GIORNO DELLA MEMORIA
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GIORNO DELLA MEMORIA
27 GENNAIO GIORNO DELLA MEMORIA PER NON DIMENTICARE “Finchè avremo memoria… noi resteremo uomini… Li costringeremo ad uccidere degli uomini…” CLASSE V° a.s. 2013/14 Giulia Altafini Valerio Bacchin Nicolò Bortolozzo Elena Carmignato Francesca Cavallin Rim Karouach Alessandro Minuzzo Virginia Panizzolo Sofia Rocco Mattia Saccon Lucia Tosetto Tommaso Zamarchi Ins. Maria Teresa Lunardo ORIGINE DEL TERMINE OLOCAUSTO Il termine greco “olokauston” indicava un sacrificio religioso in cui la vittima animale era interamente bruciata. Nella lingua latina prese il significato di sacrificio estremo. In epoca recente è divenuto il termine con cui si indica un evento particolarmente tragico della storia: lo sterminio sistematico di milioni di ebrei compiuto dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Corrisponde alle parole ebraiche Shoah, cioè sciagura, distruzione, e Hurban, sacrificio, con le quali era indicata l’uccisione degli ebrei, perseguitati dai nazisti per la loro razza e religione. La dominazione tedesca si basava sul saccheggio e sullo sterminio. Le vittime non furono soltanto ebrei, ma anche prigionieri politici, zingari, handicappati, omosessuali considerati razze inferiori, che furono sfruttati come manodopera ed eliminati nei campi di sterminio, attraverso le camere a gas ed i forni crematori. I campi furono gestiti dalle SS con una disciplina militare brutale e severissima. Morirono 11 milioni di persone, di cui più di 6 milioni ebrei. CENNI STORICI Il termine “olocausto” si riferisce al periodo dal gennaio 1933, quando Hitler divenne cancelliere della Germania, al maggio 1945, quando finì la guerra. In questo periodo venne compiuta la “soluzione finale”, cioè il piano nazista di sterminare gli ebrei d’Europa. Il 14 novembre 1935 i nazisti definirono così un “ebreo”: - chiunque, con due nonni ebrei, appartenesse alla Comunità Ebraica; - chiunque fosse sposato con un ebreo o una ebrea; - chiunque discendesse da un matrimonio, o da una relazione extraconiugale, con un ebreo. Gli ebrei erano l’unico gruppo destinato ad essere annientato. Per sfuggire alla persecuzione potevano solo abbandonare i territori controllati dai tedeschi. Altri gruppi, ad esempio i criminali o i nemici della Germania, venivano perseguitati, ma le loro famiglie non venivano coinvolte, di conseguenza, se una persona veniva eliminata, non tutti i membri della famiglia subivano la stessa sorte. Nella maggior parte i nemici dei nazisti erano classificati tali a causa delle loro attività o appartenenza politica. Gli ebrei invece venivano perseguitati a causa della loro origine: consideravano gli ebrei una razza che aveva lo scopo di dominare il mondo. Non tutta la popolazione tedesca condivise la persecuzione ebrea; ci furono tedeschi che li aiutarono a fuggire, o li nascosero. Tra questi ci fu anche una parte del clero tedesco. DA “UN SACCHETTO DI BIGLIE” DI JOSEPH JOFFO Joseph Joffo ha raccontato nel romanzo “Un sacchetto di biglie” la sua esperienza di ragazzo ebreo trattando il tema dell’ebraismo come esperienza vissuta da lui e dalla sua famiglia dopo essere fuggiti dall’Ucraina per trasferirsi a Parigi. Fu un’esperienza tragica di emarginazione e persecuzione, ma anche improntata al coraggio e alla voglia di giustizia. UNA STELLA GIALLA Un bimbo prova per la prima volta il disagio di sentirsi e di essere chiamato ebreo: deve portare una stella gialla sulla giacca. Egli fa una vita semplice, ma gli