itinerari del femminismo filosofico: il dibattito spagnolo ed oltre

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itinerari del femminismo filosofico: il dibattito spagnolo ed oltre
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INTRODUZIONE
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“Il fatto che alle donne
venga per lo più sottratto lo status
sia di soggetti conoscenti che di oggetti di conoscenza
è chiaro ancor oggi solo a poche donne”
NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO,
Filosofia delle donne
Le pensatrici spagnole
Questo lavoro intende tracciare alcune linee fondamentali del pensiero femminista e lo fa
concentrandosi in particolar modo su fonti spagnole.
Come è ovvio, la maggior parte dei testi sono testi di donne (anche se non
esclusivamente). Come è meno ovvio, la maggior parte dei testi sono spagnoli (anche se
non esclusivamente).
Il punto è che la scelta del tema e del focus geo-politico sono andate di pari passo e vorrei
spiegare il perché.
Grazie ad un’esperienza notoriamente quanto concretamente positiva, quale fu un
periodo di studi all’estero, ebbi l’opportunità di abbozzare questa idea.
Mi trovavo difatti in Spagna, a Cadice, quando - tra gli stimolanti apporti che la realtà
universitaria (e non) mi diedero ininterrottamente per 8 mesi - vi fu quello di alcune
letture, proposte durante un assai vivace corso di Filosofia Contemporanea.
In quell’occasione lessi, analizzai ed esposi due testi di filosofe spagnole, i miei primi due
testi femministi 1 .
Questo accadeva ormai quasi tre anni orsono. Da allora l’interesse si mantenne
acceso attraverso la lettura di altre pensatrici, in primo luogo il classico dell’italiana tanto
criticata nei saggi delle spagnole, Luisa Muraro, di cui precedentemente non conoscevo
nemmeno il nome.
1
Si trattava più precisamente di CRISTINA MOLINA PETIT, Debates sobre el género, e CELIA AMORÒS,
Presentaciòn (que intenta ser un esbozo del “status questionis”), entrambi in CELIA AMORÒS (ed.), Feminismo
y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000.
3
Per merito delle spagnole infatti, non solo intravidi la profondità di ciò che “femminismo”
significasse, ma venni a conoscenza dell’ampiezza del dibattito che in realtà investiva il
mio stesso Paese. In Italia è presente un femminismo filosofico, cui quelle pensatrici si
opponevano (mentre altre spagnole, scoprii in seguito, vi si rifanno), di cui avevo a lungo
ignorato l’esistenza, e che tuttavia si dimostrò eccezionalmente ricco ed evoluto.
Con l’aumentare delle letture, cresceva il desiderio di conoscere più a fondo il tema e si
chiariva la vastità dello sguardo femminista: anzi, degli sguardi femministi.
Il fatto di non avere mai studiato il pensiero delle donne in maniera né vaga né
tantomeno sistematica durante il mio percorso italiano ed averlo invece incontrato per
caso in Spagna, è il motivo (autobiografico, quindi misto di arbitrarietà e necessità) della
mia ‘naturale’ inclinazione verso l’approfondimento della realtà iberica piuttosto che
nostrana.
Per di più, non solo il femminismo in generale è “el gran desconocido” 2 , ma la Spagna non
ha pressoché voce nell’ambito degli studi in Italia: malgrado la prossimità geografica, lo
scarsissimo dialogo intellettuale ci fa apparire lontanissimi.
Allo scopo di assecondare la mia “riconoscente” vocazione e con la speranza di colmare in
minima parte quel vuoto (di cui sopra), ho deciso di dedicare la mia tesi alla discussione
dei nodi concettuali ai miei occhi più rilevanti che il femminismo abbia messo in luce e di
appoggiarmi prevalentemente agli scritti delle spagnole.
In ogni caso, benché al centro dell’attenzione vi siano le pensatrici spagnole, lo studio si è
diramato verso pensatrici di altre lingue e culture (perché il femminismo è per sua natura
internazionale), comprendendo inoltre campi extrafilosofici (perché il femminismo li tocca
tutti e perché la stessa filosofia – come ben si sa – ha per confine una membrana alquanto
permeabile).
Concludendo, un’ultima ragione per cui “il caso spagnolo” si è rivelato attraente oggetto
di studio è la seguente: non solo v’incontriamo personalità filosofiche originali, ma
soprattutto uno sviluppo pressoché egualitario di entrambe le correnti, ormai “storiche”: il
femminismo dell’uguaglianza ed il pensiero della differenza, con centro ideale
rispettivamente a Madrid e a Barcellona. Le autrici che a questi due folti gruppi si rifanno,
esemplificano con le loro opere un dibattito che di norma è inter-nazionale piuttosto che
intra-nazionale.
2
Vd. NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, retrocopertina.
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Un’idea-guida di “filosofia”
In questo studio ho tentato di applicare il metodo filosofico nel modo in cui mi pare più
consono che si utilizzi, ovvero come strumento di analisi critica del reale, capace di
riportare alla luce ciò che resta opaco al senso comune, e quindi delegittimare paradigmi
di normalità assodata.
Nella visione della filosofia qui sottesa il “pensiero” è ragionevolezza piuttosto che
razionalità, flessibilmente disposta a mettersi in discussione in un perenne dialogo-scontro
col senso comune (da esso si parte ed esso si vuole “riformare”). Le visioni generali si
sedimentano infatti su convinzioni la cui verità (corrispondenza fra il senso e la cosa) può
essere opinabile o comunque non assicurata in eterno: ogni “nuovo” discorso – filosofico –
che mira a superare queste imperfezioni, aspira a sua volta ad essere condivisocondivisibile (diventerà presumibilmente senso comune, e più tardi oggetto della
medesima corrosione).
Se tutti i discorsi filosofici tendono ad essere astratti, questo vorrebbe rivolgersi quanto
più possibile alla concretezza, intendendo con essa un circolo virtuoso fra datità e
simbolicità (dimensioni alle quali in quanto esseri umani non possiamo sfuggire e che si
accordano di volta in volta in varie figure, secondo nuovi compromessi).
Ho inteso servirmi della prospettiva filosofica per affrontare un ambito di studi ed
eventi che già viene esplorato a partire da molte altre discipline, senza che ciò implichi
una competizione fra di esse, quanto piuttosto una proficua collaborazione.
L’approccio multidisciplinare è un ideale ermeneutico di riferimento: abbandonata la
settaria e presuntuosa idea di una “filosofia pura”, esente dai contatti col resto dei saperi,
che si contorce solipsisticamente su se stessa, si sposa qui un’immagine più spuria di essa.
È come servirsi di una piattaforma di riflessione a partire dalla quale il nostro sguardo si
estende potenzialmente su ogni ambito dell’agire e pensare umano. Da un lato il contatto
con i vari settori specifici, le cui conquiste e principi vaglia ed elabora, arricchisce
osmoticamente il discorso filosofico; dall’altro, è vero che dall’interazione traggono
vantaggio anche le altre discipline: il confronto costituisce indispensabile alimento
reciproco.
La filosofia continua tuttavia ad essere un punto di vista privilegiato, specifico per le sue
categorie, fiducioso nell’efficacia dei suoi strumenti logici e storici, che ci aiutano a
formulare e riformulare visioni d’insieme, discorsi universali (per quanto questi prodotti
siano ogni volta inevitabilmente parziali e rivisitabili).
5
Lo slancio filosofico esprime infatti uno sforzo “totalizzante” che ci muove in
direzione di un abbraccio del mondo desideroso di essere tanto ampio quanto vigoroso:
vogliamo trattenere in esso il maggior numero possibile di elementi della realtà esistente,
per il resto tanto sfuggenti ed eterogenei, e far sì che i loro rapporti/nessi siano
consistenti. Si tratta - sostanzialmente - di dare forma alla pluralità diveniente delle
nostre idee ed esperienze, in un continuo processo di ricostruzione di nuove combinazioni
orientato non semplicemente alla bellezza “esteriore” di queste ultime quanto
innanzitutto all’innegabile ed infaticabile ricerca di senso.
Il meccanismo di autocontrollo atto a moderare questo slancio - che spesso rischia
di portarci troppo oltre il punto di partenza - è uno sano scetticismo, conseguenza di un
serio “esame di coscienza” sui difetti e le paradossalità della ragione stessa (il dubbio e la
sua carica decostruttiva che animano il pensiero possono, al limite, autodigerire e
disattivare il pensiero stesso), e pragmatico adeguamento all’impossibilità di una relazione
paritaria fra la nostra ragione ed il reale tutto, che essa vorrebbe tanto generosamente
quanto immodestamente contenere.
Il femminismo filosofico
Per ciò che concerne il tema dell’indagine, è opportuno segnalare che non si tratta tanto
di “filosofia femminista” quanto piuttosto di “femminismo filosofico” 3 . L’accento su
“filosofia” potrebbe chissà ingannare: il sistema non si è raggiunto, né preme da alcun lato
l’intento sistematico; la tendenza principale resta quella critico-decostruttiva.
Il pensiero femminista è l’articolazione teorica di un movimento sociale capace di
provocare cambiamenti antropologici di vasta portata; esso è “filosofico” perché si può
tematizzare filosoficamente, ovvero ha implicazioni filosofiche e, nella sua struttura di
pensiero, è filosofico.
Un’altra puntualizzazione utile è quella riguardo la dialettica - aperta - tra il fatto che il
femminismo filosofico non sia semplicemente “filosofia con tocco femminile” ed il fatto
che non esistano donne “incontaminate”. Benché ci siano dei referenti teorici comuni ad
uomini e donne (dal momento che condividono uno stesso mondo sociale, culturale,
intellettuale e accademico), sosteniamo che il femminismo filosofico non si possa dedurre
dai principi che ispirano una filosofia perché ha sue esigenze specifiche, che qui proveremo
ad enunciare.
3
Cfr. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),
Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000.
6
Pur essendo un campo ingente, difficile e variegato, possiede una sua logica interna e per
questo si lascia cartografare.
Iter
Qualsiasi organismo sociale impone il genere, ovvero determina ció che è essenziale
affinché “femminile” e “maschile” siano riconosciuti come tali. La duplicità fisica dei
corpi, infatti, non si arresta a descrivere la necessità biologica della riproduzione, ma
impone, attraverso il genere che meccanicamente vi associamo, parametri essenziali
all'equazione personale dell'individu@ 4 : il sesso-genere informa di sé l'intero orizzonte
esistenziale, a partire dalla sfera erotica.
“Femminile” e “maschile” sono dunque prodotti della cultura, che, prendendo spunto
dalla duplicità corporea degli esseri umani, ne “deduce” innumerevoli conseguenze fino a
fare di questo dato minimo un principio ordinatore dal rilievo eccezionale.
Ciò che incuriosisce e disturba maggiormente le femministe è il fatto che l’intramato delle
descrizioni-prescrizioni di genere sia costantemente imbevuto di disuguaglianza: non è
previsto che il potere ed il valore si distribuiscano equamente fra i rappresentanti delle
due parti. Essi si concentrano invece, regolarmente, nelle mani degli uomini: le società
che si reggono su questo divario sono dette “patriarcali”. Si tratta di un monopolio visibile
tanto nei saperi, quanto nelle risorse economiche; si tratta, in buona sostanza, dell’aver o meno - “voce in capitolo”.
Due sono le “posture ontologiche” più pericolose contro le quali un femminismo
filosofico deve mettersi in guardia: l’essenzialismo e il nominalismo estremo. “Donna” (lo
stesso vale per “uomo”) non è un’essenza né un mero nome.
Nel primo caso, periremmo sotto la “greve cappa di modelli” (siano essi femministi o
antifemministi, considerando tuttavia “il rifiuto duplice” dei secondi): i fluttuamenti tipici
dell’individualità si sacrificherebbero in vista della sussunzione entro il monolitico
“genere” – uno dei due - cui apparteniamo. Sia i cambiamenti delle singole, sia quelli del
collettivo delle donne, sarebbero invisibilizzati, a favore degli stereotipi.
4
Si è scelto di utilizzare questo carattere - solitamente usato per gli indirizzi di posta elettronica - perché
sintetizza efficacemente le desinenze “a” (femminile) e “o” (maschile).
7
Nel secondo caso, invece, sarebbe come essere ciechi di fronte alla potenza del
sistema sesso-genere (gli antifemministi per i quali “è già tutto a posto così”, o “non c’è
niente di rilevante che vada detto/fatto”), oppure – nel caso delle femministe - perdere di
vista l’obiettivo: impegnarsi a mostrare la decostruibilità del sesso-genere è encomiabile,
ma rinunciare del tutto a quelle categorie risulta assai azzardato nonchè tendenzialmente
controproducente.
Si abbraccia perciò la prospettiva di un nominalismo moderato: non ci sono “due
nature”, eterne ed immutabili, di cui siamo casi esemplari-esemplificazioni, per il solo
fatto di essere nate/i femmine/maschi; tuttavia, dal momento che il mondo crede che ci
siano, ciò sortisce degli effetti considerevoli (quasi che ci fossero davvero). Tutte le
proiezioni e fantasie “subite” a partire dall’interpretazine del dato sessuale vanno
esaminate con cura.
Allo scopo di intendere meglio come si sia costruito il sistema sesso-genere, si fa
una rassegna delle principali modalità di funzionamento del patriarcato – la società dispari,
sbilanciata a favore del sesso maschile - dopo aver preso in esame tre fra le moltelplici
ipotesi di una sua “origine”, ed esserci soffermate su quella ritenuta più plausibile.
Studiando il funzionamento del patriarcato constatiamo come una certa distribuzione degli
spazi, materiali e simbolici, sia decisiva al mantenimento del controllo sulle donne, e che
questo controllo si esercita in prima istanza sui loro corpi, a partire dalla sessualità
riproduttiva; la prima ad essere “zittita” è la madre. Su di lei si getta tutto il peso della
materialità: la genitrice per eccellenza finisce per essere teorizzata come il mezzo
attraverso il quale (l’incerto) genitore, il Padre, si riproduce.
L’esclusione dai luoghi di sapere-potere fa sì che il punto di vista di una metà del genere
umano
non
emerga
sostanzialmente
mai,
ed
in
più
il
perverso
meccanismo
dell’inferiorizzazione fa sì che le donne siano nemiche di se stesse.
Sulla base di questi progressi di consapevolezza, si possono intendere molti degli
atti e delle parole delle femministe. Estrapoliamo alcuni “nuclei di senso” da: il rapporto
di amore-odio con l’Illuminismo ed i conflitti con le norme (ovvero il dialogo-scontro con
l’ideale dell’uguaglianza); le polemiche sul privato e la famiglia (cioè sul profilo dei luoghi
originari della disparità che sfavorisce il sesso femminile); le riflessioni sulla maternità
(punto delicatissimo da esaminare in vista di una metamorfosi dell’identità femminile); le
proposte di modelli etici e politici alternativi (da condividere, finalmente, e non
dicotomici).
L’ultimo capitolo della tesi si fa infine testimone delle simpatie per un nuovo
paradigma di soggettività. È vero infatti che la ricerca di una nuova definizione di “donna”
innesca una serie di reazioni a catena per cui la stessa definizione di “genere umano”
8
viene inesorabilmente coinvolta: sia perché alle donne sono state “precluse” opportunità e
qualità di per sé non specifiche del genere maschile (alcune caratteristiche “neutrali” ci
spettano allo stesso modo); sia perché le loro pretese specifiche, i loro punti di vista,
hanno da ampliare lo stesso concetto di umanità per far sì che la rappresentatività di
questa astrazione si approssimi con maggior precisione alla totalità degli esseri umani (e
smetta di contemplare soltanto una parte di essi, privilegiandola).
Questo lavoro vorrebbe sottolineare l’attualità del dibattito, per donne e uomini,
fornendo alcuni strumenti concettuali indispensabili ad entrarvi; si delineano, in breve, i
contorni delle aree più significative di quello specifico e variegato panorama filosofico, che
solo affacciandoci da una “finestra femminista” potremmo osservare, tra sdegno e
meraviglia.
9
CAPITOLO 1
IL GENERE
La presa d’atto originaria del nostro itinerario filosofico coincide col riconoscimento di una
realtà sessuata, ove il genere struttura identità, rapporti, significati, valori e attività.
Frutto maturo della riflessione femminista, la nozione di “gender” fu introdotta
ufficialmente nel dibattito scientifico nel 1975 5 .
Si tratta di un’idea chiave, sorta dalla cristallizzazione, sistemazione e approfondimento
delle prime intuizioni del pensiero femminista, idea che ha da allora fatto mostra delle sue
notevoli potenzialità euristiche.
Grazie a questo grimaldello concettuale si sono efficacemente scardinate vecchie certezze
e dischiuse nuove vie per una migliore comprensione di molteplici aspetti della realtà
umana.
Donne e uomini
Il genere è un modo di classificare: l’inerzia dell’ “actitud natural” riconosce
spontaneamente la presenza di due tipi umani 6 , le donne e gli uomini.
Rientra nel genere tutta la serie di caratteristiche, aspettative, comportamenti, stereotipi,
che definisce quello che in ogni cultura si intende per “femminile” e “maschile”. Si tratta
di quell’insieme di tratti comportamentali e caratteriali, gusti, tendenze psicologiche,
erotiche, ruoli, doti intellettuali e morali, che ritrae le donne e gli uomini, distinguendo
più o meno nettamente che cosa la società consideri a priori proprio-specifico dei soggetti
di sesso femminile o maschile.
Il genere è insomma ció che differenzia le donne dagli uomini e viceversa.
Se per il senso comune definisce solo le donne, è perché solo esse ne hanno incentivato
l’uso e si sono mostrate interessate ad un consolidamento del suo statuto teorico. Si tratta
in realtà di un termine binario che non coincide con “condizione femminile” ed indica
invece la perenne reciprocità in cui i due sessi si trovano, la dialettica costante fra donne
5
Cfr. La storia di un concetto e di un dibattito in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile,
a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996. Gayle Rubin, antropologa, fu
la prima a parlare di “sex/gender system” in The Traffic in Women: Notes on the 'Political Economy' of Sex.
6
Cfr.
CRISTINA
MOLINA
PETIT,
Debates
sobre
el
género,
in
CELIA
AMORÓS
(ed.):
Feminismo y Filosofía, Ed. Síntesis, Madrid 2000. Grazie agli studi di linguistica scopriamo che il genere non c’è
in tutte le lingue ed il numero è variabile (la media è 4, sono possibili fino a 20).
10
e uomini 7 . Si nega così la possibilità che i modi concreti in cui si danno esperienze e
collocazioni sociali di donne (“condizione femminile”) si possano analizzare separatamente
dalla “condizione maschile”. Le due “condizioni” si creano a partire dai legami, contrasti,
influenze tra i due sessi. Dovremmo più precisamente parlare, al plurale, dei generi (sono
sempre almeno due).
Il genere “nascosto”
Non esiste qualcosa come un essere neutro, che non sia sessuato né “generato” (gendered)
e la stessa realtà nella quale i soggetti si muovono è distante dalla neutralità.
Il genere esiste, e la sua presenza non costituisce affatto un elemento trascurabile.
Tra gli assunti imprescindibili di qualsiasi analisi femminista vi è quello secondo il quale il
genere e la sessualità svolgono un ruolo decisivo in ogni area della vita: si sfida l’opinione
convenzionale, tanto comune quanto infondata, secondo la quale andrebbero catalogate
come questioni private o naturali senza conseguenze nel mondo della politica,
dell’economia, del diritto, etc.:
“to assert the importance of gender is to assert the gendered and sexed nature of the
subject, including the subject of law” 8 .
Sottolineare la potenza di questa categoria, il genere, è imprescindibile affinché si
smascherino i finti universalismi, a cominciare da un “dettaglio” come la formazione del
plurale che vorrebbe comprendere “in modo neutro” entrambi i generi, e lo fa sussumendo
il femminile al maschile.
Nell’insegnamento non c’è sessuazione (o meglio il maschile è assunto come universale) 9 e
7
Una delle prime a sottolineare che maschi e femmine sono entrambi attori quando si parla di condizione della
donna fu Natalie Zemon Davis (1976). Il rapporto uomo-donna non è costante.
8
Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in the European Charter of
Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004, p.99.
Gli studi di genere applicati al diritto costituzionale lo dimostrano. Chi si preoccupa di studiare la legge assume
sia un approccio costruttivista, sostenendo che essa costruisce il fenomeno sociale che vuole regolare, sia un
approccio decostruttivo, dal momento che indaga le logiche politiche, storiche e filosofiche più profonde che
strutturano i testi legali.
Andando alla ricerca di quello che è il cittadino costruito legalmente si scopre infatti che vi stanno dietro
concetti filosofici e politici. Si notano sessismi espliciti (discriminazione diretta, quando si parla di uomini e
donne o anche di soggetti eterosessuali) ed impliciti (discriminazione indiretta, attraverso regole
apparentemente neutrali); concetti e metafore apparentemente “innocenti” (come “onore maschile” e “virtù
femminile” ad esempio). Non è insignificante nemmeno l’architettura dei diritti (cosa viene prima e cosa
dopo).
9
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de
Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p.55.
11
tutto ció appare estremamente ovvio e quindi invisibile.
Non si tratta solo di desinenze: l’insieme delle donne e degli uomini è pacificamente e
unanimemente descritto da “gli uomini”, o anche “l’Uomo”.
Tuttavia il maschile non puó essere universale: questo banale “solapamiento” 10 non è
affatto così inoffensivo come a prima vista potrebbe sembrare. L’aura di ovvietà che lo
avvolge è tanto spessa quanto la nube di perplessità che genera agli occhi delle
femministe.
Allo stesso modo alcuni concetti che si consideravano onnicomprensivi, imparziali, come
“soggetto”, “lavoratore”, “cittadino”, “pubblico”, “privato”, sono in realtà nozioni
generalizzate in maschile perché al femminile indicano realtà totalmente altre (basti
pensare a “hombre pùblico”–un politico, qualcuno che ricopre un ruolo prestigioso in
società, una persona rispettabile- e a “mujer pùblica”-una prostituta) 11 . La presenza
“ingombrante” di questa asimmetria è sottaciuta sotto le false spoglie di un universalismo
(declinato al maschile). Il femminismo filosofico, coltivando l’eredità della cosiddetta
“hermeneutica de la sospecha”, insinua dubbi a catena.
Sesso-genere, Natura-Cultura
Ció che è femminile e ció che è maschile, cosa debbano essere e fare le donne e cosa gli
uomini: tutto ció viene arbitrariamente “deciso”, o - se si preferisce - si dà, nella
molteplicità dei tempi e dei luoghi in cui vivono (hanno vissuto e vivranno) gli individui
concreti. Non c’è un solo modo di essere donna né di essere uomo: prendiamo atto di
numerosi modelli di femminilità e di mascolinità nel corso della storia e nei svariati angoli
del pianeta.
Allo stesso tempo ció che in una cultura è considerato proprio, condiviso, tipico e normale
per gli individui di uno stesso sesso è prescritto come “opportuno”: pensiamo alla
disapprovazione veicolata da espressioni come “non fare la femminuccia” o “sembri un
maschiaccio”.
La regola sottaciuta è che i maschi abbiano da essere “uomini” e le femmine, “donne”.
Parlando di genere in questi termini sorge automaticamente l’esigenza di un’altra
categoria da contrapporvi: quella di “sesso”.
La diade sesso-genere che così si delinea pone a manifesto la variabilità del secondo
termine: se il nascere maschio o femmina costituisce un caso tanto fortuito quanto
10
Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),
Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000.
11
Vd.
CRISTINA
MOLINA
PETIT,
Debates
Feminismo y Filosofía, Ed. Síntesis, Madrid 2000.
sobre
el
género,
in
CELIA
AMORÓS
(ed.):
12
naturale e necessario, le modalità in cui si diventa uomini o donne ed il senso di questi
termini dipendono dal contesto storico e geografico in cui le creature che concretamente li
impersonano, vivono.
Se il corpo sessuato è Natura, il genere è Cultura.
Perció “sesso” non è altro che è la categoria biologica determinata dai cromosomi e resa
visibile da un corpo con caratteristiche genitali da maschio-femmina: solo questo è ció che
esiste in modo invariabile, universale e naturale. Tutto il resto ricade nel genere.
La sproporzione
Un secondo passaggio essenziale del discorso femminista è la constatazione di uno
squilibrio fra i generi stessi: non solo la categoria di “genere” è altamente produttiva
quando si desideri vedere più a fondo la realtà (poiché è asse portante della sua struttura),
ma l’uso di tale parametro ci induce a urtare contro una sconcertante regolarità.
Spogliato del suo travestimento neutrale, troviamo che nel mondo, piuttosto rigidamente
spartito fra donne e uomini, la distribuzione non è ispirata ad equità. Anche dietro
apparenti imparzialità si cela la discriminazione di uno dei due generi: quello femminile.
Questo assetto della realtà è così antico e diffuso da sembrare normale:
“el feminismo es un impertinente (…). Porque el feminismo cuestiona el orden establecido.
Y el orden establecido está muy bien establecido para quienes lo establecieron, es decir,
para quienes se benefician de él” 12 .
Il femminismo è il movimento sociale (ed in seguito soggetto politico, nonché posizione
filosofica e branca di studi) che ha preso coscienza della disparità e ha puntato il dito su di
essa, contestando la legittimità della supremazia che gli uomini avevano assegnato a se
stessi nell’ineguale disposizione delle cose.
Inteso in questi termini, “genere” è anche un’arma politica oltre che una categoria
analitica feconda in molte ricerche.
Si tratta di una verità storica e antropologica: in tutte le società esiste una rigorosa
separazione fra i generi ed inoltre il ruolo delle donne è costantemente subalterno.
La divisione del lavoro, i compiti quotidiani, l’accesso alla sfera intellettuale e simbolica,
si sono organizzati nel tempo lungo una profonda asimmetria, a discrimine e a svantaggio
del genere femminile.
Ai posti di potere e prestigio accedono prevalentemente od esclusivamente gli uomini.
Le donne si trovano confinate ed ostacolate a fare uso delle risorse (a partire da quelle
materiali) che normalmente spettano agli uomini; sono condannate alla povertà di mezzi.
12
Vd. NURIA VARELA, ¿què es el femminismo? La metàfora de las gafas violetas, in NURIA VARELA, Feminismo
para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p. 13.
13
I limiti –umani- della nostra condizione esistenziale, che chiunque sopporta e si impegna a
superare, raddoppiano se ci tocca la “malaugurata sorte” di rientrare nella classificazione
“donna”.
Insomma il “mondo delle donne” è più ristretto, il loro raggio d’azione più limitato, ed in
più denigrato, eternamente “inferiore” nei riguardi dell’altro (più ampio e “superiore”).
Se gli uomini possono accedere senza difficoltà allo spazio del genere subordinato, non è
vero viceversa 13 .
Quando sosteniamo che alle donne è abitualmente assegnata la parte “peggiore”
sottintendiamo due aspetti: è la più “piccola”, nonchè la meno stimata socialmente. La
questione della disuguaglianza è duplice: nella ripartizione, la fetta rosa della torta non è
soltanto quella più esigua ma “universalmente” svilita come “meno buona” di quella
azzurra.
D’altro canto ció che oggi puó apparire insensato ed ingiusto è stato largamente
giustificato nel corso del tempo sulla base di molteplici “ragioni”, ed anzi considerato
prescrittivo per il buon funzionamento della società.
Se è vero che tutte le società esercitano distinti tipi di oppressione su varie basi, è
altrettanto certo che il pensiero filosofico è un’arma che puó aiutare a rafforzarla o a
debilitarla 14 , erodendo i pregiudizi su cui si basa. Noi desideriamo avvalerci principalmente
del suo potere critico.
Essere capaci di dissociare (per lo meno a livello intellettuale) la coppia sesso-genere e
vedere distintamente come il secondo termine sia dotato di una qualche mobilità, è
cruciale per dischiudere nuove possibilità d’azione e di pensiero. Si apre uno spiraglio di
cambiamento, si attribuiscono responsabilità 15 .
Si pone in discussione la relazione che pareva ovvia tra l’essere femmina (per costituzione
biologica) e l’essere donna: è possibile discernere.
Se il nostro sesso (femminile) fosse condizione necessaria e sufficiente per essere donna,
dovremmo adeguarci rassegnatamente allo stato finora previsto per gli individui di questo
13
Cfr. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p. 40. Per ció che concerne la divisione degli spazi, le donne
sono recluse nello spazio definito come privato mentre gli uomini cercano di dominare in entrambi gli spazi
benché operino solitamente in quello pubblico.
14
Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE
(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona
2004.
15
Cfr. NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.184. Utilizzare la
categoria di “genere” implica una rivoluzione politica: il problema della dominazione delle donne viene
traslato al territorio della volontà e responsabilità umana: se i salari sono distinti non è un problema naturale o
biologico, bensì politico.
14
genere (dato che nascere maschio o femmina non è oggetto di scelta). Poiché, invece, la
donna è un essere sociale che si costruisce, è la Cultura a determinare l’oppressione.
La scelta dell’espressione “genere” risponde infatti all’esigenza di attribuire il massimo
peso a quanto vi è di socialmente costruito (e non biologicamente dato) nella
disuguaglianza fra donne e uomini. Si restituisce vigore alla classica dichiarazione di
Simone de Beauvoir “donne non si nasce, si diventa” 16 e si assegna così un valore
particolare al lavoro delle scienze sociali e di chi indaga sia il divenire storico che i
meccanismi della disparità nel presente.
La denuncia dell’ingiustizia nell’assetto delle cose scorre parallela all’indicazione di una
“via di fuga”: dal momento che la definizione del femminile è una costruzione culturale 17 ,
per ció stesso non “essenziale” ed “eterna”, ma in certo qual modo “artificiale”,
“relativa” e “dinamica”, il genere puó essere decostruito, rimaneggiato e “riscritto”.
Decostruzione di “sex”, approfondimento di “gender”
La diade sesso-genere puó essere ulteriormente indagata poichè è meno antinomica di
quanto si creda.
Nemmeno il corpo si puó considerare un’evidenza semplice ed indiscutibile: questo “dato”
piuttosto che fisso, è instabile: la sua indeformabilità è fasulla.
Cristina Molina Petit approfondisce quest’analisi illustrandoci come il nostro atteggiamento
“naturale” si inganni abbondantemente nel dare per scontato che il corpo sessuato sia un
mezzo passivo, inerte ed anteriore ad ogni significazione 18 . Anche Linda Nicholson 19 ci
invita a notare che una “visione attaccapanni dell’identità”, ovvero una visione in cui il
corpo è il piedistallo inamovibile su cui si gettano i diversi manufatti culturali (personalità
e comportamento) è insostenibile.
Una volta ammesso che la medesima concezione del corpo è una variabile, piuttosto che
una costante, arriviamo alla conclusione che la nozione di “genere” vada perciò estesa:
non solo non rispecchia differenze naturali e fisse, ma è quella conoscenza che stabilisce i
significati per le differenze corporee, le quali a loro volta sono “selezionate” e codificate
culturalmente.
16
17
18
SIMONE DE BEUVOIR, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 2002.
(così come quella del maschile, ma è la parte subordinata quella che ha tutto l’interesse di ridefinirsi)
Vd.
CRISTINA
MOLINA
PETIT,
Debates
sobre
el
género,
in
CELIA
AMORÓS
(ed.):
Feminismo y Filosofía, Ed. Síntesis, Madrid 2000.
19
Vd. LINDA NICHOLSON, Per una interpretazione di “genere” in Genere. La costruzione sociale del femminile
e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996.
15
Corpo/anima, corpo < anima
Da un lato potremmo pensare alle origini filosofico-religiose di “corpo” che lo collocano in
opposizione ad un principio immateriale, in un dualismo che di norma attribuisce un senso
peggiorativo al termine in questione. Se già dai tempi di Platone ereditiamo la gerarchica
dicotomia tra il sensibile e il soprasensibile, è inevitabile ricordarsi di Cartesio che
distingue in maniera forte tra res cogitans e res extensa (meccanica e senza intelligenza) e
del cristianesimo, influenzato dalla mistica e dal neoplatonismo, che ridefinisce questa
passività assegnandole una connotazione morale negativa-peccaminosa. Come si può
definire quali sono davvero i limiti fra il corpo sessuato e la coscienza-anima?
Non solo esprimiamo fenomeni della nostra soggettività in termini di un’esperienza
corporea di movimento fisico, ma i fenomeni psichici sono legati a quelli fisici (anche le
malattie che colpiscono gli organi hanno una componente psichica). Dov’è il limite del
corporeo? Nella pelle? Nel cervello? È un errore considerare i margini corporei come isolati
da tutti gli altri: le frontiere si stabiliscono culturalmente.
Il corpo umano come simbolo del corpo sociale
Non è da trascurarsi l’origine antropologica-culturale della categoria di “corpo”. I corpi
degli individui diventano simboli del corpo sociale: si stabiliscono alcuni contorni e dato
che sono aperti (vagina, bocca, narici…) si naturalizzano alcuni tabù, vedendo in questi
orifizi il rischio di minacce esterne, potenziali pericoli che vengono dal di fuori e possono
entrare nel corpo sociale. Alcuni saggi di Marìa-Milagros Rivera pongono in luce come fu
soprattutto il corpo delle donne a veicolare questi significati simbolici. La storica svolge la
sua analisi sulle culture islamica, cristiana ed ebraica che “convivevano” in Spagna fra il X
e il XIII secolo. Il corpo femminile è immagine del corpo sociale, ovvero un corpo violabile
la cui protezione è legata al mantenimento dell’identità politico-culturale della società cui
appartiene. Il gruppo di uomini sotto il controllo dei quali si trovano normalmente le donne
si preoccuperà di evitare che vi sia qualsiasi contatto tra di esse e gli uomini di un’altra
cultura. I rapporti sessuali fra donne e uomini di culture diverse sono pesantemente
sanzionati 20 .
20
Cfr. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.24-26.
16
Maschio o femmina?
La stessa certezza che possediamo sulla duplicità dei corpi si sfalda: pensiamo al fatto che
in passato vigeva una visione meno rigida della separazione (il che dimostra il suo essere
relativa e storica, quindi soggetta ad alterazione), ed inoltre che si potrebbe, a rigore,
essere classificati come maschi secondo la morfologia genitale esterna e femmine secondo
la mescola ormonale secreta 21 . Maschio e femmina sono due poli ideali.
Thomas Laqueur, 22 studiando la letteratura medica dai Greci al XVIII secolo, ci insegna ad
esempio come da una visione “ad un solo sesso” si passa nel ‘700 ad una visione
“bisessuale”. Prima, il corpo femminile era solo una versione inferiore del corpo maschile:
erano differenze di grado e non tipologiche (ad esempio gli organi femminili erano
considerati organi maschili meno sviluppati). La distinzione comparirà dopo anche a livello
linguistico: un organo centrale come la vagina non possedeva un nome specifico.
La dicotomia e polarizzazione sessuale è uno degli sforzi più intensi e persistenti che la
società si incarica di esercitare, sotto ogni forma e in ogni momento, sia consapevolmente
che non, “quasi che avvertisse, oscuramente, la fragilità della diversificazione e che ne
temesse fortemente l'ambiguità” 23 .
L’orientamento sessuale
L’esistenza di gay, lesbiche e travestiti, ci porta a ridiscutere perfino una fra le
caratteristiche più “naturali” dei corpi sessuati: l’eterosessualità. Il sesso non è di per sé
condizione sufficiente nemmeno a condizionare in modo preciso (binario) l’orientamento
sessuale funzionale alla riproduzione (che pure non puó prescindere da esso);
l’eterossessualità è un mito 24 .
In generale nessuna delle pratiche e delle tendenze sessuali rientra serenamente
nell’ambito del “naturale”.
Nelle società si premiano e promuovono determinate attività per mezzo di un sistema
coercitivo sia morale (il sesso buono), che legale (alcuni comportamenti innocui vengono
presentati come minacciosi per la salute pubblica, la famiglia e la civiltà) per via del quale
non si puó scegliere liberamente, a meno che non si voglia essere eroici o ci si rassegni
all’emarginazione.
La gerarchia attuale (secondo Gayle Rubin, 1985), dal tipo di sessualità più apprezzato,
21
Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, pp. 8, 24.
22
THOMAS LAQUEUR, L'identità sessuale dai greci a Freud, Laterza, Roma 1992.
23
Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.4.
24
Cfr. OSCAR GUASCH, El mito de la heterosexualidad in La crisis de la heterosexualidad, Ed. Laertes,
Barcelona 2000.
17
normale, sano e santo (!) a quello meno stimato, considerato perfino anormale e
peccaminoso prevede cinque livelli:
1.
sessualità coniugale riproduttiva monogama
2.
coppie eterosessuali non sposate
3.
eterosessuali promiscui
4.
gay e lesbiche
5.
lavoratori/trici del sesso
Nuove prospettive di analisi
La potenza ermeneutica pressoché inesauribile della categoria di “genere” si manifesta in
due direzioni: potremmo individuare una sorta di pars construens e di pars destruens.
La nozione si utilizza costruttivamente
dal momento che si delineano nuovi temi
di
interesse, ovvero si promuove lo sviluppo di veri e propri rami di studio, raffinando ed
approfondendo l’analisi di alcune tematiche, come la storia degli oppressi, e le distinzioni
fra sessualità, identità sessuale, identità generica, identità di ruolo sessuale, identità di
ruolo di genere (che si fanno più sottili). Nasce la possibilità di un diverso sguardo generale
con valore “retroattivo”. Difatti il genere non è una semplice addizione di dati, è una
nuova prospettiva applicabile ai dati nel loro complesso.
La novità della prospettiva epistemologica è data dal fatto che ci si abitua a vedere la
realtà sociale come doppia, sessuata: ci rende consapevoli che in ogni azione sono
continuamente sottese concezioni del maschile e del femminile.
È un parametro decisivo nell’analisi economica e sociale, “complementare” e non “in
competizione con” variabili quali classe, occupazione, proprietà ecc. Ci dà maggiori
possibilità interpretative: “ogni storico, qualunque sia il suo campo specifico, dovrebbe
prendere in considerazione le implicazioni del sesso non meno di quelle delle classi
sociali” 25 .
Analizzare la struttura della realtà storica e sociale a partire dall’individuazione di un
fattore quale l’appartenenza al genere femminile o maschile ci mostra numerose
dinamiche altrimenti difficilmente indagabili. Prestando una maggiore attenzione al
genere, si porrà in rilievo tutto un tessuto di pratiche e di logiche con una loro coerenza
interna: l’apparente frammentarietà di aspetti di per sé variegati, prima non nominati né
riconosciuti come rilevanti, trova sintesi. Grazie all’uso di questa categoria scopriamo
inoltre la parzialità di certi resoconti che pretendevano di essere universali (c’è sempre un
“subtexto génerico implìcito”).
25
Vd. La storia di un concetto e di un dibattito in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile,
a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, Il Mulino, Bologna 1996.
18
Il lato più innovativo del concetto è quello che si esprime quando lo si usa
“decostruttivamente”:
esso
ci
aiuta
a
mettere
in
discussione
le
costruzioni
precedentemente considerate normali, ovvero a sfidare l’atteggiamento naturale, che
viene posto in crisi: il sesso non determina un’identità generica che a sua volta
ordinerebbe certi ruoli generici.
Non si tratta (solo) di colmare un’assenza, ma di riesaminare criticamente l’insieme (lo
sguardo si estende ed arricchisce). In questo secondo aspetto notiamo la carica
trasformatrice del concetto.
19
CAPITOLO 2
REALISMO E NOMINALISMO:
I NEMICI TEORICI (E PRATICI) DEL FEMMINISMO
Le varie posizioni rispetto al tema del “genere” si possono classificare come “realiste” e
“nominaliste”; in entrambi i casi i propositi che le animano possono essere sia femministi
che antifemministi 26 .
