Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
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Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica
UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA FACOLTA‟ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea magistrale in informazione e sistemi editoriali Tesi di laurea in Teoria della Letteratura Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Simona Foà Laureanda: Laura Bagnoli Matr.015346 Correlatore: Chiar.ma Prof.ssa Luisa Capelli Anno Accademico 2010-2011 2 Indice Indice ............................................................................................. 3 Introduzione ................................................................................... 7 Capitolo I - Il Mulino .....................................................................11 1.1 Storia dell‟Editoria italiana e bolognese dall‟Unità al dopoguerra: brevi cenni..............................................................11 1.2 Il Mulino: primi passi ...........................................................16 1.3 La rivista “il Mulino” nel secolo delle riviste ........................32 1.3.1 contenuti, la struttura e la veste grafica della rivista.......37 2.3.2 I direttori .......................................................................39 1.4 Dalla rivista alle istituzioni ...................................................45 1.4.1 L‟ Associazione di Cultura e Politica «il Mulino»..................47 1.4.2. Le Edizioni del Mulino .................................................49 1.4.3 L'Istituto Cattaneo ........................................................56 1.4.4 La Fondazione Biblioteca del Mulino ............................60 Capitolo II - Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere ...........63 2.1 L‟Infanzia ............................................................................63 2.2 La giovinezza .......................................................................68 2.3 Berselli adulto ......................................................................72 2.3.1 La laurea e il Mulino .....................................................73 2.3.2 Berselli saggista ............................................................75 3 2.3.3 Il giornalista Berselli .....................................................93 2.3.4 Berselli, la tv, il teatro ...................................................98 2.4 Berselli dopo Berselli: postfazione di una vita .................... 102 Capitolo III – Edmondo Berselli e il Mulino................................. 105 3.1 Il rapporto con la “società editrice”..................................... 105 3.1.1 La Figura di Evangelisti ............................................... 107 3.1.2 Da tecnico a letterato ................................................... 117 3.2 Il rapporto con la rivista ..................................................... 129 3.2.1 Come la rivista de “il Mulino” ha influenzato Berselli: tra vecchi e nuovi “mugnai” ...................................................... 129 3.2.2 Come e quanto Berselli ha inciso sulla rivista de “il Mulino” ............................................................................... 145 Capitolo IV – Le postfazioni: metaprogetti editoriali .................... 163 4.1 Metaprogetti o postfazioni .................................................. 164 4.1.1 Le citazioni ................................................................. 168 4.1.2 Il contesto.................................................................... 170 4.1.3 Il processo ................................................................... 172 4.1.4 Vero, autentico, verosimile .......................................... 173 4.2 A uno a uno, i backstage..................................................... 176 4.2.1 I riferimenti al lavoro editoriale nelle opere ................. 188 Conclusione ................................................................................. 193 Appendice ................................................................................... 197 4 Statuto dell'Associazione di Cultura e Politica il «Mulino» ....... 199 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna ................... 209 Articoli da la rivista “il Mulino” ............................................... 223 L'ultima recita dei partiti ...................................................... 223 La tv, la politica e l'antidoto del mercato .............................. 250 La società del cinquanta per cento ........................................ 269 Bibliografia Edmondo Berselli ..................................................... 283 Bibliografia Generale ................................................................... 287 Sitografia ..................................................................................... 291 Ringraziamenti ............................................................................ 293 5 6 Introduzione Come direbbe Berselli: innanzi tutto fuori la tesi. La tesi che cercheremo di dimostrare nelle pagine seguenti è che vi sia stata una fortissima influenza reciproca tra Edmondo Berselli e il Mulino, inteso sia come casa editrice che, soprattutto, come periodico. Nel primo capitolo analizzeremo il Mulino in quanto tale. La storia, i risvolti, i vari rami che lo compongono: dalla “società editrice”, alla rivista, all‟Associazione di cultura e politica sino all‟Istituto Cattaneo, passando per la Fondazione Biblioteca. In questo frangente, in particolare, approfondiremo il ruolo dei diversi direttori editoriali della rivista, cercando di coglierne le particolarità e l‟influenza che hanno saputo imprimere sul periodico. Successivamente poggeremo la nostra tesi sulla descrizione della vita di Edmondo Berselli, l‟infanzia, la giovinezza, sino ad arrivare all‟approdo al mondo adulto, vissuto in buona parte, come vedremo, proprio a stretto contatto con il gruppo dei “mugnai” bolognesi. Approfondiremo, poi, il rapporto con la rivista, con il mondo giornalistico e con quello editoriale, esaminando i temi e le connessioni con le testate e con le case editrici, cercando di capire se queste relazioni sistematiche avvenissero prevalentemente con il Mulino o anche con altri ambienti. Nel terzo capitolo ci occuperemo di quanto il Mulino abbia influenzato l‟autore e viceversa quanto Berselli abbia condizionato il lavoro dei “mulinisti”. Lo faremo seguendo diverse strade. 7 Innanzi tutto analizzeremo le relazioni intercorse tra Berselli e la “società editrice” il Mulino, indagando, in particolare, sulla figura di Giovanni Evangelisti (per quarantaquattro anni direttore editoriale della casa editrice) e sul suo rapporto con il Berselli. Un rapporto privilegiato, come vedremo, tra allievo e maestro, non senza screzi, ma con molta complicità. Andremo quindi a esaminare i saggi pubblicati dall‟autore proprio con questa casa editrice, nel passaggio da tecnico a letterato, avvenuto, apparentemente, in scioltezza. Detto ciò, passeremo al collegamento con la rivista “il Mulino”. Chiederemo a Berselli, attraverso i suoi scritti, in che modo i mugnai bolognesi abbiano inciso sul suo lavoro, facendo una distinzione tra “vecchi” e “nuovi”, visto il ricambio generazionale che ormai da qualche anno a questa parte sta vivendo la rivista. Passeremo, ancora, alle interconnessioni tra Berselli e il periodico sia attraverso i suoi articoli (saggi sull‟Italia di ieri, di oggi e anche di domani, grazie alla sua capacità di analisi) sia attraverso la sua direzione della rivista, per due mandati, dal 2003 al 2008. Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, metteremo in risalto, nella scrittura di Berselli, l‟approccio “editoriale”, derivato dalla sua professione. Analizzeremo, infatti, i backstage, ovvero le postfazioni che l‟autore include alla fine di ogni suo libro, postfazioni nelle quali Berselli sembra voler prendere le distanze da se stesso, per dare chiarimenti e spiegazioni ai lettori, senza perdere, però, il linguaggio tra l‟ironico e il colto che lo 8 contraddistingue. E proprio di linguaggio tratterà l‟ultima parte del capitolo, linguaggio tipico delle case editrici, quello che utilizza spesso Berselli nei suoi libri. Riferimenti al lavoro editoriale che evidenziano, ulteriormente, quanto il gruppo il Mulino abbia inciso sull‟autore. Una piccola nota, infine. Per comodità di studio abbiamo utilizzato l‟opera che racchiude tutti i saggi scritti dell‟autore il cui titolo è Quel gran pezzo dell’Italia1, per questo motivo le pagine riportante delle note a piè di pagina fanno riferimento a questo volume. C‟è in noi l‟assoluta consapevolezza di non aver messo altro che un piccolo mattoncino scrivendo questa trattazione, il lavoro di Edmondo Berselli è così vasto e ricco di sfaccettature che serviranno molte approfondite analisi per esaminarlo a fondo. Abbiamo deciso di provare a dare il “la”, nella speranza qualcuno voglia raccoglierlo e appassionarsi a questo autore, così come abbiamo fatto noi. 1 Berselli, Edmondo; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori 9 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica 10 Il Mulino Capitolo I - Il Mulino 1.1 Storia dell’Editoria italiana e bolognese dall’Unità al dopoguerra: brevi cenni È nei decenni post unitari che nascono in Italia le prime case editrici, imprese private che, per quanto legate ancora, per la maggior parte, a una tipografia o a una cartoleria da cui sono state quasi generate, si propongono di pubblicare in modo continuativo opere destinate a un proprio pubblico1. È, forse, proprio questo il punto di partenza dal quale prendere le mosse per parlare di una delle case editrici più influenti del nostro secolo nel panorama sociologico e politologico italiano: il Mulino. Esperienza ci insegna che, per analizzare nel modo corretto che cosa e come ha influenzato la nascita e la crescita di una realtà, è opportuno partire dalle sue fondamenta storiche. Proprio per questo diamo il via a questa trattazione con un excursus sull‟editoria italiana, e in particolare bolognese, dal periodo post unitario sino al 1951, anno in cui il Mulino si presenta al pubblico. Tra l‟unità d‟Italia e la fine del secolo, assistiamo a un progressivo sviluppo dell‟industria editoriale italiana: 1 Tranfaglia, N., Vittoria. A.; 2000, Storia degli editori italiani, Bari, Editori Laterza, p. 3. 