1^ report Inspired by Beijing Opera

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1^ report Inspired by Beijing Opera
Inspired by Beijing Opera
Cultura dell’opera pechinese tradizionale e nuovo autentico contemporaneo
1^ report
giugno 2010
pag 1. Obiettivi e contenuti del report
pag 3. Strategie di ricerca&progetto
pag 13. Casi studio e mappatura
pag 75. Astrazioni a partire dal patrimonio
culturale relativo all’Opera Pechinese:
tabella CODICIxARCHETIPI
a cura UdR DeCH - Design for Cultural Heritage
Dip. INDACO Politecnico di Milano
Gruppo di ricerca progettuale:
dott.se Eleonora Lupo e Raffaella Trocchianesi
Borsista: dott.sa Elena Enrica Giunta
1.
termini di materiali e oggetti/ icona sia per quanto
concerne il portato di expertise (tecniche produttive e performance, o“sapere tipico” incorporato)
che tali oggetti rappresentano.
L’insieme di queste parole chiave rappresenta la
cornice metaprogettuale entro la quale si svilupperà la “fase di concettualizzazione”, da cui scaturiranno grappoli di concept attualizzati e soggetti
ad active/action.
Obiettivi e contenuti del report
Il presente report costituisce il primo risultato della
ricerca Inspired by Chinese Opera; in particolare attraverso un metodo analitico sono stati raggiunti gli
obiettivi di lavoro della “fase di conoscenza” così
come specificati nel documento di apertura della
ricerca.
In questa fase, le azioni di ricerca sono state finalizzate all’individuazione e “rappresentazione” degli elementi più significativi del sistema e processo
culturale Opera pechinese; ne sono stati “distillati”
alcuni aspetti materiali e immateriali “tipici” (vedi
“Astrazioni”) che fungeranno da semilavorati di
partenza per lo step successivo.
Il team di ricerca ha messo a punto un framework concettuale (vedi parte seconda: Strategie di
ricerca&progetto) che si traduce in una metodologia
specifica di lavoro, analitica e metaprogettuale insieme. Tale metodo è basato dapprima su una casistica di best practice; in seguito, su delle riflessioni
e delle ipotesi pre-progettuali relative alla collezione di proprietà della Fondazione.
La casistica di best practice è esito di quella che nel
documento di apertura era stata definita “ricerca
desk” (vedi “Casi studio e mappatura”); si tratta di
una selezione ragionata di esempi efficaci di trasferimento dimensionale: formale, processuale, immaterale... a tutto campo.
Obiettivi e contenuti
del report
Dall’analisi del patrimonio della collezione invece,
posta nel contesto più allargato degli archetipi
materiali e immateriali riferibili alla tradizione
dell’Opera pechinese, sono merse parole chiave di
lavoro (i codici e gli archetipi; vedi “Astrazioni”)
riconducibili ai valori dell’opera pechinese, sia in
1
matrice elaborata per rappresentare il potenziale di attualizzazione.
2
2.
beni ed eredità culturali, materiali ed immateriali).
Proponiamo quindi la parola attivazione e in particolare l’inglesismo “active-action” (azione attiva)
come ampliamento e maggiore focalizzazione
della parola “valorizzazione”, significando una
serie di processi, attivabili dalle pratiche, tecniche, strategie e metodologie di design, di attivazione sostenibile del patrimonio culturale in
generale. L’attivazione di un patrimonio infatti può
essere orientata dal design sia in termini di tutela
e conoscenza (ad esempio attività di design per il
rilievo, rappresentazione, archivio), di valorizzazione e promozione (ad esempio attività di gestione,
progetti di allestimento e comunicazione e immagine coordinata, progettazione di servizi didattici e
informativi, produzione dell’immagine multimediale e video, design degli eventi, etc.) che di evoluzione e trasformazione, in altri termini “innovazione” (tutte le attività di design cultural-centred e
cultural-based, ovvero la valorizzione della cultura
come risorsa e materia progettuale).
Potenziale di attualizzazione
e processi di attivazione
La ricerca propone una visione del bene culturale
immateriale come patrimonio vivo e vivificabile:
patrimonio che può essere “manipolato” dalla disciplina del design per “tornare in circolo” nel contemporaneo, rinnovandosi in forme o significati.
I concetti di “attivazione-attualizzazione” e di
“autenticità-autenticazione” vengono introdotti
come framework concettuale delle ricerca inspired
by Beijing Opera, nonché come ipotesi di ricerca e
metodologia di lavoro.
ATTIVAZIONE/ACTIVE-ACTION E ATTUALIZZAZIONE
“Gli oggetti diventano antichi quando hanno superato di essere vecchi; ma questa è qualità di pochi
esempi selezionati: quando diventano antichi ridiventano patrimonio attuale e noi possiamo farne
uso pratico e quotidiana consumazione culturale”
E.N. Rogers
Perché si possa parlare di attivazione, il design attiva processi in cui funge da sistema di mediazione
tra un contesto, un bene culturale o un sistema di
beni e il fruitore o la comunità/sistema di attori
di riferimento, divenendo forma di organizzazione
dei beni, permettendone la legittimazione del valore, occasioni e momenti di accesso, fruizione e
appropriazione differenziati, in forma diretta o
mediata dalle tecnologie, e strategie di ri-contestualizzazione innovativa dello stesso valore, indagando le questioni dell’autenticità, tipicità e produzione di località (Loi, 2007; MacCannel, 2005).
I processi di attivazione abilitano quindi modalità
di concreta incorporazione di elementi culturali
nel contesto attuale insistendo quindi sul “valore
Letteralmente, il termine attivazione significa
“atto, effetto dell’attivare o del rendere attivo”.
Prendendo in prestito la dizione del mondo delle
scienze bio-chimiche, l’attivazione si riferisce più in
specifico a quei processi in cui qualcosa è preparato
o agitato per una successiva reazione. L’accezione
che qui proponiamo, si rifà a quest’ultima dinamizzazione, ma è ovviamente declinata in base a un
certo fattore/agente di attivazione (in particolare
il design come fattore abilitante) e uno specifico
oggetto di attivazione, che nel caso di nostro interesse sono le pratiche culturali, le forme in cui
si sostanziano e i luoghi in cui vengono performate
(una forma più estensiva per definire il concetto di
3
Strategie di
ricerca & progetto
d’uso” dei giacimenti culturali considerati come
“open ended knowledge systems” (Sennett, 2009)
suscettibili di continua evoluzione, trasformazione
e adattamento, nella loro capacità di interagire con
l’innovazione e di dialogare sia con i sistemi di produzione contemporanea, all’interno dei sistemi di
impresa, sia con i sistemi di fruizione contemporanea, ovvero piattaforme di abilitazione e appropriazione per le comunità. Il bene culturale infatti, ed
il suo valore, non sono categorie ‘immutabili’ ma
eventi storici destinati ad evolvere e trasformarsi
nel tempo, legati a tempi e modi di produzione di
una comunità, a processi di costruzione sociale di
riconoscimento e legittimazione collettiva, a specifiche funzioni che vanno tenute in vita integrandole
nello stile di vita contemporaneo.
stimolare cioè, processi di accelerazione per la generazione di condizioni favorevoli per il controllo,
la gestione e la valorizzazione della qualità dei beni
oggetto di attivazione in modo da salvaguardare gli
elementi di unicità, ma contestualmente favorire l’integrazione e la costruzione di relazioni sostenibili (nella forma, ma soprattutto nel numero)
con il contesto contemporaneo e globale. In questo
quadro operativo, i fattori di sostenibilità di un processo di attivazione sono: proprietà, controllo e impatto del processo e del bene culurale stesso, in un
equilibrio ideale tra elementi di unicità e elementi
di replicabilità che attivino il bene senza sfruttarlo
e depauperarlo, svuotandolo di significato. Il concetto di proprietà definisce il coinvolgimento del
detentore del bene all’interno del processo; il fattore controllo stima la capacità dello stesso di gestire e di decidere come e quando attivare il bene; il
fattore impatto valuta i benefici che il proprietario
riceverà indietro (direttamente o indirettamente)
in seguito al processo di attivazione.
Perché si possa parlare di sostenibilità, è necessario
operare (o mettere in atto) in un quadro di “equilibrio” dei fattori di persistenza e trasformazione
del valore del bene culturale oggetto di processi
di attivazione: si parla quindi di una “attivazione
in continuità”, in grado di mediare tra continuità
e riconoscibilità (invarianti o persistenze) e trasformazioni dinamiche (tendenze evolutive)
delle ‘forme’ tipiche e dei processi caratterizzanti una certa eredità culturale. Rispetto ai modelli
‘estremi’ di conservazione filologica, ovvero di persistenza di forme e processi, o di riedizione contemporanea (che conducono da una parte a una fissità
che comporta l’isolamento e la possibile scomparsa
del bene e dall’altra a una perdita dei riferimenti
originari) si propone un modello intermedio, in cui
alternativamente si conservano o forme o processi,
e che media tra conservazione e innovazione delle
forme, linguaggi, estetiche e valori di un bene e loro
incorporazione, uso e ri-uso creativo. E’ opportuno
In sintesi, il concetto di attivazione può essere applicato a forme e pratiche culturali dalla dimensione materiale e immateriale come:
- spazi pubblici e di uso collettivo, ovvero quei luoghi la cui identità e funzionalità sono riempite di
senso attraverso forme più o meno strutturate e
istituzionalizzate di fruizione e appropriazione collettiva. In questo ambito i processi di attivazione
possono enfatizzarne e interpretarne, in modo temporaneo o permanente, vocazioni, significati e usi,
stimolando pratiche, spesso partecipate e bottomup, di creatività sociale, abilitando tali spazi come
centri di aggregazione, di servizi e relazioni, che
pur essendo spesso reversibili, producono reali trasformazioni rispetto per esempio, al recupero, alla
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messa in sicurezza e dotazione di luoghi altrimenti di
‘transizione’, usando un approccio dalla logica multipla che fonde insieme arte, design, architettura,
happening, performance e servizi site-specific.
- i modi dell’espressione di tradizioni e sapere tipico, ovvero forme (beni materiali, a tutte le scale,
dall’oggetto al centro storico) e processi (beni immateriali come performances, tecniche e qualità
intangibili) della cultura che in risposta a fasi di obsolescenza e abbandono, sono immessi in un ciclo
di socializzazione e nuova significazione. In questo
ambito i processi di attivazione hanno una istanza di
tipo negoziale delle possibilità di “innovare” e rendere contemporanee (ovvero comprensibili e riproducibili) tali forme e processi, sia nella dimensione
del significato che in quella dell’uso. I processi di
attivazione cioè generano nuove cornici di senso che
rendono significativa (più articolata e arricchente)
l’esperienza del bene e nuovi contesti di esperienza
e riproduzione del bene e del suo valore, in base
a un “potenziale di attivazione” intrinseco al bene
stesso, e definito secondo le sue qualità (tangibili e
intangibili) e il grado di sapere incorporato. In questo
caso la costruzione di repertori o abachi qualitativi
è funzionale alla generazione di archetipi e codici
espressivi originari a cui fare poter fare riferimento
nella dialettica discontinuità-riconoscibilità.
del bene come sistema e come esperienza. Somigliano più ad azioni di re-start, ovvero di ri-avvio, in
cui “oggetti, processi progettuali, modalità produttive e tradizioni sedimentate nel tempo, vengono
isolati, impaginati in nuove figure, scelti e accostati
creando altri contesti intorno a loro” costruendo un
“alfabeto per produrre dialoghi con il presente”
(Calzatrava, 2008).
La trasformazione, può riguardare la dimensione
spaziale (il luogo o il contesto del bene e della sua
fruizione), temporale (lo spostamento dall’antico
al contemporaneo) o processuale (tecniche, usi,
significati) del bene e si colloca quindi in sistema a
3 assi e dimensioni.
I processi sono:
- territorializzazione, ossia, organizzazione del
bene in sistemi di relazioni orizzontali con altri beni
presenti nel territorio. Un bene culturale è sempre collocabile nel tempo e nello spazio. La localizzazione di un bene corrisponde ad una dimensione
fisica (un luogo) cui il bene è legato e che quindi è
facilmente riconoscibile: il luogo, con le sue caratteristiche, determina, attraverso dei processi di informazione, le specificità del bene e le sua opportunità di fruizione ma è importante soprattutto per
il contenuto che determina nell’esperienza come
comprensione delle origini del bene, ed in questo
senso, se questa connessione risulta indebolita, occorre ricostruirne le maglie. La territorializzazione
di un bene è una evoluzione del suo processo di
legame con il luogo, che, da relazione verticale
biunivoca, diventa sistema di relazioni orizzontali
con altri beni dello stesso contesto e dà quindi conto nell’esperienza di fruizione dell’evoluzione del
senso del bene: è una relazione orizzontale con gli
altri beni e con le attività umane presenti nel terri-
I processi di attivazione però sono diversi da azioni
di semplice citazione o re-design1, in quanto sono
sostanzialmente interventi di tipo trasformativo che
mantengono tuttavia una coerenza con il passato,
in termini di progetto di nuovi significati (contesto
dove mettere in scena linguaggi, modelli e paradigmi di organizzazione e fruizione innovativi), e nuove
forme di beni (ridisegno del paesaggio, di contesti e
sistemi di offerta, etc) e di generazione del valore
5
rif. BIBLIOGRAFICI (attualizzazione)
Agamben, G., Profanazioni, Nottetempo, Roma, 2005
Calzatrava M., Restart. Un progetto di Maurizio
Navone, Corraini, 2008
Caoci, A., Lai, F., Gli oggetti culturali. L’artigianato
tra estetica, antropologia e sviluppo locale, FrancoAngeli, Milano, 2007
Colombo P. (a cura di), Mestieri d’arte e made in
Italy, Marsilio, Venezia, 2009
Granelli A., Scanu M. (a cura di), (re)design del territorio, Fondazione Valore Italia, Roma, 2009
Hobsbawm E. J., Ranger T., L’invenzione della
tradizione, Einaudi, Torino 2002
Lotti G., Il letto di Ulisse, Gengemi Editore, 2008
Paloni, F., Ruggerini, M. G., Il futuro nelle mani.
Artigiani senza età: dall’esperienza all’innovazione,
FrancoAngeli, Milano
Sennett, R., The craftsman, Yale University Press,
2008
torio. Mentre la localizzazione di un bene è in qualche modo naturale, la territorializzazione è un atto
di organizzazione e quindi oggetto di progetto.
“attuale” e quindi contemporanea la forma (dove
per forma indiamo un insieme articolato di formafunzione, forma-significato e forma-processo) di un
bene e la sua dimensione di esperienza e comprensione. Lavora quindi con un approccio di traduzione
della tradizione all’interno dei sistemi di valore,
uso e consumo contemporanei.
- ricontestualizzazione: la contestualizzazione del
bene culturale è un processo progettuale complesso
che risiede principalmente nella deliberata ricostruzione (fisica o simbolica) di una relazione verticale
tra bene e contesto, che consenta una riproduzione
del suo valore: il disvelamento del legame con il
suo luogo originario o la riproduzione di un nuovo
luogo di esperienza e fruizione immettendo il bene
culturale in un nuovo contesto. Ricontestualizzare
un bene vuol dire dunque rielaborare il suo significato collettivo, per rendere possibile la produzione
di nuovo valore e l’esplicitazione del suo valore
d’uso. La ricontestualizzazione può avvenire sia in
un nuovo contesto geo-culturale di un bene, sia in
in nuovo ambito tematico (di applicazione, merceologico, tipologico etc).
- incorporazione: un approccio che, con sensibilità, mira a riprodurre, diffondere e trasmettere il
bene culturale e i suoi valori attraverso una azione
sostenibile di riuso, in particolare incorporando le
sue caratteristiche in nuove forme, oggetti, artefatti comunicativi, servizi, strategie, eventi, spazi.
Questo processo fà propria la tesi dell’evoluzione
della tradizione come material prima per la creatività, piattaforma per l’innovazione e produzione culturale del sistema città-imprese e fattore di
identità e riconoscibilità competitiva (community
centred design and development).
- delocalizzazione: è un processo di ricontestualizzazione che in specifico interviene sulla trasformazione del contesto geo-culturale di un bene immettendolo in un nuovo contesto geografico. Il processo
fa leva sulla necessità di costruire nel nuovo contesto geo-culturale una cornice di senso che renda
comprensibile il valore del bene, privato del suo
orginario intorno e sistema di relazioni, in una sorta
di diaspora che assuma un carattere positivo di disseminazione del patrimonio locale su scala globale
Ovviamente questi processi possono essere tra loro
combinati, attivando ad esempio, una ricontestualizzazione che è anche attualizzazione del bene. Più
ci si muove dal contesto geo-culturale e dall’ambito
tematico originari e più sia ha una progressiva “esternalizzazione semantica”.
Tutti i processi di attivazione richiedono un delicato processo interpretativivo di disattivazione dei
comportamenti e le possibilità d’uso convenzionali
che i beni hanno incorporato a favore di attivazione di nuovi possibili usi. L’interpretazione opera
un’azione trasformativa sul concetto e possibile significato del bene, aggiungendo un valore soggettivo
percepito, attraverso un processo sostanzialmente
ermeneutico e negoziato, in base ad aspettative
- trasferimento: si verifica quando la ricontestualizione avviene da un ambito tematico o di applicazione ad un nuovo ambito tematico.