L’annoso problema degli universali si può declinare al caso della riflessione femminista e
tradurre perció nella domanda: qual è il fondamento –riferimento, Bedeutung- dei concetti
“maschile” e “femminile”? 27
Realismo antifemminista
Per i realisti antifemministi “femminile” e “maschile” sono essenze, hanno un fondamento
in re.
Una prospettiva filosofica di questo tipo sorreggerebbe la posizione “reazionaria” di chi
pensa che la differenza fra uomini e donne si stia “pericolosamente” affievolendo, e
l’emancipazione femminile rappresenti un processo contro Natura che porterà solo a
paradossi e disgrazie per le stesse donne.
Per scoprire la trappola mentale tesa dietro tale pregiudizio dovremmo discutere se
effettivamente si dia il caso di una Natura femminile (per poterla salvaguardare), e
comunque se - nell’intento di proteggere la purezza di un’essenza - non si celi la
sgradevole eventualità (quando non la cosciente volontà) di riconfermare un ordine
simbolico, logico, economico, politico, sociale che ha a lungo danneggiato e asfissiato le
donne: il patriarcato.
Addobbandolo dell’ideologia della complementarietà, i realisti giustificano - praticamente
- il Sistema, dove duplicità e gerarchia si intrecciano quasi indissolubilmente.
26
Vd CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 73-85.
27
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.52.
20
Obiezioni al realismo
Dichiariamo con una buona dose di sicurezza che “femminile” e “maschile” non sono
“naturali”, bensì notevolmente “artificiali.” Solo una perfetta insensibilità alle variazioni
storiche e sociali che hanno coinvolto questi contenuti potrebbe scusare una posizione
contraria.
Gli stessi uomini hanno scoperto e praticato attività per secoli delegate e imposte alle
donne, (la cura dei figli, della casa, del cibo, per esempio), e se ne sono appropriati senza
per questo veder intaccata alcuna essenza 28 . Allo stesso modo le donne reali non
esemplificano più l’essenza femminile, nei termini in cui era previsto che lo facessero.
La variabilità in sé dimostra l’elevato grado di malleabilità (quando non vaporosità) delle
presunte due nature.
Esistono le prove empiriche del fatto che il “genere” muta; il senso (Sinn) di “femminile” e
“maschile” è soggetto ad alterazione.
Non esiste una corrispondenza necessaria né alcuna consequenzialità logica che leghi gli
individui coi loro corpi sessuati (al di là della maggiore o minore “integrità/scomponibilità”
dei corpi sessuati stessi) al “genere” che viene ad essi attribuito.
Le differenze donne-uomini non possono, per via di tutte queste ragioni, considerarsi
sempiterne e si suffraga invece la tesi per cui l’attribuzione di caratteristiche generiche
essenziali al fatto di appartenere ad un sesso è preponderantemente abusiva.
Uno dei pericoli da schivare è proprio il pigro e ottuso ragionare di chi, accentuando al
contrario la staticità di vari aspetti di “femminile” e “maschile”, giunga a conclusioni di
tipo essenzialista.
Un esempio fra tutti potrebbe essere il seguente: “le donne si sono sempre (?) prese cura
in maniera esclusiva della prole; ergo, fa parte della loro più intima natura occuparsene”.
Ancora peggiore la prospettiva di chi deduce dalla portata pressoché universale del dato
oggettivo per cui le donne si trovano in posizione subalterna rispetto agli uomini,
l’ineluttabilità del fatto stesso. Sia la distribuzione iniqua che la dominazione sono
condannabili e modificabili.
L’indebito passaggio dall’essere al dover essere è additata come operazione ideologica da
Amelia Valcárcel 29 , ed è in ogni caso contestabile anche secondo il punto di vista di un
antropologo come Marvin Harris, perfettamente consapevole dello scarto intercorrente fra
la transculturalità di quelle che egli ritiene siano state le pre-condizioni sufficienti a
giustificare “il complesso di supremazia maschile” e la necessità che quest’ultimo si
28
Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.21.
29
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p.130.
21
sviluppi.
Quand’anche ci siano criteri comuni di distinzione uomo-donna, essi non vanno letti
come effetto della presenza di costanti in Natura. Queste costruzioni non rappresentano in
nessun caso l’espressione diretta del fatto biologico.
È vero che nelle varie culture esiste una distinzione m/f e la maggior parte di esse
attribuisce questa distinzione ad un certo tipo di differenza corporea 30 , ma porre in diretta
corrispondenza corpo e costruzioni culturali, per cui ció che è transculturale risulterebbe
fondato-legittimato dalla biologia (quindi naturale e vero) implica un salto illegittimo.
Partire dal corpo per giustificare generalizzazioni sulle donne (e sugli uomini) è
“fondamentalismo biologico”.
Il passo falso sta nell’affermare che il possesso di un certo corpo fa sì che certi individui
siano etichettati come “donne” ed altri come “uomini” e che questa classificazione
connetta alcune caratteristiche comuni con alcuni effetti comuni.
Possedere un corpo sessuato femminile non è abbastanza per giustificare l’immediato
assorbimento entro i confini del recinto “donna”, così come questi ultimi erano stati
tracciati.
Dialogo Natura-Cultura
In ogni caso, anche se riconoscessimo che qualcosa dell’essere donna, uomo o ermafrodita
dipende dai geni, sapremmo che nascere maschio o femmina non è di per sé un destino. Il
dato biologico riceve il suo significato grande o piccolo a partire dalla Cultura che lo
accoglie. Essa gli dà forma, indirizzandolo verso certi esiti e vestendolo di simboli, qualità
e difetti.
Etologia e sociobiologia non vanno quindi ignorate, ma non si concede credito a chi dice
“non siamo altro che..”: conoscere la Natura, infatti, non significa adeguarci ad essa.
In ogni caso l’ago pende verso la Cultura: non nel senso di togliere ogni valore al dato,
quanto piuttosto nel senso di una “premurosa” diffidenza verso l’accettazione passiva di
quest’ultimo e dell’incessante ed ottimistica fiducia riposta nel potere della prima di
modificarlo.
La stessa idea attuale di scienza ci induce a rapportarci alla biologia in modo più flessibile:
il DNA è una componente “naturale” ma non per questo immutabile 31 del nostro essere. Il
patrimonio genetico (anche quando non si interferisca direttamente su di esso) è in
dinamico rapporto con l’ambiente. Non c’è alcuna fatalità senza scampo.
30
Tuttavia c’è variabilità nel modo di leggere il corpo, come dimostra il caso dei berdache, dove l’identità è
legata alle forze dello spirito ed un soggetto con genitali maschili puó essere considerato metà femmina e metà
maschio.
31
Vd. MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli, Il Mulino, Bologna 1995, p.140.
22
Anche se si volesse fondare in Natura la distinzione donne/uomini, esiste la Ragion
Pratica per andare oltre essa 32 .
La pensatrice Amelia Valcàrcel ci illustra in che modo un approccio rigido alla dicotomia
Natura-Cultura sia limitante e ci conduca inesorabilmente a punti morti. Se l’oppressione
fosse naturale si tratterebbe di una lotta contro Natura; se fosse dovuta soltanto a regole
interessate
che
generano
disuguaglianza,
alla
base
vi
è
stata
un’uguaglianza
giusnaturalistica ed in tempi remoti una qualche “confabulación” la intaccó (questo
implicherebbe l’ipotesi di una protostoria - il prepatriarcato). L’uguaglianza è in Natura e
non viene riconosciuta dalla Norma o è la Norma a creare quest’uguaglianza? Cos’è Natura
e cosa Convenzione? 33
La Cultura è un canale di alterazione ed il nostro successo come specie dipende in parte
dal fatto che “maltrattiamo” la nostra Natura 34 .
Realismo femminista
Per le realiste femministe “lo femenino” si riferisce ad un’entità forte e non
semplicemente ad un insieme di individui di sesso femminile. Benché queste vagheggino
una complementarietà senza gerarchia e/o il separatismo, l’unica
l’antifemminismo
tradizionale
è
che
danno
valore
positivo
vera differenza con
all’essenza
finora
“subordinata”.
Spesso si insiste sulla maggiore vicinanza alla natura, l’amore per i figli, il pacifismo, le
capacità relazionali.
Esaltare il lato positivo di certe doti femminili, tuttavia, significa ribadire e cristallizzare
le qualità femminili da sempre attribuite alle donne.
Siamo certe che tutte le donne in quanto tali dispongano dello stesso bagaglio di capacità
e qualità 35 ?
E quand’anche certi caratteri siano ricorrenti, cosa ci assicura che siano tratti e valori
autenticamente “nostri” e non imposti ed accettati?
Tralasciando di rispondere a questi interrogativi finiremo per scrivere un catalogo di virtù
che competono all’essere donna piuttosto che convertire le donne, differenziate ed
32
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.76.
33
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p.70.
34
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
pp.61 e 94.
35
Vd. La storia di un concetto e di un dibattito in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile,
a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, 1996 Bologna.
23
uniche, in individue 36 . Bisognerebbe invece restare autocritiche, facendo attenzione a non
configurare una nuova femminilità normativa.
Questo folto gruppo di femministe si discosta dalla terminologia di cui facevamo
menzione finora, a favore del concetto di “differenza” (“la differenza femminile”, che
ovviamente implica come controparte “la differenza maschile”).
Le cosiddette “pensatrici della differenza”, tutt’altro che imbarazzate o tormentate dalla
difficoltà di tracciare la sdrucciolevole linea di confine fra Natura e Cultura, si schierano
energicamente a favore di un superamento dell’opposizione binaria (sesso-genere),
motivate dal desiderio di spostare la questione su un altro piano, quello ontologico.
Valgono molte delle stesse critiche fatte all’altro essenzialismo.
Il concetto di “differenza” è di per sè stesso ambiguo. Dove sta la “differenza”? È
anatomica e fisiologica o anche sociale e mentale? Da dove deriva? Dagli ormoni o dalla
dominazione patriarcale?
Se Adriana Cavarero ritiene che nella differenza sessuale la componente biologica e quella
culturale, (morfologia corporea e immaginario, sex e gender) siano fuse, inscindibili 37 ,
Luisa Muraro rigetta la scissione richiamandosi ad uno dei capisaldi del suo pensiero: la
madre ci dà corpo e linguaggio ed
il significato non puó perció essere scisso dalla
materialità, che la creatura riceve in dono simultaneamente.
Irigaray dice soltanto che è naturale (implica diversi modi di sentire, parlare, pensare). Va
accettata e da lì occorre partire 38 ; anzi, di più, va preservata 39 .
Wanda Tommasi ci invita a notare che “differenza” e “gender” non possono coincidere
perché la prima si esperisce dall’interno, è un partire da sé, ha a che fare con la propria
esperienza di sé e del mondo: la differenza è il senso che si dà al proprio esser donna 40 . Le
pretese metafisico-ontologiche si fanno più esplicite quando la studiosa sostiene che “la
36
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.113.
37
Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA
CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, p.111-112.
38
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.91-92.
Questa concezione si ritrova nell’opera di Luce Irigaray del 1992, J’aime a toi (Amo a te: verso una felicità
nella storia, trad. di Pinuccia Coalizzano, Bollati Boringhieri, Torino 1993).
39
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.70-71.
Un altro testo centrale della pensatrice francese sul quale ci si sofferma è Éthique de la différence sexuelle
del 1984 (Etica della differenza sessuale, trad. di Luisa Muraro e Antonella Leoni, Feltrinelli, Milano 1985).
40
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, pp.28-29.
24
differenza femminile” non si esaurisce nella dimensione fisiologica né in quella sociale: c’è
“un di più” 41 .
Quali sono i criteri per determinare quale sia l’identità femminile?
Da dove raccogliere questa essenza che ci fa distinte?
Se si pretende che l’identità femminile per il suo carattere quasi-ontologico sfugga alle
regole generali di formazione delle identità, si dovrà ammettere che deriva in un modo o
nell’altro dalla biologia: sarà arduo, poi, sfuggire all’accusa di essenzialismo 42 .
Per varie ragioni si considera questo approccio errato e pernicioso, piuttosto che utile.
Come nell’antifemminismo tradizionale, si assumono determinate caratteristiche come
proprie del “femminile”, sottolineando talvolta la radice biologica, altre quella socioculturale di un modo specificamente “femminile” di sperimentare il mondo, e si ricade
nell’essenzialismo.
Talvolta le stesse pensatrici della differenza propongono che gli uomini si femminilizzino.
In questo caso il voler proporre l’universalizzazione della differenza valorizzata come
buona fa sì che da una posizione realista si scivoli paradossalmente nel nominalismo: se “il
femminile” ed “il maschile” sono assumibili da chiunque al di là del sesso, non esiste
un’essenza delle donne in quanto tali né una natura maschile propria degli uomini.
Dire una volta per tutte cosa significhi “donna” o “uomo” significa bloccare un processo in
divenire, di cui le singole ed i singoli dovrebbero farsi protagoniste/i. Nel processo di
costruzione di sé non si puó sacrificare l’individuo al genere ed il genere allo stereotipo.
L’idea di un’essenza “femminile” (o “maschile”) spegne gli slanci individuali ed induce al
separatismo: le donne non sono tutte identiche fra di loro ed è auspicabile che ci si
impegni piuttosto nella costruzione di un mondo più unitario (al quale chiunque cooperi).
Nominalismo antifemminista
Agli antipodi, i nominalisti antifemministi rigettano come insignificante la questione del
genere. “Femminile” e “maschile” sono puri nomi: esistono solo individui ed i caratteri
comuni che derivano dall’appartenenza ad un determinato sesso non hanno rilevanza
ontologica, né sociale, né culturale. È perciò indifferente chi svolge incarichi di
responsabilità, posizioni di prestigio ecc.
Questa posizione filosofica è del tutto congeniale e conforme al luogo comune - “politically
41
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, p.11.
42
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp. 106107.
25
correct” - secondo il quale nascere uomo o donna è un caso del tutto irrilevante, incapace
di alterare in qualche modo quella che di norma costituisce la gamma di possibilità di
realizzazione esistenziale di ciascun@, perché siamo tutte/i “persone”. Da cosa dipende
quest’abbaglio? Una candida ignoranza? Cinismo? Nel migliore dei casi si pecca di
immaginazione.
La proposizione che nega il legame intercorrente tra la sessualità femminile ed un limite
oggettivo alle possibilità esistenziali è vera - infatti - se la assumiamo come ideale. Questo
nesso (femminile-subordinazione) è storico e non logico.
Un mondo dove le conseguenze del sesso fossero le medesime per entrambi, sarebbe un
mondo di uguaglianza e libertà, perché entrambi i sessi potrebbero ridefinire
culturalmente ed eticamente le conseguenze del sesso nel modo che stimassero più
adeguato ai propri progetti come esseri umani.
Già le donne del Manifesto di Rivolta Demau riconoscevano questa necessità: “quando le
conseguenze di una diversità, dualità di sessi, saranno valutate ed equamente sopportate
da entrambi gli interessati, allora basandosi su se stessa, così liberata, la donna potrà
scoprire in sé e per sé una vera, giusta trascendenza” 43 .
Ció cui si vorrebbe arrivare è appunto una società dove a nessun@ sia precluso - in ragione
del sesso - l’accesso a molteplici ed eguali opportunità di realizzazione (se è avvenuto e
tutt’oggi avviene, non succede perché è inevitabile che accada). Il punto d’arrivo è un
mondo dove la sessualità non conti, o meglio conti allo stesso modo per tutte/i: se la
sessualità ha peso, che ne abbia uno equivalente per le donne e per gli uomini.
Tuttavia le cose non vanno ancora in questo modo e studiare le implicazioni del “genere”
continua ad essere utile.
Obiezioni al nominalismo
Il generico “le donne” non è innocente-innocuo: a seconda degli interessi compare o
scompare. Vediamo fra i titoli “le donne entrano nei pompieri” quando concretamente si
tratta di due persone ma raramente “le donne sono maltrattate” mentre si tratta di un
numero assai più ingente di individue 44 . Una prospettiva di genere mostra d’altro lato
quanto il finto universalismo sia radicato e radicale: intacca le stesse costituzioni, gli stessi
43
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987, pp.
27 e seguenti.
44
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.225.
26
“diritti umani” 45 .
La differenza sessuale non conta solo a livello di identità personale, ma è proprio un
apriori relazionale 46 che genera “effetti collaterali” su ogni fronte.
“Nei termini della formazione della personalità, l'identità di genere è una delle prime,
potenti, pervasive, costanti pressioni che si esercitano sul nascituro: egli è, prima di tutto,
anche prima di ricevere un nome e di essere ombelicalmente separato dalla madre, o
maschio o femmina, e poi tutto il resto” 47
In primo luogo e prima ancora di aver sviluppato un sia pur rudimentale linguaggio, la
persona fa esperienza del genere sessuale. La differenza sessuale non è come le altre
differenze: si dà fra due che non hanno identità senza questa differenza; essa ci identifica
e fa differire allo stesso tempo 48 .
Anche John Tosh, a proposito degli uomini, sottolinea che la mascolinità è qualcosa di più
di una costruzione sociale: è un’identità soggettiva, la più profondamente vissuta 49 .
Secondo Miriam M. Johnson 50 le emozioni che uomini e donne provano nei propri riguardi e
reciprocamente sono profonde: è questa l’evidenza empirica del fatto che sono in gioco
questioni intime, problemi emotivi “quasi viscerali”.
C’è un interesse a stabilire “la vera identità”: la consueta domanda “è maschio o
femmina?” non è mossa da una curiosità superficiale 51 , dato che è a partire da tale
diversificazione biologica primaria (dal momento stesso in cui si stabilisce se il nascituro è
una bimba od un bimbo) che si dipana il processo di formazione del genere. Il dato
fisiologico si converte immediatamente in un abbozzo di destino (uno fra i due pre-
45
Cfr. The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge
University Press, 2005 e SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The
European Charter of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford
University Press 2004.
46
Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.22 : “il
conoscere la vera identità di genere dell'altro, chiama in causa la propria e fa scattare reazioni e posizioni
prioritarie che precedono la nostra coscienza e volontà: il nostro comportamento è fortemente e
ancestralmente influenzato dall'identità di genere del nostro interlocutore, un vero a priori relazionale”.
47
Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, pp 5-6.
48
Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.125.
49
Vd. JOHN TOSH, Come dovrebbero affrontare la mascolinità gli storici? in Genere. La costruzione sociale del
femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, 1996 Bologna
50
Vd. MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli, Il Mulino, Bologna 1995, pp.113 e 125.
51
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
p.14.
27
esistenti 52 ); a partire dalla configurazione corporea si proiettano sulla creatura una serie
piuttosto precisa di aspettative.
È forse il primo bivio del nostro cammino esistenziale, dove tuttavia subiamo passivamente
la scelta. Sono gli altri ad avviarci verso una delle due strade e a pretendere che la
rispettiamo in tutte le sue tappe: non sono gradite esitazioni durante il percorso, né il
girovagare, né il saltare “dall’altra parte”. Le femministe sono coloro che trasformano
questo medesimo sentiero, a tratti troppo arduo da praticare, minato nei luoghi
inesplorati, colmo di vicoli ciechi nelle aree più battute: spianano le zone più selvagge,
disinnescano trappole, aprono nuovi varchi.
Mascolinità e dominio
Tuttavia non basta capire che il genere ha una sua influenza sulla vita di tutti gli esseri
umani: bisogna contemporaneamente riconoscere il sistema di dominazione che vi si
accompagna.
Rimettere in discussione i ruoli di genere implica una rivoluzione per donne e
uomini
53
ed uno dei meriti di questa rivoluzione è quello di non essere violenta: “La
pratica del movimento delle donne non ha proposto un conflitto distruttivo, di distruggere
i maschi. Ha tentato un conflitto relazionale, cioè di modificare la relazione” 54 . Se gli
uomini perderanno privilegi di potere, le donne – ridiscutendo se stesse - dovranno
rinunciare ad altre comodità, come quelle derivanti dal fatto che la società “pretendeva
poco” da loro 55 : si spiega in questo modo la resistenza di molti uomini, e la pigrizia di
alcune donne.
É vero infatti che anche gli uomini “subiscono” il genere e possono (dovrebbero?)
ridiscuterlo a loro volta; non per questo però si tratta di un percorso simmetrico 56 , dato
che la società gli ha storicamente assegnato un ruolo dominante. In un bilancio
complessivo sono sempre stati “il sesso vincente”, per via del fatto che si è dato loro un
52
Perché sono due quelli generalmente accettati.
53
Cfr. NURIA VARELA, La masculinidad. ¿Y los hombres què? , in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes,
Ediciones B, Barcelona 2005, pp. 317-333.
54
Vd.
CLARA
JOURDAN,
Quel
che
di
nuovo
c'è
nel
conflitto
in
Kosovo
in
http://freeweb.supereva.com/balena.freeweb/clara01.html
55
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.160. Con la subordinazione c’è l’irresponsabilità. Il vantaggio era che la società tollerasse facilmente la
mediocrità delle prestazioni femminili. La società non pretende che le donne diano il meglio di sé; ovviamente
tutto cambia se una avanza pretese (le misure si fanno più rigorose).
56
Cfr. NURIA VARELA, La masculinidad. ¿Y los hombres què? in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes,
Ediciones B, Barcelona 2005, pp.317-320.
28
ampio spettro di opportunità di realizzazione (non sono stati mai visti come esseri in
funzione dell’altro, o meglio, altra) e segno positivo a tutte le loro attività 57 .
Negli uomini il senso di appartenenza al gruppo si basa sul non-essere-x (x = donna);
quest’ultimo è visceralmente legato al senso di identità dei singoli 58 . Le raffinate pagine
che Celia Amorós dedica al tema confermano l’idea di un connubio antichissimo fra
mascolinità e dominio sulle donne.
Le femministe che svolgono un’indagine di tipo psicanalitico sostengono che il dominio
maschile è tutt’altro che superficiale perché è radicato nel nostro modo di capire cosa
significhi essere donna o essere uomo: esisterebbe perció un nesso profondo fra il senso di
questi termini e la gerarchia fra di essi. Il rapporto di dominio non sarebbe quindi un tratto
“accidentale” della loro definizione reciproca, ma “essenziale” 59 .
È indubitabile in ogni caso che uno dei più delicati passaggi sia proprio quello di concepire
le due identità di genere de-gerarchizzate. L’esercizio del potere sulle donne come
componente dell’identità maschile è confermata dagli studi dello storico John Tosh 60 . Egli
sostiene infatti che esista una “mascolinità egemonica” in grado di creare distinzioni
socialmente paralizzanti, mantenute intenzionalmente nonché legittimate a livello
culturale; distinzioni operanti anche fra diverse categorie di uomini (le altre mascolinità
sono subordinate, colpevoli di svilire il patriarcato). In particolare tale mascolinità si sente
minacciata dagli scapoli, dai gay e dalla “Donna Nuova” (a conferma del fatto che si fonda
più sul potere patriarcale che sull’ordine di una particolare classe). Questo modello si
centra sull’eterosessualità esclusiva, la doppia morale, il lavoro retribuito (come diritto
maschile per nascita) e denota tutte quelle espressioni di mascolinità la cui funzione è
rafforzare il potere sulla donna nella società in generale.
L’idea del dislivello “naturale” è così radicata che tendiamo in certa misura a reiterarla
anche quando definiamo il matrimonio “ideale” : il buon matrimonio è quello in cui “il
marito è superiore alla moglie per età, altezza, forza, giudizio, capacità di guadagno e
57
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.39. Si cita Margaret Mead: “qualsiasi cosa facciano gli
uomini appare dotato di maggior valore”.
58
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.120, 128 etc.
59
Questa prospettiva psicoanalitica, che secondo l’autrice ha il pregio di tenere in considerazione l’inconscio e
il non razionale, riuscendo a spiegare la relativa intrattabilità di certi atteggiamenti senza tuttavia pretendere
che abbiano radici biologiche (immodificabili), possiede in realtà il grosso rischio di inibire ogni desiderio di
“riforma”. Se il dominio e il privilegio maschili sono tanto pervasivi quanto sedimentati, gli aspetti
inaccettabili del sistema sesso-genere sembrano di conseguenza inamovibili.
60
Vd. JOHN TOSH, Come dovrebbero affrontare la mascolinità gli storici in Genere. La costruzione sociale del
femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, Il Mulino, Bologna 1996.
29
status pubblico. Se il marito non è tutto questo, allora diciamo che la sua mascolinità è
minacciata e che la sua compagna non è “femminile”. La superiorità della moglie,
praticamente sotto qualsiasi aspetto, è contraria all’implicita regola che i rapporti
eterosessuali adulti debbano essere dominati dall’uomo” 61 .
Dovremmo concepire donna e uomo come due generi “alla pari”; non ci sono un sesso
debole ed uno forte.
Come diceva Teresa Claramunt: “en el orden moral, la fuerza se mide por el desarollo
intelectual, no por la fuerza de los puňos. Siendo asì, ¿por què se ha de continuar
llàmandonos sexo débil?” 62 . Non ci si vuole più riconoscere nel modello della debolezza,
per quanto questa possa continuare ad essere vera a livello muscolare. La femminilità non
deve associarsi ad essa, così come sarebbe opportuno reinventare un modello di
mascolinità che non preveda la centralità del possesso ed uso della forza. Dall’analisi che
fa Nuria Varela notiamo come questo modello arcaico di virilità sia dannoso per gli stessi
uomini, dato che si concretizza in condotte a rischio 63 .
Nominalismo femminista estremo
Esiste a mio avviso anche un nominalismo femminista estremo 64 : è quello di chi vuole
scomporre il sesso ed il genere fino a perdere la base materiale stessa della distinzione. Se
il genere ed il sesso fossero del tutto “smontabili” diventerebbero categorie inutilizzabili e
ció andrebbe contro le esigenze delle donne. Una pratica puramente negativa non
permette di fare leva su alcun punto fermo per l’azione politica e la trasformazione
collettiva. 65
61
Vd. MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli, Il Mulino, Bologna 1995, p.56.
62
Vd. NURIA VARELA, Feminismo en Espaňa. De la clandestinidad al gobierno paritario, in NURIA VARELA,
Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.139. “La forza nell’ordine morale si misura sulla
base dello sviluppo intellettuale e non della forza dei pugni. Se le cose stanno così, perché si deve continuare a
chiamarci “sesso debole”?
63
Vd. NURIA VARELA, La masculinidad. ¿Y los hombres què?, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes,
Ediciones B, Barcelona 2005, pp. 317 e seguenti.
64
Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.73-85. Pur seguendo la
struttura più generale del discorso, si sono notevolmente estese le argomentazioni ed aggiunta questa ulteriore
distinzione (non presente in Celia Amoròs).
65
Cfr. La storia di un concetto e di un dibattito in Genere. La costruzione sociale del femminile e del
maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996.
30
Una soluzione: il nominalismo femminista moderato
Un nominalismo moderato 66 è per questo la piattaforma filosofica ideale a legittimare il
cambiamento delle donne che non desiderano più identificarsi in ció che finora ha
significato “donna”.
Celia Amorós scrive: “vemos a Guillermina,a Roscelina, a Eloìsa y a Aberlarda, pero no la
feminidad. No ostante, afirmamos a la vez
que esiste un sistema de dominación
masculino-patriarcal, o androcéntrico si se prefiere, que eticamente debemos luchar
contra èl porque es injusto y que carece de soporte ontológico esencial” 67 .
È come dire “yo no creo en las brujas, pero haberlas, haylas”.
Possiamo aspirare ad una società di individui come ideale etico ma non possiamo
descriverla così. I generici si riferiscono a qualcosa che ha un’efficacia pratica, reale e
simbolica, quindi un qualche tipo di entità: essere nominaliste moderate significa farsi
carico di questo tipo peculiare di entità.
Resta il problema di rendere conto del correlato extralinguistico di questi termini (non è
un’essenza né un mero nome). 68
66
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.82.
67
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.113.
68
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.49-50. Per capire la
formazione del gruppo di genere-sesso AMORÓS si appoggia alla teoria sartriana dei “conjuntos practicos” (in
quel caso si tentava di esplicare lo statuto delle classi sociali).Il punto di partenza sono gli individui: i collettivi
hanno un’esistenza derivata.
31
CAPITOLO 3
IL PATRIARCATO
Il genere descrive
- come abbiamo visto -
una qualche realtà effettiva, benchè non
essenziale; resta da spiegare il perché l’oscillazione di questa variabile sia così ridotta
rispetto a notevoli invarianti rinvenute.
In particolare, cosa fa sì che nel rapporto fra i generi si conservi un fermo dislivello?
L’oppressione del gruppo donne non ha una data storica di inizio: si perde nelle origini
dell’umanità 69 .
Un’altra categoria chiave del dibattito femminista è quella di “patriarcato”. Molte pagine
sono state scritte a proposito di esso, le sue radici e le sue modalità di funzionamento.
Nel patriarcato rientra il sistema sesso-genere con tutte le costruzioni ideologiche e
culturali che, a partire dall’appartenenza ad un sesso determinato, ridefiniscono la
differenza sessuale aggiudicandole connotazioni sociali precise, e per di più gerarchiche.
Il suo modo principe di operare è attraverso l’assegnazione degli spazi (“di competenza”
dell’uno o dell’altro genere): “el patriarcato (…) es poder de adjudicar espacios” 70 .
Ipotesi
In quanto universale, si ipotizza che questo fenomeno psicosociopolitico, che si basa
sull’esercizio del potere (dove il maschio ed il maschile sono dominanti, la femmina ed il
femminile sono dominati) abbia radici endogene 71 .
Una delle risposte più immediate di fronte all’enigma delle differenziazioni e della
gerarchia fra i generi è quella della differenza fisica.
La prima diversità fra uomini e donne è quella esteriore, più o meno ingenuamente
considerata “naturale”. È ammissibile che la conformazione corporea (genitali, altezza,
muscolatura, peluria) sia la chiave di cotanta sproporzione?
69
Vd. SACRAMENTO MARTI, La maternidad. Punto clave para una perspectiva feminista, in El viejo Topo, n°
51, Barcelona diciembre 1980.
70
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.98. Sta citando Molinta Petit.
Ecco perché ridistribuire gli spazi diventa centrale.
71
Vd. VICTORIA SAU, Para una teoria del modo de producción patriarcal in El viejo topo, n° 47, Agosto 1980.
32
La forza fisica, la guerra e la socializzazione
Discutendo di società industriali dovremmo di certo ammettere che le differenze sociali
non sono giustificabili a partire da differenze fisiche. Un maggiore o minore potere
muscolare non è determinante per ruoli nel governo, nell’economia etc., così come il ciclo
mestruale non interferisce sulle capacità decisionali (una delle ragioni date per
l’esclusione dai posti di comando) più di quanto non lo facciano le varie disfunzioni di cui
soffrono gli uomini attempati normalmente a capo delle alte strutture del potere (di solito
pressione alta, malattie ai denti e alle gengive, miopia, calvizie, mal di schiena, che
producono uno stress psicologico con la stessa frequenza delle mestruazioni). Al contrario,
una donna in pre-menopausa gode di uno stato biologico migliore di quello del tipico
“uomo di stato anziano” e per le età più avanzate è vero che le donne tendono ad avere
migliore salute e a vivere più a lungo.
È pur vero che le società precedenti, in particolare quelle preistoriche, si strutturavano in
modo molto diverso. Si parlerebbe dunque di una distribuzione iniqua “ereditata” dal
passato.
L’ipotesi di Marvin Harris 72 è incentrata sulla guerra ed il particolare tipo di socializzazione
(dei maschi) che essa ha promosso.
Se ciclo, gravidanza e allattamento possono risultare svantaggiosi, lo saranno non certo per
dirigere banche, essere a capo di istituzioni religiose, fare scoperte scientifiche, comporre
musica, reggere Stati, scrivere libri, ma indubbiamente in situazioni che richiedono
un’elevata mobilità o uno sforzo continuo sotto pressione. D’altro lato i maschi nascono
tendenzialmente più veloci e forti, e quindi risultano in linea di massima i migliori per
combattere.
Queste differenze fisiche potevano essere sufficienti a “giustificare” il fatto che fossero i
maschi ad andare in guerra, ai tempi in cui la guerra era ancora un corpo a corpo, ma non
hanno motivo di giustificare altro. Non solo la guerra si svolge da secoli secondo più
raffinate ed evolute modalità ed alcune donne fanno ormai parte dei corpi militari, ma il
fatto che l’attività bellica fosse prerogativa maschile non legittima affatto il resto delle
distribuzioni.
Tuttavia il contributo dato dall’antropologo resta pregevole dal momento che sottolinea
l’aspetto “culturale” della questione: la necessità della guerra puó aver portato ad
educare in un certo modo i maschi creando così una personalità aggressiva che si è
“esercitata” non solo sul nemico, verso l’esterno, ma anche verso l’interno, con la
sottomissione delle donne.
La dominazione non avrebbe quindi basi materiali: non è inscritta in Natura, ma scaturisce
72
Vd. MARVIN HARRIS, Personalità e sesso, in MARVIN HARRIS, Antropologia culturale, Zanichelli, 1990.
33
da un certo tipo di personalità, consolidatasi a seguito della socializzazione “strategica” di
quella parte della società (i maschi) fisicamente predisposta a sopportare meglio i disagi
della belligeranza.
La supremazia fisica non ha al giorno d’oggi nessuna ragione per legittimare l’assetto del
potere, cosiccome d’altronde non legittimava il predominio in passato: poteva spiegare il
fatto che fossero di prefenza i maschi, e non le femmine, ad andare in guerra, ma non
l’esclusione di queste ultime dalle risorse materiali, intellettuali, religiose, etc. Per
sostenere il contrario dovremmo assumere un punto di vista schiettamente androcentrico
ed attribuire alla guerra un valore prioritario, estremo, fondante.
Il rapporto sessuale, un modello di violenza
Un'altra ipotesi ancor più insoddisfacente sostiene che la discriminazione del genere
femminile trae origine dal rapporto sessuale preso come modello 73 .
La sessualità normale è violenza: l’uomo “possiede” la donna e ne consegue
l’oggettificazione della stessa. Il piacere maschile consisterebbe nel godimento della
violenza. In quest’ottica le riflessioni sullo stupro, le molestie sessuali e la pornografia
sono centrali 74 .
Se il primo luogo di oppressione e dominio è il rapporto sessuale (ció che fonda e legittima
le altre oppressioni), allora si vedrà il resto come sistema simbolico sovrastrutturale che
legittima il dominio sessuale stesso trasformandolo in dominio sociale e politico.
L’ inefficacia di questa ipotesi è ravvisabile già a partire dal fatto che, pur essendosi
evolute le forme di sessualità, i rapporti di dominio restano – indipendentemente - su altri
livelli.
In ogni caso se assumiamo l’ottica di Marvin Harris ed associamo il complesso di supremazia
maschile al tipo di personalità nella quale sono stati educati i maschi come conseguenza
pressoché diretta della “necessità” della guerra (come su descritto), potremmo dubitare
che il medesimo “complesso di superiorità” sia in sé “necessario”. Intendo dire che il
godimento della violenza (a sua volta opinabile) potrebbe in ogni caso leggersi come
conseguenza di un certo modello culturale che ha educato i maschi ad essere dominatori.
Va inoltre considerato che i significati simbolici sono imposti all’atto sessuale di per sé
neutro.
73
Cfr. ANNA ELISABETTA GALEOTTI Teorie politiche femministe in S. Maffettone, S. Veca, manuale di filosofia
politica.
74
Cfr. ANNA ELISABETTA GALEOTTI, Teorie politiche femministe, in AA.VV., Manuale di filosofia politica, a
cura di S. Maffettone e S. Veca, Donzelli Editore, Roma 1996. Alcune studiose che si dedicano a tali temi sono
Catherine McKinnon e Andrea Dworkin.
34
La violenza “inflitta” nel rapporto sessuale, insomma,
non sarebbe un aspetto
“essenziale” dell’identità maschile né (ancor meno) l’unica maniera di descrivere l’atto
stesso.
Non c’è un dominio “naturale” (sessuale) che poi si trasfigura in dominio ad libitum.
La spiegazione cui stiamo dando la caccia non risiede tanto nella presenza (più o meno
accertata) di costanti disparità in Natura, nei corpi stessi o nel rapporto sessuale fra di
essi, quanto piuttosto nella ragnatela di interessi fra i cui fili si impiglia la costruzione del
genere.
La riproduzione: disparità e perversioni
L’ipotesi più organica sull’origine e sviluppo del patriarcato ruota attorno alla delicata
questione della riproduzione, momento in cui donne e uomini si ritrovano ad entrare
necessariamente in rapporto, nell’incurabile asimmetria del loro apporto alla specie 75 .
Come possono uomini e donne ritrovarsi uguali di fronte alla riproduzione se resta
differente il ruolo dei loro corpi?
Esiste una disparità anche se usiamo le “tecniche di riproduzione artificiale” (TRA): se una
donna non accoglie il risultato del laboratorio, la procreazione non ha luogo. Permane la
necessità di ricorrere ad un corpo sessuato femminile 76 .
Mentre si puó prescindere dal corpo di un uomo, non si puó fare a meno di quello della
donna. Ancora oggi facciamo i conti con “l’immodificabile specificità del potere biologico
delle donne”, “il grembo insostituibile” 77 .
Il punto è che la prima “produzione” è quella di esseri umani 78 e la prima divisione sociale
del lavoro, la riproduzione (Marx e Engels diedero tuttavia per scontato l’essere vivo,
partendo dal mondo della produzione).
La donna è l’autrice materiale di tutti gli uomini nonché la causa prima della loro origine.
Difatti la filogenesi ci dice che il femminile occupa il primo posto in Natura (la natura
umana è essenzialmente femminile): il maschio è una variante; fino alla quinta settimana
tutti gli embrioni sono morfologicamente femmine (ovvero Adamo nasce da Eva e non
viceversa…). Quello maschile è un sesso che non esiste da sé (dipende da un processo
75
Cfr. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie
e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998. Persino le rivoluzionarie tecnologie di riproduzione artificiale non
sono capaci di azzerare la differenza.
76
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie
e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.87.
77
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie
e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp.110-111.
78
Vd. VICTORIA SAU, Para una teoria del modo de producción patriarcal in El viejo topo, n° 47, Agosto 1980.
35
delicato), per cui ha meno possibilità di sopravvivere.
Si sostiene che l’uomo abbia saputo del suo ruolo nella procreazione dopo la donna e
sfruttato questo sapere contro di lei: al posto di un dialogo, il possesso brutale 79 .
Attraverso la mitologia greca si vede la lotta fra i sessi e i passaggi del processo che portó
allo stabilirsi dell’ordine patriarcale 80 .
Victoria Sau ipotizza una fase precedente in cui la società si organizzava intorno alla Madre
e cita ad esempio il mito di Demetra: questa madre che vuole indietro sua figlia Persefone
ha un potere ed un volere forti
81
.
Da studi sulla mitologia si deduce che gli uomini hanno tentato di annichilire totalmente la
concezione della creazione da parte della donna. Inizialmente si credeva che la Grande
Dea avesse fatto tutto (e da sola); col tempo la si vede invece affiancarsi ad uno sposo
fecondante; in seguito il mondo viene creato nel corpo della dea per merito di un
guerriero. L’ultimo passo sarà quello che vedrà il mondo come opera dell’unico potere di
una divinità maschile 82 .
Nel processo di stabilizzazione del patriarcato le figure femminili sono perseguitate e
rappresentate in forme malefiche e terrorizzanti.
Sulla scia dell’ipotesi di Engels 83 si congettura che il dominio delle donne da parte
degli uomini cominci con l’istituzione della proprietà privata (a partire dal Neolitico).
La necessità di controllo della sessualità femminile sarebbe motivata dall’interesse di
determinare la “proprietà dei figli”, affinché ereditino solo quelli legittimi 84 . Come è
risaputo, infatti, l’incertezza è il carattere proprio della paternità, e finché c’è libertà
sessuale femminile gli uomini non avranno modo di sapere chi siano i propri figli.