11 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica mentre la riunificazione del paese e le facilitazioni nelle comunicazioni permettevano agli editori di allargarsi su tutto il mercato nazionale, il -seppur lento- miglioramento delle condizioni di vita e la parziale diminuzione dell‟analfabetismo diventano ulteriori condizioni per la crescita del pubblico. Nel 1861 il numero di analfabeti toccava il 75% della popolazione sopra i 6 anni di età (ma con punte del 90% in Sardegna e dell‟86% nel Mezzogiorno continentale, mentre in Piemonte, Liguria e Lombardia scendeva al 54%), nel 1881 regrediva al 62 % e nel 1911 arrivava al 38%2. Appare ovvio come il processo di unificazione della società italiana e quello di incremento dell‟integrazione culturale vadano di pari passo. Ciò implicò una rielaborazione del concetto non solo di “editoria”, ma soprattutto di “libro”, il quale si tramutò da bene “di lusso” a “oggetto di consumo generale”, fruito dalla maggioranza delle persone. L‟editore diventò, così, non più un passivo stampatore, ma un vero e proprio imprenditore, attivo in un mercato decisamente in crescita come quello librario, e, contemporaneamente, attento a far rientrare la propria produzione in un preciso piano editoriale e culturale. A Bologna l‟editoria si diffuse in modo leggermente anomalo rispetto al resto del nord Italia. Lo stretto legame con il mondo universitario ne favorì lo sviluppo e «l‟editoria bolognese fu una sorta di university press, nel 2 Ivi, p. 64. 12 Il Mulino senso che stampò e diffuse dispense, prolusioni, opere indipendentemente da una prestabilita politica culturale» 3. Solo con l‟arrivo del modenese Nicola Zanichelli, nel 1866, la città di Bologna diventò un punto di riferimento per la cultura nazionale, non soltanto per i rapporti che intraprese con Carducci, a quel tempo ordinario presso l‟ateneo bolognese e con altre personalità di spicco dell‟Alma Mater, ma anche per la «riproposizione di un modello peculiare di produzione e distribuzione libraria, di organizzazione della vita culturale che ricongiunge la bottega all‟officina, la professione dell‟editore a quella del libraio»4. Nel nuovo secolo, e in particolare negli anni del fascismo, questo processo, iniziato nella seconda metà dell‟Ottocento, si definì in modo più organico, portando ad un cambiamento complessivo nell‟editoria e nella stampa italiana, che assunse sempre più un‟evoluzione in senso industriale. Secondo il regime fascista, infatti, era necessario la stampa non fosse più estranea alla vita politica della nazione, ma diventasse attiva e partecipe. Essa doveva appoggiare, attraverso la sua produzione, le imprese e la grandezza del regime mussoliniano. Come affermò Augusto Turati, segretario del Partito nazionale fascista, inaugurando nel 1927 la Libreria del Littorio, i libri agli italiani di dentro e a quelli di fuori il confine, e soprattutto ai giovani che non amano molto la carta stampata, per le troppe brutte cose che sono stati costretti a 3 Ivi, p.103. Barbera, P.; 1904, Editori e autori, Studi e passatempi di un libraio, Firenze, Barbèra, p.197. 4 13 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica leggere, diano una nozione esatta delle idee in modo che queste siano chiare, sicure e forti. E bisogna intendere non soltanto le opere che costruiamo ma anche l‟importanza delle leggi nuove che andiamo attuando5. Propaganda, certo, nascosta dietro presunte ispirazioni a “criteri morali ed educativi”. L‟editoria è una cattedra. «In fondo, la si può definire un complemento della funzione educativa della chiesa, della casa, della scuola: un complemento necessario»6, come afferma Franco Ciarlantini7. Il regime fascista accresce la sua influenza nei luoghi della cultura e a Bologna le case editrici proseguono il loro intreccio con l‟università, posto strategico per trovare linfa vitale per la loro crescita e sviluppo. Nel capoluogo emiliano sono tre le case editrici che la fanno da padrone: Zanichelli, Cappelli e la nuova Patron, che punta esclusivamente sull‟università, stampando dispense e manuali, senza nemmeno pensare di mettersi in concorrenza con le due maggiori. Zanichelli, dopo il 1927, si trovò in una condizione finanziaria difficile e la morte del direttore generale Oliviero Franchi complicò ulteriormente le cose. Dopo numerose peripezie, nel 1930 divenne direttore Enzo Della Monica (rimase tale sino al 1962), che introdusse una serie 5 AA.VV., 1926; La libreria del Littorio, in «Bibliografia fascista», I, 30 novembre 1926, n. 9. 6 AA.VV., 1932; Il Convegno degli Editori e Librai a Firenze, 26-29 Maggio 1932-X, in «Giornale della libreria», XLV, 4 giugno 1932, n.23, intervento di F.Ciarlantini, p.159. 7 Politico, giornalista e scrittore della prima metà del Novecento. 14 Il Mulino di novità e, sotto molto aspetti, una differente impostazione organizzativa e lavorativa. Naturalmente, nell‟attività stessa della casa editrice, la presenza del regime si fece sentire anche con l‟ingresso di personaggi politici nel consiglio di amministrazione; inoltre «il settore scientifico continuò ad avere nel corso del ventennio una presenza centrale, anche con i periodici»8. Cappelli non fu da meno e, anzi, non può certo essere considerato un editore asettico o contrario al regime, si pensi solo che nel 1924 ebbe un ruolo di rilievo nella fondazione della Libreria dello Stato e che ebbe diversi appoggi e sovvenzioni dallo stato. Così, se a Bologna negli anni Trenta le parole chiave per l‟editoria sono: università, fascismo, consenso, nel dopoguerra rimane solo la prima. L‟editoria bolognese, infatti, continuerà a caratterizzarsi per il forte legame con l‟università, ma anche con la politica. Accanto alle ormai navigate Zanichelli e Cappelli e alla sempre presente Patron, nacquero nuove realtà: la Clueb (Coperativa Libraria Universitaria Editrice Bolognese), l‟impresa di Arnaldo Forni, le Edizioni Malipiero, Calderini, la Stem-Mucchi e il progetto di Ugo Guanda, legato prima al Partito d‟azione e in seguito a quello socialista. Accanto a queste comparve anche un‟altra piccola realtà: il Mulino. 8 Tranfaglia, N., Vittoria. A.; 2000, Storia degli editori italiani, Bari, Editori Laterza, p. 295. Società editrice. 15 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica 1.2 Il Mulino: primi passi In principio “il Mulino” fu una rivista, nata il 25 aprile 1951 a Bologna. Nel 1951 Matteucci partecipava, insieme ad altri intellettuali bolognesi di varia estrazione, alla fondazione di un‟associazione che si prefiggeva di elaborare strumenti intellettuali atti a leggere con occhi nuovi, non tributari di impostazioni ideologiche superate dai tempi, la società italiana e il sistema democratico: il gruppo della rivista «Il Mulino», dal quale avrebbe poi preso vita nel 1954 l‟omonima casa editrice9. I principali intellettuali bolognesi che parteciparono alla fondazione furono: Pier Luigi Contessi (primo direttore della rivista), Fabio Luca Cavazza, Pier Luigi Contessi, Gianluigi Degli Esposti, Renato Giordano, Federico Mancini, Nicola Matteucci, Luigi Pedrazzi e Mario Saccenti (primi componenti del comitato di direzione). L‟esperienza del Mulino nasce, quindi, nella situazione particolarmente vivace di confronto tra scelte di campo che contraddistingue l‟Italia dei primi anni Cinquanta, in un periodo in cui in buona parte dell‟Italia maturano strutture e organismi di studio e dibattito. Con la guerra fredda, infatti, si spacca non solo l‟unità antifascista, ma anche, e soprattutto, il principio dell‟autonomia della creatività e dell‟organizzazione culturale. Negli stessi anni (1953) si 9 http://www.lacropoli.it/articolo.php?nid=224 - Ultima consultazione 25/11/2011. 