- attualizzazione: l’attualizzazione mira a rendere
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(un utente), interessi (un’amministrazione o istituzione), cioè parametri valoriali, che si confrontano
con il resto delle comunità, i vincoli posti dal bene
e dal contesto. Agamben, che definisce separazione
«l’impossibilità di usare quelle cose che appartenevano in qualche modo agli dei ed erano quindi
sottratte al commercio degli uomini», utilizza la
stessa analogia per descrivere il museo come dimensione separata in cui si trasferisce ciò che un
tempo era sentito vero e decisivo e vi contrappone
invece il concetto di profanazione: «profanare (...)
significava restituire al libero uso degli uomini (...)
ma l’uso non appare qui come qualcosa di naturale:
piuttosto ad esso si accede soltanto attraverso una
profanazione (...)». E aggiunge: «La profanazione
dell’improfanabile è il compito politico della generazione che viene» (Agamben, 2005). Un concetto
di “profanazione” e appropriazione consapevole e
sostenibile è dunque quello che si auspica i processi
di attivazione design driven possano abilitare.
sia materiale che immateriale, che conducono alla
definizione di nuove forme-processo, forme-significato, forme-funzione.
Le dinamiche del valore attibuiscono a tali forme un
valore in base a dei “naturali” cicli di obsolescenza:
il valore viene generalmente associato a dimensioni
quali scarsità, rarità o esclusività e non disponibilità
di un bene/servizio, di ordine sostanzialmente socio-economico più che estetico, integrando “valore
d’uso” e “valore di esistenza” (in sè, intrinseco). Nel
settore dei beni culturali, tuttavia a questa “indisponibilità” si associa spesso un altro fattore determinante per la costruzione del valore che è quello
dell’autenticità del bene culturale: l’autenticità è
infatti sostanziale all’interno di processi naturali di
storicizzazione, che a partire dalla mitologia, dalla
fantasia popolare, dalla letteratura, generano significato culturale, il cui valore è legato a tempi e
modi di produzione, e quindi ad una specifica funzione che va riconosciuta e tenuta in vita. Conseguentemente il tema dell’autentico è sempre stato
ed è attualmente di grande attualità nella conservazione e fruizione del patrimonio culturale, in
particolare nella cultura occidentale, dove il senso
della Storia definisce il valore di manufatti e tradizioni e ha generato, nella necessità di integrare il
nuovo con l’antico, modelli come la ricostruzione
dell’originaria purezza (Viollet-Le-Duc) e l’estetica
della rovina (Ruskin).
L’autenticità (e la sua produzione e riproduzione)
è quindi un fattore determinante nelle dinamiche
di costruzione del vaore di un bene culturale. Benjiamin afferma che l’autenticità è quell’unicità,
ovvero quall’“aura” di una cosa che costituisce “la
quintessenza di tutto ciò che, fin dall’origine di
essa, può venir tramandato, dalla sua durata materiale alla sua virtù di testimonianza storica” e che
AUTENTICITÀ, AUTENTICAZIONE
(E DINAMICHE DEL VALORE)
“Non c’è autenticità senza procedura di autenticazione”
(Heinic, 1999)
La produzione di un bene culturale è, tutt’altro che
immutabile, soggetta a processi di selezione, elezione, produzione e riproduzione di significato culturale, che possono avvenire più meno tacitamente
e collegialmente e con tempi molto diversi, spesso
all’interno di un modello di tipo ciclico (scoperta,
valorizzazione, declino, riscoperta etc.)2. Si tratta
di processi di in-formazione della materia, nella
definizione che Flusser (2003) dà del concetto di
forma come modello o idea, e quindi idealmente
7
matrice elaborata per rappresentare i processi di attivazione.
8
l’oggetto tende a perdere nel caso della riproduzione tecnica (che pure ne consente una fruizione più
ampia e differenziata da parte delle masse): “l’hic
et nunc dell’originale costituisce il concetto della
sua autenticità”. In particolare quando l’unicità si
identifica con la sua integrazione nel contesto della
tradizione, Benjiamin non si discosta molto da quanto Baudrillard afferma sull’autenticità dell’oggetto
antico: l’identità dell’oggetto tradizionale viene
chiarita da Baudrillard ne Il sistema degli oggetti,
come visione del valore dell’oggetto in un determinato periodo storico e in Benjiamin l’opera autentica
“trova una sua fondazione nel rituale, nell’ambito
del quale ha avuto il suo primo e originario valore
d’uso”.
Come tuttavia Heinik afferma nell’introduzione di
un volume moografico dedicato autenticità della
rivista francese di etnografia Terrain “non c’è autenticità senza procedura di autenticazione” (1999). I
processi di autenticazione spostano il focus quindi
dall’oggetto alla esperienza e memoria di esso.
In The Production of a National Past, i due architetti
di New York, Diller e Scofidio, hanno descritto le
modalità attraverso cui l’esperienza genera memoria indipendentemente dalla sua autenticità: la loro
analisi critica si sposta sul turismo culturale e su alcune strategie che spostano il problema dell’autentico
al problema dell’autenticazione attraverso una
consapevole dislocazione spazio-temporale. Ad esempio, a Plymouth Rock la ricostruzione filologica
ma fittizia del villaggio dei pellegrini (con la tecnica
del time re-played) genera una living history, cioè
una vivificazione del passato allo stesso modo in cui
una riproduzione o un riposizionamento (geography
re-placed) di una opera anche monumentale come il
London Bridge in Arizona, funziona da Cultural Heritage, nel momento in cui viene fornito e supportato
il contesto narrativo adeguato ed atteso.
Anche l’immagine, come sistema di rappresentazione, diventa agente di autentificazione e referente
per le successive interpretazioni legate ad un oggetto o un contesto. I due architetti fanno a questo
proposito l’esempio di relativizzazione del concetto di autenticità operato dalle cartoline souvenir,
nel contesto della Niagara Falls, il cui flusso viene
regolato nei periodi di maggior presenza turistica
a discapito della produzione di energia ricavabile
dall’incanalamento delle acque per corrispondere
all’immagine-cartolina che i turisti hanno del sito,
attrverso il paradigna fruitivo e rappresentativo del
sightseeing contemporaneo. A questo proposito
Clifford afferma che il processo di referenza che
l’immagine-cartolina attua, genera processi di riconoscimento di sistemi e immagini di referenza
pregressi che il luogo ha precedentemente generato, per cui «vado a vedere un luogo che ho già
visto» (Clifford, 1999).
MacCannell parla di messa in scena dell’autenticità,
come modalità ad alto grado di mistificazione o eccesso di rappresentazione in grado di mantenere
«un solido senso di realtà»: le attività svolte nel
retroscena (luogo di preparazione di una prestazione) sono funzionali a non screditare il fronte esterno della prestazione, la ribalta. L’esperienza
di beni culturali, come l’esperienza turistica, è inserita in queste dinamiche di divisione back/front,
che non permettono più facili distinzioni: si passa
da stadi di front region decorati con rimandi ad attività di back region («semplici promemoria chiamati
“atmosfera”») a front region totalmente organizzate per sembrare retroscena (la cucina non istituzionale messa in scena nel ristorante La Cuisine
di Copenaghen).
La discriminante risiede quindi in quelle pratiche di
9
rif. BIBLIOGRAFICI (autenticazione)
Baudrillard J., Il sistema degli oggetti, Bompiani
2003 (ed. orig. 1968)
Caoci, A., Lai, F., Gli oggetti culturali. L’artigianato
tra estetica, antropologia e sviluppo locale, FrancoAngeli, Milano, 2007
Carmagnola F. La fabbrica del desiderio, Lupetti,
2009
Clifford, J., Strade. Viaggio e traduzione alla fin del
sec. XX, Bollati Boringhieri, Torino, 1999
Cohen E., Authenticity and commoditization in tourism in Annals of Tourism Research Volume 15, Issue
3, 1988, Pages 371-386
Diller, E, Scofidio, R., “Hostility to Hospitality” in
Id., Back to the front: Tourism of
war, Princeton Architectural Press, New York, 1994
Hobsbawm E. J., Ranger T., L’invenzione della
tradizione, Einaudi, Torino 2002
Mac Cannell, D., The tourist. A new theory f the
leisure class, Schocken Books, New York, 1976.
Pine, Gilmore, Authenticity, Harvard Business School
Press, 2007
Bendix R., In search of Authenticity: The formation of folklore studies, The University of Wisconsin
Press, Madison, 1997
autenticazione attraverso cui il contesto definisce
i confini ed il sistema di valori relativo in grado di
narrare ed abilitare un’esperienza.
Pine e Gilmore (2009) per esempio parlano della partecipazione in termini di contributo diretto
all’esperienza come fattore di percezione di autenticità da parte di un utente e di processi deliberati
di costruzione dell’autenticità in commodities, prodotti, servizi e, naturalmente, esperienze.
In particolare, i beni culturali si innestano in un
contesto che li giustifica e li sostiene: quando il
contesto si modifica o diventa obsoleto, non supporta più il valore culturale dei beni e quindi questo
valore deve essere riposizionato e riprodotto in altri contesti. In tutti questi casi si puà parlare di
processi che da riproduzione diventano di interpretazione e traduzione della tradizione. D’altra
parte quando un bene culturale, nel susseguirsi di
ciclici ed alterni processi di riconoscimento sociale
(legati a situazioni culturali, politiche, di mercato)
viene riscoperto ed affermato e messo a disposizione della fruizione, secondo una nuova lettura e
un nuovo contesto, la stessa costruzione di senso diventa un’azione di disvelamento del suo valore, che
in alcuni casi è una vera e propria invenzione della
tradizione (Hobswan, Ranger, 2002) o il riferimento
ad un originale che esiste solo nell’immaginario collettivo globalizzato3.
Questi modelli necessitano di essere problematizzati e innovati, in quanto il trade-off riproducibilità/
autenticità interseca nei processi di autenticazione
sia il mercato dei consumatori finali, ma anche i
potenziali fornitori di servizi e di esperienze culturali, facendolo evolvere dallo status di “condizione
originaria e immutabile” a sistema aperto (e influenzabile dal contesto) di valori e bisogni che si evolvono nel tempo. Il tema dell’autenticità quindi, più
che essere affrontato dal punto di vista del fruitore
come qualità dell’esperienza, viene osservato nel
nodo della autenticazione come riproducibilità e
replicabilità dell’autentico e come materia di progetto.
In un contesto in cui l’autenticità è fatta di continuità e riconoscibilità (invarianti o persistenze)
e trasformazioni dinamiche (tendenze evolutive)
di forme e processi, è infatti riscontrabile che il
fattore “autenticità” viene costantemente declinato in vari paradigmi di “autenticazione” e
“rappresentatività”o “riconoscibilità”, attraverso
modelli ed esempi di riproducibilità e serialità
dell’autentico, che oscillano tra due estremi:
- Conservazione filologica (ri-produzione di prodotti
e processi a fini “museografici”)
- Interpretazione e riedizione contemporanea (commodificazione e industrializzazione di prodotti e
processi).
Riteniamo che, tra i due estremi di persistenza
completa di forme e processi (che conducono a una
fissità, isolamento e scomparsa del bene e sua inapplicabilità) e trasformazione completa di forme e
processi (perdita di riferimenti originari e autenticità in produzione massificata) sia possible collocare e individuare dei modelli intermedi in cui alternativamente si conservano o forme o processi e
che sono in grado di spostare il piano dall’autentico
originario (il riferimento culturale all’elemento
originario) ad un autentico originale, sperimentando modalità di attivazione “in continuità”,
in grado di mediare tra conservazione e innovazione
delle sue forme, linguaggi, estetiche e valori e loro
incorporazione, uso e ri-uso creativo (vedi tabella
a seguire).
10
Ciò sembra verificato in particolare analizzando
quei tipi di beni che per loro natura vivono della
reiterazione e riproduzione, ossia beni e saperi immateriali come le performances, le tradizioni, le
espressioni e il saper fare tipico propri di una comunità, che diventano ambito primario di esplorazione
e dibattito per comprendere come elementi e fattori di coerenza e autenticità dei saperi performativi si rendono persistenti e refrattari al mutamento
o viceversa, si evolvano in continuità, mantenendo quindi riconoscibilità di significati. Infatti, per
quanto sia aspetti tangibili che intangibili possono
essere riprodotti, se si parte da una base materiale,
la “copia” è la riproduzione di un originale, mentre
se si parte un sapere performativo (sia esso espressivo o tecnico) ogni riproduzione è per sua natura
la produzione un originale. Si passa cioè dalla questione di riproducibilità dell’autentico alla possibilità di produzione di un originale.
In questo quadro “trasformativo” l’opera pechinese
verrà analizzata, con l’obiettivo di allargare tali riflessioni affinchè possano essere indirizzate e rese
praticabili anche per altre tipologie di beni culturali.
NOTE
1 “La parola re design evoca, citazione, ripresa,
evocazione di modelli, e spesso significa reimpiego
di frammenti o anche imitazione” Granelli, 2009.
2 In un ideale ciclo di vita del bene culturale, si ha
un bene culturale ancora potenziale (non appare e
quindi non esiste in quanto non ha forma), che appare in forme di bene e che diventa successivamente
bene esplicito, quando è collettivamente riconosciuto, e quindi bene fruito o attivato da una comunità.
Nel passaggio dal bene potenziale alla forma di bene
vi è il processo di valorizzazione relativo alla produzione della forma del bene culturale; una produzione
di senso avviene nella fase del riconoscimento con il
passaggio tra forma di bene e bene esplicito; infine,
nella fase di interpretazione, la produzione della
funzione rende il bene fruito o attivato.
3 Emblematico l’esempio che Carmagnola (2009) fa
confrontando Muji e Armani con l’idea di “giapponesità” globalizzata.
11
3.
modalità e delle tendenze percorribili anche per la
ricerca oggetto del nostro studio; l’interesse è di
rintracciare interpretazioni e riedizioni contemporanee utili al sistema culturale dell’Opera Pechinese.
Esiti della ricerca desk
Come previsto dal documento di apertura, la ricerca desk è stata finalizzata alla selezione e studio
di casi; esempi efficaci di trasferimento di forme
& processi a tutto campo. L’obiettivo dell’analisi
fenomenologia sui casi è di evidenziare come i concetti appena approfonditi ( ndr. di “attivazioneattualizzazione” e di “autenticità-autenticazione”) siano stati in grado di innescare, appunto su
una serie di beni eterogenei rispetto alla collezione
-ns oggetto di valorizzazione- delle dinamiche evolutive.
I criteri di selezione hanno riguardato i già descritti
ambiti di osservazione (e successiva azione) progettuale codificati come potenziale di attualizzazione e
processi di attivazione. Ogni caso studio è descritto
in una specifica scheda e corredato da due schemi
che visualizzano e collocano lo stesso all’interno dei
due ambiti. I due schemi elaborati per la descrizione
dei casi parametrizzano le variabili che descrivono
più compiutamente queste due formule operative
rendendole visualizzabili e consentendo di confrontare tra loro, mediante posizionamento, tutti i casi
selezionati.
Casi studio
e mappatura
I casi mantengono un portato culturale d’origine
forte ma, al tempo stesso, raccontano di occasioni
di trasferimento tecnologico o estetico, di rivitalizzazioni di performance tradizionali o pratiche in
conesti altri o “aggiornate” ai costumi del contemporaneo; comprendono esempi di trasferimento di
processo o del prodotto in altro ambito produttivo
o applicativo. Attraverso una mappatura degli stessi
(vedi al termine delle schedature) si andranno ad
evidenziare delle specifiche aree progettuali, delle
13
potenziale di attualizzazione:
mappa completa dei casi.
14
processi di attivazione:
mappa completa dei casi.
15
01\ “BAKED” & “MOULDING TRADITION” DI FORMAFANTASMA
Eindhoven, 2009
fonte: Brondi B.,Rainò M. (a cura di), IN R- In Residence, Diary #2 Matter Matters, Corraini, 2010
specificità
tipo di progetto
committenza
Ricerca e sperimentazione progettuale promossa
dai progettisti stessi
progettista
FormaFantasma (Andrea Trimarchi e Simone Ferresin), coppia di designer con sede a Eindhoven.
descrizione: obiettivi e risultati
Baked: la collezione di oggetti
Due progetti di design esplicito (“baked” e “moulding tradition”, entrambi del 2009) ad opera di una
coppia di designer italiani, FormaFantasma, che
hanno l’obiettivo di valorizzare alcune tradizioni locali e folkloristiche sia produttive che performative
siciliane, traendo da esse ispirazione e suggestioni
formali e di processo. Il primo progetto, Baked,
prende spunto da una usanza tipica del paese di
Salemi in occasione della festa della Cena di San
Giuseppe (che si tiene il 19 marzo) della produzione di decorazioni in pasta di pane e dei cucciddati, pani votivi, il cui processo è stato dai designer
replicato trasferendolo nella produzione di oggetti
e complementi per la tavola; il secondo progetto
riguarda invece la rielaborazione formale di alcuni
ceramiche tipiche del paese di Caltagirone, chiamate teste di moro, ossia vasi del XVII sec. sui quali
sono dipinti i volti di uomini e donne dall’aspetto
arabo o africano.
FormaFantasma sviluppa i suoi progetti design in
base ad un forte interesse per la valorizzazio-ne e rivalutazione di tecniche artigianali che stanno scomparendo, fondendo culture locali e contesto globale,
elementi d’artigianato e processi industriali. I due
progetti qui presentati rispondono all’obiettivo di
trarre ispirazione da eventi o prodotti flolkloristici
parole chiave di sintesi
tradizione folkloristica | oggetti votivi | complementi per la casa |
e della cultura materiale per operare una loro “traduzione” in prodotti contemporanei e di produzione seriale.