Si ipotizza che, chissà proprio allo scopo di arginare questo dubbio insormontabile 85 , gli
uomini si siano inventati “la paternità” (in senso forte): a garantirla, la reclusione della
donna come animale domestico in più. In un sol colpo ci si assicura il possesso delle/dei
79
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp.12-13.
80
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp.63 e seguenti.
81
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp.68, 116.
82
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.50.
83
FRIEDRICH ENGELS, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato : in rapporto alle indagini di
Lewis H. Morgan, a cura di Fausto Codino, Editori riuniti, Roma 2005.
84
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
pp.75-76.
85
La completa ignoranza sull’ “autentico” padre è rimasta tale fino alla recentissima scoperta del DNA.
36
bambine/i e delle madri. La privazione di una sessualità libera rappresenta il primo passo
di acculturazione della donna; l’appropriazione del suo prodotto naturale, il figlio, il primo
passo del dominio su di essa.
Il primo diritto fondamentale (a partire dal quale poter avere gli altri) è il possesso delle
donne (infatti gli schiavi non potevano sposarsi né mettere su famiglia) e la prima
disuguaglianza economica è data dalla differente distribuzione di donne: la prima causa
della guerra è proprio il furto di donne (che si sono convertite in oggetti rubabili).
Il primo potere che si esercita è quello sui corpi, ed il potere sulle donne ha avuto
presumibilmente l’obiettivo di presentare il padre come vero autore della vita umana 86 .
Non si tiene conto dell’evidenza che ogni corpo è dono della madre (concreta e
personale) 87 e si nega la sua autorità sui corpi stessi.
Se in Grecia i corpi sono della polis (non ce li hanno le donne né gli schiavi), col
cristianesimo l’origine dei corpi è in Dio. Attualmente rispetto al tema dell’aborto pare
che l’autore dei corpi sia lo Stato democratico.
In ogni caso, ancora ci si rifiuta di riconoscere che sia la madre, la vera autrice: questa
verità non è una variabile in più: è un non-pensato.
Le strategie di controllo sul corpo femminile
Il contratto sessuale: un corpo che non ci appartiene
Al di là della ricerca delle cause che avrebbero indotto gli uomini alla sopraffazione
dell’altra metà del genere umano piuttosto che alla realizzazione di un scambio paritario,
è proficuo sezionare il Sistema che questa sopraffazione ha mantenuto. Per poterlo
modificare, non interessa tanto il perché, come e quando abbia vinto il patriarcato,
piuttosto far luce sulle sue modalità di funzionamento.
Introduciamo a questo scopo un altro concetto basilare della teoria femminista,
quello di “contratto sessuale” 88 . A differenza del contratto sociale, non è un patto pacifico
(nel senso di “accordo libero” fra uomini e donne), poiché è intimamente diseguale: è un
patto fra uomini sul corpo delle donne. È essenziale per capire le parentele, il genere e la
subordinazione sociale delle donne.
Le donne non sono soggetto del patto ma oggetto di transazione (donna data, donna
86
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
p.83.
87
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
p.27.
88
CAROLE PATEMAN, Il contratto sessuale, a cura di Cristina Biasimi, Editori riuniti, Roma 1997
37
ricevuta); la servitù è scambiata per la protezione 89 .
Il dominio del gruppo delle donne avviene soprattutto attraverso due strategie che
si rafforzano a vicenda: una è quella dei patti nei matrimoni, l’altra quella della divisione
del lavoro. Si controllano le funzioni sessuali e riproduttive delle donne attraverso gli
scambi matrimoniali e ció resta sistematicamente assicurato restringendo l’ambito dei
compiti produttivi ai quali hanno accesso; allo stesso tempo la proibizione di compiti
imposta alle donne viene sistematicamente rafforzata dal fatto di essere controllate
mediante il loro inserimento nella struttura della parentela 90 .
Sebbene non siamo più oggetto di scambio (per lo meno in Occidente scegliamo di
formare o meno una famiglia) il meccanismo duplice (matrimonio-divisione del lavoro) si
mantiene ed in realtà la donna continua ad essere “vissuta” come un possesso, un bene
comune o di transazione: a partire dagli insulti fra uomini che chiamano in causa le
“rispettive” donne, fino ad arrivare agli impliciti di alcune sentenze giudiziarie 91 .
L’insieme delle relazioni sociali tra gli uomini, ovvero i patti interclassisti ed
interrazziali 92 che creano fra di essi un’interdipendenza e una solidarietà
tali da
permettergli di tenere sotto controllo le donne 93 (benché ci siano gerarchie interne
l’affiliazione orizzontale è più consistente), mettono in atto ció che è stato chiamato
“contratto sessuale”; specularmente osserviamo la serie “sparsa” delle donne: non sono
un’etnia, ma occupano la stessa posizione in tutte le etnie.
Recenti studi di filosofia politica 94 affermano i medesimi concetti: le donne sono
controllate dagli uomini come gruppo attraverso i limiti posti alla contraccezione e
all’aborto, il lavoro retribuito incompatibile con la gravidanza e l’allattamento, la
mancanza di compenso per il lavoro domestico, etc. Una donna con gravidanza imprevista
89
Cfr. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),
Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000.
90
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.376-77.
91
Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.121, 122, 129, 255.
92
Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.99, 112-113, 276.
93
Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.114. A questo proposito si cita
il lavoro di Heidi Hartmann ( Un matrimonio mal avenido: hacia una unión más progresiva entre marxismo y
feminismo, in Zona Abierta, nº 24, 1980, pp. 85-113) e l’esempio del salario familiare che risolve un conflitto
fra classi prendendo le donne come oggetto transazionale: quelli della classe dominante fanno “padri” quelli
della classe dominata, ovvero si riconoscono come uguali nell’essere capofamiglia, controllori delle donne.
94
Vd. ad esempio WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea,
Feltrinelli, Milano 1996.
38
non riesce a conciliare figlie/i e lavoro e diventa perció dipendente da un uomo con
reddito stabile; per questo motivo deve diventare sessualmente attraente (ed è questo il
controllo subito dalla donna come singola).
Non possiamo non vedere come il contratto sessuale implichi per le donne una
perdita importante di controllo su se stesse: sia sulle capacità del proprio corpo che sulle
codificazioni simboliche che definiscono ció che il corpo femminile è nella cultura in cui si
vive (un controllo che tuttoggi non è completo e che forse è impossibile in società
patriarcali) 95 . Essere espropriate dei nostri corpi porta ad una sofferenza in primo luogo
fisica 96 .
Corpi “maltrattati”
Oltre ad essere stati oggetti di scambio, i nostri corpi sono stati “ignorati”.
La medesima architettura del corpo femminile, benché in gran parte determinata
geneticamente, è mutata dall’Ottocento ad oggi, per ragioni in larga misura “culturali”.
Tanto l’accesso ridotto alle risorse alimentari, quanto le scarse conoscenze intorno alla
gravidanza, determinavano uno stato di salute precario per la maggioranza donne.
Specialmente il momento del parto rappresentava “un mondo di sofferenza che abbiamo in
gran parte scordato” 97 ed il il rachitismo - assai diffuso tra le donne prima della Seconda
Guerra Mondiale - era uno dei suoi principali nemici: le pelvi de esso deformate –strette o
distorte - rendevano il parto difficile e lamentoso 98 (alcune irlandesi spezzavano le ossa
alle bambine per “prevenire” il problema 99 ). Le donne, sfinite dall’anemia, snervate da
molte malattie (di cui non esiste l’equivalente maschile), erano – rispetto agli uomini di
allora (e alle donne e uomini di oggi) - meno forti contro le infezioni; possedevano meno
energia fisica 100 .
Ciò che importa, però, è notare che la mentalità vigente spiegava e “giustificava”
la malnutrizione (“le donne hanno bisogno di mangiare meno” 101 ), e forse il medesimo
“ritardo” nello studio sul corpo della donna può imputarsi in parte al disinteresse generale.
95
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.19 e 39.
96
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
pp.65, 77. Il fatto che l’aborto sia penalizzato ad esempio indica che persiste l’incapacità degli uomini di
liberarsi del dominio sulle capacità riproduttive delle donne.
97
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.44.
98
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.42.
99
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.38.
100
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p. 37.
101
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, pp.35-36.
39
L’indifferenza dei mariti nei confronti del benessere fisico delle proprie mogli, riguardava
sia le malattie, che la gravidanza, che la stessa morte delle donne. In ogni caso si
accentuava – se possibile - rispetto al tema del parto: basti pensare che spesso gli uomini
preferivano non pagare una levatrice per avarizia; l’unico interesse era che nascesse un
maschio. L’insensibilità maschile era tale che il bestiame veniva considerato un bene più
prezioso della propria moglie 102 .
Per finire, non possiamo tacere la prepotenza e la sopraffazione fisiche.
Sebbene sappiamo che - per lo meno fino all’Ottocento - si “prendeva moglie” per motivi
dinastici e non sentimentali, e sia facile presumere che il rapporto affettivo fra i coniugi
fosse quasi inesistente, non smette di turbarci ció che emerge dall’analisi dell’anedottica:
l’uso della forza per “correggere le mogli” (quella che oggi chiameremmo “violenza
domestica”) era pacificamente prevista dal costume.
La violenza fisica sulle donne, benchè attualmente stigmatizzata, continua ad essere
presente nelle nostre società, nella “cronaca nera di paesi <<civilissimi>>” 103 .
Un altro tipo di controllo, più subdolo, si mantiene attraverso i “modelos
corporales” odierni. Trasmessi attraverso i mezzi di comunicazione, la pubblicità, le
interviste di lavoro, il cinema, la musica, la pornografia, essi hanno conseguenze
drammatiche su quelle donne fragili ed insicure che vi si sottomettono: anoressiche,
bulimiche, operate, affamate consumatrici di qualsiasi prodotto prometta avvenenza e
gioventù in sette giorni 104 . L’esasperazione del mito della bellezza è infatti uno degli
strumenti più attuali di controllo sulle donne; una sorta di reazione contro la libertà
sessuale e la riappropriazione del corpo raggiunte dopo secoli.
Matrimonio e patrilinearità
Tutti i sistemi di parentela si fondano tra uomini sul corpo delle donne: anzi, prima
dell’avvento dello Stato Moderno, essi erano il veicolo principale attraverso il quale si
102
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984.
103
Vd. NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza, Bari 2007, pp.106-107:
“In Francia un terzo delle donne dichiara di essere stata picchiata e ogni quattro giorni una donna muore per
mano del proprio partner, mentre in Spagna sono state assassinate negli ultimi cinque anni quattrocento donne
per mano di mariti, conviventi e fidanzati. La situazione italiana non è migliore. In Lombardia tra il 2000 e il
2005 settantaquattro donne sono state uccise dal marito o dal convivente, e, stando ad un’indagine Istat del
2002, nel nostro paese più del 50% delle donne ha subito almeno una molestia a sfondo sessuale, e sono più di
mezzo milione le donne vittime di stupro”. Vd. inoltre NURIA VARELA, La violencia, in NURIA VARELA,
Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp. 251-271.
104
Vd. NURIA VARELA, El cuerpo de las mujeres. El botìn màs preciado, in NURIA VARELA, Feminismo para
principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p. 279
40
esercitava questo controllo (istituzionalizzando la subordinazione e definendo le forme
nelle quali le donne avrebbero o meno partecipato alle altre relazioni sociali che
ricadessero nel campo semantico del potere) 105 .
Non è un dato trascurabile che si trasmetta il nome del padre 106 , né che ci sia una
tendenziale “patrilocalità”: la residenza della coppia si trova preferibilmente nel territorio
dell’uomo (abbiamo la circolazione delle donne e la separazione dal loro lignaggio
d’origine) 107 . Il vincolo della consanguineità (che si dà solo attraverso la donna) viene
sostituito da quello del suolo: la patria.
Nel costruire la parentela si costruisce il genere, cosicché nelle società dove i padri
dominano il sistema della parentela, il genere femminile apparirà sempre subordinato a
quello maschile 108 ; il legame forzato di una donna ad un unico uomo che vuole essere
chiamato padre è centrale.
Marìa-Milagros Rìvera analizza dettagliatamente questi nessi, arrivando a sostenere che le
parentele patriarcali ed il controllo degli uomini sul corpo delle loro donne siano
analiticamente e socialmente inseparabili (il fondamento è sempre il contratto
sessuale) 109 . Anche Victoria Sau sottolinea l’incompatibilità fra la patrilinearità e la libertà
femminile.
Una delle prime leggi intrinseche ai sistemi di parentela patriarcali (tanto vecchia e
passata sotto silenzio da darla per “naturale”) è che uomini e donne debbano vivere
insieme permanentemente, cioè condividere lo stesso spazio sociale generale 110 . Il tasso di
mascolinità-femminilità numericamente equilibrato non è naturale di per sé. Affinché si
stabilizzasse potrebbe esserci stato un patto sociale non disuguale (ma dagli studi storici
pare che non sia avvenuto così, ovvero che i casi in cui troviamo percentuali equilibrate di
maschi e femmine sono sempre quelli di società patriarcali) 111 .
105
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.18.
106
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.22.
107
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.38.
108
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.39.
109
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.28.
110
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.18.
111
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.37-38.
41
Un altro presupposto è che ci sia un solo modello di sessualità (quello virile): nel
patriarcato vige il dogma dell’eterosessualità ed il matrimonio fra un uomo e una donna
viene vissuto come naturale (mentre è un’istituzione non necessaria, di origine storica e
sociale).
In una costruzione simbolica fondamentale quale è la verginità 112 possiamo
individuare alcuni degli elementi sui quali abbiamo appena richiamato l’attenzione: il
desiderio di controllo sul corpo delle donne da parte degli uomini (un corpo
potenzialmente materno, produttore di altri corpi), e l’“eterosessualità obbligatoria”.
La verginità è infatti cruciale soltanto per le donne ed è definita dall’accesso sessuale di
un uomo (che non sia classificato come parente proibito) al loro corpo, nonché dal
desiderio di paternità degli uomini in generale (infatti una anziana non è vergine ma
“zitellona”, e non è presa in considerazione la relazione lesbica) 113 .
Per mezzo di questa “figura” si codifica il grado di appartenenza del corpo di una donna a
uno o più uomini: la fanciulla è del padre, il quale negozia la sua verginità (fino a inserirla
al centro di un nuovo gruppo di parentela attraverso il matrimonio); le sposate sono dei
rispettivi mariti; le suore sono di Cristo; le prostitute sono di tutti.
Gli uomini commerciano con la verginità delle donne, se ne servono per stabilire alleanze o
per giustificare guerre fra i popoli (perché - così intesa - la verginità appartiene agli
uomini).
Il matrimonio era – sostanzialmente - l’ “acquisto” di una donna, ovvero (prendendo
ad esempio il contesto dell’Europa contadina di fine Ottocento) 114 di un aiuto per gestire la
fattoria, con la speranza di avere da lei figli maschi cui trasmettere il patrimonio. L’uomo
è il padrone e solo gli altri uomini sono i suoi pari, i suoi compagni spirituali.
112
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.40,41.
113
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p. 41.
114
Cfr. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984.
42
CAPITOLO 4
PRIVATO/PUBBLICO
Lo spazio bipartito
Nel patriarcato c’è un meccanismo di esclusione e subordinazione dal luogo maschile dei
saperi-poteri (fallo-logo-cratico) 115 il cui funzionamento è pressoché perfetto. Agisce una
logica dicotomica che si stabilizza e dà luogo ad associazioni analogiche che paiono
autoevidenti 116 .
Il pensiero illuminista, contraddicendo alcuni fra i suoi principi fondamentali, conferma
molteplici aspetti della millenaria dicotomia: sebbene delegittimasse certi nomi generici
per ricostruire nuove astrazioni (soggetti trascendentali, agenti morali razionali, cittadini
ed esseri umani dotati di uguali diritti per natura…) dalle quali solo il non-umano restava
escluso, continuó ad emarginare le donne, non includendole nella Ragione Universale e
definendole ancora come la Passione, la Natura, anteriori all’ambito sociale-civile
propriamente umano.
L’esclusione, legata a doppio filo al desiderio di controllo sul corpo femminile, è resa
attiva a partire dalla distinzione privato/pubblico: al di là del pubblico non c’è ragione,
cittadinanza, uguaglianza, legalità, riconoscimento degli altri. 117
Una delle più potenti dicotomie simboliche e pratiche di cui tutte/i siamo a conoscenza è
infatti quella che assegna agli uomini la sfera pubblica (e con essa la razionalità, l’attività
politica, l’educazione ai saperi), ed alle donne la sfera privata (insieme al sentimento,
all’attività domestica e all’educazione alla cura della casa).
In questo spazio, il privato, la donna non puó sviluppare la sua individualità perché si
dedica esclusivamente a riprodurre le condizioni di possibilità dell’esercizio della libertà
del maschio, che è l’individuo, nell’ambito pubblico.
Celia Amorós sostiene che i patti fraterni alla base della società civile si fondano
115
Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA
CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, pp.115-116.
116
Molte affermazioni restano valide a livello transculturale, ma è chiaro che ci si sofferma principalmente su
quelle che sono le società moderne occidentali.
117
Cfr. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista
igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y
postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997. Tra i pensatori analizzati: Locke, Rousseau, e Stuart Mill.
43
sull’esclusione delle donne 118 , e le donne sono la condizione di possibilità del pubblico; la
loro “schiavitù” è alla base della libertà altrui 119 .
Lo stesso concetto è espresso con brillante semplicità dalle autrici di Filosofia delle donne:
“Se non ci fossero Cristina, Elisabetta e Santippe a casa a pulire, cucinare e andare a
prendere i bimbi a scuola, come farebbe René a passare tanto tempo davanti al caminetto
e Socrate ad andare in piazza a discutere?” 120 .
Il medesimo ideale di cittadinanza, per altri versi così “moderno”, si è formato a partire
da questa suddivisione dei “compiti” (emarginante per le donne).
Una visione tradizionale della cittadinanza si basa infatti sul nesso tra essa e la
difesa della madre patria (rappresentata da allegorie femminili come Marianne per la
Francia e Germania per la Germania): “fight and vote” 121 . C’è un legame con la casa quale
luogo della famiglia ed il femminile è il “fondamento” di tutto. Se il maschile è legato al
compito di creare, dirigere e difendere la nazione/la famiglia/il femminile (essendo il
femminile dipendente e da difendere “per natura”), la femminilità è legata alla maternità
e richiede la volontà di sacrificare se stesse per la nazione allevando un bambino (tuttavia
morire per il parto non diede il diritto di voto, né il fatto di considerare la famiglia
un’unità centrale estese i diritti a chi aveva responsabilità).
Rientra fra i compiti del femminismo filosofico in quanto filosofia critica quello di
ridiscutere i confini del pubblico-politico e far sì che si sottoponga a norma ció che prima
era lasciato in ombra, sotto il rassicurante nome di “privato” (ecco che le resistenze che
ancora ai giorni nostri si mantengono a questo proposito assumono un profilo più chiaro).
“Strascichi”: donna-privato, anche quando agisce nel pubblico
Ci si accorge che le donne possono e desiderano agire oltre il mondo privato, ma nel
momento in cui riescono ad accedervi ci si rende anche conto che questo ingresso non è
indolore. Infatti, benchè le donne siano state formalmente e sostanzialmente private veramente a lungo 122 - di tutto ciò che era riconosciuto proprio del cittadino (attivo), lo
schiudersi delle porte del “pubblico” non ha rappresentato un superamento automatico
118
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.174, 177.
119
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.185-186.
120
Vd. NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza, Bari 2007, p.25.
121
Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in the European Charter
of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004, p.94.
122
Cfr. NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp.363-364. Uno sguardo
alle date riportate (anni in cui si raggiunse il suffragio universale in vari Stati) può essere sufficiente.
44
delle dicotomie che sull’originaria bipartizione escludente (privato/pubblico) si reggevano.
Le molestie sessuali sono un caso paradigmatico: le donne sono percepite dagli
uomini con le stesse connotazioni simboliche del luogo che gli si attribuisce in famiglia (si
addice loro ogni mansione, dal portare il caffè al prestare servizi sessuali) 123 .
Inizialmente le donne sono inglobate nel paradigma maschile (attraverso il suffragio
universale etc.) “come se” fossero uomini: in realtà esse restano tali nel dato elementare
e visibile della differenza sessuale ma, quel che è peggio, nella rappresentazione simbolica
che le vede domestiche e impolitiche.
I trattamenti di favore perché le donne possano inserirsi nel mondo del lavoro (non
a caso detto “extradomestico”) sono ingannevoli: in realtà dobbiamo continuare ad
assolvere il tradizionale ruolo femminile. Nella sua essenza la donna rimane riproduttrice
della specie e lavoratrice nella sfera domestica 124 .
Tutto ció genera nelle società contemporanee una sorta di schizofrenia, dovuta alle
aspettative che le donne si comportino da uomini a livello giuridico e da donne a livello
pratico e simbolico 125 . Questa situazione anomala deriva probabilmente dal fatto che il
cambiamento formale precede il cambiamento di mentalità, più lento a compiersi. È
questo a generare uno stridere di aspettative. Se il senso di “donna” resta ancorato ai
vecchi significati, ciò implicherà che, mentre gli uomini continuano a non vivere alcun
conflitto sostanziale fra la propria vita pubblica e quella privata (essendosi mossi da
sempre agevolmente in entrambi i “luoghi”), le donne che oltrepassino la soglia di casa,
nuoteranno in una sorta di vuoto di senso, e nell’ambiguità.
La famiglia
A partire dalle considerazioni già sviluppate non suonerà strano che la famiglia (quella
tradizionale, basata sul matrimonio eterossessuale) si presti ad essere per molti versi il
primo bersaglio polemico del femminismo.
Nella definizione di Gerda Lerner 126 riportata da Marìa-Milagros Rivera, il Patriarcato è “la
manifestazione e istituzionalizzazione del dominio maschile sulle donne e i bambini nella
famiglia ed estensione del dominio maschile sulle donne alla società in generale”
123
127
.
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.377.
124
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987.
125
Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA
CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, pp.126-7.
126
GERDA LERNER, The Creation of Patriarchy, New York, Oxford University Press, 1986.
127
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.17-18.
45
La stessa Marìa-Milagros Rivera afferma che i patriarchi sono gli uomini che controllano il
corpo femminile, soprattutto in famiglia 128 .
Il controllo delle donne e dei bambini è essenziale tanto quanto la codificazione per la
ragione di sesso-genere dell’uso di spazio materiale e simbolico.
Secondo la filosofa Susan Moller Okin
129
la famiglia è un’arena cruciale per le
questioni di giustizia: è il perno delle ineguaglianze in società, per molteplici ragioni.
Pensiamo in particolar modo ai lavori domestici non retribuiti (e soprattutto mal
distribuiti) che vanno di pari passo con l’iniqua spartizione - fra i genitori - delle cure alle
bambine e ai bambini; evidenziamo ancora una volta il momento fondamentale della
socializzazione: se i suoi membri sono educati nei ruoli di genere “tradizionali”, è logico
che questi ultimi (con le loro disparità e perversioni) continuino a riprodursi.
Preso atto che questo assetto della famiglia è “normale”, salterà agli occhi che la base
delle altre disuguaglianze sono proprio le disuguaglianze al suo interno.
Il lavoro familiare non retribuito né equamente condiviso
Tanto per incominciare il lavoro familiare (cioè la cura dell’infanzia ed i lavori domestici)
è soprattutto a carico delle donne (dal doppio al triplo): a questo proposito sono state
coniate varie espressioni come “il secondo turno”, “la giornata tripla”, “la moglie in
fatica”. Non si puó evitare di pensare che lo sfruttamento nelle pareti domestiche abbia
rilevanti conseguenze sulle concrete opportunità professionali delle donne.
Se è vero che si sono vinte molte battaglie riguardo l’accesso e la stabilità nel
mercato del lavoro ed anche per il riconoscimento di un salario equo, (benché in nessuno
Stato la condizione socioeconomica di donne e uomini sia ancora paritaria) 130 , le Corti
Costituzionali non si mostrano altrettanto sensibili alla situazione delle famiglie.
Si dovrebbero invece indagare: il valore che si dà al lavoro domestico, le aspettative su chi
si debba sobbarcare la responsabilità dell’allevamento delle figlie e dei figli, il fatto che le
donne a capo della famiglia siano o meno protette, il fatto che i matrimoni diano o meno
ai mariti il controllo sulle proprietà delle donne, le regole sugli alimenti, e svelare come
tutti questi fattori abbiano un grande impatto sul benessere socioeconomico delle donne (e
128
Vd. MARIA MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de
Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p.46.
129
SUSAN MOLLER OKIN, Justice, Gender and the Family, New York, Basic Books, 1989, (trad. it. Le donne e la
giustizia: la famiglia come problema politico, Dedalo, Bari 1999). Cfr. BRENDA MAJOR, Il genere, i diritti e la
distribuzione del lavoro familiare in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di
Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996.
130
cfr. Introduction in The gender of constitutional jurisprudence, edited by Beverley Baines and Ruth Rubio-
Marin, Cambridge University Press, 2004, p.20: “poverty has the face of a woman”.
46
quindi costituiscano ostacoli più o meno diretti alla realizzazione dell’uguaglianza).
Tuttavia nemmeno un maggior potere economico è in sé stesso sufficiente: anche
quando le donne lavorano e percepiscono una retribuzione, lo squilibrio si mantiene.
Il modello di spiegazione dominante sostiene che più potere hanno le donne (inteso
soprattutto come occupazione, risorse accumulate ed idee del partner sulla condivisioneseparazione delle entrate e dei lavori domestici), più compiti sbrigano i mariti.
In realtà studi recenti dimostrano che il lavoro delle donne non è correlato al contributo
degli uomini a quello domestico; né c’è proporzionalità tra un numero di ore dedicate al
lavoro retribuito e lavoro domestico degli uomini; non incide nemmeno il denaro
guadagnato; né le concezioni “astratte” sono strettamente connesse 131 .
Ancora una volta vediamo che la “rivoluzione” passa attraverso conquiste di vario ordine:
materiali, politiche, intellettuali, psicologiche e sociali.
Un aspetto che non si puó sottovalutare è il significato dato al guadagno, il quale
sembra sia più decisivo del divario fra i redditi. Il guadagno di lei è infatti diverso: è o no
co-responsabile del mantenimento? Si assume o meno il ruolo di capofamiglia (il quale dà il
potere di sentirsi in diritto di maggiore assistenza ed è importante per avere la
motivazione a cambiare)? Ció non toglie che la giustizia nel mondo del lavoro sia
strettamente connessa alla giustizia in famiglia - non sono sfere separate - ed una
maggiore retribuzione possa sicuramente aumentare il sentimento d’essere capofamiglia.
Le lavoratrici e le mogli appagate
Le maggiori responsabilità che le donne si assumono in ambito familiare contribuiscono a
perpetuare norme e valori tradizionali nonché a rendere più ardua la partecipazione al
mondo del lavoro retribuito a parità con l’uomo.
Eppure l’ineguaglianza è spesso riconosciuta e considerata perfino giusta (sono
soddisfatti entrambi): si parla del “paradossale appagamento delle mogli” e della
“lavoratrice femminile appagata” (benché lavori a tempo pieno, pagata meno di un uomo
con eguale qualifica - ovvero oggettivamente sottopagata - non si lamenta).
Queste
apparenti
assurdità
trovano
spiegazione
nella
categoria
chiave
dell’entitlement (concetto fondamentale di quasi tutte le teorie psicologiche di giustizia
sociale).
Entitlement sta per “avere diritto a”. Ci si sente trattate/i ingiustamente se non si
ricevono quegli apprezzamenti positivi che si pensa di avere diritto a ricevere: è
131
Cfr. BRENDA MAJOR, Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro familiare in Genere. La costruzione
sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino,
Bologna 1996.
47
un’aspettativa con forza normativa, si avverte cioè come un imperativo, qualcosa di
necessario, una volta che si diano certe precondizioni, le quali possono essere ascritte
(appartenere ad una razza o ad un sesso) 132 od acquisite (attraverso un particolare
contributo). È un giudizio cognitivo con implicazioni affettive e motivazionali.
La consapevolezza della violazione del diritto dà un senso di tristezza, delusione, offesa
morale ma anche la motivazione a cambiare 133 .
Le donne trovano varie giustificazioni alle distribuzione inique.
Le
lavoratrici
casa-prole-dipendenti
sostengono
che
le
disparità
derivano
dall’applicazione di procedimenti giusti (per es. si pensa di essere state ascoltate dai
mariti o di avere scelto liberamente di fare più lavoro); oppure considerano il fatto che
nelle relazioni comunitarie (amici, familiari etc) si dà per far piacere all’altro al meglio
delle proprie capacità, mentre solo nelle relazioni di scambio fra conoscenti, nei rapporti
di affari, si dà per avere qualcosa di paragonabile in cambio 134 ; infine ritengono di
scambiare col partner risorse appartenenti a diverse categorie: il lavoro domestico è
scambiato col reddito e non le faccende domestiche con altre faccende domestiche 135 .
Nel caso delle lavoratrici-sottopagate si tende invece a dire che le donne badano
meno al denaro ed apprezzano altri aspetti del lavoro (sottolineando le differenze di
genere nei bisogni e nei valori); oppure si utilizzano parametri diversi per valutare ció che
si merita (le donne avrebbero un minore senso dei loro diritti in termini di retribuzione); o
infine si giustifica-legittima l’inferiorità sostenendo per esempio di aver scelto liberamente
quella carriera, di essere meno meritevoli etc.
Ha ragione Celia Amorós a dire che non basta non essere povere per la stabilità
dell’autostima. 136
Vanno ricordati inoltre i vari tipi di confronto che le donne operano (più o meno
consciamente) per arrivare a giustificare lo stato delle cose.
Ci sono in primo luogo confronti sociali. Le donne si paragonano alle altre donne piuttosto
che al proprio uomo (per non sentirsi abbastanza simili ai maschi o per autoprotezione:
132
Io aggiungerei “ad una specie”: in quanto essere uman@, mi sento di “avere diritto a -”.
133
Vd. BRENDA MAJOR, Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro familiare in Genere. La costruzione
sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino,
Bologna 1996.
134
Se in famiglia la regola è il bisogno piuttosto che l’equità o eguaglianza, significa anche che le donne
ritengono di avere meno necessità e di essere capaci di prendersi cura del partner e dei figli?
135
Questo discorso non puó di certo aver senso per le donne che guadagnano (talvolta quanto il partner, se non
di più).
136
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.363.
48
confrontarsi con chi è avvantaggiato è psicologicamente devastante se non si puó mutare
la situazione) e magari con la madre o comunque con altre donne sposate (d’altro lato gli
uomini pensano di fare troppo, paragonandosi ai propri padri). L’ “economia della
gratitudine” - il fatto che l’aiuto da parte del partner sia vissuto come “un dono” - è
sintomo del fatto che qualcosa si consideri superfluo.
Altro elemento importante è il confronto con le norme (scritte e non). Non solo per
il modo di pensare comune i lavori domestici sono lavori da donne, ma anche nelle norme
(scritte) è radicata la priorità dei ruoli di madre e casalinga per le donne e di capofamiglia
per gli uomini. Sono prevedibili, di conseguenza, il disagio che si prova se ci si allontana da
esse, e la disapprovazione cui si va incontro.
Ci sono poi i confronti di fattibilità. La considerazione dell’effettiva fattibilità di
soluzioni alternative influenza il pensare delle donne. Se tendono a confrontare la propria
situazione con l’alternativa (peggiore) di non essere occupate piuttosto che con quella di
avere un’occupazione ed insieme una divisione egualitaria del lavoro; se ritengono
improbabile ottenere una distribuzione migliore; se non vogliono lottare con le persone
amate, magari per evitare la conflittualità coniugale e talvolta per evitare minacce di
divorzio (nel qual caso sanno di possedere maggiori problemi per risposarsi -rispetto agli
uomini- e conseguenze peggiori a livello economico) e la possibilità di diventare madri
sole: è normale che accettino lo status quo e fare il 60 per cento sembra meglio di fare
tutto.
In ultima analisi esistono gli autoconfronti: per esempio la donna che “da figlia” ha
contribuito molto in famiglia non ritiene eccessivo il carico di lavoro domestico “da
moglie”.
Socializzazione dei ruoli di genere
Come abbiamo detto, la famiglia è il luogo della prima socializzazione dei ruoli di genere
nonché la prima “scuola di senso di giustizia” 137 .
Come si sa, il ruolo di genere prevede il lavoro familiare e di cura della prole, come assi
centrali dell’identità femminile, mentre l’essere capofamiglia lo è per l’identità maschile;
di conseguenza donne e uomini sono indotte/i a desiderare determinate cose nelle
relazioni intime (e ció è fondamentale per capire cosa si sentano o meno in diritto di darericevere).
Nell’interpretazione dei ruoli di genere (più o meno coerente con la tradizionale) passa la
“linea di tensione dell’identità”.
137
Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano
1996.
49
Disidentificarsi non è semplice per una serie di motivi, non ultimo il su citato problema
della coercizione. A questo proposito il femminismo ci obbliga a essere riconoscenti verso
coloro le quali hanno pensato, parlato, scritto ed agito “libremente, en contra del poder
establecido y a costa, muchas veces, de jugarse la vida y, casi siempre, de perder la
«reputación»” 138 .
Oltre “privato vs pubblico” : contaminazioni
La “pubblicizazzione” del “privato”
Uno
degli
assiomi
del
femminismo
nega
prepotentemente
la
storica
scissione
privato/pubblico: “Il personale è politico” 139 .
Ancora oggi la dicotomia privato/pubblico agisce ai danni delle donne: se si riafferma più o
meno tacitamente la divisione, si resta ciechi al fatto che la struttura della famiglia
intacca fortemente lo sviluppo personale, sociale, politico e professionale delle donne.
È decisivo che si riconoscano gli “effetti orizzontali” dei principi antidiscriminatori,
cioè il fatto che riguardino non solo i poteri statali ma anche gli individui nelle loro
relazioni: il “privato” è infatti strutturato al suo interno in maniera del tutto stridente
rispetto ai valori della modernità stessa.
Nelle più attuali discussioni di diritto comparato 140 si prende atto del fatto che il
tacco duro è sempre la famiglia ed il cosiddetto “privato” è centrale in ogni
contemporanea discussione di filosofia politica.
Se la giustizia riguarda soltanto i rapporti fra le famiglie e si stende “un velo di
ignoranza” - assoluta - su ció che accade all’interno di esse, si applica subdolamente il
principio della privacy, depoliticizzando la soggezione delle donne: la famiglia sarà vista
come unità con la quale non si puó interferire e non si riconosceranno mai, ad esempio, la
diseguale distribuzione del lavoro domestico né la cosiddetta “violenza domestica” 141 .
Che peso si dà al benessere delle donne (soprattutto ai loro diritti individuali) quando la
famiglia è considerata come un tutto da proteggere?
Si dovrebbe riconoscere la famiglia come un’istituzione sociale largamente
138
Vd. NURIA VARELA, ¿què es el feminismo? La metafora de las gafas violetas, in NURIA VARELA, Feminismo
para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp.13-21.
139
Famosa frase di Kate Millet, autrice di un classico della letteratura femminista: KATE MILLET, La politica del
sesso, Rizzoli, Milano 1971.
140
Cfr. The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge
University Press, 2005 e The European Charter of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by
Karen Knopp, Oxford University Press 2004.
141
Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano
1996.
50
gerarchica, dove si esercitano relazioni di potere tra uomini e donne.
Tuttavia si è poco ottimiste rispetto ai tempi necessari affinchè questa idea si diffonda:
“there is nothing (corsivo mio) that indicates that this may happen any time soon” 142 .
Famiglia-valore (?)
Questo tipo di consapevolezza viene di certo ostacolato dalla diffusa ideologia per cui la
famiglia tradizionale è anzi da esaltarsi, un valore in sé; d’altro lato, il fatto di essere
spesso oggetto di protezione costituzionale fa sì che il mito della famiglia come ambito
intoccabile prosegua.
La si vuole investire di significati forti: è il bastione della civiltà, l’unità chiave per
la stabilità sociale. Amelia Valcárcel riporta la rappresentazione comune (edulcorata e
mistificante) della famiglia: “el buen orden, la jerarquìa natural, el semillero de toda
virtud, la sociedad sin conflictos” 143 . In realtà in essa mancano alcune categorie
imprescindibili come: “equipolencia”, “decisión conjunta” e “diàlogo”.
“Famiglia”, intesa come “il privato”, “il naturale”, è una categoria da ridiscutere anche
per altre ragioni: non ultime le nuove aggregazioni sociali esistenti ed i nuovi orizzonti
aperti dalle TRA. Nemmeno a questo proposito è marginale l’apporto delle norme, ovvero
il modo in cui le costituzioni e le dottrine costituzionali sono modellate e a loro volta
modellano le concezioni nazionali della famiglia: il fatto che per “famiglia” si intenda
“normalmente” la coppia eterosessuale sposata 144 non è privo di conseguenze.
Le TRA, effetti collaterali dell’ideologia familiare
Anche quando ci si scandalizza per le cosiddette “Tecnologie di Riproduzione Artificiale”
ció che realmente importa è il fatto che esse legittimino nuovi modelli di famiglia.
La confusione che si crea attorno a queste tecnologie e la condanna sono sostanzialmente
indirizzate alle famiglie anomale che si formano (le TRA hanno il particolare potere di
combinare –scombinare le figure genitoriali) 145 .
142
Vd. RUTH
RUBIO MARìN, Engendering the ConstItution. The Spanish Experience, in The Gender of
Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005, p.266.
143
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
pp.150-151.
144
Cfr. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the construction of gender by law in the European Charter of
Fundamental Rights, in Gender and human rights edited by Karen Knop, Oxford Press, 2005. Questa recente
analisi svolta sulla Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali mostra che la famiglia
patriarcale è ancora l’unità fondativa (si escludono sessualità divergenti e altre forme associative del vivere).
145
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp. 11, 15.
51
Difatti la divaricazione fra pratiche “normali” (legittimate) e clamorose (illecite) parte
dalla ragione per cui ci si rivolge ad esse: è lecito farlo se e solo se si utilizzano come
“cura della sterilità” in risposta al “diritto di madre” che ha una donna sterile all’interno
di una coppia eterosessuale legalmente riconosciuta 146 . Tanto per incominciare, parlare di
cura è falso, perché le TRA non curano (è rassicurante dar loro questo valore terapeutico):
semplicemente offrono un altro modo di procreare.
Lo shock deriva dal fatto che chi desidera procreare non è più soltanto la coppia
eterosessuale sposata e queste tecniche si prestano a soddisfare più agevolmente queste
tendenze “anomale” (per altro in molti casi assecondabili anche al di là delle tecniche).
Alcune categorie si formano proprio a partire da queste ambiguità: la distinzione fra
inseminazione artificiale omologa ed eterologa ad esempio non è “scientifica”, ma “mista”
(è in gioco un dato bio-sociale della fedeltà biologica della coppia). 147
Quando si dice “no alla nascita di bambini orfani” si sta in realtà dicendo che è orfano
chiunque nasca al di fuori della coppia coniugale secondo il modello storico più rigido 148 : il
vero obiettivo è rafforzare la norma familiare tradizionale, ovvero la coppia etero-stabile.
Le sanzioni colpiscono infatti chi voglia concepire con le TRA senza rispecchiare quel
modello 149 . Tuttavia non si puó pensare di escludere dalla potestà genitoriale un/a
omosessuale che sia diventat@ genitore (senza ricorrere a tecniche “artificiali”) né una
donna che sia diventata madre dopo un rapporto occasionale, né le divorziate, né le madri
“sole” (queste ultime esistono già e non hanno prodotto alcun disastro sociale) . È un
problema di accettazione culturale di altri modelli parentali.
