Collaudo C119. PDF

Transcript

Collaudo C119. PDF
IL COLLAUDO
Sabato 18 ottobre 2008, ore 9,30. Sono fermo con il furgone di Domenico poco a sud di
Mansuè in attesa che arrivino Germano e Daniele. Nel furgone con me c’è Iginio e dietro è
stivato il mio C119 Vagone Volante pronto per il collaudo. Un sogno durato 12 anni. Ho fatto
tanti modelli, più o meno belli, più o meno costosi, più o meno amati, ma in fondo al cuore
c’era sempre Lui. Ho iniziato ad amarlo nell’autunno del ’75. Faceva freddo giù a Pisa, e quando
si saliva nel vano di carico sembrava di stare più caldi e riparati e c’era sempre un odore
caratteristico al suo interno, credo fosse il materiale antiscivolo del pavimento. Poi c’era la
messa in moto e le possenti quadripale che scuotevano la struttura con una vibrazione che
andava calando man mano che il giro dell’elica diventa più rapido e rotondo. Infine il decollo,
lunghissimo, quasi stentato. Poi, giunti sulla zona lancio, si saltava nel vuoto e la prima
sensazione dopo l’apertura della calotta era il grande silenzio e guardavi il vagone volante ormai
lontano.
Ho cominciato i disegni costruttivi nel ’96 partendo da un trittico in scala 1:72. Ero un
aeromodellista pieno di entusiasmo e buona volontà, ma certamente non ero all’altezza di questa
impresa, ma sapevo che non dovevo affrettare i tempi. Volevo che fosse grande. Così grande da
poter realizzare tutti quei particolari che mi affascinavano, i grandi flaps, i carrelli
complicatissimi, il canto dei motori. Poi volevo riprodurre l’interno del vano di carico, con le
ordinate e i fori di alleggerimento, il pavimento antiscivolo, gli oblò, i paracadute appesi, i cavi
per le funi di vincolo, le rulliere. Tutte le volte che avevo un po’ di tempo e qualche buona idea
la mettevo nei disegni. Nel 2003 mi sono deciso a costruire un piccolo prototipo in scala 1:23.
Solamente 150cm di apertura alare, 2 motori da 2,5cc ciascuno, lancio a mano. In soli 40 giorni
il modellino era già pronto per il volo e tutti i test si sono felicemente conclusi. Anche con un
solo motore riuscivo a governare e riportare all’atterraggio la creatura.
Intanto i disegni si arricchivano di particolari e note costruttive. Nel dicembre del 2007 ho
ricevuto l’ok di Sergio, lui si sarebbe fatto carico di sviluppare e realizzare i carrelli. Questo per
me è stato un grande sollievo. A questo punto il ritmo di produzione dei disegni è diventato
frenetico fino ad arrivare alla stampa e alla consegna a Bruno per la preparazione delle parti in
sandwich balsa-polistirolo-obeche delle strutture principali e di tutte le velature della nuova
creatura in scala 1:10.
Apertura alare 333cm, 265cm di lunghezza, 2 motori SAITO FA182T bicilindrici a 4 tempi da
30cc ciascuno, 20kg di peso stimato.
Con il grande aiuto di Simone e della sua fresa CNC, a marzo 2008 ho cominciato il grande
lavoro e a ottobre dello stesso anno il modello era pronto da collaudare. 19Kg di massa inerte
che ancora non so se sarà in grado di volare. Nessuna finitura, carrelli principali bloccati in
posizione aperta, nessuna verniciatura, niente di inutile. Solamente lo stretto necessario per
mettere in volo quello dovrebbe diventare la fedele riproduzione in scala 1:10 del cargo che per
25 anni ha solcato il cieli di mezzo mondo. Il cono di coda (le valve posteriori, in termine
tecnico) è un pezzo di polistirolo sagomato. Di polistirolo sagomato anche il grande musone
anteriore. Il carrello anteriore è fisso e realizzato con un manico di scopa piantato nel polistirolo
del musone.