Baked parte da una tradizione relativa alla festa
patronale di Salemi, paese dell’entroterra siciliana,
caratterizzata da un processo rituale di devozione
e richiesta di offerte (di solito olio, uova, farina)
all’interno delle famiglie, che culmina nella lavorazione della pasta di pane e dalla produzione con essa
di elementi decorativi e votivi da offrire in un altare
e poi condividere con i parenti, in un simbolismo
agrario legato al rinnovamento della natura. Anche
l’impasto segue un rituale preciso, e i cucciddati (i
tipici pani votivi) hanno forme, pesi e dimensioni
diverse: di questa tradizione, data la sua valenza
rituale, Forma Fantasma recupera sostanzialmente
l’aspetto processuale, utilizzando come materiale
per i nuovi prodotti la pasta di pane e innovando
invece considerevolmente la forma degli oggetti
prodotti, che non sono più decorazioni o elementi
votivi ma oggetti e complementi da tavola (ossia
recipienti come piatti, bicchieri, tazze, bottiglie).
Gli oggetti sono prodotti con ingredienti comuni da
cucina (farina) cui vengono aggiunti elementi naturali per modificare il colore ( ad esempio vegetali
come spinaci, caffè, cacao) e per aumentarne la
durevolezza (sale, spezie). I vasi sono rifiniti con
bende elastiche che permettono di associarvi accessori o altri elementi anche in forma decorativa.
Moulding tradition parte da alcuni oggetti artistici
tradizionali, ossia alcune ceramiche tipiche Caltagirone chiamate “testa di moro”, vasi dipinti con o a
forma di testa di uomini e donne dall’aspetto arabo
Moulding tradition: la collezione di oggetti
o africano. Utilizzati come porta oggetti o porta piante, sono nati da varie leggende popolari di amanti
clandestini sorpresi e decapitati (e le teste furono
poi esposte sul balcone) durante la dominazione
araba in Sicilia. Forma Fantasma qui opera un intervento di rivisitazione formale e di semplificazione
dei codici estetici dei vasi nei suoi tratti più distintivi ed essenziali, in grado quindi di cogliere e mantenere solo quegli elementi identitari dell’oggetto
(per esempio i manici multipli e le relative finiture)
e ottenere una pulizia formale di forte impatto e
molto contemporanea.
In entrambi i casi il risultato è l’elaborazione di
nuovi oggetti che mantengono una forte e chiara
referenza al codice originario che va ben oltre la
citazione in quanto recuperano e contemporaneamente innovano la tradizione. Determinante è la capacità di Forma Fantasma di osservare dall’interno
la tradizione stessa, i suoi rituali e i suoi modi di
produzione, integrando quindi il sapere degli attori
locali nel processo progettuale.
target
Il target identificato in relazione all’azione progettuale non è specifico: si tratta di un destinatario
generico, ma attento alle qualità culturali dei prodotti (e ai processi di valorizzazione collegati) di
gusto contemporaneo e bassa tecnologia.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
collocazione del caso Baked sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto).
Il caso è interessante per la forte eppure non scontata referenza tra i codici espressivi e linguistici
dell’oggetto originario e il prodotto di design progettato, che pur operando dei salti concettuali di
forte discontinuità (di forma oppure di contesto di
applicazione e uso) sono in grado di mantenere presente il legame con l’elemento culturale archetipo
originale, grazie alla capacità di FormaFantasma di
individuare quegli elementi essenziali di persisten-
za del valore (la texture della pasta di pane, oppure
la finitura dei manici dei vasi) che evocano immediatamente la tradizione culturale di partenza, sia
essa un rituale o una forma.
processo di attualizzazione
potenziale di attivazione
agente di attivazione
conservazione di forma o processo
Per quanto riguarda Baked, si ha sostanzialmente
un processo di trasferimento, ossia di ricontestualizzazione dell’oggetto da un abito tematico ad
un altro: dall’evento folkloristico alla dimensione
domestica e quotidiana, dall’oggetto decorativo
al contenitore per la tavola; per quanto riguarda
Moulding tradition, si ha un processo di cross fertilisation interna, ovvero una innovazione (in questo
caso di forma) all’interno dello stesso ambito tematico e contesto geo-culturale.
Per quanto riguarda Baked, il potenziale di attivazione si avvia a partire dalle qualità materiali della
tradizione (la paste di pane) e dal sapere/processo
immateriale incorporato (la ritualità connessa) che
vengono rielaborate in nuove forme e quindi comportano l’implementazione della tecnica produttiva
ad hoc (per esempio nella realizzazione di stampi
per la cottura); per quanto riguarda Moulding tradition, il potenziale di attivazione su cui si è lavorato
è relativo alle qualità formali dell’oggetto.
L’agente di attivazione sono i designer guidati da
una sensibilità particolare verso le tecniche artigianali e tradizionali.
Si tratta di esempi ibridi, con un approccio non
filologico, in cui si conservano alternativamente in
maniera non integrale solo alcuni elementi o della
forma o del processo: in Baked è la persistenza del
materiale (la pasta di pane), e non il processo che
di fatto viene modificato ad hoc per ottenere le
forme volute, a garantire la conservazione di tracce
di riconoscibilità della matrice culturale degli oggetti; in Moulding tradition della forma vengono
collocazione del caso Baked sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto).
grado d’innovazione del caso
conservati solo elementi tipologici essenziali.
Entrambi i progetti sono emblematici per il consistente grado di discontinuità rispetto all’elemento di
riferimento di partenza, ossia l’elemento culturale
(forma o processo) originario, pur mantenendo una
sicura referenza attraverso alcuni elementi che
sono stati isolati dai designer come quelli portatori
di identità, rconoscibilità e rappresentatività. Si ha
una innovazione incrementale di forma nel caso di
Moulding tradition; si ha una innovazione radicale
di forma e di significato nel caso di Baked, attribuendo alla pasta di pane un nuovo significato e valore, al di fuori del suo ambito tradizionale, che non
è più simbolico ma vero e proprio valore d’uso.
riferimenti e altri link
sitografia
Baked: due pani di Salemi (in alto) prodotti per l’altare
di San. Giuseppe (centro) e le produzioni contemporanee dei designer da essi ispirate.
http://www.formafantasma.com/
Moulding tradition: i vasi tradizionali e il processo
produttivo
02\ INSPIRED BY CHINA
Peabody Essex Museum, Massachusset, 2005-2007
fonte: http://www.pem.org
specificità
tipo di progetto
committenza
progettista
Inspired by China: alcune realizzazioni a confronto (in
alto) e la pagina on line della web gallery
Un intervento di valorizzazione del patrimonio culturale relativo al mobile tradizionale cinese promossa da una istituzione museale (il Peabody Essex Museum) che ha lavorato con una strategia multilivello:
ad una azione più tradizionale di curatela e promozione attraverso una mostra itinerante si è affiancata
un azione sperimentale, dal taglio decisamente più
innovativo, costituita da un workshop progettuale
in cui circa 20 artisti, designer e artigiani provenienti da Cina, Usa e Canada, sono stati invitati ad
osservare e studiare dei mobili tradizionali (forme e
tecniche) per poi realizzare altrettanti nuovi pezzi
da essi ispirati, che sono stati inclusi nella mostra
itinerante.
Peabody Essex Museum
curatori: Nancy Berliner e Edward S. Cooke, Jr.
artisti partecipanti: Ai Weiwei, Beijing, CHINA, Garry Knox Bennett, Oakland, CA, Bonnie Bishoff, Rockport, MA, Yeung Chan, Millbrae, CA, Michael Cullen,
Petaluma, CA, John Dunnigan, West Kingston, RI,
Hank Gilpin, Lincoln, RI, Tom Hucker, Jersey City,
NJ, Michael Hurwitz, Philadelphia, PA, Silas Kopf,
Northampton, MA, Wendy Maruyama, San Diego,
CA, Judy McKie, Cambridge, MA, Clifton Monteith,
Lake Ann, MI, Brian Newell, Atsugi, JAPAN, Gordon
Peteran, Toronto, CANADA, Richard Prisco, Savannah, GA, Michael Puryear, Shokan, NY, Shao Fan,
Beijing, CHINA, Shi Jianmin, Beijing, CHINA, Tian
Jiaqing, Beijing, CHINA, J.M. Syron, Rockport, MA,
Joe Tracy, Mt. Desert, ME
parole chiave di sintesi
mobile tradizionale cinese | ispirazione | workshop | mostra |
descrizione: obiettivi e risultati
Il design dei mobili cinesi ha da sempre ispirato la
produzione europea e americana: lo stile Chippendale del XVIII sec., il modernismo degli anni 193040, sono alcuni degli esempi. Sulla base di questa
consapevolezza i curatori del Peabody Essex Museum, hanno, con il progetto Inspired by China: Contemporary Furnituremakers Explore Chinese Traditions, reso possibile l’attuazione di una modalità di
valorizzazione che affiancasse, alla promozione del
patrimonio tramite evento espositivo, un processo
di cross-cultural fertilisation creativa, che a partire
dal concetto di “ispirazione” codificasse un modello di ri-uso e incorporazione dei codici culturali
espressivi, linguistici e materici del mobile tradizionale cinese all’interno di una diversa cultura e
sottoforma di oggetti di diversa natura. I 22 artisti
coinvolti nel workshop organizzato in giugno 2005,
hanno potuto osservare da vicino e discutere con
i curatori e alcuni esperti di storia dell’arte della
Yale university (Charles F. Montgomery Professore di
American Decorative Arts, Department of the History of Art), e in alcuni casi con alcuni artigiani,
29 masterpieces di oggetti d’arredo cinesi, tra cui
tavoli votivi laccati, una selezione di sedie e poltrone in legno datate tra il XVI e XVII sec. in stile
dinastia Ming, una serie di sgabelli in vari materiali
(pietra, bambù, ceramica), analizzandone le caratteristiche e confrontandosi tra loro, con l’obiettivo
di produrre nuovi pezzi. In alcuni casi delle dimostrazioni tecniche ovvero delle realizzazioni in
diretta sono state effettuale da alcuni artigiani per
trasferire alcune modalità di lavorazione ai designer. Alla fine sono stati realizzati 28 nuovi lavori che
includono oggetti molto diversi tra loro (per esempio porta incenso, sedia, tavoli) e che sono stati
tutti esposti nella mostra tenutasi dal 28 ottobre
2006 al 4 marzo 2007. Le opere sono emblematiche
per la loro capacità creativa di reinterpretare codici
e linguaggi a partire da aspetti diversi, come la forma, gli elementi decorativi, il materiale, quindi con
una capacità di proporre interpretazioni contemporanee e da parte di culture diverse del patrimonio
di partenza e ovviamente con la sensibilità individuale dei diversi progettisti. In questo progetto
l’uso della storia non viene attivato come semplice
referenza visiva ma attraverso un processo partecipato di consapevolezza e apprendimento di una
serie di informazioni sul mobile tradizionale cinese
da parte di artisti che non avevano nessuna conoscenza a riguardo a tali oggetti e che diventa quindi
un’azione di valorizzazione di per sé.
Ciò è evidente anche dal sito web, che è a tutti gli
effetti un catalogo/mostra on line in quanto oltre
a documentare gli oggetti una photo gallery, documenta l’intero processo e l’esperienza dei partecipanti attraverso filmati, racconti, interviste.
target
I progettisti/artisti coinvolti sono il target primario
del progetto, e il target secondario è costituito dai
visitatori della mostra e dagli utenti del sito web.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
Inspired by China:il processo di produzione di
un’opera visibile nelle interviste on line
Il caso è interessante per l’azione consapevole di
“interpretazione” del patrimonio culturale del mobile cinese (più o meno distante e associabile ai pezzi
originali) operata dai progettisti coinvolti sulla base
di percorso di formazione e conoscenza. Le opere prodotte sono tutte molto diverse tra loro, ma
come gli artisti spiegano sono sempre riconoscibili
dei punti di partenza che sono state astratti quasi
fino all’essenzialità di concetti come modi di fare,
mitologia, natura, rapporti dimensionali e propor-
zionali e che diventano quindi sofisticate referenze che seppure non sempre riconoscibili a primo
impatto al livello formale e visivo assicurano alle
opere realizzate la possibilità di instaurare un dialogo, nell’esposizione, con gli oggetti di partenza.
processo di attualizzazione
potenziale di attivazione
Il processo di attualizzazione è una innovazione
basata su delocalizzazione (ovvero applicazione in
un diverso contesto geo-culturale) e cross fertilisation esterna, quando le opere realizzate sono uscite
anche dall’ambito merceologico del mobile.
Il potenziale di attivazione su cui ha fatto perno
il progetto è quello legato a ad aspetti formali e
processuali del mobile tradizionale, includendo sia
qualità degli oggetti che il sapere incorporato.
agente di attivazione
Promotore del processo è l’istituzione museale che
ha concepito, sponsorizzato e realizzato il progetto.
conservazione di forma o processo
Le azioni di interpretazione e ispirazione crea-tiva
attuate dai diversi progettisti differiscono e in alcuni casi si ha un persistenza di elementi o meglio
dettagli formali, in altri casi di uso del materiale o
di tecniche di realizzazione.
grado d’innovazione del caso
il caso presenta mediamente un altro grado di discontinuità negli oggetti realizzati, coerentemente
a una filosofia di fondo che praticava la pratica
dell’ispirazione come modello. Tuttavia sono presenti fattori di riconoscibilità evidenti in relazione
agli oggetti culturali originali, e in generale si una
innovazione di forma e tipologie e non di trasferimento di linguaggi e significati in altri contesti di
applicazione.
riferimenti e altri link
sitografia
http://www.pem.org/sites/ibc/
collocazione del caso Inspired by China sugli schemi
relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale
di attivazione (sotto).
03\ L’ANIMA DELLA PIETRA
lavéc e riusi della pietra ollare valtellinese
Valtellina e Valchiavenna (SO), anni 2000
fonte: Corbellini A. (a cura di), Lavéc, pentole in pietra ollare in valtellina e valchiavenna, Nodo libri, 2009
specificità
tipo di progetto
committenza
progettista
L’anima della pietra: alcuni lavéc tradizionali
descrizione: obiettivi e risultati
Azione di valorizzazione delle tecniche produttive e forme tradizionali della lavorazione della
pietra ollare valtellenese, legata al mondo degli
elementi decorativi delle case e dei contenitori
(vasi,recipienti) per uso domestico e nella cucina e
ancora oggi su base artigianale e manuale. In particolare il progetto rigurda una serie di botteghe artigiane che propongono una innovazione nella configurazione formale degli oggetti (lavorando sulla
semplificazione delle linee e sull’astrazione degli
stilemi decorativi più comuni in forme essenziali e
pulite) e una innovazione tipologica nelle applicazione della pietra ollare ad altri comparti merceologici. In questo senso si può parlare di un design
che da tacito diventa esplicito.
In generale si tratta di progetti svolti su autocommessa, dall’artigiano stesso, ma nel caso della bottega laboratorio Mattioli-Palmieri la sartorial Rosalba Acquistapace di talamona ha commissionato
delle decorazioni da applcare nell’ambito della sua
produzione moda.
Si tratta di un insieme di botteghe artigiane: in particolare Laboratorio Mattioli-Palmieri di Ginevra
Mattioli e Floriana Palmieri (a Sondrio); Laboratorio
Silvio Gaggi (a Chiesa Valmalenco). Alcuni artigiani
non più attivi ma che hanno contribuito in modo
fondamentale nel tracciare questa linea progettuale e creativa sono: Antonio Corrado, Goffredo
Minocchi.
Il caso nasce in modo spontaneo all’interno di al-
parole chiave di sintesi
pietra ollare | pentole | componenti | accessorio moda
cune botteghe che hanno dimostrato, più o meno
consapevolmente a livello “progettuale”, la voglia di sperimentare nuove applicazioni e modalità
produttive relativamente a una tecnica di lavorazione e produzione tradizionale che è tipica del
contesto locale in cui le botteghe sono situate (la
provincia di Sondrio) e che si concentra principalmente sulla lavorazione della pietra ollare, oltre
che per elementi archiettonici e monumentali, per
la realizzazione di laveggi (in dialetto lavéc), ossia recipienti in pietra ollare (da latino lapideum)
usati per cucinare. Il materiale è talmente diffuso
in Valtellina e Vlachiavenna che sono svariate le opere (dalla scultura alla decorazione ai monumenti)
cui sono associate storie e memorie ancora vive.