Esiste un pregiudizio naturalistico: l’ordine biologico-naturale è da salvaguardare; c’è una
gerarchia di preferenze (non si riconosce ai soggetti che ricorrono alle tecniche la stessa
autonomia che gli è riconosciuta qualora procreino “secondo natura”) 150 .
I limiti e i controlli non valgono infatti per la procreazione “naturale” e questo ci aiuta a
vedere ancora una volta che l’interesse è ideologico: stigmatizzare il “disordine sessuale”,
piuttosto che assicurare genitori affidabili.
146
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie
e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.22.
147
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp.40-41.
148
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.20.
149
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.104.
150
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p. 199.
52
Si tratta di un discorso estremamente delicato che tocca l’ambito etico, sociale e politico.
C’è una famiglia che si sta “disfacendo”: siamo certe/i che non sia piuttosto un certo
modello di famiglia (non l’unico possibile, e ancora meno il migliore)? Va ammessa,
piuttosto, la necessità di ripensare la parentalità biologica, sociale e simbolica.
Per tutti questi motivi, “la famiglia” resta uno dei concetti da rielaborare 151 .
La “privatizzazione” del “pubblico”
Prendere sul serio la provocazione di Kate Millet, implica una trasformazione radicale della
politica stessa, la quale non sarà più l’ambito iniziatico che nasce per scissione e
negazione dell’altro che lo sostentava (il privato) 152 .
L’opera di Carol Gilligan 153 , pur ribadendo una dicotomia fra i generi, offre spunti
costruttivi a riguardo. L’autrice, citata regolarmente nella letteratura femminista,
sostiene che vi siano effettivamente due modi di pensare, due progetti morali che
caratterizzano le donne e gli uomini. In polemica con le conclusioni cui era giunto
Kohlberg, sostiene che lo sviluppo morale non segue un percorso unico, fatto di stadi (in
cui le donne si “fermerebbero” prima degli uomini), bensì due percorsi differenti, nessuno
dei quali è superiore all’altro.
L’intuizione, l’emozione, la disposizione particolaristica (utili per la vita domestica) si
riscontrano prevalentemente in chi ha agito nel mondo privato; cura e responsabilità sono
valori e virtù di chi ha sempre “regnato” in quell’ambito (quindi doti femminili). Il
pensiero razionale, imparziale, spassionato (necessario per la vita pubblica) è invece
prerogativa degli uomini; la giustizia ed i diritti sono dunque riconosciuti come valori e
virtù maschili.
Come leggere questa ricerca?
È più probabile che le due etiche siano frutto di socializzazione, piuttosto che
riflesso di qualità essenziali dei due generi; la divisione privato-pubblico ha certamente
incentivato la formazione di due “progetti morali” paralleli.
La “scoperta” dei due approcci non rappresenta tuttavia un limite da superare ma una
risorsa: uno non deve sopraffare l’altro, sono utili entrambi (per tutte/i) e non
alternativamente. Nessuno delle due etiche sembra infatti tanto carente da esser rifiutata
151
Vd. CRISTINA BRULLET, La maternidad en Occidente y sus condiciones de posibilidad en el siglo XXI, in
ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la
maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.204.
152
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.189-190 .
153
CAROL GILLIGAN, Con voce di donna : etica e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano 1991 (testo
originale: In a different voice, Cambridge, MA: Harvard University Press, 1982).
53
o tanto efficiente da sostituire l’altra; potremmo intravedere un proficuo scambio fra di
esse.
“Etica della giustizia” ed “etica della cura” potrebbero considerarsi due approcci che
riguardano chiunque (al di là del sesso) senza che siano in competizione, bensì in
collaborazione. In questa “etica superiore” (nata dalla sintesi delle due precedenti) il
pubblico non si reggerà più sul disprezzo del privato 154 . Secondo Will Kymlicka è in famiglia
che si esercitano o meno le capacità morali di tener conto degli altri, essa è la base delle
elaborazioni teoriche sui principi morali.
Se nel privato ci vuole un senso della giustizia prima valido solo nell’ambito
pubblico, nel pubblico compare un’etica della cura ed un’attenzione al particolare prima
relegate al solo ambito privato. Vediamo come la filosofia politica proponga di integrare il
diritto–equità con la responsabilità–relazione 155 .
Superare il bipolarismo donna-uomo, privato-pubblico significa anche che, come
contropartita del percorso svolto dalle donne nell’ambito pubblico, ci saranno dei “passi
avanti” degli uomini nell’ambito privato: avranno una loro parte nelle faccende
domestiche, nella cura della prole, e ciò permetterà loro di guadagnare – auspicabilmente
- un maggiore sviluppo affettivo e una nuova responsabilità paterna 156 .
Così come la giustizia entra a far parte dei rapporti interpersonali interni alla
famiglia, si prospettano relazioni extrafamiliari non prioritariamente aggressive, ma capaci
di essere affettivamente importanti e sicure. Sono interessanti a questo propostito le
proposte di “umanizzare” i rapporti di lavoro 157 , per uscire dall’alternativa affettivitàcompetitività, e far sì che una certa dose della prima sia presente tra le persone ogni qual
volta esse entrano in relazione.
154
Vd. VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in
http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html
155
Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano
1996.
156
Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE
(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona
2004, pp.39-40.
157
Vd. GENOVEVA ROJO, Ser mujer: el orgullo de un nombre, in El viejo topo extra 10, Masculino Femenino,
Barcelona septiembre 1980.
54
CAPITOLO 5
DISIDENTIFICAZIONE FEMMINISTA:
VERSO “L’ INDIVIDUA”
L’inferiorizzazione
Il Patriarcato consiste di un insieme di pratiche reali e simboliche 158 ; queste ultime,
attraverso le quali il sistema si è stabilizzato, si legittima e si perpetua, sono
probabilmente le più complesse.
Se finora abbiamo analizzato soprattutto la divisione degli spazi pratici (e simbolici), ciò
che metteremo in luce adesso sarà il segno “negativo” che grava sulle donne.
Non solo gli è stato imposto un ambito d’azione ben preciso, e – come abbiamo visto
- sono state considerate alla stregua di corpi-oggetto sessuali mercificabili, ma questa
condizione di emarginazione e silenziamento è stata “autorizzata” attraverso un processo sistematico - di inferiorizzazione, che ha portato le stesse donne, educate in una cultura
misogina, ad accettare il loro ruolo di “sconfitte”. Facciamo alcuni esempi.
Esseri imperfetti e dipendenti
Che cos’è la donna? La filosofia non risponde (come se fosse una questione superflua)
oppure risponde disprezzandola: non ha l’anima razionale (Aristotele); è immediatezza
naturale (Hegel); ha l’invidia del pene (Freud). Oppure è “la madre”, “la puttana”, “la
regina del focolare”, “la notte”, “l’abisso”… Si riscontra un fastidio generale, un senso di
estraneità 159 . In ogni caso è un essere manchevole, inferiore, passivo.
Con la modernità si diffonde l’ ideale della donna domestica, angelo del focolare; alcuni
diranno perfino che tutte le energie femminili devono consacrarsi alla maternità e si
diffonde l’idea che l’esercizio intellettuale danneggi gli organi riproduttivi femminili 160 .
La kirieia (tutela) è il termine giuridico per definire lo stato proprio della donna a partire
158
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.127, 116.
159
Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle
donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier,
Torino 1998, p.185.
160
Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE
(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona
2004, pp.25-28.
55
dalla pubertà, cioè quello di vigilanza protetta da un uomo; la subisce per tutta la vita 161 .
Ancora oggi avviene qualcosa di simile, dato che per abortire le donne devono reclamare
ad altri il proprio diritto e non semplicemente farlo se lo considerano pertinente 162 .
È come se il dato biologico della minore forza fisica fosse stato assolutizzato, mortificando
lo sviluppo delle donne. La debolezza fisica (lo scarto fisico è probabilmente quello che
non si colmerà mai) diventa immagine di una (supposta) debolezza morale e intellettuale.
Per Babeuf le donne avrebbero dovuto restare sotto il controllo maschile ed un
intellettuale del suo circolo arrivó a proporre che si proibisse loro di imparare a leggere 163 .
L’illuminatissimo Kant ironizzava sul fatto che le donne potessero equipararsi agli uomini a
livello accademico e intellettuale e propendeva per il mantenimento delle stesse
nell’ignoranza: è palese la volontà di escludere il sesso femminile dal processo illustrato
isolandolo dalla conoscenza. 164
La sfiducia verso l’intelligenza femminile è vivacemente presente persino nell’opera di un
rinomato filosofo contemporaneo: Giulio Preti. È osceno dover leggere fra le pagine di
Retorica e logica con quanta nonchalance si possa dare per scontato il difetto intellettuale
di metà del genere umano, cui si attribuisce una mentalità “pre-logica”. Ciò che più
sgomenta è il fatto che questa “tesi” non venga argomentata, ma utilizzata come verità
assodata, metro di paragone attraverso il quale insultare altre categorie di uomini ritenute
intellettualmente deboli 165 .
Dal punto di vista di Kant le donne non potranno nemmeno mai essere soggetti di dovere e
diritto né possedere coscienza etica 166 . Tutto ció si lega al fatto che le donne siano
161
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.78.
162
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.80.
163
Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE
(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona
2004, p.23.
164
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.66. Il
testo in cui esprime più energicamente il suo desiderio di non condividere il processo di “ilustración” con le
donne è observaciones sobre el sentimento de lo bello y lo sublime (1764.)
165
Vd. GIULIO PRETI, Retorica e logica, Einaudi, p. 12: "[...] La scienza moderna richiede, e quindi alleva,
molti "proletari della ricerca" o savants betes (come li chiama A. Huxley sulla scia di V. Hugo): piccoli
ricercatori senza cultura e senza luce, [...] le cui micro-ricerche si compongono poi nei grandi quadri scientifici
che trascendono la loro intelligenza e la loro cultura. [...] Fuori del loro "Istituto", smettono di pensare, e
ricadono immediatamente al livello di mentalità pre-logica delle loro mogli, madri e nonne." (corsivo mio).
166
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.14-15.
56
considerate minorenni a vita e per questo incapaci di prendere decisioni autonome; sono
esseri da proteggere, la tutela dei quali passa dai rispettivi padri ai rispettivi mariti.
Incapaci di coscienza morale ed autonoma, partecipano dell’imperativo categorico solo
sussidiariamente attraverso l’uomo: il “bel sesso” si sottomette al “sesso sublime” 167 .
L’affermazione “le donne sono totalmente indifferenti al bene comune” non ha il carattere
di una constatazione problematica, piuttosto la dignità di una definizione essenziale,
perfettamente consona all’andamento “naturale” delle cose.
Questo limite del genere umano femminile (a ribadire l’inferiorità di questa parte
dell’Umanità rispetto all’altra) è tuttavia utile e positivo: il pensatore trae la conclusione
che vada tutto benissimo così. La (doverosa) vocazione delle donne al privato è infatti
vitale affinché gli uomini possano contare sulle loro cure per riposarsi dalle fatiche della
vita pubblica 168 . È chiaro che la descrizione si confonde con la prescrizione.
Anche quando il disprezzo non è diretto, e si attribuiscono “doti” specifiche (comuni a
tutto il sesso femminile), si dà per scontato che queste ultime siano di minor valore
rispetto alle doti proprie dal sesso maschile (anche in questo caso ne beneficierebbero
tutti gli individui). Kant parla di una maggiore dose di sentimenti di compassione, di bontà,
e della tendenza ad anteporre il bello all’utile 169 .
Esiste perfino una moralità femminile da preservarsi. Come vediamo già in Rousseau, ci
sono due percorsi pedagogici: Emilio e Sofia riceveranno diversi tipi di educazione. Il primo
sarà un essere autonomo; l’altra dovrà ricoprire un ambito preciso... 170
La sottomissione, l’essere in funzione di altro (dell’altro, fondamentalmente), sono stati
proclamati come valori “universali a metà”: essi sono curiosamente validi per tutte le
donne ma allo stesso tempo solo per metà del genere umano (il che cozza fragorosamente
con gli ideali universalisti dell’Illuminismo):
“tutta l’educazione delle donne dev’essere in funzione degli uomini. Piacere e rendersi
L’autrice, interloquendo con femministe tedesche studiose dell’Illuminismo e/o di Kant, si concentra
principalmente su due testi del grande filosofo: Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime del 1764
(pubblicato da Fabbri editore a Milano nel 1996, tradotto da Laura Novati e con introduzione di Guido
Morpurgo-Tagliabue) e Antropologia dal punto di vista pragmatico del 1798 (pubblicato da TEA a Milano nel
1995 con introduzione di Alberto Bosi e a cura di Pietro Chiodi).
167
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.65.
168
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.74.
169
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.70-71.
170
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 186-187.
57
utili a loro, farsene amare e onorare, allevarli da piccoli, averne cura da grandi,
consigliarli, consolarli, rendere loro la vita piacevole e dolce: ecco i doveri delle donne in
ogni età della vita e questo si deve loro insegnare fin dall’infanzia” 171 .
Si sta così invertendo la proposta kantiana del “sapere aude 172 ”: piuttosto che un invito
all’autonomia, contro ogni tutela altrui, avremmo da accettare un destino relativo.
Le medesime doti caratteriali sono confermate ad esempio dalla religione 173 : il modello cui
le donne dovrebbero ispirarsi è l’umiltà, la carità, l’abnegazione 174 .
In questa ideologia maschile sessista la religione ha infatti giocato - da tempo
immemore - un ruolo di primo ordine.
La donna è muta nel Genesi (non ha parola, nome, lignaggio); nasce (da uomo e non da
donna) indifesa e condannata, per una supposta infrazione, ad essere subordinata
all’uomo 175 . Il padre è il principio fondamentale della genealogia; non c’è traccia di
successione matrilineare. Le donne sono sempre “figlie di”, “nuore di”, mai “madri di”;
quando sono madri si dice che “danno figli agli uomini” o “gli partoriscono figli”. Non
esiste la diade madre-figlia (creando un vuoto spaventoso) 176 .
Il padre-patriarca puó sentirsi figlio virtuale di Dio così come lo sono i suoi figli maschi
rispetto a lui; il dio di Israele di fronte al quale si inchina è garante del suo proprio potere
patriarcale 177 .
Le donne invece non possono sentirsi madri virtuali perché la maternità non è un
referente co-costitutivo della comunità, né una categoria da guadagnare in futuro. Ha solo
la funzione di partorire e allevare figli-padri virtuali per il Padre. Il sacrificio rituale del
Figlio, consumato nel disprezzo della volontà (ignorata) della Madre, è uno dei requisiti del
171
Vd. J. J. ROUSSEAU, Emilio, tr. Di Paolo Massini, Armando Editore, Roma 1981, p.550.
172
Cfr. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.18. Si
rivolge direttamente a Kant. È il medesimo filosofo il primo a fare distinzioni: benché il suo testo Che cos’è
l’illuminismo? del 1784 (pubblicato da Editori riuniti a Roma nel 1987) sottolineasse che la ragione deve
emanciparsi dai tutori esterni, in altri punti delle sue opere lasció intendere che l’invito valesse solo per i
maschi.
173
Si parla di religione cristiana, ed in particolare cattolica; tuttavia il ruolo subordinato del femminile sembra
essere una costante di tutte le religioni.
174
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.169.
175
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.51.
176
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp.55-56.
177
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.58.
58
potere del Padre, come già si vide in Abramo (ancora una volta l’uomo si impone quale
proprietario assoluto di vite). Secondo questa logica le madri vedono i propri figli/e
condotti alla morte (guerre, genocidi) e alla prostituzione 178 .
Potremmo ipotizzare che sia proprio a partire dalla prima (?) interpretazione dei
ruoli riproduttivi, dove l’uomo si aggiudica la parte importante, “attiva” della produzione
di corpi-individue/i, derivino, a grappolo, le successive “conclusioni” ideologiche.
Il padre implica la donna come suo utero extracorporale 179 . Le donne sono insomma
semplici portatrici, “incubatrici dello sperma maschile”, coloro che mettono solo il proprio
organismo, la propria biologia naturale (animale), affinché cresca il seme dell’uomo 180 .
Questa visione delle donne come “esseri in funzione di-” si traduce a più livelli, partendo
da quello biologico.
Aristotele, ad esempio, giustificava la dominazione delle donne (e degli schiavi) in quanto
carenti di fini in sé stessi (sarebbero quindi meri mezzi per i fini altrui).
Non si tratta di una visione ormai superata perchè continua ad agire
“sotterraneamente” ancora oggi, come un’analisi approfondita delle TRA mette in luce.
Rispetto al tema dell’aborto e del connesso diritto alla vita del feto ci accorgiamo che
ancora una volta la donna è percepita come contenitore (della cretura nascente),
ambiente di vita 181 . Nel momento in cui poniamo l’accento sul concepimento piuttosto che
sulla nascita, il corpo femminile diventa solo una via di transito, uno strumento 182 .
Uno dei veicoli di diffusione più attuali dell’ideologia imperante è la pubblicità. Se
una marziana, guardandola, volesse provare a capire ció che sono le terrestri, difficilmente
arriverebbe ad alcuna conclusione approssimativa sulle donne reali 183 .
La più innovativa tecnica di persuasione è infatti piuttosto reazionaria nei suoi contenuti:
178
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp. 58-59.
179
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.56.
180
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.74.
181
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.64.
182
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp 111-112.
183
NURIA VARELA, La cultura in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,
p.306: “si una marciana pretendiera entender la Tierra a travès de la publicidad, difìcilmente llegarìa a
ninguna conclusión aproximada de lo que son las mujeres. Pensarìa que èstas sólo tienen un objetivo
fundamental: exhibirse como reclamo sexual o conseguir el blanco màs reluciente y satisfacer las necesidades
de la famiglia en una casa con los suelos màs brillantes de todo el barrio…(se las reconoce como) objetos de
placer o como sujetos domèsticos”.
59
tra gli stereotipi che questo potentissimo mezzo ribadisce, ritornano i due centrali: la
donna-mero oggetto di piacere 184 e la madre polvere-dipendente 185 .
Si tende perció a reiterare i modelli tradizionali, dove le donne sono ridotte alla
sessualità oppure alla funzione riproduttiva (riconfermandole nella loro presunta vocazione
domestica).
Autodisprezzo: misoginia femminile
Si intende ora perché le donne siano alla ricerca di libertà ed uguaglianza, ma non solo: si
parla anche di una ricerca di senso, di dignità ed autostima (se le pensatrici della
differenza puntano molto su di questa, sostenendo che l’immagine della vittima viene
perpetrata dalle femministe di stampo rivendicativo 186 , è anche vero che una lotta
importante delle femministe dell’uguaglianza è quella contro il “valore tradizionale”
dell’abnegación).
La stessa Celia Amorós ammette che non si puó arrivare da nessuna parte a partire dalla
propria svalutazione, dalla depressione (prodotto dell’interiorizzazione dell’oppressione
subita), dall’odio a se stesse, e dall’assunzione come propria dell’inferiorità che ci è stata
attribuita.
Chi non riesce ad entrare in dialogo con il modello ricevuto, rinuncia infatti a
cambiare.
Un
passaggio
decisivo
all’avvio
di
qualsiasi
percorso
femminista
è
evidentemente uno sguardo diverso delle donne su se stesse: non solo le donne devono
disporre delle possibilità oggettive per poter effettivamente sfuggire alla tutela (in primo
luogo economica) dei padri e dei mariti, riprendendosi i propri corpi e la propria sessualità,
dimostrando di essere pensanti, capaci di indipendenza e moralità, artefici attive delle
proprie esistenze, al di là dei ruoli pre-costituiti e verso progetti individuali-individuanti;
per poterlo fare devono in più considerare positivamente il proprio “essere donna”.
Le femministe non credono più che il loro sesso comporti “essere da meno” e per
184
Cfr. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 29-30. Il binomio donna-
oggetto sessuale è antico. In quest’opera si tratta della cultura contadina europea nell’800 ed è bizzarro che
anche allora le donne fossero descritte come vulcani di desiderio, fornaci della carnalità, lussuriose e
naturalmente insaziabili, divoratrici di uomini: a quei tempi il sesso era per loro un dovere da sopportare con
rassegnazione, una sorta di comandamento, e non una fonte di piacere; esso si legava per di più alla paura
della gravidanza e delle gravi conseguenze cui gravidanze troppo frequenti portavano.
185
Vd. RUTH
RUBIO MARìN, Engendering the ConstItution. The Spanish Experience, in The Gender of
Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005. Si
dovrebbe incoraggiare l’uso delle statistiche e degli studi che mostrano il danno specifico che si fa alle donne
nei modi in cui i mezzi di comunicazione le ritraggono.
186
Cfr. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987.
Questa accusa viene ripetuta costantemente.
60
questo bramano di liberarsi dal segno di inferiorità che è stato loro affibbiato. Esso è
irrazionale ed ingiusto, desolatamente contraddittorio rispetto al presupposto moderno
che squalifica lo status a favore del merito. Credono, insomma, che donne e uomini siano
assiologicamente equivalenti; due rappresentanti ugualmente degni della specie umana.
Sebbene sia del tutto deprecabile la violenza di tipo fisico che il collettivo delle
donne ha subito e ancora subisce 187 , la più subdola, prepotente, e infida da stanare, è la
violenza di tipo simbolico. Il paradosso è che alberghi nelle stesse donne.
La parziale verità di certi pregiudizi
D’altro canto le descrizioni “inferiorizzanti” non sono tutte “campate in aria”: le
caratteristiche infantili – ad esempio - come l’immaturità, la debolezza etc. sono da
sempre attribuite ai gruppi subordinati ma anche “propiziate” dal gruppo dominante 188 .
Intendiamo dire che se parte di queste caratteristiche si riscontrano di fatto in individui di
genere femminile, è perché il tipo di educazione impartita loro è stata orientata a quegli
scopi; le descrizioni hanno agito da prescrizioni. Sottolineiamo che viene prima la
prescrizione della descrizione: altrimenti non si spiegherebbe il fatto che moltissime donne
non rispecchino più quegli standard.
Per via di una sorta di circolo vizioso le donne cresciute in una cultura che le considera
eternamente manchevoli e incapaci, non possedendo la forza né la fiducia (interiori ma
anche esteriori) per elaborare e proporre una voce propria, facilmente si ritrovano ad
interpretare esattamente quel ruolo che è stato pre-formato appositamente per esse:
quello di esseri sussidiari, appendici dei propri mariti. La studiosa Miriam Johnson sostiene
che il ruolo di moglie sia di gran lunga il peggiore fra quelli subiti (forse l’unico
“costitutivamente” degradante) 189 .
Per le donne così educate sarà arduo ridiscutere se stesse: lo stereotipo di genere
fa parte della propria formazione, è insediato dentro di loro. “Il peggior nemico” da
combattere sarà allora - forse - non tanto quello esterno, la società, quanto quello
interno, sé stesse. Il senso di “donna” così come è stato culturalmente stabilito, finisce per
incarnarsi nei corpi delle donne reali ed “agirli”: non è facile sradicarlo 190 . Ció che accade
187
Cfr. NURIA VARELA, La violencia, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona
2005, pp. 251-271.
188
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.47.
189
190
Vd. MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli, Il Mulino, Bologna 1995.
Ricordo un breve ma efficace aneddoto raccontato dal Professor Francisco Vázquez García a lezione.
Durante una cena fra coppie di amici si discuteva animatamente di tematiche legate al femminismo, al genere,
61
alle femministe è esattamente questo: si scontrano con una parte di sé.
“La pesadumbre comùn” 191
Non deve disorientare che le donne abbiano potuto (e possano) farsi veicolo di
considerazioni di tipo machista (ovvero denigrino se stesse). Come sostiene Victoria Sau,
essendo dominate fisicamente ma anche ideologicamente, le madri per prime reiterano la
dominazione, educando la propria prole entro quella cultura (patriarcale) che le ignora e
le disprezza.
Le figlie ed i figli non hanno Madre. Se questi ultimi vengono socializzati in modo tale da
credere che non ne hanno bisogno e che anzi essa sarebbe un disturbo (negare di essere
nati da donna libera l’ego maschile dal vincolo di dipendenza più naturale e basilare), le
prime si formano nella convinzione che le donne non ebbero mai alcun ruolo se non quelli
“tradizionali”, come se fossero di un’altra razza (ovviamente inferiore). Si pensi ad
esempio alla Cosmogonia di Esiodo, dove si narra di un tempo in cui non vi erano donne e
gli uomini vivevano felicemente. Pandora, pur essendo la prima donna non è madre
dell’umanità, ma solo delle donne! Esse sono percepite come un collettivo a parte,
un’unità sociale chiusa su se stessa 192 .
Se le madri sono state a lungo codarde e ipocrite, complici di coloro che abusavano di loro,
ambigue, va ricordato che nemmeno loro hanno avuto Madre (in questo senso “siamo tutte
orfane”) 193 . Vittime e carnefici si confondono.
L’evidenza che le donne interiorizzino i miti maschili può darla il fatto che ancora
oggi in Africa le autrici dei riti mutilatori della circoncisione femminile siano donne 194 .
Nella famiglia (oikos), cellula base della società -anche per la sua funzione economica- chi
governa è l’uomo: la donna è addestrata dal marito 195 , ed è così che le madri reali si fanno
portavoce del Padre, portatrici dei suoi valori culturali (tra i quali il fatto che lei, la
ai diritti delle donne, etc. Ad un certo punto il fervente dibattito fu interrotto dallo scoppio di un pianto (di
un/a bimb@). Chi saltò dalla sedia? Le donne, “naturalmente”.
191
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000, Icaria Màs Madera,
Barcelona segunda edición 2003, p. 19. Significa “la sofferenza comune”: si allude all’essere orfane, è questo
“il peso” che tutte le donne porta(va)no.
192
Vd VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp.59, 69.
193
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.108.
194
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.341.
195
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.78.
62
Madre, non esiste). È una sorta di ventriloquia dell’uomo 196 : la madre è mpère 197 . La Madre
non esiste, è stata fagocitata dal Padre e per estensione la donna dall’uomo. 198 Il
linguaggio ne è testimone: il generico, maschile, sta per il maschile ed il femminile allo
stesso tempo.
La socializzazione delle figlie nel “vuoto della Madre” - dal momento che si riduce a
funzione del Padre 199 - è cruciale per il mantenimento dello status quo.
Il corpo femminile: ignoranza, paura, vergogna
L’autodisprezzo che ci impone il Patriarcato è un problema di non poco conto 200 .
In primo luogo detestiamo il nostro corpo 201 : nella civiltà occidentale il corpo femminile è
immaginato come portatore della sessualità, pericoloso per l’uomo e quindi causa di tutti i
mali dell’umanità (Eva e Pandora sono due esempi più che classici).
Le donne sono state tenute distanti dai propri corpi, che esse stesse hanno
tradizionalmente denigrato.
Studi sulla cultura dell’Europa tradizionale lo confermano: essendo la società
dominata da concezioni maschili, le paure proprie di una metà del genere umano, finiscono
per essere condivise anche dall’altra metà. Il disagio maschile nei confronti delle “facoltà
magiche/demoniache” delle donne si riflette perció sulle stesse donne.
L’utero, ad esempio, è vissuto come una minaccia (così ce lo presentano molte leggende):
è qualcosa di vivo, una creatura animata; 202 si temono le sue emanazioni quando la donna
è gravida. La puerpera “non vale di più di una scrofa” e
deve stare in casa, se no
“contaminerebbe gli altri” 203 . La guarigione dopo il parto e i preparativi funebri per le
puerpere morte ispiravano terrore dei poteri magici (del corpo delle donne): “le sofferenze
delle donne dovrebbero restare una faccenda tutta loro”.
196
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.49.
197
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.33.
198
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp.11, 46.
199
Il vuoto di cui approfonditamente parla Victoria Sau. La stessa idea emerge da numerosi saggi contenuti nel
testo Las mujeres y los ninos primero, op. cit.
200
Cfr. GENOVEVA ROJO, Ser mujer: el orgullo de un nombre, in El viejo topo extra 10, Masculino Femenino,
Barcelona septiembre 1980.
201
Vd. GENOVEVA ROJO, Ser mujer: el orgullo de un nombre, in El viejo topo extra 10, Masculino Femenino,
Barcelona septiembre 1980.
202
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.335.
203
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.337.
63
Si riscontra l’usanza della “benedizione dopo il parto” fra i riti di tutte le chiese cristiane
prima della Riforma Protestante (una sorta di “decontaminazione religiosa” che continua a
protrarsi nella chiesa anglicana e cattolica fino al ‘900) ed è testimoniato inoltre il timore
delle anime delle puerpere decedute (soprattutto se non benedette) 204 . Le donne morte di
parto sono infatti spesso sepolte in un angolo del cimitero con assassini e suicidi, o anche
completamente al di fuori delle mura 205 .
C’è l’orrore del sangue mestruale, uno dei tabù persistenti (che come sappiamo è comune
a tutte le culture) 206 : la donna mestruata rovina bevande e cibi; il sangue è impurità; si
citano ad esempio le purificazioni rituali delle ebree ortodosse.
La cosa rilevante è che le donne acconsentissero a questa concezione maschile di
una femminilità corrotta e pericolosa.
A lungo il corpo e la sessualità femminili hanno rappresentato motivi di inibizione e
insicurezza, mentre la disinformazione su di essi ha regnato sovrana in famiglia e
nell’educazione. La vergogna delle mestruazioni persiste in certa misura ancora oggi ed
nemmeno il godimento sessuale femminile, a partire dalla negazione del clitoride come
organo specifico del piacere della donna, ha avuto modo di “affermarsi”.
Il senso di disagio rispetto a queste tematiche è ampio 207 .
Non a caso nel femminismo si è avvertito un malessere corporeo, legato al desiderio di
vivere con libertà e felicità il proprio corpo. La prova della verità era ritrovare la stessa
esperienza in altre donne, un senso di epifania (coincidenza parole-cose) 208 .
Recuperare la stima dei nostri corpi e dei fenomeni specificamente femminili che si
mostrano in esso (ciclo, gravidanza e parto) è indispensabile per costruire un nuovo senso
di sé, oltre quelli “permessi” dagli schemi patriarcali.
L’androcentrismo: una parzialità divenuta universale
C’è un’altra “sindrome” di origine maschile che va riconosciuta e “curata”. Essa è forse
meno evidente e meno “grossolana” della misoginia, ma non per questo meno diffusa e
204
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.338.
205
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.339.
206
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.336.
207
Cfr. El viejo topo, extra 13, Cuerpo y poder, Barcelona, p.37. Un gruppo di donne si interroga su questi temi
e si trova d’accordo su molti punti. Tra gli altri si confessa di aver subito l’immagine della passività (“sono gli
uomini che sanno già come fare”, a livello di competenze erotiche), e vissuto la censura della violenzaaggressività fisica (cosa che peró fa sorgere il dubbio: siamo “naturalmente” contrarie alla violenza o non ci è
permesso esprimerla?).
208
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
p.31.
64
grave. Anche in questo caso la “patologia” finisce per infettare le stesse donne: parliamo
dell’androcentrismo.
Pensiamo che, d’altronde, la stessa Lingua che tutte/i parliamo porta i segni di secoli di
dominazione maschile e che le Istituzioni, il Pensiero filosofico, il Diritto, la Religione,
l’Economia, hanno da sempre ospitato esclusivamente uomini (o in ogni caso contemplato
soltanto uomini ai loro vertici), formandosi perciò a loro immagine e somiglianza.
Non si puó trascurare il problema del tipo di valore che si dà a determinate
funzioni, ruoli, atteggiamenti: le cose perseguite in modo “neutro” sono in realtà spesso
identificate sulla base degli interessi-valori degli uomini.
Di norma “ció che è più importante” è ció che ha a che vedere con gli effetti del
testosterone: la forza, la competitività, l’azione, la conquista, la produzione (di fronte alla
pazienza, alla solidarietà, al sentimento, alla cura, alla riproduzione) 209 :
“in queste società virtualmente tutte le qualità che distinguono gli uomini dalle
donne sono state positivamente valorizzate: la loro presenza definisce la famiglia; la loro
incapacità di andare d’accordo tra loro le guerre; le loro dominazioni, la storia…” 210
Superare l’androcentrismo è un lavoro impegnativo.
Uno degli impliciti fondamentali da svelare è che il maschile “non sa della sua
mascolinità” e si considera “standard”. Il mondo, insomma, è sempre stato molto
protagoreo, “a misura d’uomo”, intendendo però con “uomo” esclusivamente l’essere
umano maschio. Persino rispetto al tema della salute le donne sono svantaggiate, dal
momento che gli uomini hanno posto sé stessi come prototipo di riferimento degli studi
medici e farmacologici 211 .
Vediamo quindi che l’unica designata come differente è la donna, mentre l’uomo si
autoistituisce come neutro. 212
Il punto è che egli non si autoconcepisce come sesso: il sesso è quello femminile, come se
il maschile fosse “il proprio” della specie, ed il femminile “il caratteristico”. Il corpo
sessuato gioca un ruolo importante (quello di ostacolo) solo per gli esseri umani di sesso
209
Vd. VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in
http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html
210
Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano
1996. Si sta citando McKinnon.
211
Vd. NURIA VARELA, op.cit. e NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza,
Bari 2007, p.53.
212
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.132.
65
femminile 213 , ed è a partire dalle sue caratteristiche che si giustificano le principali
aspettative nutrite nei confronti delle donne: come dire che gli uomini possano
prescindere del tutto dal proprio corpo, e le donne, affatto.
Come scrisse Rousseau: “non v’è alcuna parità tra i sessi quanto alle conseguenze
derivanti dalla loro diversità. Il maschio è maschio solo in determinati momenti, la
femmina è femmina per tutta la vita, o almeno per tutta la giovinezza” 214 .
L’uomo non riconosce la sua parzialità perché occorre che venga designato
dall’esterno (il bianco non ha coscienza di sé come differente, bensì il nero) ed è dal
momento in cui è stata interpellata dalla lotta delle donne per l’uguaglianza, che
l’identità maschile ha smesso di essere a-problematica:
“quien està en posición de sujeto del discurso es el que mira y designa al otro. No se ve a
si mismo come diferente, sino como norma canonica” 215 .
Poiché gli uomini si sono imposti quale archetipo dell’umanità, la diversità “da
discutere” sembra sia sempre stata quella delle donne rispetto agli uomini, e non
-
simmetricamente - quella degli uomini rispetto alle donne.
Questo tipo di cecità persiste anche nei luoghi più insospettabili: basta leggere alcune
analisi femministe svolte sulle costituzioni più attuali 216 .
Dato che la voce dominante è stata a lungo quella maschile, non colpisce che i
processi fisiologici femminili si siano convertiti in processi patologici: per esempio le
mestruazioni e la menopausa (il movimento femminista deve smascherare anche
questo) 217 . A conferma di questa tendenza basti pensare che oggi nella Convenzione
europea sui diritti umani e le libertà fondamentali esiste il diritto a proteggere la
gravidanza come diritto sociale, ma è garantito affianco alla protezione nei casi di
malattia, vecchiaia etc.: la gravidanza è costruita dalla legge come se fosse
un’anomalia 218 , mentre sappiamo bene che è tutto fuorché una “bizzarria femminile”: è
213
Cfr. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS
(ed.), Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000 e AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y
“poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994.
214
215
Vd. J. J. ROUSSEAU, Emilio, tr. Di Paolo Massini, Armando Editore, Roma 1981, p. 544.
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.314 .
216
Cfr. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter
of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004.
217
Vd. SACRAMENTO MARTI, La maternidad. Punto clave para una perspectiva feminista, in El viejo topo, n°
51, Barcelona diciembre 1980. Cfr. CARMEN VALLS-LLOBET, La menstruación: de la invisibilidad a la abolición,
in DUODA, ESTUDIOS DE LA DIFERENCIA SEXUAL, numero 31, Barcelona 2006.
218
Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter
of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004.
66
quella realtà naturalissima indispensabile a che la specie umana (donne e uomini) si
riproduca.
Porsi come soggetti
Molte delle donne reali sperimentano una distanza abnorme fra l’immagine (o l’avaro
ventaglio di immagini) di sé in quanto donne che la tradizione offre e l’immagine (o le
poliedriche immagini) di sé che esse stesse possiedono o aspirano a plasmare.
La risposta a questo abisso risiede nel fatto che il generico “donna” è stato finora
designato dagli uomini (i padroni del linguaggio, in primo luogo) e quindi in funzione dei
loro sogni e delle loro paure. Poiché il sesso maschile è stato a lungo l’unico ad
autorappresentarsi, decidendo al contempo la rappresentazione del sesso femminile a sé
funzionale (è l’altra dall’uomo e per l’uomo; è senza parola né immagine propria) 219 , la
coltre di pregiudizi che ha avuto modo di sedimentarsi sulle donne si spiega semplicemente
con l’essere state oggetti “eterodesignati”:
“non crediamo più a quello che gli uomini, politici o giornalisti, scienziati o mariti, dicono
su di noi, sul nostro destino, sui nostri desideri e i nostri doveri” 220
Se l’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna è una sua invenzione e
tuttavia egli ha sempre parlato a nome del genere umano, la rivoluzione simbolica
consisterà nel porsi come soggetto.
C’è un intenso bisogno di autosignificazione. Le individue sono vivamente
preoccupate di parlare di sé da sé, scegliendo al contempo percorsi esistenziali propri,
senza rispettare i “guiones existenciales” offertici dalla cultura patriarcale. Come diceva
Carla Lonzi negli anni ‘70, con una delle sue frasi "fulminanti": “abbiamo guardato 4000
anni, adesso abbiamo visto!” 221 .
Come significarsi? Individualità e femminilità
Nell’ordine simbolico-sociale pensato dagli uomini, nascere donna è per un caso che
condiziona tutta la vita; in essa lei non ha un destino personale.
In conformità a ció, la consapevolezza della differenza, interpretata come ineluttabile
stato di privazione e subordinazione, puó portare a due casi-limite: quello di chi si rifugia
con rassegnazione nel vecchio ruolo; o quello di chi rinnega l’appartenenza al genere
219
Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA
CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, p. 119.
220
Cfr. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.34. Si tratta di una citazione da Donne è bello, pubblicato nel 1972 dal gruppo Anabasi.
221
Questa frase si trova nel Manifesto di Rivolta femminile, pubblicato a Roma e a Milano nel 1970.
67
umano femminile, per non rinunciare a vivere un’esistenza “individuale”, né subordinarsi.
Per colpa della vetusta dicotomia (donna-privato/uomo-pubblico) alcune donne
desiderose di vedersi riconosciuto lo status di individue, guadagnato con fatica, operano
una disidentificazione “senza ritorno”: piuttosto che ridiscutere il fatto stesso che
individualità e femminilità siano inconciliabili, assumono un punto di vista che potrebbe
forse rientrare nel “nominalismo estremo”. Questo tipo di disidentificazione, che Celia
Amorós definisce “misogino”, è accompagnato da una certa distorsione ermeneutica. Per il
desiderio di essere individue le donne rinnegano la femminilità, nel senso che disprezzano
chi non ha sviluppato la propria individualità e negano che alcuna delle proprie “difficoltà”
abbia a che fare col fatto di essere donne. Non c’è il problema di stare perdendo la
femminilità (che altrimenti sarebbe, ancora una volta, essenzialmente “fare da madri”
etc.), bensì di non essere riconosciute come individue. Ciò di cui ci si vuole spogliare sono
proprio gli stereotipi che, mentre associano “donna” a “mondo privato”, contrappongono
come inconciliabili “donna” e “mondo pubblico”.
Non abbiamo a che fare con una dicotomia vera, di cui noi abbiamo desiderato negare un
estremo; è che ancora non si concepiscono individualità e femminilità insieme.
L’individualità, insomma, (così come tutta una serie di altri concetti tratti dall’universale
“umanità”) non è “maschile”: si puó essere individue, restando donne.