16 Il Mulino assiste alla crisi del centrismo democristiano, segnato dalle elezioni che determinano la costituzione di nuove forme organizzative e raggruppamenti ideologici. E ancora proprio nel 1953 muore Stalin e il mondo comunista si ritrova in un periodo di stallo che si sblocca solo con il ventesimo congresso (1956), che apre una nuova fase tra il Partito Comunista Italiano e gli intellettuali ad esso vicini. Nel panorama culturale e politico di questo periodo ci troviamo così di fronte da un lato a Croce che distingue rigorosamente l‟attività intellettuale da quella politica e dall‟altro al Partito comunista di Alicata e Togliatti, che condannano la linea autonomista di Vittorini e Fortini, i quali privilegiano la letterarietà a discapito della politica 10. Togliatti dal canto suo nel 1952 mette in risalto, insieme a Salinari, il degrado del paese e ribadisce la necessità di una cultura socialista italiana a difesa della tradizione: da Bruno a Galilei, da De Sanctis a Labriola e soprattutto a Gramsci. David Forgacs individua una continuità tra questi schieramenti. Egli sottolinea come molti dei quadri del PCI che avevano rappresentato la sinistra crociana durante il fascismo producano all‟inizio degli anni Cinquanta il fenomeno tipicamente italiano di cross-fertilization tra idealismo e marxismo. Volendo semplificare: dopo la morte del filosofo napoletano, avvenuta nel 1952, la sua influenza continuò ad agire non solo attraverso la sua scuola, ma 10 Asor Rosa, A.; 1982, Lo stato democratico e i partiti politici, in Letteratura italiana, I, Il letterato e le istituzioni, Torino, Einaudi. Si veda anche L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989 , Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea, diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, pp. 385-462. 17 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica anche attraverso Gramsci. Si pensi a Natalino Sapegno, Luigi Russo, Giuseppe Petronio o ad altri storici e critici dell‟arte e della letteratura di formazione crociana, che avevano poi assunto posizioni di sinistra nel corso degli anni quaranta e che cercano ora di assimilare Gramsci al paradigma teorico crociano 11. Forgacs sottolinea ancora come la mobilitazione degli intellettuali, centrale nella strategia del PCI e basata sui Quaderni del carcere - pubblicati dal 1948 al 1951 e che assegnano un ruolo centrale alla figura dell‟intellettuale non avrebbe un‟ispirazione esclusivamente gramsciana. Già secondo il pensiero idealista crociano la cultura è patrimonio degli intellettuali che rappresentano quell‟élite colta che è motore della società–nazione. Lo stesso concetto è riproposto da Gramsci, anche se in una più ampia e democratica visione del ruolo dell‟intellettuale 12. Chi fa riferimento al neo-idealismo di Giaime Pintor secondo cui gli intellettuali devono trovare il modo di calare «la loro esperienza sul terreno dell‟utilità comune», si ribella, invece, alle due teorie esposte finora. Tra questi troviamo anche gli studenti universitari bolognesi radunatisi intorno alla rivista “il Mulino” nel 1951, che tre anni più tardi fondarono l‟omonima la casa editrice. All‟interno del gruppo si rispecchiano buona parte delle posizioni ideologiche presenti nell‟Italia post bellica: dai liberali, ai cattolici, ai socialisti, unite da una particolare 11 Forgacs, D.; 2000, L’industrializzazione della cultura italiana, Bologna, il Mulino pp. 157-158 (ed. or. Manchester 1990). 12 Ivi, pp. 157. 18 Il Mulino comunione che permette di andare oltre i motivi dei singoli e i dettati culturali dominanti. Federico Mancini, uno dei fondatori del gruppo, descrive il nucleo iniziale de “il Mulino”: v‟era tra noi chi, formatosi sui testi crociani, affrontava la realtà confidando nel metodo liberale; chi invece muovendosi tra Gobetti e Gramsci - avvertiva con particolare sensibilità il problema delle masse e del loro movimento, e ravvisava nella lotta iniziata con la Resistenza il nuovo “mito” progressivo; v‟erano infine tra noi dei cattolici che, sia pure in un itinerario personale, procedendo da un‟educazione gesuitica, e scesi con incarichi organizzativi sul piano della vita universitaria, avevano trovato in questa l‟occasione di un superamento, in senso liberale, delle loro posizioni di origine13. Dopo solo due anni di vita “il Mulino” diventa un vero e proprio caso editoriale, tanto che nel 1953 si aggiudica il premio Viareggio per l‟opera prima, assegnato eccezionalmente a una rivista invece che alla narrativa o alla saggistica. Tale prestigiosa vittoria impressiona il capo dell‟Associazione degli industriali bolognesi e amministratore della Poligrafici «il Resto del Carlino», l‟avvocato Barbieri, il quale aveva finanziato fino ad allora la rivista. Il progetto di una casa editrice può ora prendere il via14. Il 23 giugno 1954 nasce la Società editrice il Mulino, 13 Mancini, F.; 1954, Relazione introduttiva, I° Convegno degli Amici e collaboratori del «Mulino», Bologna, il Mulino. 14 La nascita della casa editrice il Mulino è stata esaminata da 19 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica costituita con capitale sociale di 500.000 lire, sottoscritto per il 95% dalla Poligrafici «il Resto del Carlino» e per il 5% dalla Società per la gestione dell‟Azienda Tipografica «La Nazione». Il Mulino, rileva Alberto Bertoni, si collocava nell‟alveo di quella tradizione primonovecentesca che, dalla “Voce” alla “Critica” del Croce all‟esperienza di promotore di riviste, poi di editore, del Gobetti, portava ad ampliare (per il tramite della parallela impresa editoriale) la forza d‟intervento del periodico culturale15. Tra i fondatori della Società editrice il Mulino, spiccavano, tra gli altri, Luigi Pedrazzi, Antonio Santucci, Nicola Matteucci, Fabio Luca Cavazza, Gianluigi Degli Esposti, Turi, G.; 1997, Cultura e poteri nell’Italia repubblicana, Firenze, Giunti, pp. 423 e ss. Ragone, G.; 1999, Un secolo di libri. Storia dell’editoria in Italia dall’Unità al post-moderno, Torino, Einaudi, p. 206. Tranfaglia, N.; 1986, Stampa e sistema politico nell’Italia Unita. La metamorfosi del quarto potere, Firenze, Le Monnier, pp. 313-327. Tranfaglia, N., Vittoria. A.; 2000, Storia degli editori italiani, Bari, Editori Laterza, pp. 280 e ss. Avellini, L.; 1997, Cultura e società in Emilia Romagna, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi, Emilia Romagna, a cura di R. Finzi, Torino, Einaudi, pp. 723-767. Vittoria, A.; 1991, Organizzazione e istituti della cultura, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri, Torino, Einaudi. 15 Bertoni, A.; 1991, Un gruppo intellettuale imprenditore di se stesso: appunti per una storia del «Mulino», in Editoria e Università a Bologna tra Ottocento e Novecento, a cura di Berselli, A., Comune di Bologna, Istituto per la Storia di Bologna, pp. 262-263. 20 Il Mulino Federico Mancini, Mario Saccenti e il letterato Pier Luigi Contessi, che avrebbe a lungo diretto la rivista determinandone la cognizione del lavoro letterario come di un‟attività non scorporata dalla società che la produce e tesa a inserirsi in un motivo di comunione abbastanza spiccato da condurla ad interpretare quella particolare forma di civiltà dove si svolge la vita dell‟uomo nelle sue più vive esigenze, nei suoi rapporti sociali, nelle sue aspirazioni e inquietudini16. Il consiglio di amministrazione era supportato da un comitato tecnico, ufficializzato solo in seguito, composto da Pedrazzi, Cavazza, Contessi e Matteucci. Luigi Pedrazzi, di formazione cattolica, aveva sempre avuto un occhio vigile e critico verso la realtà politica allora in formazione: mentre quelli dell‟Azione cattolica erano entrati nella Democrazia cristiana, come tutti gli altri nostri coetanei cattolici, noi avevamo l‟idea che la Chiesa era una cosa più complessa e più grande del partito che partiva in quel momento, e che le realtà internazionali andavano viste chiaramente17. 16 L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989 , Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea, diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, p.456. Si veda anche Contessi, P.L.; 1986, Un critico tra poesia e politica, Bologna, il Mulino, p. 32. 17 Ibidem. 21 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Solo più tardi Pedrazzi si avvicinerà alla politica: sarà consigliere comunale a Bologna dal 1956 al 1960, come indipendente di sinistra nella lista democristiana capeggiata da Giuseppe Dossetti, e vice-sindaco dal 1995 al 1999 nella stessa città. Fabio Luca Cavazza, invece, ha il merito di rendere possibile l‟avvio de il Mulino grazie all‟amicizia che legava la sua famiglia all‟avvocato Giorgio Barbieri. Motore del gruppo, Cavazza intraprende alla metà degli anni cinquanta una serie di visite negli Stati Uniti che gli consentono di sviluppare intensi rapporti con il mondo politico e culturale d‟oltreoceano. Fondamentale è l‟apporto fornito da Nicola Matteucci, soprattutto per lo studio dei classici della democrazia americana, così come quello di Pier Luigi Contessi e del giurista Federico Mancini. Il rapporto stretto dal nucleo iniziale con l‟Istituto italiano di studi storici di Napoli, inoltre, permette di entrare in contatto con Vittorio De Caprariis, storico delle dottrine politiche, Francesco Compagna, meridionalista e attento conoscitore della politica italiana, e Renato Giordano, esperto di politica. E ancora, Giorgio Galli, milanese, è scoperto da Pedrazzi, che aveva letto le sue piccole note su “Critica sociale”. Presto arrivano anche Pietro Scoppola, romano, individuato da Matteucci per alcuni contributi storici, e Gino Giugni, genovese, catturato per via di comuni amicizie liguri con Contessi e una borsa di studio negli Stati Uniti condivisa con Mancini18. 18 Pedrazzi, L.; 2001, Gli inizi del Mulino 1951-1964, AssindustriaBologna, Bologna, p. 24. 