sfugge l’aspetto tragico di questa esperienza. Viene confortato da un compagno che gli invidia quel segno e lo vuole per lui, in cambio di alcune biglie. Maurice camminava davanti a me e ad un tratto si fermò a guardarmi. Poi mi chiese perché mettessi la sciarpa in modo da coprire la stella e io risposi che era il vento che la spostava. Arrivati a scuola alcuni si accorsero della stella e quasi ne erano invidiosi, ma anche orgogliosi di me e vollero mostrarmi a tutti, ma dall’ombra uscirono due visi seri che mi chiesero se fossi un giudeo. Non potei negarlo e dissero che se c’era la guerra era per colpa dei giudei. Il mio amico Zerati mi difese dicendo che non era colpa mia se c’era la guerra. Io non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Ero un bambino normale, mio papà era un parrucchiere come i miei fratelli, la mamma cucinava, alla domenica papà ci portava a vedere i cavalli, durante la settimana andavo a scuola…e improvvisamente, per colpa di qualche centimetro quadrato di stoffa gialla, ero diventato ebreo. Ma cosa significava ebreo? Che cos’era un ebreo? Sentivo la collera salire per la rabbia di non capire. In Rue Marcadet c’era un manifesto molto grande a colori. Ci si vedeva un ragno che strisciava sul globo terrestre, era peloso, con la testa d’uomo e una brutta faccia con gli occhi stretti, le orecchie a sventola, la bocca labbruta e un naso orribile a lama di scimitarra; sotto c’era scritto qualcosa: “L’ebreo che cerca di possedere il mondo”. Se quello era un ebreo, io non ero così, perciò io non ero un ebreo. Entrammo in classe e raggiunsi il mio posto accanto a Zerati. Era molto che non mi interrogavano ed ero sicuro che mi sarebbe toccato, ma non fu così: anche il maestro mi evitava. Cercai di attirare la sua attenzione facendo cadere la mia lavagna, ma non successe niente. Uscii in cortile per la ricreazione e, improvvisamente, fu un turbine. Mi ballarono attorno, uno mi spinse, poi mi colpì, Maurice e Zerati si battevano con altri, ma ad un tratto il fischietto del sorvegliante fermò tutto e ritornammo in classe senza poter parlare e capire perché fossi stato picchiato, poiché io mi ritenevo quello di sempre, frequentavo anche l’oratorio con altri ragazzini del quartiere e si giocava a pallacanestro. Al termine delle lezioni mi vestii e uscii, Maurice mi aspettò e ci incamminammo. Qualcuno mi corse dietro, era Zerati, in mano teneva un sacchetto di tela chiuso con un cordino, me lo tese e mi propose di scambiarlo con la mia stella gialla e io accettai. Così diedi la mia stella gialla per un sacchetto di biglie. Fu il mio primo affare. DA “L’AMICO RITROVATO” DI FRED UHLMAN L’AMICO Lui entrò nella mia vita nel 1932 e non ne uscì più. Mi ricordo ancora perfettamente quando lo vidi per la prima volta, lui sarebbe stato la mia più grande felicità, ma anche la mia più enorme delusione. Ero a scuola quando entrò il direttore con un giovane ragazzo che non avevo mai visto: aveva il portamento sicuro e un sorriso appena accennato. Capii subito che Konradin (il ragazzo) sarebbe diventato mio amico. Ma come fare per attirarlo a me? Non sapevo cosa offrirgli, lui sembrava così soddisfatto di stare solo che rifiutava qualsiasi contatto. Alcuni giorni dopo stavo andando a casa e vidi Konradin che sembrava stesse aspettando qualcuno. Quando fui quasi accanto a lui, mi guardò e mi sorrise, poi mi strinse la mano e mi salutò; mi resi conto che anche lui era timido come me e anche lui bisognoso di amicizia. Camminammo tanto, avanti e indietro, ebbi come l’impressione