La disidentificazione di tipo femminista ha lo scopo di ri-assumere la genericità risignificandola 222 : a questo scopo dovremmo pazientemente raccogliere le sfide che la
sopravvivenza nel “mondo pubblico” ci lancia.
Come prevedibile, in una società patriarcale l’essere di sesso femminile, se non c’è
da procreare, non si lega con niente: liberata dalla servitù del suo destino anatomico una
donna non diventa automaticamente libera, ma superflua 223 . All’infuori dei ruoli che
interpretano l’anatomia, il destino di una donna si trova infatti sospeso nel vuoto,
dipendente
da
scelte
personali
oggi
ammesse
facilmente
ma
che
non
hanno
l’avvaloramento di sapersi corrispondenti ad una qualche necessità oggettiva; fuori dalle
alternative precostituite – che interpretano l’anatomia - c’è solo disorientamento.
Non dimentichiamo che, sotto la legge del padre, le donne non hanno senso per sé stesse,
ma solo in funzione di lui (in particolare di dargli figli). Al di là di questa funzione, le
donne o perdono valore o perdono la loro differenza per essere assimilate a uomini 224 .
222
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.213-214.
223
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.156 e seguenti.
224
Vd.
LUISA
MURARO,
La
madre
dopo
http://www.libreriadelledonne.it/news/MF.htm
il
patriarcato,
intervista
di
Ida
Dominijanni
in
68
Tuttavia, così come “non è libertà un ruolo sociale ricalcato sull’anatomia”, “c’è
servitù in una libertà sociale pagata con la cancellazione del proprio corpo sessuato” 225 .
L’obiettivo della riflessione femminista è evidentemente quello di superare un aut aut di
tal fatta: non c’è vera libertà in questa alternativa.
Si vuole frantumare la spessa maschera dello stereotipo di genere sia per ribadire la
propria individualità che in esso non si esaurisce né si riconosce, sia per ridiscutere il
generico stesso.
In ogni caso non è una mera questione volontarista: non basta che io mi percepisca come
individua perché io lo sia davvero. Se gli altri mi vedono come una in più di una serie o
moltitudine indifferenziata, non sono individua, visto che non genero gli effetti sociali e
politici specifici di questa condizione 226 . Allo stesso modo non è volontaristica la resignificazione di “donna”.
Non si smuove nulla, se prima non tentiamo di prendere sul serio la trama dei rapporti di
potere. Per quanto sia improbabile riuscire a gestirla, cominciando a prendere in mano
alcuni fra i suoi fili si saprà per lo meno come evitare di restarne avviluppate.
Il potere
Cambiare il significato di “donna” non si puó fare “in disparte”: il potere è necessario. Ció
che accade è che le identità si costituiscono nell’interazione costante con le altre e gli
altri, ed occorrerebbe perció “contrattare nuovi significati” prima di poterli rendere attivi.
Abbiamo bisogno di un gruppo giuramentato (perché ci sia normalizzazione e stabilità) che
diffonda la re-significazione soprattutto attraverso mezzi sociali, altrimenti è come
costruire “un muro de arena” 227 .
Per ricostruire l’identità di genere occorre essere consapevoli del fatto che chi
contratta nuovi significati non è chi vuole ma chi puó istituire un linguaggio socialmente
egemonico (altrimenti si resta nell’ambito del ghetto). Le identità convalidate lo sono
infatti in virtù di un gioco di meccanismi per l’analisi del quale non si puó prescindere
dalle relazioni di potere.
Finché queste ultime saranno squilibrate, non si potrà giocare al genere: le varie proposte
225
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.136.
226
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.102.
227
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.108, 257.
69
di moltiplicarli, farli proliferare, etc., sono espedienti cinici o illusori 228 .
Il problema più grave è negare che la femminilità quale ci è stata tramandata sia
una costruzione dello stesso patriarcato. La pretesa di possedere un’identità femminile
genuina ed autocostituentesi va unita infatti a quella di essere immuni alle
eterodesignazioni patriarcali:
“definir què sea eso de “ser mujer”, y hacerlo, ademàs, desde un discurso que se pretende
no contaminado por el patriarcato, resulta tan chocante como querer salir del universo
para retratarlo” 229
Se la donna non è soggetto del linguaggio, e parla e si rappresenta attraverso il
linguaggio e le categorie dell’altro, come puó situarsi per raggiungere il miracolo di
rompere col linguaggio che è - ed è stato - storicamente quello che tesse i discorsi? 230
È opportuno prestare attenzione.
Negare il mondo del contratto (contro il paradigma moderno) e voler ricostruire un
mondo di status non gerarchico significa ignorare del tutto la questione del potere 231 e
vivere nel sogno volontaristico di non necessitare convalide dal e nel mondo (finora)
maschile. L’atteggiamento delle pensatrici della differenza che disdegnano l’uso del
potere e negano di subirne gli effetti ricorda quello degli Stoici che, con la loro filosofia,
davano la possibilità agli oppressi di evadere la fattività e mostrarsi indifferenti. Ignorare
la fattività però non significa essere libere: la libertà è ció che noi facciamo di ció che
hanno fatto di noi 232 .
Il “volontarismo valorativo dell’oppresso” si ripete nella storia in situazioni dove
risulta più facile ri-significare volontaristicamente il linguaggio piuttosto che trasformare
determinati aspetti della realtà sociale; le relazioni di potere diventano irrilevanti ed alla
gerarchia sociogiuridica subentra la gerarchia etica.
Un esempio è quello dei gitani: emarginati e disprezzati dalle società nelle quali vivono
senza integrarsi, sostengono che tale disprezzo non li colpisce perché hanno sangue reale.
228
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p. 140.
229
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.113.
230
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.106.
231
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.139.
232
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.235, 259.
70
Si sopravvalutano nel gruppo (“intragrupalmente”) mentre valgono nulla nel confronto tra
gruppi (“intergrupalmente”).
Questo fenomeno è descritto da Celia Amorós come “sovraccarico di identità”(sobrecarga)
e giustificato proprio in relazione all’esilio volontario dal mondo del potere: è una sorta di
reazione compensativa per la mancanza dei meccanismi abituali di convalidazione delle
identità in una società ampia e complessa.
È un vecchio espediente che risale agli Stoici: al fine di restituire autostima ad
un’identità danneggiata, si nega che l’ordine sociale delle designazioni ci colpisca in ció
che importa davvero; una situazione giuridico-sociale come la schiavitù può mettersi tra
parentesi traslando l’enfasi sulle parole di “padrone” e “schiavo” in un altro ambito che si
considera più pertinente (“padrone” sarà il padrone delle proprie passioni, anche se
continua ad essere schiavo in società, e “schiavo” sarà lo schiavo delle passioni, al di là del
fatto che il suo status sociale sia quello di “padrone” ).
In nessun caso si puó giocare con le eterodesignazioni: a questo proposito una
similitudine cara a Celia Amorós è quella presa a prestito dall’amica ed interlocutrice
filosofica, Amelia Valcárcel.
Basti pensare all’abbigliamento: così come un abito (i pantaloni o l’hijab ad esempio) non
si indossa in modo “estetico” finchè la sua “carga ètica” non si è disattivata, così le
eterodesignazioni patriarcali (che sono ancora eticamente e politicamente “cariche”) non
si possono assumere come stilizzazioni estetiche (quindi “innocentemente”). 233
Il segno linguistico è arbitrario a priori, ma a posteriori non lo è più; il linguaggio
crea una gabbia. Il termine “donna” è già stato catturato in una rete di significati 234 ossia
esiste una simbologia tradizionale che, dal momento in cui esiste storicamente, non si puó
manipolare in maniera assolutamente libera. La significazione del simbolico maschile e
femminile non si può risignificare ad arbitrio.
Le femministe della differenza tendono invece a prescindere da questa realtà.
Secondo Luisa Muraro la differenza sessuale è una caratteristica costante dell’essere
umano, una necessità vitale che tuttavia nella storia del pensiero politico, filosofico e
scientifico dell’Occidente non è stata accettata, bensì ridotta ad una inevitabile
dipendenza dall’animalità precedente. Dal suo punto di vista c’è da fare molto “lavoro
simbolico” perché la differenza non collassi nell’animalità e sprofondi nell’inconscio. Per
233
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.38, nota 34.
234
Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA
CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, p.120.
71
esempio il fiocco rosa o azzurro la rendono un fatto umano 235 .
Celia Amorós sostiene invece che di lavoro simbolico se ne faccia già tanto: ció che manca
è un criterio per giudicare (anche la mutilazione genitale femminile è, se si vuole, lavoro
simbolico). In questo ordine simbolico duplice e asimmetrico si intravede la gerarchia di
potere.
Le donne dovrebbero trovarsi in una situazione di equipotenza rispetto agli uomini per
istituire una simbolica propria senza connotazioni di inferiorità e subordinazione (il che
implica il raggiungimento dell’uguaglianza) 236 .
Il vero lavoro etico per staccarci dall’animalità è quindi puntare sull’ideale
regolativo di carattere razionale che ci differenzia dalle altre specie: l’ideale
dell’uguaglianza, appunto.
In prima analisi, va bandito il luogo comune sul potere-male e denunciata la
mistificazione del potere nell’ambito domestico.
Il potere-male
Il binomio potere-male ha agito da efficace ideologia per tenere a bada il gruppo
dominato. Se le donne sono viste come un peccato in sé è facile prevedere che le donne
(male) con potere (altro male) siano viste come una catastrofe 237 .
Con tono pungente Amelia Valcárcel evidenzia che non si puó avere vita fuori dalle
istituzioni 238 e che vanno superati questi “tabù” che portano oggi le donne con potere a
doversi “scusare” di averlo 239 .
Le pensatrici della differenza che si vantano di essere l’antipotere 240 fanno un favore ai
misogini; associare il potere al male implica evitare un’analisi seria del tema, mentre si
ribadisce lo stereotipo delle donne aliene al potere (sostenuto da pseudospiegazioni
235
Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.128 e seguenti.
236
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.130-131.
237
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p.78.
238
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p. 74.
239
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p.77. Di ció dà vari esempi con la sua solita ironia, sottile e provocatoria.
240
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p.110.
72
psicologiche e sociologiche come: sono timide, non atte al comando) 241 .
Desiderare e/o possedere il potere non è un qualcosa che possiamo attribuire ad
uno dei due generi e negare all’altro. D’altro canto nemmeno tutti gli uomini (maschi)
vogliono il potere 242 .
Il fatto che qualcuno possa dire che si tratta di uno spazio socialmente e
culturalmente ritenuto migliore, ma non eticamente, ci farebbe ricadere nello stoicismo
(sarebbe indifferente rivendicarlo): non si discute del contenuto ma della formalità che sia
accessibile a tutte/i.
Dovremmo per lo meno chiarire cosa intendiamo per “potere”: se tutto è potere,
allora niente è potere. 243 “Potere” è invece qualcosa di simile all’autostima; è “poter
fare”, “avere influenza”, “prendere decisioni”.
Non averne puó far degenerare piuttosto che corrompere l’averlo 244 .
Per agire nel mondo dobbiamo esercitare il nostro potere, altrimenti viviamo ai margini
delle istituzioni come eremite/i 245 .
Il potere domestico (?)
Il potere interno alla casa o sulle decisioni del marito attraverso l’intimità non è vero
potere: è un potere complementare, a parte (le donne sono escluse dalle decisioni
fondamentali) 246 .
Victoria Sau denuncia la condizione di “mpére” delle madri: non si tratta solo del fatto che
le donne siano state considerate esclusivamente “madri”, ma della più dolorosa
constatazione del vuoto di potere di queste madri, silenziose e sottomesse appendici dei
padri. Il potere domestico è raro e soprattutto senza alcuna traduzione nell’altro ambito.
Non ha senso, quindi, intonare “cánticos a la maternidad” per sopperire alla carenza di
potere ed autorità effettivi delle donne 247 .
241
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
pp.115-117.
242
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p.118.
243
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p.76.
244
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
pp.60, 89.
245
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
pp.74, 93.
246
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp.30, 40.
247
Vd. ALICIA H. PULEO, Memoria de una ilustración olvidada, in El viejo topo, Marzo 1994, n°73, Barcelona.
73
Si vuole il potere nelle decisioni forti e al contempo si sottolinea l’urgenza di
confutare che questo tipo di potere sia di per sé stesso “maschile” 248 (le donne che lo
possiedono ed esercitano non stanno contraddicendo in nessun modo la propria “natura”: è
una possibilità caratteristica degli esseri umani in quanto tali; il fatto che finora sia stato
prerogativa degli uomini significa solo che si sono riservati ció che invece è condivisocondivisbile).
“no nos engañemos: quien tiene el poder y puede elegir -¿como podrìa ser de otro modo?elige la mejor parte, y es en esa parte donde hemos de hacer presión para que se nos ceda
nuestro espacio en ella” 249 .
Equipotenza e individualità “autorevoli”
Il potere è intimamente legato all’individualità, una delle dimensioni che vorremmo ci
fosse riconosciuta.
Non è un caso che nel mondo patriarcale non si possano percepire femminilità e
individualità contemporaneamente; è come se si escludessero a vicenda. Questa sorta di
schizofrenia viene acutamente descritta dalla filosofa spagnola richiamandosi al principio
di indeterminazione di Heisenberg.
“ser individuo mujer o, si se quiere, ser individua es una tarea difìcil, pues va a
contrapelo de la percepción social que, cuando te capta como mujer, no te escucha en
tanto que portadora del logos, en tanto que sujeto de un discurso relevante. (...) Como en
la fisica cuàntica, en que no es posible precisar a la vez la posición y la velocidad de un
electrón, individualidad y feminidad se interrumpen mutuamente para unos hàbitos
perceptivos configurados por los interesse y las formas de objetualización masculinos” 250 .
Uno dei temi ricorrenti della “misoginia romantica” (applicabile retrospettivamente
anche all’interpretazione hegeliana di Antigone) è il rifiuto a considerare le donne come
individui 251 . Si tratta di una reazione difensiva all’appropriazione delle idee democratiche
248
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p.132.
249
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.79. In realtà questa
affermazione andrebbe stemperata con un certo distacco dall’androcentrismo : ciò che gli uomini potenti
hanno ritenuto essere la parte migliore da aggiudicarsi non deve esserlo necessariamente.
250
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.211.
251
Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),
Feminismo y filosofìa,
Ed. Sìntesis, Madrid 2000. Questo tipo di misoginia è presente nel pensiero di
Kierkegaard ma anche in Schopenhauer e Nietzsche.
74
da
parte
di
una
collettività
dominata
secolarmente,
diretta
a
trattenere
la
universalizzazione dei nuovi diritti. La volontà di esclusione non si esprimerà in linguaggio
politico (per non entrare direttamente in contraddizione con i propri principi): sono
sintomatici i discorsi pseudoscientifici che si diffondono nei secoli XVIIIe XIX sul carattere
sessuato dell’intelletto femminile per dare ragione del fatto che le donne si limitino
all’ambito del privato 252 .
La ragione per cui ci negano il principio di individuazione è la stessa per cui ci
negano il potere. Gli uomini stanno nello “spazio degli eguali” per lo meno in linea di
principio: il potere consiste nel potersi differenziare, nell’essere individui:
“no entendemos aquÍ que todos los varones tengan el mismo poder, sino que
cualquier varón es percibido y reconocido por otro como alquien que, si no puede, al
menos puede poder, es candidato potencial de un relevo siempre posible” 253 .
Noi invece stiamo nello “spazio delle identiche”: proliferano i nomi generici che connotano
genericamente per mezzo di stereotipi le donne senza che vi sia un qualcosa di simile per
gli uomini.
Essere “equipotenti” significa essere uguali: la radicale uguaglianza si fonda infatti
sull’equipotenza, ovvero sul riconoscimento mutuo dell’individualità.
Il concetto di uguaglianza non ha tuttavia nulla a che vedere con quello di identità: si
riferisce a un certo tipo di relazione fra individui, l’ubicazione di essi nel medesimo rango
di soggetti fra loro perfettamente discernibili. L’uguaglianza perseguita è quella sociale e
legale non certo l’indistinzione dei soggetti 254 .
In questo senso il diritto alla differenza deriva dall’uguaglianza 255 : altrimenti la mia
differenza non verrebbe riconosciuta o meglio valutata degna dello stesso rispetto di
quella che appare come “la sua differenza” dal mio punto di vista.
“para quienes el término igualdad sugiere un futuro de pesadilla poblado de seres clónicos
y despojado de la seducción de la diferencia, quiero precisar que el feminismo de la
252
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista
igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y
postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997.
253
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.453.
254
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,
p.50.
255
Cfr. VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in
http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html. Alcune, fra le quali
Victoria SENDÓN, pensano esattamente l’opposto, ovvero: non si puó ottenere l’uguaglianza autentica senza
mantenere le differenze; sarebbe una colonizzazione totale. Il timore è quello di assumere il modello (cui ci si
vuole uguagliare) in maniera acritica.
75
igualdad pretende, por el contrario, la eclosión de las individualidades, una vez liberados,
hombres y mujeres, de los estereotipos de sexo” 256 .
Esattamente agli antipodi di chi teme che questo invito all’uguaglianza ci faccia slittare
verso una poco auspicabile identità indifferenziata, si sostiene che l’uguaglianza in quanto
equipotenza sia il presupposto della discernibilità (ovvero del riconoscimento mutuo
dell’individualità):
“la equifonìa o posibilidad de emitir una voz que sea escuchada y considerada como
portadora de significado y de verdad, y goce, en consecuencia, de credibilidad, en las
mismas condiciones que otro/a no implica en absoluto que los sujetos que se encuetran en
esa situación vayan a decir lo mismo, como tampoco tienen necessariamente por què hacer
lo mismo aquellos que tienen la misma capacidad de hacer, es decir, los equipotentes.
Todo derecho a la diferencia presuppone, obviamente la igualdad; de otro modo, mi
diferencìa no se verìa reconocida, es decir, ponderada como digna del mismo respeto que
la del otro” 257
La voce delle donne
Per autodefinirci (cioè per uscire dallo “spazio delle identiche” 258 – schiacciate dagli
stereotipi) dobbiamo definire 259 e per poter nominare occorre avere potere (difatti certe
realtà prima del femminismo non erano nominate 260 ). L’esclusione dai luoghi pubblici e
dalle decisioni importanti, così come l’inferiorità di potere e prestigio dei loro atti,
spiegano come le donne non abbiano potuto proporre/imporre il proprio punto di vista.
Non a caso c’è stata a lungo negata la possibilità di essere interpreti (sacerdoti, giudici,
magistrati, docenti universitari, giornalisti di alto livello, rappresentanti del parlamento,
ma anche testimoni): questo implica potere socio-culturale.
Le donne sono state storicamente “ridotte al silenzio”. Tutte le loro labbra
dovevano permanere ermeticamente chiuse, per non essere indecenti. Marìa-Milagros
Rivera, storica del Medioevo, ci ricorda che nell’Occidente greco-romano-cristiano la
donna che parla, soprattutto se in pubblico, viene percepita come indecorosa: è un corpo
256
257
Vd. ALICIA H. PULEO, Memoria de una ilustración olvidada, in El viejo topo, Marzo 1994, n°73, Barcelona.
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.90.
258
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.89.
259
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.111.
260
Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, nota 9 p.25.
76
femminile nudo 261 .
Questo ci impediva di avere un’esistenza simbolica autonoma: è attraverso il linguaggio
(soprattutto la parola pubblica, condivisa) che si costruiscono le categorie di una Cultura;
senza segni propri il sesso femminile resta facilmente subordinato al sesso con un’esistenza
simbolica propria. Si ribadisce ancora una volta che “femminile” è la costruzione di “ció
che deve essere una donna” secondo la soggettività maschile (e non ció che la donna pensa
indipendentemente di essere).
La donna vuole fondarsi come Soggetto: finora era oggetto – per lo più trascurato - e senza
alcuna legittimazione né tradizione sociale, filosofica etc. che le permettesse di farsi
portatrice autorevole di Logos.
Sebbene una delle poche differenze tra i sessi scientificamente provata sia la
migliore attitudine verbale delle bambine e delle donne (rispetto ai bambini e agli uomini);
una fra le cose più ridicolizzate è stata il parlare femminile (le donne non parlano bensì
chiacchierano,
mormorano,
spettegolano,
parlano
troppo) 262 .
Gli
uomini
partono
demotivati a priori rispetto a ció che dicono le donne.
Le donne si trovano infatti frustrate dalla mancanza di ascolto dovuta all’imperante
preinterpretazione, che si presenta in due versioni estreme e contraddittorie, eppure
attive nel senso comune: da una lato “con las mujeres ya se sabe” ovvero “con le donne si
sa già” (non c’è niente da imparare, niente da comunicare, si toglie loro la parola a priori
e si confuta automaticamente qualsiasi cambiamento); dall’altro, “con las mujeres nunca
se sabe” ovvero “con le donne non si sa mai” (in questo caso un’imprevedibilità molesta
induce alla violenza “preventiva”).
La mancanza di interpretazione è violenza, è anti-pensiero: non c’è riconoscimento né
reciprocità 263 .
Se il pensiero femminile autonomo è visto come superfluo, è come dire che sia nullo
(il pensiero e la libertà sono necessari):
“se l’esperienza di una donna non è un punto di vista vero, se la grandezza femminile è
difficilmente sostenibile, se la libertà femminile è considerata un lusso alla stregua della
seconda o terza automobile, la risposta efficace consisterà nel rincarare le pretese di
verità, di grandezza, di libertà, così da rendere il bisogno di mediazione più e più
261
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.43-44.
262
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.48.
263
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.123-126.
77
grande” 264 .
…Una voce ancora flebile
Benchè si reclami la possibilità di emettere una voce che sia ascoltata e considerata come
portatrice di significato e di verità, e quindi che goda, di conseguenza, di credibilità 265 , si
continua a percepire il vuoto di “autorità femminile”, intesa come il rispetto, il prestigio,
il riconoscimento delle donne come creatrici di cultura e pensiero 266 .
Le poche “fortunate” che muovono i primi passi sul poco transitato, per non dire vergine,
terreno del potere (i luoghi accademici e politici soprattutto), tracciano alcuni aspetti
della sua fenomenologia, ovvero delle “nuove” strategie che mantengono le disparità: le
donne devono - ad esempio - rispettare in modo rigido i tre voti monastici della “pobreza,
castidad y obediencia” 267 . Esiste inoltre il limite di quella che chiamano “investitura
incompleta”: oltre alle prove normali, si continua a dipendere dal fatto che gli uomini in
quanto uomini ratifichino la qualità e l’idoneità di ciò che le donne fanno. Quando il
potere è nelle mani di una donna si ha una “detención vacilante” di esso (la “ur-jerarquÍa”
della “fratrÍa” continua ad agire); un’implicazione significativa è che le donne non possono
investire altre donne; il loro potere non è transitivo 268 .
Valore dell’associazionismo
Per raggiungere l’individualità una donna non puó comunque “fare da sola”: l’individualità
non si raggiunge individualmente.
“il femminismo è una forma di vivere individualmente e di lottare collettivamente” 269 .
Per trasformarne il significato non è sufficiente lo sforzo individuale, è necessaria una
lotta collettiva per l’individualità. Il momento del gruppo è indispensabile: sia la fase della
formazione di un collettivo di donne che la successiva solidarietà sono insuperabili.
264
265
Vd. LUISA MURARO, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991, p.98.
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.90.
266
267
Vd. NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.198.
Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.383-423 e AMELIA VALCÁRCEL,
La polìtica de las mujeres, Feminismos, tercera edición, Ediciones Càedra, Madrid 2004, pp.119-125.
268
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 429-431.
269
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.68. È una citazione di Simone
de Beauvoir.
78
Riconosciamo che l’isolamento delle donne è stato un elemento chiave del Sistema
patriarcale 270 . Essere donna ha sempre significato essere ascritte allo spazio pratico e
simbolico del privato: le donne erano segregate “geograficamente” (in casa) e
“mentalmente” (attraverso una pedagogia specifica, ad esempio).
Questo comportava non solo l’invisibilizzazione, il non riconoscimento della singola 271 , ma
la mancanza di dialogo e scambio fra le donne: “solo se relacionaràn tangencial y
esporadicamente” 272 . Ognuna stava nel suo ambiente familiare, senza condividere le
proprie esperienze con altre. Un’eccezione a questa regola poteva essere rappresentata
dal “vincolo femminile” che si cristallizzava attorno al puerperio e al periodo del parto
(periodo in cui le donne erano considerate massimamente pericolose) 273 .
Il rapporto di una donna con una sua simile non rientra nelle forme di rapporto
volute e pensate collettivamente. Non si insegna la necessità di curare specialmente i
rapporti con altre donne, né quella di considerarli una risorsa insostituibile di forza
personale, di originalità mentale, di sicurezza sociale. Si puó per questo parlare di uno
“stato selvaggio dell’umanità femminile” 274 .
La distruzione dei rapporti tra donne in generale, in primis con la madre è un elemento
non marginale del funzionamento del Patriarcato; agli uomini non piace l’idea di una
alleanza fra donne.
Non è innocente né banale che una riunione esclusiva di donne venga
“disconosciuta” in quanto tale (“siete sole?”, di fronte ad un gruppo di 6 donne), o
stigmatizzata. Capita infatti che essa sia percepita come non naturale – né culturale, e
descritta quindi come infraumana (paragondola a quella fra animali) 275 o sovraumane (si
inserisce qui il topos delle donne demonizzate come “streghe”) 276 .
Quando invece le donne cominciano a parlare e ad ascoltarsi, si organizzano e danno
270
Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,
pp.198 e seguenti.
271
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p. 212 .
272
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.197 etc.
273
Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.342.
274
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.169.
275
Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,
p.199 e seguenti. Le donne si paragonano ad animali, per esempio galline o pecore.
276
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 135, 438. Si parla di streghe
anche quando le donne fuoriescano dai ruoli convenzionali.
79
autorità, senza mediazioni maschili.
È stato un percorso parallelo a quello della fine dello scontro tra donne. Con le
donne che litigavano fra di loro, togliendosi autorità, non ci sarebbe stata opposizione al
potere. Rispettarsi, darsi credito (le une alle altre) e lavorare insieme è la formula più
efficace per interrompere il dominio patriarcale e tra l’altro migliorare l’autostima come
collettivo e come persone, senza scordare che “il potere di una donna individualmente è
condizionato da quello delle donne come generico”.
Le donne non hanno costituito una forza politica né esercitato un potere rilevante
nello spazio pubblico proprio per via della loro dispersione negli spazi privati. Il potere è
infatti in chi si riunisce: le donne dapprima isolate in singole case, sentono l’esigenza di
costituirsi in patti 277 .
Le forme di associazione femminile si sono comunque evolute nel tempo, attraversando
fasi storiche differenziate: nel caso del femminismo italiano, ad esempio, si nota il
passaggio da una prima fase prettamente “orale”, di incontro e scambio di opinioni, ad una
seconda fase dove, dopo l’autocoscienza e la pratica dell’inconscio, si giunse alla
cosiddetta “pratica del fare” 278 . La storia del femminismo è interessante non solo per via
delle nuove categorie e problemi proposti, ma anche per la molteplicità di figure che le
relazioni fra donne hanno assunto al suo interno.
Sebbene il concetto della relazione interpersonale sia antico, non fu ripreso
politicamente fino alla terza ondata del femminismo.
A partire dagli anni ‘70 del XX
secolo si insiste sull’oppressione comune sofferta da tutte le donne, al di là della classe,
della razza, della religione o cultura. La coscienza femminile della sottomissione dentro la
struttura patriarcale e la rivolta alla medesima riceve un nome iniziale: “sororidad”
(sorellanza). Tutte le donne diventano sorelle sotto la medesima dominazione e speranza
di cambiamento, rifiutando il ruolo che è stato assegnato loro nel copione patriarcale.
Siamo tutte identiche, tanto inadatte alla vita pubblica quanto idonee al privato, al
particolare e all’inessenziale, con volontà debole, condannate all’abnegazione e alla
dipendenza, incapaci di pensiero e di moralità, passive, consacrate alla generazione e
all’accudimento della prole, nonché provvidenzialmente incaricate della cura di casa, figli
e mariti? Su tutti questi punti, una volta “certi,” si avanzano imponenti dubbi.
277
Vd. CELIA AMORóS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.197 e seguenti; p.204.
278
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987.
80
Una ridefinizione provvisoria
Attualmente le identità delle donne non possono più essere (se mai lo sono state) preriflessive; la loro “honestidad intelectual” impedisce che si identifichino riflessivamente
con il “ser mujeres”. Saranno perció “identidades problemàticas”. Se anche si riesce a
mantenere una distanza intellettuale e pratica da questa “essenza” che ci viene
prescritta, non si improvvisa facilmente un ambito di pensiero e azione alternativo. Non
solo: vivere in contrasto col “proyecto-proyectado” è un compito complesso e duro per il
quale la società non prevede gratificazioni bensì sanzioni che possono avere effetto
dissuasorio. La “vivencia” del sesso-genere nella “reflexión pura” passa attraverso
l’articolazione di discorsi atti a smontare le eterodesignazioni di cui le donne sono oggetto,
e questa non è la maggior parte delle volte alla loro portata, cosicché queste identità
problematiche non sempre giungono ad essere identità critiche. La presa di distanza che si
richiede è resa ancora più ardua dal fatto che dovrebbe prodursi in mezzo ai collanti che
legano affettivamente le donne a coloro i quali le aggiudicano spazi costrittivi.
Le identità critiche salveranno dell’identità di genere ricevuta solo ció che possa essere
compatibile o ri-significabile a partire dai propri progetti individuali, nella “cuidadosa
tarea de selección y redefinición del bagaje normativo que les viene por la vìa de la
asignación adscriptiva”; quelle problematiche si accontenteranno invece di far combaciare
quei piccoli pezzi dei propri progetti individuali che non siano eccessivamente dissonanti
col progetto-proiettato che le definisce in quanto sesso-genere (di per sé del tutto ostile
allo sviluppo dell’individualità autonoma).
La pratica costante di risignificazione ha tuttavia le sue regole da seguire 279 .
Un concetto rinnovato di “donna” non deve necessariamente fondarsi sul dato
corporeo. La stessa duplicità fisica, per quanto si mantenga in ambito riproduttivo, puó
non essere più un punto di partenza saldo per l’elaborazione concettuale dei generi. Per
esempio i transessuali non possono essere ignorati: come stabilire a priori che chi non ha la
vagina non puó avere avuto esperienze paragonabili a chi ce l’ha?
“Donna” non ha perciò un significato univoco: non è dato attraverso la
determinazione di una caratteristica specifica ma attraverso l’elaborazione di una
complessa rete di caratteristiche. Chiarire il significato della parole è un atto politico,
stipulativo (e non meramente descrittivo); è uno sforzo inconcluso.
Notiamo che le affermazioni sulle donne emergono dalla nostra collocazione storicoculturale nonché dai nostri ideali per il futuro (ecco perché le femministe bianche
prendono in considerazione le richieste di quelle nere e non delle bianche conservatrici,
279
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 252-253.
81
pur possedendo tutte una vagina) 280 .
In maniera del tutto simile Celia Amorós afferma che “l’identità femminile è un
processo permanente di decostruzione e ricostruzione sempre provvisoria, è una forma di
esistenza riflessiva dell’essere donna con momenti di risignificazione, reinterpretazione,
stipulativi, che si forgiano come precipitato simbolico della stessa lotta per l’uguaglianza.
È identità femminista” 281 .
Ci accontentiamo di dire che la donna è essenzialmente persona, così come lo è
l’uomo, e per questo non puó essere spiegata esclusivamente come essere sessuale e
trattata solo come tale; è bandito qualsiasi riduzionismo 282 .
Né le donne né gli uomini si esauriscono nella sessualità come elemento dualistico: il
genere sessuale non è risolto dalla genitalità ed entrambi non esauriscono l'identità
sessuale che a sua volta non costituisce l'intera persona, e non spiega il mistero che
l'individu@ rappresenta 283 .
La maternità, un caso speciale
Il legame fra il femminile e il materno esiste: le due dimensioni non si possono
sovrapporre, né dissociare completamente 284 ; per questo motivo non possiamo non
prendere in esame questo delicatissimo tema.
Se il criterio gerarchico della società patriarcale fosse coerentemente biologico, le donne
starebbero in posizione dominante piuttosto che subordinata, perché non solo l’apporto
genetico è simmetrico, ma generano e partoriscono 285 . È paradossale che il “di più”
femminile sia stato sfruttato e considerato un “di meno”.
Questa capacità si è convertita in difetto in primo luogo attraverso l’ “ideologia dei due
mondi”: in quanto generatrice di corpi la donna è più legata alla Natura, e la Natura è
meno della Cultura.
280
Vd. LINDA NICHOLSON, Per una interpretazione di “genere” in Genere. La costruzione sociale del femminile
e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996.
281
Vd CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.141 (traduzione mia.)
282
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.29.
283
Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.31
284
Vd. SILVIA TUBERT, La maternidad en el discurso de las nuevas tecnologìas reproductivas in ÀNGELES DE LA
CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria
Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.114.
285
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.75.
82
Persino una delle incontestate madri del femminismo, una pensatrice del rango di Simone
de Beauvoir, resta ingabbiata in questo marcato androcentrismo del “pensiero”.
Afferma infatti che “l’uomo si innalza al di sopra dell’animale, non suscitando ma
rischiando la vita; perciò nell’umanità la preminenza è accordata non al sesso che genera
ma a quello che uccide” 286 . In realtà dare la vita comporta rischi (compreso quello di
morte): si possono contrarre delle malattie e subire delle conseguenze fisiche; ma
soprattutto si corre il rischio di stabilire il vincolo più forte esistente con un’altra persona
(si passa ad uno stato di relazione, comunicazione e responsabilità) 287 .
La “potenza materna” è stata espropriata e degradata a semplice veicolo materiale 288 .
Il lavoro materno, che con le sue attenzioni fisiche, materiali, e quelle psicologiche,
affettive, è finalizzato alla produzione di soggetti (non di oggetti), si è gerarchizzato come
inferiore alla produzione di oggetti.
Si dice che non serva intelligenza ma solo intuizione: in questo modo il lavoro materno si
sottovaluta, perché è come dire che non richieda sforzo, non abbia valore 289 . Si dice
inoltre che è un’esigenza per le donne, le quali verranno accusate di essere cattive madri
o snaturate se non dimostrano le forme di amore sperate. Esse dovranno subire la
paternalistica e benevola ridicolizzazione delle dimostrazioni materne d’affetto (orgoglio
materno, preoccupazione giudicata eccessiva, espressività esagerata, etc.) quando queste
superino le aspettative paterne (in particolare quelle di pediatri, maestri, psicologi): è una
maternità sotto vigilanza.
La maternità non è meramente biologica e dovrebbe istituirsi come fatto psicosocio-culturale trascendente. Non semplicemente perché la singola donna che scelga di
essere madre costruisca una relazione che è tutto fuorché banalmente naturale,
meccanicamente animale, con le sue figlie e i suoi figli (dà loro corpo e linguaggio ed il
loro rapporto è il primo rapporto umano, sociale), ma anche perché della maternità
possiamo scorgere una dimensione politica, economica etc.: la società è tale perché ci
sono gruppi di età minore da socializzare (solo che finora ogni nuovo essere lo si fa entrare
nella Cultura solo nel nome del Padre, a misura del quale è fatta la cultura stessa alla
286
Vd. SIMONE DE BEAUVOIR, Il secondo sesso, trad. it. di Roberto Cantini e Mario Andreose, Il Saggiatore,
Milano 2002, p.94.
287
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.8.
288
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, p.54.
289
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp.101-103.
83
quale tutte e tutti devono adeguarsi) 290 .
Benché i compiti della procreazione condizionino (non determinino) la situazione passata e
presente della donna, è facile immaginare che in un mondo che riconoscesse attraverso le
sue istituzioni sociali (linguaggio, educazione, leggi) “la importancia primordial e
ineludible” della riproduzione della specie, la sua situazione sarebbe diametralmente
opposta a quella assegnatale storicamente.
Il fatto fondamentale è la sottovalutazione o negazione del nostro contributo speciale dato
alla specie nei termini di creazione della vita (si occultano i costi della riproduzione e la
differenza biologica diventa svantaggio sociale). I progressi materiali (anticoncezionali,
biberon, etc.) non hanno valore liberatore se non si inseriscono in una società che dia alla
procreazione il suo giusto significato: essa è - come minimo - un lavoro socialmente
necessario 291 .
Sebbene la maternità resti inequivocabilmente una delle chance esistenziali degli
esseri umani di sesso femminile, non è per questo adeguato rappresentarla come suo asse
di definizione. Si sogna una donna “più completa” 292 .
È lento il percorso delle femministe che tentano di sganciare la definizione della donna
dall’unidimensionalità alla quale è stata per lunghissimo tempo relegata.
Come disse Emilia Pardo Bazàn 293 “el ser humano no es un àrbol frutal que sólo se cultive
por la cosecha”.
Occorre tenere presente che si sono utilizzate due strategie per consolidare l’equazione
donna-madre: non soltanto il disprezzo, ma anche l’elogio. Quest’ultimo è sibillino e
290
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, pp.79, 50.
291
Vd. SACRAMENTO MARTI, La maternidad. Punto clave para una perspectiva feminista, in El viejo Topo, n°
51, Barcelona diciembre 1980.
292
Vd. SILVIA TUBERT, La maternidad en el discurso de las nuevas tecnologìas reproductivas in ÀNGELES DE LA
CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria
Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.163.
293
Vd. NURIA VARELA, Feminismo en Espaňa. De la clandestinidad al gobierno paritario, in NURIA VARELA,
Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.137. Ovvero: “l’essere umano non è un albero da
frutto che si coltiva soltanto per il raccolto”. Emilia Pardo Bazàn (nata nel 1851) fu la prima a ricevere una
cattedra di Letteratura nell’Università Centrale di Madrid. La letteratura ed il matrimonio entrarono peró
molto presto in conflitto al punto che decise di abbandonare il marito e mantenersi fino alla sua morte con la
scrittura. Scrisse anche lei sulle donne (trattando tra l’altro di educazione e maternità). A proposito
dell’educazione delle donne, talvolta difesa sulla base dell’argomento che una certa cultura avrebbe reso le
donne migliori madri e più piacevoli mogli, ci lascia la suddetta riflessione. Al contrario di chi si preoccupa di
scorgere quella finalità, Emilia sostiene che l’educazione vada difesa di per se stessa, ribadendo che la
maternità è una condizione non necessaria dell’esser donna e denunciando come il destino relativo (implicito
nell’altro approccio) sia deprimente per la dignità umana.
84
dunque complesso da affrontare, perché puó non provocare un rifiuto diretto 294 .
Numerosi pensatori fra i quali Rousseau vedono le donne come le uniche capaci di allevare
i figli (e quindi naturalmente – giustamente dedite alla maternità in modo esclusivo) 295 .
Vari studi rivelano in che modo l’ideologia della maternità (biologica e poi sociale) sia
stata utilizzata–sfruttata per tenere a casa o in ambiti ben definiti le donne 296 .
Il famoso testo di Betty Friedan 297 fece risuonare il campanello d’allarme a proposito
dell’America del Dopoguerra, svelando gli interessi sottesi a “la mistica della femminilità”.
In quest’opera ella illustró come fosse stato dispiegato tutto un dispositivo propagandistico
su differenti piani perché le donne, che avevano occupato i posti di lavoro “degli uomini”
durante la guerra, al termine di quest’ultima tornassero “a casa”.
Il femminismo è allergico alle essenze, che riducono le donne ad una sola capacità,
e denuncia contemporaneamente la contraddizione fra l’esaltazione ufficiale e la
svalutazione nell’organizzazione sociale. Si lavora per una definizione di donna più
articolata, che non coincida con la maternità; al contempo si rivoluziona la stessa
immagine patriarcale della “maternità”, della quale si vogliono palesare le molteplici
dimensioni 298 : le donne non sono “ùteros con piernas”
299
.