22 Il Mulino Il 9 e 10 gennaio 1954 si tiene nel salone grande del «Resto del Carlino» il primo Convegno degli Amici e Collaboratori de il Mulino, che sancisce l‟avvio della nuova impresa editoriale. La relazione introduttiva, infatti, è stampata come primo volume della collana «saggi», seguito dal secondo, Geografia delle elezioni italiane dal 1946 al 1954 di Francesco Compagna e Vittorio De Caprariis, e dal terzo, Filosofia e sociologia, atti del convegno nazionale voluto a Bologna da Abbagnano e Battaglia (primo segnale concreto di un cammino che si prepara in Italia oltre Croce e oltre Gramsci, anche per impulso dei giovani del Mulino) 19. Abbagnano, infatti, come ha osservato Bobbio, aveva cercato negli ultimi anni di far confluire la tendenza umanistica - presente nel più grande corso esistenzialista all‟interno delle filosofie positive, in particolare nel pragmatismo di John Dewey20. A riprova di questo collegamento, parlando poco tempo prima dell‟impostazione della rivista, Renato Solmi aveva dichiarato: si delinea nelle pagine del “Mulino” una concezione della cultura come forza mediatrice, che risente dell‟influsso di pensatori come Dewey, e, direttamente o indirettamente, della “rinascita marxista” di questi anni […]. Questa concezione si contrappone apertamente all‟idea tradizionale della cultura come “hortus conclusus”, come 19 Ivi, p. 26. Nel 1948 era uscito un articolo di Abbagnano, Verso un nuovo illuminismo: John Dewey, considerato il manifesto del neo-empirismo (cfr. Bobbio, F.;1969, Profilo ideologico del Novecento, in Storia della letteratura italiana, IX, Il Novecento, Milano, Garzanti). 20 23 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica forma privilegiata di attività che trova in se stessa il proprio contenuto e la propria ragion d‟essere21. Già nella terminologia usata è facilmente intuibile che ai redattori del Mulino non interessava tanto applicare alla realtà uno schema ermeneutico più o meno rigido che mirasse a criticarla e a modificarla in vista di una finale redazione, quanto piuttosto interpretarla e comprendere nelle sue articolazioni complesse, nella sua potenzialità riformista22. Gli osservatori più attenti iniziano dunque a individuare all‟interno della giovane redazione non solo l‟elaborazione dei tratti salienti del panorama culturale italiano, ma anche il tentativo di superarli. Ne sono prova le recensioni al Convegno, durante il quale i redattori rendono esplicito il loro crescente interesse per le problematiche politiche. Eugenio Montale, inviato d‟eccezione del «Corriere della sera», mette in risalto l‟anti-dogmatismo dei giovani “mugnai”, che si definiscono «neo-illuministi e antiumanistici»: non si riconoscono nelle attuali strutture, in quella dei partiti, per esempio; non comunisti, respingono l‟anticomunismo a buon mercato dei conservatori; rifiutano l‟antitesi tra clericalismo e anticlericalismo; chiedono agli storici di non dimenticare l‟apporto della sociologia, ai filosofi di non trascurare la tecnica e a scienza; ai cittadini 21 Solmi, R.; 1952, Il Mulino, «Notiziario Einaudi», n. 3. L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989, Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea, diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, p.457. 22 24 Il Mulino di pensare con la loro testa e non con quella del capogruppo o del capo-cellula 23. Anche il «Resto del Carlino» pone l‟accento sul desiderio dei “mulinisti” di superare quelle posizioni dove veterani si accaniscono in battaglie anacronistiche (clericalismo e anticlericalismo, dirigismo e liberalismo). Farina ammuffita osservano i […] “mugnai” che non può far più pane. Lo stesso si dica di un anticomunismo puramente negativo, indice di una “cecità reazionaria, di una classe dirigente invecchiata24. Dalle colonne dell‟ «Avvenire d‟Italia» Papa si limita a dirsi «d‟accordo su molte messe a punto come su molte osservazioni riguardanti la crisi della cultura e particolarmente delle scienze economico giuridiche»25. Carlo Laurenzi dalla «Nuova Stampa» così descrive i giovani intellettuali: si riconoscono di origine crociana, gobettiana o cattolica, irriducibilmente antifascisti, tolleranti increduli nella religione dell‟antitesi […] affrancati ormai dall‟idealismo 23 Montale, E.; 1954, Strani giovani occhialuti fanno andare un «Mulino» a Bologna, «Corriere della sera», 13 gennaio, p.3. 24 Dursi, M.; 1954, Dagli scrittori del “Mulino” nasce il neoilluminismo, «Resto del Carlino», 11 gennaio, p.5. 25 Papa, A.; 1954, I piccoli mugnai, «L‟Avvenire d‟Italia», 14 gennaio, p.6. 25 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica supino, entusiasti di quelle grandi esperienze che sono state il New Deal rooseveltiano e il Labour Party britannico 26. Sull‟«Unità» esce un articolo di Antonio Banfi che, più criticamente, consiglia di ridimensionare l‟ammirazione per la socialdemocrazia anglosassone e di restituire al pensiero marxista la paternità delle critiche alla cultura borghese mosse dai giovani studiosi27. Come mette in luce Barbara Covili, era giunta a maturazione quella presa di posizione che Solmi auspicava dal luglio 1952 e che permetteva alla rivista, tenutasi fino ad allora lontana dall‟agone politico, di scendere in campo. I giovani intellettuali pongono le basi per quello che sarebbe stato il loro coinvolgimento nell‟esperimento di centro sinistra, aspirando a moderare il PCI attraverso un disegno di riforme democratiche28. Questo percorso degli studiosi bolognesi mostra affinità ideologiche con la posizione assunta nello stesso periodo da quei democratici americani che affidano incarichi di rilievo agli intellettuali ex-comunisti della scuola di New York, convinti che la sinistra non comunista sia il miglior antidoto al pericolo rosso - come si afferma durante il I Congresso dell‟organizzazione democratica internazionale, “Congress for Cultural Freedom”. Qui, per la prima volta, i dogmi 26 Laurenzi, C., 1954, Come i giovani «laici» giudicano l’Italia d’oggi, «La Nuova Stampa», 12 gennaio. 27 Banfi, A., 1954, I neoilluministi del «Mulino», «l‟Unità», 25 gennaio. 28 Covilli, B., 1998, Tra impegno culturale e ripensamento della politica: i giovani post-universitari bolognesi de «il Mulino» 1951-1955, «Rassegna di storia contemporanea», n. 1, pp. 41-58. 26 Il Mulino della guerra fredda sono sconfessati da intellettuali come Raymond Aron, Arthur Koestler, Bertrand Russel, Karl Jaspers, Jacques Maritain e da John Dewey. In The Opium of the Intellectuals Aron prende in esame quella che definisce «era delle ideologie» - indicando come ideologie «rivoluzione» e «utopia» - e la dichiara inesorabilmente conclusa29. È proprio in questo quadro che va ricercata una corrispondenza tra superamento dell‟arida radicalizzazione del bipolarismo sul piano politico e fine delle ideologie in quello culturale. Un‟operazione che la casa editrice bolognese si appresta a compiere già dalla metà degli anni cinquanta. Come afferma Luigi Pedrazzi a Marco Lodevole in un‟intervista del 2003 attraverso l‟imbuto del Mulino, eravamo entrati in una condotta che ci portava a guardare anche con una certa sufficienza Croce e Gramsci che invece nella cultura liberale e comunista italiana di allora erano le due massime autorità. Da La Malfa ad Amendola, tutti parlavano ancora di questo. Noi invece dicemmo: “no, c‟è anche una cultura tedesca, una inglese e una americana”30. Così Bertoni: A loro, soprattutto nel contesto socio-politico di quegli anni che invece - soprattutto in Italia - procedevano per 29 Jacoby, R., 1999, The end of Utopia. Politics and culture in an age of apathy, Basic Books, New York, p. 2. Cfr. anche Arton, R., 1955, The Opium of the Intellectuals, New York, Norton. 30 Lodevole, M.; 2003, Intervista a Luigi Pedrazzi, Bologna, 3 aprile. 27 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica contrapposizioni e barriere ideologiche, tra marxismo dogmatico e confessionalità esasperata, facendo dell‟a priori una sorta di bandiera concettuale, non interessava tanto applicare alla realtà uno schema […] quanto piuttosto interpretarla e comprenderla nelle sue articolazioni complesse […]. In definitiva si trattava di restituire impulso a un pensiero autenticamente laico e alla categoria della libertà come valore31. Anche Giuliana Iurlano sottolinea l‟indipendenza politica e culturale dei giovani bolognesi accostando l‟a-ideologismo del Mulino all‟esperienza del New Deal, caratterizzato da una stretta collaborazione tra intellettuali e governo: d‟altra parte lo stesso gruppo del Mulino è una sorta di brain-trust, cioè di intellettuali che, dapprima con discussioni a livello teorico, poi con veri e propri suggerimenti politici, aspirano a realizzare un “New Deal italiano” attraverso la formula della “terza via” che negli anni sessanta troverà la sua espressione politica nel centrosinistra 32. Per raggiungere questo obiettivo politico e culturale gli intellettuali del Mulino si affidano allo studio di quelle scienze sociali che vengono da loro per la prima volta tradotte. Nei primi anni cinquanta si delinea dunque il progetto di una cultura nuova in grado di andare oltre 31 Bertoni, A.; 1991, Un gruppo intellettuale imprenditore di se stesso, cit., pp. 257-258. 32 Iurlano, G.; 1983, La cultura liberale americana in Italia: “Il Mulino” (1951-1969), «Nuova rivista storica», 57, n. V-VI, p. 674. 