La lavorazione della pietra richiede accuratezza e
fatica (dall’estrazione dalle cave al paziente lavoro
di modellazione) e la forma delle pentole ha assunto nel tempo un design essenziale che riflette
le caratteristiche della materia e della lavorazione
al torneo: Tognini parla di un design invisibile, ed
autentico, che “ha la chiarezza di un pacato razionalismo”. Diventati nel tempo oggetti tradizionali
dal valore più decorativo ed estetico che funzionale (anche se l’uso culinario è mantenuto vivo da
pochi cultori), sono stati considerati dagli artigiani
i testimoni di un sapere fare (legato sia al produrre
che all’usare) che si stava piano piano esaurendo
di significato. Gli artigiani hanno quindi iniziato inconsapevolmente un percorso di esplorazione delle
possibilità della pietra ollare, in prima battuta
con l’obiettivo anche di mantenere viva la tecnica
produttiva, e secondariamente intravedendo nuove
L’anima della pietra: interpretazioni contemporanee
della pietra ollare
possibilità d’espressione e d’uso. Un esempio è il
seguente: Antonio Corrado nella sua bottega realizza piatti, piastrelle, scatole, vasi, ampliando
notevolmente le tipologie merceologiche di applicazione della pietra. A lui succederà nella bottega Goffredo Minocchi. Contemporaneamente una
sua apprendista particolarmente creativa, Ginevra
Mattioli, apre un suo laboratorio, e inizia ad esporre
le sue produzioni alla mostra internazionale di artigianato a Firenze. Ginevra, insieme alla nipote Floriana Palmieri, che haoggi conduce il laboratorio,
esplora nuove possibilità di utilizzo della pietra, la
fa conoscere all’estero (Stati Uniti, Canada), raccoglie stimoli formali provenienti dal mondo scandinavo (che ben coniano la dimensione naturale e
la linearità delle forme), accosta la pietra ad altri
materiali (rame, argento, vetro) e innova considerevolmente le sue applicazioni creando accessori
moda e gioielli (sono del 2008 le applicazioni in pietra ollare su abiti di alta moda e scarpe creati su
commissione per la sartoria Rosalba Acquistapace di
Talamona).
Il caso studio riflette la capacità dell’artigiano di
innovare tipologicamente le applicazioni del materiale e di diventare maestranza attiva all’interno di
filiere complesse, ovvero di fornire semilavorati ad
altri produttori e non sono oggetti e prodotti per il
mercato finale. Sono stati realizzati nuovi artefatti
che hanno stimolato la collaborazione tra attori con
competenze diverse e hanno contribuito a veicolare
una forte identità territoriale.
target
L’anima della pietra: interpretazioni contemporanee
della pietra ollare nel campo della moda
Non esiste un target specifico identificato consapevolmente in relazione all’azione di valorizzazione:
all’inizio del processo si tratta di un destinatario
generico, in quanto gli artigiani lavoravano sostanzialmente su auto commessa e non seguivano deliberatamente un processo di innovazione. Nelle fasi
più recenti si può identificare ancora un pubblico
generico ancorchè sensibile alle produzioni di cul-
tura materiale e, per le componenti moda, alcune
filiere produttive intermedie che diventano committenti e il cui target finale è un pubblico mediamente colto e sofisticato.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
processo di attualizzazione
potenziale di attivazione
Il caso è particolarmente significativo per via della
notevole capacità bottom-up dei detentori (consapevoli o inconsapevoli) di un patrimonio culturale
materiale e immateriale di considerarlo potenziale
di sviluppo e valorizzazione, di promuoverlo, innovarlo e inserirlo all’interno dei sistemi di fruizione
e produzione contemporanea senza perdere la naturale essenzialità dell’”anima della pietra”.
Il processo di attualizzazione è inizialmente del tipo
di cross fertilisation interna, ovvero una innovazione
di forma, all’interno dello stesso ambito merceologico (pentole per cucinare) e contesto geografico;
si osservano quindi casi di delocalizzazione, in cui
la “tipologia” è stata promossa all’estero e infine
di trasferimento, attuando un cambio di contesto
tematico merceologico (dall’ambito domestico e di
cottura del cibo alla moda).
Il potenziale di attivazione del caso studio procede
principalmente dalle capacità di innovare le qualità
della pietra ollare, quindi la sua dimensione materiale e formale, attraverso prima una innovazione
della forma degli oggetti tradizionali (forme essenziali e moderne) quindi una innovazione tipologica,
creando altri oggetti per il mercato finale e soprattutto componenti destinati al altre filiere produttive. Tale dimensione ovviamente impatta secondariamente anche il sapere incorporato in quanto le
tecniche produttive si sono modificate e affinate in
riposta alle nuove forme richieste.
Sono sicuramente gli artigiani che hanno deter-
collocazione del caso L’anima della pietra sugli schemi
relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale
di attivazione (sotto).
agente di attivazione
conservazione di forma o processo
grado d’innovazione del caso
riferimenti e altri link
bibliografia
minato l’attivazione e attualizzazione delle forme
tradizionali di lavorazione della pietra ollare in
nuove forme di prodotti e di accessori per altri comparti merceologici, nonchè di componenti per altre
filiere produttive.
Il caso è un esempio interessante di equilibrio nella
conservazione costante di una referenza atta a rendere riconoscibile il prodotto attraverso un legame
con l’autentico originario: a volte si ha una persistenza di forme, altre una persistenza delle qualità
della materia, altre un rimando ai processi. In ogni
situazione le dinamiche del valore tengono in attenta considerazione un sapiente bilanciamento tra
continuità e innovazione, probabilmente determinata dal potenziale di attivazione della pietra ollare caratterizzato da evidenti qualità materiali e
formali specifiche.
Si ha una innovazione incrementale, quindi con
lieve discontinuità, nel miglioramento e affinamento delle forme; si ha una innovazione design driven (ovvero di significato e linguaggio), quindi con
maggiore discontinuità, quando si porta la tecnica
della pietra ollare al di fuori del suo ambito di applicazione tradizionale (dalla pentola all’accessorio
moda). Tale grado di innovazione ha comportato lo
sviluppo di competenze specifiche legate sia a nuovi
strumenti e tecniche produttive che processi organizzativi che hanno trasformato l’artigiano in maestranza, ovvero da attore individuale che produce
per se stesso a sistema di attori che agiscono in una
filiera produttiva più articolata e complessa.
Palmieri F., “L’anima della pietra”, in Corbellini A.
(a cura di), Lavéc, pentole in pietra ollare in valtellina e valchiavenna, Nodo libri, 2009
Tognini G., “Viaggio nelle forme dei laveggi”, in
Corbellini A. (a cura di), Lavéc, pentole in pietra ol-
lare in valtellina e valchiavenna, Nodo libri, 2009
Verganti R., Design driven innovation, Etas, 2009
sitografia
http://it.wikipedia.org/wiki/Lavec
http://www.valmalenco.biz/gaggialberto/
http://www.artestone.it/default.asp
04\ IN SEARH OF MAGINALIZED WISDOM
Sham Shui Po District (Hong Kong), 2007
fonte: Howard Chan, Siu King-chung (a cura di), Sham shui Po craftspeople, Sham Shui Po District Council, Hong
Kong, 2007
specificità
tipo di progetto
committenza
In search of marginalized wisdom: il processo di realizzazione di un prototipo
Un progetto, promosso dall’associazione Community Museum Project, di valorizzazione e rinnovamento degli artigiani di un quartiere popolare di Hong
Kong, delle loro competenze e tradizioni (dalle operazioni tipiche del fare, al modo di usare lo spazio
alle relazioni di collaborazione tra persone diverse),
attraverso l’introduzione di una componente di design esplicito nel processo creativo. Il progetto nasce con l’idea di realizzare una mostra e si sviluppa
fino alla organizzazione di sessioni progettuali collaborative tra artigiani e giovani designer e progettisti, in un processo progettuale di “innovazione”
dei prodotti e delle creazioni degli artigiani stessi
e loro traduzione in artefatti di design contemporaneo.
Community Museum Project
progettista
Curatori: Howard Chan, Siu King-chung; artigiani e
progettisti: vari
descrizione: obiettivi e risultati
Sham shui Po è un distretto di Hong Kong che è
all’interno di un piano strategico di rinnovamento
e sviluppo “people-oriented”. E’ una zona dove la
dimensione “culturale” assume una connotazione
particolare, e determinante nelle sviluppo e trasformazione dell’area: è caratterizzato infatti da una
miriade di unità produttive e di vendita di stampo
artigianale di oggetti di vita quotidiana, un sorta di
comunità progettuale sui generis, che ha nel tempo
sedimentato un patrimonio immateriale e sapere
fare collettivo, seppur tacito e non codificato, di
strategie di produzione, di riciclo dei materiali, uso
parole chiave di sintesi
comunità creativa | network produttivo | artefatti quotidiani | saper fare collettivo
dello spazio e delle risorse, di relazione collaborativa tra tutti gli artigiani che è stato individuato
da Community Museum Project come un bacino di
conoscenza tacita e non documentata che meritava
di essere scoperto e valorizzato. Community Museum Project, una associazione culturale interessata
ad un concetto di museo intangibile e non elitario,
ovvero come metodo di rappresentare vita e valori
quotidiani, insieme alla creatività indigena, ha sviluppato nel 2007 un progetto sulle nuove “creative
industries” di Hong Kong, in cui ha coinvolto otto
piccoli artigiani produttori e venditori insieme ( tra
gli altri, un produttore di carrelli in legno, un mezzo di trasporto a mano molto comune a Hong Kong,
un produttore di mobili in rattan, un laboratorio di
metalli, uno di tessuti...) per osservarne e codificarne modalità di lavoro e altrettanti designer per
la progettazione di nuovi artefatti d’uso quotidiano
e prototipi dal design contemporaneo (non necessariamente prodotti destinati al mercato finale,
ma per esempio anche nuovi supporti e banchi di
lavoro) e la realizzazione di una mostra con i risultati nati da questa collaborazione. Per ognuna di
queste realtà la sfida innovativa si è concentrata
su alcuni aspetti legati alle loro strategie di lavoro,
per esempio la necessità di fare i conti con limiti
di risorse e di spazio (ad esempio un rivenditore di
piccoli accessori per decorazioni, utilizza uno stand
temporaneo all’aperto dove tuttavia è in grado di
organizzare delle piccole classi di lavoro rendendo
lo spazio di lavoro uno spazio pubblico e viceversa).
Uno dei risultati più interessanti è la produzione
di un nuovo prototipo di carrello multiuso (che di-
In search of marginalized wisdom: il processo di realizzazione di un prototipo
venta, con la semplice aggiunta di un meccanismo
di ribaltamento delle ruote anche tavolo), che ha
stimolato anche la collaborazione tra più artigiani.
Durante la mostra finale sono stati esposti sia i prototipi, sia le ricerche e rilievi documentativi condotti dai ricercatori sui processi e luoghi di lavoro.
Sono state effettuale inoltre delle dimostrazioni
pubbliche da parte degli artigiani dei loro processi produttivi. Il progetto ha portato quindi ad una
documentazione codificata del lavoro degli artigiani, ad sensibilizzazione da parte degli abitanti
del quartiere rispetto alle potenzialità degli artigiani in termini di identità e sviluppo del quartiere
e gli artigiani stessi ad una consapevolezza delle
opportunità di sviluppo, evoluzione delle loro attività. Sono stati realizzati strumenti di comunicazione della conoscenza accumulata, nuovi prototipi
e sono state attivate relazioni di collaborazione tra
gli abitanti del quartiere.
target
Il target diretto dell’azione progettuale sono gli
artigiani locali e i progettisti coinvolti, mentre il
target indiretto è la popolazione dell’area che ha
partecipato alla mostra finale.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
In search of marginalized wisdom: il prototipo finito e
la mostra finale
Il caso è significativo per la capacità di valorizzare
i valori culturali di una piccola comunità attraverso
la socializzazione delle loro tecniche e il rinnovamento di forme e processi tipici, attraverso azioni
promozionali (la mostra) e collaborative-creative
(i workshop progettuali tra artigiani e designer),
strumenti entrambi che definiscono un metodologia
replicabile, a cavallo tra la curatela (il modello di
museo in strada) e l’attivazione (la ricerca di nuove
soluzioni progettuali e protopiti) di elementi identitari, tecnici, estetici e relazionali di un gruppo culturale e dei suoi artefatti tangibili.
processo di attualizzazione
potenziale di attivazione
Il processo di attualizzazione è focalizzato invece
sulla dimensione materiale e formale degli artefatti che vengono rinnovati grazie all’introduzione
di nuove funzioni, nuovi materiali, nuovi accessori,
nuove dimensioni (ad esempio nel carrello-tavolo).
Si tratta di un processo di fertilizzazione interna,
che aiuta gli artigiani ad innovare la loro produzione tipologica senza ampliare il ventaglio di ambiti
di applicazioni e senza trasferire i prodotti in altri
contesti.
Il processo attivato lavora sul potenziale creativo
della comunità di riferimento quindi sul saper fare
degli artigiani, legato sia a questioni puramente
tecniche, ma anche a loro abitudini e usi durante
la produzione, relativi ad esempio al reperimento
delle risorse e dei materiali attraverso il network
del quartiere.
agente di attivazione
L’associazione Community Museum Project è
l’agente che ha dato avvio al processo, supportata
nel suo intervento dal consiglio di zona, lo Sham
Shui Po District Council.
grado d’innovazione del caso
Il caso ha un grado di innovazione incrementale relativamente al rinnovamento delle forme degli artefatti realizzati, caratterizzati da un basso grado di
discontinuità e alta riconoscibilità rispetto agli oggetti iniziali. Sul piano metodologico la dimensione
di processo ha un maggiore grado di innovazione
sistemica, ovvero replicabilità di una strategia di
“innovazione” e traduzione in artefatti di design
contemporaneo dei prodotti degli artigiani.
riferimenti e altri link
bibliografia
sitografia
Lee B., “An example of tranforming culture into
design”, in Crossover, Hong Kong designers association Journal, vol, 15, 2008
http://www.hkcmp.org/cmp/
collocazione del caso In Search of marginalized wisdom
sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra)
e potenziale di attivazione (sotto).
05\ SARDINIAN RUGS
sardegna, 2006
fonte: collezione Moroso
specificità
tipo di progetto
Serie di tappeti, interamente realizzati a mano, che
nascono dall’abilità e dalla sapienza di artigiane
sarde, su disegno di una delle più interessanti designer europee contemporanee.
committenza/progettista
La collezione è stata disegnata dalla spagnola Patricia Urquiola, e realizzata da NAE per Moroso.
descrizione: obiettivi e risultati
risorse impiegate/attori coinvolti
immagini caso studio
La designer spagnola ha potuto lavorare con grande
libertà sui segni e sui colori della tradizione artigianale sarda. I suoi progetti sono stati poi ripresi ed
elaborati dai migliori artigiani dell’isola, selezionati
e coordinati da NAE, che hanno trasformato in tappeti i disegni della Urquiola. Realizzati a mano in
Sardegna, e per questo ancora più preziosi, i tappeti della collezione Urquiola/NAE/Moroso sono
stati presentati anche al Salone del Mobile di Milano
(oltre che inseriti stabilmente nella collezione Moroso e, per tanto, distrubuiti attraverso la rete del
brand).
I tappeti sono pezzi interamente realizzati a mano,
utilizzando ancora oggi i telai tipici della tradizione
sarda, seguendo tecniche millenarie1: di fatto, ogni
tappeto è un pezzo unico, diverso da tutti gli altri
per minime differenze di misura e leggere variazioni nelle tonalità dei colori.
“Sardinian rugs” nasce sotto il segno della joint
venture NAE2-Moroso: il secondo è un marchio italiano di fama internazionale, mentre il primo ha
l’ambizione di essere un laboratorio di idee nel
quale possano trovare spazio prodotti che mixano
la cultura del design e quella della tradizione ar-
parole chiave di sintesi
interni | complemento d’arredo | tecnica produttiva | artigianato locale
tigianale, alla ricerca di modi nuovi di inseguire il
bello.
Realizzare mobili e oggetti progettati da “maestri
del design” contemporaneo e realizzati a mano da
“maestri artigiani” è la mission di NAE.
NAE, inoltre, promuove fortemente la località delle
culture artigiane che valorizza: ogni tappeto della
collezione “Sardinian rugs”, infatti, viene realizzato utilizzando solo ed esclusivamente lana sarda;
più precisamente, la trama e l’ordito dei tappeti
sono in cotone mentre il vello è in lana.
target
L’azienda distibutrice (ndr. Moroso) si posiziona in
fascia medio-alta rispetto al mercato dei prodotti
per interni; si occupa anche di contract e realizza progetti completi di interior design destinati a
banche, navi, alberghi, ristoranti, aereoporti, etc.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
I tappeti della collezione “Sardinian rugs”, così
come ogni progetto che nasce nella cornice filosofica di NAE, sono tutti progetti a due teste e numerosi mani: il singolo prodotto nasce dall’incontro
unico tra la creatività di un designer e la sapienza
di un artigiano. Il meta-prodotto che ne scaturisce
è, a sua volta, realizzato a mano da mastri artigiani
(con tecniche manuali e materiali locali): le variabili materiche e quelle intinsecamente connesse
alla lavorazione manuale fanno sì che ogni pezzo
prodotto sia di fatto un originale.
processo di attualizzazione
potenziale di attivazione
Il prodotto finito si può considerare “strettamente
locale” per quanto concerne l’ambito tematico3 e
produttivo, aprendosi invece “al globale” sul versante della distribuzione: la collezione è infatti
pensata per raggiungere, potenzialmente, tutti i
punti vendita del marchio Moroso.
La produzione recupera e valorizza tout court un
sapere tipico, sia nella forma materiale che immateriale: da una parte, infatti, la collezione è realizzata mediante una tecnica di lavorazione locale
sarda (la tessitura cosiddetta a pibiones); tecnica
che necessita di essere perforata da manodopera
locale esperta.
La tecnica tessitoria a pibiones, letteralmente “ad
acino d’uva”, prevede tre passaggi base: il vello (la
lana) viene fatto passare attraverso i fili che compongono l’ordito; successivamente il vello viene sollevato e fatto passare attraverso un ferro in ottone
per creare i singoli “pibiones”; infine, i “pibiones”
sono fissati tramite la battuta della cassa sul pettine, che comprime il vello tra la trama. La tecnica
“a pibiones” non prevede quindi l’utilizzo di nodi,
e questo rende ogni tappeto più prezioso. Ad ogni
interruzione di colore la lana deve essere tagliata
e fissata.