La suggestione di liberarsi dal condizionamento biologico è un’attrazione fatale per le
donne confinate storicamente nella corporeità 300 . Lo conferma anche chi crede che le TRA
siano liberatorie (come se la donna ancora una volta fosse “riassunta” e “sussunta”
294
Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE
(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona
2004, p.25.
295
Vd. J.J. ROUSSEAU, Emilio, tr. Di Paolo Massini, Armando Editore, Roma 1981.
296
Cfr.
MARY
NASH,
El
aprendizaje
del
feminismo
histórico
en
Espaňa,
in
http://www.nodo50.org/mujeresred/historia-MeryNash1.html e MARY NASH, Pronatalismo y maternidad en la
Espaňa franquista, in GISELA BOCK y PAT THANE (eds.) Maternidad y polìticas de gènero: la mujer en los
estados de bienestar europeos (1880-1950), Colección Feminismos numero 31, Madrid 1996.
297
BETTY FRIEDAN, La mistica della femminilità, Ediz. Di Comunità, Milano 1964.
298
Cfr. SILVIA TUBERT, La maternidad en el discurso de las nuevas tecnologìas reproductivas in ÀNGELES DE LA
CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria
Mujeres y culturas, Barcelona 2004.
299
Vd. ÀNGELES DE LA CONCHA, La figura materna, un problema transcultural. Reflexiones sobre su
representación en la novela de autorìa femenina, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las
mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, pp. 167,
163.
300
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L”eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.90.
85
dall’organo di sesso) 301 .
In ogni caso, seppure è vero che la nostra capacità di gestazione si è utilizzata per
sottometterci, ció non significa che la nostra liberazione passi per l’utero artificiale (come
sosteneva Shulamith Firestone 302 ): “es algo asì como cortarte la cabeza sólo por que te
duele” 303 .
La prima realtà con cui fare i conti è una distribuzione diseguale dei carichi, dove noi
sopportiamo la maggior parte dei costi della riproduzione (anche con le TRA si mantiene
l’asimmetria m/f):
“la hembra de los mamìferos superiores, teniendo las mismas aptitudes que el macho,
debe renunciar a ellas en provecho de la especie a costa de su propria enajenación” 304 .
Per Shulamith Firestone l’unica alternativa per la liberazione sarebbe svincolarsi dal
compito riproduttivo.
Tuttavia la maternità in sé è neutra: in Natura non c’è un’intrinseca distribuzione di
potere. Non c’è ragione dunque perché la maternità diventi un principio di dominio né di
sottomissione: questo dipende dal codice di valori che impone la società e non dal fatto
biologico in sé.
Una delle elaborazioni più seducenti su questo tema è quella di Marìa-Milagros Rivera, che
legge la potenzialità materna, il “poter essere due”, come stimolo allo sviluppo di una
libertà femminile relazionale e non individualista. Questo “màs femenino” 305 , questa
capacità, data per caso ma necessariamente, è un’indicazione-indizio che si puó accettare
o rifiutare 306 .
Tuttavia bisogna esimersi dall’esaltare la potenzialità materna indiscriminatamente.
Dire che la capacità di generare è “questo potere così particolare”, “così squisitamente
301
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.180.
302
303
SHULAMITH FIRESTONE, La dialettica dei sessi, Guaraldi, Firenza 1971.
Vd. VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in
http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html
304
Vd. SACRAMENTO MARTI, La maternidad. Punto clave para una perspectiva feminista, in El viejo topo, n°
51, Barcelona diciembre 1980, p.27.
305
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000, Icaria Màs Madera,
Barcelona segunda edición 2003, p.47.
306
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de
Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, pp.107, 111, 113; MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La
diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005, pp. 20, 49; MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS,
El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y HORAS la editorial, segunda edición, Madrid
2001, pp.9, 12. La passività-ricettività del corpo femminile, intese come un dare e lasciarsi dare, sono un
valore; il corpo materno, in particolare, rappresenta la possibilità di unità: in esso si dissolve la dicotomia
dentro-fuori. Esso si trasforma in un invito alla relazione, un’apertura al dialago con l’altr@ da sè.
86
femminile”, “la caratteristica più specifica del femminile” 307 , indurrebbe ancora una volta
a vedere in essa il massimo orizzonte di realizzazione della donna. Osannando la maternità
potremmo
occultare
altre
potenzialità
umane
delle
donne:
non
siamo
esseri
monodimensionali.
Se è vero che la soggettività si radica nel corpo, è dubitabile che la potenzialità materna
sia la principale (esclusiva) caratterizzazione del corpo sessuato femminile (implicherebbe
ridursi-identificarsi nell’organo di sesso) 308 .
Il ruolo riproduttivo resta un “temibile risucchio di soggettività per le donne” 309 .
Chi si immedesima in questa ideale corrispondenza fra l’essere donna e l’essere madre e
non riscontra una tale armonia prestabilita nella sua esistenza, si ritrova infatti ad
infliggersi sofferenze e frustrazioni, come quella di cercare il figlio/la figlia “a tutti i
costi” 310 o quella di colpevolizzarsi se non fa dell’accudimento della prole il baricentro
della propria vita.
307
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, pp.53, 56, 59.
308
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.171.
309
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.113.
310
Vd. SILVIA TUBERT, La maternidad en el discurso de las nuevas tecnologìas reproductivas in ÀNGELES DE LA
CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria
Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p. 129.
87
CAPITOLO 6
LA NORMA DELL’UGUAGLIANZA:
INCOERENZE, PARADOSSI, EVOLUZIONE
Femminismo e Illuminismo, amore-odio
Entrare nel mondo come soggetti aventi pretese su di esso vuol dire percepire l’ingiustizia
dello stato “normale” delle cose, aver cambiato la percezione di se stesse nonché
possedere i mezzi materiali per “farsi valere”. Assumere ruoli extra-domestici significa
infatti voler essere riconosciute come individue ed esercitare al contempo un certo potere.
Tra le possibilità che si cercano come mezzi per raggiungere tali obiettivi, ma anche come
fini in sé, vi è un accesso paritario alle risorse intellettuali, economiche, politiche, etc.
Tutte queste cose che oggi ci appaiono pressoché ovvie non erano “date”: il movimento
femminista le ha ottenute lungo gli ultimi tre secoli.
La piattaforma filosofica che ha permesso questa rivoluzione è quella dell’Illuminismo.
Il femminismo in senso proprio risale al XVIII secolo e alla “cabezota” idea
dell’uguaglianza 311 . Quest’ultima è sempre un’astrazione, perché stabilisce una relazione
di equipollenza a partire da alcune caratteristiche che si decide di considerare rilevanti di
fronte ad altre che ci individualizzano.
L’uguaglianza puó essere incoerente/incongruente quando chi possiede la caratteristica
richiesta risulta esclus@ (vedi le donne dai diritti di cittadinanza) oppure non pertinente 312
se il parametro scelto non è considerato adeguato.
Il primo teorico del femminismo fu – ironia della sorte? – un uomo: Poulain de la Barre
(1673), cartesiano che riconobbe le implicazioni etico-politiche del pensiero del maestro.
Cartesio si rivolgeva a chiunque avesse capacità autonoma di giudicare, al di là
dell’istruzione ricevuta (ed anzi metteva in discussione la validità del sapere tradizionale
stesso): Poullain de la Barre ne trae la conclusione che le donne - possedendo il bon sens possono svolgere gli stessi incarichi degli uomini. Se il buon senso è condiviso da tutti e
tutte, allora tutti e tutte potranno considerarsi eguali.
311
Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),
Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000, p. 26.
312
Cfr. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS
(ed.), Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000 e CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas
consecuencias…para las luchas de las mujeres, Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer,
Madrid 2005, p.315.
88
Allo stesso modo Mary Wollstonecraft 313 critica che il sesso possa essere motivo di
esclusione dall’universalità razionale e morale e si chiede come mai questa astrazione, che
nasce dall’irrazionalizzazione delle gerarchie dell’Ancien Regime, mantenga un privilegio
di nascita. Se non c’è più “il diritto divino dei re”, perché resta “il diritto divino dei
mariti” 314 ?
Lo status non è considerato appropriato per fare distinzioni di grado fra esseri umani: il
parametro delle origini, sociali ed economiche, perde di valore. Tuttavia, del tutto
incoerentemente, si mantiene lo scarto fra chi nasca femmina o maschio: si confonde
perció Uomo con uomo.
Un nuovo orizzonte di universalità è perseguibile ed auspicabile dato che condividiamo
potenzialità essenziali come il logos e la libertà di decidere del nostro essere.
Si legittimano così le rivendicazioni, dato che si crede nell’applicazione errata di un
concetto universalizzante giusto. Gli ideali illuministici danno alle donne la sicurezza di
pretendere ragionevolmente l’accesso agli ambiti prima preclusi, ambiti del sapere-potere
che si guadagnano col movimento sociale prima, e politico, poi.
L’illuminismo è dunque il padre legittimo di un movimento di pensiero che dai suoi
ideali trasse la forza di esistere e con le sue promesse non realizzate ha il compito
costante di confrontarsi. Come scrive Amelia Valcárcel, «el feminismo es un hijo no
querido de la Ilustración» 315 . Restó infatti privo di riconoscimento e come tipico dei figli
illegittimi radicalizzó la sua identità polemicamente: esso rivendica l’universalismo
evidenziando l’incoerenza di chi pur avendolo postulato, non ne segue i principi (una linea
misogina e patriarcalista che va da Rousseau a Kant escluse le donne dalla cittadinanza e
arrivó persino a proibire che insegnassero loro a leggere).
Capiamo dunque in che senso il rapporto di amore-odio fra Femminismo e
Illuminismo sia centrale per le pensatrici del gruppo di Celia Amorós 316 .
Le pensatrici della differenza sono invece del tutto impermeabili a questo dibattito: è
compito delle donne e della loro politica esporsi in cerca della coerenza interna del
313
Mary Wollstonecraft, filosofa inglese, fu autrice nel 1792 di A Vindication of the Rights of Woman, una delle
prime opere della letteratura femminista, a favore dell’educazione delle donne.
314
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.138.
5
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, La memoria colectiva y los retos del feminismo, Naciones Unidas, Santiago de Chile,
2001, p. 8.
316
Celia Amorós crea nel 1987 presso l’Universidad Complutense di Madrid il Seminario Permanente "Feminismo
e Ilustración" per indagare sistematicamente le relazioni tra Femminismo e Illuminismo: è un rapporto
dialettico dato che il femminismo è illuminista nelle sue stesse radici ma risulta da una delle promesse non
mantenute dello stesso illuminismo.
89
paradigma politico moderno? Secondo Luisa Muraro proprio la risposta a questa domanda
segnala la linea di confine tra alcune femministe e le altre. 317
“Quiero la diferencia”
Se il femminismo di stampo rivendicativo situa la sua origine teorica e storica nel secolo
dei Lumi, è solo a partire dalla fine del XX secolo che si sviluppa quello che è stato
chiamato “pensiero della differenza”.
Il femminismo originario si è biforcato: le femministe dell’uguaglianza hanno visto
l’opposizione delle “sorelle insoddisfatte”. Questo fenomeno di “ripensamento” fu
globale 318 ed in Spagna sono gli anni 80 quelli che videro aprirsi la crepa 319 .
Secondo Celia Amorós non si rimase sempre sulle orme del tracciato originario per
via della profonda delusione cui un primo femminismo (di matrice emancipativa) andó
incontro – ovvero l’inadeguata risposta che il diritto e la legge seppero dare alle pressanti
domande delle femministe. È qui una delle molle decisive alla crescita e allo sviluppo
dell’altro femminismo, il quale non a caso professa (e lo fa espressamente) la sua
diffidenza nei confronti dei “pezzi di carta che si chiamano leggi o costituzioni” 320 .
La
frustrazione
generata
dalle
deficienze
della
Costituzione
del
‘78
fu
probabilmente una delle cause dello snervamento che pesó sul movimento nell’epoca in
cui si ebbe la frattura.
Le
pensatrici
della
differenza
dicevano
di
voler
elaborare
delle
forme
specificamente femminili di discutere e comunicare, convertendo gli incontri femministi in
feste che bruciassero i rigidi schemi di una programmazione e di contenuti marcati
dall’impronta del “patriarcale” (questo il punto di vista di Celia Amorós, una femminista
chiaramente “fedele” al modo tradizionale di fare politica e diffidente nei confronti del
nuovo atteggiamento). Tra i nomi spicca quello di Victoria Sendón e tra le parole di questa
317
Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.122.
318
Cfr. NURIA VARELA, La tercera ola. Del feminismo radical al ciberfeminismo in NURIA VARELA, Feminismo
para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005.
319
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista
igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y
postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997 e NURIA VARELA, Feminismo en Espaňa. De la clandestinidad al
gobierno paritario, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp.163-165.
320
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.179.
90
autrice “quiero la diferencia. Me repugna profondamente la igualdad” 321 .
Ci si chiede in che cosa si voglia essere uguali e si indica l’uguaglianza come il fantasma di
un mito nato dall’etica dello schiavo. Si nega un principio chiave per il femminismo che si
riconosce di matrice illustrata (quello di Celia Amorós e del suo gruppo): il principio
dell’uguaglianza fra i sessi. Esso diverrà il concetto più controverso.
Attualmente è assodato che il contrasto fosse per lo più fittizio: il contrario di uguaglianza
è disuguaglianza, e non differenza. Essere uguali non significa identiche/i.
Sebbene il senso di sconforto potesse essere comune a molte, le pensatrici
dell’uguaglianza paiono rimproverare alle “dissidenti” di avere “mollato la presa”, e, col
loro addio alle rivendicazioni, avere disattivato la logica interna al progresso graduale
delle conquiste di libertà per le donne. Si sarebbero insomma rifugiate in un separatismo
dai toni misticheggianti nonché essenzialistici e dagli imprudenti risvolti conservatori.
Del principale referente polemico Celia Amorós deplora che sia un pensiero
profetico, impreciso nelle sue descrizioni e con un biasimevole deficit di normatività 322 .
Luisa Posada Kubissa muove accuse analoghe alle pensatrici della differenza e con un tono
altrettanto contrariato sottolinea che il loro è un programma utopico o peggio retorico nel
quale avvertiamo la carenza di proposte concrete: promettono nuovi concetti,
relazioni, etc. ma non mantengono coerentemente
323
nuove
.
Sulla scorta del pensiero della differenza si transitano “le solite vie dell’evocazione”
mentre il progetto illuminista è un compito infinito che va seguito ed esplorato 324 .
Il rapporto conflittuale con le norme
Le norme influiscono sulla vita delle donne e nel XXI secolo resta molto da fare affinché si
“costituiscano” (riconoscano, sostengano, promuovano e rendano “costituzionali”) i diritti
delle donne.
Il punto di partenza condiviso da molte studiose odierne (tanto che sarebbe “needless to
321
Cfr. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista
igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y
postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997, pp. 419 -420.
Tradotto: “Voglio la differenza. Mi ripugna
profondamente l’uguaglianza”.
322
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.22, 23, 30, 326.
323
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.97-98.
324
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista
igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y
postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997.
91
say”) è che “women’s political status is crucial to the overcoming of their social and
economic subordination” 325 ; instaurare un dialogo-scontro col mondo delle norme è
risultato storicamente imprescindibile.
Si rinuncia tuttavia all’ingenuità del parallelismo fra miglioramento della legge e
miglioramento della società: il progresso costituzionale non è sinonimo di progresso
sociale 326 . Confrontarsi con le norme, dunque, è importante, ma non bisogna illudersi che
sia facile avere a che fare con esse, né che in alcun caso esse siano la panacea di tutti i
mali. Una delle cose da tenere sott’occhio, tra le altre, sono i mezzi necessari per fare uso
dei diritti stessi: alle donne spesso mancano le risorse per mobilitare la legge a loro
soccorso, nonché il sostegno e la conoscenza adeguati 327 .
Le prime donne a votare una Costituzione furono le australiane nel 1901 ed è in America
che dal 1920 si garantisce il diritto di voto a livello costituzionale (diventerà una tendenza
generalizzata solo nel costituzionalismo postbellico). Fra il 1980 ed il 1990 le donne sono
attive nel processo di rinnovo delle costituzioni, dimostrando di considerarle rilevanti.
Se da un lato i diritti costituzionali sono quelli che offrono più protezione alle
donne come gruppo, dall’altro hanno il limite di essere formulati in modo poco trasparente
e accessibile (sono astratti e dipendono dall’interpretazione dei giudici). L’astrattezza puó
dunque aiutare 328 o meno le donne; si tratta di una potenziale ricchezza o di un difetto a
seconda del punto di vista.
In certa misura la libertà della donna esiste anche senza ed oltre una codificazione
scritta che la legittimi e la giustizia reale non deriva automaticamente da quella formale,
ossia - per quanto “buona” possa essere una Costituzione - non è detto che abbia un
effetto pervasivo. Le carni che riempiono questo scheletro sono la pratica, le convenzioni,
gli usi e la tradizione 329 .
Così come si dice a proposito della Carta Europea dei diritti “it is just a piece of paper,
but its words are directed at varying audiences, and their meaning will be shaped by
325
Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005, p.20.
326
Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005, p.6.
327
Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter
of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004.
328
A questo proposito la Dichiarazione Universale dei diritti umani, essendo attualmente ‘il massimo livello di
astrazione’, è uno degli strumenti politici che deve essere ripensato e rielaborato.
329
Vd. ISABEL KARPIN and KAREN O’CONNELL, Embedded Constitutionalism, the Australian Constitution, and
the Rights of Women, in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005, p.23. La Costituzione altro non è se non “a skeleton”, uno scheletro.
92
various agents of interpretation, as well as by a heterogeneous public” 330 .
Lo studio comparativo dà conferme del fatto che il contenuto delle Costituzioni sia il
riflesso non neutro di quella che è stata la storia che le ha prodotte e che d’altro canto
un’azione diretta su di esso non è sufficiente (talvolta si raggiungono risultati all’infuori di
esso, talaltra un certo suo uso “rigido” pone di fronte a contraddizioni).
In linea di massima i “constitutional tools” 331 si presentano come armi a doppio taglio.
L’evoluzione del concetto di uguaglianza
La maggior parte delle costituzioni proibisce la discriminazione sessuale (anche se in realtà
si tratta di proteggere le donne); è una promessa chiara.
Ma cosa significa uguaglianza sessuale?
Ci sono vari significati di uguaglianza e due dottrine prevalenti: la “formal equality” e la
“separate but equal” 332 . Entrambe le teorie si appoggiano sull’assunto aristotelico che
vuole che si trattino i simili da simili ed i diversi diversamente; si preoccupano di
sottolineare quindi differenze e somiglianze, siano esse determinate biologicamente o
socialmente. Ció che le distingue è il tipo di strategia emancipativa.
Compare per prima l’uguaglianza formale. Secondo questa prospettiva il sesso di
una persona “reveals nothing about individual worth or autonomy”: l’obiettivo è un ordine
legale genericamente neutro, ovvero le donne trattate esattamente come gli uomini (la
gravidanza viene vista come un’eccezione e qualsiasi “azione positiva” viene letta come
forma di discriminazione verso gli uomini).
Doversi
rifare
all’uguaglianza
in
termini
comparativi
quando
i
parametri
della
comparazione sono stati stabiliti dall’uomo a partire dalla sua esperienza puó diventare a
quel punto un grosso problema 333 .
Una società del tutto “cieca al sesso” non è la soluzione, dato che la “neutralità”
tesse un’invisibile ragnatela nella quale si resta frequemente impigliate: è la “società
delle uguali opportunità di entrare in istituzioni maschiliste” 334 .
330
Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter
of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004.
331
Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005, p. 8.
332
Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005.
333
Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005, p.10.
334
Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano
1996, p.270.
93
L’uguaglianza nasce per creare parità dove lo squilibrio ha sempre visto la parte femminile
svantaggiata. Tuttavia con l’uguaglianza formale non c’è un accesso che sia proporzionale
alla formazione e agli sforzi delle donne: i meccanismi di esclusione si mantengono anche
se sono più sottili (e quindi più difficili da sradicare). Contro queste “sottigliezze” si
utilizzano azioni di discriminazione positiva, ovvero misure temporanee che correggono la
situazione di squilibrio (conseguenza di pratiche o sistemi sociali discriminatori) 335 . L’
aspirazione liberale ad un ordine legale neutro non è infatti sufficiente a mettere a fuoco
il problema: si riconosce perció che la proibizione della discriminazione sessuale ha come
scopo quello di eliminare uno svantaggio tradizionale delle donne e rimuovere le
differenze che le hanno situate storicamente in una posizione legale e sociale inferiore, sia
come risultato di azioni pubbliche, che di pratiche sociali.
L’argomento più diffuso contro le azioni positive è quello di chi dice “al potere
devono accedere i e le migliori, al di là del sesso”: l’ironia vuole che le femministe
desiderino la medesima cosa, non essendo però convinte del fatto che i migliori siano
sempre stati in tutte le istituzioni e in tutti i momenti storici gli uomini 336 .
Amelia Valcárcel sottolinea a questo proposito che nella popolazione occidentale “la
formazione necessaria” delle donne è persino più forte e profonda di quella degli uomini;
eppure si mantiene la distorsione per cui le posizioni di potere restano maschili. Ad
illustrare ancor meglio la situazione, la filosofa riporta l’espressione “grafica” (che risale
al femminismo degli anni ’80) del “techo de cristal”: “es como si realmente existiera una
barrera invisibile sobre las cabezas femeninas en una pirámide jerárquica, barrera que no
puede traspasarse mediante esfuerzos individuales” 337 .
La difficoltà che sorge con la cosiddetta “different equality” è opposta: chi
controlla le “azioni positive”? Chi puó stabilire quando sono paternalistiche? Le politiche di
335
Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005.
Le azioni positive, nate negli Usa negli anni 60, si utilizzano per facilitare la partecipazione di minoranze o
gruppi sociali esclusi. Si tratta in maniera disuguale ció che è disuguale per trovare un equilibrio: il fine è
l’uguaglianza di opportunità. Si applica e dovrebbe applicare a vari ambiti: principalmente lavoro, educazione
e partecipazione politica (le quote). La parità non è l’obiettivo, ma il punto di partenza (le regole del gioco
democratico saranno più giuste). Il primo governo di Josè Luis Rodriguez Zapatero (elezioni del marzo 2004) è
stato il primo governo paritario in Spagna, con un consiglio dei ministri composto da otto ministri e otto
ministre.
336
Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,
pp.192, 202-204. L’autrice riporta i dati della infra-rappersentazione delle donne in tutti gli ambiti, malgrado il
raggiungimento formale dell’uguaglianza; si chiede e ci invita a chiederci: “¿dónde están las mujeres?”.
337
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, La polìtica de las mujeres, Feminismos, tercera edición, Ediciones Càtedra, Madrid
2004, p.99.
94
integrazione possono rappresentare poco più che “la camomilla del vero male” 338 .
La retribuzione del lavoro domestico potrebbe ad esempio riconfermare i ruoli dei quali ci
si voleva liberare; la condivisione delle cure all’infanzia, pur alleggerendo il lavoro delle
donne, potrebbe pericolosamente rafforzare la misoginia - che invece, secondo alcune
pensatrici, troverebbe una “magica” soluzione in essa - o comunque non essere una
premessa sufficiente alla realizzazione di una sostanziale parità fra i generi 339 .
Tra le difficoltà ci sono dunque anche gli effetti perversi delle “buone intenzioni”,
ovvero l’eventualità che le cosiddette azioni positive ottengano l’effetto contrario a quello
desiderato ed anzi aiutino a perpetuare gli stereotipi sessisti dei quali ci si vorrebbe
sbarazzare (per esempio la naturale vocazione e/o obbligo delle donne verso i ruoli
familiari).
Le politiche di opportunità e quelle di tutela sono insomma le Scilla e Cariddi tra le
quali le donne hanno cercato di navigare, condannandosi allo smarrimento e alla
disperazione. Perché? Nel primo caso se si richiede a non-A (la donna, non-uomo) di essere
A, ci sarà lo svantaggio inevitabile di essere cresciuta con un’identità di genere diversa
ovvero con obiettivi, aspettative, responsabilità e sensibilità diversa; nel secondo caso la
distinzione netta fra A e B fa sì che le differenze non siano riconosciute come arbitrarie e
che si riconfermino i rapporti di potere tradizionali, ovvero le donne saranno protette a
costo di permanere in quello stato di minorità socio-politica dal quale volevano uscire 340 .
L’analisi del concetto di uguaglianza si è dovuta raffinare dal momento che una sua
rivendicazione “semplice” ha mostrato dei limiti: si cerca di ricostruire e rigenerare il
concetto primitivo a partire dalle contraddizioni cui ha dato origine.
Una terza dottrina, la più “avanzata”, parla di “uguaglianza sostanziale”. Non c’è
l’ossessione di identificare gli elementi di somiglianza e differenza. Si riconosce che
l’oppressione e la subordinazione della donna vanno comprese soprattutto a partire dalla
lunga storia di ineguaglianza delle donne in quasi tutte le aree della vita piuttosto che
essere inerenti al sesso come categoria concettuale.
338
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.27.
339
Cfr. BIRTE SIIM, Creare la democrazia: cittadinanza sociale e partecipazione politica delle donne nei paesi
scandinavi in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella
e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996.
340
Vd. ANNA ELISABETTA GALEOTTI, Teorie politiche femministe, in AA.VV., Manuale di filosofia politica, a
cura di S. Maffettone e S. Veca, Donzelli Editore, Roma 1996.
95
Il corpo-pensante negato reclama la sua parte
Sintomatologia del disagio
Un’uguaglianza “coerente” porta a paradossi e perversità: molte donne si riferiscono a sé
stesse col neutro-maschile (la Pivetti nel ‘95 insistette perché la si chiamasse
Presidente 341 ); gli uomini si richiamano alla bellezza del corpo femminile per negare o
porre in dubbio un altro tipo di meriti (si ricorda un caso biografico in cui per togliere
pregnanza alle parole della collega, un conferenziere fa un complimento ai suoi occhi ) 342 .
È come se i nostri corpi venissero sovraccaricati di senso da un lato, e negati dall’altro.
Essi,
“sobre-significados” e “hiper-normados” 343 , diventano centrali nei ruoli assegnati
(dove la donna è un corpo-oggetto posseduto e controllato: da tutti – la prostituta - ; da
uno solo, il marito/padre – la moglie/madre-; in attesa di esserlo e comunque sotto la
tutela del padre – la vergine -) mentre vi ci dovremmo rinunciare se volessimo agire
all’infuori di quelli (perché il mondo extra-privato è stato disegnato a misura d’uomo–
maschio e tutto ció che ruota intorno alla sessualità femminile e alla gravidanza ne risulta
evidentemente escluso a priori).
Inserire la donna nella società così com’è significa non mettere in discussione la società a
partire da sé donne, ma se medesime in funzione della società (di tradizione decisionale
maschile).
Dentro la società dell’emancipazione una donna avverte subito che “la sua
differenza umana costituisce una particolarità visibile quanto irrilevante”: è una donna ma
potrebbe essere un uomo e da mille indizi la società le fa intendere che per lei sarebbe
meglio esserlo veramente 344 . Il progresso è essere divise in due? “Il corpo di sesso
341
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de
Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p.59.
342
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de
Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p. 55.
343
Vd. AMELIA VALCÁRCEL, La polìtica de las mujeres, Feminismos, tercera edición, Ediciones Càedra, Madrid
2004, p.169.
344
Il caso storico del travestimento di Concepción Arenal potrebbe rendere perfettamente l’idea. Nata nel
1820, fu la prima donna spagnola a godere del diritto all’educazione e la prima ad essere premiata da
un’Accademia; tutto ció al prezzo di camuffare il suo essere donna.
Per studiare diritto nell’Università di Madrid si vestì infatti da uomo (molto più di una ribellione, dato che
l’Inquisizione fu abolita definitivamente nel 1834) e quando scrisse nel 1860 “la beneficiencia, la filantropia y
la caridad”, l’opera vincitrice del premio della Real Accademia de Ciencias Morales y Polìticas, la presentó
(astutamente) col nome del figlio di dieci anni, Fernando.
Collaboró al quotidiano “La Iberia” insieme al marito, e quando egli si ammaló, continuó da sola: Col decesso
del consorte- malgrado il suo migliore amico si fosse impegnato a dimostrare al direttore del giornale che a
scrivere era sempre stata lei (perché potesse continuare ad avere il lavoro e lo stipendio per mantenersi
96
femminile da una parte, soggetto pensante e sociale dall’altra, e fra le due neanche più il
legame di un disagio sensibilmente avvertito: lo stupro portato alla sua perfezione di atto
simbolico” 345 .
Il prezzo da pagare in cambio dei diritti è stato perció la rinuncia al corpo, l’ “oblio del
corpo femminile, vissuto come ostacolo e come ingombro” 346 , ovvero la povertà simbolica:
la libertà la possediamo per il sesso che abbiamo e non nonostante esso 347 . È questo “el
fraude de la igualdad” 348 .
I diritti delle donne attraverso i diritti “neutri”
Una delle principali difficoltà nel caso della rivendicazione dei diritti delle donne è quella
di doversi rifare ai diritti “tradizionali” per difenderli: questi ultimi però, poiché sorgono
“storicamente” insieme alla negazione dei primi, sono spesso inefficaci e si resta
imprigionate in contraddizioni. Un nodo cruciale è il riconoscimento della natura di
“deposito” storico-culturale e soprattutto morale del diritto: i diritti costituzionali nati per
esporre i valori fondamentali di una nazione, in nome di questi possono limitare - piuttosto
che esaudire - le richieste delle donne. Non si puó ignorare a questo proposito l’attrito che
la difesa delle libertà delle donne genera a contatto con le tradizioni e la religione.
L’aborto e l’offesa sessuale
La questione dell’aborto è esemplare a riguardo. C’è sempre il reclamo dello Stato per la
difesa costituzionale del diritto alla vita del feto.
In Spagna ad esempio, lungi dall’essere un diritto costituzionale, l’aborto è considerato un
crimine. È tollerato solo in tre casi: per evitare un serio danno alla salute o alla vita della
madre (aborto terapeutico); se si tratta di uno stupro (aborto etico); se il feto avrà seri
problemi fisici o mentali (aborto eugenetico). Tanto per cambiare, l’accento è posto sul
figlio e non sulle donne: ovvero esiste il problema del valore della vita e della protezione
del nascituro che si mettono in primo piano, in contrasto coi diritti delle donne.
L’embrione reclama la vita a prescindere dal corpo della madre, si autonomizza; è
insieme ai suoi due figli)- cominciò ad essere pagata la metà. Scrisse sulla situazione nelle carceri (la
delinquenza come risultato dell’emarginazione sociale) e pubblicó due opere sulla condizione della donna.
345
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.179.
346
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, pp.167-168.
347
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de
Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p.13.
348
Ovvero “l’inganno dell’uguaglianza”. Costituisce il titolo di un’opera di Marìa-Milagros Rivera.
97
individuo: una visione sacrale del concepimento fa sì che pur avendo un’età compresa fra i
15 gg e i 2 mesi, l’embrione abbia già status morale e giuridico (è forse il desiderio di
affermare retrospettivamente il proprio interesse assoluto ad esistere a motivarla?) 349 .
La biologia impone un concetto di vita (vita = zigote) che non ha niente a che fare
con l’esperienza di creazione del figlio che cresce nella madre 350 . Parlare di autonomia del
feto o del feto come proprietà della donna genera barriere concettuali: c’è una situazione
particolare ed irripetibile che lega la donna al concepito; è una relazione sui generis.
Tuttavia è assurdo che il feto sia parificato a chi è già nato 351 , e anzi valga pure di
più. Non c’è conflitto tra due soggetti uguali, bensì schiacciamento della donna a favore
del feto (cittadino da tutelare fin dal concepimento) 352 . Tra le conseguenze perverse del
feto-persona oltre al ben noto “dovere della donna a generare” 353 potrebbe giustificarsi
una certa invadenza nello stile di vita della gestante (in nome dei diritti del non-nato).
Anche l’offesa sessuale (stupro, prostituzione, pornografia, adulterio, assassini
d’onore, discorsi d’odio, discorsi sessisti, molestie sessuali) rappresenta un ambito
controverso. Non c’è protezione dell’autonomia sessuale a livello costituzionale. Alcuni
uomini hanno perfino sfidato la criminalizzazione dello stupro ed in generale fatto leva
sulla presunzione di innocenza, la libertà di espressione, l’onore etc.
In Spagna le molestie sessuali sul lavoro sono state sanzionate come offese alla
Costituzione solo molto recentemente e sulla base del diritto alla privacy piuttosto che
sull’uguaglianza o sul diritto all’integrità morale. La molestia avrebbe quindi a che vedere
con una sfera privata quale quella della sessualità per cui l’imposizione del sesso
violerebbe la privacy. In realtà il sesso imposto non è sesso (per lo meno non per chi lo
subisce) e non ha senso che sia protetto. È semmai più vicino alla violenza e
all’umiliazione. Si è lasciata aperta la possibilità di considerarla come discriminazione
sessuale indiretta, dato che è evidente che colpisce più donne che uomini.
Un’altra situazione delicata è quella della difesa delle donne dai discorsi sessisti. In
questo caso tutelarsi significa ridiscutere la libertà di parola e di stampa, appellandosi a
349
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp. 132, 144.
350
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.63.
351
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.137.
352
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.147.
353
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p 146.
98
privacy ed onore, nel senso di rispettabilità sociale, reputazione e dignità. Tuttavia il
mancato richiamo all’articolo 14 (quello che in Spagna assicura l’uguaglianza fra i sessi)
non sottolinea la natura collettiva del danno operato dai discorsi sessisti e rifarsi al diritto
all’onore non è una garanzia sufficiente, dato che la cultura decide i confini di ció che è
“rispettabilità sociale”, ed essa risulta impregnata di stereotipi sessisti 354 .
Il caso della pornografia che eroicizza la violenza contro le donne ad esempio andrebbe
riconosciuto come pratica anticostituzionale nel suo colpire le donne come gruppo nella
loro integrità fisica e morale.
Anche le conquiste fatte nel caso del riconoscimento della paternità e del sostegno
dei figli presentano un limite dello stesso tipo: non si riconoscono come preoccupazioni
delle donne, piuttosto come necessità dei figli. Non è discriminazione punire le donne per
la loro biologia forzandole a sostenere il peso psicologico ed economico di tirare su i figli
come madri single? Gli uomini possono essere esentati dalla condivisione dei doveri?
“VacÍo de la norma” o compromesso?
Considerate le difficoltà di questa interazione (donne-norme), ci chiediamo: siamo
realmente costrette ad abbandonarla? Siamo davvero sprovviste della capacità di trovare
una via d’uscita? Esiste “una terza via”, oltre la rinuncia e l’omologazione?
Come ben sappiamo il mondo pubblico si è formato a partire dall’esclusione delle donne,
confinate nell’ambito del privato, ed orientate “esistenzialmente” al mantenimento di
quest’ultimo, indispensabile sostentamento del primo. Come stupirci di non ritrovare in
esso (mondo pubblico) alcun interesse per le loro esigenze specifiche? La società
patriarcale si erige sull’ignoranza e sul disprezzo della voce e del corpo femminili.
Se dovessimo seguire il pensiero della differenza, sosterremmo il “vacÍo de la
norma”, una sorta di separatismo indispensabile dato che “las armas del amo no
desmanteleràn nunca la casa del amo”. Per avere reale libertà bisognerebbe, secondo
queste pensatrici, rinunciare alle rivendicazioni che piuttosto perpetrano l’immagine della
vittima, esaurendo le energie umane delle donne (ed utilizzando per di più il discusso
metodo della rappresentanza). Le donne che si muovono all’interno della politica
354
Vd. NURIA VARELA, El cuerpo de las mujeres. El botìn màs preciado, in NURIA VARELA, Feminismo para
principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp. 274-275. Cfr. RUTH
RUBIO MARìN, Engendering the
ConstItution. The Spanish Experience, in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and
R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005. È esemplare a questo proposito l’esempio addotto in questo
saggio. Si tratta de “il caso Playboy”: ció che una donna, nella fattispecie Ana Obregón, considera un insulto è
visto come “complimento oggettivo”, ignorando il fatto che ridurre una donna ad oggetto sessuale è un insulto
per quanto uno intenda fare complimenti alle qualità dell’oggetto. Non è la qualità degli attributi sessuali ma il
fatto di ridurre la persona ad essi che è “truly offensive”.
99
tradizionale sarebbero in realtà come clandestine in un mondo dove non possono integrarsi
se non a costo dell’omologazione agli uomini 355 , ovvero a costo della perdita della loro
differenza (l’incastro è sempre mal riuscito per una donna che si muove in una società
modellata sul paradigma della mascolinità spacciata per universalismo): l’universalismo
spesso si ritorce contro le donne giacché esse tentano di esprimere i loro bisogni parlando
un linguaggio che non è il loro 356 .
Questa visione pessimistica puó stemperarsi col fatto che l’ingresso consapevole
delle donne nel mondo che era loro precluso puó far cambiare le cose. Se è vero che hanno
rischiato di farsi schiacciare dai modelli predominanti (quindi androcentrici e talvolta
misogini), questo puó giustificarsi col fatto che la troppa “fame” 357 le abbia “accecate”.
Tuttavia rendersi conto di questi limiti non significa abbandonare il percorso svolto, ma
continuare a lavorarci pazientemente.
Così come è indubitabile che i testi giuridici siano imbevuti di cultura (patriarcale), è
presumibile e desiderabile che una rivoluzione culturale autentica porti a ridiscutere i
termini del “vecchio”, facendo sì che vi si sedimenti “il nuovo”.
La consapevolezza del fatto che l’arma che si vorrebbe utilizzare (le norme) non possiede
la neutralità che ci si auspicava non pregiudica l’ottimismo: l’obiettivo è affinarla per
migliorarla e – soprattutto - per poterne fare effettivamente uso senza che si ferisca da sé
chi desiderava difendersi con essa.
“our primary goal is, in short, to identify, sustain and promote the constitutional norms
and strategies that will achieve (corsivo mio) gender equality for women” 358 .
Anche per chi crede nella legge (così come per le più disincantate autrici di Non
credere), si parte da “pezzi di carta” che senza la volontà di essere “presi sul serio”
restano tali: “words on a piece of paper do not have life of their own but need
interpretation and implementation. However, they also need an aura, to be symbols, in
order to create the willingness to take them seriously” 359 .
355
Ancora una volta è illuminante l’immagine storica di Concepción Arenal. Cfr. inoltre MARìA-MILAGROS
RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005, p.141. L’uguaglianza è
intesa come astrazione della differenza sessuale e quindi un “penoso e lungo cammino” verso l’omologazione.
356
Qui sarebbe opportuno rispondere con la riflessione di Celia Amorós esposta precedentemente: non si puó
rinunciare all’universalismo.
357
Si parla della “fame di universale”. Cfr. paragrafo “Rigenerazione dell’universale: hambre y olfato” nel
capitolo successivo.
358
Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005, p.5.
359
Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter
of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004,
p.87.
100
L’atteggiamento non è solo critico, ma costruttivo; non c’è affatto rinuncia: “challenge” è
la parola chiave 360 .
D’altronde un’idea fertile è che “life forms law and law forms life, as interdependent
dynamics” 361 : la legge è un fatto culturale e sociale. Non c’è astoricità-idealità, per cui la
storia della norma ha a che fare con chi ha definito il suo testo e la sua interpretazione
(per molto tempo le donne ed altri sono stati trascurati): va evidenziato che questi
meccanismi (di inclusione ed esclusione) sono contingenti e la legge svolge il suo ruolo nel
crearli e disfarli.
