro ragazzini di 15 anni, fa rabbia veder
picchiati con i manganelli anche i signori anziani durante il corteo sotto l’agenzia
delle Entrate, è chiaro che poi tu alla prima occasione cerchi di fargliela pagare.
Nelle forze dell’ordine vediamo il nemico numero uno. Per di più le cose sono
peggiorate da quando ai vecchi organi di polizia si sono sostituite le Digos. Con
loro noi abbiamo sempre rifiutato a priori una forma di dialogo e di collaborazione, mentre i rappresentanti del resto della tifoseria italiana hanno addirittura partecipato a riunioni sull’ordine pubblico. Io ritengo che noi dobbiamo fare i tifosi e
loro i poliziotti e non vedo perché mi devo mettere a trattare con te che sei il mio
nemico. Il nostro rifiuto a collaborare è stato per loro un fallimento: con noi non ci
sono riusciti. Per quanto mi riguarda, prima dell’arrivo delle Digos, il commissariato Prati, che si occupava dell’ordine pubblico allo stadio Olimpico, era più malleabile: da parte loro c’era l’intelligenza di capire che lo stadio non è un istituto di
suore orsoline».
«Ad ogni modo», riprende Toffolo, «oggi ritengo che gli scontri tra tifosi siano
controproducenti perché alla fine siamo tutti sulla stessa barca. Ci dividono i colori
calcistici, però viviamo tutti le stesse problematiche e quindi è deleterio farsi la
guerra. Bisognerebbe affrontare insieme altri problemi, uno su tutti le leggi repres-
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SORPASSO IN CURVA NORD
sive sempre più dure che non hanno portato a nessun risultato. Attualmente esiste
un problema diffide molto serio. Noi da anni combattiamo la procedura della diffida, che non ti permette di difenderti subito con un giusto processo. Non posso accettare di scontare una pena prima di venire giudicato da un processo che stabilisca la mia innocenza o colpevolezza: è un provvedimento di polizia, sarebbe più
equo che la condanna venisse data da un giudice e non da un questore. Sono molto critico nei confronti di tutte queste disposizioni da tolleranza zero e di queste
nuove proposte sui biglietti nominativi, torelli all’entrata eccetera. I fatti dicono che
queste norme non hanno mai portato a niente, ripeto che sono sempre più frequenti scontri tra tifosi e forze dell’ordine piuttosto che tra le stesse tifoserie. Tutto
questo dovrebbe far riflettere i benpensanti e i moralisti. Allo stato attuale andare
allo stadio può comportare seri guai giudiziari senza che tu te ne renda conto, devi
pregare Dio che vicino a te non scoppi qualche scaramuccia. Se ti trovi nelle vicinanze ti prendono perché ti identificano in quella massa anche se non hai fatto
niente, se ti copri il viso puoi essere denunciato, se sei poco conosciuto e non ce
l’hanno a morte con te ti salvi, ma ovviamente io non rientro in queste categorie e
sono nell’occhio del mirino sempre, costantemente monitorato. Ovviamente anche
noi abbiamo le nostre responsabilità, non siamo santarellini, ma non possiamo
neanche dimenticarci che lo stadio rappresenta uno spaccato della nostra società,
di questa società violenta dove si può assistere ad una sparatoria originata da una
banale lite tra automobilisti per un parcheggio. Allora non vedo perché in uno stadio di 70 mila persone, dove ne bastano 15 per generare violenza, tutti debbano
essere criminalizzati».
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