Data la complessità e la delicatezza della lavorazione, la realizzazione di un singolo tappeto richiede
circa quindici giornate di lavoro di un artigiana esperta; nei tappeti più grandi, per consentire una
esecuzione corretta delle fasi della battuta è richiesta addirittura la lavorazione contemporanea di
due artigiane.
agente di attivazione
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
II risultato dell’incontro fra designer e artigiani è
sempre un pezzo molto particolare: un oggetto che
il talento e il rigore del designer rendono contemporaneo dal punto di vista estetico e formale, e a
cui la realizzazione manuale regala un’unicità e un
valore che nessuna produzione di serie può raggiungere. Si tratta di pezzi che vivono in tirature limitate, proprio perchè realizzati quasi interamente
a mano; in alcuni casi anche pezzi unici, nati per
rispondere al desiderio di esclusività di un committente o alla particolarità di una situazione irripetibile.
conservazione di forma o processo
Il processo produttivo si conserva uguale a se stesso, nel tempo.
La qualità estetica del prodotto beneficia invece
della traduzione in un linguaggio contemporaneo:
il lavoro della Urquiola infatti è tutto giocato sulla
libera re-interpretazione dei disegni tradizionali
sardi e sul recupero/riutilizzo creativo dei materiali locali. I bianchi, i grigi ed i marron melange
sono i colori naturali della lana di pecora, e quindi
vengono utilizzati senza colorazioni artificiali; per
gli altri colori viene utilizzato come base il bianco
naturale e per questo motivo il colore finale varia a
seconda della tonalità del bianco di partenza. Non
ultimo, per fissare il colore alla lana viene utilizzato l’aceto: anche questo fa sì che i differenti colori
scelti da Patricia Urquiola possano presentare, nel
prodotto finito, leggere variazioni di tonalità.
grado d’innovazione del caso
Il punto forte del caso è senz’altro la “partnership
ideativa” del prodotto.
Il progetto, infatti, si radica nella filosofia NAE (nella quale il designer arriva al bello passando per un
rapporto più diretto con l’artigiano e con la cultura
materiale della nostra terra) beneficiando infine del
potenziale comunicativo e distributivo di Moroso.
riferimenti e altri link
NOTE
1 In particolare la tecnica “a pibiones”.
2 Handmade interior design.
sitografia
http://www.moroso.it
http://www.naestore.it
3 Anche se i tappeti tradizionali sardi nascono per
uso domestico, mentre quelli prodotti da Moroso si
propongono per destinazioni d’uso più diversificate
e, in alcuni casi, prestigiose.
06\ BABY-GAMY
francia, 2005
fonte: editoria (Chronicle Books)
specificità
tipo di progetto
progettista (autore)
descrizione: obiettivi e risultati
Si tratta di un libro (di autore francese) che recupera, reinterpreta e illustra una serie di tecniche
per avvolgere e infagottare i bambini, dai neonati a
quelli un po’ più grandi.
Sarvady Andrea
Tutti conoscono l’origami, l’arte giapponese di piegare la carta: da questo immaginario nasce il babygami, ovvero una pratica che raccoglie diverse tecniche per infagottare i piccoli. Si tratta di tecniche
prese a prestito da culture antiche, come quella del
kanga africano o del rebozo messicano.
Non si tratta naturalmente delle vecchie fasce nelle
quali venivano costretti i bambini all’epoca dei nostri nonni, ma il principio è lo stesso: la fasciatura,
che deve essere contenitiva ma confortevole, quindi non troppo stretta, aiuta a calmare il neonato,
che si sente al sicuro, protetto nel tepore, come
nell’utero materno; alcune pratiche di fasciatura
risultano inoltre utili per ridurre il rischio SIDS, la
morte in culla. Nel testo trovate una serie di varianti, dal fagotto per fare lavori domestici, a quello
da ufficio, da picnic o da sera.
Il libro è stato editato e tradotto in diverse lingue
ed è naturalmente presente in rete.
target
immagine caso studio
Per la natura del suo contenuto, il libro si propone
come un mauale pratico, decisamene ironico, indirizzato per lo più a giovani neomamme cosmopolite.
parole chiave di sintesi
performance | intercultura | nuovi costumi | accessorio moda
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
processo di attualizzazione
potenziale di attivazione
Il caso studio esemplifica una forma di valorizzazione di pratiche/performance tradizionali mediante trasposizione editoriale.
L’autore attualizza e ripropone in chiave contemporanea una serie di pratiche tradizionali della fasciatura neonatale, appartenenti non solo ad un tempo
passato ma anche ad aree geografiche altre rispetto
al hic et nunc di chi scrive.
L’insieme di tali pratiche è presentato attraverso un’operazione editoriale che gioca il ruolo di
piattaforma di diffusione; analogamente, la scelta
stilistica (ndr. manuale illustrato) e che ha guidato
la realizzazione del volume contribuisce a globalizzare il target di riferimento, intercettando trasversalmente diverse culture e consentendo, in ultma
analisi, di rendere il prodotto accessibile ad un
pubblico più eterogeneo.
Il testo si propone come un manuale d’uso dell’arte
del baby-gami: è chiara la matrice metaforica che
ammicca all’arte giapponese, la quale risulta particolarmente efficace per conferire alla raccolta
autorevolezza e, insieme, consentire di percepirla
come un unicuum consolidato di pratiche.
conservazione di forma o processo
Il processo del “piegare” rimane l’elemento di conservazione: materiali utilizzati e finalità della pratica (nonchè relativi beneficiari), cambiano.
grado d’innovazione del caso
La pratica della fasciatura è interpretata in chiave
ludica e proposta come una performance naïf, ma
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
molto modaiola. Le fasce stesse diventano una nuova merceologia di prodotto, un accessorio fashion.
riferimenti e altri link
sitografia
http://www.blogmamma.it
http://www.urbanbaby.com.au
07\ SHADOWLAND
Stati Uniti, 2009
fonte: Pilobolus Dance Institute
specificità
tipo di progetto
committenza/progettista
Si tratta di una performance di danza contemporanea giocata sulla rivisitazione del teatro delle ombre.
Lo spettacolo è stato creato da: Steve Banks, Robby
Barnett, Renée Jaworski, Matt Kent, Itamar Kubovy,
Michael Tracy; in collaborazione con: Josie M.
Coyoc, Mark Fucik, Christopher Grant, Molly Gawler, Damon Honeycutt, Renée Jaworski, Beth Lewis,
Roberto Olvera, Derek Stratton, Lauren Yalango.
Cast: Mark Fucik, Christopher Grant, Molly Gawler,
Damon Honeycutt, Renée Jaworski, Beth Lewis, Roberto Olvera, Derek Stratton, Lauren Yalango
Direttori Artistici: Robby Barnett, Michael Tracy,
Jonathan Wolken
Musica (elemento essenziale di Shadowland e perfetta commistione di modernità e tecnica): David
Poe. Scene: Neil Patel. Costumi: Liz Prince. Luci:
Neil Peter Jampolis.
E’ interpretato dalla Pilobolus Dance Theatre: compagnia americana di danzatori/atleti1 nata nel 1971
da un gruppo di studenti universitari del Darmouth
College (Alison Chase, Jonathan Wolken e Moses
Pendleton).
Pilobolus è un fungo trasparente amante del sole,
che può lanciare le sue spore fino a 20 metri di distanza; il nome del gruppo è espressione-simbolo
dell’energia e delle forme fantastiche che i danzatori fanno esplodere sulla scena.
descrizione: obiettivi e risultati
immagini caso studio
Non è propriamente uno spettacolo di danza; neppure una spettacolo teatrale. Non è solo recitazione, né solo movimento, né solo fisicità espressiva:
parole chiave di sintesi
performance | danza contemporanea | remix | linguaggi espressivi
questa è Shadowland, il Paese delle ombre.
Si tratta di un luogo immaginario e a tratti inquietante (che richiama la Wonderland di Alice) nel
quale si muove la protagonista: una giovane donna
che desidera fuggire dalla premura dei genitori.
Gente semplice, che a un’adolescente sta stretta
come scarpe più piccole di un paio di misure. Così
fugge nella notte per ritrovarsi in un “sogno di ombre” da cui non riesce più a uscire.
risorse impiegate/attori coinvolti
Il risultato è un processo coreografico basato sulla
collaborazione e su un nuovo approccio alla divisione dei pesi che dà alla giovane compagnia una
serie di abilità molto forti, ma assolutamente non
tradizionali, per fare danza. La compagnia non ha
mai perso il suo impeto originario e rimane profondamente legata all’idea di collaborazione tra i suoi
membri, con i suoi quattro direttori artistici e sei
ballerini che contribuiscono a creare uno dei più
popolari e più variegati repertori di danza. Più di
tre decenni di attività e un repertorio di circa 85
opere coreografiche sono oggi la testimonianza più
concreta della particolare fertilità e longevità e
della perfetta sinergia creativa dell’ensenble.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
Il merito della compagnia Pilobolus Dance Theatre
è di aver creato, in particolare con Shadowland,
uno spettacolo innovativo che passa attraverso la
valorizzazione dell’immagine: una forma d’arte
recuperata “in remoto” (distante nel tempo e
nello spazio dalla realtà narrativa e perfomativa
del gruppo di danzatori) è tradotta in linguaggio e
forme contemporanee, beneficiando di una costruzione che recupera e combina, in un remix affatto
originale, stili di rappresentazione eterogenei. In
primis i giochi d’ombre, mediante i quali questi giovani dai corpi potenti e scolpiti danno forma a prospettive inimmaginabili; lungo la narrazione poi, si
susseguono e alternano citazioni cinematografiche
e schemi narrativi al limite del fumettistico2.
Anche la colonna sonora (di David Poe), le cui composizioni poetiche spaziano da ballate a pezzi hardrock, si inserisce in questa linea progettale.
processo di attualizzazione
Il Pilobolus Dance Theatre vive e lavora a Washington Depot (Connecticut) e si esibisce per il pubblico teatrale e televisivo in tutto il mondo. Le
coreografie dei Pilobolus fanno parte dei repertori
delle maggiori compagnie di danza, quali il Joffrey
Ballet, il Feld Ballet, l’Ohio Ballet, l’Arizona Ballet
e l’Aspen/Santa Fe Ballet negli Stati Uniti, il Ballet
National de Nancy et de Lorraine, il Ballet du Rhin
in Francia e il Balletto di Verona.
Shadowland continua a migrare tra i cartelloni dei
maggiori teatri del mondo.
potenziale di attivazione
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
Le ombre cinesi sono un tipo di spettacolo molto
antico3 che veniva svolto in teatrini ambulanti che
si spostavano da un paese all’altro, similmente ai
gabbiotti delle marionette o dei pupi siciliani. Era
comune trovare questi teatri ambulanti vicino ai
templi, durante le ricorrenze religiose, ma anche
nelle feste laiche come il Capodanno o alle fiere
di paese. Nel teatro tradizionale, i gruppi teatrali,
dovendosi adattare alle rappresentazioni a cielo aperto, utilizzavano una pedana smontabile fatta di
barre di legno laccate di rosso, davanti alla quale
montavano un sipario rosso vivo decorato con fiori
dorati per dare più intensità all’atmosfera di festa.
Nel tempo, gli “attrezzi” del mestiere si raffinarono,
lo schermo da semplice foglio di carta bianca incol-
lato su una cornice di legno venne sostituito da un
lenzuolo di tela bianca e l’illuminazione, dalla lampada ad olio, con gli anni ‘50, passò alle lampade
fluorescenti rendendo così le attuali immagini più
nitide e definite.
Similmente, i danzatori del Pilobolus Dance Theatre raccontano questa storia dietro (a tratti anche
davanti) uno schermo bianco che, retroilluminato
da luci colorate, restituisce allo sguardo ombre e
sagome nere. Gallerie e improvvise strettoie, ripari
e spazi impossibili si generano dalle ombre di cornici abilmente manovrate davanti alle luci... ma
l’artificio scompare durante lo spettacolo, tutto è
meravigliosamente credibile, tridimensionale, reale (anche nella scala4) e affascinante. Lo schermo
ruota, a volte, si toglie di mezzo e rivela la realtà
più profonda dando ulteriore senso alle scene fondamentali.
Recitare il teatro delle ombre serviva, nell’antica
Cina, a venerare le divinità ma anche a scacciare
fantasmi e mostri, anche se poco dopo ha assunto
il suo carattere di intrattenimento che conserva
tutt’oggi.
In Shadowland, i corpi dei danzatori si sostituiscono alle più tradizionali marionette5 modellando
qualsiasi cosa: dietro lo schermo, in una costante esplorazione della “mutabilità” del corpo umano, assumono le posizioni più strane e diventano elefanti,
automobili, strane creaturine aliene, colline e dirupi, cacciatori e centauri. Qualche oggetto aiuta nel
caratterizzare i dettagli e le distanze dalla luce per
creare ulteriore profondità alla scena.
conservazione di forma o processo
Per la natura specifica dell’esempio citato si può
parlare di “riproduzione dell’autentico”.
Il processo coreografico da cui si origina la specifica
performance infatti è esso stesso “un prodotto originale”, risultato del remixaggio di cui sopra. Stili e
linguaggi diversi (e per provenienza e per tradizione
culturale) sono riproposti, sincreticamente, in chiave contemporanea.
grado d’innovazione del caso
Il punto forte di Shadowland è la capacità di massimizzare risultati scenici e narrativi attraverso una
sapiente “pratica di remixaggio” estetico tra diversi linguaggi e stili di rappresentazione in grado
di comunicare ad un vasto pubblico e, insieme, coinvolgerlo con una fascinazione culturale che viene
da pratiche millenarie.
Il vocabolario fisico delle coreografie dei Pilobolus
deriva da intensi periodi di improvvisazione e gioco
creativo. Questo processo suscita da sempre grande
interesse, tanto che nel 1991 la Compagnia inaugura
il Pilobolus Institute, un programma di formazione
che utilizza “l’arte della coreografia” come modello per il pensiero creativo in ogni campo.
Con Shadowland la compagnia presenta uno spettacolo che è allo stesso tempo danza, gioco con
le ombre, circo e concerto; numerose acrobazie si
mescolano al tutto spiazzando lo spettatore e sovvertendo i canoni della danza con improvvisazione
ed ironia. Sul palcoscenico appaiono e si dissolvono
forme fantastiche di esseri invertebrati o animaleschi.
Questo era lo scopo dei fondatori, ossia creare “un
nuovo stile teatrale”, per il quale erano stati coinvolti non solo danzatori, ma anche acrobati e sportivi di svariate discipline.
riferimenti e altri link
sitografia
http://www.pilobolus.com
http://www.festivalombre.it
http://www.mondogreco.net/teatroombre.htm
http://www.collezionemariasignorelli.it/teatro_ombre_testo.htm
NOTE
1 Dai Pilobolus nel tempo si sono sviluppate altre
compagnie tra cui i Momix.
2 Non a caso la sceneggiatura è stata sviluppata
in collaborazione con Steven Banks, ideatore del
famoso cartone animato SpongeBob SquarePants.
3 Con radici condivise da una serie di etnie nomadi,
rintracciabili anche in differenti bacini culturali del
mediterraneo: queste varie culture sono accomunate da un teatro che carica l’ombra stessa di una
valenza religiosa. I Turchi erano nomadi delle steppe
dell’Asia centrale; attorno al 400 d.C. cominciarono
a migrare verso i tre grandi Imperi classici: quello
Romano, quello Indiano e quello Cinese.
4 diversamente dalla tradizione teatrale cui ci si
riferisce (ndr. il teatro delle ombre).
5 Strumenti classici nelle rappresentazioni del teatro
delle ombre cinesi; inizialmente in legno, poi in
cuoio. L’antica arte cinese è, poi, stata esportata in
tutto il mondo e, al giorno d’oggi, con ombre cinesi
si indicano, in generale, tutte le ombre che vengono
proiettate attraverso l’uso delle mani o di ritagli di
carta o cartoncini.
08\ Design Connects People
Torino, 2008
fonte: evento Geodesign - La mobilitazione dell’intelligenza collettiva. 48 progetti per Torino;
all’interno della manifestazione Torino World Design Capital.
specificità
tipo di progetto
committenza/progettista
descrizione: obiettivi e risultati
Campagna di comunicazione, e relativi artefatti (un
normografo e un nastro adesivo speciale), per sensibilizzare circa le differenze di genere.
Associazione GLBT e circolo culturale “Maurice” / Nucleo;
in collaborazione con Litografia Geda.
Sin dal primo incontro l’Associazione GLBT, insieme al circolo Maurice, hanno espresso l’esigenza di
lavorare sul tema della comunicazione per incentivare la sensibilizzazione della città nei confronti
della loro causa di prevenzione delle malattie e di
affermazione dei diritti civili.
A questo scopo Nucleo ha progettato una campagna
di comunicazione per il servizio telefonico di ascolto
gay “Contatto” e uno speciale normografo con dei
caratteri e delle sagome particolari che ricoprono
l’intero arco delle differenti identità sessuali, partendo dall’idea di diffondere il normografo nelle
scuole e di promuoverne l’utilizzo come una forma
di viral marketing.
