1^ report Inspired by Beijing Opera
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Inspired by Beijing Opera Cultura dell’opera pechinese tradizionale e nuovo autentico contemporaneo 1^ report giugno 2010 pag 1. Obiettivi e contenuti del report pag 3. Strategie di ricerca&progetto pag 13. Casi studio e mappatura pag 75. Astrazioni a partire dal patrimonio culturale relativo all’Opera Pechinese: tabella CODICIxARCHETIPI a cura UdR DeCH - Design for Cultural Heritage Dip. INDACO Politecnico di Milano Gruppo di ricerca progettuale: dott.se Eleonora Lupo e Raffaella Trocchianesi Borsista: dott.sa Elena Enrica Giunta 1. termini di materiali e oggetti/ icona sia per quanto concerne il portato di expertise (tecniche produttive e performance, o“sapere tipico” incorporato) che tali oggetti rappresentano. L’insieme di queste parole chiave rappresenta la cornice metaprogettuale entro la quale si svilupperà la “fase di concettualizzazione”, da cui scaturiranno grappoli di concept attualizzati e soggetti ad active/action. Obiettivi e contenuti del report Il presente report costituisce il primo risultato della ricerca Inspired by Chinese Opera; in particolare attraverso un metodo analitico sono stati raggiunti gli obiettivi di lavoro della “fase di conoscenza” così come specificati nel documento di apertura della ricerca. In questa fase, le azioni di ricerca sono state finalizzate all’individuazione e “rappresentazione” degli elementi più significativi del sistema e processo culturale Opera pechinese; ne sono stati “distillati” alcuni aspetti materiali e immateriali “tipici” (vedi “Astrazioni”) che fungeranno da semilavorati di partenza per lo step successivo. Il team di ricerca ha messo a punto un framework concettuale (vedi parte seconda: Strategie di ricerca&progetto) che si traduce in una metodologia specifica di lavoro, analitica e metaprogettuale insieme. Tale metodo è basato dapprima su una casistica di best practice; in seguito, su delle riflessioni e delle ipotesi pre-progettuali relative alla collezione di proprietà della Fondazione. La casistica di best practice è esito di quella che nel documento di apertura era stata definita “ricerca desk” (vedi “Casi studio e mappatura”); si tratta di una selezione ragionata di esempi efficaci di trasferimento dimensionale: formale, processuale, immaterale... a tutto campo. Obiettivi e contenuti del report Dall’analisi del patrimonio della collezione invece, posta nel contesto più allargato degli archetipi materiali e immateriali riferibili alla tradizione dell’Opera pechinese, sono merse parole chiave di lavoro (i codici e gli archetipi; vedi “Astrazioni”) riconducibili ai valori dell’opera pechinese, sia in 1 matrice elaborata per rappresentare il potenziale di attualizzazione. 2 2. beni ed eredità culturali, materiali ed immateriali). Proponiamo quindi la parola attivazione e in particolare l’inglesismo “active-action” (azione attiva) come ampliamento e maggiore focalizzazione della parola “valorizzazione”, significando una serie di processi, attivabili dalle pratiche, tecniche, strategie e metodologie di design, di attivazione sostenibile del patrimonio culturale in generale. L’attivazione di un patrimonio infatti può essere orientata dal design sia in termini di tutela e conoscenza (ad esempio attività di design per il rilievo, rappresentazione, archivio), di valorizzazione e promozione (ad esempio attività di gestione, progetti di allestimento e comunicazione e immagine coordinata, progettazione di servizi didattici e informativi, produzione dell’immagine multimediale e video, design degli eventi, etc.) che di evoluzione e trasformazione, in altri termini “innovazione” (tutte le attività di design cultural-centred e cultural-based, ovvero la valorizzione della cultura come risorsa e materia progettuale). Potenziale di attualizzazione e processi di attivazione La ricerca propone una visione del bene culturale immateriale come patrimonio vivo e vivificabile: patrimonio che può essere “manipolato” dalla disciplina del design per “tornare in circolo” nel contemporaneo, rinnovandosi in forme o significati. I concetti di “attivazione-attualizzazione” e di “autenticità-autenticazione” vengono introdotti come framework concettuale delle ricerca inspired by Beijing Opera, nonché come ipotesi di ricerca e metodologia di lavoro. ATTIVAZIONE/ACTIVE-ACTION E ATTUALIZZAZIONE “Gli oggetti diventano antichi quando hanno superato di essere vecchi; ma questa è qualità di pochi esempi selezionati: quando diventano antichi ridiventano patrimonio attuale e noi possiamo farne uso pratico e quotidiana consumazione culturale” E.N. Rogers Perché si possa parlare di attivazione, il design attiva processi in cui funge da sistema di mediazione tra un contesto, un bene culturale o un sistema di beni e il fruitore o la comunità/sistema di attori di riferimento, divenendo forma di organizzazione dei beni, permettendone la legittimazione del valore, occasioni e momenti di accesso, fruizione e appropriazione differenziati, in forma diretta o mediata dalle tecnologie, e strategie di ri-contestualizzazione innovativa dello stesso valore, indagando le questioni dell’autenticità, tipicità e produzione di località (Loi, 2007; MacCannel, 2005). I processi di attivazione abilitano quindi modalità di concreta incorporazione di elementi culturali nel contesto attuale insistendo quindi sul “valore Letteralmente, il termine attivazione significa “atto, effetto dell’attivare o del rendere attivo”. Prendendo in prestito la dizione del mondo delle scienze bio-chimiche, l’attivazione si riferisce più in specifico a quei processi in cui qualcosa è preparato o agitato per una successiva reazione. L’accezione che qui proponiamo, si rifà a quest’ultima dinamizzazione, ma è ovviamente declinata in base a un certo fattore/agente di attivazione (in particolare il design come fattore abilitante) e uno specifico oggetto di attivazione, che nel caso di nostro interesse sono le pratiche culturali, le forme in cui si sostanziano e i luoghi in cui vengono performate (una forma più estensiva per definire il concetto di 3 Strategie di ricerca & progetto d’uso” dei giacimenti culturali considerati come “open ended knowledge systems” (Sennett, 2009) suscettibili di continua evoluzione, trasformazione e adattamento, nella loro capacità di interagire con l’innovazione e di dialogare sia con i sistemi di produzione contemporanea, all’interno dei sistemi di impresa, sia con i sistemi di fruizione contemporanea, ovvero piattaforme di abilitazione e appropriazione per le comunità. Il bene culturale infatti, ed il suo valore, non sono categorie ‘immutabili’ ma eventi storici destinati ad evolvere e trasformarsi nel tempo, legati a tempi e modi di produzione di una comunità, a processi di costruzione sociale di riconoscimento e legittimazione collettiva, a specifiche funzioni che vanno tenute in vita integrandole nello stile di vita contemporaneo. stimolare cioè, processi di accelerazione per la generazione di condizioni favorevoli per il controllo, la gestione e la valorizzazione della qualità dei beni oggetto di attivazione in modo da salvaguardare gli elementi di unicità, ma contestualmente favorire l’integrazione e la costruzione di relazioni sostenibili (nella forma, ma soprattutto nel numero) con il contesto contemporaneo e globale. In questo quadro operativo, i fattori di sostenibilità di un processo di attivazione sono: proprietà, controllo e impatto del processo e del bene culurale stesso, in un equilibrio ideale tra elementi di unicità e elementi di replicabilità che attivino il bene senza sfruttarlo e depauperarlo, svuotandolo di significato. Il concetto di proprietà definisce il coinvolgimento del detentore del bene all’interno del processo; il fattore controllo stima la capacità dello stesso di gestire e di decidere come e quando attivare il bene; il fattore impatto valuta i benefici che il proprietario riceverà indietro (direttamente o indirettamente) in seguito al processo di attivazione. Perché si possa parlare di sostenibilità, è necessario operare (o mettere in atto) in un quadro di “equilibrio” dei fattori di persistenza e trasformazione del valore del bene culturale oggetto di processi di attivazione: si parla quindi di una “attivazione in continuità”, in grado di mediare tra continuità e riconoscibilità (invarianti o persistenze) e trasformazioni dinamiche (tendenze evolutive) delle ‘forme’ tipiche e dei processi caratterizzanti una certa eredità culturale. Rispetto ai modelli ‘estremi’ di conservazione filologica, ovvero di persistenza di forme e processi, o di riedizione contemporanea (che conducono da una parte a una fissità che comporta l’isolamento e la possibile scomparsa del bene e dall’altra a una perdita dei riferimenti originari) si propone un modello intermedio, in cui alternativamente si conservano o forme o processi, e che media tra conservazione e innovazione delle forme, linguaggi, estetiche e valori di un bene e loro incorporazione, uso e ri-uso creativo. E’ opportuno In sintesi, il concetto di attivazione può essere applicato a forme e pratiche culturali dalla dimensione materiale e immateriale come: - spazi pubblici e di uso collettivo, ovvero quei luoghi la cui identità e funzionalità sono riempite di senso attraverso forme più o meno strutturate e istituzionalizzate di fruizione e appropriazione collettiva. In questo ambito i processi di attivazione possono enfatizzarne e interpretarne, in modo temporaneo o permanente, vocazioni, significati e usi, stimolando pratiche, spesso partecipate e bottomup, di creatività sociale, abilitando tali spazi come centri di aggregazione, di servizi e relazioni, che pur essendo spesso reversibili, producono reali trasformazioni rispetto per esempio, al recupero, alla 4 messa in sicurezza e dotazione di luoghi altrimenti di ‘transizione’, usando un approccio dalla logica multipla che fonde insieme arte, design, architettura, happening, performance e servizi site-specific. - i modi dell’espressione di tradizioni e sapere tipico, ovvero forme (beni materiali, a tutte le scale, dall’oggetto al centro storico) e processi (beni immateriali come performances, tecniche e qualità intangibili) della cultura che in risposta a fasi di obsolescenza e abbandono, sono immessi in un ciclo di socializzazione e nuova significazione. In questo ambito i processi di attivazione hanno una istanza di tipo negoziale delle possibilità di “innovare” e rendere contemporanee (ovvero comprensibili e riproducibili) tali forme e processi, sia nella dimensione del significato che in quella dell’uso. I processi di attivazione cioè generano nuove cornici di senso che rendono significativa (più articolata e arricchente) l’esperienza del bene e nuovi contesti di esperienza e riproduzione del bene e del suo valore, in base a un “potenziale di attivazione” intrinseco al bene stesso, e definito secondo le sue qualità (tangibili e intangibili) e il grado di sapere incorporato. In questo caso la costruzione di repertori o abachi qualitativi è funzionale alla generazione di archetipi e codici espressivi originari a cui fare poter fare riferimento nella dialettica discontinuità-riconoscibilità. del bene come sistema e come esperienza. Somigliano più ad azioni di re-start, ovvero di ri-avvio, in cui “oggetti, processi progettuali, modalità produttive e tradizioni sedimentate nel tempo, vengono isolati, impaginati in nuove figure, scelti e accostati creando altri contesti intorno a loro” costruendo un “alfabeto per produrre dialoghi con il presente” (Calzatrava, 2008). La trasformazione, può riguardare la dimensione spaziale (il luogo o il contesto del bene e della sua fruizione), temporale (lo spostamento dall’antico al contemporaneo) o processuale (tecniche, usi, significati) del bene e si colloca quindi in sistema a 3 assi e dimensioni. I processi sono: - territorializzazione, ossia, organizzazione del bene in sistemi di relazioni orizzontali con altri beni presenti nel territorio. Un bene culturale è sempre collocabile nel tempo e nello spazio. La localizzazione di un bene corrisponde ad una dimensione fisica (un luogo) cui il bene è legato e che quindi è facilmente riconoscibile: il luogo, con le sue caratteristiche, determina, attraverso dei processi di informazione, le specificità del bene e le sua opportunità di fruizione ma è importante soprattutto per il contenuto che determina nell’esperienza come comprensione delle origini del bene, ed in questo senso, se questa connessione risulta indebolita, occorre ricostruirne le maglie. La territorializzazione di un bene è una evoluzione del suo processo di legame con il luogo, che, da relazione verticale biunivoca, diventa sistema di relazioni orizzontali con altri beni dello stesso contesto e dà quindi conto nell’esperienza di fruizione dell’evoluzione del senso del bene: è una relazione orizzontale con gli altri beni e con le attività umane presenti nel terri- I processi di attivazione però sono diversi da azioni di semplice citazione o re-design1, in quanto sono sostanzialmente interventi di tipo trasformativo che mantengono tuttavia una coerenza con il passato, in termini di progetto di nuovi significati (contesto dove mettere in scena linguaggi, modelli e paradigmi di organizzazione e fruizione innovativi), e nuove forme di beni (ridisegno del paesaggio, di contesti e sistemi di offerta, etc) e di generazione del valore 5 rif. BIBLIOGRAFICI (attualizzazione) Agamben, G., Profanazioni, Nottetempo, Roma, 2005 Calzatrava M., Restart. Un progetto di Maurizio Navone, Corraini, 2008 Caoci, A., Lai, F., Gli oggetti culturali. L’artigianato tra estetica, antropologia e sviluppo locale, FrancoAngeli, Milano, 2007 Colombo P. (a cura di), Mestieri d’arte e made in Italy, Marsilio, Venezia, 2009 Granelli A., Scanu M. (a cura di), (re)design del territorio, Fondazione Valore Italia, Roma, 2009 Hobsbawm E. J., Ranger T., L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 2002 Lotti G., Il letto di Ulisse, Gengemi Editore, 2008 Paloni, F., Ruggerini, M. G., Il futuro nelle mani. Artigiani senza età: dall’esperienza all’innovazione, FrancoAngeli, Milano Sennett, R., The craftsman, Yale University Press, 2008 torio. Mentre la localizzazione di un bene è in qualche modo naturale, la territorializzazione è un atto di organizzazione e quindi oggetto di progetto. “attuale” e quindi contemporanea la forma (dove per forma indiamo un insieme articolato di formafunzione, forma-significato e forma-processo) di un bene e la sua dimensione di esperienza e comprensione. Lavora quindi con un approccio di traduzione della tradizione all’interno dei sistemi di valore, uso e consumo contemporanei. - ricontestualizzazione: la contestualizzazione del bene culturale è un processo progettuale complesso che risiede principalmente nella deliberata ricostruzione (fisica o simbolica) di una relazione verticale tra bene e contesto, che consenta una riproduzione del suo valore: il disvelamento del legame con il suo luogo originario o la riproduzione di un nuovo luogo di esperienza e fruizione immettendo il bene culturale in un nuovo contesto. Ricontestualizzare un bene vuol dire dunque rielaborare il suo significato collettivo, per rendere possibile la produzione di nuovo valore e l’esplicitazione del suo valore d’uso. La ricontestualizzazione può avvenire sia in un nuovo contesto geo-culturale di un bene, sia in in nuovo ambito tematico (di applicazione, merceologico, tipologico etc). - incorporazione: un approccio che, con sensibilità, mira a riprodurre, diffondere e trasmettere il bene culturale e i suoi valori attraverso una azione sostenibile di riuso, in particolare incorporando le sue caratteristiche in nuove forme, oggetti, artefatti comunicativi, servizi, strategie, eventi, spazi. Questo processo fà propria la tesi dell’evoluzione della tradizione come material prima per la creatività, piattaforma per l’innovazione e produzione culturale del sistema città-imprese e fattore di identità e riconoscibilità competitiva (community centred design and development). - delocalizzazione: è un processo di ricontestualizzazione che in specifico interviene sulla trasformazione del contesto geo-culturale di un bene immettendolo in un nuovo contesto geografico. Il processo fa leva sulla necessità di costruire nel nuovo contesto geo-culturale una cornice di senso che renda comprensibile il valore del bene, privato del suo orginario intorno e sistema di relazioni, in una sorta di diaspora che assuma un carattere positivo di disseminazione del patrimonio locale su scala globale Ovviamente questi processi possono essere tra loro combinati, attivando ad esempio, una ricontestualizzazione che è anche attualizzazione del bene. Più ci si muove dal contesto geo-culturale e dall’ambito tematico originari e più sia ha una progressiva “esternalizzazione semantica”. Tutti i processi di attivazione richiedono un delicato processo interpretativivo di disattivazione dei comportamenti e le possibilità d’uso convenzionali che i beni hanno incorporato a favore di attivazione di nuovi possibili usi. L’interpretazione opera un’azione trasformativa sul concetto e possibile significato del bene, aggiungendo un valore soggettivo percepito, attraverso un processo sostanzialmente ermeneutico e negoziato, in base ad aspettative - trasferimento: si verifica quando la ricontestualizione avviene da un ambito tematico o di