che questo sarebbe stato solo l’inizio e che la nostra vita sarebbe stata ricca di pensieri e sentimenti per tutti e due. Da quel giorno fummo inseparabili: io, un ragazzo ebreo, e lui un ragazzo dell’antica nobiltà tedesca. Passarono i mesi, si sentirono voci di scontri tra nazisti e comunisti, che stavano buttando giù le case degli ebrei, ma niente turbava la nostra amicizia. Lui veniva a casa mia e anche io andavo da lui, ma stranamente mi invitava quando i suoi genitori non c’erano; la sua casa era piena di foto e quadri con cornici d’oro ed una raffigurava Adolf Hitler; mi sembrò strano che avessero rapporti con un individuo del genere. Una sera, a teatro, trovai Konradin con i suoi genitori, ma lui fece finta di non vedermi; quella notte non chiusi occhio e il mattino seguente nessuno di noi due guardò l’altro. Al suono dell’ultima campanella tornammo a casa insieme ed io volli sapere perché si vergognasse di me, tanto da non presentarmi ai suoi genitori; lui rispose che non si vergognava di me, ma sua mamma detestava gli ebrei ed era gelosa della nostra amicizia. Mi supplicò di non togliergli la mia amicizia. Ben presto, però, lui non mi invitò più a casa sua e quando a scuola mi presero in giro non mi consolò. Qualche tempo dopo andai dagli zii di New York e poco prima di partire ricevetti da Konradin una lettera nella quale si dispiaceva di non vedermi più; capiva che per me sarebbe stato difficile il trasferimento, lasciare la Germania che sarebbe stata guidata da un uomo che lui ammirava tanto e che avrebbe guidato il mondo. Forse un giorno ci saremmo rivisti, ma fino ad allora non mi avrebbe dimenticato. Partii per l’America. DA “UN’ANIMA NON VILE” DI FRED UHLMAN LETTERA AD UN AMICO Mio caro Hans, ti scrivo questa lettera dalla prigione di Spandau il 10 settembre 1944. Sai, io e i miei amici saremo giustiziati per aver partecipato al complotto per uccidere Hitler. Mi ricordo quando ci siamo conosciuti, eri gentile e in gamba, invece io ero timido e intimorito. Da subito volevo essere tuo amico, anche se eri un ebreo. Camminavamo per ore parlando e ridendo, ma non avevo il coraggio di dirlo ai miei genitori che avevo trovato un amico ebreo. Intanto noi diventavamo come fratelli. Mia madre, un giorno, mi ha detto di lasciarti, perché lei odiava gli ebrei, ma io ovviamente le ho detto di no, allora lei ne parlò con mio padre. Mio padre aveva detto che potevo rivederti, ma non dovevo portarti a casa mia quando c’erano loro. Un giorno tu mi hai invitato a casa tua e tua madre è stata gentile con me ed io ti ho invidiato, perché era molto più buona e gentile della mia. Come eri fortunato ad averla! Come ha guardato te, ha guardato anche me: era chiaro che provava amore. Ti ricordi della sera a teatro? Il giorno dopo mi hai chiesto perché ti avessi ignorato, io ho cercato di spiegartelo, ma tu non capivi e allora io ho pianto perché sapevo che la nostra amicizia non sarebbe più stata come prima. Domani sarò giustiziato e sono preoccupato per i miei genitori, soprattutto per mia madre, quando saprà che i suoi amici nazisti mi hanno ucciso, proprio quei nazisti di cui aveva fiducia, mio padre, invece, lo sapeva che Hitler era un pazzo. Ricordati che ho cercato di salvare i tuoi genitori, sono andato a trovarli al campo, ma il giorno dopo sono morti e io ho pianto tanto. Voglio anche che tu sappia che non avevo mai sentito parlare dei campi di concentramento e delle camere a gas e lo ripeterò fino alla morte. Ora devo smettere, stanno venendo a prendermi. Sempre tuo, Konradin