Prendendo come spunto un oggetto ormai obsoleto
(ndr. il normografo, oggetto utilizzato per uniformare la scrittura) Nucleo inventa il normografo dei
comportamenti sessuali: un oggetto-provocazione
che ha la pretesa di ricordare a tutti la normalità
di comportamenti notoriamente definiti come “diversi”.
immagini caso studio
L’elemento principale del progetto, denominato
Design Connects People, è quindi il normografo,
che nella comunicazione viene associato ad altri
due elementi fondamentali: la carta colorata nei
parole chiave di sintesi
sistema di comunicazione | costume | replicabilità | veicolo immateriale
6 colori dell’arcobaleno, simbolo del movimento
GLBT, e la matita. Oltre a questi progetti, Nucleo
ha proposto a Litografia Geda anche un nastro
adesivo arcobaleno con cui ricoprire le brutture
della città, e alcune sedute in cartone, anch’esse
decorate con l’arcobaleno, per la manifestazione
contro l’omofobia.
Gli oggetti e i manifesti creati per la mostra (a
seguito esprimono il concetto in diverse forme.
risorse impiegate/attori coinvolti
risorse impiegate/attori coinvolte
Si è costituito, seppure temporaneamente, un
partenariato finalizzato all’azione progettuale
composto da:
- Circolo di cultura Gay, Lesbica, Bisessuale e Transgender (glbt) MAURICE:
un Circolo Arci Nuova Associazione, nato nel 1985.
La sua attività è stata da sempre finalizzata a combattere ogni tipo di discriminazione e pregiudizio,
con particolare riferimento al diritto alla libera
espressione dell’orientamento sessuale e dei percorsi dell’identità di genere. E’ un circolo misto, che
sente propria l’eredità del movimento femminista e
del movimento glbt e ritiene che attraverso il confronto di soggettività diverse possa nascere progettualità e ricchezza. Attualmente il Circolo fa parte
del coordinamento Torino Pride, che ha organizzato
il Pride nazionale del 2006 a Torino (all’epoca come
Comitato TP), quelli regionali del 2007, del 2008
a Biella e del 2009. Il Maurice fa inoltre parte del
Coordinamento nazionale Facciamo Breccia, autodeterminazione, laicità, antifascismo, cittadinaza.
- Nucleo Design Solutions (nelle persone di Piergiorgio Robino, con Stefania Fersini e Alice C. Occleppo)
Studio di desing, formatosi nel 1997, che lavora ispi-
randosi al software open source: fare design come
un codice aperto, attraverso il quale coinvolgere
progettisti diversi ma accomunati dallo stesso linguaggio sviluppando in questo modo progetti sempre nuovi e al contempo sempre diversi, ma per
questo sempre collegati.
- Litografia Geda è il partner produttivo. Nello
specifico, all’azienda è stato commissionato il prototipo del nastro adesivo arcobaleno utilizzato negli
eventi.
target
A corto raggio, il progetto mira a coinvolgere e sensibilizzare il contesto in cui l’Associazione si radica,
ovvero la realtà torinese; a beneficio della comunità
glbt locale e dei frequentatori del Circolo Maurice.
Potenzialmente il sistema di artefatti si candida a
strumento di comunicazione delle differenze di genere tout court.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
processo di attualizzazione
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
Il caso studio in oggetto rende manifesta la complessità e l’ampiezza, in termini di senso, del termine “comunità culturale”. Il caso, inoltre porta
alla luce le dinamiche progettuali che contribuiscono all’incorporazione delle qualità immateriali
in un oggetto inteso come “artefatto” socialmente
costruito: esempio specifico della possibilità di far
veicolare ad un oggetto “classico”, mediante un
processo di risemantizzazione, un nuovo contenuto
condiviso.
Ambito applicativo e contesto rimangono invariati; si assiste invece ad un interessante processo di
trasferimento con-testuale e, soprattutto, temporale (ndr. la riproposizione, nell’era dell’accesso
per dirla con Rifkin, di uno strumento analogico
tradizionale, manuale; un evergreen della cultura
politecnica occidentale).
potenziale di attivazione
agente di attivazione
conservazione di forma o processo
grado d’innovazione del caso
L’artefatto conserva un sistema di saperi (modello
di comunicazione) tradizionale, innestandovi un
sistema di qualità (i valori di GLBT) totalmente altro.
Il progetto nasce sul bisogno di comunicazione
dell’Associazione GLBT. Naturalmente non si può
omettere l’evento contenitore (ndr. Geodesign
2008) che, concettualmente, ha reso possibile
l’incontro tra micro-realtà etniche/comunitarie
torinesi e coppie di designer-aziende interessati al
progetto.
Il caso rappresenta un esempio di conservazione di
processo.
Rispetto alla campagna di comunicazione, infatti,
si identifica nel normografo l’elemento chiave;
l’artefatto (inteso come l’oggetto e, insieme, il
sistema dei significati incorporati) è portatore di un
nuovo contenuto co-costruito: un abaco iconico e
un alfabeto delle differenze di genere, ad alto potenziale comunicativo.
Il normografo, ridisegnato appunto in base ad un
nuovo linguaggio per il GENERE CONDIVISIBILE, nasce su un concetto forte: il presupposto che la comunità GLBT tende a non utilizzare parole che identifichino un genere, in quanto non condivisibili dai
diversi orientamenti sessuali.
L’idea, quindi, è che la comunicazione avvenga
omettendo l’ultima lettera della parola, sostituita da un asterisco (es. unito = genere maschile;
unita = genere femminile; unit*= genere condivisibile).
A questo proposito sono state progettate due
nuove lettere (a/o, e/i), nelle varianti maiuscolo
e minuscolo, da utilizzarsi per le parole riferite
a persone che identificano un genere (maschile o
femminile), rendendole condivisibili.
riferimenti e altri link
bibliografia
sitografia
Boeri, S. con Mirti, S. e L. Tozzi. 2008. Torino GEODESIGN. Milano: Ed. Abitare Segesta
Abitare n°483
http://www.torinogeodesign.net
http://www.torinoworlddesigncapital.it
http://nucleo.to/nucleo/?cat=0&p=home
http://www.mauriceglbt.org/drupal/
09\ TAPPETI
Torino, 2008
fonte: evento Geodesign - La mobilitazione dell’intelligenza collettiva. 48 progetti per Torino;
all’interno della manifestazione Torino World Design Capital.
specificità
tipo di progetto
committenza/progettista
descrizione: obiettivi e risultati
risorse impiegate/attori coinvolti
immagini caso studio
Rivisitazione della tradizione romena di allestimento dello spazio domestico, reinterpretata in termini
materici e semantici (realizzata, da manifattura
indiana, con materiali non tradizionali e destinata
allo spazio collettivo, seppure interno).
comunità ROMENI torinese / Paolo Zani;
in collaborazione con Warli per la realizzazione dei
prototipi.
L’associazione Fratia, situata quasi all’ingresso di
Porta Palazzo, è il punto di incontro della numerosa comunità romena di Torino. Il principale oggetto della loro tradizione culturale è il tappeto,
usato oltre che nella funzione che noi conosciamo,
anche per decorare le pareti della casa e rendere
confortevoli gli ambienti di ritrovo della comunità.
Paolo Zani con la sua ditta Warli che produce tappeti
realizzati da artigiani indiani, ha reinterpretato in
chiave contemporanea quest’utilizzo, realizzando
un ibrido fra tappeto e seduta bassa, da sistemare
lungo le pareti della sala comune dell’associazione.
Vere e proprie aree di relax e conversazione, possono essere singole o doppie, realizzate con due
tipologie di tappeto: una più sottile (rib durrie) fissata a parete, e l’altra, spessa, a pavimento, parzialmente calpestabile, con sopra un cuscino mobile
dove si possa lavorare anche al computer, conversare o leggere.
Il progetto ha coinvolto alcuni membri della comunità romena di Torino e i rappresentanti
dell’associazione Fratia. Il progettista, Paolo Zani1,
parole chiave di sintesi
complemento d’arredo | interior | collettività
ha invece messo in campo le sue capacità professionali e la sua expertise produttiva: la Warli, tappeti contemporanei.
Warli nasce nel 1992, dall’incontro tra il designer
e una cooperativa di artigiani tessitori del nord
dell’India. L’azienda collabora, tra gli altri, con
Jonathan Olivares.
target
L’azione progettuale è indirizzata, in primis, alla
comunità romena stessa, così come agli altri frequentatori dell’associazione Fratia.
I tappeti, che invece potenzialmente entrano a
far parte della linea di prodotti della Warli, sono
pensati per soddisfare i bisogni di un pubblico più
ampio, fuori dalle cornici etniche sopracitate. La
funzionalità e l’estetica dei tappeti infatti ben si
prestano ad arredare spazi destinati ad un uso misto (pubblico/privato), socializzante o ludico; aree
lounge o relax.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
Esempio di prodotto come portatore dell’azione: le
qualità immateriali incorporate si estrinsecano in un
“sistema formale” che veicola l’informazione culturale, rendendola manifesta e fruibile (in questo
caso, suggerendo un “agito” appunto).
processo di attualizzazione
mantenendo piuttosto saldo l’ambito tematico (da
tappeti pensati per interni domestici si arriva a progettare tappeti per interni “collettivi”) il progetto
compie un doppio movimento contestuale: in prima
battuta il progetto, che nasce dalla cultura romena
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
tradizionale, si riferisce ad una particolare realtà
romena, ovvero una nicchia culturale trapiantata
a Torino; secondariamente, il prodotto finale (by
Warli) deve essere necessariamente metaculturale
poiché è potenzialmente destinato a un pubblico
eterogeneo che, dunque, deve essere in grado di
comprendere il senso dell’oggetto e sfruttarne le
potenzialità a prescindere dalla conoscenza delle
origini culturali da cui prende avvio.
potenziale di attivazione
agente di attivazione
conservazione di forma o processo
grado d’innovazione del caso
Il prodotto, anche per come è stato concepito secondo la politica dell’evento Geodesign, rivitalizza
una qualità con una connotazione forte; il tappeto
incorpora una forma di “socialità” tradizionale romena. Processo produttivo (ancora artigianale, ma
facente capo a una tradizione differente) e materiali sono invece frutto dell’incontro con “il nuovo”,
in termini spazio-temporali.
L’evento contenitore (ndr. Geodesign 2008) che,
concettualmente, ha reso possibile l’incontro tra
micro-realtà etniche/comunitarie torinesi e coppie
di designer-aziende interessati al progetto.
Il progetto valorizza la dimensione estetica del prodotto originario; recuperandone, in particolare,
elementi formali e tattili. Questi ultimi sono portatori dell’informazione necessaria –nonché culturalmente connotata- alla comprensione dell’uso
dell’artefatto stesso.
Il caso studio beneficia, in primo luogo, della cornice metaprogettuale all’interno del quale è stato
possibile avviare un partenariato affatto singolare.
Rispetto agli esiti progettuali specifici, si evidenzia
una visione intelligente dello spazio pubblico e una
modalità intrigante di riproporre una forma tradizionale, dosando in modo raffinato i contributi estetici e i rimandi cromatico/decorativi all’originale.
riferimenti e altri link
bibliografia
sitografia
Boeri, S. con Mirti, S. e L. Tozzi. 2008. Torino GEODESIGN. Milano: Ed. Abitare Segesta
Abitare n°483
http://www.torinogeodesign.net
http://www.torinoworlddesigncapital.it
http://www.warli.it
http://www.paolozani.it
NOTE
1 Designer milanese d’adozione, progetta arredi e
oggetti per la casa e l’ufficio.
10\ neoBERIMBAU
Torino, 2008
fonte: evento Geodesign - La mobilitazione dell’intelligenza collettiva. 48 progetti per Torino;
all’interno della manifestazione Torino World Design Capital.
specificità
tipo di progetto
committenza/progettista
descrizione: obiettivi e risultati
Il berimbau, fondato sull’interazione di una zucca
africana, un’asta flessibile e una corda, è lo strumento musicale più importante della Capoeira, la
tradizionale danza brasiliana nata come dissimulazione della lotta. Questo nuovo modello utilizza
materiali sperimentali e innovativi.
Scuola di CAPOEIRA (Torino) / design di Vered Zaykovsky + Civico13; in collaborazione con Co.Mo.R
- Costruzioni Modelli e Resine (realizzazione prototipi).
Il berimbau è lo strumento principale suonato dal
vivo durante la Capoeira, danza tradizionale brasiliana che trae origine da un’antica lotta popolare.
Realizzato con una zucca africana, un’asta flessibile e una corda, che vibrano percosse da una pietra
producendo il suono più importante della musica
della Capoeira, diventa a Torino strumento difficile
da trovare e molto costoso da realizzare.
Da questo gap emerge la richiesta di Mestre Elisio
e degli studenti dell’Associazione MultiKulti (ndr.
la scuola di capoeira), alla ricerca di una versione
dello strumento non solo più economica di quella
tradizionale ma, auspicabilmente, più “locale”
ovvero contaminata con nuovi materiali.
Nella ricerca appassionata di nuove tipologie di
sperimentazione sono stati coinvolti numerosi artisti, tra cui Gilson Silveira, Marco Cena, Stefano
Zanderighi, Marco Golinelli e Luca Centrone.
immagini caso studio
parole chiave di sintesi
accessorio moda | performance | glocale | costume
risorse impiegate/attori coinvolti
target
Vered Zaykovsky
Israeliana, di formazione è industrial designer, ma
la si può definire un’artista
eclettica, tra ricerca e sperimentazione. Dal 2006 è
art director e designer
per Sturm Und Plastic.
+
Civico13 (Andrea Lorenzon)
Studio torinese di architettura, design e grafica, fa
parte di TURN, la nuova
design comunity torinese.
Il progetto risponde primariamente ad una esigenza
interna al gruppo committente. Il prodotto nato
sulla base di questa domanda è però interessante
per un pubblico più ampio, fatto sia di altre scuole
di capoeira che di musicisti. Alcuni artisti sono stati
coinvolti nella sperimentazione dei prototipi stessi
(per testarne le qualità strumentali) a prova che lo
strumento, così innovato, può candidarsi sul mercato come neo-berimbau a tutti gli effetti.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
Il caso studio mette a fuoco un tema importante,
in riferimento al sapere incorporato negli oggetti
d’uso, quando essi si trovano ad appartenere a due
culture o, addirittura, ad essere oggetti di confine
(per la particolare situazione di contesto) che possono considerarsi frutto dell’integrazione tra una
cultura originaria e quella “ospitante”.
Partiamo dal presupposto che la cultura si esprime
mediante artefatti, i quali comprendono gli oggetti
d’uso: una cultura locale, fortemente caratterizzata (ndr. i danzatori di capoeira), radicata in un
“altrove” geografico è in grado di attivare connes-
sioni significative innescando processi biunivoci di
ferti-lizzazione culturale; la cultura “migrante” deposita, nel nuovo contesto, frammenti della sua impronta originaria (le scuole di capoeira) stimolando,
in risposta, la mobilitazione di risorse appartenenti
alla cultura “ospitante” (nuovi materiali per lo strumento) in funzione di una integrazione culturale
vera e propria.
La dinamica descritta non è lontana da quella che
avviene nello stesso individuo migrante nel tentativo di integrare il suo duplice bagaglio culturale,
con relativo portato identitario.
processo di attualizzazione
potenziale di attivazione
L’ambito applicativo del prodotto oggetto del caso
rimane pressoché invariato; si assiste invece ad una
decisa delocalizzazione di contesto.
Anche il parametro qualitativo rimane un vincolo
progettuale: lo strumento infatti, pur nella sua
nuova veste, ambisce a farsi portatore dei valori
tradizionali brasiliani e dell’immaginario connesso
alle performance di capoeira. Non secondario, lo
strumento deve anche riproporre fedelmente la
musicalità del suo “precursore”.
Il sistema dei saperi invece risente del nuovo contesto culturale (il distretto torinese); emblematica
la collaborazione con Co.Mo.R., produttore di resine, grazie al quale sono stati realizzati due prototipi funzionanti: il primo in vetroresina, il secondo
in fibra di carbonio.
Entrambi i prototipi hanno superato l’esame dei
musicisti e si sono dimostrati più resistenti ed economici rispetto allo strumento tradizionale.
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
agente di attivazione
Il caso presenta due “forze” catalizzatrici: la prima
è nuovamente l’evento contenitore (ndr. Geodesign 2008) che, concettualmente, ha reso possibile
l’incontro tra micro-realtà etniche/comunitarie
torinesi e coppie di designer-aziende interessati al
progetto; la seconda è la domanda specifica degli
allievi della scuola di capoeira.
conservazione di forma o processo
grado d’innovazione del caso
La forma peculiare dello strumento, inscindibilmente legata alla produzione del caratteristico
suono, è conservata tout court.
Lo studio di un processo si produzione radicato nel
nuovo territorio d’uso che prevedesse l’utilizzo di
nuove risorse (materiali) e una maggiore accessibilità del prodotto finito, sia in termini economici che
propriamente di reperibilità dello strumento (altrimenti da importare).
riferimenti e altri link
bibliografia
sitografia
Boeri, S. con Mirti, S. e L. Tozzi. 2008. Torino GEODESIGN. Milano: Ed. Abitare Segesta
Abitare n°483
http://www.torinogeodesign.net
http://www.torinoworlddesigncapital.it
http://www.cluster.eu/torino-geodesigntorino-geodesign/
www.civico13.it
www.veredzaykovsky.com
11\ MBT: the anti-shoes
svizzera, 1998
fonte: media e stampa
specificità
tipo di progetto
committenza/progettista
descrizione: obiettivi e risultati
immagine caso studio
risorse impiegate/attori coinvolti
E’ il primo prodotto di physiological footwear immesso sul mercato calzaturiero mondiale (creando
di conseguenza una nuova categoria per il settore
merceologico); nello specifico si tratta di calzature,
tecnologicamente all’avanguardia, che consentono
di camminare “come i masai”.