applicazione ad un nuovo ambito tematico. - attualizzazione: l’attualizzazione mira a rendere 6 (un utente), interessi (un’amministrazione o istituzione), cioè parametri valoriali, che si confrontano con il resto delle comunità, i vincoli posti dal bene e dal contesto. Agamben, che definisce separazione «l’impossibilità di usare quelle cose che appartenevano in qualche modo agli dei ed erano quindi sottratte al commercio degli uomini», utilizza la stessa analogia per descrivere il museo come dimensione separata in cui si trasferisce ciò che un tempo era sentito vero e decisivo e vi contrappone invece il concetto di profanazione: «profanare (...) significava restituire al libero uso degli uomini (...) ma l’uso non appare qui come qualcosa di naturale: piuttosto ad esso si accede soltanto attraverso una profanazione (...)». E aggiunge: «La profanazione dell’improfanabile è il compito politico della generazione che viene» (Agamben, 2005). Un concetto di “profanazione” e appropriazione consapevole e sostenibile è dunque quello che si auspica i processi di attivazione design driven possano abilitare. sia materiale che immateriale, che conducono alla definizione di nuove forme-processo, forme-significato, forme-funzione. Le dinamiche del valore attibuiscono a tali forme un valore in base a dei “naturali” cicli di obsolescenza: il valore viene generalmente associato a dimensioni quali scarsità, rarità o esclusività e non disponibilità di un bene/servizio, di ordine sostanzialmente socio-economico più che estetico, integrando “valore d’uso” e “valore di esistenza” (in sè, intrinseco). Nel settore dei beni culturali, tuttavia a questa “indisponibilità” si associa spesso un altro fattore determinante per la costruzione del valore che è quello dell’autenticità del bene culturale: l’autenticità è infatti sostanziale all’interno di processi naturali di storicizzazione, che a partire dalla mitologia, dalla fantasia popolare, dalla letteratura, generano significato culturale, il cui valore è legato a tempi e modi di produzione, e quindi ad una specifica funzione che va riconosciuta e tenuta in vita. Conseguentemente il tema dell’autentico è sempre stato ed è attualmente di grande attualità nella conservazione e fruizione del patrimonio culturale, in particolare nella cultura occidentale, dove il senso della Storia definisce il valore di manufatti e tradizioni e ha generato, nella necessità di integrare il nuovo con l’antico, modelli come la ricostruzione dell’originaria purezza (Viollet-Le-Duc) e l’estetica della rovina (Ruskin). L’autenticità (e la sua produzione e riproduzione) è quindi un fattore determinante nelle dinamiche di costruzione del vaore di un bene culturale. Benjiamin afferma che l’autenticità è quell’unicità, ovvero quall’“aura” di una cosa che costituisce “la quintessenza di tutto ciò che, fin dall’origine di essa, può venir tramandato, dalla sua durata materiale alla sua virtù di testimonianza storica” e che AUTENTICITÀ, AUTENTICAZIONE (E DINAMICHE DEL VALORE) “Non c’è autenticità senza procedura di autenticazione” (Heinic, 1999) La produzione di un bene culturale è, tutt’altro che immutabile, soggetta a processi di selezione, elezione, produzione e riproduzione di significato culturale, che possono avvenire più meno tacitamente e collegialmente e con tempi molto diversi, spesso all’interno di un modello di tipo ciclico (scoperta, valorizzazione, declino, riscoperta etc.)2. Si tratta di processi di in-formazione della materia, nella definizione che Flusser (2003) dà del concetto di forma come modello o idea, e quindi idealmente 7 matrice elaborata per rappresentare i processi di attivazione. 8 l’oggetto tende a perdere nel caso della riproduzione tecnica (che pure ne consente una fruizione più ampia e differenziata da parte delle masse): “l’hic et nunc dell’originale costituisce il concetto della sua autenticità”. In particolare quando l’unicità si identifica con la sua integrazione nel contesto della tradizione, Benjiamin non si discosta molto da quanto Baudrillard afferma sull’autenticità dell’oggetto antico: l’identità dell’oggetto tradizionale viene chiarita da Baudrillard ne Il sistema degli oggetti, come visione del valore dell’oggetto in un determinato periodo storico e in Benjiamin l’opera autentica “trova una sua fondazione nel rituale, nell’ambito del quale ha avuto il suo primo e originario valore d’uso”. Come tuttavia Heinik afferma nell’introduzione di un volume moografico dedicato autenticità della rivista francese di etnografia Terrain “non c’è autenticità senza procedura di autenticazione” (1999). I processi di autenticazione spostano il focus quindi dall’oggetto alla esperienza e memoria di esso. In The Production of a National Past, i due architetti di New York, Diller e Scofidio, hanno descritto le modalità attraverso cui l’esperienza genera memoria indipendentemente dalla sua autenticità: la loro analisi critica si sposta sul turismo culturale e su alcune strategie che spostano il problema dell’autentico al problema dell’autenticazione attraverso una consapevole dislocazione spazio-temporale. Ad esempio, a Plymouth Rock la ricostruzione filologica ma fittizia del villaggio dei pellegrini (con la tecnica del time re-played) genera una living history, cioè una vivificazione del passato allo stesso modo in cui una riproduzione o un riposizionamento (geography re-placed) di una opera anche monumentale come il London Bridge in Arizona, funziona da Cultural Heritage, nel momento in cui viene fornito e supportato il contesto narrativo adeguato ed atteso. Anche l’immagine, come sistema di rappresentazione, diventa agente di autentificazione e referente per le successive interpretazioni legate ad un oggetto o un contesto. I due architetti fanno a questo proposito l’esempio di relativizzazione del concetto di autenticità operato dalle cartoline souvenir, nel contesto della Niagara Falls, il cui flusso viene regolato nei periodi di maggior presenza turistica a discapito della produzione di energia ricavabile dall’incanalamento delle acque per corrispondere all’immagine-cartolina che i turisti hanno del sito, attrverso il paradigna fruitivo e rappresentativo del sightseeing contemporaneo. A questo proposito Clifford afferma che il processo di referenza che l’immagine-cartolina attua, genera processi di riconoscimento di sistemi e immagini di referenza pregressi che il luogo ha precedentemente generato, per cui «vado a vedere un luogo che ho già visto» (Clifford, 1999). MacCannell parla di messa in scena dell’autenticità, come modalità ad alto grado di mistificazione o eccesso di rappresentazione in grado di mantenere «un solido senso di realtà»: le attività svolte nel retroscena (luogo di preparazione di una prestazione) sono funzionali a non screditare il fronte esterno della prestazione, la ribalta. L’esperienza di beni culturali, come l’esperienza turistica, è inserita in queste dinamiche di divisione back/front, che non permettono più facili distinzioni: si passa da stadi di front region decorati con rimandi ad attività di back region («semplici promemoria chiamati “atmosfera”») a front region totalmente organizzate per sembrare retroscena (la cucina non istituzionale messa in scena nel ristorante La Cuisine di Copenaghen). La discriminante risiede quindi in quelle pratiche di 9 rif. BIBLIOGRAFICI (autenticazione) Baudrillard J., Il sistema degli oggetti, Bompiani 2003 (ed. orig. 1968) Caoci, A., Lai, F., Gli oggetti culturali. L’artigianato tra estetica, antropologia e sviluppo locale, FrancoAngeli, Milano, 2007 Carmagnola F. La fabbrica del desiderio, Lupetti, 2009 Clifford, J., Strade. Viaggio e traduzione alla fin del sec. XX, Bollati Boringhieri, Torino, 1999 Cohen E., Authenticity and commoditization in tourism in Annals of Tourism Research Volume 15, Issue 3, 1988, Pages 371-386 Diller, E, Scofidio, R., “Hostility to Hospitality” in Id., Back to the front: Tourism of war, Princeton Architectural Press, New York, 1994 Hobsbawm E. J., Ranger T., L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 2002 Mac Cannell, D., The tourist. A new theory f the leisure class, Schocken Books, New York, 1976. Pine, Gilmore, Authenticity, Harvard Business School Press, 2007 Bendix R., In search of Authenticity: The formation of folklore studies, The University of Wisconsin Press, Madison, 1997 autenticazione attraverso cui il contesto definisce i confini ed il sistema di valori relativo in grado di narrare ed abilitare un’esperienza. Pine e Gilmore (2009) per esempio parlano della partecipazione in termini di contributo diretto all’esperienza come fattore di percezione di autenticità da parte di un utente e di processi deliberati di costruzione dell’autenticità in commodities, prodotti, servizi e, naturalmente, esperienze. In particolare, i beni culturali si innestano in un contesto che li giustifica e li sostiene: quando il contesto si modifica o diventa obsoleto, non supporta più il valore culturale dei beni e quindi questo valore deve essere riposizionato e riprodotto in altri contesti. In tutti questi casi si puà parlare di processi che da riproduzione diventano di interpretazione e traduzione della tradizione. D’altra parte quando un bene culturale, nel susseguirsi di ciclici ed alterni processi di riconoscimento sociale (legati a situazioni culturali, politiche, di mercato) viene riscoperto ed affermato e messo a disposizione della fruizione, secondo una nuova lettura e un nuovo contesto, la stessa costruzione di senso diventa un’azione di disvelamento del suo valore, che in alcuni casi è una vera e propria invenzione della tradizione (Hobswan, Ranger, 2002) o il riferimento ad un originale che esiste solo nell’immaginario collettivo globalizzato3. Questi modelli necessitano di essere problematizzati e innovati, in quanto il trade-off riproducibilità/ autenticità interseca nei processi di autenticazione sia il mercato dei consumatori finali, ma anche i potenziali fornitori di servizi e di esperienze culturali, facendolo evolvere dallo status di “condizione originaria e immutabile” a sistema aperto (e influenzabile dal contesto) di valori e bisogni che si evolvono nel tempo. Il tema dell’autenticità quindi, più che essere affrontato dal punto di vista del fruitore come qualità dell’esperienza, viene osservato nel nodo della autenticazione come riproducibilità e replicabilità dell’autentico e come materia di progetto. In un contesto in cui l’autenticità è fatta di continuità e riconoscibilità (invarianti o persistenze) e trasformazioni dinamiche (tendenze evolutive) di forme e processi, è infatti riscontrabile che il fattore “autenticità” viene costantemente declinato in vari paradigmi di “autenticazione” e “rappresentatività”o “riconoscibilità”, attraverso modelli ed esempi di riproducibilità e serialità dell’autentico, che oscillano tra due estremi: - Conservazione filologica (ri-produzione di prodotti e processi a fini “museografici”) - Interpretazione e riedizione contemporanea (commodificazione e industrializzazione di prodotti e processi). Riteniamo che, tra i due estremi di persistenza completa di forme e processi (che conducono a una fissità, isolamento e scomparsa del bene e sua inapplicabilità) e trasformazione completa di forme e processi (perdita di riferimenti originari e autenticità in produzione massificata) sia possible collocare e individuare dei modelli intermedi in cui alternativamente si conservano o forme o processi e che sono in grado di spostare il piano dall’autentico originario (il riferimento culturale all’elemento originario) ad un autentico originale, sperimentando modalità di attivazione “in continuità”, in grado di mediare tra conservazione e innovazione delle sue forme, linguaggi, estetiche e valori e loro incorporazione, uso e ri-uso creativo (vedi tabella a seguire). 10 Ciò sembra verificato in particolare analizzando quei tipi di beni che per loro natura vivono della reiterazione e riproduzione, ossia beni e saperi immateriali come le performances, le tradizioni, le espressioni e il saper fare tipico propri di una comunità, che diventano ambito primario di esplorazione e dibattito per comprendere come elementi e fattori di coerenza e autenticità dei saperi performativi si rendono persistenti e refrattari al mutamento o viceversa, si evolvano in continuità, mantenendo quindi riconoscibilità di significati. Infatti, per quanto sia aspetti tangibili che intangibili possono essere riprodotti, se si parte da una base materiale, la “copia” è la riproduzione di un originale, mentre se si parte un sapere performativo (sia esso espressivo o tecnico) ogni riproduzione è per sua natura la produzione un originale. Si passa cioè dalla questione di riproducibilità dell’autentico alla possibilità di produzione di un originale. In questo quadro “trasformativo” l’opera pechinese verrà analizzata, con l’obiettivo di allargare tali riflessioni affinchè possano essere indirizzate e rese praticabili anche per altre tipologie di beni culturali. NOTE 1 “La parola re design evoca, citazione, ripresa, evocazione di modelli, e spesso significa reimpiego di frammenti o anche imitazione” Granelli, 2009. 2 In un ideale ciclo di vita del bene culturale, si ha un bene culturale ancora potenziale (non appare e quindi non esiste in quanto non ha forma), che appare in forme di bene e che diventa successivamente bene esplicito, quando è collettivamente riconosciuto, e quindi bene fruito o attivato da una comunità. Nel passaggio dal bene potenziale alla forma di bene vi è il processo di valorizzazione relativo alla produzione della forma del bene culturale; una produzione di senso avviene nella fase del riconoscimento con il passaggio tra forma di bene e bene esplicito; infine, nella fase di interpretazione, la produzione della funzione rende il bene fruito o attivato. 3 Emblematico l’esempio che Carmagnola (2009) fa confrontando Muji e Armani con l’idea di “giapponesità” globalizzata. 11 3. modalità e delle tendenze percorribili anche per la ricerca oggetto del nostro studio; l’interesse è di rintracciare interpretazioni e riedizioni contemporanee utili al sistema culturale dell’Opera Pechinese. Esiti della ricerca desk Come previsto dal documento di apertura, la ricerca desk è stata finalizzata alla selezione e studio di casi; esempi efficaci di trasferimento di forme & processi a tutto campo. L’obiettivo dell’analisi fenomenologia sui casi è di evidenziare come i concetti appena approfonditi ( ndr. di “attivazioneattualizzazione” e di “autenticità-autenticazione”) siano stati in grado di innescare, appunto su una serie di beni eterogenei rispetto alla collezione -ns oggetto di valorizzazione- delle dinamiche evolutive. I criteri di selezione hanno riguardato i già descritti ambiti di osservazione (e successiva azione) progettuale codificati come potenziale di attualizzazione e processi di attivazione. Ogni caso studio è descritto in una specifica scheda e corredato da due schemi che visualizzano e collocano lo stesso all’interno dei due ambiti. I due schemi elaborati per la descrizione dei casi parametrizzano le variabili che descrivono più compiutamente queste due formule operative rendendole visualizzabili e consentendo di confrontare tra loro, mediante posizionamento, tutti i casi selezionati. Casi studio e mappatura I casi mantengono un portato culturale d’origine forte ma, al tempo stesso, raccontano di occasioni di trasferimento tecnologico o estetico, di rivitalizzazioni di performance tradizionali o pratiche in conesti altri o “aggiornate” ai costumi del contemporaneo; comprendono esempi di trasferimento di processo o del prodotto in altro ambito produttivo o applicativo. Attraverso una mappatura degli stessi (vedi al termine delle schedature) si andranno ad evidenziare delle specifiche aree progettuali, delle 13 potenziale di attualizzazione: mappa completa dei casi. 14 processi di attivazione: mappa completa dei casi. 15 01\ “BAKED” & “MOULDING TRADITION” DI FORMAFANTASMA Eindhoven, 2009 fonte: Brondi B.,Rainò M. (a cura di), IN R- In Residence, Diary #2 Matter Matters, Corraini, 2010 specificità tipo di progetto committenza Ricerca e sperimentazione progettuale promossa dai progettisti stessi progettista FormaFantasma (Andrea Trimarchi e Simone Ferresin), coppia di designer con sede a Eindhoven. descrizione: obiettivi e risultati Baked: la collezione di oggetti Due progetti di design esplicito (“baked” e “moulding tradition”, entrambi del 2009) ad opera di una coppia di designer italiani, FormaFantasma, che hanno l’obiettivo di valorizzare alcune tradizioni locali e folkloristiche sia produttive che performative siciliane, traendo da esse ispirazione e suggestioni formali e di processo. Il primo progetto, Baked, prende spunto da una usanza tipica del paese di Salemi in occasione della festa della Cena di San Giuseppe (che si tiene il 19 marzo) della produzione di decorazioni in pasta di pane e dei cucciddati, pani votivi, il cui processo è stato dai designer replicato trasferendolo nella produzione di oggetti e complementi per la tavola; il secondo progetto riguarda invece la rielaborazione formale di alcuni ceramiche tipiche del paese di Caltagirone, chiamate teste di moro, ossia vasi del XVII sec. sui quali sono dipinti i volti di uomini e donne dall’aspetto arabo o africano. FormaFantasma sviluppa i suoi progetti design in base ad un forte interesse per la valorizzazio-ne e rivalutazione