I diritti delle donne attraverso i diritti delle donne
È innegabile, come abbiamo precedentemente detto, che capiti di dibattersi con l’utilizzo
di mezzi impropri o insufficienti quando i diritti delle donne ancora non sono riconosciuti di
per se stessi e si cerca di difenderli attraverso derivazioni da altri: è così che ci si trova
allora impantanate in conflitti, tensioni ed aporie.
Così come ci fa notare Ruth Rubio Marin nel suo studio sulla Costituzione spagnola, esiste
una difficoltà ad articolare i diritti delle donne come tali ed è qui che si nota la povertà
del paradigma egualitario originario. In vista del benessere delle donne non basta
estendere i diritti dei quali hanno sempre goduto gli uomini al gruppo storicamente
discriminato, ma occorre riconoscere la presenza di diritti specifici per non cadere in
quelle trappole logiche che rendono invisibili determinate esigenze condivise da tutte le
donne come gruppo.
Le rivendicazioni comuni, al di là delle particolari situazioni nazionali, sono tutte legate in
modo diretto od indiretto alla capacità riproduttiva e alla sessualità, nonché alle disparità
frutto di secoli di segregazione.
Le donne agiscono soprattutto su ambiti come: gravidanza e discriminazione
lavorativa; violenza domestica; sottorappresentazione politica; crimini sessuali e/o le loro
procedure di accompagnamento; matrimoni ingiusti; divorzio; regole di successione.
Eppure sono molto poche le costituzioni che parlano dei diritti riproduttivi (vitali per le
donne come individui e come gruppo)
362
. Le questioni connesse (aborto, contraccezione,
sterilizzazione, fertilizzazione in vitro, ecc.) sono spesso criminalizzate e in assenza di tali
360
Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005, p.3.
361
Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter
of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004,
p.98.
362
Vd. The gender of constitutional jurisprudence, edited by Beverley Baines and Ruth Rubio-Marin, Cambridge
University Press, 2004.
101
diritti si tenta di sostenere il diritto delle donne a controllare il proprio corpo utilizzando
altri diritti (normalmente riconosciuti): sicurezza della persona, libertà, uguaglianza,
privacy, libero sviluppo della personalità di ciascuno, integrità fisica, dignità umana,
integrità fisico-morale, libertà di pensiero e credenza.
I Diritti Umani sono, con alta probabilità, il luogo principale sul quale agire: è lì che
ancora più manifestamente la società (con potere) dice ció che considera inalienabile ad
un essere umano ed è dunque lì che si gioca probabilmente la sfida. Benché essi si fregino
dell’intento di costruire la comunità che comprende tutte/i, la verità è che è sempre
attiva una logica di inclusione/esclusione (discriminazione). Occorre fare luce sugli abusi
che sorgono specificamente in relazione al sesso come la schiavitù sessuale femminile, la
violenza contro le donne, i crimini “di onore” o i “crimini familiari” così come il
matrimonio forzato, la mutilazione genitale, l’aborto (diritto negato in decine di paesi,
controllato o legalizzato nella maggior parte e convertito in delitto in buona parte del
mondo).
Per superare l’androcentrismo del mondo “pubblico”, delle norme (di ciò che solevamo
considerare neutro-neutrale) non è sufficiente permettere che vi siano comprese
formalmente
le
donne:
diventa
indispensabile
controbilanciarlo
con
un
certo
“ginocentrismo”. Si tratta di trasformare il concetto dei diritti umani da una prospettiva
femminista passando per quell’affermazione “tan obvia como utópica” 363 per cui “i diritti
delle donne sono diritti umani”. Un’esigenza primaria è che si riconosca l’ambivalenza di
tale assunto (esso indica due cose): da una parte i diritti formulati al maschile devono
estendersi alle donne; dall’altra, ci sono diritti specifici delle donne (quelli sessuali e
riproduttivi). Si sta confermando l’impossibilità di un ingresso in sordina delle donne in un
mondo disegnato da altri. È una reazione chimica incessante quella per cui la presenza
femminile corrode e rigenera il “già dato” in un processo continuo che non puó non
intaccare le stesse norme, per quanto esse siano state tendenzialmente nemiche delle
donne ed ancora oggi si mostrino ostiche da addomesticare e piegare ai propri interessi.
363
Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,
p.201.
102
CAPITOLO 7
UN NEUTRO PROBLEMATICO
Tutte sono d’accordo sul fatto che la soggettività neutra di cui si è sempre parlato, tanto
neutra non sia. Ci si spacca subito dopo la scoperta rispetto al come reagire ad essa: c’è
chi continua a credere nella possibilità di un universale neutro (da ricostruire con le
donne, prima escluse); c’è chi rifiuta la possibilità stessa di questo soggetto neutraleasessuato, nella convinzione che la differenza donna-uomo non possa essere trascesa.
Di fronte ad un neutro contraffatto, ci si chiede se sia possibile rimodellarlo affinché si
perfezioni la sua “neutralità mancata” o se il neutro in sé sia una chimera.
Dovremmo capire fino a che punto il dato della differenza sessuale vada a
confliggere con le pretese universalizzanti.
Il valore del genere nell’identità è assodato (è uno dei dati coi quali dobbiamo “scontrarci”
e “riconciliarci” in qualche modo); peró fino a che punto dobbiamo estendere la questione?
La visione sessuata della realtà è utile per comprendere i falsi universalismi che
“proteggono” il patriarcato: in ragione del sesso si è giustificato un assetto diseguale del
potere a scapito delle donne.
Tuttavia la differenza fra i sessi che illecitamente si traduce in disuguaglianze assiologiche
deve o meno portare a rivalutare “la differenza” come determinante di tutto l’agire e il
pensare umano?
L’incommensurabile peso della differenza
La
differenza
sessuale
è
“originaria”,
un
“concreto
ed
essenziale
differire”;
“imprescindibile”, un “da sempre già dato così e non altrimenti”; è “ció che è inscritto
necessariamente nel concreto esserci di ciascun umano vivente”; è un “fatto
fondamentale” ed “evidente”, “originario ed essenziale”, “vero in ogni luogo geografico
ed in ogni tempo storico” 364 .
La sessualità chiama in causa l'essere stesso della persona, inerisce cioè, alla sua
ontologia, investe il senso e il significato del suo stesso esistere (se non altro perché non si
puó esistere che come esseri sessuati) 365 . Cosa ci assicura, del resto, che ne sia il nucleo?
364
Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle
donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier,
Torino 1998, pp.180-183.
365
Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.3.
103
Si puó per questo arrivare a dire che sia un “reale principio fondativo” 366 ? Il fatto che sia
non oltrepassabile, bensì irriducibile, è sufficiente a che si presti ad essere un “significante
inesauribile”?” 367
Suonano ancora più estremistiche le parole che si riferiscono alla differenza femminile
come ció che “si radica nel suo essere non come un che di superfluo o un di più ma come
ció che essa necessariamente è: appunto donna”.
Parlare di necessità è forse imprudente. Forse è una necessità sociale: la società
vuole che siamo o donne o uomini. E probabilmente l’unica autentica necessità per
mantenerci “differenti” è quella della riproduzione. In ogni caso sapere della propria
differenza femminile e riconoscerne la necessità non ci dice ancora niente su ció che
“donna” debba significare (o meglio, la cultura ci ha detto fin troppo bene cosa significhi
ed il femminismo opera laboriosamente affinché questi sensi mutino).
Secondo Marìa-Milagros Rivera l’esperienza di vivere in un corpo di donna non è
l’esperienza di vivere in un corpo di uomo: essere fisicamente diversi implica avere
esperienze diverse 368 .
Benché uguali nel valore, saremmo sostanzialmente differenti 369 .
Da un punto di vista ancora più nettamente ontologico Wanda Tommasi afferma “L’Essere
non è neutro”. Di conseguenza la differenza donne- uomini esiste anche nella vita della
mente 370 . È o meno “eccessivo” parlare di una verità sessuata 371 ? Il sesso influisce sulla
conoscenza prodotta 372 ?
Affermazioni come “il pensiero finora non è stato neutro, ma sessuato al
366
Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle
donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier,
Torino 1998, p.175.
367
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, p.37: “la differenza sessuale, proprio nella sua irriducibilità, nell’opacità del corpo
che la rende non oltrepassabile, è un significante inesauribile”.
368
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
p.12.
369
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
p.14.
370
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, p.7.
371
Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.179.
372
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
p.16. La pensatrice spagnola sostiene esattamente questo: il sesso influisce.
104
maschile” 373 ed “il pensiero maschile si dichiara universale” 374 sono un chiaro invito a
“portare il non detto del corpo femminile muto alla parola”, “dare mondo al desiderio
femminile”. Ció che si sostiene è che “il sapere legato al corpo femminile” fosse
consegnato all’insignificanza, al silenzio o al massimo al linguaggio del corpo isterico 375 .
È
vero che il “pensiero” è stato finora prodotto da menti(-corpi) maschili che hanno
pensato in maniera fortemente parziale, ed hanno tuttavia stimato di parlare in vece del
genere umano tutto. Ma la “soluzione” è che ci siano due visioni del mondo (una femminile
ed una maschile)? Gli uomini devono necessariamente parlare solo di uomini e le donne
solo di donne? I due punti di vista sono irriducibili?
Non basta che ognuno dei due generi si assuma come particolarità se non si pratica
una maggiore onestà intellettuale, tale da rivedere l’universale stesso.
Il genericamente umano non è una finzione in sé ma un buon progetto da realizzare.
Le pensatrici della differenza esagerano questo aspetto della duplicità sessuata del genere
umano a scapito di un giusto universalismo che abbia come base l’individu@ come unico
ens realissimus. L’idea di soggetto neutro sarebbe di per sé stessa ingannevole, un’ipotesi
irrealistica ed ingenua. Questa astrazione farebbe perdere simbolico, ovvero senso della
vita e delle relazioni 376 .
È vero che il concetto di “persona” non è qualcosa che ci libera (di per sé) e la differenza
sessuale non è (di per sé) un peso, un impedimento. La differenza sessuale non è nemmeno
una mera appendice biologica (sappiamo delle stratificazioni culturali dove naturale e
sociale si sono attorcigliati) ed è giusto non occultarla, ma ció giustificherebbe la
costruzione di “due pensieri”? 377 Non è più proficuo cercare punti di incontro?
373
Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle
donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier,
Torino 1998, p.175.
374
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.51.
375
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, pp.31-32.
376
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005, p
23.
377
Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle
donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier,
Torino 1998, pp.128-9.
105
È possibile coabitare l’ “umanità”?
L’essere umano deve essere due in tutti gli ordini o solo sulla base di una duplicità
anatomica-fisiologica 378 ?
Poiché la stessa linea di demarcazione fra donne e uomini è
opinabile, tra i due sessi converrebbe lasciare aperto un ampio spettro di capacità,
comportamenti, etc. senza qualifica sessuale, come terra di nessuno e di tutte/i, territorio
neutro: dominio della persona in quanto tale.
Bisogna uscire dal bipolarismo che oppone il proprio del maschile al proprio del femminile,
sia nell’ottica dell’antagonismo che in quella della complementarietà:
“el hecho de ser humano es infinitamente màs importante que todas las singularidades que
distinguen a los seres humanos”
379
.
Alle italiane che si scagliano contro l’universalità, e dicono “ad ognuno il suo” Celia
Amorós assai provocatoriamente chiede: chi distribuisce? 380
Se il genericamente umano viene visto come un trucco-artificio non ha più senso
rivendicare nulla: se categorie come individuo, cittadino, soggetto, universalità,
oggettività fossero mere menzogne maschili, ci troveremmo senza la piattaforma che
serviva da referenza per pretendere uguaglianza (rivendicarla significherebbe identificarci
con gli uomini, essere uomini) 381 . Per parlare di discriminazione occorre essere d’accordo
sul fatto che la specie umana è un tutto 382 . Se l’universale, insomma, è intrinsecamente
maschile, sarà giusto che continuino a riservarselo gli uomini; altrimenti rinnegheremmo il
nostro valore in quanto donne.
Luisa Muraro parla del “fantasma dell’usurpazione”. È come se le femministe
dell’uguaglianza dicessero: ció che ci manca ci è stato rubato dagli uomini e loro potranno
378
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.98.
379
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.353. Si tratta di una citazione
di Simone de Beauvoir.
380
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.31, 46, 358.
381
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.208-209 e CELIA AMORÓS,
Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.), Feminismo y filosofìa,
Ed. Sìntesis, Madrid 2000.
382
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 291-293.
106
restituircelo 383 . Si nega la necessità di rivendicare l’universale (mentre il femminismo da
tre secoli percorre quella strada) seguendo la logica per cui, dato che gli uomini non hanno
l’identità umana femminile, che è ció che vogliamo, non ha senso chiedergli nulla.
Celia Amorós distingue invece, proprio a partire dalla categoria di rivendicazione, fra un
femminismo in senso ampio e un femminismo in senso ristretto 384 .
Seguendo il punto di vista della differenza, la “soluzione” per non “disidentificare
la donna” consisterebbe nel reclamare la differenza, affermando con orgoglio la nostra
(supposta) particolarità come donne – è problematico stabilire quale sia —. È un trattato di
pace, un messaggio tranquillizzante per gli uomini, dato che significa rinunciare al potere
sul mondo (il nostro regno simbolico non è di questo mondo). È come dire: lasciateci solo
giocare in pace 385 .
Il luogo comune delle donne che vogliono essere come uomini si spiega con
l’appropriazione indebita dell’universale-neutro da parte dei maschi 386 : dal momento che
gli uomini hanno decretato i caratteri di razionalità e moralità - ad esempio - come base di
un’idea chiave di umanità cui ispirarsi, le donne - che godono delle medesime capacità affermando di possederle, si starebbero “mascolinizzando” poiché da questo ideale erano
state estromesse a priori.
Il problema non sta nel concetto di Umanità, ma nell’avere escluso metà del genere umano
383
Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998. LUISA MURARO, Oltre l'uguaglianza sta in DIOTIMA, Oltre l'uguaglianza.
Le radici femminili dell'autorità, Napoli, Liguori 1995.
384
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.227-229. Il femminismo in
senso ampio è qualsiasi posizione che si mostri favorevole alle donne, che apprezzi come positivo tutto ció che
si considera convenzionalmente femminile etc. In molti casi si prescinde da un atteggiamento critico rispetto ai
sottintesi degli attributi tradizionali, si cerca di preservare le donne dalla corruzione che il potere implica e/o
si vogliono mantenere il maschile ed il femminile in sfere separate. In questa definizione ampia ricadono anche
i cosiddetti femminismi della differenza (sia essenzialisti, alla ricerca di un’origine o modello primitivo, che
decostruttivisti, propulsori di una simulazione parodica e della moltiplicazione dei generi, con pretese
trasgressive). In una definizione ristretta è invece chiave la componente rivendicativa. In questo caso si puó
individuare un protofemminismo ed uno vero e proprio che richiede certe conquiste storiche: si deve essere
giunti a delle astrazioni universalizzanti sul genere umano che abbiano abbandonato la logica dei privilegi per
nascita, a favore del merito.
385
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998.
386
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.212.
107
dalla sua definizione:
“las mujeres reclaman de los varones, no, obviamente, lo idiosincràtico de la
identidad mascolina –sea ello lo que fuere -, sino la parte que estiman que les corrisponde
en
lo
genericamente
humano
que
monopolìsticamente se han atribuido”
los
varones
han
definido
a
la
vez
que
387
In realtà nell’umanità astratta vi sono i concetti di individualità, cittadinanza,
essere soggetto morale e politico che non possiamo cedere serenamente agli uomini: le
astrazioni sono in realtà patrimonio di entrambi i generi 388 : sarebbe come buttar via il
bambino con l’acqua sporca 389 .
Uomo e donna non sono abusivamente ridotti ad uno 390 .
La decostruzione del genericamente umano come una mera mistificazione, prodotto della
complicità di androcentrismo ed etnocentrismo ci toglie ogni punto di riferimento: che
criterio potremmo seguire per scegliere le produzioni culturali? Non avremmo alcun
universalismo.
È stupido rifiutare in blocco tutto ció che è universale solo perché fu definito dagli uomini.
Il nostro obiettivo è di rifiutare il travestimento universalista del maschile e non ogni
universalismo 391 .
La cosa negativa è che finora questo ideale sia stato costruito senza le donne, che
dovrebbero reclamare la loro parte. Si tratta quindi di far sì che la specie umana smetta di
essere “ese club tan restringido”. Le donne vogliono essere (ed essere riconosciute) parte
attiva di “un mundo que sin nosotras no puede considerarse humano” 392 .
“lo genericamente humano no es un referente de identidad sino una idea reguladora para
todos los individuos con sus respectivos referentes identitarios. El significado de lo humano
tout court ha de valer para todos y todas. La especie humana es tanto un dato como una
387
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p. 228.
388
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.209-210.
389
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.133.
390
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp. 90-91 .
Discute la posizione di Irigaray, che invece sostiene esattamente il contrario (l’unità è abusiva).
391
Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),
Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000.
392
Vd. NURIA VARELA, ¿què es el feminismo? La metafora de las gafas violetas, in NURIA VARELA, Feminismo
para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.21.
108
tarea. Lo que no es, en absoluto, es un mero flatus vocis” 393 .
Si puó mantenere la posizione di un nominalismo moderato, anche in questo caso. Il
concetto di “umanità” così come quello di “donna” non è stato definito una volta per
tutte: entrambi si prestano ad essere modificati (e migliorati). È imprudente abbandonarli
completamente, rigettandoli solo perché ammorbati da difetti.
L’universalizzazione dei valori
“Un modello culturale duale implica la negazione che possano esserci molteplici modelli od
un solo modello recepito in modo diverso da autentici individui ed individue. Individui ed
individue che non sono identici fra loro ma la cui diversità non puó rispondere al rigido
modello di due culture differenti alle quali si ascrivono in modo naturale e secondo le quali
agiscono e vengono valutati” 394 .
I valori devono essere validi per l’Umanità, c’è la necessità di universalizzazione (se un
valore “vale”, vale per tutte/i): quelli che erano i valori maschili, se lo sono davvero, che
lo siano anche delle donne; viceversa, se esistono “valori femminili”, che siano
condivisibili con gli uomini. Basta con i “valori” specifici per le donne 395 .
Per questo non basta dare valore positivo a ció che era disprezzato, se continuiamo ad
etichettarlo come “femminile” o “maschile” (cosa che le pensatrici della differenza
tendono a fare): si ricascherebbe nei dualismi essenzialistici del passato.
In ogni caso “el discurso etico feminista o se universaliza o se pudre, y no precisamente
para fecundar la tierra” 396 .
L’universalizzazione dei valori non sarà motivo di “confusione” fra i generi. Accade come
sostiene Marìa-Milagros Rivera: i valori non sono entità astratte, si incarnano. Per questo
motivo la forza e la dolcezza di una donna saranno valori femminili, quelle di un uomo,
maschili 397 .
393
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.264.
394
Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde
un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.97
(traduzione mia).
395
Vd. ÀNGELES DE LA CONCHA, La figura materna, un problema transcultural. Reflexiones sobre su
representación en la novela de autorìa femenina, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las
mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.172.
396
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo: discurso de la diferencia, discurso de la igualdad, in El viejo topo extra 10,
Masculino Femenino, Barcelona septiembre 1980. Qui assumeva una posizione più morbida rispetto agli ultimi
scritti, arrivando a sostenere che avrebbero potuto esserci dei valori da recuperare nella sottocultura
femminile (benché generatasi a partire da una situazione ancestrale di oppressione ed emarginazione).
397
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS in Via Dogana n 49, p. 21.
109
Un valore incarnato da una donna diventerà per ció stesso femminile e viceversa nel caso
dell’uomo.
L’importante è che non si finisca per riconfermare la schizofrenia di uno schema che legge
le medesime “doti” con valenza diversa a seconda di chi le possiede: se ad esempio la
prudenza è incarnata da una donna, ella è giudiziosa; se è incarnata da un uomo, egli sarà
codardo; l’audacia in una donna è impulsività, azione senza riflessione; in un uomo,
coraggio; e via dicendo 398 .
Un’altra conseguenza logica di questo discorso è che l’essere di sesso femminile non
precluda il “diritto al male” delle donne 399 . Non si tratta certamente di un invito ad
esercitarlo, quanto di una maggiore consapevolezza delle individue, tale da non
permettere più alla società di giudicarle come “doppiamente maligne”
quando non
rispecchino quell’altissimo standard di virtù che “essere femminili”, di gran lunga più che
“essere maschili”, si supponeva comportasse.
Un universalismo più sensato sarebbe quindi quello di aggiudicarsi lo stesso ambito di
opzioni 400 che gli uomini danno a sé stessi (ad esempio di fronte alle guerre c’è chi è
pacifista, c’è chi le sostiene etc: non dobbiamo sentirci pacifiste per il solo fatto d’essere
donne); il che significa maggiori libertà e responsabilità per tutte/i.
Per quanto sia vero che abbiamo “diritto al male” siamo tuttavia più calorosamente
invitate ad investire le nostre forze nel proporre ed impiantare nuovi valori trovati nel
movimento stesso. Poter “impersonare” valori e disvalori prima universali solo a parole
(praticamente maschili) non significa infatti adeguarsi passivamente ad essi, negandoci la
possibilità di crearne di originali e rigettando a priori quelli “ereditati” 401 .
Quelli che sono stati valori del genere femminile possono confrontarsi con quelli preesistenti allo scopo di essere o universalizzati-condivisi o abbandonati. Perché questo
398
Vd. NURIA VARELA, La masculinidad. ¿Y los hombres què? , in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes,
Ediciones B, Barcelona 2005, p.321.
399
Cfr. AMELIA VALCÁRCEL, El derecho al mal, in El viejo topo, extra 10, Masculino Femenino, Barcelona
septiembre 1980. Il cuore del discorso è questo: l’uguaglianza è un valore in sé, non dobbiamo garantire esiti
positivi, né assicurare che ci renda migliori.
400
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista
igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y
postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997.
401
Cfr. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli,
Milano 1996. Si sostiene che il concetto dell’autonomia sia superiore a quello di uguaglianza poiché permette di
non accettare gli standard dati, bensì di crearne di nuovi. Tuttavia l’autonomia, che puó positivamente
motivare all’originalità, dovrebbe a mio modo di vedere porsi come limite la necessità di trovare conferme
(ovvero puntare a ricostruire un orizzonte regolativo comune, di uguaglianza e universalità) affinché non si
cada nel separatismo.
110
accada, si dovranno prima di tutto ribadire le forti incertezze riguardo l’origine “naturale”
- piuttosto che storica – di questi valori (per evitare di esaltarli ingenuamente come
“nostri”), ed al contempo bisognerà aver raggiunto un certo distacco dall’androcentrismo
(per evitare, al contrario, di rifiutarli in toto soltanto perché - assumendo il punto di vista
“dominante”- essendo tradizionalmente femminili sarebbero “meno validi” o addirittura in
netta contrapposizione rispetto a quelli “normali”, ovvero “maschili”, assurti a standard).
Rigenerazione dell’universale: hambre y olfato
Dobbiamo riappropriarci dell’universale benché si tratti di un’operazione complessa:
“lo que se define como simplemente, genericamente humano, està impregnado de
masculinidad de una forma compleja. Deshaderirlo de la masculinidad es por la misma
razón una operación compleja” 402 .
Perció abbiamo bisogno di seguire due fasi 403 , denominate da Celia Amorós hambre
e olfato. In primo luogo c’è l’ “urgenza di universale” (ne siamo “affamate”) e quindi
l’imprescindibile fase della rivendicazione per poter partecipare pienamente di ció che si
era definito come genericamente umano. Si chiederà che si sopprimano i progettiproiettati per le donne per colpa dei quali non possono accedere alla categoria di soggetti,
nella misura in cui nessun soggetto è sostanza e rifiuta predicazioni fisse, soprattutto se
eteronome. Bisogna rifiutare “los guiones existenciales” (i copioni esistenziali), ed
ottenere le stesse opportunità di realizzazione di un progetto esistenziale proprio e
individuale. Tutto ció implica una critica al “genere” per non essere identiche.
Solo in un secondo tempo ci si potrà e dovrà soffermare su un esame più raffinato
dell’inquinamento di esso (universale) da parte di chi se lo è riservato.
“lo genericamente humano no depurado de masculinidad especifica desprende un
tufillo” 404 (che è quasi come dire: l’universale “puzza di maschio”). Superata la fase
dell’hambre, non possiamo esimerci da un uso adeguato dell’olfatto (per intercettare
l’androcentrismo imperante).
402
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p. 45.
403
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 43-44, 355-356.
404
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.45.
111
CAPITOLO 8
VERSO UN NUOVO MODELLO DI SOGGETTIVITÀ
Essere figli@
Non possiamo non prestare attenzione alla teoria di Nancy Chodorow 405 , punto di
riferimento del cosiddetto “pensiero materno” 406 . Il suo studio ha ispirato varie analisi
sull’identità femminile come identità eminentemente relazionale e accudente.
Da un’analisi clinica più che sociologica è risultato che l’origine comune di ciascuno nel
corpo materno e l’esperienza comune di una dipendenza dalle cure materne per la propria
sopravvivenza nell’infanzia provocano percorsi di individuazione radicalmente differenti
per i due sessi. L’origine della differenza è collocata nei primi rapporti infantili e nei
meccanismi
psichici
che
essi
mettono
in
moto
(non
è
una
prospettiva
biologistica/naturalistica). Per i maschi il processo di formazione del sé implica una doppia
separazione: come individui e come genere fino alla rimozione di quel primo legame,
rovesciato in superiorità dell’uomo sulla donna. Per le femmine, il processo di
individuazione è invece incerto e carente. Ci sarebbe una difficoltà a separarsi, a pensarsi
come autonome. I maschi mantengono l’aspettativa di essere accuditi da una donna e che
siano le donne le responsabili dell’accudimento e della cura; le femmine sperimentano una
più forte ambivalenza. La femmina si dis-identifica come oggetto di cura per diventare
colei che fornisce la cura.
Come nel caso delle “due etiche” di Carol Gilligan, l’analisi è acuta sotto molti
aspetti ma vanno presi in considerazione i fattori culturali: per esplicare l’aspetto non
necessario di una tale dicotomia, ricordiamo che la funzione materna è un’aspettativa
sociale e dipende comunque dalla disponibilità soggettiva. Allo stesso modo il processo di
disidentificazione maschile che inverte i termini del primo rapporto non ha motivo di
essere “eterno”: crediamo possano esistere una disidentificazione (maschile) non misogina
da un lato, e una “individualizzazione-autonomizzazione” femminile dall’altro, tali che che
nessun@ si aspetti di essere “naturalmente” oggetto o soggetto di cure, bensì l’una e
l’altra cosa contemporaneamente.
L’infanzia è di certo un momento fondamentale della formazione delle persone nonché un
405
NANCY CHODOROW, La funzione materna, Ed. La tartaruga, Milano 1991.
406
Sostenuto poi da Sara Ruddick (Maternal Thinking. Toward a Politics of Peace, New York, 1989; trad. it. Il
pensiero materno, Como, 1993). La stessa Nancy Chodorow prese le distanze da certi sviluppi delle sue tesi,
soprattutto quelli che idealizzano il modello materno come modello relazionale non solo originario ma
univocamente positivo.
112
paradigma migliore di riferimento rispetto all’essere adulto – dato che mette in luce la
dipendenza-interrelazione fra esseri umani, che persiste in tutte le epoche della vita 407 .
D’altro lato possiamo riconoscere come uno dei pochi punti di vista veramente
universali sia quello dell’essere figli@ 408 ; l’ombelico è la “huella indelebile de esa relación
humana primera” 409 . Se prendiamo sul serio in considerazione questa condizione comune
dell’essere figlie e figli (quindi generate/i ed in relazione), rinunciando alla visione
“esasperata” dell’autonomia (dove la soggettività – maschile - si delinea a partire dalla
frattura/abbandono di ogni vincolo, come se non ne avesse, appunto), evidenzieremo le
esigenze reali dei corpi-individui e di conseguenza avremo una diversa visione del soggetto.
Il soggetto incarnato ∗
Il Soggetto Universale, così come è stato delineato dalla tradizione filosofica maschile, è
un “soggetto angelico”, autonomo e totalmente autosufficiente, isolato dagli altri io, che
nega la dipendenza dal corpo, dai luoghi, dal mondo 410 . Vige l’ideale dell’imperturbabilità,
del totale controllo di sé.
Si pretende la superiorità sul mondo naturale delle esigenze e dei desideri “animali”; si
svaluta la sensibilità: di norma emozioni, desideri, inclinazioni sono state viste come
407
Vd. LUISA MURARO, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 125. È arduo nella nostra
cultura tener fermo il punto di vista di un soggetto in relazione con altro da sé; è ritenuto alienante. Cfr.
SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter of
Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004. Il primo
fra i limiti che troviamo in un documento tanto importante come The European Charter of Fundamental Rights
(la costruzione legale più contemporanea e quindi più rappresentativa di ció che le persone nel mondo
occidentale considerano oggi fondamentale agli esseri umani) è proprio l’accento sull’essere umano
pienamente sviluppato, che presuppone un adulto indipendente ed elude la domanda sul come si diventa un
cittadino e come si vive da tale. Non si considera la nascita, la crescita né la vita dei cittadini. C’è una totale
ignoranza del “privato”: con questa impostazione si escludono la famiglia, le donne, e molti aspetti del
divenire della persona.
408
Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,
segunda edición 2004, p.10.
409
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
p.59.
∗
In questo caso mi risulta faticoso utilizzare la versione femminile del termine: normalmente, infatti, a
“soggetto” attribuiamo valore attivo e positivo mentre in “soggetta” leggeremmo la preponderanza
dell’elemento di soggezione e passività.
410
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, p.119.
113
interferenze 411 .
Il soggetto androcentrico è un soggetto iniziatico: si costituisce a partire dalla negazione
della sua dipendenza dal femminile, della vita naturale ricevuta dalla donna; vive
l’illusione dell’autogenesi.
Dal punto di vista di questo “sujeto desmadrado”, la figura della Madre-Natura sarà il
fondo (disprezzato e negato) sul quale si erigono la Ragione e la Cultura 412 ; c’è il rifiuto
(maschile) della materia, la quale invece ci radica e ci fa realmente umani 413 . Nella
svalutazione del corpo c’è misoginia, nel senso di non dare alcun peso all’opera della
madre, al mondo della generazione. Il soggetto cartesiano, ad esempio, distingue
fortemente il corpo dal pensiero.
Questo soggetto è “forte” perché autofondantesi, autocentrato, autocosciente, capace di
generarsi e stabilizzarsi da solo. È il pensiero a generare l’esistente e non il corpo
materno 414 .
L’ “ossequio mistico per l’individuo” ci porta ad esempio a non cogliere la falsità del fatto
che nell’embrione vi sia tutto il necessario per uno sviluppo continuativo fino alla
maturità 415 . Da questo punto di vista le TRA sono il capitolo finale della lunga storia della
fantasia degli uomini sulla propria auto-generazione 416 .
Un ideale normativo di tal fatta va ri-considerato. È assurdo contrapporre natura a
libertà, dato che la nostra libertà nasce dalla nostra natura, la quale ci dota tanto di
possibilità quanto di limiti. Nessun@ dovrebbe scordarsi del proprio corpo (sessuato),
dell’affettività, dei bisogni, dell’essere interdipendente.
Bisogna salvare l’interezza del nostro essere (sia ragione che corporeità, tenendo legate
ragione-pensiero e passioni-“ragioni del cuore e delle viscere”): il nostro essere corpo, il
nostro provare emozioni e sentimenti, non rappresentano una parte trascurabile e
disprezzabile del sé, che possa essere messa fuori gioco senza danno. L’estremo
411
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, pp.120, 123, 142, 144.
412
Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE
(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona
2004, p.30.
413
Vd.
VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in
http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html.
414
Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA
CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, p.135 .
415
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.152.
416
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.169.
114
individualismo svaluta le relazioni personali, quando invece siamo io in relazione 417 . La
verità è che dipendiamo dagli altri, dal corpo e dalla fortuna.
Sono soprattutto le pensatrici della differenza a trattare questi aspetti, ed è loro merito
averli messi in luce; tuttavia ritengo poco raccomandabile che attribuiscano l’aggettivo
“femminile” a determinate esigenze 418 .
Questi valori non sono esclusivi del gruppo delle donne e vanno proposti a tutti e
tutte in alternativa a ció che ha costituito finora il genericamente umano.
Non continuiamo a riconoscerci nel principio passivo della corporeità, né come le uniche
interessate alle emozioni e alle relazioni; piuttosto, denunciamo questa deficienza del
Soggetto con la proposta di migliorarlo per tutti e tutte. Altrimenti si rischia di ribadire le
stesse gabbie concettuali (patriarcali) in cui per secoli erano rinchiuse le donne.
417
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, pp.119-120, 145, 244.
418
Marìa-Milagros Rivera parla di libertà relazionale femminile e valore della passività del corpo femminile;
Wanda Tommasi (op. cit., p.142) dice che svalutare la sensibilità è andare contro la donna e contro il
femminile che è nell’uomo. Etichettare la sensibilità come “femminile” è rischioso. È una dote umana che per
un verso o per l’altro le donne si sono trovate a sviluppare maggiormente, ma non per questo è “il proprio”
dell’essere donne.
115
CONCLUSIONI
Il “femminismo”, in quanto processo di rinegoziazione dei termini del contratto sociale di
genere, di modifica e riaggiustamento delle basi di dominazione di genere stabilite in
società, si è concretizzato - storicamente - in varie esperienze collettive di donne che
hanno contribuito a cambiare il mondo 419. Pur nell’intento comune di ridefinirsi, infatti, le
strategie seguite sono state discordi; i percorsi della liberazione sono molteplici e si puó
cercare di avere la pratica come principio regolatore 420 .
Fra i passaggi imprescindibili nel percorso di un femminismo filosofico c’è un certo
distacco dal generico per essere individue ma anche il progetto di ricostruire la genericità.
L’obiettivo reale di tutte le femministe non è semplicemente una lista di rivendicazioni
immediate 421 , ma guadagnare una femminilità “nuova”, più “abitabile” di quella “antica”.
Bisogna decidere ció che va conservato e ció di cui vogliamo spogliarci (tra le nostre
“differenze”): saper selezionare, insomma. Le differenze ereditate (imposte e sviluppatesi
in una situazione di eteronomia) possono non essere tutte “da buttare”.
L’arduo lavoro di discernere (è possibile? secondo quali criteri?) fra ció che davvero
corrisponde all’esperienza femminile e ció che sono le rappresentazioni stereotipate di
essa costituisce il cuore della ricostruzione, un momento delicatissimo.
Concordo con Celia Amorós nel ritenere che il femminismo della differenza sia “da
maneggiare con cura”. Non possiede la stessa forza ed eleganza concettuale del
femminismo dell’uguaglianza - benché possa risultare più affascinante - e rischia di cadere
nei medesimi essenzialismi per discostarsi dai quali si è tanto lottato.
Non possiamo dimenticare da quali luoghi comuni siamo state a lungo soggiogate e trovarci
a ribadirli, tra la leggerezza e la sconsideratezza. Porsi come soggetti e deliberare “dove
andiamo” non significa obliare “da dove veniamo”.
Non solo è bene limitare le definizioni che rinchiudano metà del genere umano
fissandone i caratteri essenziali (per via dell’irriducibilità dell’individua al suo genere - gli
eccessi di identità asfissiano l’individualità - e delle imponderabili conseguenze della
differenza sessuale stessa), ma soprattutto è opportuno ricordarsi quale struttura
gerarchica abbia contribuito a mantenere la scelta di una determinata serie di “peculiarità
femminili”, evitando quindi accuratamente di rigenerarla. Le femministe della differenza
419
Vd.
MARY
NASH,
El
aprendizaje
del
feminismo
histórico
en
Espaňa,
in
http://www.nodo50.org/mujeresred/historia-MeryNash1.html.
420
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo: discurso de la diferencia, discurso de la igualdad, in El viejo topo extra 10,
Masculino Femenino, Barcelona septiembre 1980.
421
Vd. GENOVEVA ROJO, Ser mujer: el orgullo de un nombre, in El viejo topo extra 10, Masculino Femenino,
Barcelona septiembre 1980.
116
agiscono
come
se
avessero
scelta
dove
non
ne
hanno
(quando
prescindono
dall’eterodesignazione come un fatto che oggettivamente limita la simbolica) e come se
non ne avessero dove ne hanno (l’identità femminile non ha motivo di essere ascrittiva) 422 .
Il dato sessuale è ineludibile (già dalla nascita ci caratterizza, non viene scelto benché poi
ci sia un margine di libertà nell’ “interpretarlo” e con le tecnologie l’opportunità di
cambiarlo) ma non per questo cruciale in ogni manifestazione dell’essere che lo porta
iscritto in sé. La differenza non va negata, ma non deve diventare la chiave di volta di
tutto (o si ricade negli essenzialismi dell’ “eterno femenino”) 423 .
È più agevole abbracciare una visione pragmatica ed aperta come quella di chi
concepisce il genere come “ció che hanno fatto di noi”, ma anche come “ció che possiamo
scegliere” (dato che è ció che ci hanno proiettato storicamente e non qualcosa di naturale,
fisso, indiscutibile). Anche se questo processo di farsi donna è infinito 424 .
Se le pensatrici della differenza rischiano obiettivamente di cadere nella “sobrecarga de
identidad”, l’individualismo di fondo delle filosofe dell’uguaglianza potrebbe invece
lasciare insoddisfatte rispetto alla promessa ricostruzione del generico “donna”.
È condivisibile la prospettiva speranzosa di Victoria Sendón che riconosce nei due
femminismi stimolanti ed irrinunciabili apporti: non sono in competizione, né possono
coincidere. Sono molto diversi ma non per questo assolutamente incompatibili. Se il
femminismo dell’uguaglianza mira a “lo urgente”, il femminismo della differenza è
proiettato verso “lo importante”. Essi sono in certa misura complementari. Penso che
dovrebbero e potrebbero dialogare di più 425 , benché le rispettive riflessioni procedano da
presupposti tra loro assai lontani: la loro interazione genererà visioni più ampie di quelle
che i singoli gruppi, chiusi su se stessi, possono permettersi.
È comprensibile che, se si cerca di lottare efficacemente, il femminismo assume un
“noialtre” che genera un discorso sulle caratteristiche delle donne. Nonostante questo,
422
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos
encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26,
horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.139.
423
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.21.
424
Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),
Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000425
Cfr. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista
igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y
postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997. Nel suo ultimo testo, vincitore del Premio Nacional de Ensayo
2006,(La gran diferencia, op. cit.) è evidente la polemica in atto con le cosiddette “pensatrici della
differenza” (già a partire dall’ironia del titolo): tuttavia ci si lamenta della scarse occasioni che si sono avute
per un confronto diretto.
117
così come troppo “nominalismo” debilita, puó essere di intralcio un eccesso di
“costruzionismo”.
Tra le restrizioni che dovremmo darci c’è quindi sia quella di schivare l’essenzialismo, che
ha sempre gravato sulla collettività delle donne, sia quella di non lasciarci frodare dalle
più recenti “promesse” del decostruzionismo.
A mio parere è valido il tentativo di spingere ancora oltre il confine fra culturale e
naturale, fino ad inglobare lo stesso corpo sessuato e la stessa sessualità nel primo ambito:
in questo modo si sventano le insidie dell’ingenuità comune che di norma non soppesa le
varie influenze ideologiche, sociali, religiose, et cetera che hanno agito sulla delimitazione
dei corpi, le loro fattezze, il loro orientamento sessuale, il minore o maggiore rilievo
simbolico delle loro parti 426 . È un bene ridurre ulteriormente il peso della “Natura” a
favore della “Cultura” e legittimare contemporanemante la varietà delle forme (corporeesessuali) nelle quali gli individui si riconoscono. Tuttavia bisogna preoccuparsi che la
fluidità di questo sostrato non diventi scivolosa: si potrebbe rischiare di demolire tutto e
giocare futilmente con le parole.
