Odile Decq - Italcementi

Transcript

Odile Decq - Italcementi
54
L’ECO DI BERGAMO
MERCOLEDÌ 18 APRILE 2012
Cultura
C’era una volta twitter
I materiali dell’urbanistica sono il sole,
gli alberi, il cielo, l’acciaio, il cemento, in
quest’ordine gerarchico
LE CORBUSIER
[email protected]
www.ecodibergamo.it
a
Odile Decq: l’architettura cambia la vita
Lezione all’iLab di Stezzano sulla sua opera e la grande sfida di oggi: costruire città a misura d’uomo
Leone d’oro a Venezia, ha progettato il Macro di Roma: «I musei devono essere luoghi d’incontro»
H
a un aspetto inusuale
e gotico l’architetto
francese Odile Decq,
con un’acconciatura
sapientemente spettinata e un
trucco scuro e marcato: di persona è intensa, appassionata e
decisa come gli edifici che progetta, e la sua giacca (ovviamente nera) è altrettanto asimmetrica.
Tutto in lei indica uno stile: lo
stesso che esprime nel suo lavoro, che le ha fatto ottenere premi prestigiosi come il Leone d’oro alla Carriera alla Biennale di
Architettura a Venezia nel ’96 e
la Legion d’onore in Francia nel
2003. Tra le realizzazioni più recenti l’ampliamento del Macro,
museo d’arte contemporanea di
Roma, che ha presentato, insieme a molte altre, durante la sua
- seguitissima - lezione magistrale all’i.Lab, nuovo centro di
Ricerca e Innovazione del Gruppo Italcementi disegnato da Richard Meier.
Quello di ieri è stato il primo degli incontri su «Architetture: costruire un’eredità sostenibile»
promossi per l’inaugurazione
del centro e in concomitanza
con la Settimana milanese del
design e la mostra evento «Interni Legacy». Oggi (alle 15) c’è
Zhang Ke, domani (alle 10,30)
Mario Cucinella, venerdì (10,30)
Daniel Libeskind. Gli interventi
si possono seguire anche dal sito www.italcementi.it.
Alla base dell’architettura di
Odile Decq c’è un equilibrio «dinamico», un’opposizione di
masse (e di concetti) che si armonizzano in forme fluttuanti,
leggere, essenziali ma comunque calde. Usa materiali hi tech
come vetro e metallo ma anche
tradizionali come il legno. Ha un
modo di lavorare concreto, sensuale, che procede senza certezze precostituite, con una ricerca
continua, aperta a discipline diverse: arte e cinema, soprattutto, ma anche la musica rock.
Tutti mezzi che le permettono di
enfatizzare nel suo lavoro le relazioni tra città e territorio, tra
paesaggio urbano e spazi interni. Sono tracce di un percorso
originale e di una tensione al futuro: «Per me l’architettura è
questo: andare avanti, ogni volta, inseguire l’orizzonte».
Lo spazio pubblico del museo che
sfida rappresenta per un architetto?
«È davvero importante perché è
il luogo in cui il grande pubblico
può accedere all’arte contemporanea. È un luogo di raccordo.
Dev’essere aperto alla città, deve affacciarsi su di essa, non può
restare chiuso e separato.
Dev’essere un luogo in divenire,
dove si instaura una relazione
con le opere e che insieme mostra ciò che la città è».
C’è un progetto particolare che le interesserebbe realizzare?
«Tutto, la prossima cosa che non
ho ancora fatto».
Qual è l’orizzonte dell’architettura?
«L’architettura si interesserà
sempre di più alla città, alle questioni legate allo spazio urbano,
perché la città è il posto dove la
maggior parte della gente vive in
tutto il mondo. Gli architetti non
possono interessarsi soltanto di
strutture. Gli edifici che costruiscono vengono abitati, vissuti. È
importante quindi dedicarsi a
come essi si possono usare correttamente. L’architettura è una
cosa concreta, e non una teoria
astratta, e da essa dipende il modo in cui la gente vive, perciò è
essenziale che gli architetti si occupino sempre di più anche della qualità della vita».
Anche i materiali stanno cambiando, e cambia il modo di usarli?
«Ogni volta cerco i materiali che
si adattano al progetto e alla situazione specifica in cui devo
usarli. E allo stesso tempo cerco
materiali che mi permettano di
sperimentare, di guardare avanti, di trovare nuove strade di progettazione e di applicazione nelle strutture che realizzo».
È difficile per un architetto sperimentare, c’è anche in questo ambiente una sorta di conformismo,
oppure no?