di tecniche artigianali che stanno scomparendo, fondendo culture locali e contesto globale, elementi d’artigianato e processi industriali. I due progetti qui presentati rispondono all’obiettivo di trarre ispirazione da eventi o prodotti flolkloristici parole chiave di sintesi tradizione folkloristica | oggetti votivi | complementi per la casa | e della cultura materiale per operare una loro “traduzione” in prodotti contemporanei e di produzione seriale. Baked parte da una tradizione relativa alla festa patronale di Salemi, paese dell’entroterra siciliana, caratterizzata da un processo rituale di devozione e richiesta di offerte (di solito olio, uova, farina) all’interno delle famiglie, che culmina nella lavorazione della pasta di pane e dalla produzione con essa di elementi decorativi e votivi da offrire in un altare e poi condividere con i parenti, in un simbolismo agrario legato al rinnovamento della natura. Anche l’impasto segue un rituale preciso, e i cucciddati (i tipici pani votivi) hanno forme, pesi e dimensioni diverse: di questa tradizione, data la sua valenza rituale, Forma Fantasma recupera sostanzialmente l’aspetto processuale, utilizzando come materiale per i nuovi prodotti la pasta di pane e innovando invece considerevolmente la forma degli oggetti prodotti, che non sono più decorazioni o elementi votivi ma oggetti e complementi da tavola (ossia recipienti come piatti, bicchieri, tazze, bottiglie). Gli oggetti sono prodotti con ingredienti comuni da cucina (farina) cui vengono aggiunti elementi naturali per modificare il colore ( ad esempio vegetali come spinaci, caffè, cacao) e per aumentarne la durevolezza (sale, spezie). I vasi sono rifiniti con bende elastiche che permettono di associarvi accessori o altri elementi anche in forma decorativa. Moulding tradition parte da alcuni oggetti artistici tradizionali, ossia alcune ceramiche tipiche Caltagirone chiamate “testa di moro”, vasi dipinti con o a forma di testa di uomini e donne dall’aspetto arabo Moulding tradition: la collezione di oggetti o africano. Utilizzati come porta oggetti o porta piante, sono nati da varie leggende popolari di amanti clandestini sorpresi e decapitati (e le teste furono poi esposte sul balcone) durante la dominazione araba in Sicilia. Forma Fantasma qui opera un intervento di rivisitazione formale e di semplificazione dei codici estetici dei vasi nei suoi tratti più distintivi ed essenziali, in grado quindi di cogliere e mantenere solo quegli elementi identitari dell’oggetto (per esempio i manici multipli e le relative finiture) e ottenere una pulizia formale di forte impatto e molto contemporanea. In entrambi i casi il risultato è l’elaborazione di nuovi oggetti che mantengono una forte e chiara referenza al codice originario che va ben oltre la citazione in quanto recuperano e contemporaneamente innovano la tradizione. Determinante è la capacità di Forma Fantasma di osservare dall’interno la tradizione stessa, i suoi rituali e i suoi modi di produzione, integrando quindi il sapere degli attori locali nel processo progettuale. target Il target identificato in relazione all’azione progettuale non è specifico: si tratta di un destinatario generico, ma attento alle qualità culturali dei prodotti (e ai processi di valorizzazione collegati) di gusto contemporaneo e bassa tecnologia. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso collocazione del caso Baked sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). Il caso è interessante per la forte eppure non scontata referenza tra i codici espressivi e linguistici dell’oggetto originario e il prodotto di design progettato, che pur operando dei salti concettuali di forte discontinuità (di forma oppure di contesto di applicazione e uso) sono in grado di mantenere presente il legame con l’elemento culturale archetipo originale, grazie alla capacità di FormaFantasma di individuare quegli elementi essenziali di persisten- za del valore (la texture della pasta di pane, oppure la finitura dei manici dei vasi) che evocano immediatamente la tradizione culturale di partenza, sia essa un rituale o una forma. processo di attualizzazione potenziale di attivazione agente di attivazione conservazione di forma o processo Per quanto riguarda Baked, si ha sostanzialmente un processo di trasferimento, ossia di ricontestualizzazione dell’oggetto da un abito tematico ad un altro: dall’evento folkloristico alla dimensione domestica e quotidiana, dall’oggetto decorativo al contenitore per la tavola; per quanto riguarda Moulding tradition, si ha un processo di cross fertilisation interna, ovvero una innovazione (in questo caso di forma) all’interno dello stesso ambito tematico e contesto geo-culturale. Per quanto riguarda Baked, il potenziale di attivazione si avvia a partire dalle qualità materiali della tradizione (la paste di pane) e dal sapere/processo immateriale incorporato (la ritualità connessa) che vengono rielaborate in nuove forme e quindi comportano l’implementazione della tecnica produttiva ad hoc (per esempio nella realizzazione di stampi per la cottura); per quanto riguarda Moulding tradition, il potenziale di attivazione su cui si è lavorato è relativo alle qualità formali dell’oggetto. L’agente di attivazione sono i designer guidati da una sensibilità particolare verso le tecniche artigianali e tradizionali. Si tratta di esempi ibridi, con un approccio non filologico, in cui si conservano alternativamente in maniera non integrale solo alcuni elementi o della forma o del processo: in Baked è la persistenza del materiale (la pasta di pane), e non il processo che di fatto viene modificato ad hoc per ottenere le forme volute, a garantire la conservazione di tracce di riconoscibilità della matrice culturale degli oggetti; in Moulding tradition della forma vengono collocazione del caso Baked sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). grado d’innovazione del caso conservati solo elementi tipologici essenziali. Entrambi i progetti sono emblematici per il consistente grado di discontinuità rispetto all’elemento di riferimento di partenza, ossia l’elemento culturale (forma o processo) originario, pur mantenendo una sicura referenza attraverso alcuni elementi che sono stati isolati dai designer come quelli portatori di identità, rconoscibilità e rappresentatività. Si ha una innovazione incrementale di forma nel caso di Moulding tradition; si ha una innovazione radicale di forma e di significato nel caso di Baked, attribuendo alla pasta di pane un nuovo significato e valore, al di fuori del suo ambito tradizionale, che non è più simbolico ma vero e proprio valore d’uso. riferimenti e altri link sitografia Baked: due pani di Salemi (in alto) prodotti per l’altare di San. Giuseppe (centro) e le produzioni contemporanee dei designer da essi ispirate. http://www.formafantasma.com/ Moulding tradition: i vasi tradizionali e il processo produttivo 02\ INSPIRED BY CHINA Peabody Essex Museum, Massachusset, 2005-2007 fonte: http://www.pem.org specificità tipo di progetto committenza progettista Inspired by China: alcune realizzazioni a confronto (in alto) e la pagina on line della web gallery Un intervento di valorizzazione del patrimonio culturale relativo al mobile tradizionale cinese promossa da una istituzione museale (il Peabody Essex Museum) che ha lavorato con una strategia multilivello: ad una azione più tradizionale di curatela e promozione attraverso una mostra itinerante si è affiancata un azione sperimentale, dal taglio decisamente più innovativo, costituita da un workshop progettuale in cui circa 20 artisti, designer e artigiani provenienti da Cina, Usa e Canada, sono stati invitati ad osservare e studiare dei mobili tradizionali (forme e tecniche) per poi realizzare altrettanti nuovi pezzi da essi ispirati, che sono stati inclusi nella mostra itinerante. Peabody Essex Museum curatori: Nancy Berliner e Edward S. Cooke, Jr. artisti partecipanti: Ai Weiwei, Beijing, CHINA, Garry Knox Bennett, Oakland, CA, Bonnie Bishoff, Rockport, MA, Yeung Chan, Millbrae, CA, Michael Cullen, Petaluma, CA, John Dunnigan, West Kingston, RI, Hank Gilpin, Lincoln, RI, Tom Hucker, Jersey City, NJ, Michael Hurwitz, Philadelphia, PA, Silas Kopf, Northampton, MA, Wendy Maruyama, San Diego, CA, Judy McKie, Cambridge, MA, Clifton Monteith, Lake Ann, MI, Brian Newell, Atsugi, JAPAN, Gordon Peteran, Toronto, CANADA, Richard Prisco, Savannah, GA, Michael Puryear, Shokan, NY, Shao Fan, Beijing, CHINA, Shi Jianmin, Beijing, CHINA, Tian Jiaqing, Beijing, CHINA, J.M. Syron, Rockport, MA, Joe Tracy, Mt. Desert, ME parole chiave di sintesi mobile tradizionale cinese | ispirazione | workshop | mostra | descrizione: obiettivi e risultati Il design dei mobili cinesi ha da sempre ispirato la produzione europea e americana: lo stile Chippendale del XVIII sec., il modernismo degli anni 193040, sono alcuni degli esempi. Sulla base di questa consapevolezza i curatori del Peabody Essex Museum, hanno, con il progetto Inspired by China: Contemporary Furnituremakers Explore Chinese Traditions, reso possibile l’attuazione di una modalità di valorizzazione che affiancasse, alla promozione del patrimonio tramite evento espositivo, un processo di cross-cultural fertilisation creativa, che a partire dal concetto di “ispirazione” codificasse un modello di ri-uso e incorporazione dei codici culturali espressivi, linguistici e materici del mobile tradizionale cinese all’interno di una diversa cultura e sottoforma di oggetti di diversa natura. I 22 artisti coinvolti nel workshop organizzato in giugno 2005, hanno potuto osservare da vicino e discutere con i curatori e alcuni esperti di storia dell’arte della Yale university (Charles F. Montgomery Professore di American Decorative Arts, Department of the History of Art), e in alcuni casi con alcuni artigiani, 29 masterpieces di oggetti d’arredo cinesi, tra cui tavoli votivi laccati, una selezione di sedie e poltrone in legno datate tra il XVI e XVII sec. in stile dinastia Ming, una serie di sgabelli in vari materiali (pietra, bambù, ceramica), analizzandone le caratteristiche e confrontandosi tra loro, con l’obiettivo di produrre nuovi pezzi. In alcuni casi delle dimostrazioni tecniche ovvero delle realizzazioni in diretta sono state effettuale da alcuni artigiani per trasferire alcune modalità di lavorazione ai designer. Alla fine sono stati realizzati 28 nuovi lavori che includono oggetti molto diversi tra loro (per esempio porta incenso, sedia, tavoli) e che sono stati tutti esposti nella mostra tenutasi dal 28 ottobre 2006 al 4 marzo 2007. Le opere sono emblematiche per la loro capacità creativa di reinterpretare codici e linguaggi a partire da aspetti diversi, come la forma, gli elementi decorativi, il materiale, quindi con una capacità di proporre interpretazioni contemporanee e da parte di culture diverse del patrimonio di partenza e ovviamente con la sensibilità individuale dei diversi progettisti. In questo progetto l’uso della storia non viene attivato come semplice referenza visiva ma attraverso un processo partecipato di consapevolezza e apprendimento di una serie di informazioni sul mobile tradizionale cinese da parte di artisti che non avevano nessuna conoscenza a riguardo a tali oggetti e che diventa quindi un’azione di valorizzazione di per sé. Ciò è evidente anche dal sito web, che è a tutti gli effetti un catalogo/mostra on line in quanto oltre a documentare gli oggetti una photo gallery, documenta l’intero processo e l’esperienza dei partecipanti attraverso filmati, racconti, interviste. target I progettisti/artisti coinvolti sono il target primario del progetto, e il target secondario è costituito dai visitatori della mostra e dagli utenti del sito web. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso Inspired by China:il processo di produzione di un’opera visibile nelle interviste on line Il caso è interessante per l’azione consapevole di “interpretazione” del patrimonio culturale del mobile cinese (più o meno distante e associabile ai pezzi originali) operata dai progettisti coinvolti sulla base di percorso di formazione e conoscenza. Le opere prodotte sono tutte molto diverse tra loro, ma come gli artisti spiegano sono sempre riconoscibili dei punti di partenza che sono state astratti quasi fino all’essenzialità di concetti come modi di fare, mitologia, natura, rapporti dimensionali e propor- zionali e che diventano quindi sofisticate referenze che seppure non sempre riconoscibili a primo impatto al livello formale e visivo assicurano alle opere realizzate la possibilità di instaurare un dialogo, nell’esposizione, con gli oggetti di partenza. processo di attualizzazione potenziale di attivazione Il processo di attualizzazione è una innovazione basata su delocalizzazione (ovvero applicazione in un diverso contesto geo-culturale) e cross fertilisation esterna, quando le opere realizzate sono uscite anche dall’ambito merceologico del mobile. Il potenziale di attivazione su cui ha fatto perno il progetto è quello legato a ad aspetti formali e processuali del mobile tradizionale, includendo sia qualità degli oggetti che il sapere incorporato. agente di attivazione Promotore del processo è l’istituzione museale che ha concepito, sponsorizzato e realizzato il progetto. conservazione di forma o processo Le azioni di interpretazione e ispirazione crea-tiva attuate dai diversi progettisti differiscono e in alcuni casi si ha un persistenza di elementi o meglio dettagli formali, in altri casi di uso del materiale o di tecniche di realizzazione. grado d’innovazione del caso il caso presenta mediamente un altro grado di discontinuità negli oggetti realizzati, coerentemente a una filosofia di fondo che praticava la pratica dell’ispirazione come modello. Tuttavia sono presenti fattori di riconoscibilità evidenti in relazione agli oggetti culturali originali, e in generale si una innovazione di forma e tipologie e non di trasferimento di linguaggi e significati in altri contesti di applicazione. riferimenti e altri link sitografia http://www.pem.org/sites/ibc/ collocazione del caso Inspired by China sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). 03\ L’ANIMA DELLA PIETRA lavéc e riusi della pietra ollare valtellinese Valtellina e Valchiavenna (SO), anni 2000 fonte: Corbellini A. (a cura di), Lavéc, pentole in pietra ollare in valtellina e valchiavenna, Nodo libri, 2009 specificità tipo di progetto committenza progettista L’anima della pietra: alcuni lavéc tradizionali descrizione: obiettivi e risultati Azione di valorizzazione delle tecniche produttive e forme tradizionali della lavorazione della pietra ollare valtellenese, legata al mondo degli elementi decorativi delle case e dei contenitori (vasi,recipienti) per uso domestico e nella cucina e ancora oggi su base artigianale e manuale. In particolare il progetto rigurda una serie di botteghe artigiane che propongono una innovazione nella configurazione formale degli oggetti (lavorando sulla semplificazione delle linee e sull’astrazione degli stilemi decorativi più comuni in forme essenziali e pulite) e una innovazione tipologica nelle applicazione della pietra ollare ad altri comparti merceologici. In questo senso si può parlare di un design che da tacito diventa esplicito. In generale si tratta di progetti svolti su autocommessa, dall’artigiano stesso, ma nel caso della bottega laboratorio Mattioli-Palmieri la sartorial Rosalba Acquistapace di talamona ha commissionato delle decorazioni da applcare nell’ambito della sua produzione moda. Si tratta di un insieme di botteghe artigiane: in particolare Laboratorio Mattioli-Palmieri di Ginevra Mattioli e Floriana Palmieri (a Sondrio); Laboratorio Silvio Gaggi (a Chiesa Valmalenco). Alcuni artigiani non più attivi ma che hanno contribuito in modo fondamentale nel tracciare questa linea progettuale e creativa sono: Antonio Corrado, Goffredo Minocchi. Il caso nasce in modo spontaneo all’interno di al- parole chiave di sintesi pietra ollare | pentole | componenti | accessorio moda cune botteghe che hanno dimostrato, più o meno consapevolmente a livello “progettuale”, la voglia di sperimentare nuove applicazioni e modalità produttive relativamente a una tecnica di lavorazione e produzione tradizionale che è tipica del contesto locale in cui le botteghe sono situate (la provincia di Sondrio) e che si concentra principalmente sulla lavorazione della pietra ollare, oltre che per elementi archiettonici e monumentali, per la realizzazione di laveggi (in dialetto lavéc), ossia recipienti in pietra ollare (da latino lapideum) usati per cucinare. Il materiale è talmente diffuso in Valtellina e Vlachiavenna che sono svariate le opere (dalla scultura alla decorazione ai monumenti) cui sono associate storie e memorie ancora vive. La lavorazione della pietra richiede accuratezza e fatica (dall’estrazione dalle cave al paziente lavoro di modellazione) e la forma delle pentole ha assunto nel tempo un design essenziale che riflette le caratteristiche della materia e della lavorazione al torneo: Tognini parla di un design invisibile, ed autentico, che “ha la chiarezza di un pacato razionalismo”. Diventati nel tempo oggetti tradizionali dal valore più decorativo ed estetico che funzionale (anche se l’uso culinario è mantenuto vivo da pochi cultori), sono stati considerati dagli artigiani i testimoni di un sapere fare (legato sia al produrre che all’usare) che si stava piano piano esaurendo di significato. Gli artigiani hanno quindi iniziato inconsapevolmente un percorso di esplorazione delle possibilità della pietra ollare, in prima battuta con l’obiettivo anche di mantenere viva la tecnica produttiva, e secondariamente intravedendo nuove L’anima della pietra: interpretazioni contemporanee della pietra ollare possibilità d’espressione e d’uso. Un esempio è il seguente: Antonio Corrado nella sua bottega realizza piatti, piastrelle, scatole, vasi, ampliando notevolmente le tipologie merceologiche di applicazione della pietra. A lui succederà nella bottega Goffredo Minocchi. Contemporaneamente una sua apprendista particolarmente creativa, Ginevra Mattioli, apre un suo laboratorio, e inizia ad esporre le sue produzioni alla mostra internazionale di artigianato a Firenze. Ginevra, insieme alla nipote Floriana Palmieri, che haoggi conduce il laboratorio, esplora nuove possibilità di utilizzo della pietra, la fa conoscere all’estero (Stati Uniti, Canada), raccoglie stimoli formali provenienti dal mondo scandinavo (che ben coniano la dimensione naturale e la linearità delle forme), accosta la pietra ad altri materiali (rame, argento, vetro) e innova considerevolmente le sue applicazioni creando accessori moda e gioielli (sono del 2008 le applicazioni in pietra ollare su abiti di alta moda e scarpe creati su commissione per la sartoria Rosalba Acquistapace di Talamona). Il caso studio riflette la capacità dell’artigiano di innovare tipologicamente le applicazioni del materiale e di diventare maestranza attiva all’interno di filiere complesse, ovvero di fornire semilavorati ad altri produttori e non sono oggetti e prodotti per il mercato finale. Sono stati realizzati nuovi artefatti che hanno stimolato la collaborazione tra attori con competenze diverse e hanno contribuito a veicolare una forte identità territoriale. target L’anima della pietra: interpretazioni contemporanee della pietra ollare nel campo della moda Non esiste un target specifico identificato consapevolmente in relazione all’azione di valorizzazione: all’inizio del processo si tratta di un destinatario generico, in quanto gli artigiani lavoravano sostanzialmente su auto commessa e non seguivano deliberatamente un processo di innovazione. Nelle fasi più recenti si può identificare ancora un pubblico generico ancorchè sensibile alle produzioni di cul- tura materiale e, per le componenti moda, alcune filiere produttive intermedie che diventano committenti e il cui target finale è un pubblico mediamente colto e sofisticato. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso processo di attualizzazione potenziale di attivazione Il caso è particolarmente significativo per via della notevole capacità bottom-up dei detentori (consapevoli o inconsapevoli) di un patrimonio culturale materiale e immateriale di considerarlo potenziale di sviluppo e valorizzazione, di promuoverlo, innovarlo e inserirlo all’interno dei sistemi di fruizione e produzione contemporanea senza perdere la naturale essenzialità dell’”anima della pietra”. Il processo di attualizzazione è inizialmente del tipo di cross fertilisation interna, ovvero una innovazione di forma, all’interno dello stesso ambito merceologico (pentole per cucinare) e contesto geografico; si osservano quindi casi di delocalizzazione, in cui la “tipologia” è stata promossa all’estero e infine di trasferimento, attuando un cambio di contesto tematico merceologico (dall’ambito domestico e di cottura del cibo alla moda). Il potenziale di attivazione del caso studio procede principalmente dalle capacità di innovare le qualità della pietra ollare, quindi la sua dimensione materiale e formale, attraverso prima una innovazione della forma degli oggetti tradizionali (forme essenziali e moderne) quindi una innovazione tipologica, creando altri oggetti per il mercato finale e soprattutto componenti destinati al altre filiere produttive. Tale dimensione ovviamente impatta secondariamente anche il sapere incorporato in quanto le tecniche produttive si sono modificate e affinate in riposta alle nuove forme richieste. Sono sicuramente gli artigiani che hanno deter- collocazione del caso L’anima della pietra sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). agente di attivazione conservazione di forma o processo grado d’innovazione del caso riferimenti e altri link bibliografia minato l’attivazione e attualizzazione delle forme tradizionali di lavorazione della pietra ollare in nuove forme di prodotti e di accessori per altri comparti merceologici, nonchè di componenti per altre filiere produttive. Il caso è un esempio interessante di equilibrio nella conservazione costante di una referenza atta a rendere riconoscibile il prodotto attraverso un legame con l’autentico originario: a volte si ha una persistenza di forme, altre una persistenza delle qualità della materia, altre un rimando ai processi. In ogni situazione le dinamiche del valore tengono in attenta considerazione un sapiente bilanciamento tra continuità e innovazione, probabilmente determinata dal potenziale di attivazione della pietra ollare caratterizzato da evidenti qualità materiali e formali specifiche. Si ha una innovazione incrementale, quindi con lieve discontinuità, nel miglioramento e affinamento delle forme; si ha una innovazione design driven (ovvero di significato e linguaggio), quindi con maggiore discontinuità, quando si porta la tecnica della pietra ollare al di fuori del suo ambito di applicazione tradizionale (dalla pentola all’accessorio moda). Tale grado di innovazione ha comportato lo sviluppo di competenze specifiche legate sia a nuovi strumenti e tecniche produttive che processi organizzativi che hanno trasformato l’artigiano in maestranza, ovvero da attore individuale che produce per se stesso a sistema di attori che agiscono in una filiera produttiva più articolata e complessa. Palmieri F., “L’anima della pietra”, in Corbellini A. (a cura di), Lavéc, pentole in pietra ollare in valtellina e valchiavenna, Nodo libri, 2009 Tognini G., “Viaggio nelle forme dei laveggi”, in Corbellini A. (a cura di), Lavéc, pentole in pietra ol- lare in valtellina e valchiavenna, Nodo libri, 2009 Verganti R., Design driven innovation, Etas, 2009 sitografia http://it.wikipedia.org/wiki/Lavec http://www.valmalenco.biz/gaggialberto/ http://www.artestone.it/default.asp 04\ IN SEARH OF MAGINALIZED WISDOM Sham Shui Po District (Hong Kong), 2007 fonte: Howard Chan, Siu King-chung (a cura di), Sham shui Po craftspeople, Sham Shui Po District Council, Hong Kong, 2007 specificità tipo di progetto committenza In search of marginalized wisdom: il processo di realizzazione di un prototipo Un progetto, promosso dall’associazione Community Museum Project, di valorizzazione e rinnovamento degli artigiani di un quartiere popolare di Hong Kong, delle loro competenze e tradizioni (dalle operazioni tipiche del fare, al modo di usare lo spazio alle relazioni di collaborazione tra persone diverse), attraverso l’introduzione di una componente di design esplicito nel processo creativo. Il progetto nasce con l’idea di realizzare una mostra e si sviluppa fino alla organizzazione di sessioni progettuali collaborative tra artigiani e giovani designer e progettisti, in un processo progettuale di “innovazione” dei prodotti e delle creazioni degli artigiani stessi e loro traduzione in artefatti di design contemporaneo. Community Museum Project progettista Curatori: Howard Chan, Siu King-chung; artigiani e progettisti: vari descrizione: obiettivi e risultati Sham shui Po è un distretto di Hong Kong che è all’interno di un piano strategico di rinnovamento e sviluppo “people-oriented”. E’ una zona dove la dimensione “culturale” assume una connotazione particolare, e determinante nelle sviluppo e trasformazione dell’area: è caratterizzato infatti da una miriade di unità produttive e di vendita di stampo artigianale di oggetti di vita quotidiana, un sorta di comunità progettuale sui generis, che ha nel tempo sedimentato un patrimonio immateriale e sapere fare collettivo, seppur tacito e non codificato, di strategie di produzione, di riciclo dei materiali, uso parole chiave di sintesi comunità creativa | network produttivo | artefatti quotidiani | saper fare collettivo dello spazio e delle risorse, di relazione collaborativa tra tutti gli artigiani che è stato individuato da Community Museum Project come un bacino di conoscenza tacita e non documentata che meritava di essere scoperto e valorizzato. Community Museum Project, una associazione culturale interessata ad un concetto di museo intangibile e non elitario, ovvero come metodo di rappresentare vita e valori quotidiani, insieme alla creatività indigena, ha sviluppato nel 2007 un progetto sulle nuove “creative industries” di Hong Kong, in cui ha coinvolto otto piccoli artigiani produttori e venditori insieme ( tra gli altri, un produttore di carrelli in legno, un mezzo di trasporto a mano molto comune a Hong Kong, un produttore di mobili in rattan, un laboratorio di metalli, uno di tessuti...) per osservarne e codificarne modalità di lavoro e altrettanti designer per la progettazione di nuovi artefatti d’uso quotidiano e prototipi dal design contemporaneo (non necessariamente prodotti destinati al mercato finale, ma per esempio anche nuovi supporti e banchi di lavoro) e la realizzazione di una mostra con i risultati nati da questa collaborazione. Per ognuna di queste realtà la sfida innovativa si è concentrata su alcuni aspetti legati alle loro strategie di lavoro, per esempio la necessità di fare i conti con limiti di risorse e di spazio (ad esempio un rivenditore di piccoli accessori per decorazioni, utilizza uno stand temporaneo all’aperto dove tuttavia è in grado di organizzare delle piccole classi di lavoro rendendo lo spazio di lavoro uno spazio pubblico e viceversa). Uno dei risultati più interessanti è la produzione di un nuovo prototipo di carrello multiuso (che di- In search of marginalized wisdom: il processo di realizzazione di un prototipo venta, con la semplice aggiunta di un meccanismo di ribaltamento delle ruote anche tavolo), che ha stimolato anche la collaborazione tra più artigiani. Durante la mostra finale sono stati esposti sia i prototipi, sia le ricerche e rilievi documentativi condotti dai ricercatori sui processi e luoghi di lavoro. Sono state effettuale inoltre delle dimostrazioni pubbliche da parte degli artigiani dei loro processi produttivi. Il progetto ha portato quindi ad una documentazione codificata del lavoro degli artigiani, ad sensibilizzazione da parte degli abitanti del quartiere rispetto alle potenzialità degli artigiani in termini di identità e sviluppo del quartiere e gli artigiani stessi ad una consapevolezza delle opportunità di sviluppo, evoluzione delle loro attività. Sono stati realizzati strumenti di comunicazione della conoscenza accumulata, nuovi prototipi e sono state attivate relazioni di collaborazione tra gli abitanti del quartiere. target Il target diretto dell’azione progettuale sono gli artigiani locali e i progettisti coinvolti, mentre il target indiretto è la popolazione dell’area che ha partecipato alla mostra finale. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso In search of marginalized wisdom: il prototipo finito e la mostra finale Il caso è significativo per la capacità di valorizzare i valori culturali di una piccola comunità attraverso la socializzazione delle loro tecniche e il rinnovamento di forme e processi tipici, attraverso azioni promozionali (la mostra) e collaborative-creative (i workshop progettuali tra artigiani e designer), strumenti entrambi che definiscono un metodologia replicabile, a cavallo tra la curatela (il modello di museo in strada) e l’attivazione (la ricerca di nuove soluzioni progettuali e protopiti) di elementi identitari, tecnici, estetici e relazionali di un gruppo culturale e dei suoi artefatti tangibili. processo di attualizzazione potenziale di attivazione Il processo di attualizzazione è focalizzato invece sulla dimensione materiale e formale degli artefatti che vengono rinnovati grazie all’introduzione di nuove funzioni, nuovi materiali, nuovi accessori, nuove dimensioni (ad esempio nel carrello-tavolo). Si tratta di un processo di fertilizzazione interna, che aiuta gli artigiani ad innovare la loro produzione tipologica senza ampliare il ventaglio di ambiti di applicazioni e senza trasferire i prodotti in altri contesti. Il processo attivato lavora sul potenziale creativo della comunità di riferimento quindi sul saper fare degli artigiani, legato sia a questioni puramente tecniche, ma anche a loro abitudini e usi durante la produzione, relativi ad esempio al reperimento delle risorse e dei materiali attraverso il network del quartiere. agente di attivazione L’associazione Community Museum Project è l’agente che ha dato avvio al processo, supportata nel suo intervento dal consiglio di zona, lo Sham Shui Po District Council. grado d’innovazione del caso Il caso ha un grado di innovazione incrementale relativamente al rinnovamento delle forme degli artefatti realizzati, caratterizzati da un basso grado di discontinuità e alta riconoscibilità rispetto agli oggetti iniziali. Sul piano metodologico la dimensione di processo ha un maggiore grado di innovazione sistemica, ovvero replicabilità di una strategia di “innovazione” e traduzione in artefatti di design contemporaneo dei prodotti degli artigiani. riferimenti e altri link bibliografia sitografia Lee B., “An example of tranforming culture into design”, in Crossover, Hong Kong designers association Journal, vol, 15, 2008 http://www.hkcmp.org/cmp/ collocazione del caso In Search of marginalized wisdom sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). 05\ SARDINIAN RUGS sardegna, 2006 fonte: collezione Moroso specificità tipo di progetto Serie di tappeti, interamente realizzati a mano, che nascono dall’abilità e dalla sapienza di artigiane sarde, su disegno di una delle più interessanti designer europee contemporanee. committenza/progettista La collezione è stata disegnata dalla spagnola Patricia Urquiola, e realizzata da NAE per Moroso. descrizione: obiettivi e risultati risorse impiegate/attori coinvolti immagini caso studio La designer spagnola ha potuto lavorare con grande libertà sui segni e sui colori della tradizione artigianale sarda. I suoi progetti sono stati poi ripresi ed elaborati dai migliori artigiani dell’isola, selezionati e coordinati da NAE, che hanno trasformato in tappeti i disegni della Urquiola. Realizzati a mano in Sardegna, e per questo ancora più preziosi, i tappeti della collezione Urquiola/NAE/Moroso sono stati presentati anche al Salone del Mobile di Milano (oltre che inseriti stabilmente nella collezione Moroso e, per tanto, distrubuiti attraverso la rete del brand). I tappeti sono pezzi interamente realizzati a mano, utilizzando ancora oggi i telai tipici della tradizione sarda, seguendo tecniche millenarie1: di fatto, ogni tappeto è un pezzo unico, diverso da tutti gli altri per minime differenze di misura e leggere variazioni nelle tonalità dei colori. “Sardinian rugs” nasce sotto il segno della joint venture NAE2-Moroso: il secondo è un marchio italiano di fama internazionale, mentre il primo ha l’ambizione di essere un laboratorio di idee nel quale possano trovare spazio prodotti che mixano la cultura del design e quella della tradizione ar- parole chiave di sintesi interni | complemento d’arredo | tecnica produttiva | artigianato locale tigianale, alla ricerca di modi nuovi di inseguire il bello. Realizzare mobili e oggetti progettati da “maestri del design” contemporaneo e realizzati a mano da “maestri artigiani” è la mission di NAE. NAE, inoltre, promuove fortemente la località delle culture artigiane che valorizza: ogni tappeto della collezione “Sardinian rugs”, infatti, viene realizzato utilizzando solo ed esclusivamente lana sarda; più precisamente, la trama e l’ordito dei tappeti sono in cotone mentre il vello è in lana. target L’azienda distibutrice (ndr. Moroso) si posiziona in fascia medio-alta rispetto al mercato dei prodotti per interni; si occupa anche di contract e realizza progetti completi di interior design destinati a banche, navi, alberghi, ristoranti, aereoporti, etc. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso I tappeti della collezione “Sardinian rugs”, così come ogni progetto che nasce nella cornice filosofica di NAE, sono tutti progetti a due teste e numerosi mani: il singolo prodotto nasce dall’incontro unico tra la creatività di un designer e la sapienza di un artigiano. Il meta-prodotto che ne scaturisce è, a sua volta, realizzato a mano da mastri artigiani (con tecniche manuali e materiali locali): le variabili materiche e quelle intinsecamente connesse alla lavorazione manuale fanno sì che ogni pezzo prodotto sia di fatto un originale. processo di attualizzazione potenziale di attivazione Il prodotto finito si può considerare “strettamente locale” per quanto concerne l’ambito tematico3 e produttivo, aprendosi invece “al globale” sul versante della distribuzione: la collezione è infatti pensata per raggiungere, potenzialmente, tutti i punti vendita del marchio Moroso. La produzione recupera e valorizza tout court un sapere tipico, sia nella forma materiale che immateriale: da una parte, infatti, la collezione è realizzata mediante una tecnica di lavorazione locale sarda (la tessitura cosiddetta a pibiones); tecnica che necessita di essere perforata da manodopera locale esperta. La tecnica tessitoria a pibiones, letteralmente “ad acino d’uva”, prevede tre passaggi base: il vello (la lana) viene fatto passare attraverso i fili che compongono l’ordito; successivamente il vello viene sollevato e fatto passare attraverso un ferro in ottone per creare i singoli “pibiones”; infine, i “pibiones” sono fissati tramite la battuta della cassa sul pettine, che comprime il vello tra la trama. La tecnica “a pibiones” non prevede quindi l’utilizzo di nodi, e questo rende ogni tappeto più prezioso. Ad ogni interruzione di colore la lana deve essere tagliata e fissata. Data la complessità e la delicatezza della lavorazione, la realizzazione di un singolo tappeto richiede circa quindici giornate di lavoro di un artigiana esperta; nei tappeti più grandi, per consentire una esecuzione corretta delle fasi della battuta è richiesta addirittura la lavorazione contemporanea di due artigiane. agente di attivazione collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). II risultato dell’incontro fra designer e artigiani è sempre un pezzo molto particolare: un oggetto che il talento e il rigore del designer rendono contemporaneo dal punto di vista estetico e formale, e a cui la realizzazione manuale regala un’unicità e un valore che nessuna produzione di serie può raggiungere. Si tratta di pezzi che vivono in tirature limitate, proprio perchè realizzati quasi interamente a mano; in alcuni casi anche pezzi unici, nati per rispondere al desiderio di esclusività di un committente o alla particolarità di una situazione irripetibile. conservazione di forma o processo Il processo produttivo si conserva uguale a se stesso, nel tempo. La qualità estetica del prodotto beneficia invece della traduzione in un linguaggio contemporaneo: il lavoro della Urquiola infatti è tutto giocato sulla libera re-interpretazione dei disegni tradizionali sardi e sul recupero/riutilizzo creativo dei materiali locali. I bianchi, i grigi ed i marron melange sono i colori naturali della lana di pecora, e quindi vengono utilizzati senza colorazioni artificiali; per gli altri colori viene utilizzato come base il bianco naturale e per questo motivo il colore finale varia a seconda della tonalità del bianco di partenza. Non ultimo, per fissare il colore alla lana viene utilizzato l’aceto: anche questo fa sì che i differenti colori scelti da Patricia Urquiola possano presentare, nel prodotto finito, leggere variazioni di tonalità. grado d’innovazione del caso Il punto forte del caso è senz’altro la “partnership ideativa” del prodotto. Il progetto, infatti, si radica nella filosofia NAE (nella quale il designer arriva al bello passando per un rapporto più diretto con l’artigiano e con la cultura materiale della nostra terra) beneficiando infine del potenziale comunicativo e distributivo di Moroso. riferimenti e altri link NOTE 1 In particolare la tecnica “a pibiones”. 2 Handmade interior design. sitografia http://www.moroso.it http://www.naestore.it 3 Anche se i tappeti tradizionali sardi nascono per uso domestico, mentre quelli prodotti da Moroso si propongono per destinazioni d’uso più diversificate e, in alcuni casi, prestigiose. 06\ BABY-GAMY francia, 2005 fonte: editoria (Chronicle Books) specificità tipo di progetto progettista (autore) descrizione: obiettivi e risultati Si tratta di un libro (di autore francese) che recupera, reinterpreta e illustra una serie di tecniche per avvolgere e infagottare i bambini, dai neonati a quelli un po’ più grandi. Sarvady Andrea Tutti conoscono l’origami, l’arte giapponese di piegare la carta: da questo immaginario nasce il babygami, ovvero una pratica che raccoglie diverse tecniche per infagottare i piccoli. Si tratta di tecniche prese a prestito da culture antiche, come quella del kanga africano o del rebozo messicano. Non si tratta naturalmente delle vecchie fasce nelle quali venivano costretti i bambini all’epoca dei nostri nonni, ma il principio è lo stesso: la fasciatura, che deve essere contenitiva ma confortevole, quindi non troppo stretta, aiuta a calmare il neonato, che si sente al sicuro, protetto nel tepore, come nell’utero materno; alcune pratiche di fasciatura risultano inoltre utili per ridurre il rischio SIDS, la morte in culla. Nel testo trovate una serie di varianti, dal fagotto per fare lavori domestici, a quello da ufficio, da picnic o da sera. Il libro è stato editato e tradotto in diverse lingue ed è naturalmente presente in rete. target immagine caso studio Per la natura del suo contenuto, il libro si propone come un mauale pratico, decisamene ironico, indirizzato per lo più a giovani neomamme cosmopolite. parole chiave di sintesi performance | intercultura | nuovi costumi | accessorio moda rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso processo di attualizzazione potenziale di attivazione Il caso studio esemplifica una forma di valorizzazione di pratiche/performance tradizionali mediante trasposizione editoriale. L’autore attualizza e ripropone in chiave contemporanea una serie di pratiche tradizionali della fasciatura neonatale, appartenenti non solo ad un tempo passato ma anche ad aree geografiche altre rispetto al hic et nunc di chi scrive. L’insieme di tali pratiche è presentato attraverso un’operazione editoriale che gioca il ruolo di piattaforma di diffusione; analogamente, la scelta stilistica (ndr. manuale illustrato) e che ha guidato la realizzazione del volume contribuisce a globalizzare il target di riferimento, intercettando trasversalmente diverse culture e consentendo, in ultma analisi, di rendere il prodotto accessibile ad un pubblico più eterogeneo. Il testo si propone come un manuale d’uso dell’arte del baby-gami: è chiara la matrice metaforica che ammicca all’arte giapponese, la quale risulta particolarmente efficace per conferire alla raccolta autorevolezza e, insieme, consentire di percepirla come un unicuum consolidato di pratiche. conservazione di forma o processo Il processo del “piegare” rimane l’elemento di conservazione: materiali utilizzati e finalità della pratica (nonchè relativi beneficiari), cambiano. grado d’innovazione del caso La pratica della fasciatura è interpretata in chiave ludica e proposta come una performance naïf, ma collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). molto modaiola. Le fasce stesse diventano una nuova merceologia di prodotto, un accessorio fashion. riferimenti e altri link sitografia http://www.blogmamma.it http://www.urbanbaby.com.au 07\ SHADOWLAND Stati Uniti, 2009 fonte: Pilobolus Dance Institute specificità tipo di progetto committenza/progettista Si tratta di una performance di danza contemporanea giocata sulla rivisitazione del teatro delle ombre. Lo spettacolo è stato creato da: Steve Banks, Robby Barnett, Renée Jaworski, Matt Kent, Itamar Kubovy, Michael Tracy; in collaborazione con: Josie M. Coyoc, Mark Fucik, Christopher Grant, Molly Gawler, Damon Honeycutt, Renée Jaworski, Beth Lewis, Roberto Olvera, Derek Stratton, Lauren Yalango. Cast: Mark Fucik, Christopher Grant, Molly Gawler, Damon Honeycutt, Renée Jaworski, Beth Lewis, Roberto Olvera, Derek Stratton, Lauren Yalango Direttori Artistici: Robby Barnett, Michael Tracy, Jonathan Wolken Musica (elemento essenziale di Shadowland e perfetta commistione di modernità e tecnica): David Poe. Scene: Neil Patel. Costumi: Liz Prince. Luci: Neil Peter Jampolis. E’ interpretato dalla Pilobolus Dance Theatre: compagnia americana di danzatori/atleti1 nata nel 1971 da un gruppo di studenti universitari del Darmouth College (Alison Chase, Jonathan Wolken e Moses Pendleton). Pilobolus è un fungo trasparente amante del sole, che può lanciare le sue spore fino a 20 metri di distanza; il nome del gruppo è espressione-simbolo dell’energia e delle forme fantastiche che i danzatori fanno esplodere sulla scena. descrizione: obiettivi e risultati immagini caso studio Non è propriamente uno spettacolo di danza; neppure una spettacolo teatrale. Non è solo recitazione, né solo movimento, né solo fisicità espressiva: parole chiave di sintesi performance | danza contemporanea | remix | linguaggi espressivi questa è Shadowland, il Paese delle ombre. Si tratta di un luogo immaginario e a tratti inquietante (che richiama la Wonderland di Alice) nel quale si muove la protagonista: una giovane donna che desidera fuggire dalla premura dei genitori. Gente semplice, che a un’adolescente sta stretta come scarpe più piccole di un paio di misure. Così fugge nella notte per ritrovarsi in un “sogno di ombre” da cui non riesce più a uscire. risorse impiegate/attori coinvolti Il risultato è un processo coreografico basato sulla collaborazione e su un nuovo approccio alla divisione dei pesi che dà alla giovane compagnia una serie di abilità molto forti, ma assolutamente non tradizionali, per fare danza. La compagnia non ha mai perso il suo impeto originario e rimane profondamente legata all’idea di collaborazione tra i suoi membri, con i suoi quattro direttori artistici e sei ballerini che contribuiscono a creare uno dei più popolari e più variegati repertori di danza. Più di tre decenni di attività e un repertorio di circa 85 opere coreografiche sono oggi la testimonianza più concreta della particolare fertilità e longevità e della perfetta sinergia creativa dell’ensenble. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso Il merito della compagnia Pilobolus Dance Theatre è di aver creato, in particolare con Shadowland, uno spettacolo innovativo che passa attraverso la valorizzazione dell’immagine: una forma d’arte recuperata “in remoto” (distante nel tempo e nello spazio dalla realtà narrativa e perfomativa del gruppo di danzatori) è tradotta in linguaggio e forme contemporanee, beneficiando di una costruzione che recupera e combina, in un remix affatto originale, stili di rappresentazione eterogenei. In primis i giochi d’ombre, mediante i quali questi giovani dai corpi potenti e scolpiti danno forma a prospettive inimmaginabili; lungo la narrazione poi, si susseguono e alternano citazioni cinematografiche e schemi narrativi al limite del fumettistico2. Anche la colonna sonora (di David Poe), le cui composizioni poetiche spaziano da ballate a pezzi hardrock, si inserisce in questa linea progettale. processo di attualizzazione Il Pilobolus Dance Theatre vive e lavora a Washington Depot (Connecticut) e si esibisce per il pubblico teatrale e televisivo in tutto il mondo. Le coreografie dei Pilobolus fanno parte dei repertori delle maggiori compagnie di danza, quali il Joffrey Ballet, il Feld Ballet, l’Ohio Ballet, l’Arizona Ballet e l’Aspen/Santa Fe Ballet negli Stati Uniti, il Ballet National de Nancy et de Lorraine, il Ballet du Rhin in Francia e il Balletto di Verona. Shadowland continua a migrare tra i cartelloni dei maggiori teatri del mondo. potenziale di attivazione collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). Le ombre cinesi sono un tipo di spettacolo molto antico3 che veniva svolto in teatrini ambulanti che si spostavano da un paese all’altro, similmente ai gabbiotti delle marionette o dei pupi siciliani. Era comune trovare questi teatri ambulanti vicino ai templi, durante le ricorrenze religiose, ma anche nelle feste laiche come il Capodanno o alle fiere di paese. Nel teatro tradizionale, i gruppi teatrali, dovendosi adattare alle rappresentazioni a cielo aperto, utilizzavano una pedana smontabile fatta di barre di legno laccate di rosso, davanti alla quale montavano un sipario rosso vivo decorato con fiori dorati per dare più intensità all’atmosfera di festa. Nel tempo, gli “attrezzi” del mestiere si raffinarono, lo schermo da semplice foglio di carta bianca incol- lato su una cornice di legno venne sostituito da un lenzuolo di tela bianca e l’illuminazione, dalla lampada ad olio, con gli anni ‘50, passò alle lampade fluorescenti rendendo così le attuali immagini più nitide e definite. Similmente, i danzatori del Pilobolus Dance Theatre raccontano questa storia dietro (a tratti anche davanti) uno schermo bianco che, retroilluminato da luci colorate, restituisce allo sguardo ombre e sagome nere. Gallerie e improvvise strettoie, ripari e spazi impossibili si generano dalle ombre di cornici abilmente manovrate davanti alle luci... ma l’artificio scompare durante lo spettacolo, tutto è meravigliosamente credibile, tridimensionale, reale (anche nella scala4) e affascinante. Lo schermo ruota, a volte, si toglie di mezzo e rivela la realtà più profonda dando ulteriore senso alle scene fondamentali. Recitare il teatro delle ombre serviva, nell’antica Cina, a venerare le divinità ma anche a scacciare fantasmi e mostri, anche se poco dopo ha assunto il suo carattere di intrattenimento che conserva tutt’oggi. In Shadowland, i corpi dei danzatori si sostituiscono alle più tradizionali marionette5 modellando qualsiasi cosa: dietro lo schermo, in una costante esplorazione della “mutabilità” del corpo umano, assumono le posizioni più strane e diventano elefanti, automobili, strane creaturine aliene, colline e dirupi, cacciatori e centauri. Qualche oggetto aiuta nel caratterizzare i dettagli e le distanze dalla luce per creare ulteriore profondità alla scena. conservazione di forma o processo Per la natura specifica dell’esempio citato si può parlare di “riproduzione dell’autentico”. Il processo coreografico da cui si origina la specifica performance infatti è esso stesso “un prodotto originale”, risultato del remixaggio di cui sopra. Stili e linguaggi diversi (e per provenienza e per tradizione culturale) sono riproposti, sincreticamente, in chiave contemporanea. grado d’innovazione del caso Il punto forte di Shadowland è la capacità di massimizzare risultati scenici e narrativi attraverso una sapiente “pratica di remixaggio” estetico tra diversi linguaggi e stili di rappresentazione in grado di comunicare ad un vasto pubblico e, insieme, coinvolgerlo con una fascinazione culturale che viene da pratiche millenarie. Il vocabolario fisico delle coreografie dei Pilobolus deriva da intensi periodi di improvvisazione e gioco creativo. Questo processo suscita da sempre grande interesse, tanto che nel 1991 la Compagnia inaugura il Pilobolus Institute, un programma di formazione che utilizza “l’arte della coreografia” come modello per il pensiero creativo in ogni campo. Con Shadowland la compagnia presenta uno spettacolo che è allo stesso tempo danza, gioco con le ombre, circo e concerto; numerose acrobazie si mescolano al tutto spiazzando lo spettatore e sovvertendo i canoni della danza con improvvisazione ed ironia. Sul palcoscenico appaiono e si dissolvono forme fantastiche di esseri invertebrati o animaleschi. Questo era lo scopo dei fondatori, ossia creare “un nuovo stile teatrale”, per il quale erano stati coinvolti non solo danzatori, ma anche acrobati e sportivi di svariate discipline. riferimenti e altri link sitografia http://www.pilobolus.com http://www.festivalombre.it http://www.mondogreco.net/teatroombre.htm http://www.collezionemariasignorelli.it/teatro_ombre_testo.htm NOTE 1 Dai Pilobolus nel tempo si sono sviluppate altre compagnie tra cui i Momix. 2 Non a caso la sceneggiatura è stata sviluppata in collaborazione con Steven Banks, ideatore del famoso cartone animato SpongeBob SquarePants. 3 Con radici condivise da una serie di etnie nomadi, rintracciabili anche in differenti bacini culturali del mediterraneo: queste varie culture sono accomunate da un teatro che carica l’ombra stessa di una valenza religiosa. I Turchi erano nomadi delle steppe dell’Asia centrale; attorno al 400 d.C. cominciarono a migrare verso i tre grandi Imperi classici: quello Romano, quello Indiano e quello Cinese. 4 diversamente dalla tradizione teatrale cui ci si riferisce (ndr. il teatro delle ombre). 5 Strumenti classici nelle rappresentazioni del teatro delle ombre cinesi; inizialmente in legno, poi in cuoio. L’antica arte cinese è, poi, stata esportata in tutto il mondo e, al giorno d’oggi, con ombre cinesi si indicano, in generale, tutte le ombre che vengono proiettate attraverso l’uso delle mani o di ritagli di carta o cartoncini. 08\ Design Connects People Torino, 2008 fonte: evento Geodesign - La mobilitazione dell’intelligenza collettiva. 