MBT è l’acronimo di Masai Barefoot Technology,
conosciuta anche come “Swiss Masai”. Fu fondata
dall’ingegnere svizzero Karl Müller nel 1998 a Roggwil in Svizzera, vicino a San Gallo.
Le “anti-scarpe” sono un prodotto con cui si cammina come se si fosse scalzi. Non proprio inventate,
sono state piuttosto “scoperte”: l’ingegner Müller,
infatti, si dedicò allo studio e allo sviluppo di una
tecnologia di calzature che ricreasse l’instabilità dei
terreni soffici e naturali ispirandosi alla popolazione
africana dei Masai1. Müller notò come i componenti
di questa tribù erano praticamente immuni da qualsiasi dolore alla schiena: il loro segreto risiede nel
fatto che non indossano le scarpe tradizionali e che
possono camminare su superfici morbide come la
sabbia, per cui sono costretti a mantenere in equilibrio il proprio corpo a ogni passo attivando anche
quella parte di muscolatura normalmente trascurata camminando su terreni duri e piatti (i muscoli
cosiddetti posturali del polpaccio, del post coscia,
dei glutei e della schiena).
Nel 1996 Müller giunse con il suo lavoro al primo
prototipo di scarpa senza tacco: “Masai step”. Contemporaneamente continuò a sviluppare la tecnolo-
parole chiave di sintesi
calzature | performance | glocale | tecnologia
gia della suola e quello che diventerà il cuore delle
MBT: il Masai Sensor. Nel 2000 l’azienda iniziò la sua
espansione diffondendosi anche in Austria e Germania; dall’anno successivo , grazie al successo della
Masai Barefoot Tecnology, la rete di distribuzione si
è estesa a più di 20 paesi.
Dal suo inizio ad oggi, il marchio svizzero ha oggi
ha raggiunto un fatturati da capogiro grazie anche
alla distribuzione che oggi non si limita più solo ai
negozi di calzature, ma anche abbigliamento, concept store e farmacie.
Un trend in aumento che nel 2005 porta alla nascita
della Masai Italia srl.
target
Dal 1996 le calzature sono disponibili sul mercato
in diversi modelli, da quelli classici/trasversali ad
altri indirizzati a target specifici: scarpa casual,
sportiva, da donna, fino al sandalo; si dividono in
tre linee: Casual per il tempo libero, Sport per le
attività sportive, e Professional per manager, infermieri, commessi e insegnanti, ovvero gente che
vive in piedi o deve camminare spesso.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
Il prodotto è stato in grado di tradurre e generare
una “moda”, diffondendo uno stile di camminata.
Eppure camminare non è un fatto naturale, ci ricorda il grande antropologo francese Marcel Mauss,
bensì una tecnica del corpo che varia da cultura a
cultura; ogni società ha abitudini proprie, elaborate nel corso dei secoli, e comunicate attraverso
le consuetudini e l’imitazione. «Il corpo -scrive- è
il primo e più naturale strumento dell’uomo». Le
posizioni delle mani e delle braccia mentre si cam-
mina, ad esempio, costituiscono un’idiosincrasia
sociale.
processo di attualizzazione
potenziale di attivazione
La moda delle scarpe Masai si giustifica con la ricerca di qualcosa di naturale, o meglio, di originale (ndr. nell’accezione data dalla presente ricerca, vedi glossario): l’esempio dell’ing. Müller
testimonia la possibilità di astrarre, da un sistema
di valori localizzato e codificato, uno o più elementi
disponibili ad una traduzione “di massa”.
agente di attivazione
Il committente stesso funge da agente, e di attivazione e di attualizzazione.
conservazione di forma o processo
Il caso testimonia una modalità a-tipica3 di conservazione di processo: la scarpa, infatti, consente
di riprodurre una “performance”, una filosofia del
portamento ovvero la camminata masai.
grado d’innovazione del caso
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
Molti degli strumenti che usiamo a livello fisico sono
vere e proprie protesi (il bionico comincia da lì), in
questo caso si tratta di uno strumento dall’elevato
portato immateriale in grado di esportare geograficamente (globalizzare) una performance fortemente connotata localmente, nata in un cornice
culturale ben precisa e peculiare.
La Proietti scrive «Fanno parte di un filone diverso
da quello modaiolo: soddisfano una vanità più concettuale e sono destinate a diventare le scarpeicona del radical chic». Il prodotto, che si presenta
tecnologicamente all’avanguardia4, moderno nei
materiali e nelle linee, è stato capace di conservare
l’immaginario di provenienza; con le anti-shoe non
si indossa solo una scarpa (per altro altamente ergonomia e fisiologicamente “terapeutica”) ma tutto
un sistema culturale.
riferimenti e altri link
bibliografia
Scalise, Irene Maria. 2009. “Mbt, camminare in
stile Masai. Noi non crediamo nelle scarpe.” su La
Stampa del 23 febbraio.
Mastromattei, Daniela. 2009. “Corpi scolpiti dalle
scarpe.” su Libero del 05 marzo.
Proietti, Michela. 2008. “Masai metropolitani.” su
Il Corriere della Sera del 06 agosto.
Belpoliti, Marco. 2008. “I masai ci fanno le scarpe”
su La Stampa del 20 ottobre.
McSwiney, Don. 2007. “Happy feet. Research on
new “rocking chair” shoe tests new approach to
knee and hip pain” pubblicato su:
<http://www.ucalgary.ca/news/uofcpublications/oncampus/
biweekly/oct12-07/feet>
sitografia
http://it.wikipedia.org
http://it.mbt.com/default.aspx
NOTE
1 La popolazione africana di stirpe e lingua nilocamitica che vive tra il Kenya e la Tanzania.
2 Beneficiando di un ulteriore crescita rappresentata
dall’assottigliamento della suola.
3 Perché non direttamente connessa al processo
produttivo; ci si riferisce qui al portato immateriale,
ovvero il sapere incorporato nel prodotto.
4 Sono realizzate interamente in Goretex e con una
suola multistrato.
12\ Mobili-origami
Alfabeth di Marie Compagnon, 2006
Du Fil et une Aiguille di Gregory Lacoua, 2006
fonte: Sgalippa G., Ceresoli J. Trans-design.
l’identità ibrida e contaminata dei prodotti di inizio millennio, tecniche nuove, Milano 2008.
specificità
tipo di progetto
Alfabeth di Marie Compagnon
committenza/progettista
target
Du Fil et une Aiguille di Gregory Lacoua
Si tratta di prodotti d’arredo di valenza piuttosto
indefinita ma, proprio per questo, predisposta ad
interessanti applicazioni nl campo dell’arredo.
Alphabet (di M. Campagnon) si configura come una
presenza del tutto insolita nello spazio domestico:
parte come un tappeto ma, grazie ad un assottigliamento del suo spessore secondo una rete asimmetrica, può essere piegato per formare dei volumi poliedrici cavi: una nicchia per dormire, una cuccia
per il cane, una copertura per apparecchi multimediali.
Du Fil et une Aiguille di (G. Lacoua) è un altro tappeto che può assumere la fisionomia del tabouret.
Si tratta di prototipi sperimentali autoprodotti.
Nello specifico Alphabet è stato prodotto in 18 esemplari ed esposto alla Biennale de St. Etienne del
2006.
I prodotti in oggetto sono rivolti a giovani che prediligono un uso informale e creativo dell’arredo domestico.
parole chiave di sintesi
prodotto | oriente-occidente | trasformabilità
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
In entrambi i casi la cultura orientale propria
dell’origami viene qui trasferita in oggetti facenti
parte del paesaggio domestico occidentale, viene
compiuto un salto di scala che investe l’arredo e
possibilità di piegature “abitabili”. In questo caso
non è la carta la materia da plasmare ma la lana
cotta ed il feltro lavorate con apposite piegature.
attualizzazione e attivazione
Il processo di attualizzazione sta proprio nel trasferimento di una pratica tradizionale ad un settore
merceologico nuovo attivando una ricerca al contempo di tipo materico e comportamentale
conservazione di forma o processo
In questo caso il riconoscimento della tradizione
dell’origani risiede sia nella forma a piegature e
geometrie variabili, sia nel gesto di auto costruire
l’oggetto.
grado d’innovazione del caso
Il gradiente innovativo sta per lo più nella ricerca
materica e geometrica.
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
Interpretazioni mediterranee
1998-2007
fonte: letteratura scientifica disciplinare
specificità
tipo di progetto
Divano Magellano di Magistretti
Riccardo Dalisi
Si tratta di prodotti d’arredo firmati da designers di
chiara fama (Magistretti e Dalisi) ispirati dalla cultura del Mediterraneo.
Nello specifico il divano Magellano di Magistretti e
prodotto da Campeggi riporta chiari riferimenti ad
un altro complemento d’arredo: il tappeto e, nello specifico, al pezzotto che a sua volta rimanda
non solo ad un prodotto ben specifico utilizzato in
un altrettanto specifico contesto ma anche ad una
tradizionale ed artigianale lavorazione. La forma
ibrida divano-tappeto lo rende un oggetto informale
dalla funzione ibrida e decontestualizzata.
La reinterpretazione, da parte di Dalisi, della sedia
Thonet e del letto a baldacchino con l’inserimento
della forma della barca a due alberi nel primo caso e
di vele-tende nel secondo, diventa una chiara dichiarazione di provocazione stereotipata del concetto
di Mediterraneo trasferito a tipologie consolidate
ed ormai radicate nell’immaginario collettivo.
La relazione tra design e Mediterraneo è uno stimolo a cogliere le connotazioni più ampie che può
assumere la risorsa design quando si applica nei più
diversi contesti merceologici e produttivi e nelle
varie forme e molteplicità degli aspetti propri del
vivere contemporaneo. Oltre agli oggetti è interessante osservare i processi di progettazione e di
costruzione che ne hanno reso possibile la riproduzione secondo scale operative funzionali alle peculiarità del settore. E’ interessante il confronto tra le
varie culture tecniche all’interno della dimensione
del fare nel Mediterraneo, perché parlare di design
significa parlare di relazione, scambio di idee con
operatori e produttori non solo sul tema della generazione del progetto e della realizzazione del
prodotto, ma anche sulla necessità di sperimentazione di materiali e tecnologie innovative per impa-
parole chiave di sintesi
prodotto | mediterraneo | identità
rare a riconoscere le radici locali ed a progettare
nuove opportunità di sviluppo.
committenza/progettista
descrizione: obiettivi e risultati
target
Per il prodotto “Magellano” di Magistretti il committente è l’azienda Campeggi.
Per i prodotti di Dalisi non esiste committenza ma si
tratta di prototipi sperimentali autoprodotti
progettista
I prodotti in oggetto costituiscono un’importante testimonianza di trasferimento di valore dell’identità
culturale locale, sono anche stati valorizzati
all’interno di una ricerca universitaria nazionale
Prin che ha indagato e messo a punto nuovi modelli
di innovazione design oriented basati sul rapporto
globale-locale.
Il target dei prodotti in oggetto è da riscontrarsi
in profili di consumatori che conoscono i prodotti
di design e sono in grado di superarne il valore di
status symbol riconoscendo in interpretazioni non
convenzionali nuovi possibili usi e, soprattutto, significati simbolici.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
I prodotti presi in considerazione possono essere
letti come reinterpretazioni d’ispirazione mediterranea. Gli stilemi, gli stereotipi, i linguaggi propri
della cultura mediterranea trovano una loro nuova
espressione in arredi contemporanei.
La cultura come dialogo diventa motore
collocazione del caso “divano Magellano” sugli
schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra)
e potenziale di attivazione (sotto).
d’innovazione. Qui il Mediterraneo viene visto come
spazio simbolico prima che geografico. L’incontro
fra culture oggi non è è più la riscoperta del “buon
selvaggio” o la scoperta del “folklore come cultura
di contestazione” cara agli antropologi degli anni
Settanta, ma piuttosto la necessità di rivedere il
problema dell’identità e della diversità.
attualizzazione e attivazione
conservazione di forma o processo
grado d’innovazione del caso
collocazione del caso (progetti di Dalisi) sugli schemi
relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto).
Nel caso del divano Magellano di Magistretti il processo di attualizzazione avviene soprattutto nella
rivisitazione di una funzione che investe il prodotto
di una nuova forma provocando uno slittamento di
significato ed uso.
Nel caso dei prodotti di Dalisi invece vengono attualizzate tipologie di arredi tradizionali attraverso
l’inserimento, in chiave ironica e provocatoria, di
elementi iconografici e stereotipati dell’identità
mediterranea.
Nel caso di Magistretti il processo del rivestimento
relativo alla lavorazione del materiale del tappeto
e l’immagine del tappeto stesso rimangono applicati però ad una diversa forma e (in parte) anche
funzione.
Nel caso di Dalisi viene mantenuta la forma tradizionale degli arredi di partenza sui quali il progettista interviene.
In entrambi i casi si tratta di un’innovazione simbolica più che tecnica anche se nel caso di Magistretti
viene prodotta una discontinuità per lo più funzionale mentre nel caso di Dalisi iconografica.
riferimenti e altri link
bibliografia
Dalisi R. (con A. M. Laville) Profondità delle superfici in Fagnoni R. Gambaro P. Vannicola C. op cit.
Fagnoni R. Gambaro P. Vannicola C. (a cura di)
Medesign_forme del Mediterraneo, Ed.Alinea,
Firenze, 2004
Magistretti V. Design e relazione in Fagnoni R.
Gambaro P. Vannicola C. op cit.
La forma “invade” e “pervade” la funzione
Radiatore Heat Wave di Joris Laarman (per Droog Design)
fonte: Sgalippa G., Ceresoli J. Trans-design. l’identità ibrida e contaminata dei prodotti di inizio millennio,
Tecniche nuove, Milano 2008.
specificità
tipo di progetto
committenza/progettista
target
Si tratta di un radiatore a parete in cemento, alluminio e fibre di vetro. L’apparecchio è estendibile a
piacere replicando un unico modulo ed è disponibile
sia in versione elettrica che ad acqua.
Il prodotto però è molto più di questo: si tratta di
un’operazione trascrizione di stilemi del passato
recuperando formalmente le decorazioni fitomorfe
del Sei-Settecento.
Droog Design
Il complemento d’arredo in oggetto è rivolto ad un
target sofisticato che si sdoppia in due branche rappresentate dalle seguenti espressioni-chiave:
-lusso-antiquariato-arte contemporanea
-eclettismo-non convenzionale
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
immagine caso studio
Il prodotto in oggetto riprende temi decorativi del
passato reinterpretandoli in chiave contemporanea.
Le icone di partenza appartengono ad un mondo del
tutto riconosciuto: lo stile Rococò ed il calorifero
inventato all’epoca dell’industrialesimo.
Sebbene la matrice linguistica risalga a diversi secoli fa, il progettista esplora nuovi modi di creare una
texture parietale (quasi un tatuaggio in rilievo sulla
parete). Il dato funzionale e tecnico si integra con
le scelte espressive e tipologiche in un gioco che
converte l’attrezzatura impiantistica in una potente
occasione figurativa.
parole chiave di sintesi
forma | decoro | funzione
attualizzazione e attivazione
grado d’innovazione del caso
L’attualizzazione avviene trasferendo elementi
decorativi di un passato riconosciuto in uno stile
ben preciso in una funzione (tecnologica) contemporanea.
Si va a scardinare l’immagine tradizionale (e puramente funzionale) del calorifero, aprendo l’oggetto
a nuovi scenari abitativi.
La discontinuità progettuale che determina
l’innovazione è data prevalentemente dalla reinterpretazione formale in un settore in cui la progettualità è solitamente riferita alla componente
prestazionale e tecnologica.
riferimenti e altri link
sitografia
www.jorislaarman.com
www.droogdesign.nl
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
Ibridazione funzionali
Lampada da thé Aladin, workshop Interferenze
fonte: Sgalippa G., Ceresoli J. Trans-design. l’identità ibrida e contaminata dei prodotti di inizio millennio,
Tecniche nuove, Milano 2008.
specificità
tipo di progetto
target
Aladin è una teiera-lampada. Si tratta di un sofisticato artefatto che assomma in modo paritetico due
funzioni che, proprio nell’anima di questo oggetto,
rivelano un’affascinante sinergia. E’ una teiera in
vetro pyrex trasparente, dalla forma abbastanza
classica, che presenta un vuoto lungo l’asse baricentrico, aperto sia sopra che sotto. Essa appoggia
su un apposito vassoio al cui centro viene collocata
una candela scaldavivande. La teiera viene collocata in modo che il piccolo cero vada ad inserirsi nel
cilindro vuoto, dove passa l’aria che gli consente di
bruciare.
La candela accesa consente al liquido di mantenere
il calore. Allo stesso tempo, la sua luce consente di
creare con il thé un elegante gioco di trasparenza
color ambra, rendendo ancora più mistico uno dei
riti più diffusi al mondo.
Aladin è rivolta ad un target minimal- neoetnicosofisticato, che si prende il tempo da dedicare alle
ritualità intorno al cibo ed all’ospitalità.
rilevanza per la ricerca “IbyCO”
motivo d’interesse del caso
immagini caso studio
Questo oggetto è particolarmente interessante in
quanto ibrida (in modo paritetico) due funzioni fortemente rituali rivelando una ridiscussione della
domesticità tradizionale.