Mancano le capottature dei motori, ma questo per ora è un bene in quanto mi permette di
controllarli e carburarli a puntino. Unico vezzo, il riporto a pennarello delle sagome delle porte e
dei finestrini sul bianco dei due blocchi di polistirolo sagomato.
Se volerà, e se volerà bene, tutto quello che ora non c’è, ci sarà. E le finiture saranno superbe,
non mancheranno le pannellature e i rivetti, ci saranno le “stencil” bianche delle scritte, ci
saranno le scalette per i piloti e le rampe per il carico, ci sarà anche…
Sono assorto in questi pensieri quando ecco Germano sorridente che si affaccia al finestrino del
furgone. Piombo nella realtà: c’è da andare a far volare l’aereo per cercare di trasformare il sogno
in realtà.
Il Vagone Volante. Già l’aggettivo “volante” mi sembra di buon auspicio, però non nascondo la
mia preoccupazione a Germano. Riusciamo a scambiare solo poche parole e ecco, anche
Daniele è presente all’appuntamento.
Adesso siamo in viaggio verso nord, 60 km ci separano da Lestans e sono combattuto nel
dualismo del desiderio di arrivare quanto prima e togliermi questo dubbio, o se sperare che quei
60km siano 600, 6000 o anche più…
Le previsioni meteo sono buone, ciò nonostante durante il percorso tengo d’occhio il cielo che
ancora si presenta coperto e le punte degli alberi che si piegano sotto gli ultimi refoli di bora. A
metà strada si aggrega anche Adelchi e così la comitiva è al completo. Arrivati a Lestans
troviamo anche Sante, arrivato poco prima di noi. Beniamino, grande padrone di casa, ci
accoglie con la cordialità che da sempre lo distingue.
Scarico e preparo il modello, faccio i controlli e le verifiche del caso. All’interno della capace
fusoliera, fra la prima e la seconda ordinata, ho nascosto il mio libretto personale dei voli e dei
lanci per i militari paracadutisti dell’esercito. Dopo 33 anni lo riporterò in cielo, sulla stessa
macchina volante, seppur in scala ridotta.
Controllo per bene la pista e
quanto
la
circonda,
prendendo
nota
della
posizione degli alberi lontani
e delle spianate dove
atterrare in caso di piantata
motore… Decido che la
corsa di decollo sarà
diagonale alla pista, in
perfetto controvento alla
poca bora che ancora insiste
sul posto. Oltretutto, in
questo modo la pista
diventerà più lunga e questo
sarà certo un bene.
In fianco alla pista sono in
2
corso i lavori per la messa in sicurezza del campo, mediante posa di un’alta rete metallica atta a
dividere la zona pubblico dalla zona volo. Nessuno lavora, tutti sono fermi e aspettano…
aspettano me. Aspettano il volo del Fairchild C119 Vagone Volante. Cosa sperano di vedere?
Vogliono il tributo di sangue? Dovrò schiantare il modello perché possano raccontare come
hanno visto naufragare sogni e ambizioni di un aeromodellista? Non darò loro questa
soddisfazione, mi dico, ma non ne sono proprio sicuro…
I motori sono in moto e ronfano sommessi in attesa del mio comando che aprirà le valvole dei
carburatori. Mi posiziono dietro al modello, e dopo essermi girato ancora una volta per
controllare quella che sarà la direttrice dell’atterraggio ed i relativi punti di riferimento, apro
manetta. I carburatori si spalancano, i venturi divorano l’aria che si mescola al carburante e il
tutto si trasforma in rumore e potenza. Le eliche affettano e mordono l’aria e si tirano dietro il
bestione.