48 progetti per Torino; all’interno della manifestazione Torino World Design Capital. specificità tipo di progetto committenza/progettista descrizione: obiettivi e risultati Campagna di comunicazione, e relativi artefatti (un normografo e un nastro adesivo speciale), per sensibilizzare circa le differenze di genere. Associazione GLBT e circolo culturale “Maurice” / Nucleo; in collaborazione con Litografia Geda. Sin dal primo incontro l’Associazione GLBT, insieme al circolo Maurice, hanno espresso l’esigenza di lavorare sul tema della comunicazione per incentivare la sensibilizzazione della città nei confronti della loro causa di prevenzione delle malattie e di affermazione dei diritti civili. A questo scopo Nucleo ha progettato una campagna di comunicazione per il servizio telefonico di ascolto gay “Contatto” e uno speciale normografo con dei caratteri e delle sagome particolari che ricoprono l’intero arco delle differenti identità sessuali, partendo dall’idea di diffondere il normografo nelle scuole e di promuoverne l’utilizzo come una forma di viral marketing. Prendendo come spunto un oggetto ormai obsoleto (ndr. il normografo, oggetto utilizzato per uniformare la scrittura) Nucleo inventa il normografo dei comportamenti sessuali: un oggetto-provocazione che ha la pretesa di ricordare a tutti la normalità di comportamenti notoriamente definiti come “diversi”. immagini caso studio L’elemento principale del progetto, denominato Design Connects People, è quindi il normografo, che nella comunicazione viene associato ad altri due elementi fondamentali: la carta colorata nei parole chiave di sintesi sistema di comunicazione | costume | replicabilità | veicolo immateriale 6 colori dell’arcobaleno, simbolo del movimento GLBT, e la matita. Oltre a questi progetti, Nucleo ha proposto a Litografia Geda anche un nastro adesivo arcobaleno con cui ricoprire le brutture della città, e alcune sedute in cartone, anch’esse decorate con l’arcobaleno, per la manifestazione contro l’omofobia. Gli oggetti e i manifesti creati per la mostra (a seguito esprimono il concetto in diverse forme. risorse impiegate/attori coinvolti risorse impiegate/attori coinvolte Si è costituito, seppure temporaneamente, un partenariato finalizzato all’azione progettuale composto da: - Circolo di cultura Gay, Lesbica, Bisessuale e Transgender (glbt) MAURICE: un Circolo Arci Nuova Associazione, nato nel 1985. La sua attività è stata da sempre finalizzata a combattere ogni tipo di discriminazione e pregiudizio, con particolare riferimento al diritto alla libera espressione dell’orientamento sessuale e dei percorsi dell’identità di genere. E’ un circolo misto, che sente propria l’eredità del movimento femminista e del movimento glbt e ritiene che attraverso il confronto di soggettività diverse possa nascere progettualità e ricchezza. Attualmente il Circolo fa parte del coordinamento Torino Pride, che ha organizzato il Pride nazionale del 2006 a Torino (all’epoca come Comitato TP), quelli regionali del 2007, del 2008 a Biella e del 2009. Il Maurice fa inoltre parte del Coordinamento nazionale Facciamo Breccia, autodeterminazione, laicità, antifascismo, cittadinaza. - Nucleo Design Solutions (nelle persone di Piergiorgio Robino, con Stefania Fersini e Alice C. Occleppo) Studio di desing, formatosi nel 1997, che lavora ispi- randosi al software open source: fare design come un codice aperto, attraverso il quale coinvolgere progettisti diversi ma accomunati dallo stesso linguaggio sviluppando in questo modo progetti sempre nuovi e al contempo sempre diversi, ma per questo sempre collegati. - Litografia Geda è il partner produttivo. Nello specifico, all’azienda è stato commissionato il prototipo del nastro adesivo arcobaleno utilizzato negli eventi. target A corto raggio, il progetto mira a coinvolgere e sensibilizzare il contesto in cui l’Associazione si radica, ovvero la realtà torinese; a beneficio della comunità glbt locale e dei frequentatori del Circolo Maurice. Potenzialmente il sistema di artefatti si candida a strumento di comunicazione delle differenze di genere tout court. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso processo di attualizzazione collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). Il caso studio in oggetto rende manifesta la complessità e l’ampiezza, in termini di senso, del termine “comunità culturale”. Il caso, inoltre porta alla luce le dinamiche progettuali che contribuiscono all’incorporazione delle qualità immateriali in un oggetto inteso come “artefatto” socialmente costruito: esempio specifico della possibilità di far veicolare ad un oggetto “classico”, mediante un processo di risemantizzazione, un nuovo contenuto condiviso. Ambito applicativo e contesto rimangono invariati; si assiste invece ad un interessante processo di trasferimento con-testuale e, soprattutto, temporale (ndr. la riproposizione, nell’era dell’accesso per dirla con Rifkin, di uno strumento analogico tradizionale, manuale; un evergreen della cultura politecnica occidentale). potenziale di attivazione agente di attivazione conservazione di forma o processo grado d’innovazione del caso L’artefatto conserva un sistema di saperi (modello di comunicazione) tradizionale, innestandovi un sistema di qualità (i valori di GLBT) totalmente altro. Il progetto nasce sul bisogno di comunicazione dell’Associazione GLBT. Naturalmente non si può omettere l’evento contenitore (ndr. Geodesign 2008) che, concettualmente, ha reso possibile l’incontro tra micro-realtà etniche/comunitarie torinesi e coppie di designer-aziende interessati al progetto. Il caso rappresenta un esempio di conservazione di processo. Rispetto alla campagna di comunicazione, infatti, si identifica nel normografo l’elemento chiave; l’artefatto (inteso come l’oggetto e, insieme, il sistema dei significati incorporati) è portatore di un nuovo contenuto co-costruito: un abaco iconico e un alfabeto delle differenze di genere, ad alto potenziale comunicativo. Il normografo, ridisegnato appunto in base ad un nuovo linguaggio per il GENERE CONDIVISIBILE, nasce su un concetto forte: il presupposto che la comunità GLBT tende a non utilizzare parole che identifichino un genere, in quanto non condivisibili dai diversi orientamenti sessuali. L’idea, quindi, è che la comunicazione avvenga omettendo l’ultima lettera della parola, sostituita da un asterisco (es. unito = genere maschile; unita = genere femminile; unit*= genere condivisibile). A questo proposito sono state progettate due nuove lettere (a/o, e/i), nelle varianti maiuscolo e minuscolo, da utilizzarsi per le parole riferite a persone che identificano un genere (maschile o femminile), rendendole condivisibili. riferimenti e altri link bibliografia sitografia Boeri, S. con Mirti, S. e L. Tozzi. 2008. Torino GEODESIGN. Milano: Ed. Abitare Segesta Abitare n°483 http://www.torinogeodesign.net http://www.torinoworlddesigncapital.it http://nucleo.to/nucleo/?cat=0&p=home http://www.mauriceglbt.org/drupal/ 09\ TAPPETI Torino, 2008 fonte: evento Geodesign - La mobilitazione dell’intelligenza collettiva. 48 progetti per Torino; all’interno della manifestazione Torino World Design Capital. specificità tipo di progetto committenza/progettista descrizione: obiettivi e risultati risorse impiegate/attori coinvolti immagini caso studio Rivisitazione della tradizione romena di allestimento dello spazio domestico, reinterpretata in termini materici e semantici (realizzata, da manifattura indiana, con materiali non tradizionali e destinata allo spazio collettivo, seppure interno). comunità ROMENI torinese / Paolo Zani; in collaborazione con Warli per la realizzazione dei prototipi. L’associazione Fratia, situata quasi all’ingresso di Porta Palazzo, è il punto di incontro della numerosa comunità romena di Torino. Il principale oggetto della loro tradizione culturale è il tappeto, usato oltre che nella funzione che noi conosciamo, anche per decorare le pareti della casa e rendere confortevoli gli ambienti di ritrovo della comunità. Paolo Zani con la sua ditta Warli che produce tappeti realizzati da artigiani indiani, ha reinterpretato in chiave contemporanea quest’utilizzo, realizzando un ibrido fra tappeto e seduta bassa, da sistemare lungo le pareti della sala comune dell’associazione. Vere e proprie aree di relax e conversazione, possono essere singole o doppie, realizzate con due tipologie di tappeto: una più sottile (rib durrie) fissata a parete, e l’altra, spessa, a pavimento, parzialmente calpestabile, con sopra un cuscino mobile dove si possa lavorare anche al computer, conversare o leggere. Il progetto ha coinvolto alcuni membri della comunità romena di Torino e i rappresentanti dell’associazione Fratia. Il progettista, Paolo Zani1, parole chiave di sintesi complemento d’arredo | interior | collettività ha invece messo in campo le sue capacità professionali e la sua expertise produttiva: la Warli, tappeti contemporanei. Warli nasce nel 1992, dall’incontro tra il designer e una cooperativa di artigiani tessitori del nord dell’India. L’azienda collabora, tra gli altri, con Jonathan Olivares. target L’azione progettuale è indirizzata, in primis, alla comunità romena stessa, così come agli altri frequentatori dell’associazione Fratia. I tappeti, che invece potenzialmente entrano a far parte della linea di prodotti della Warli, sono pensati per soddisfare i bisogni di un pubblico più ampio, fuori dalle cornici etniche sopracitate. La funzionalità e l’estetica dei tappeti infatti ben si prestano ad arredare spazi destinati ad un uso misto (pubblico/privato), socializzante o ludico; aree lounge o relax. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso Esempio di prodotto come portatore dell’azione: le qualità immateriali incorporate si estrinsecano in un “sistema formale” che veicola l’informazione culturale, rendendola manifesta e fruibile (in questo caso, suggerendo un “agito” appunto). processo di attualizzazione mantenendo piuttosto saldo l’ambito tematico (da tappeti pensati per interni domestici si arriva a progettare tappeti per interni “collettivi”) il progetto compie un doppio movimento contestuale: in prima battuta il progetto, che nasce dalla cultura romena collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). tradizionale, si riferisce ad una particolare realtà romena, ovvero una nicchia culturale trapiantata a Torino; secondariamente, il prodotto finale (by Warli) deve essere necessariamente metaculturale poiché è potenzialmente destinato a un pubblico eterogeneo che, dunque, deve essere in grado di comprendere il senso dell’oggetto e sfruttarne le potenzialità a prescindere dalla conoscenza delle origini culturali da cui prende avvio. potenziale di attivazione agente di attivazione conservazione di forma o processo grado d’innovazione del caso Il prodotto, anche per come è stato concepito secondo la politica dell’evento Geodesign, rivitalizza una qualità con una connotazione forte; il tappeto incorpora una forma di “socialità” tradizionale romena. Processo produttivo (ancora artigianale, ma facente capo a una tradizione differente) e materiali sono invece frutto dell’incontro con “il nuovo”, in termini spazio-temporali. L’evento contenitore (ndr. Geodesign 2008) che, concettualmente, ha reso possibile l’incontro tra micro-realtà etniche/comunitarie torinesi e coppie di designer-aziende interessati al progetto. Il progetto valorizza la dimensione estetica del prodotto originario; recuperandone, in particolare, elementi formali e tattili. Questi ultimi sono portatori dell’informazione necessaria –nonché culturalmente connotata- alla comprensione dell’uso dell’artefatto stesso. Il caso studio beneficia, in primo luogo, della cornice metaprogettuale all’interno del quale è stato possibile avviare un partenariato affatto singolare. Rispetto agli esiti progettuali specifici, si evidenzia una visione intelligente dello spazio pubblico e una modalità intrigante di riproporre una forma tradizionale, dosando in modo raffinato i contributi estetici e i rimandi cromatico/decorativi all’originale. riferimenti e altri link bibliografia sitografia Boeri, S. con Mirti, S. e L. Tozzi. 2008. Torino GEODESIGN. Milano: Ed. Abitare Segesta Abitare n°483 http://www.torinogeodesign.net http://www.torinoworlddesigncapital.it http://www.warli.it http://www.paolozani.it NOTE 1 Designer milanese d’adozione, progetta arredi e oggetti per la casa e l’ufficio. 10\ neoBERIMBAU Torino, 2008 fonte: evento Geodesign - La mobilitazione dell’intelligenza collettiva. 48 progetti per Torino; all’interno della manifestazione Torino World Design Capital. specificità tipo di progetto committenza/progettista descrizione: obiettivi e risultati Il berimbau, fondato sull’interazione di una zucca africana, un’asta flessibile e una corda, è lo strumento musicale più importante della Capoeira, la tradizionale danza brasiliana nata come dissimulazione della lotta. Questo nuovo modello utilizza materiali sperimentali e innovativi. Scuola di CAPOEIRA (Torino) / design di Vered Zaykovsky + Civico13; in collaborazione con Co.Mo.R - Costruzioni Modelli e Resine (realizzazione prototipi). Il berimbau è lo strumento principale suonato dal vivo durante la Capoeira, danza tradizionale brasiliana che trae origine da un’antica lotta popolare. Realizzato con una zucca africana, un’asta flessibile e una corda, che vibrano percosse da una pietra producendo il suono più importante della musica della Capoeira, diventa a Torino strumento difficile da trovare e molto costoso da realizzare. Da questo gap emerge la richiesta di Mestre Elisio e degli studenti dell’Associazione MultiKulti (ndr. la scuola di capoeira), alla ricerca di una versione dello strumento non solo più economica di quella tradizionale ma, auspicabilmente, più “locale” ovvero contaminata con nuovi materiali. Nella ricerca appassionata di nuove tipologie di sperimentazione sono stati coinvolti numerosi artisti, tra cui Gilson Silveira, Marco Cena, Stefano Zanderighi, Marco Golinelli e Luca Centrone. immagini caso studio parole chiave di sintesi accessorio moda | performance | glocale | costume risorse impiegate/attori coinvolti target Vered Zaykovsky Israeliana, di formazione è industrial designer, ma la si può definire un’artista eclettica, tra ricerca e sperimentazione. Dal 2006 è art director e designer per Sturm Und Plastic. + Civico13 (Andrea Lorenzon) Studio torinese di architettura, design e grafica, fa parte di TURN, la nuova design comunity torinese. Il progetto risponde primariamente ad una esigenza interna al gruppo committente. Il prodotto nato sulla base di questa domanda è però interessante per un pubblico più ampio, fatto sia di altre scuole di capoeira che di musicisti. Alcuni artisti sono stati coinvolti nella sperimentazione dei prototipi stessi (per testarne le qualità strumentali) a prova che lo strumento, così innovato, può candidarsi sul mercato come neo-berimbau a tutti gli effetti. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso Il caso studio mette a fuoco un tema importante, in riferimento al sapere incorporato negli oggetti d’uso, quando essi si trovano ad appartenere a due culture o, addirittura, ad essere oggetti di confine (per la particolare situazione di contesto) che possono considerarsi frutto dell’integrazione tra una cultura originaria e quella “ospitante”. Partiamo dal presupposto che la cultura si esprime mediante artefatti, i quali comprendono gli oggetti d’uso: una cultura locale, fortemente caratterizzata (ndr. i danzatori di capoeira), radicata in un “altrove” geografico è in grado di attivare connes- sioni significative innescando processi biunivoci di ferti-lizzazione culturale; la cultura “migrante” deposita, nel nuovo contesto, frammenti della sua impronta originaria (le scuole di capoeira) stimolando, in risposta, la mobilitazione di risorse appartenenti alla cultura “ospitante” (nuovi materiali per lo strumento) in funzione di una integrazione culturale vera e propria. La dinamica descritta non è lontana da quella che avviene nello stesso individuo migrante nel tentativo di integrare il suo duplice bagaglio culturale, con relativo portato identitario. processo di attualizzazione potenziale di attivazione L’ambito applicativo del prodotto oggetto del caso rimane pressoché invariato; si assiste invece ad una decisa delocalizzazione di contesto. Anche il parametro qualitativo rimane un vincolo progettuale: lo strumento infatti, pur nella sua nuova veste, ambisce a farsi portatore dei valori tradizionali brasiliani e dell’immaginario connesso alle performance di capoeira. Non secondario, lo strumento deve anche riproporre fedelmente la musicalità del suo “precursore”. Il sistema dei saperi invece risente del nuovo contesto culturale (il distretto torinese); emblematica la collaborazione con Co.Mo.R., produttore di resine, grazie al quale sono stati realizzati due prototipi funzionanti: il primo in vetroresina, il secondo in fibra di carbonio. Entrambi i prototipi hanno superato l’esame dei musicisti e si sono dimostrati più resistenti ed economici rispetto allo strumento tradizionale. collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). agente di attivazione Il caso presenta due “forze” catalizzatrici: la prima è nuovamente l’evento contenitore (ndr. Geodesign 2008) che, concettualmente, ha reso possibile l’incontro tra micro-realtà etniche/comunitarie torinesi e coppie di designer-aziende interessati al progetto; la seconda è la domanda specifica degli allievi della scuola di capoeira. conservazione di forma o processo grado d’innovazione del caso La forma peculiare dello strumento, inscindibilmente legata alla produzione del caratteristico suono, è conservata tout court. Lo studio di un processo si produzione radicato nel nuovo territorio d’uso che prevedesse l’utilizzo di nuove risorse (materiali) e una maggiore accessibilità del prodotto finito, sia in termini economici che propriamente di reperibilità dello strumento (altrimenti da importare). riferimenti e altri link bibliografia sitografia Boeri, S. con Mirti, S. e L. Tozzi. 