Da secoli ed in ogni parte del mondo candela e
teiera prendono parte, da protagoniste, nel paesaggio del design, in questo caso formano un binomio
vincente sia sul piano dell’utilità sia in termini di
performance visiva. Questa intuizione nasce sicuramente dalla ricerca di nuove configurazioni di foco-
parole chiave di sintesi
prodotto | ritualità | ibridazione
lari domestici: è un semplice contenitore in vetro
a produrre nuove suggestioni e nuove fonti emozionali.
attualizzazione e attivazione
conservazione di forma o processo
grado d’innovazione del caso
In questo caso il potenziale di attualizzazione risiede nella reintrerpretazione di due oggetti con un
forte gradiente simbolico attraverso l’evocazione
formale di una lampada magica atta ad esaudire desideri ed al contempo di illuminare il rito del thé.
Siamo di fronte ad un oggetto che ha conservato la
forma “originale” presente nell’immaginario collettivo anche se realizzata completamente in vetro.
In questo caso l’innovazione risiede nell’attualizzazione di due elementi simbolici molto forti attraverso linguaggi estetici contemporanei e
nell’ibridazione delle funzioni.
collocazione del caso sugli schemi relativi a processo
di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione
(sotto).
NOTE
1 dal greco “stereos” (duro, solido) e “tupos” (immagine, gruppo), quindi “immagine rigida”. Proviene
dal linguaggio tipografico (in origine, cliché e stereotipo avevano il medesimo significato): inventata
da Firmin Didot per indicare una piastra di metallo
su cui veniva impressa un’immagine o un elemento
tipografico originale, in modo da permetterne la
duplicazione su carta stampata. Oggi è una metafora
per un qualsiasi insieme di idee ripetute identicamente, in massa, con modifiche minime e quindi
della visione semplificata e largamente condivisa su
un luogo, un oggetto, un avvenimento o un gruppo
di persone accomunate da certe caratteristiche o
qualità, con significato neutrale, positivo o negativo.
2 dal greco antico ὰρχέτῦπος col significato di immagine: tipos (“modello”, “marchio”, “esemplare”)
e arché (“originale”).
3 Acquisisce cioè senso all’interno di una fruizione
connotata. Un segno, chiamato da Peirce Representamen, non è necessariamente la rappresentazione
di qualcosa che esiste (referente) ma è sicuramente
una rappresentazione determinata da qualcosa di
esistente, da una qualsiasi realtà fenomenica che è
parte della nostra esistenza: l’Oggetto dinamico.
4 Non nell’accezione di mobile, ma per sottolineare
il suo potenziale sintattico e indicale.
5 Semiologo.
6 Con un portato identitario e una capacità rappresentativa molto forti, dunque.
7 Riferimento alla pratica del “Papierfalten”,
portato in Giappone con il Movimento Kindergarten
intorno al 1880.
8 Il primo origami giapponese è fatto risalire al VI
secolo, in seguito alle prime visite di monaci buddisti
cinesi. In questo periodo la pratica dell’origami era
per lo più utilizzata per scopi cerimoniali religiosi
–anche a causa del prezzo elevato della carta-.
9 Ciò è tipico delle culture Orientali nella quali gli
abiti, in generale, sono realizzati a partire da tagli
geometrici non necessariamente antropomorfi. E’
l’abito che si adatta al corpo e non viceversa.
74
5.
e classificatorio, per effettuare una ricognizione di
alcune cifre distintive dell’opera pechinese che in
particolare sono state divise per codici stilisticolinguistici (processuali, visivi, gestuali e spaziali)
e successivamente verranno usati per stimolare
il processo creativo, focalizzando l’analisi negli
ambiti merceologici più significativi per esempio
l’ambito moda (dal costume di scena all’abito e
all’accessorio) o prodotto arredo (dagli accessori e
decorazioni di scena a nuovi oggetti).
Esiti della ricerca field
L’approccio concettuale adottato in questo progetto
di valorizzazione riconosce al patrimonio culturale
materiale dell’opera Pechinese posseduto dalla
Fondazione Ada Ceschin Pilone, un potenziale di attivazione e un valore d’uso incorporato in forme e
processi, ossia qualità estetiche, formali, visive,
materiali, performative e spaziali, potenzialmente
integrabili e ri-usabili in nuovi artefatti, attraverso
un processo creativo di attivazione e attualizzazione guidato dal design.
La strategia operativa utilizzata prevede quindi un
lavoro di osservazione e analisi del patrimonio e un
processo di successiva astrazione e concettualizzazione degli elementi primari di maggiore caratterizzazione dell’opera pechinese, in cui i “fattori di
autenticità” (ossia di “tipicità” o “riconoscibilità”)
vengono estrapolati dalle forme degli artefatti, dai
processi e dalle tecniche produttive, dalle modalità d’uso e di significazione, per divenire oggetti e
materiali di progetto, per costituire cioè un repertorio di semilavorati inseribili in un nuovo processo
creativo.
In questa sede assumeremo il concetto di “codice” dal punto di vista semiotico come insieme di segni in cui si può distinguere il piano dei
significanti (dimensione espressiva) ed il piano
dei significati (dimensione dei contenuti).
Evidenziare i codici che attengono a questo insieme di beni significa riportare i suoi elementi
alla dimensione di alcune “unità minime di
significato ed espressione” talmente caratterizzanti da poter creare quasi un “alfabeto” di
processi, di elementi visivi (iconografici, cromatici e formali), di gesti e di spazi.
Nello specifico:
- i codici processuali indicano ricorrenze nel
processo della messa in forma o della produzione degli oggetti e costumi;
- i codici visivi raggruppano elementi minimi di
tipo cromatico, formale, materico e iconografico di cui la collezione è particolarmente ricca;
- i codici gestuali sono evinti dal paesaggio
coreografico e dei movimenti che fanno parte
della sfera espressiva del corpo;
- i codici spaziali rappresentano le modalità
ricorrenti in cui lo spazio scenico viene rappresentato (metaforicamente, materialmente,
evocativamente).
In questa fase iniziale, in particolare, si è lavorato
nella scomposizione e semplificazione, attraverso
l’uso di alcuni codici, degli stereotipi (ovvero “ciò
che appare come condiviso”) dell’opera pechinese in alcuni archetipi2, ovvero nella definizione
di elementi primari, con lo scopo di derivare alcune linee guida interpretative nella lettura e
sintesi del patrimonio e future linee guida progettuali. In particolare i primi archetipi individuati (“oggetto scenico”, “piatto/pieghevole/
portatile”, “iper-caratterizzato” e “luccicante/vibrante/ritmico”) servono ora a scopo tassonomico
75
Astrazioni
Il concetto di archetipo, viene proposto come “tipo
originale” ossia, definizione essenziale della forma pre-esistente e primitiva delle caratteristiche
dell’opera pechinese. Esse fanno riferimento sia a
condizioni interne all’opera stessa che di contorno
e di contesto.
Nel dettaglio gli archetipi proposti sono:
1. oggetto scenico; si intende un oggetto il cui
uso definisce più compiutamente la natura stessa
dell’oggetto e la situazione di contesto entro cui si
svolge l’azione; è una presenza visiva fruibile come
icona o simbolo in funzione dell’uso che se ne fa.
L’oggetto stesso gode di un potenziale sia evocativo
che transizionale rispetto all’agito.
Il termine specifico è preso a prestito da un ambito teatrale recente; in particolare è usato dello
scenografo e regista ceco Josef Svoboda, così nei
lavori della tedesca Anna Viebrock e del collega lituano Eimuntas Nekrosius. Anche in queste tradizioni drammaturgiche, l’oggetto è considerato strumento per l’azione3.
L’oggetto scenico è dunque “cosa” che si fa segno:
l’oggetto dinamico4 che, secondo il modello teorico
di Peirce, dà inizio alla semiosi.
Scrive Zingale5: «Secondo il modello teorico di
Peirce, la semiosi ha inizio con l’Oggetto dinamico ovvero dall‘Oggetto dinamico. Alla base della
semiosi sta quindi l’oggettualità, intesa: a) come
mondo esterno al soggetto ma con cui o contro cui
il soggetto si relaziona; b) come materialità fenomenica, mondo fisico e universo di scoperta: c)
come ogni realtà, o effettualità ed eventualità, la
cui esi-stenza è indipendente dalla volontà o intenzionalità del soggetto. Se nei primi due casi si
può pensare che l’oggettualità dinamica sia necessariamente o soltanto quella che ritroviamo nel
tabella sinottica delle “astrazioni”: CODICI x ARCHETIPI
76
mondo naturale, nel terzo caso essa comprende anche i prodotti dell’attività umana. Ogni espressione
segnica, da questo punto di vista, è innanzitutto oggetto dinamico.»
Volendo trasferire l’osservazione sugli oggetti di
scena impiegati nel teatro dell’Opera Pechinese
possiamo dire che i sistemi di oggetti tendono,
globalmente, ad essere strumento per l’azione del
comunicare.
Gli oggetti di scena classici, di natura decorativa,
sono un tavolo e due sedie (a definire una stanza
immaginaria): il gruppo può simboleggiare alternativamente un palazzo, uno studio, una tenda militare, un luogo di corte, in funzione del pattern decorativo utilizzato nel contesto (scene) o sugli abiti
degli attori in scena.
Il tavolo così concepito è oggetto-scenico trasfigurato in funzione della narrazione; può essere letto,
altura, ponte, torre, cancello, perfino nuvola.
L’uso di un oggetto comporta e implica sempre una
relazione con un secondo oggetto, artefatto o na77
zoom (dalla tabella) sulla striscia: OGGETTO SCENICO
zoom (dalla tabella) sulla striscia:
PIATTO|PIEGHEVOLE|PORTATILE
turale, inteso anche come supporto. Da ciò deriva
che le relazioni fra gli oggetti hanno una organizzazione sintattica, in quanto legami regolati, e una
natura indicale, perché la relazione connette gli oggetti sia fisicamente sia logicamente.
Così anche la posizione reciproca tra i tre oggetti
classici della scena dell’Opera Pechinese, la quale
fornisce un ulteriore livello di informazione per la
narrazione: ad esempio la sedia posta dietro il tavolo indica un’occasione solenne; una sedia lasciata
di fronte invece alluda ad una scena quotidiana. Le
sedie, inoltre, possono essere dotate di cuscini di
diversa altezza: ciò per rispondere alle diverse esigenze dei personaggi, i quali, in funzione del loro
ruolo codificato, indossano scarpe con suole di diversa altezza: per i ruoli sheng o jing, suole di 20cm;
dan e chou, suole fini da 1-2cm. I diversi personaggi
necessitano di una quota-seduta differente (sitting
posture) in funzione del loro “rango”.
L’opera fa largo uso di oggetti scenici virtuali (mimati). i personaggi dell’Opera Pechinese vanno tutti
a cavallo, ad esempio, ma non compare mai nessun
cavallo reale. Si fa largo uso della figura retorica
della sineddoche, ovvero basta un frustino in mano
e si mima la cavalcata.
Per meglio comprendere le forme di coinvolgimento
dell’intorno, agito e allestito, che l’oggetto scenico
78
un’antichissima tradizione tessitoria: il ke si, ovvero “seta tagliata”.
A partire dal 100 d.C., infatti, venne impiegato un
particolare modo di tessere la seta (per il vanto
dell’Imperatore), metodo col quale si ottenevano
arazzi con precisi disegni, quasi fossero dipinti.
I tessuti erano impreziositi da ricami, ad alto contenuto simbolico e dall’iconografia complessa (sempre
codificata in funzione delle esigenze di scena) realizzati tra gli altri con fili metallici, anche in oro.
attiva sul palco possiamo trovare dei riferimenti
nelle discipline architettoniche. L’oggetto scenico,
così come qui codificato, unisce concettualmente
in un unicum le proprietà di due elementi classici
della composizione architettonica: fonde il ruolo
“passivo” ma catalizzatore degli epicentri, di per
se stessi oggetti statici, con il potenziale generativo
delle forze quali sorgenti, al limite invisibili, di un
campo percettivo e di azioni in potenza (che si estende almeno fino all’incontro con un “margine”;
sia esso animato o in-).
La pratica del piegare scene e abiti si inscrive in
una specifica espressione culturale cinese: in particolare si fa qui riferimento allo zhezhi, l’arte cinese di piegare la carta.
Ci sono molte speculazioni circa l’origine degli origami: mentre il Giappone sembra aver avuto la tradizione più vasta, vi è specifica evidenza di tradizioni
indipendentI di paperfolding in Cina, Germania7 e
Spagna, tra gli altri. Lo zhezhi in particolare è considerata una forma precursore dell’origami giapponese8.
L’obiettivo di questa arte è quella di trasformare
un unico foglio di materiale finito in una scultura,
attraverso la piegatura; come tale l’uso di tagli o
colla non sono considerati come origami. Nel tempo
la pratica si è mostrata meno rigorosa rispetto a
queste convenzioni, introducendo forme di taglio,
tecniche di finforzo al materiale come lo wet-folding o, addirittura, prestandosi a lavorare materiali
diversi dalla carta stessa e con forme di partenza
non quadrate.
2. piatto/pieghevole/portatile. Questo archetipo,
in forma di climax, allude ad un insieme di pratiche,
prodotti e materiali ampliamente impiegati nella
messa in scena dell’Opera Pechinese.
Già alle sue origini infatti, quando la scena si svolgeva su di un piccolo palco dai lati aperti, la scenografia consisteva in un tendaggio unico, finemente ricamato, che comprendeva le aperture e gli
ingressi utili alla sceneggiatura: lo shoujiu.
Questa prima forma di “quinta attrezzata” era realizzata in panno o raso; nel tempo venne a ricoprire
funzione di “cartello”6 per l’attore protagonista di
turno.
La praticità di una scenografia così concepita e realizzata stava nella possibilità di essere allestista e
dis-allestita in modo semplice e con tempi ristretti,
questo per assecondare la praticità che le prime
rappresentazioni (sovente messe in scena in sale da
the o presso i templi) richiedevano.
Ingombro limitato e “portabilità” furono dunque, fin
da subito, due prestazioni imprescindibili per tutto
quanto concerneva la messa in scena.
I costumi di scena, sapientemente tagliati e piegati,
costituiscono uno dei canali di comunicazione preferenziali nell’Opera Pechinese: colori, accessori,
pattern decorativi, calzature –ovviamente comple-
Anche i costumi infatti rispondono a questa esigenza. Realizzati per lo più in seta, si rifanno ad
79
tati dalla gestualità e dal canto- sono i termini che
raccontano e del personaggio e della vicenda.
zoom (dalla tabella) sulla striscia:
IPER-caratterizzato
La fascinazione di abiti che prendono forma solo
nel momento in cui sono indossati ci riporta alla
mente l’immagine di una sorta di “liberazione della
semantica del corpo”, analogamente a quella che
Barthes (ne L’impero dei segni, 1984. Einaudi) aveva
descritto come la liberazione del mondo semiotico
Orientale dalla semantica Occidentale.
Da questo punto di vista, e per una migliore comprensione di questo archetipo, è importante sottolineare che il concetto a di “pieghevole” non allude
all’idea di “salva-spazio” ma, al contrario, è una
tecnica che –specialmente impiegata nella realizzazione di abiti- implica l’esistenza di “un ulteriore
spazio”, appunto quello che si genera tra corpo e
superficie9. Ciò che rende Bella la semplicità di un
abito pieghevole è il suo alludere all’abbondanza di
spazio che l’accomodamento della superficie consente di ottenere, rispetto al corpo.
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3. “iper-caratterizzato”, che fa riferimento al fatto che nell’opera pechinese tutto è significato senza
ambiguità per tramite di convenzioni. Dall’uso allegorico dell’immagine (per rappresentare un concetto astratto, come la potenza o la gentilezza) o
simbolico (per esempio dei colori e degli oggetti)
alla caratterizzazione estrema dei protagonisti che
personificano ruoli, valori e sentimenti universali,
alla precisione esecutiva del trucco dei visi dipinti,
all’uso distintivo dei colori e degli accessori, allo
schematismo estremo di trame e rappresentazioni,
alla enfasi gestuale con cui si sottolineano le correlazioni tra emozioni e movimento, alla performance acrobatica, al ritmo ripetitivo della musica e
ai toni della declamazione, ogni elemento è portato
all’estremo del suo potenziale espressivo in una sorta di standardizzazione dei codici.
Tutti questi aspetti concorrono a generare un senso
di forte identità e ipercaratterizzazione che certamente fa proprio il concetto di “habitus” quale
modo di essere, ossia di comportamento che dura
nel tempo costante e riconoscibile senza ambiguità.
4. “luccicante/vibrante/ritmico” si riferisce ad
alcune qualità percettive tipiche dell’opera legate
all’uso di materiali e colori riflettenti (la seta, il dorato e l’argentato di armi e accessori) o modulanti
la luce (la trasparenza della carta, il paper cutting
delle ombre cinesi, le lanterne) e alla componente
dinamica e ritmica generata da tutte le “appendici”, ovvero accessori quali lunghe piume, pon-pon,
frange, che gli attori indossano e che non si muovono in modo solidale alla figura ma costruendo appunto un riverbero di vibrazioni intorno.
Questa vibrazione associata a luce e movimento
genera un codice espressivo dalla grande suggestione e impatto scenico che risulta molto tipica
dell’opera cinese.
BIBLIOGRAFIA SPECIFICA
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Electa.
SITOGRAFIA
http://en.wikipedia.org
http://www.salvatorezingale.it
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zoom (dalla tabella) sulla striscia:
LUCCICANTE|VIBRANTE|RITMICO
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