28 Il Mulino l‟erudito immobilismo dell‟università italiana fondendo riformismo liberale, sociologia d‟oltreoceano e critica letteraria anglosassone. Appaiono ora all‟attenzione degli studiosi testi e discipline fino ad allora ignorati. La sociologia, sradicata dalla stagione positivistica, viene introdotta insieme a testi americani di psicoanalisi che soffrono nel nostro paese della convergenza tra pensiero marxista, cattolico e crociano 33. L‟introduzione delle così dette «scienze umane» apre anche la porta alla filosofia della scienza e della pratica, alle scienze religiose, alla storia sociale ed economica e più tardi alla cibernetica e alla bioetica34. Più precisamente, dal 1954 al 1957 escono ventuno titoli, in prevalenza traduzioni di autori ormai classici in Europa e negli Stati Uniti, tra i quali Il sacro di Rudolf Otto, Democrazia e cultura di Hans Kelsen (presentato da Matteucci), Il pericolo del conformismo di Henry Steel Commager, e Sociologia. La scienza della società di Jay Rummey e Joseph Mayer. E ancora altri autori come Mannheim (presentato da Santucci), Wellek e Warren (da Contessi), Parsons (da Mancini) e Riesman (da Cavazza). Tra i pochi italiani, il testo di Lionello Venturi Il gusto dei primitivi e lo studio di Corrado Pavolini su Cubismo, futurismo ed espressionismo. Con questi volumi vengono avviate le collane “Saggi” e “Collezioni di testi e di studi”, che costituiranno per decenni l‟asse portante del 33 Sereni, S.; 1990, Vestivamo all’americana, giocavamo a tennis e a ping-pong, «Wimbledon», n.5, pp. 4-5. 34 Galli, C.; 1995, I quarant’anni della casa editrice il Mulino, «Lettera dall‟Italia», n.37, p. 5. 29 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica catalogo del Mulino 35. Viene tradotto nel 1957 anche l‟eretico jugoslavo Milovan Gilas, il primo a superare le diecimila copie vendute bruciando due edizioni rapidissime. Giovanni Evangelisti, per ben quarantaquattro anni capo della “società editrice”: le prime traduzioni di Parsons o di Merton in Italia furono delle operazioni spericolate. Se si vuole capire cosa è stato culturalmente il Mulino di quegli anni, bisogna considerare uno dei primi libri pubblicati, il Rummey e Mayer: un manualetto di sociologia apparentemente banale con un‟introduzione di Tonino Santucci che letta allora era sconvolgente perché molti credevano ancora che la sociologia fosse Pareto o peggio Niceforo. Nell‟ambito degli studi economici, invece, al Mulino ha contato molto Nino Andreatta, introdotto da Federico Mancini suo collega ad Urbino. Tutta la squadra di giovani economisti che Nino portò a Bologna sono poi gravitati a lungo qui attorno: Tantazzi, Tadda, Prodi, che è divenuto addirittura presidente della società editrice36. Alla fine degli anni cinquanta viene pubblicata la “Collezione di storia americana”, realizzata in collaborazione con l‟USIS (United States Information Service), curata da Nicola Matteucci e Vittorio De Caprariis -entrambi studiosi di Tocqueville- insieme a Rosario Romeo 35 Berti Arnoaldi, U.; 1987, L’impresa dei «giovani» del Mulino nella nuova stagione dell’Ateneo bolognese, in Lo studio e la città: Bologna 1888-1988, a cura di W. Tega, Bologna, Nuova Alfa Editrice, p. 415. 36 Lodevole, M.; 2003, Intervista a Giovanni Evangelisti, Bologna, 3 aprile. 30 Il Mulino e a Mauro Calamandrei, che pongono al centro del discorso il problema della democrazia negli Stati Uniti e della storia americana come parte integrante della civiltà occidentale 37. Nello stesso periodo escono anche i venti volumetti dei “Classici della democrazia moderna”, sempre diretta da De Caprariis, sette dei quali sono dedicati a esponenti o epoche della democrazia americana, da Hamilton a Roosevelt. Grazie ai contatti di Cavazza con docenti e grandi fondazioni statunitensi, gran parte dei costi di produzione di queste due collane grava sull‟esterno38. Come puntualizza Evangelisti, «Il Mulino non è mai stata una cosa bolognese, anzi, i rapporti col milieu intellettuale, ammesso che ci sia, o che ci fosse, un milieu intellettuale bolognese sono stati relativi» 39. È dunque soprattutto la politica delle traduzioni a conseguire i maggiori successi e alle opere provenienti dagli Stati Uniti si affiancano anche le scelte europee selezionate dai giovani “mulinisti” andati in cattedra: storici delle dottrine politiche come Matteucci e Galli, letterati come Raimondi e Contessi, storici della filosofia come Santucci, giuristi come Mancini. In questo periodo vengono pubblicati Raymond Aron e Arthur Schlesinger jr., Bainton, Cullmann, Curtius, Gilbert, Hirschman, Hofstadter, Marrou, Miller, Morin, Turner; tra gli italiani, Alberoni, Galli, Santucci, Scoppola. 37 Galli, G.; 2000, Passato prossimo. Persone e incontri 1949-1999, Milano, Kaos edizioni, p. 25. 38 Pedrazzi, L, Gli inizi del Mulino, cit., p. 29. 39 Lodevole, M.; 2003, Intervista a Giovanni Evangelisti, cit. 31 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica In conclusione, si può riprendere l‟enunciato di Forgacs secondo cui la storia della cultura e degli intellettuali non si deve limitare ad analizzare la loro “produzione diretta”. Come rileva lo studioso inglese, questo tipo di visione non consente osservare la cultura anche come un luogo di distribuzione e di consumo. Visione tanto più limitante nel caso italiano in cui una buona parte della cultura prodotta dal 1880 è stata importata da fuori. Il ruolo degli “intellettuali italiani” è stato in questo ambiente soprattutto quello di brokers e mediatori: commissionando, curando edizioni, traducendo, scrivendo critiche, pubblicando40. 1.3 La rivista “il Mulino” nel secolo delle riviste Dopo il superamento dell‟organizzazione culturale fascista, si avverte nel secondo dopo guerra, soprattutto nell‟ambiente della comunicazione, l‟emergere della soggettività del singolo in cerca di una nuova identità nel magma plurilingue della comunità di un popolo; sembrava necessario trovare un diverso tipo di dialogo, ripesare i rapporti tra strutture della cultura e della politica e forme della progettualità 40 Forgacs, D.; L’industrializzazione della cultura, cit., p. 5 (dall‟edizione inglese). 32 Il Mulino intellettuale; tra autorevolezza delle lettere e bisogni concreti41. Già nel periodo della Resistenza, l‟organizzazione culturale privilegiava l‟idea della rivista come una forma di mosaico, come un‟entità che permettesse al singolo lettore di esprimere, di produrre cultura. Ed è forse per questo motivo che il Novecento è stato definito come “il secolo delle riviste”. Certo vi è anche una spiegazione tecnica, dovuta alle innovazioni della stampa, che già dalla prima metà del secolo modificarono le caratteristiche qualitative e quantitative di tutti i prodotti culturali stampati, ma soprattutto perché nel novecento, più che nel passato, i periodici divengono il terreno privilegiato dello scontro culturale e politico, il luogo „proprio‟ in cui i diversi gruppi intellettuali esprimono e costituiscono un‟identità collettiva, l‟esito pubblico di un rapporto privato che, programmaticamente, si propone quale strumento d‟organizzazione della cultura42. È innegabile che anche nei decenni precedenti alcune testate avessero caratteristiche simili, ma la differenza sta nell‟intento di questi “fogli culturali”: vogliono diventare un 41 L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989 , Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea, diretto da Asor Rosa, A.; Torino, Einaudi, p. 1106. 42 Asor Rosa, A., cura di; 2000; Letteratura italiana del Novecento. Bilancio di un secolo, Torino, Einaudi, p. 163. 33 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica mezzo privilegiato della battaglia artistica e politica degli intellettuali – uno specchio – di una dichiarata volontà di intervento e di pressione nella vita pubblica, spesso in polemica con i canali tradizionali o con le forme organizzative concrete43. Come già detto in precedenza, il 25 aprile 1951, con l‟uscita del primo numero, ha inizio la storia della rivista del Mulino. La cadenza delle uscite dei numeri della rivista è cambiata nel corso del tempo, infatti, se dall‟aprile 1951 al 25 giugno escono cinque numeri come "Quindicinale di informazione culturale e universitario" in formato giornale; dal novembre di quello stesso anno, “il Mulino” vede la luce come rivista vera e propria con periodicità mensile, per lo meno sino al gennaio del 1959, quando la periodicità diviene bimestrale. Nel decennio successivo, sotto la guida di Pedrazzi e Galli, torna mensile (gennaio 1961) e infine di nuovo bimestrale nel gennaio 1970, periodicità che mantiene tutt‟oggi. Il sottotitolo, che nel 1951 era "Rivista di attualità e di cultura", nel 1955 cambia definitivamente in "Rivista di cultura e di politica". In questi sessant‟anni di pubblicazioni la rivista si è avvalsa del lavoro di moltissimi collaboratori e ovviamente dell'impegno di tutti coloro che l'hanno diretta, i quali hanno fatto parte anche del Comitato di direzione che, in alcuni periodi, è stato affiancato da un Comitato di redazione. 43 Asor Rosa, A., cura di; 2000; Letteratura italiana del Novecento. Bilancio di un secolo, cit. p. 164. 