Gocce di poesia
ODE ALL’EDIFICIO
Scavando
in un luogo,
picchiando
su una punta,
allargando e rifinendo
s’innalza la vampa costruita,
l’edificata altura
che è cresciuta
per l’uomo.
Oh gioia
dell’equilibrio
e delle proporzioni
Oh peso ricavato
da materiali scontrosi,
evoluzione dalla mota
alle colonne,
splendore di ventaglio
nelle scalinate.
Da quanti luoghi
disseminati nella geografia
qui sotto la luce è venuta
a elevarsi
l’unità trionfatrice!
L’interno del
museo Macro a
Roma e Odile
Decq (FOTO
ZANCHI)
PABLO NERUDA
«Non saprei. Non so che cosa sia
il conformismo, non mi ha mai
riguardato. Quando ho deciso di
fare questo lavoro, ho pensato
che la libertà fosse la prima cosa
da conquistare. Per questo mi
sono battuta, posso dire che mi
sono guadagnata la mia libertà e
ne ho pagato il prezzo».
In che tipo di casa vive lei?
«Vivo in un appartamento a Parigi, tutto in bianco e nero».
La sua è un’architettura sensuale?
C’è un tocco femminile in questo?
«Non so se sia una cosa femminile o no, ma sì, la sensualità mi
interessa molto. È una dimensione che mi appassiona. Il corpo, la percezione del corpo, il movimento, lo spazio che lo circonda. E la sensualità, come dice la
parola, ha a che fare con i sensi:
gli odori, i colori, il gusto, il tatto.
Fa parte della vita, è ciò che ci
rende umani, e non robot. Non
viviamo solamente con la testa,
abbiamo anche un corpo». ■
Sabrina Penteriani
©RIPRODUZIONE RISERVATA
a
Don Milani, la coerenza
di una radicalità cristiana
a Un sacerdote che con radicale coerenza ha posto al centro della sua azione pastorale il volto concreto dei poveri e degli ultimi, l’impegno per la loro emancipazione e
la cura della persona.
L’insegnamento e la testimonianza di don Lorenzo Milani
sono stati al centro dell’intervento di Daniele Rocchetti, vicepresidente delle Acli di Bergamo, in occasione del suo intervento all’oratorio del Villaggio
degli Sposi nell’ambito del per-
corso di formazione organizzato da un gruppo di cattolici democratici di Bergamo e da alcuni parroci della città.
«Il cattolicesimo democratico – ha rimarcato Mirosa Servidati che ha moderato l’incontro
– si fonda sui pilastri della laicità
e della mediazione: dialoga con
il mondo e salva i valori nella
mediazione consapevole di vivere nella città di tutti. Per i cattolici democratici i valori non negoziabili e la dimensione della
città sono due elementi da considerare insieme per evitare l’integrismo e il laicismo».
Don Milani, ha rimarcato
Rocchetti, «è stato un segno di
contraddizione, una figura complessa e controversa ancora oggi: di fronte a lui è impossibile restare neutrali, è necessario
schierarsi. La sua è una dedizione radicale che interroga». Ripercorrendo la vita del priore di
Barbiana ha sottolineato come
egli si sia reso conto «ben presto
Don Lorenzo Milani
del basso livello di istruzione e
della povertà della sua gente:
una condizione che deriva, soprattutto, dalla povertà dell’uso
della parola e del linguaggio». Da
questa consapevolezza presero
il via le esperienze delle scuole
di San Donato di Calenzano e di
Barbiana. Don Milani - dice
Rocchetti - «è un prete che sceglie in modo profondo e radicale la crescita e l’emancipazione
della sua gente. A quei ragazzi
trasmette l’idea che il sapere,
strumento di cittadinanza, ha
senso se è condiviso e se viene
messo a servizio del prossimo. Il
recupero della dignità della persona passa attraverso il recupero della parola. La sua scuola
apre al mondo ed esige una carica di responsabilità».
Don Milani «è un maestro
esigente, che mira alla formazione della coscienza critica e pone
al centro la dimensione della cura. È stato un prete sino in fondo, con rigore morale, capacità
di denuncia e senso critico; un
uomo della parola e un prete che
voleva mettere i più poveri nella
condizione di comprendere la
Parola di Dio». Voleva mostrare
- ha concluso Rocchetti - «come
dentro l’uomo e l’emancipazione del povero sta il Dio fatto uomo. Era contro la cultura dei salotti, mentre voleva cogliere il
volto concreto di chi fa più fatica. Don Milani ha incarnato una
radicalità fatta di coerenza. Era
convinto che nella passione di
Dio vive quella per l’uomo». ■
Gianluigi Ravasio