2008. Torino GEODESIGN. Milano: Ed. Abitare Segesta Abitare n°483 http://www.torinogeodesign.net http://www.torinoworlddesigncapital.it http://www.cluster.eu/torino-geodesigntorino-geodesign/ www.civico13.it www.veredzaykovsky.com 11\ MBT: the anti-shoes svizzera, 1998 fonte: media e stampa specificità tipo di progetto committenza/progettista descrizione: obiettivi e risultati immagine caso studio risorse impiegate/attori coinvolti E’ il primo prodotto di physiological footwear immesso sul mercato calzaturiero mondiale (creando di conseguenza una nuova categoria per il settore merceologico); nello specifico si tratta di calzature, tecnologicamente all’avanguardia, che consentono di camminare “come i masai”. MBT è l’acronimo di Masai Barefoot Technology, conosciuta anche come “Swiss Masai”. Fu fondata dall’ingegnere svizzero Karl Müller nel 1998 a Roggwil in Svizzera, vicino a San Gallo. Le “anti-scarpe” sono un prodotto con cui si cammina come se si fosse scalzi. Non proprio inventate, sono state piuttosto “scoperte”: l’ingegner Müller, infatti, si dedicò allo studio e allo sviluppo di una tecnologia di calzature che ricreasse l’instabilità dei terreni soffici e naturali ispirandosi alla popolazione africana dei Masai1. Müller notò come i componenti di questa tribù erano praticamente immuni da qualsiasi dolore alla schiena: il loro segreto risiede nel fatto che non indossano le scarpe tradizionali e che possono camminare su superfici morbide come la sabbia, per cui sono costretti a mantenere in equilibrio il proprio corpo a ogni passo attivando anche quella parte di muscolatura normalmente trascurata camminando su terreni duri e piatti (i muscoli cosiddetti posturali del polpaccio, del post coscia, dei glutei e della schiena). Nel 1996 Müller giunse con il suo lavoro al primo prototipo di scarpa senza tacco: “Masai step”. Contemporaneamente continuò a sviluppare la tecnolo- parole chiave di sintesi calzature | performance | glocale | tecnologia gia della suola e quello che diventerà il cuore delle MBT: il Masai Sensor. Nel 2000 l’azienda iniziò la sua espansione diffondendosi anche in Austria e Germania; dall’anno successivo , grazie al successo della Masai Barefoot Tecnology, la rete di distribuzione si è estesa a più di 20 paesi. Dal suo inizio ad oggi, il marchio svizzero ha oggi ha raggiunto un fatturati da capogiro grazie anche alla distribuzione che oggi non si limita più solo ai negozi di calzature, ma anche abbigliamento, concept store e farmacie. Un trend in aumento che nel 2005 porta alla nascita della Masai Italia srl. target Dal 1996 le calzature sono disponibili sul mercato in diversi modelli, da quelli classici/trasversali ad altri indirizzati a target specifici: scarpa casual, sportiva, da donna, fino al sandalo; si dividono in tre linee: Casual per il tempo libero, Sport per le attività sportive, e Professional per manager, infermieri, commessi e insegnanti, ovvero gente che vive in piedi o deve camminare spesso. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso Il prodotto è stato in grado di tradurre e generare una “moda”, diffondendo uno stile di camminata. Eppure camminare non è un fatto naturale, ci ricorda il grande antropologo francese Marcel Mauss, bensì una tecnica del corpo che varia da cultura a cultura; ogni società ha abitudini proprie, elaborate nel corso dei secoli, e comunicate attraverso le consuetudini e l’imitazione. «Il corpo -scrive- è il primo e più naturale strumento dell’uomo». Le posizioni delle mani e delle braccia mentre si cam- mina, ad esempio, costituiscono un’idiosincrasia sociale. processo di attualizzazione potenziale di attivazione La moda delle scarpe Masai si giustifica con la ricerca di qualcosa di naturale, o meglio, di originale (ndr. nell’accezione data dalla presente ricerca, vedi glossario): l’esempio dell’ing. Müller testimonia la possibilità di astrarre, da un sistema di valori localizzato e codificato, uno o più elementi disponibili ad una traduzione “di massa”. agente di attivazione Il committente stesso funge da agente, e di attivazione e di attualizzazione. conservazione di forma o processo Il caso testimonia una modalità a-tipica3 di conservazione di processo: la scarpa, infatti, consente di riprodurre una “performance”, una filosofia del portamento ovvero la camminata masai. grado d’innovazione del caso collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). Molti degli strumenti che usiamo a livello fisico sono vere e proprie protesi (il bionico comincia da lì), in questo caso si tratta di uno strumento dall’elevato portato immateriale in grado di esportare geograficamente (globalizzare) una performance fortemente connotata localmente, nata in un cornice culturale ben precisa e peculiare. La Proietti scrive «Fanno parte di un filone diverso da quello modaiolo: soddisfano una vanità più concettuale e sono destinate a diventare le scarpeicona del radical chic». Il prodotto, che si presenta tecnologicamente all’avanguardia4, moderno nei materiali e nelle linee, è stato capace di conservare l’immaginario di provenienza; con le anti-shoe non si indossa solo una scarpa (per altro altamente ergonomia e fisiologicamente “terapeutica”) ma tutto un sistema culturale. riferimenti e altri link bibliografia Scalise, Irene Maria. 2009. “Mbt, camminare in stile Masai. Noi non crediamo nelle scarpe.” su La Stampa del 23 febbraio. Mastromattei, Daniela. 2009. “Corpi scolpiti dalle scarpe.” su Libero del 05 marzo. Proietti, Michela. 2008. “Masai metropolitani.” su Il Corriere della Sera del 06 agosto. Belpoliti, Marco. 2008. “I masai ci fanno le scarpe” su La Stampa del 20 ottobre. McSwiney, Don. 2007. “Happy feet. Research on new “rocking chair” shoe tests new approach to knee and hip pain” pubblicato su: <http://www.ucalgary.ca/news/uofcpublications/oncampus/ biweekly/oct12-07/feet> sitografia http://it.wikipedia.org http://it.mbt.com/default.aspx NOTE 1 La popolazione africana di stirpe e lingua nilocamitica che vive tra il Kenya e la Tanzania. 2 Beneficiando di un ulteriore crescita rappresentata dall’assottigliamento della suola. 3 Perché non direttamente connessa al processo produttivo; ci si riferisce qui al portato immateriale, ovvero il sapere incorporato nel prodotto. 4 Sono realizzate interamente in Goretex e con una suola multistrato. 12\ Mobili-origami Alfabeth di Marie Compagnon, 2006 Du Fil et une Aiguille di Gregory Lacoua, 2006 fonte: Sgalippa G., Ceresoli J. Trans-design. l’identità ibrida e contaminata dei prodotti di inizio millennio, tecniche nuove, Milano 2008. specificità tipo di progetto Alfabeth di Marie Compagnon committenza/progettista target Du Fil et une Aiguille di Gregory Lacoua Si tratta di prodotti d’arredo di valenza piuttosto indefinita ma, proprio per questo, predisposta ad interessanti applicazioni nl campo dell’arredo. Alphabet (di M. Campagnon) si configura come una presenza del tutto insolita nello spazio domestico: parte come un tappeto ma, grazie ad un assottigliamento del suo spessore secondo una rete asimmetrica, può essere piegato per formare dei volumi poliedrici cavi: una nicchia per dormire, una cuccia per il cane, una copertura per apparecchi multimediali. Du Fil et une Aiguille di (G. Lacoua) è un altro tappeto che può assumere la fisionomia del tabouret. Si tratta di prototipi sperimentali autoprodotti. Nello specifico Alphabet è stato prodotto in 18 esemplari ed esposto alla Biennale de St. Etienne del 2006. I prodotti in oggetto sono rivolti a giovani che prediligono un uso informale e creativo dell’arredo domestico. parole chiave di sintesi prodotto | oriente-occidente | trasformabilità rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso In entrambi i casi la cultura orientale propria dell’origami viene qui trasferita in oggetti facenti parte del paesaggio domestico occidentale, viene compiuto un salto di scala che investe l’arredo e possibilità di piegature “abitabili”. In questo caso non è la carta la materia da plasmare ma la lana cotta ed il feltro lavorate con apposite piegature. attualizzazione e attivazione Il processo di attualizzazione sta proprio nel trasferimento di una pratica tradizionale ad un settore merceologico nuovo attivando una ricerca al contempo di tipo materico e comportamentale conservazione di forma o processo In questo caso il riconoscimento della tradizione dell’origani risiede sia nella forma a piegature e geometrie variabili, sia nel gesto di auto costruire l’oggetto. grado d’innovazione del caso Il gradiente innovativo sta per lo più nella ricerca materica e geometrica. collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). Interpretazioni mediterranee 1998-2007 fonte: letteratura scientifica disciplinare specificità tipo di progetto Divano Magellano di Magistretti Riccardo Dalisi Si tratta di prodotti d’arredo firmati da designers di chiara fama (Magistretti e Dalisi) ispirati dalla cultura del Mediterraneo. Nello specifico il divano Magellano di Magistretti e prodotto da Campeggi riporta chiari riferimenti ad un altro complemento d’arredo: il tappeto e, nello specifico, al pezzotto che a sua volta rimanda non solo ad un prodotto ben specifico utilizzato in un altrettanto specifico contesto ma anche ad una tradizionale ed artigianale lavorazione. La forma ibrida divano-tappeto lo rende un oggetto informale dalla funzione ibrida e decontestualizzata. La reinterpretazione, da parte di Dalisi, della sedia Thonet e del letto a baldacchino con l’inserimento della forma della barca a due alberi nel primo caso e di vele-tende nel secondo, diventa una chiara dichiarazione di provocazione stereotipata del concetto di Mediterraneo trasferito a tipologie consolidate ed ormai radicate nell’immaginario collettivo. La relazione tra design e Mediterraneo è uno stimolo a cogliere le connotazioni più ampie che può assumere la risorsa design quando si applica nei più diversi contesti merceologici e produttivi e nelle varie forme e molteplicità degli aspetti propri del vivere contemporaneo. Oltre agli oggetti è interessante osservare i processi di progettazione e di costruzione che ne hanno reso possibile la riproduzione secondo scale operative funzionali alle peculiarità del settore. E’ interessante il confronto tra le varie culture tecniche all’interno della dimensione del fare nel Mediterraneo, perché parlare di design significa parlare di relazione, scambio di idee con operatori e produttori non solo sul tema della generazione del progetto e della realizzazione del prodotto, ma anche sulla necessità di sperimentazione di materiali e tecnologie innovative per impa- parole chiave di sintesi prodotto | mediterraneo | identità rare a riconoscere le radici locali ed a progettare nuove opportunità di sviluppo. committenza/progettista descrizione: obiettivi e risultati target Per il prodotto “Magellano” di Magistretti il committente è l’azienda Campeggi. Per i prodotti di Dalisi non esiste committenza ma si tratta di prototipi sperimentali autoprodotti progettista I prodotti in oggetto costituiscono un’importante testimonianza di trasferimento di valore dell’identità culturale locale, sono anche stati valorizzati all’interno di una ricerca universitaria nazionale Prin che ha indagato e messo a punto nuovi modelli di innovazione design oriented basati sul rapporto globale-locale. Il target dei prodotti in oggetto è da riscontrarsi in profili di consumatori che conoscono i prodotti di design e sono in grado di superarne il valore di status symbol riconoscendo in interpretazioni non convenzionali nuovi possibili usi e, soprattutto, significati simbolici. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso I prodotti presi in considerazione possono essere letti come reinterpretazioni d’ispirazione mediterranea. Gli stilemi, gli stereotipi, i linguaggi propri della cultura mediterranea trovano una loro nuova espressione in arredi contemporanei. La cultura come dialogo diventa motore collocazione del caso “divano Magellano” sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). d’innovazione. Qui il Mediterraneo viene visto come spazio simbolico prima che geografico. L’incontro fra culture oggi non è è più la riscoperta del “buon selvaggio” o la scoperta del “folklore come cultura di contestazione” cara agli antropologi degli anni Settanta, ma piuttosto la necessità di rivedere il problema dell’identità e della diversità. attualizzazione e attivazione conservazione di forma o processo grado d’innovazione del caso collocazione del caso (progetti di Dalisi) sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). Nel caso del divano Magellano di Magistretti il processo di attualizzazione avviene soprattutto nella rivisitazione di una funzione che investe il prodotto di una nuova forma provocando uno slittamento di significato ed uso. Nel caso dei prodotti di Dalisi invece vengono attualizzate tipologie di arredi tradizionali attraverso l’inserimento, in chiave ironica e provocatoria, di elementi iconografici e stereotipati dell’identità mediterranea. Nel caso di Magistretti il processo del rivestimento relativo alla lavorazione del materiale del tappeto e l’immagine del tappeto stesso rimangono applicati però ad una diversa forma e (in parte) anche funzione. Nel caso di Dalisi viene mantenuta la forma tradizionale degli arredi di partenza sui quali il progettista interviene. In entrambi i casi si tratta di un’innovazione simbolica più che tecnica anche se nel caso di Magistretti viene prodotta una discontinuità per lo più funzionale mentre nel caso di Dalisi iconografica. riferimenti e altri link bibliografia Dalisi R. (con A. M. Laville) Profondità delle superfici in Fagnoni R. Gambaro P. Vannicola C. op cit. Fagnoni R. Gambaro P. Vannicola C. (a cura di) Medesign_forme del Mediterraneo, Ed.Alinea, Firenze, 2004 Magistretti V. Design e relazione in Fagnoni R. Gambaro P. Vannicola C. op cit. La forma “invade” e “pervade” la funzione Radiatore Heat Wave di Joris Laarman (per Droog Design) fonte: Sgalippa G., Ceresoli J. Trans-design. l’identità ibrida e contaminata dei prodotti di inizio millennio, Tecniche nuove, Milano 2008. specificità tipo di progetto committenza/progettista target Si tratta di un radiatore a parete in cemento, alluminio e fibre di vetro. L’apparecchio è estendibile a piacere replicando un unico modulo ed è disponibile sia in versione elettrica che ad acqua. Il prodotto però è molto più di questo: si tratta di un’operazione trascrizione di stilemi del passato recuperando formalmente le decorazioni fitomorfe del Sei-Settecento. Droog Design Il complemento d’arredo in oggetto è rivolto ad un target sofisticato che si sdoppia in due branche rappresentate dalle seguenti espressioni-chiave: -lusso-antiquariato-arte contemporanea -eclettismo-non convenzionale rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso immagine caso studio Il prodotto in oggetto riprende temi decorativi del passato reinterpretandoli in chiave contemporanea. Le icone di partenza appartengono ad un mondo del tutto riconosciuto: lo stile Rococò ed il calorifero inventato all’epoca dell’industrialesimo. Sebbene la matrice linguistica risalga a diversi secoli fa, il progettista esplora nuovi modi di creare una texture parietale (quasi un tatuaggio in rilievo sulla parete). Il dato funzionale e tecnico si integra con le scelte espressive e tipologiche in un gioco che converte l’attrezzatura impiantistica in una potente occasione figurativa. parole chiave di sintesi forma | decoro | funzione attualizzazione e attivazione grado d’innovazione del caso L’attualizzazione avviene trasferendo elementi decorativi di un passato riconosciuto in uno stile ben preciso in una funzione (tecnologica) contemporanea. Si va a scardinare l’immagine tradizionale (e puramente funzionale) del calorifero, aprendo l’oggetto a nuovi scenari abitativi. La discontinuità progettuale che determina l’innovazione è data prevalentemente dalla reinterpretazione formale in un settore in cui la progettualità è solitamente riferita alla componente prestazionale e tecnologica. riferimenti e altri link sitografia www.jorislaarman.com www.droogdesign.nl collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). Ibridazione funzionali Lampada da thé Aladin, workshop Interferenze fonte: Sgalippa G., Ceresoli J. Trans-design. l’identità ibrida e contaminata dei prodotti di inizio millennio, Tecniche nuove, Milano 2008. specificità tipo di progetto target Aladin è una teiera-lampada. Si tratta di un sofisticato artefatto che assomma in modo paritetico due funzioni che, proprio nell’anima di questo oggetto, rivelano un’affascinante sinergia. E’ una teiera in vetro pyrex trasparente, dalla forma abbastanza classica, che presenta un vuoto lungo l’asse baricentrico, aperto sia sopra che sotto. Essa appoggia su un apposito vassoio al cui centro viene collocata una candela scaldavivande. La teiera viene collocata in modo che il piccolo cero vada ad inserirsi nel cilindro vuoto, dove passa l’aria che gli consente di bruciare. La candela accesa consente al liquido di mantenere il calore. Allo stesso tempo, la sua luce consente di creare con il thé un elegante gioco di trasparenza color ambra, rendendo ancora più mistico uno dei riti più diffusi al mondo. Aladin è rivolta ad un target minimal- neoetnicosofisticato, che si prende il tempo da dedicare alle ritualità intorno al cibo ed all’ospitalità. rilevanza per la ricerca “IbyCO” motivo d’interesse del caso immagini caso studio Questo oggetto è particolarmente interessante in quanto ibrida (in modo paritetico) due funzioni fortemente rituali rivelando una ridiscussione della domesticità tradizionale. Da secoli ed in ogni parte del mondo candela e teiera prendono parte, da protagoniste, nel paesaggio del design, in questo caso formano un binomio vincente sia sul piano dell’utilità sia in termini di performance visiva. Questa intuizione nasce sicuramente dalla ricerca di nuove configurazioni di foco- parole chiave di sintesi prodotto | ritualità | ibridazione lari domestici: è un semplice contenitore in vetro a produrre nuove suggestioni e nuove fonti emozionali. attualizzazione e attivazione conservazione di forma o processo grado d’innovazione del caso In questo caso il potenziale di attualizzazione risiede nella reintrerpretazione di due oggetti con un forte gradiente simbolico attraverso l’evocazione formale di una lampada magica atta ad esaudire desideri ed al contempo di illuminare il rito del thé. Siamo di fronte ad un oggetto che ha conservato la forma “originale” presente nell’immaginario collettivo anche se realizzata completamente in vetro. In questo caso l’innovazione risiede nell’attualizzazione di due elementi simbolici molto forti attraverso linguaggi estetici contemporanei e nell’ibridazione delle funzioni. collocazione del caso sugli schemi relativi a processo di attualizzazione (sopra) e potenziale di attivazione (sotto). NOTE 1 dal greco “stereos” (duro, solido) e “tupos” (immagine, gruppo), quindi “immagine rigida”. Proviene dal linguaggio tipografico (in origine, cliché e stereotipo avevano il medesimo significato): inventata da Firmin Didot per indicare una piastra di metallo su cui veniva impressa un’immagine o un elemento tipografico originale, in modo da permetterne la duplicazione su carta stampata. Oggi è una metafora per un qualsiasi insieme di idee ripetute identicamente, in massa, con modifiche minime e quindi della visione semplificata e largamente condivisa su un luogo, un oggetto, un avvenimento o un gruppo di persone accomunate da certe caratteristiche o qualità, con significato neutrale, positivo o negativo. 