34 Il Mulino Si può affermare che la chiave di lettura della storia de “il Mulino” sia: rinnovamento nella continuità. A dimostrazione di ciò, abbiamo gli indici dei vari fascicoli, il profilo dei collaboratori, i temi trattati e la loro frequenza, la stessa periodicità della rivista che cambia nel corso del tempo. Se da un lato, infatti, esiste un nucleo originario di "padri fondatori", la cui presenza negli organismi direttivi e fra i collaboratori è costante e assidua, dall'altro, in maniera particolare dagli anni Settanta, si manifesta un ricambio fondamentale per la vitalità della rivista stessa44. E così accade anche per “il Mulino”. Il tempo che passa e le tematiche che mutano modificano anche il modo di affrontare gli argomenti, il taglio del discorso, l‟impostazione dell‟analisi. Nel corso degli anni, infatti, varia la riflessione che “il Mulino” avvia e approfondisce. Dopo una prima fase nella quale l'intervento politico passa prevalentemente attraverso la riflessione culturale, la rivista, diventando nel 1961 mensile, accentua l'intervento immediato e puntuale e il commento incisivo. Il 1969 rappresenta la data iniziale di quella profonda crisi dei periodici letterari che proseguirà in buona parte degli anni Settanta, crisi prodotta da un progressivo spostamento del dibattito culturale, assorbito da quello politico e parallelamente dalla lenta erosione della funzione delle riviste. 44 http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. 35 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Nel 1970 “il Mulino” trova una sua stabilità e si trasforma in bimestrale di analisi e documentazione. La sua impostazione propositiva viene circoscritta a favore della presentazione di testi caratterizzati da un maggior contenuto informativo e minori indicazioni operative, spesso collegati al dibattito politico corrente45. Forse è logico chiedersi se hanno ragione quanti sostengono che «sembra tramontata la rivista così com‟è stata intesa in tutto il Novecento, uccisa dall‟intellettuale-massa che ha occupato il posto della figura tramontata del critico complessivo della società»46; se si vogliono però tirare le somme di quella che fino ad oggi è stata l‟esperienza del principale periodico edito dai mugnai bolognesi, analizzando le pubblicazioni, le ricerche e i contributi offerti dalla stessa, ci si accorge che “il Mulino” ha fatto molta strada. Numerosi i sentieri esplorati, le vie indicate, le soluzioni proposte, sempre tenendo fede ai principi e alle ispirazioni che ne animarono la nascita. Sfogliando la rivista ci si accorge che l‟esperienza di questo gruppo non può che continuare. Si rivela, infatti un elemento fondamentale per fornire strumenti di analisi per la comprensione dei fenomeni che caratterizzano l'epoca in cui viviamo: è questo il compito che ha animato la rivista sin dalle sue origini e che continuerà a segnarla anche in futuro47. 45 http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. Asor Rosa, A., a cura; 2000; Letteratura italiana del Novecento. Bilancio di un secolo, cit. p. 179. 47 http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. 46 36 Il Mulino 1.3.1 contenuti, la struttura e la veste grafica della rivista Come definito nel suo programma, la rivista “il Mulino” si occupa dell‟approfondimento e della comprensione di aspetti dell'attualità culturale, sociale e politica che caratterizzano l‟epoca in cui viviamo. Dall‟analisi che abbiamo compiuto in precedenza, si possono individuare due filoni che da sempre caratterizzano l‟attività del periodico: - il mondo dell'università, della scuola e della ricerca, che fanno parte di un discorso più ampio, ovvero la diffusione della cultura; - i fenomeni politici, sociali ed economici internazionali, visti in un'ottica riformista. Come già affermato, infatti, sin dagli esordi “il Mulino” ha fatto del riformismo il metodo attraverso cui analizzare il sistema politico italiano e internazionale e indicare correttivi e avanzare soluzioni. La veste grafica e il formato della rivista sono mutate diverse volte nel corso degli anni, adattandosi, come di consuetudine per “il Mulino”, ai mutamenti della società. In particolare si può notare come ogni direzione abbia influito profondamente anche in questo aspetto, dimostrando come linee editoriali diverse passino anche attraverso l‟impaginazione, la grafica complessiva e il formato. L‟ultimo di questi cambiamenti è avvenuto nel 2009 sotto la guida di Piero Ignazi, anche se, come ha affermato Bruno Simili48, buona parte delle idee e dei cambiamenti sono stati 48 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, qui, pp. 204-217. 37 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica studiati e proposti dal precedente direttore editoriale, Edmondo Berselli. Da due anni a questa parte, infatti, “il Mulino” adotta un nuovo formato, con una pagina più grande e una grafica che le dona maggiore leggibilità. Anche il taglio editoriale è più agile e movimentato di un tempo, con più rubriche, aperto anche a interventi in punta di penna e ai temi dell'attualità, ma sempre con l'ottica tipica dell'analisi di lungo periodo. Fra le rubriche si segnalano «il confronto», «stampa e regime» (con contributi sui telegiornali italiani, la politica, la lottizzazione, sulla pubblicità e il suo ruolo nei media, sulla scarsa capacità critica del giornalismo odierno), «l'anno scorso a Marienbad»49. Crediamo sia importante sottolineare come nell‟ultimo periodo il sito web della rivista stessa 50 stia conoscendo una nuova centralità nel percorso editoriale dell‟intero periodico, avvalendosi di nuovi giovani collaboratori da tutto il mondo, mantenendo, come da abitudine de “il Mulino”, uno sguardo costante all‟innovazione e alle possibilità che ne conseguono. 49 50 http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. 38 Il Mulino 2.3.2 I direttori51 Nel 2011 la rivista “il Mulino” festeggia i suoi primi sessanta anni di vita. E, come si sul dire, pare proprio che di acqua sotto i ponti ne sia passata parecchia. Riteniamo che, al fine di ottenere un‟analisi più dettagliata e per dimostrare come la formazione degli uomini al vertice di questa struttura abbia contato nella crescita e nello sviluppo della rivista, sia esplicativo non solo elencare, ma anche „raccontare‟ in breve la storia dei dodici direttori editoriali che si sono avvicendati in più di mezzo secolo. In origine fu Pier Luigi Contessi che rimase a capo della rivista per sette anni, dall‟aprile 1951 al dicembre 195852. Contessi cattolico «con una spiritualità assai personale, tra sobria e ironica» (come lo definisce Nello Ajello dalle pagine culturali di «Repubblica»53) fu uno dei fondatori de “il Mulino” e sotto la sua direzione la rivista passò dapprima dall‟originaria forma di “quindicinale di informazione culturale e universitaria” a “mensile di attualità e cultura” (giugno 1951). Dopo solo quattro anni, però, il periodico mutò la propria qualificazione in “rivista di cultura e di politica” e cambiò la propria veste esterna e la struttura interna. È proprio in questo anno che cessa di apparire formalmente una redazione ed è da questo momento che, probabilmente, i direttori assumono un ruolo di primo piano. 51 Si veda anche: Lovato, G., Traldi, M.E.; 2004, il Mulino 1951-2004, Bologna, il Mulino. 52 Fascicoli 1-86 della rivista “il Mulino”. 53 Nello Ajello, 2004, Un italianista cresciuto nella scuola di Longhi, «la Repubblica», 24 marzo, p. 24. 39 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica È lo stesso Contessi che nell‟anno successivo cambia il colore alla copertina. Poi fu la volta di Nicola Matteucci, classe 1926, politologo italiano, considerato uno dei massimi teorici del costituzionalismo liberale del Novecento. Egli diresse la rivista in tre diversi momenti. Il primo dal gennaio 1959 al dicembre 196054, il secondo dal gennaio 1970 al dicembre 197355 e il terzo, ben più tardi, dal gennaio 1984 al dicembre 199056. Come lo definì Berselli a pochi giorni dalla sua morte, avvenuta nel 2006, Matteucci non è stato soltanto uno storico della filosofia, un conoscitore straordinario del costituzionalismo, un polemista battagliero […]. Va da sé che la cultura italiana gli deve molto: un „classico‟ come il Dizionario di politica, curato con Norberto Bobbio, i saggi sullo stato moderno e sulla democrazia, una continua rielaborazione della storia del pensiero politico alla luce delle sue passioni intellettuali, gli autori di una vita: Tocqueville, di cui non finiva di ammirare la modernità liberale, e Croce, con cui aveva studiato giovanissimo a Napoli, dopo la laurea in giurisprudenza conseguita nel 1948 a Bologna 57. Nel Gennaio 1959 Matteucci operò profonde trasformazioni alla rivista, che divenne bimestrale e cambiò formato e 54 Fascicoli 87-98 della rivista “il Mulino”. Fascicoli 207-230 della rivista “il Mulino”. 56 Fascicoli 291-332 della rivista “il Mulino”. 57 Berselli, E.; 2006, Matteucci coscienza liberale, «la Repubblica», 11 Ottobre, p. 56. 