L’aereo prende velocità rapidamente lasciando dietro di se i fumi azzurrini dei bicilindrici a
quattro tempi che adesso urlano in allontanamento. L’avantreno è ancora ben piantato a terra e
non accenna a scaricarsi. A fine pista c’è un prato con l’erba un po’ più alta. Se non si alza
adesso dovrò abortire. Comincio a cabrare sempre più deciso e quando ormai sembra che sia
troppo tardi, il vagone stacca le ruote dall’erba e inizia la sua nuova, vera vita, trasformandosi da
oggetto pesante e terrestre in essere leggero e celeste.
Stabile e pacato, continua la sua salita perfettamente allineato alla corsa di decollo e l’effetto
prospettico lo rendono piccolo contro le montagne del Friuli. Ancora un po’ di quota, ti prego…
non piantare adesso. Non oso virare per non perdere velocità e rateo di salita. Adesso è lontano,
mi devo decidere. Poco alettoni a sinistra, poco cabra e lui inizia una larga virata di 180° per
tornare verso di me. Ancora non conosco le sue doti di volo, quindi non oso “tirare” la salita per
timore dello stallo, lo lascio salire tranquillo fino a livellare in quota di sicurezza.
A questo punto metto i motori al 70% e li faccio riposare un pochino. Controllo l’assetto, verifico
le risposte ai comandi, provo a
smotorare per verificare le
negative dei motori. Un po’ di
trim a picchiare. Trim alettoni e
derive sono rimasti a zero,
nessuna correzione necessaria.
Adesso provo ad arrampicare a
manetta e cerco di capirne i
limiti. Provo i flaps al 50% e
prendo
nota
dell’effetto
cabrante. Adesso flaps fuori
tutto e il vagone volante rallenta
quasi a fermarsi, il momento
cabrante è ancora più sensibile
ma la portanza generata da
quelle quattro superfici è strabiliante. Rallenta ancora, a poco a poco si ferma e mette giù l’ala
sinistra: questo è lo stallo! Motori a manetta, qualche metro di quota speso a favore di un po’ di
3
velocità e il controllo è nuovamente totale. Adesso riprendo a respirare. Credo di essere rimasto
in apnea da quando è iniziata la corsa di decollo.
Ancora qualche passaggio a metà potenza poi inizio un avvicinamento controvento per provare il
percorso d’atterraggio. Non voglio atterrare adesso, voglio solamente passare basso sulla
verticale della pista per “far vedere al modello” quale sarà la strada e dove dovrà posare le ruote.
Il passaggio è perfetto e mi dico che sarà sufficiente ripeterlo tale e quale, riducendo potenza e
quota al momento buono. Sono nuovamente in circuito, sottovento. Ancora un virata ed ecco,
non ci sono più scuse, controvento, in finale. Il punto di riferimento è una torre piezometrica
lontana. Metto il C fra me e la torre, fuori i flaps. Lui alza il muso, rispondo pronto con un po’ di
picchia per tenergli giù la prua. Adesso mi sembra che perda velocità troppo rapidamente.
Motori un po’ più allegri, La sagoma oramai è grossa, ingombrante, vicina.
Ci siamo. Ancora un
colpetto di gas per evitare
che metta giù le ruote
proprio su quella cunetta.
Sono incantato dall’assetto
cabrato di questa creatura
che proprio adesso mi
passa lentissima davanti, a
mezzo metro di quota. Le
ruote
sfiorano
l’erba
rispettose, mentre i pistoni
dei carrelli principali
assorbono piano il peso.
Ancora pochi metri con il
ruotino di prua sollevato e poi giù, adesso è proprio finita! La corsa è brevissima, mi sono
mangiato solamente mezza pista.
Ancora non c’è il ruotino sterzante, quindi un “taxi” con le sole derive lo farebbe girare troppo
largo. Vado io, dico. Spingerò un po’ giù le derive e lo farò girare, poi rullerò fino alla base. La
verità è che mi sembra di avere le gambe di legno e voglio provare a muoverle per vedere cosa
succede. Poi quando sarò li e spingerò giù la deriva destra, nessuno lo vedrà, ma sarà una
carezza.
4