2 dal greco antico ὰρχέτῦπος col significato di immagine: tipos (“modello”, “marchio”, “esemplare”) e arché (“originale”). 3 Acquisisce cioè senso all’interno di una fruizione connotata. Un segno, chiamato da Peirce Representamen, non è necessariamente la rappresentazione di qualcosa che esiste (referente) ma è sicuramente una rappresentazione determinata da qualcosa di esistente, da una qualsiasi realtà fenomenica che è parte della nostra esistenza: l’Oggetto dinamico. 4 Non nell’accezione di mobile, ma per sottolineare il suo potenziale sintattico e indicale. 5 Semiologo. 6 Con un portato identitario e una capacità rappresentativa molto forti, dunque. 7 Riferimento alla pratica del “Papierfalten”, portato in Giappone con il Movimento Kindergarten intorno al 1880. 8 Il primo origami giapponese è fatto risalire al VI secolo, in seguito alle prime visite di monaci buddisti cinesi. In questo periodo la pratica dell’origami era per lo più utilizzata per scopi cerimoniali religiosi –anche a causa del prezzo elevato della carta-. 9 Ciò è tipico delle culture Orientali nella quali gli abiti, in generale, sono realizzati a partire da tagli geometrici non necessariamente antropomorfi. E’ l’abito che si adatta al corpo e non viceversa. 74 5. e classificatorio, per effettuare una ricognizione di alcune cifre distintive dell’opera pechinese che in particolare sono state divise per codici stilisticolinguistici (processuali, visivi, gestuali e spaziali) e successivamente verranno usati per stimolare il processo creativo, focalizzando l’analisi negli ambiti merceologici più significativi per esempio l’ambito moda (dal costume di scena all’abito e all’accessorio) o prodotto arredo (dagli accessori e decorazioni di scena a nuovi oggetti). Esiti della ricerca field L’approccio concettuale adottato in questo progetto di valorizzazione riconosce al patrimonio culturale materiale dell’opera Pechinese posseduto dalla Fondazione Ada Ceschin Pilone, un potenziale di attivazione e un valore d’uso incorporato in forme e processi, ossia qualità estetiche, formali, visive, materiali, performative e spaziali, potenzialmente integrabili e ri-usabili in nuovi artefatti, attraverso un processo creativo di attivazione e attualizzazione guidato dal design. La strategia operativa utilizzata prevede quindi un lavoro di osservazione e analisi del patrimonio e un processo di successiva astrazione e concettualizzazione degli elementi primari di maggiore caratterizzazione dell’opera pechinese, in cui i “fattori di autenticità” (ossia di “tipicità” o “riconoscibilità”) vengono estrapolati dalle forme degli artefatti, dai processi e dalle tecniche produttive, dalle modalità d’uso e di significazione, per divenire oggetti e materiali di progetto, per costituire cioè un repertorio di semilavorati inseribili in un nuovo processo creativo. In questa sede assumeremo il concetto di “codice” dal punto di vista semiotico come insieme di segni in cui si può distinguere il piano dei significanti (dimensione espressiva) ed il piano dei significati (dimensione dei contenuti). Evidenziare i codici che attengono a questo insieme di beni significa riportare i suoi elementi alla dimensione di alcune “unità minime di significato ed espressione” talmente caratterizzanti da poter creare quasi un “alfabeto” di processi, di elementi visivi (iconografici, cromatici e formali), di gesti e di spazi. Nello specifico: - i codici processuali indicano ricorrenze nel processo della messa in forma o della produzione degli oggetti e costumi; - i codici visivi raggruppano elementi minimi di tipo cromatico, formale, materico e iconografico di cui la collezione è particolarmente ricca; - i codici gestuali sono evinti dal paesaggio coreografico e dei movimenti che fanno parte della sfera espressiva del corpo; - i codici spaziali rappresentano le modalità ricorrenti in cui lo spazio scenico viene rappresentato (metaforicamente, materialmente, evocativamente). In questa fase iniziale, in particolare, si è lavorato nella scomposizione e semplificazione, attraverso l’uso di alcuni codici, degli stereotipi (ovvero “ciò che appare come condiviso”) dell’opera pechinese in alcuni archetipi2, ovvero nella definizione di elementi primari, con lo scopo di derivare alcune linee guida interpretative nella lettura e sintesi del patrimonio e future linee guida progettuali. In particolare i primi archetipi individuati (“oggetto scenico”, “piatto/pieghevole/ portatile”, “iper-caratterizzato” e “luccicante/vibrante/ritmico”) servono ora a scopo tassonomico 75 Astrazioni Il concetto di archetipo, viene proposto come “tipo originale” ossia, definizione essenziale della forma pre-esistente e primitiva delle caratteristiche dell’opera pechinese. Esse fanno riferimento sia a condizioni interne all’opera stessa che di contorno e di contesto. Nel dettaglio gli archetipi proposti sono: 1. oggetto scenico; si intende un oggetto il cui uso definisce più compiutamente la natura stessa dell’oggetto e la situazione di contesto entro cui si svolge l’azione; è una presenza visiva fruibile come icona o simbolo in funzione dell’uso che se ne fa. L’oggetto stesso gode di un potenziale sia evocativo che transizionale rispetto all’agito. Il termine specifico è preso a prestito da un ambito teatrale recente; in particolare è usato dello scenografo e regista ceco Josef Svoboda, così nei lavori della tedesca Anna Viebrock e del collega lituano Eimuntas Nekrosius. Anche in queste tradizioni drammaturgiche, l’oggetto è considerato strumento per l’azione3. L’oggetto scenico è dunque “cosa” che si fa segno: l’oggetto dinamico4 che, secondo il modello teorico di Peirce, dà inizio alla semiosi. Scrive Zingale5: «Secondo il modello teorico di Peirce, la semiosi ha inizio con l’Oggetto dinamico ovvero dall‘Oggetto dinamico. Alla base della semiosi sta quindi l’oggettualità, intesa: a) come mondo esterno al soggetto ma con cui o contro cui il soggetto si relaziona; b) come materialità fenomenica, mondo fisico e universo di scoperta: c) come ogni realtà, o effettualità ed eventualità, la cui esi-stenza è indipendente dalla volontà o intenzionalità del soggetto. Se nei primi due casi si può pensare che l’oggettualità dinamica sia necessariamente o soltanto quella che ritroviamo nel tabella sinottica delle “astrazioni”: CODICI x ARCHETIPI 76 mondo naturale, nel terzo caso essa comprende anche i prodotti dell’attività umana. Ogni espressione segnica, da questo punto di vista, è innanzitutto oggetto dinamico.» Volendo trasferire l’osservazione sugli oggetti di scena impiegati nel teatro dell’Opera Pechinese possiamo dire che i sistemi di oggetti tendono, globalmente, ad essere strumento per l’azione del comunicare. Gli oggetti di scena classici, di natura decorativa, sono un tavolo e due sedie (a definire una stanza immaginaria): il gruppo può simboleggiare alternativamente un palazzo, uno studio, una tenda militare, un luogo di corte, in funzione del pattern decorativo utilizzato nel contesto (scene) o sugli abiti degli attori in scena. Il tavolo così concepito è oggetto-scenico trasfigurato in funzione della narrazione; può essere letto, altura, ponte, torre, cancello, perfino nuvola. L’uso di un oggetto comporta e implica sempre una relazione con un secondo oggetto, artefatto o na77 zoom (dalla tabella) sulla striscia: OGGETTO SCENICO zoom (dalla tabella) sulla striscia: PIATTO|PIEGHEVOLE|PORTATILE turale, inteso anche come supporto. Da ciò deriva che le relazioni fra gli oggetti hanno una organizzazione sintattica, in quanto legami regolati, e una natura indicale, perché la relazione connette gli oggetti sia fisicamente sia logicamente. Così anche la posizione reciproca tra i tre oggetti classici della scena dell’Opera Pechinese, la quale fornisce un ulteriore livello di informazione per la narrazione: ad esempio la sedia posta dietro il tavolo indica un’occasione solenne; una sedia lasciata di fronte invece alluda ad una scena quotidiana. Le sedie, inoltre, possono essere dotate di cuscini di diversa altezza: ciò per rispondere alle diverse esigenze dei personaggi, i quali, in funzione del loro ruolo codificato, indossano scarpe con suole di diversa altezza: per i ruoli sheng o jing, suole di 20cm; dan e chou, suole fini da 1-2cm. I diversi personaggi necessitano di una quota-seduta differente (sitting posture) in funzione del loro “rango”. L’opera fa largo uso di oggetti scenici virtuali (mimati). i personaggi dell’Opera Pechinese vanno tutti a cavallo, ad esempio, ma non compare mai nessun cavallo reale. Si fa largo uso della figura retorica della sineddoche, ovvero basta un frustino in mano e si mima la cavalcata. Per meglio comprendere le forme di coinvolgimento dell’intorno, agito e allestito, che l’oggetto scenico 78 un’antichissima tradizione tessitoria: il ke si, ovvero “seta tagliata”. A partire dal 100 d.C., infatti, venne impiegato un particolare modo di tessere la seta (per il vanto dell’Imperatore), metodo col quale si ottenevano arazzi con precisi disegni, quasi fossero dipinti. I tessuti erano impreziositi da ricami, ad alto contenuto simbolico e dall’iconografia complessa (sempre codificata in funzione delle esigenze di scena) realizzati tra gli altri con fili metallici, anche in oro. attiva sul palco possiamo trovare dei riferimenti nelle discipline architettoniche. L’oggetto scenico, così come qui codificato, unisce concettualmente in un unicum le proprietà di due elementi classici della composizione architettonica: fonde il ruolo “passivo” ma catalizzatore degli epicentri, di per se stessi oggetti statici, con il potenziale generativo delle forze quali sorgenti, al limite invisibili, di un campo percettivo e di azioni in potenza (che si estende almeno fino all’incontro con un “margine”; sia esso animato o in-). La pratica del piegare scene e abiti si inscrive in una specifica espressione culturale cinese: in particolare si fa qui riferimento allo zhezhi, l’arte cinese di piegare la carta. Ci sono molte speculazioni circa l’origine degli origami: mentre il Giappone sembra aver avuto la tradizione più vasta, vi è specifica evidenza di tradizioni indipendentI di paperfolding in Cina, Germania7 e Spagna, tra gli altri. Lo zhezhi in particolare è considerata una forma precursore dell’origami giapponese8. L’obiettivo di questa arte è quella di trasformare un unico foglio di materiale finito in una scultura, attraverso la piegatura; come tale l’uso di tagli o colla non sono considerati come origami. Nel tempo la pratica si è mostrata meno rigorosa rispetto a queste convenzioni, introducendo forme di taglio, tecniche di finforzo al materiale come lo wet-folding o, addirittura, prestandosi a lavorare materiali diversi dalla carta stessa e con forme di partenza non quadrate. 2. piatto/pieghevole/portatile. Questo archetipo, in forma di climax, allude ad un insieme di pratiche, prodotti e materiali ampliamente impiegati nella messa in scena dell’Opera Pechinese. Già alle sue origini infatti, quando la scena si svolgeva su di un piccolo palco dai lati aperti, la scenografia consisteva in un tendaggio unico, finemente ricamato, che comprendeva le aperture e gli ingressi utili alla sceneggiatura: lo shoujiu. Questa prima forma di “quinta attrezzata” era realizzata in panno o raso; nel tempo venne a ricoprire funzione di “cartello”6 per l’attore protagonista di turno. La praticità di una scenografia così concepita e realizzata stava nella possibilità di essere allestista e dis-allestita in modo semplice e con tempi ristretti, questo per assecondare la praticità che le prime rappresentazioni (sovente messe in scena in sale da the o presso i templi) richiedevano. Ingombro limitato e “portabilità” furono dunque, fin da subito, due prestazioni imprescindibili per tutto quanto concerneva la messa in scena. I costumi di scena, sapientemente tagliati e piegati, costituiscono uno dei canali di comunicazione preferenziali nell’Opera Pechinese: colori, accessori, pattern decorativi, calzature –ovviamente comple- Anche i costumi infatti rispondono a questa esigenza. Realizzati per lo più in seta, si rifanno ad 79 tati dalla gestualità e dal canto- sono i termini che raccontano e del personaggio e della vicenda. zoom (dalla tabella) sulla striscia: IPER-caratterizzato La fascinazione di abiti che prendono forma solo nel momento in cui sono indossati ci riporta alla mente l’immagine di una sorta di “liberazione della semantica del corpo”, analogamente a quella che Barthes (ne L’impero dei segni, 1984. Einaudi) aveva descritto come la liberazione del mondo semiotico Orientale dalla semantica Occidentale. Da questo punto di vista, e per una migliore comprensione di questo archetipo, è importante sottolineare che il concetto a di “pieghevole” non allude all’idea di “salva-spazio” ma, al contrario, è una tecnica che –specialmente impiegata nella realizzazione di abiti- implica l’esistenza di “un ulteriore spazio”, appunto quello che si genera tra corpo e superficie9. Ciò che rende Bella la semplicità di un abito pieghevole è il suo alludere all’abbondanza di spazio che l’accomodamento della superficie consente di ottenere, rispetto al corpo. 80 3. “iper-caratterizzato”, che fa riferimento al fatto che nell’opera pechinese tutto è significato senza ambiguità per tramite di convenzioni. Dall’uso allegorico dell’immagine (per rappresentare un concetto astratto, come la potenza o la gentilezza) o simbolico (per esempio dei colori e degli oggetti) alla caratterizzazione estrema dei protagonisti che personificano ruoli, valori e sentimenti universali, alla precisione esecutiva del trucco dei visi dipinti, all’uso distintivo dei colori e degli accessori, allo schematismo estremo di trame e rappresentazioni, alla enfasi gestuale con cui si sottolineano le correlazioni tra emozioni e movimento, alla performance acrobatica, al ritmo ripetitivo della musica e ai toni della declamazione, ogni elemento è portato all’estremo del suo potenziale espressivo in una sorta di standardizzazione dei codici. Tutti questi aspetti concorrono a generare un senso di forte identità e ipercaratterizzazione che certamente fa proprio il concetto di “habitus” quale modo di essere, ossia di comportamento che dura nel tempo costante e riconoscibile senza ambiguità. 4. “luccicante/vibrante/ritmico” si riferisce ad alcune qualità percettive tipiche dell’opera legate all’uso di materiali e colori riflettenti (la seta, il dorato e l’argentato di armi e accessori) o modulanti la luce (la trasparenza della carta, il paper cutting delle ombre cinesi, le lanterne) e alla componente dinamica e ritmica generata da tutte le “appendici”, ovvero accessori quali lunghe piume, pon-pon, frange, che gli attori indossano e che non si muovono in modo solidale alla figura ma costruendo appunto un riverbero di vibrazioni intorno. Questa vibrazione associata a luce e movimento genera un codice espressivo dalla grande suggestione e impatto scenico che risulta molto tipica dell’opera cinese. BIBLIOGRAFIA SPECIFICA Gimenez, Fernando Luis. 2009. Origami: el arte del plegado papel. Centro de historia de Zaragoza. Giunta, Elena E. 2009. PRO-OCCUPANCY. Design dei microambienti urbani contemporanei: tra performatività dell’allestimento e appartenenze. Tesi di dottorato – rel. Raffaella Trocchianesi. Milano: Politecnico, Facoltà del Design. Tsui, Miranda. 2008. Flatness folded. A collection of 23 contemporary Chinese garments. Hong Kong: MCCM creation. Chengbej, Xu. 2003. Peking Opera. China intercontinental press. Pilone, R. con Ragaini, S. e Y.Weijie. 1995. Teatro cinese. Architetture, costumi, scenografie. Milano: Electa. SITOGRAFIA http://en.wikipedia.org http://www.salvatorezingale.it 81 zoom (dalla tabella) sulla striscia: LUCCICANTE|VIBRANTE|RITMICO 82