55 40 Il Mulino struttura. Egli fu l‟unico a dirigere la rivista per più di una volta. Tra il primo e il secondo mandato di Matteucci, la direzione della rivista passò dapprima a Luigi Pedrazzi dal gennaio 1961 al marzo 196558. Pedrazzi, nato a Bologna il 24 settembre 1927, politologo e giornalista, è considerato tutt‟oggi una delle voci più importanti del pensiero politico cattolico di centro sinistra. Fu uno dei fondatori della rivista e nel primo numero da lui diretto, quello di gennaio 1961, promosse diverse modifiche. Fece tornare la rivista alla periodicità mensile e le diede una nuova veste grafica e formula editoriale. Si può affermare inizi qui un lungo ciclo che si concluderà solo nel 1969. La rivista si presenta, infatti, con una copertina illustrata, non è strutturata in rubriche e presenta articoli di dimensioni contenute. Nel 1962 assistiamo a un nuovo parziale cambiamento: viene ricostruito il comitato di redazione, ma la struttura della rivista rimane comunque immutata. È forse più una questione amministrativa che di linea editoriale il passaggio di consegne tra Pedrazzi e Giorgio Galli (aprile 1965 - dicembre 196959). Nel 1965, infatti, i redattori della rivista “il Mulino” acquistano personalmente le quote della “società editrice”. La proprietà della testata della rivista viene trasferita all‟Associazione e Pedrazzi è nominato presidente dell‟editrice e quindi non può più seguire anche l‟omonimo periodico. È solo a seguito della sua riconferma, avvenuta dopo due anni di attività, nel 1967, che Galli decide di rielaborare a modo suo la rivista. Ferma 58 59 Fascicoli 99/100-149 della rivista “il Mulino”. Fascicoli 150-206 della rivista “il Mulino”. 41 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica restando la veste esterna, infatti, essa viene strutturata in sezioni dedicate a politica interna, internazionale, cultura e religione. Questo cambiamento permane, però, solo per un anno, quando la struttura interna viene nuovamente stravolta. È necessario ricordare che Galli è tutt‟oggi docente di storia delle dottrine politiche e ha dedicato gran parte dei suoi lavori all‟analisi del sistema politico italiano, adottando metodologie mutuate dalle scienze sociali. Il 1969 è un anno importante, quasi di trapasso per la rivista, con ipotesi di trasformazione molto dibattute in sede di Associazione. Essa diviene una rivista alquanto “movimentata”, con collaborazioni estese e variate. Un gruppo di lavoro viene incaricato di studiare il rinnovamento della rivista ed esso lavora attivamente fra gennaio e maggio dello stesso anno. Un progetto viene presentato nell‟assemblea del 14-15 giugno, ma, dopo un periodo di stallo nel quale si ipotizza anche una pubblicazione settimanale, a novembre si riporta la rivista a una periodicità bimestrale. È, inoltre, nello stesso anno che Finzi cessa dall‟incarico di capo redattore. Nel 1970 entra in carica il nuovo Comitato di direzione e Nicola Matteucci torna a sedere alla poltrona di direttore della rivista. Tornata a periodicità bimestrale, cambia nuovamente formato, veste e struttura, che rimarranno tali fino al 1977, eccezion fatta per la modifica di alcune rubriche. Tra il secondo e il terzo mandato di Matteucci si inseriscono, invece, ben tre direttori. 42 Il Mulino Il primo è Pietro Scoppola, alla guida della rivista dal gennaio 1974 al dicembre 1977 60, il quale non muta pressoché nulla nella struttura del periodico concentrando attenzione su dibattiti e argomenti di grande interesse come il divorzio, argomento, quest‟ultimo, di particolare interesse per Scoppola, futuro senatore tra le file della DC (1983-87) e annoverato tra i maggiori contemporaneisti di area cattolica. Egli ha rivolto i suoi studi soprattutto alla storia dei cattolici italiani del Novecento, sottolineandone il processo di maturazione democratica sviluppatosi in una linea di continuità da Murri a Sturzo a De Gasperi, e fondato sul carattere popolare del movimento cattolico61. Arturo Parisi, conosciuto ai più per il suo ruolo politico come fondatore del partito “La Margherita”, occupa il posto di Scoppola nel gennaio del 1978 e vi rimane sino al dicembre 197962. Nel primo numero del 1978 la rivista cambia veste (che rimarrà tale sino al 1990) e struttura, mantenendo immutati formato e grafica interna, mentre le tematiche politiche e sociali la fanno da padrone nei contenuti. Con Gianfranco Pasquino, in carica dal gennaio 1980 al dicembre 198363, la struttura della rivista, fermo restando il blocco di articoli di apertura, diviene più articolata, con 60 Fascicoli 231-254 della rivista “il Mulino”. http://www.treccani.it - Ultima consultazione 25/11/2011. 62 Fascicoli 255-266 della rivista “il Mulino”. 63 Fascicoli 267-290 della rivista “il Mulino” 61 43 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica l‟ausilio di ricerche, saggi e contributi di taglio politico e sociale. Compare, inoltre, l‟analisi del sistema politico italiano, rivolta principalmente al bilancio del decentramento regionale. Forte attenzione è data anche ai problemi dell‟istruzione e dell‟università. Pasquino, torinese classe 1942 e considerato tra i principali politologi italiani, viene eletto al Parlamento nelle fila della Sinistra Indipendente e lascia nel luglio 1983 la direzione della rivista la quale, come già accennato, torna a Matteucci. Nel 1984 assume il ruolo di capo redattore Giovanna Movia, mentre Matteucci viene confermato direttore della rivista. È nel 1986, sotto la direzione di Matteucci, che Edmondo Berselli diventa capo redattore della rivista, che negli ultimi due anni non aveva subito particolari variazioni. Nel 1991 entra in carica il nuovo comitato di direzione della rivista, e prende la guida anche della rivista Giovanni Evangelisti, già direttore editoriale della casa editrice, che conduce la rivista dal gennaio 1991 all‟agosto 1994 64. È proprio nel 1991 che il periodico cambia non solo formato e veste grafica, ma si rinnova anche nei contenuti. Compaiono ora gli “Osservatori” italiano ed europeo e nello stesso anno, il 10 giugno, riceve il premio “Parlamento”, giunto alla sesta edizione. Si passa poi alla lunga era di Alessandro Cavalli, sociologo, nato nel 1939 e Ordinario presso l‟Università di Pavia dal 1967. E‟ a capo della rivista per ben 8 anni, dal settembre 1994 al dicembre 2002 65, senza però apportare particolari modifiche. 64 65 Fascicoli 333-354 della rivista “il Mulino” Fascicoli 355-404 della rivista “il Mulino”. 44 Il Mulino Arriviamo così ai due mandati di Edmondo Berselli, dal gennaio 2003 al dicembre 200866. Berselli, profondo conoscitore della rivista, essendone stato prima capo redattore e poi vice direttore, la dirige con dovizia e passione, come vedremo in seguito, proponendo anche modifiche dal punto di vista e strutturale, le quali verranno applicate dal numero di gennaio 2009. Attuale direttore della rivista è Piero Ignazi, classe 1951, così come Berselli, insegna politica comparata presso l‟Università di Bologna. Entrato in carica nel gennaio 2009, a fine 2011 vedrà lo scadere del suo primo mandato e si può dire sin da ora che abbia cercato, in linea con la direzione precedente, di dare al periodico un taglio meno accademico, diminuendo la lunghezza degli articoli e introducendo sezioni dedicate a politica e cultura, ma anche a costume, satira, società e letteratura. 1.4 Dalla rivista alle istituzioni Come ha affermato Bruno Simili67, attuale capo redattore della rivista, la struttura del gruppo “il Mulino” può essere definita, se non altro, piuttosto curiosa. Pochi sanno che la Società editrice è solo una delle quattro parti che fanno capo all‟ Associazione di Politica e Cultura «il Mulino». È, certo, comprensibile, in quanto ramo più noto, più importante e più significativo anche in termini di fatturato del gruppo. Essa, infatti, fattura da sola più di 66 67 Fascicoli 405-440 della rivista “il Mulino”. Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit. 45 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica venti milioni di euro all‟anno e ha più di settanta dipendenti. Numeri indubbiamente di una certa portata68. Lo status attuale del gruppo è andato via via costruendosi nell‟arco di diversi anni: dopo la creazione della rivista (1951) e della “società editrice” (1954), per coordinare il lavoro del gruppo nasce l‟Associazione di Cultura e Politica, denominata in origine “Associazione Carlo Cattaneo 69”. Prosegue Simili: la Rivista de “il Mulino” è gestita interamente dall‟assemblea dei soci; la società editrice, invece, è controllata per un pacchetto azionario di maggioranza (64%) da una finanziaria, che a sua volta è subordinata all‟Associazione e si chiama Edifin. Di fatto l‟Associazione è quindi a capo anche della società editrice, però per statuto gli utili di quest‟ultima vengono riinvestiti e non possono essere ridistribuiti ai soci. Nel 2009 la finanziaria che controlla la società editrice è anche diventata proprietaria del 60% di Carocci editore di Roma che quindi è entrata a far parte de “il Mulino”, anche se indirettamente. C‟è poi una società che si occupa di promozione in libreria che si chiama Promedi, la quale ha una certa consistenza. Anch‟essa è controllata da Edifin e oltre al Mulino e a Carocci, distribuisce molti altri editori. E‟ di fatto un piccolo gruppo editoriale, anche se un po‟ mascherato dietro alla sobrietà che da sempre ha 68 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 205. Oggi esiste l‟istituto Carlo Cattaneo, istituto di ricerca, patrocinato dal Presidente della Repubblica che ha sede in Piazza Santo Stefano a Bologna. Fa anch‟esso capo all‟Associazione del Mulino. 