Il pericolo è che sparisca non solo il corpo, ma l’esperienza stessa, ridotta a punto di vista:
le differenze sperimentate dalle donne sarebbero solo interpretazioni.
In realtà ci sono elementi di diversità insormontabili che se non si riconoscono non
possono essere difesi, e possono invece far sì che il corpo-pensante femminile diventi un
ingombro in un mondo che non aveva previsto la sua partecipazione. Sostenere che non c’è
un prius originario biologico di cui rendere conto, ma solo un accumulo, una stratificazione
costante di simboli e di significati, potrebbe farcelo dimenticare.
Dire che l’unico processo responsabile dell’esistenza dei due generi sia la costruzione
storica del linguaggio, sembrerebbe la via d’uscita più facile: alle donne basta disfare il
discorso sociale che è stato loro cucito addosso, mostrandone il carattere fittizio, e
costruire nuovi discorsi a loro piacimento.
Credo che un tale accanimento contro le categorie di corpo e sessualità sia da
attribuirsi al fatto che il corpo femminile e le sue capacità specifiche abbiano da sempre
giocato a sfavore delle donne (nella costruzione del genere). È una comprensibile
“reazione” a millenni di emarginazione delle donne giustificata a partire dai loro corpi e
426
Cfr.
CRISTINA
MOLINA
PETIT:
Debates
sobre
el
género,
in
CELIA
AMORÓS
AMORÓS
(ed.):
Feminismo y Filosofía, Madrid, Síntesis, 2000. Si segnala l’apporto teorico fondamentale di Michel Foucault col
suo testo del 1976, Storia della sessualità (edito dalla Feltrinelli nel 1978). Egli contribuisce a decostruire la
categoria di corpo e sesso-sessualità scagliandosi contro la visione comune del sesso come qualcosa di intimo,
un impulso naturale: esso è in verità costruito culturalmente da interessi di potere e si puó manipolare per
mezzo della religione, della medicina e della politica.
118
dalla loro sessualità. Ma, ai fini della “liberazione” dalla definizione tradizionale di
“donna”, non è indispensabile “sciogliere” la materialità fino a farla quasi scomparire.
Sebbene sia decisiva la Cultura, non possiamo credere che il distacco dalla componente
biologica sia totale: l’evoluzione umana risulta dall’interazione reciproca tra forze
biologiche e socioculturali.
Il discorso simbolico (che col genere riccamente sviluppa il tema della presenza di
due sessi in natura) ha radici reali, e le differenze non si decostruiscono solo con
un’operazione simbolica sia per via del fatto che la procreazione vuole che restiamo
controparti sessuali (con ció che a livello fisico comporta), sia perché i significati non si
cambiano in completa libertà. Il genere non è frutto di una semplice elezione, ma un
progetto che ci viene proiettato già prima della nascita 427 .
A reggere il dualismo resta un pilastro incrollabile 428 : per generare un nuovo essere
vivente, devono incontrarsi due individui genitalmente “diversi”. Rispetto al tema della
procreazione ci distinguiamo ancora necessariamente in femmine e maschi.
Persino con le Tecnologie di Riproduzione Artificiale si mantiene un’asimmetria rispetto
alla distribuzione dei “carichi”, nella percentuale del “contributo” offerto dai due sessi
alla specie. Se è fondamentalismo biologico volersi basare sulla materialità per costruire
un’identità ed in ogni caso non esiste un corpo pre-significato, è altrettanto presuntuoso
pensare di poter prescindere completamente da essa. Bisogna fare i conti col fatto che le
donne e gli uomini differiscono fra di loro (nel ruolo riproduttivo pare invariabilmente, in
tutto il resto pare molto discutibilmente).
Conformarci all’idea che qualcosa di naturale ed immutabile esiste, ovvero il
dualismo riproduttivo 429 , non è di per sé compromettente. In ogni caso, la stessa duplicità
fisica resta “un valore in sé” solo se il nostro interesse principale è riprodurci (cosa
opinabile); ma, soprattutto, dalla differenza naturale fra i corpi ai fini della riproduzione
della specie non occorre dedurre altro ed in nessun modo l’assetto del potere.
Se considerarsi superiori alle donne ha fatto parte dell’identità di genere maschile,
427
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.233-237. Ribadisce questo
fatto discutendo la posizione di Judith Butler.
428
Il progresso tecnico-scientifico ne ha già ridefinito le modalità ed inoltre potenzialmente disattivato la
“necessità”: con la clonazione la sessualità si trascende del tutto. In un mondo dove la clonazione divenisse la
norma le individue e gli individui potrebbero smettere di entrare in rapporto (procreativo) e forse a quel punto
anche rinunciare a distinguersi in femmine e maschi.
429
Le stesse disparità anatomiche e fisiologiche (che consideravamo irriducibili) hanno smesso di essere
insormontabili. Esse si ritrovano mescolate in alcuni individui: il corpo dei transessuali è “femminile” o
“maschile”?
119
non è affatto necessario che continui a farlo. Una volta stabilito che è stato un lungo
processo storico-sociale ad imporre la disuguaglianza assiologica ed essa non deriva in
nessun modo da “dati oggettivi”, sarà sulla Cultura stessa che investiremo.
La divisione degli spazi non è “naturale” né “neutrale” (anche se ció non significa
che il matrimonio e la famiglia siano “un male in sé”). Piuttosto, è chiaro che: questa
distribuzione viene subita; la famiglia patriarcale è gerarchica (la patrilinearità ed il
“vuoto della madre” sembrano andare di pari passo); l’individualità delle donne non puó
emergere (anche perché le si educa affinché non lo facciano: l’impotenza della madre
diventa l’impotenza della figlia); la dicotomia è tanto radicata da limitare la possibilità
effettiva di uscire da essa, benché si sia raggiunta formalmente l’alternativa di camminare
nell’altro ambito, quello pubblico. Va difatti superato il “limite mentale”.
A partire dalla presa di parola delle donne si esperisce la possibilità di un mondo
alternativo, oltre i dualismi taglienti e l’unità fittizia. Gli spazi vanno ridistribuiti, e
modificati, ma questo lavoro di trasformazione ha inizio logicamente e storicamente in un
secondo tempo, ovvero una volta che le donne abbiano potuto dire la loro, entrare nel
mondo “che conta”: anche perché senza “lavorare dall’interno” è sostanzialmente
impossibile dare risonanza al proprio punto di vista ‘alternativo’; non si puó cambiare
stando ai margini. Come abbiamo visto, la cosiddetta fase dell’olfatto è successiva.
Se è vero che donne e uomini dovrebbero assumere consapevolmente la propria parzialità
sessuata (è loro “responsabilità”) 430 e l’obiettivo è quello di dare l’avvio ad un “libero
gioco fra i due sessi nel comune cimento per l’identità umana” 431 , dobbiamo tuttavia
ricordarci dei limiti che si frappongono a questa fantasia. In prima istanza ribadiamo che la
competizione giocosa non puó aver luogo finché i rapporti di potere non si parificheranno:
sarebbe una falsa partenza.
L’unità era fittizia per due motivi: in primo luogo un disegno approssimativamente
condivisibile di ció che è “umanità” escludeva poi incoerentemente le donne o comunque
le poneva in posizione subordinata; in secondo luogo l’ “umanità” che sarebbe dovuta
valere per tutte/i era disegnata da tutti (ma non da tutte) ignorando le esigenze di metà
del genere umano.
Superare l’universalità “ingannevole” non significa rinunciare del tutto ad essa, anche
perché le parzialità non possono interagire se non avendo di mira un’orizzonte regolativo.
Esiste il genericamente umano, ovvero delle zone neutre nella vita umana dove il
430
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, p.31.
431
Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001, p.11.
120
sesso-genere non dovrebbe considerarsi pertinente; è estremistico estendere “la
differenza” (femminile o maschile che sia) a tutto 432 . In molti casi le differenze si fanno
questioni irrilevanti, sfumature impercettibili, inezie, caratteristiche dell'individu@ più che
del genere di appartenenza.
Non è giusto che alle donne non vengano riconosciute quelle generalissime capacità
proprie della specie e non di uno dei due sessi. Occorre essere interlocutori ed
interlocutrici che si considerino al medesimo livello, in grado di comprendersi, e quindi che
si neghi che il sesso costituisca alcuna barriera comunicativa, alcun segno di due mondi
paralleli la cui distanza sia da preservare: questo è il punto di partenza e d’arrivo del
nostro slancio costruttivo. Ció non significa che tutto ció che è stato detto sul paradigma di
umanità sia corretto e sottoscrivibile. Peró solo a partire da premesse comuni, e dal
rispetto reciproco in quanto pari, sarà possibile elaborare nuove formule, più adeguate. Se
non crediamo nell’ “universalità”, non potremo nemmeno cambiare gli aspetti che di
quella universalità non ci soddisfano. Una migliore approssimazione alla “neutralità” si
avrà soltanto quando “le differenze” si siano confrontate, avendo le loro voci il medesimo
potere di pronunciarsi ed essere ascoltate.
All’universale è giusto rifarsi in modo tale che, criticato e trasformato, diventi
sempre più rappresentativo dei caratteri propri di quelle e quelli che concretamente sono
gli esseri umani. Se non ha senso piegarsi ed accettare passivamente ció che già si possiede
(un universale “di parte”), tantomeno lo ha fondare “due mondi”: occorre piuttosto
passare da una “universalidad substitutoria” ad una “universalidad interactiva” 433 .
Puntiamo perció verso un “universalismo interattivo”, ovvero sulla ricostruzione del
genericamente umano che incorpori le scoperte di tutto ció che le “particolarità
prepotenti” avevano reso invisibile.
Una nuova definizione del genere umano passa attraverso la presa di coscienza
delle donne, prima solo oggetto e non soggetto di riflessione su se stesse e sul mondo.
L’ “intrusione” di queste ultime nel sociale, nel politico etc. (tutto ció che va “oltre il
privato”) ha effetti importanti. Questo perché, mentre circolano donne in spazi un tempo
a loro sconosciuti, lo spazio stesso muta: è impossibile non lasciare impronte.
La differenza corporea - in primo luogo - resta, e la loro esperienza materna – quando c’è vuole dirsi. Portare la propria esperienza di esseri umani femminili, e far sì ad esempio che
si riconoscano le molteplici dimensioni della maternità (oltre i discorsi patriarcali
432
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.21.
433
Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,
Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.334.
121
dell’elogio e del disprezzo), è utile per tutto il genere umano e non solo per una nuova
identità femminile. Giacché, se è vero che solo le donne possono trovarsi nella posizione di
partorire ed allattare, tutte e tutti ci troviamo nella posizione d’essere figlie/i.
La sessuazione del corpo è per tutta la vita, ineludibile 434 . La differenza, che è un
dato
basilare,
un’evidenza
del
corpo,
benché
costantemente
reinterpretata-
reinterpretabile, resta una fonte di significato. Quanto peso dovremmo dare a questi fatti?
Il principio dell’uguaglianza che stabilisce l’equipotenza “al di là del sesso” è in
certa misura impostato male. Il problema non è il sesso, ma come questo abbia servito da
pretesto per strutturare iniquamente il mondo. Desideriamo il mutuo riconoscimento di
donne e uomini come “pari”, e non solo assiologicamente: essere equipotenti. Quando
postuliamo l’uguaglianza fra i sessi esprimiamo il desiderio di oltrepassare la
disuguaglianza a favore degli uomini e non qualsiasi disparità/differenza.
È un principio utile a garantire i diritti delle donne, un ideale cui si tende. Fingere di non
cogliere questo obiettivo sarebbe come applicare un nominalismo estremo: considerare
che basti parlare di persone per risolvere le dicotomie gerarchizzanti è un’amara illusione.
Si occultano le differenze che invece restano: alcune probabilmente insuperabili (quelle
legate alla riproduzione), altre che, pur non essendo essenziali, si sono concretamente
sedimentate fra i gruppi ed è giusto che siano prese in considerazione, sottoponendo ad
esame le strategie per superarle se creano svantaggi.
Il concetto di “uguaglianza”, “il neutro”, vanno cambiati e non assunti passivamente.
Occorre cambiare il paradigma stesso cui ci si rifà; non abbandonarlo del tutto, ma
rivoluzionarlo dall’interno: perché non siamo irriducibilmente diversi.
L’aspirazione alla neutralità deve quindi arginare il rischio di un’assunzione acritica
del modello presente e dedicarsi a rinnovarlo puntigliosamente. Le pensatrici della
differenza hanno dunque ragione a sottolineare i limiti di un’applicazione “coerente”
dell’uguaglianza. Ciononostante, è solo una volta che si sia soddisfatta “el hambre” che è
possibile scorgere nitidamente l’androcentrismo ed applicarsi a realizzare la necessità di
un certo ginocentrismo.
Dall’analisi delle costituzioni e delle norme in generale si è visto che non è sufficiente
entrare a far parte di questo mondo, né decostruire le parzialità sessiste tradizionali:
occorre anche costruire qualcosa come parzialità sessiste a favore delle donne (perché
questa metà del genere umano goda di pari libertà ha bisogno di maggiori diritti, o diritti
434
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
pp. 14-15, 17, 22.
122
specifici – la mancanza dei quali ha creato in negativo dei “delitti specifici” 435 ). Pare che
adeguarsi e conformarsi ai diritti esistenti non sia sufficiente proprio in virtù della
specificità del corpo femminile.
Ogni donna dovrebbe avere il diritto di controllo sul proprio corpo, la sua sessualità
e la sua vita riproduttiva. Ci si accorge che i diritti liberali tradizionali limitano il diritto
costituzionale all’uguaglianza fra i sessi 436 , nel senso che l’uso di determinate categorie
talvolta distorce o impoverisce le richieste delle donne e talvolta risulta perfino pericoloso
per il fatto che possono scontrarsi come avversarie 437 ; in più, in una gerarchia di valori più
o meno implicita, le donne vengono sempre in secondo luogo 438 . Si caldeggia un approccio
meno rigido per poterlo riconoscere.
Il fatto che la donna sia al centro delle relazioni procreative continua a generare
timore e diffidenza nei confronti della sua autonomia 439 . Nell’aborto, ad esempio, si
continua a non vedere le donne come soggetti responsabili (è lo Stato a fare da tutore).
Non si comprende pienamente che il corpo-pensante della donna non puó diventare mezzo
per fini altrui: il diritto dev’essere dispari e la decisione, della donna 440 .
Affermare che “cada mujer es capaz de tomar sus propias decisiones” sembra
indispensabile in una società dove il pregiudizio che le donne non siano capaci di scelte
assennate e indipendenti continua a pesare 441 .
Se per una giusta trascendenza (capace di creare Cultura) ravvisiamo la necessità
sia di condizioni materiali che di condizioni simboliche, le pensatrici della differenza
dovrebbero ammettere che anche la lotta delle donne che si battono per progressi
materiali ha una sua urgenza. Il limite del pensiero della differenza è infatti quello di
volersi sostituire (lo dicono esplicitamente 442 ) all’altro femminismo mentre probabilmente
435
Vd. NURIA VARELA, Feminismo en Espaňa. De la clandestinidad al gobierno paritario, in NURIA VARELA,
Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.157.
436
Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005, p.16.
437
Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,
Cambridge University Press, 2005, p.5.
438
Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter
of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004.
439
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.214.
440
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp.135-136, 142.
441
Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,
p.200.
442
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.180: “la politica della differenza sessuale non viene dopo la raggiunta uguaglianza fra i sessi ma sostituisce
123
la liberazione materiale crea le premesse di quella simbolica. Che le conquiste siano
parziali non significa che siano irrilevanti. Il cambiamento di “ordine simbolico” sembra
che sia stato storicamente promosso da miglioramenti nelle condizioni materiali, benché
questi ultimi da soli non siano sufficienti a generarlo.
Il gruppo della Libreria di Milano quasi rinnega l’influenza delle condizioni oggettive
di vita, a favore di una libertà femminile che si sostenga unicamente su se stessa. Scrivono
come se la libertà di una donna potesse garantirsi da se medesima, rendendo superflue le
circostanze storiche; non si accetta di poter essere libere “per caso” 443 :
“chi sono io se la mia libertà sta in questa bottiglia, in questo fiore che mi hanno messo in
mano?” 444
I doni del progresso scientifico-tecnico (pastorizzazione del latte ed anticoncezionali, ad
esempio),non vengono respinti: sono utili. D’altro canto i frutti della civiltà sono solo
frutti, mentre la libertà è un albero 445 .
“Non possiamo risalire il corso del tempo fino ad arrivare prima di quel momento in cui la
nostra differenza dall’uomo fu interpretata come un essere da meno. Ma a quel prima ci
portiamo con un atto mentale al quale diamo la realtà delle sue conseguenze nel
presente” 446
Come si è visto, ció che permette alle donne di “ribellarsi” all’ordine patriarcale è
sicuramente un nuovo senso di sé, il quale sorge da una libertà che le donne si danno da
sole; tuttavia - allo stesso modo - va dato risalto al fatto che è imprescindibile accrescere
il proprio potere (politico, economico, etc.) e promuovere certi cambiamenti nelle
condizioni oggettive delle donne: questi miglioramenti tangibili di status, pur non essendo
capaci – da soli - di determinarla, agevolano l’emancipazione femminile.
Non ha senso porsi il problema del cosa viene prima: sarebbe come riproporre l’enigma
dell’uovo e della gallina. Basta riconoscere che abbiamo bisogno di trasformare entrambe
le dimensioni: tanto quella “esteriore” quanto quella “interiore”. Nessuno dei due percorsi
(!) la politica dell’uguaglianza, troppo astratta e spesso contradditoria, per combattere ogni forma di
oppressione sessista dal luogo della libertà femminile conquistata e fondata sui rapporti sociali fra donne”.
443
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.180.
444
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.179.
445
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
pp.180 e seguenti.
446
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.180.
124
preso singolarmente è esaustivo; si alimentano e rafforzano a vicenda 447 .
Tra i presupposti “esteriori” del raggiungimento di una autentica libertà femminile
e della giustizia fra i generi c’è una dislocazione del potere e del prestigio dal suo luogo
tradizionale (maschile): non è marginale né tantomeno superfluo che ci siano donne
piuttosto che uomini ad occupare posti di responsabilità o ai vertici politici, ad ottenere
successi economici, rilievo nella gestione dei mezzi di comunicazione, influenza sulla
cultura scientifica, etc. Si tratta, in parte, di “riprendere ció che è stato negato”,
aumentando quantitativamente e qualitativamente “la fetta rosa” del mondo; una sorta di
pacifico pareggiamento dei conti.
Tutto ció ha significato storicamente una serie di conquiste preliminari, passando
attraverso la lotta per il diritto al lavoro, all’educazione, al voto: il rapporto con le norme
che hanno un tempo pesantemente limitato la vita delle donne, è stato ed è
imprescindibile.
Va sottolineata la complessità del percorso femminista: se disidentificarsi dai
modelli standard ed entrare in tutti gli ambiti un tempo esclusivamente maschili è la prima
grande conquista, la seconda è riuscire a resistere al loro interno, ponendone a nudo le
contraddizioni e imperfezioni, senza rassegnarsi e rinunciare ad essi per questo motivo. Le
donne si muovono entro schemi creati senza di loro e cercano di rimodellarli per non
farsene schiacciare, facendo in modo che possano andargli meglio indosso.
In ogni caso bisogna capire che l’ingresso delle donne al potere significa
trasformazione dello stesso (che non era neutro, ma maschile). Ribadiamo che l’ “insolita
presenza” delle donne non è l’aggiunta di un dato, non è come passare dal suffragio
censitario a quello universale (maschile). Non è una questione “quantitativa”: comporta
ridiscutere strutturalmente, concettualmente e praticamente, il “mondo pubblico”.
“Se ci fosse un mondo soltanto e non si trovasse la potenza simbolica per crearne un altro,
come donna dovrei voltare le spalle alla differenza e cercare l’inclusione. O restare una
447
Cfr. BRENDA MAJOR, Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro familiare in Genere. La costruzione
sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino,
Bologna 1996. La lettura di questo saggio di psicologia sociale ci dà molte chiavi per comprendere la
complessità della questione. Ad esempio l’ineguale distribuzione dei carichi domestici-familiari non puó essere
superata se non si instaura un determinato equilibrio fra molteplici fattori, materiali e simbolici. Così come il
lavoro retribuito della donna puó favorire una situazione familiare più equa (ma non è abbastanza affinché ció
si verifichi, se la donna non si sente di avere diritto ad un trattamento paritario), il fatto che l’entitlement
cambi (il senso del giusto, di ció che spetta) puó non essere sufficiente quando la donna non dispone dei mezzi
concreti per sfuggire ai ruoli “precostituiti”.
125
disadattata” 448 .
Il senso della realtà sociale e politica cambia sia per gli uomini che per le donne dal
momento che queste ultime osarono sbirciare oltre i propri recinti familiari e muoversi in
quella realtà prima abitata quasi esclusivamente dalla parte maschile del genere umano:
“il nuovo della libertà femminile, della fine del patriarcato, dell’essere delle donne
<<dappertutto>> nelle nostre società contemporanee, consiste nel fatto che il mondo come
era, le sue tradizioni, le sue norme, le sue regolarità, i suoi valori, cambiano, cambiano
perché erano costruiti su un mondo di uomini e inevitabilmente le donne, entrando in quel
mondo ne trasformano il senso, producono un senso che diviene diverso sia per le donne
che gli uomini” 449 .
La logica di base (da superarsi) è che il sesso maschile sia rappresentativo
dell’umano in quanto umano (il paradigma) e quindi “per natura” debba comandare:
essendo un sistema ad economia binaria, il sesso femminile sarà di conseguenza non
pienamente umano, inferiore ed incompiuto 450 . Una volta decisa la polarità positiva del
maschio, la negatività sarà per la femmina (soggetto-oggetto; sé-altro; cultura-natura;
ragione-passione; mente-corpo; pubblico-privato).
Evidenziare la presenza di queste logiche, binarie e gerarchiche, è indispensabile
per dubitare poi della loro stessa inevitabilità: si critica il fatto stesso che debba esserci
una separazione netta, ed al contempo la natura della distribuzione. Il senso dei due
ambiti (degli estremi delle dicotomie) viene rinnovato mentre si sperimenta il dialogo fra
di essi. Col femminismo si sedimenta una maggiore consapevolezza rispetto all’esistenza di
queste rigidità mentali e pratiche (che in gran parte continuano ad agire), ed accresce
l’intensità del desiderio di fluidificarle, dando nuova linfa alle categorie tradizionali
mentre si cancella da esse l’elemento del dominio. Ad esempio la reinterpretazione del
privato e del pubblico ci porta ad un concetto di giustizia come valore pertinente alle
relazioni cosiddette private e ad uno di solidarietà, come ideale confacente a quelle
448
Vd. LUISA MURARO, Far essere. Passaggi per la politica del simbolico, in Via Dogana: rivista di pratica
politica, La politica del simbolico, n°54, marzo 2001, p. 8.
449
Vd. SILVIA NICCOLAI, <<comprendere le ragioni dei mutamenti>>: il costituzionalismo, la new governance e
l'ascolto della differenza di genere. in M. Barbera (cur.), Governare il lavoro e il welfare attraverso la
democrazia deliberativa, Atti del Convegno di Roma, 2-3 ottobre 2006, Giuffré, Milano, 2007 (pubblicazione in
corso).
450
Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA
CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, pp.117, 120.
126
considerate pubbliche 451 .
Donna e uomo, privato e pubblico, corpo e mente, natura e cultura, sono meno “in
opposizione” di quanto si creda, discutibilmente gerarchizzati e con un senso che va
rivisto. In particolare “essere donna” non significa appartenere “naturalmente” al privato
né essere meramente corpo; entrambi i generi possono e dovrebbero vivere entrambe le
dimensioni. Come si è visto, il nesso inestricabile tra Natura e Cultura anima di sé perfino
il corpo, la cui realtà ci appariva quella di un dato elementare e “scontato”.
Gli uomini dovrebbero riconoscere in sé stessi tutti i limiti che hanno generosamente
scaricato sull’altra metà del genere umano (sono sessuati, materiali, generati, etc., tanto
quanto noi 452 ) e - contemporaneamente - dovrebbero riconoscere nelle loro controparti
femminili la capacità di prescindere da queste dimensioni, l’uguale valore (in linea di
principio) del loro pensare e agire.
Poniamo fine alla dicotomia che vede il principio attivo del logos (maschile) contrapporsi al
principio passivo della corporeità (femminile).
Non siamo solo natura: è assurdo disconoscere il possesso del Logos alle donne ed in
generale la loro esigenza-capacità di “trascendersi” (sarebbe considerarle sub-umane, se è
ancora il raziocinio un tratto fondamentale della nostra umanità, ció che ci distingue dalle
altre specie animali).
In particolare se le donne sono – per esprimerci in termini platonici – ancorate senza
rimedio al regno della generazione e solo gli uomini agevolmente se ne distaccano per
volare alto nel mondo delle Idee, sarà ancora plausibile credere che gli esseri umani di
sesso femminile vivano l’intera esistenza a stretto contatto con la Natura (avendo precluso
tutto il resto), mentre ai soli esseri di sesso maschile si riserva la Cultura.
Si intendono così i presupposti della difficoltà teorica di un rapporto tra la filosofia e le
donne 453 .
Non a caso per cominciare daccapo, “da condizionate a condizionatrici”, per diventare
“membri della storia” che “fanno la storia”, le donne si astraggono in primo luogo dal
proprio sesso (secondario accidente del loro essere ed esistere in sé) per rinnegare tutto
451
Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista
igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y
postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997.
452
Cfr. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE
(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona
2004, p.35. L’autrice si pone tutto sommato il medesimo interrogativo quando si chiede se le nostre
rivendicazioni debbano passare attraverso una definizione dell’essere umano meno dualista che riunisca natura
e cultura per entrambi i sessi.
453
Cfr. NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza, Bari 2007, p.18.
127
ció che, teorizzato ed affermato e voluto dalle strutture di una società maschilista, ad esse
le legherebbe e riconfermerebbe. Il Manifesto programmatico del gruppo Demau
(demistificazione dell’autoritarismo patriarcale), primo documento del femminismo
italiano, sottolinea questo momento cruciale di distacco 454 .
Questa fase, tuttavia, non è che di passaggio e ha lo scopo non di negare il sesso ed il suo
frutto, ma di valutarsi libere dagli inganni e dalle limitazioni che questi due termini (sesso
e figli/e) interpretati da altri e non da loro stesse, hanno costituito per le donne nella
storia della loro evoluzione.
La differenza sessuale segna il corpo femminile senza farsi segno, parola, ragione 455 ed in
tal modo il corpo stesso diventa per lei la sua trappola o parte di essa 456 .
Anche per questo motivo c’è la “necessità di ripensare in radice il corpo femminile
generante” 457 . Se da un lato è illegittimo attribuire valore essenziale alla maternità
nell’identità di una donna, dall’altro è un delitto sconfessare la completezza dell’opera
materna presentandola come pura animalità. Ridurre la maternità all’opacità del dato
biologico è stato un momento chiave del processo di spoliazione della Madre (nella filosofia
e cultura patriarcali): la scissione Natura-Cultura ha operato il matricidio simbolico 458 .
In realtà la madre ci fa dono di corpo e linguaggio, corpo e mente: la sua creatività non è
solo biologica. È il “corpo pensante” della madre a garantire il costituirsi dell’altro da lei;
è la madre la prima mediazione col mondo.
Il circolo della mediazione materna è un “circolo di carne”, che ci porta ad essere corpo e
parola senza che vi sia opposizione di corpo-anima, passivo-attivo, sensibile-razionale 459 .
La relazione con la madre è la prima relazione, matrice delle altre relazioni sociali-umane;
è una relazione senza fine (senza scopo e senza termine) 460 ; è il vincolo di civilizzazione 461 .
454
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
pp.25-32.
455
In realtà lo diventa, eccome, ma non in modo autonomo: la differenza è stata interpretata dall’Altro
(l’uomo).
456
Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,
p.27.
457
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.181.
458
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp.180-181.
459
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y
HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.61.
460
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,
pp.59, 62.
461
Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000, Icaria Màs Madera,
Barcelona segunda edición 2003, pp.20, 91.
128
“La madre offre non solo le condizioni fisiologiche del compiersi di un processo vitale ma è
tramite essenziale di riconoscibilità del proprio essere umano fra gli umani, dunque della
stessa possibilità di coniugare individualità e legame, relazioni con e tra altri/e” 462 .
Il rapporto con la madre è fonte di significato e incoraggia molteplici riflessioni.
Anche le interpretazioni del corpo femminile come apertura verso l’altr@ da sé o in
generale l’accento sulle doti relazionali delle donne possono rappresentare (se non
ricadono in essenzialismi) conquiste di verità valide per tutte/i, stimoli interessanti verso
una nuova soggettività.
Benché denunci l’aspetto iniziatico della soggettività maschile ed il suo ottuso
rifiuto della dipendenza dalla donna, Celia Amorós si irrigidisce sotto altri aspetti. Nel suo
concetto di umanità infatti non compaiono né la caratteristica della (inter)dipendenza, né
quella della corporeità. La filosofa dovrebbe forse “osare di più”, tradire in parte la rigida
gerarchia corpo-mente tanto cara a tutta la filosofia, ed inserire quei tratti nel
genericamente umano.
Il fatto che di norma ci abbiano scaricato tutto il peso della “soggezione” non
significa che la soggettività alla quale aspiriamo sia quella di tradizione maschile,
illusoriamente nonché presuntuosamente “ab-soluta”:
“una riflessione filosofica che dimentica tali caratteristiche non è adeguata a comprendere
la condizione umana” 463 .
La trascendenza è un ideale perseguibile, una “tendenza innata” così come la
nostra “immanenza”, con la quale la prima si ritrova necessariamente a fare i conti. La sua
insuperabilità non è “negativa”, né la sua presenza “inessenziale”. Bisogna apprezzare non
tanto gli estremi di questo circolo, quanto il circolo stesso. Ció che di norma era
considerato
prettamente
femminile
(la
corporeità,
l’affettività,
etc.)
non
va
tassativamente negato, o trascurato (per timore che ci assorba-riassuma nuovamente), ma
riconosciuto come comune a tutti gli esseri umani e perció “re-distribuito” equamente fra
di essi, al di là del sesso-genere.
Riconoscere il carattere illusorio di un modello di autonomia assoluta ed accettare
la componente della dipendenza (la prima delle quali è quella da un essere umano di sesso
femminile, la madre) potrebbe forse essere più facile per le donne, piuttosto che per gli
uomini, dato che le prime sanno di potersi trovare “dall’altra parte”, di poter essere il
“luogo d’origine” di un’altra creatura. In ogni caso andare oltre i modelli tradizionali
462
Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,
fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p. 181.
463
Vd. NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza, Bari 2007, p. 21. Le
condizioni da non trascurare sono, per le autrici, la “corporeità” e la “contestualità”.
129
significa progettare una soggettività valida per donne e uomini, che sfugga all’alternativa
fra un Soggetto (maschile) che era - o meglio fantasticava d’essere - fondamentalmente
“astratto” (dal suo corpo, dalle sue emozioni, dal contesto storico-sociale), ed uno
eccessivamente “dipendente” (tratto finora promosso nello sviluppo della personalità
femminile).
Il generico “donna” ha una sua profondità e complessità innegabili. Ciò che ha
significato in passato resta incluso “come ricordo” ma anche come problematico termine di
confronto; ciò che significherà in futuro è imprevedibile. L’importante è che resti aperto,
a contenere tutto quello che oggi le donne, con le loro parole ed atti individuali e
collettivi, fanno in modo che significhi.
Ciò che in ogni caso mi pare più proficuo approfondire, piuttosto che la ricerca di
un’identità di genere esclusiva, “non condivisibile”, (che temo porterebbe a dualismi, se
non nocivi, per lo meno sterili) è l’ipotesi di una nuova soggettività incarnata, capace di
contenere donne e uomini in maniera unitaria (senza per questo con-fonderli).
130
131
RINGRAZIAMENTI
132
All’Erasmus, o meglio a chi l’ha inventato e a chi lo promuove, poiché mi ha dilatato la
mente ed il cuore 464
A Francisco Vázquez García, che con una lettura fece scoccare la prima scintilla e si
mostrò disponibile ad aiutarmi affinché l’impulso iniziale non si estinguesse
A Chiara Zamboni, Mercedes Lopez Jorge, Diana Sartori, donne che non ho mai visto ma
che mi hanno dato fiducia perché continuassi la ricerca
A Silvia Niccolai e ad Augusto Pusceddu per avermi permesso di studiare il femminismo a
partire dalle loro discipline
A Maria Teresa Marcialis, che mi ha sostenuto nella scelta “imprudente” e sopportato
nella mia “indisciplinatezza”
A tutte le filosofe spagnole, che ebbi modo di ascoltare e che mi ascoltarono
A mia madre, che è la prima
Alle mie amiche, per lo scambio infinito di pensieri ed emozioni
A tutta la mia famiglia, per la stima e l’amore reciproci
Agli uomini della mia vita, controparti ed interlocutori di sempre, tanto per la complicità
spontanea quanto per il conflittuale dissenso
Alle donne della mia vita, esempi vivi della varietà ma anche della comunione di
esperienze, per la sorpresa e la gioia di rispecchiarmi in loro ed anche di non farlo
A tutte/i voi, un sincero GRAZIE ∗
464
La prima, dato che il confronto col diverso ci dà gli strumenti per un’approssimazione migliore verso la
comprensione di quel diverso e di noi stesse/i, che ne siamo misura; il secondo, per le persone ed i luoghi che
mi hanno arricchito durante quei mesi e ai quali mi sentii, mi sento e mi sentirò legata per molto oltre.
∗
Infine un ringraziamento a parte va all’ERSU, per avermi supportato economicamente col contributo tesi di
laurea. Per mezzo di esso ho potuto trascorrere due intense settimane tra Barcellona e Madrid, settimane di
importanti incontri e di proficue indagini bibliografiche, rivelatesi imprescindibili per questa tesi.
133
BIBLIOGRAFIA
∗
∗
NB.: In considerazione del carattere patronimico del cognome, si è preferito indicare come maggiormente
individuante il nome delle/dei singole/i autrici/autori.
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Conferenze
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Reti di informazione e pubblicazioni in rete
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CREATIVIDAD FEMINISTA, http://www.creatividadfeminista.org
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DUODA, http://www.ub.es/duoda
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INSTITUTO DE LA MUJER, http://www.mtas.es/mujer
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MUJERES EN RED, http://www.nodo50.org/mujeresred
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CENTRO DI DOCUMENTAZIONE E STUDI DELLE DONNE,
http://www.cdsdonnecagliari.it
DIOTIMA, http://www.diotimafilosofe.it
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DWF, http://www.dwf.it
•
GOLEM L’INDISPENSABILE, http://www.golemindispensabile.ilsole24ore.com/
•
LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, http://www.libreriadelledonne.it
142
143
SOMMARIO
144
INTRODUZIONE ...........................................................................................1
CAP. 1 - IL GENERE ......................................................................................9
Donne e uomini...........................................................................................9
Il genere "nascosto” .................................................................................. 10
Sesso-genere, Natura-Cultura ...................................................................... 11
La sproporzione ....................................................................................... 12
Decostruzione di "sex", approfondimento di "gender” ....................................... 14
Corpo/anima, corpo < anima ...................................................................... 15
Il corpo umano come simbolo del corpo sociale................................................ 15
Maschio o femmina?................................................................................. 16
L'orientamento sessuale ............................................................................ 16
Nuove prospettive di analisi........................................................................ 17
CAP. 2 - REALISMO E NOMINALISMO: I NEMICI TEORICI (E PRATICI) DEL FEMMINISMO .. 19
Realismo antifemminista ............................................................................ 19
Obiezioni al realismo ............................................................................... 20
Dialogo Natura-Cultura............................................................................. 21
Realismo femminista ................................................................................. 22
Nominalismo antifemminista ....................................................................... 24
Obiezioni al nominalismo .......................................................................... 25
Mascolinità e dominio .............................................................................. 27
Nominalismo femminista estremo ................................................................. 29
Una soluzione: il nominalismo femminista moderato ......................................... 30
CAP. 3 – IL PATRIARCATO ............................................................................ 31
Ipotesi.................................................................................................... 31
La forza fisica, la guerra e la socializzazione .................................................. 32
Il rapporto sessuale, un modello di violenza ................................................... 33
La riproduzione: disparità e perversioni ........................................................ 34
Le strategie di controllo sul corpo femminile................................................... 36
Il contratto sessuale: un corpo che non ci appartiene ........................................ 36
Corpi “maltrattati” ................................................................................. 38
Matrimonio e patrilinearità ....................................................................... 39
CAP. 4 – PRIVATO/PUBBLICO ........................................................................ 42
Lo spazio bipartito ................................................................................... 42
145
Strascichi”: donna-privato, anche quando agisce nel pubblico...............................43
La famiglia.............................................................................................. 44
Il lavoro familiare non retribuito né equamente condiviso ...................................45
Le lavoratrici e le mogli appagate ................................................................46
Socializzazione dei ruoli di genere ................................................................48
Oltre “privato vs pubblico” : contaminazioni .................................................. 49
La “pubblicizazzione” del “privato” ..............................................................49
Famiglia-valore (?) ...................................................................................50
Le TRA, effetti collaterali dell’ideologia familiare ............................................50
La “privatizzazione” del “pubblico” ..............................................................52
CAP. 5 – DISINDETIFICAZIONE FEMMINISTA: VERSO “L’INDIVIDUA” ......................... 54
L’inferiorizzazione.................................................................................... 54
Esseri imperfetti e dipendenti .....................................................................54
Autodisprezzo: misoginia femminile .............................................................. 59
La parziale verità di certi pregiudizi .............................................................60
"La pesadumbre comùn”.............................................................................61
Il corpo femminile: ignoranza, paura, vergogna ................................................62
L’androcentrismo: una parzialità divenuta universale....................................... 63
Porsi come soggetti ................................................................................... 66
Come significarsi? Individualità e femminilità ..................................................66
Il potere ................................................................................................. 68
Il potere-male.........................................................................................71
Il potere domestico (?) ..............................................................................72
Equipotenza e individualità “autorevoli” ........................................................73
La voce delle donne................................................................................... 75
…Una voce ancora flebile ...........................................................................77
Valore dell’associazionismo ........................................................................ 77
Una ridefinizione provvisoria ...................................................................... 80
La maternità, un caso speciale .................................................................... 81
CAP. 6 – LA NORMA DEL’UGUAGLIANZA: INCOERENZE, PARADOSSI, EVOLUZIONE ....... 87
Femminismo e Illuminismo, amore-odio.......................................................... 87
"Quiero la diferencia” ............................................................................... 89
Il rapporto conflittuale con le norme............................................................. 90
L’evoluzione del concetto di uguaglianza ........................................................92
Il corpo-pensante negato reclama la sua parte ................................................ 95
Sintomatologia del disagio..........................................................................95
I diritti delle donne attraverso i diritti “neutri” ...............................................96
146
Vacío de la norma” o compromesso? ............................................................. 98
I diritti delle donne attraverso i diritti delle donne ......................................... 100
CAP. 7 – UN NEUTRO PROBLEMATICO ............................................................102
L’incommensurabile peso della differenza .....................................................102
È possibile coabitare l’ “umanità”?..............................................................105
L’universalizzazione deI valori ................................................................... 108
Rigenerazione dell’universale: hambre y olfato .............................................. 110
CAP. 8 – VERSO UN NUOVO MODELLO DI SOGGETTIVITÀ .....................................111
Essere figli@ ...........................................................................................111
Il soggetto incarnato ................................................................................112
CONCLUSIONI ..........................................................................................115
RINGRAZIAMENTI......................................................................................131
BIBLIOGRAFIA ..........................................................................................133