francesco paolo michetti e il japonisme

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francesco paolo michetti e il japonisme
francesco paolo michetti
e il japonisme
L’interesse per la pittura giapponese si afferma con grande vigore in Francia, soprattutto
fra gli Impressionisti a partire dall’Esposizione parigina del 1867. E sono proprio i numerosi
viaggi compiuti a Parigi a partire dal giugno del 1871 a fornire a Michetti l’occasione per
l’incontro con l’arte giapponese.
Punto di riferimento per l’artista abruzzese nell’interpretazione dell’ondata artistica
giapponese, portatrice di maggiore verità ottica e coloristica, è però Mariano Fortuny, pittore
catalano che nel 1868 si trova a Napoli, quando Michetti studia all’Istituto di Belle Arti. Passa
dal Fortuny il giapponismo nel senso in cui viene accolto nella pittura internazionale come
una pittura limpida, rapida, vivace, libera nel comporre, scevra da ogni regola prospettica e
accademica.
Mariano Fortuny, Los hijos del pintor, Marìa Luisa y Mariano, en el salón japonés
1874, olio su tela
Museo Nacional del Prado, Madrid
Manifesto del superamento del verismo del Palizzi, della Scuola di Resina e del chiaro influsso
della pittura giapponese filtrata dal Fortuny è la grande tela La processione del Corpus Domini
a Chieti (1876-1877) presentata da Michetti all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Napoli
del 1877. Si tratta al contrario di un verismo puramente emotivo e psichico, fatto di cose
immaginate e dipinte come se fossero visibili attraverso una pittura frammentata, rapida e
sommaria.
A proposito dell’approccio dell’artista abruzzese all’arte giapponese scrive Ugo Ojetti: da quel
capriccio che era venuto di moda e che corrispondeva tanto bene alla sua giovinezza, partì di corsa
per mostrare in altri cento modi la sua fantasia bizzarra. Il modo più evidente furono le cornici
dei quadri che egli naturalmente eseguiva da sè. Quella del Corpus Domini color di ferro, con una
donna dipinta in alto avvolta in un lungo lenzuolo e un bambino in braccio alla donna, e, sotto, un
uomo nudo e un disco d’ottone lucido con su una palla nera, recava scarabei, stelle marine, rosarii,
crocifissi, discipline, scapolari in una confusione che voleva essere un commento del quadro e quasi
una raccolta dei più singolari emblemi dell’anima abruzzese. (1)
L’atteggiamento libero, tipico dell’arte giapponese, che annulla differenze e gerarchie tra belle
arti e arti decorative è espresso da Michetti non solo attraverso elementi di puro décor (stoffe,
arredi e forme di vita naturale e animale) con cui riempie le sue tele, ma anche nel modo in cui
concepisce e lavora le sue cornici. Esse non solo allargano e arricchiscono il campo figurativo,
ma diventano pezzi di realtà composti in un’unità fantastica tale da non lasciare indifferente
l’osservatore.
L’affinità di Michetti con l’arte giapponese non incontra però il favore della critica. Così
Adriano Cecioni nel 1880 definisce la pittura di Michetti, pittura non intera, ma stritolata in
mille pezzetti da doversi raccogliere col cucchiaio. (2)
Per quella moda del Giappone l’Italia rischiò addirittura di perdere il suo Michetti (3), scrive
preoccupato Ugo Ojetti nel 1910. Ojetti si riferisce al tentativo di Antonio Fontanesi, che a
Tokyo aveva trascorso un lungo soggiorno colmo di successi, di convincere il tanto più giovane
collega a prendere il suo posto nella capitale. E Michetti, raggiante all’idea, aveva dovuto
ricredersi a causa delle insistenze di re Umberto I di Savoia che lo aveva persuaso con queste
parole: Voi Michetti, proprio volete andare in Giappone? – Maestà vi lavorerò molto bene. - Michetti
voi non dovete andare laggiù. Il vostro posto è qui. (4)
(1) (3) (4) U. Ojetti, Artisti contemporanei: F. P. Michetti, in “Emporium”, 1910, Vol. XXXII, n. 192, pp. 414,
415
(2) A. Cecioni, G. Uzielli, G. Carducci, Scritti e ricordi, Domenicana, Napoli, 1905, p. 302
Bibliografia
A. Cecioni, G. Uzielli, G. Carducci, Scritti e ricordi, Domenicana, Napoli, 1905;
U. Ojetti, Artisti contemporanei: F. P. Michetti, in “Emporium”, 1910, Vol. XXXII, n. 192, pp. 403-428;
Francesco Paolo Michetti. Dipinti, pastelli, disegni, Electa, Napoli, 1999.
la tendenza japonisme
Il termine japonisme sta a indicare l’influenza dell’arte giapponese sulle produzioni artistiche
europee comprese tra la metà del XIX secolo e la Prima Guerra Mondiale. A destar maggior
interesse sono le stampe della scuola ukiyo-e: xilografie inizialmente su fondo nero, successivamente colorate e laccate, firmate dai più celebri maestri giapponesi come Hiroshige, Utamaro
e Hokusai. Le stampe ritraevano scene di vita quotidiana ed erano caratterizzate dall’appiattimento prospettico (bidimensionale), dal taglio fotografico, dall’assenza di chiaroscuri e da
una certa ricchezza cromatico-luministica.
Le produzioni artistiche giapponesi giungono in Europa a partire dal 1854, quando il Giappone pone fine al lungo periodo di isolamento politico, commerciale e culturale nel quale si era
ritirato dal 1646. Le navi della Compagnia delle Indie le introducono in Olanda, e da qui esse
raggiungono gli altri Paesi del Vecchio Continente.
Alla diffusione degli oggetti artistici contribuiscono anche la pubblicazione della rivista Le
Japon artistique (1888-1891), curata dal collezionista e mercante Samuel Bing, nonché le Esposizioni Universali, cui il Giappone partecipa con propri padiglioni (fin dal 1862 a Londra) e
l’apertura di negozi specializzati in oggetti dell’Estremo Oriente che aiutano a far conoscere
e circolare una quantità di materiali (stampe, oggetti, arredi) che alimentano la curiosità e il
collezionismo.
Katsushika Hokusai, Shinagawa sulla via di Tōkaidō, 1832 ca. xilografia
Utagawa Hiroshige, Fiori e piante delle quattro stagioni, 1835 ca., xilografia