69 46 Il Mulino caratterizzato l‟azione di Evangelisti e di tutto il gruppo Mulino. Sono tante scatole una dentro l‟altra, ma al vertice rimane sempre l‟Associazione70. Dalla creazione della prima rivista nascono così una serie di iniziative, tutte facenti capo ai principi fondatori dichiarati nel primo numero del periodico. Anzi tutto, come dicevamo, l‟Associazione di Cultura e Politica «il Mulino». Essa sviluppa la propria attività attraverso la rivista “il Mulino”, la “società editrice” il Mulino, l'Istituto di studi e ricerche “Carlo Cattaneo”, la Fondazione Biblioteca del Mulino. Di queste istituzioni l'Associazione regola i lavori dettandone gli statuti; designa le persone che ne hanno la responsabilità; ne orienta i programmi, valutandone periodicamente i risultati71. 1.4.1 L’ Associazione di Cultura e Politica «il Mulino»72 Il 27 febbraio 1965 fu costituita dal gruppo di redattori della rivista l‟Associazione di Cultura e Politica «il Mulino», (privata e senza fine di lucro), pensata per organizzare istituzionalmente il gruppo stesso. 70 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 205. http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. 72 Buona parte dei materiali riguardanti l'Associazione “il Mulino” sono stati estrapolati dall'opuscolo Associazione di cultura e politica il Mulino, stampato nel 2009. 71 47 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica È nell‟articolo 2 dello Statuto - che riportiamo totalmente in appendice, ritenendolo fondamentale per capire lo spirito e gli intenti, nonché le norme relative al funzionamento degli organi direttivi delle istituzioni promosse o controllate dall'Associazione - che ne troviamo riassunte la natura e le finalità: essa è formata da studiosi e intellettuali di formazione culturale e di attività professionale diversa, legati fra loro da un comune impegno civile e democratico. Essi sanno che la soluzione dei problemi sociali e politici del nostro tempo impegna in primo luogo la responsabilità delle autorità pubbliche e delle forze politiche organizzate; ma giudicano che, in una democrazia pluralistica, sia altresì importante il contributo di studio e di formazione che può essere portato alla società e all'opinione pubblica da parte di gruppi indipendenti. Essi perciò si costituiscono in associazione per perseguire in modo non episodico fini di studio, di formazione e orientamento dell'opinione pubblica, di impegno civile e democratico73. Inoltre, l‟articolo 3 precisa che Per realizzare le proprie finalità l‟Associazione promuove lo sviluppo di attività di studio e di ricerca, la pubblicazione di periodici e volumi, la effettuazione di manifestazioni pubbliche, uniche o collegate, e di ogni altra attività, a proprio nome o in unione con altri, che possa riuscire utile ai fini indicati nell‟art. 2 74. 73 74 Statuto de l' Associazione il "Mulino" . Ibidem 48 Il Mulino L‟Associazione, per mezzo di un‟Assemblea dei soci, definisce gli scopi delle proprie attività promuovendo, se necessario, specifiche istituzioni e ne definisce i programmi, approvandone i rendiconti economici e finanziari annuali. Essa dà, inoltre, vita alle istituzioni eventualmente necessarie per l‟attuazione degli interventi, dettandone le regole di funzionamento e nominandone gli organi direttivi Come già detto, l'Associazione «il Mulino» sviluppa quindi la propria attività proprio per mezzo delle istituzioni da essa controllate e promosse. Esse sono: la rivista “Il Mulino”, la “società editrice” il Mulino, l'Istituto di studi e ricerche “Carlo Cattaneo” e la Fondazione Biblioteca del Mulino. 1.4.2. Le Edizioni del Mulino Costituita nel giugno del 1954 per iniziativa del gruppo promotore della rivista “il Mulino”, la “società editrice” il Mulino aveva, sin dal suo esordio, l'obiettivo di contribuire allo sviluppo e alla modernizzazione della cultura italiana, attraverso un programma di pubblicazioni che attingeva significativamente dalle scienze sociali di matrice anglosassone, e che si ispirava a un approccio esplicitamente empirico e riformista 75. Nonostante una crescente varietà di aree disciplinari (storia, filosofia, linguistica, critica letteraria, antropologia, 75 http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. 49 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica psicologia, sociologia, scienza politica, economia, diritto), le finalità preposte non sono mai venute meno, ne è dimostrazione il numero sempre crescente di produzione di manualistica per l'università e l'attenzione costante per tematiche innovative. Oltre ad un ampio catalogo di riviste, infatti, che copre l'intera gamma di interessi dell'editrice, le pubblicazioni del Mulino comprendono una vasta produzione di libri. Una parte dei programmi editoriali infatti è data dai testi di riferimento e di ricerca, rivolti in particolare alla comunità degli studiosi. Un'altra importante direttrice editoriale si identifica nei volumi di carattere strumentale, destinati allo studio e all'insegnamento universitario76. Non a caso, d‟altra parte, l‟originario programma di fondazione del Mulino si concludeva sulla questione della riforma dell‟ordinamento scolastico e altrettanto non a caso il problema della funzione letteraria vi era posto muovendo dal rifiuto della sua dimensione “assoluta”, laddove le “teorie” dovevano venir subordinate alle “espressioni concrete del lavoro attuato”, al dibattito sugli “strumenti” e sui “criteri direttamente interessati alla ricerca”, tanto meglio se incarnati nella “forza di temperamento”77. 76 Ibidem. L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989 , Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea, diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, p. 457. 77 50 Il Mulino L'editrice il Mulino è una società per azioni. La quota di maggioranza del capitale è controllata dall'Associazione di cultura e di politica «il Mulino». La caratterizzazione della produzione fu netta. Uscirono dapprima monografie di ricerca, dovute ad autori italiani e stranieri (più stranieri che italiani), in una prospettiva politico-culturale analoga a quella entro la quale si collocava la rivista "il Mulino" (impegno rigoroso a dare un contributo allo svecchiamento della cultura italiana, larga apertura ad apporti provenienti da una pluralità di ambienti scientifici, culturali e politici diversi) a cui si affiancarono in seguito testi strumentali di sintesi e di orientamento, sempre di elevato valore culturale. Furono pubblicati libri di storia, filosofia, critica letteraria, sociologia, politica, con un forte impegno nei settori della sociologia e della politica, che finirono per caratterizzare in modo particolare la fisionomia dell'editrice 78. Divergenze su piano politico provocarono, nella prima metà degli anni sessanta, una frattura fra la proprietà della Società editrice (allora detenuta dalla Poligrafica il «Resto del Carlino») e i giovani curatori. A seguito di numerose trattative, i redattori della rivista “il Mulino” acquistarono la proprietà della “società editrice”, proprietà che trasferivano subito dopo alla Associazione di cultura e politica «il Mulino», da essi stessi costituita per gestire in modo organico le numerose attività che il gruppo aveva fino a quel momento avviato. Veniva, così, definito un assetto 78 http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. 51 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica giuridico-istituzionale per la gestione dell'editrice, tuttora vigente. Al Consiglio d'amministrazione della Società le competenze fondamentali che sono proprie del Consiglio d'amministrazione di ogni Società, veniva creato un Consiglio editoriale, diretta emanazione dell'Associazione «il Mulino», al quale sono riconosciuti formali poteri di intervento nella gestione politico-culturale dell'editrice. I programmi editoriali vengono infatti messi a punto sotto il controllo del Consiglio editoriale, il quale, operando entro i limiti economici fissati dal Consiglio d'amministrazione, è ancora oggi un organo fondamentale nella gestione della politica culturale dell'editrice. In questo modo, nell'ambito di una gestione economica sana, si è salvaguardato istituzionalmente il ruolo delle energie intellettuali che hanno creato "il Mulino" e ne hanno sostenuto la crescita79. A partire dal 1964 il capitale sociale venne portato a 10.000.000 di lire. Fu così avviata una politica di espansione dell'editrice in due direzioni: da un lato prese il via la pubblicazione di altre riviste di settore nelle diverse aree disciplinari dove l'editrice era presente, che affiancarono l'ormai consolidata rivista "il Mulino"; dall'altra si fondarono, a fianco della tradizionale produzione fino allora portata avanti dall'editrice, nuove collane, puntando in particolare sulla pubblicazione di testi strumentali, utilizzabili nell'università. 79 Ibidem. 52 Il Mulino A ribadire il rapporto di stretta contiguità tra il Mulino e l‟ambiente letterario dell‟Ateneo bolognese, è poi intervenuta l‟alta qualità della ricerca ermeneutica svolta da uno dei giovani protagonisti di quella prima fase propositiva e organizzativa sintetizzata nel programma, il bolognese Ezio Raimondi, nato nel 1924. Raimondi […] è venuto sperimentando nel corso degli anni un metodo di lavoro che, al rispetto rigoroso dell‟aspetto filologico, ha saputo sommare un‟inquietudine gnoseologica che si dirama da una ricchissima trama di riferimenti interdisciplinari, allargando, problematizzando e riattualizzando il sistema dinamico dei testi e degli autori oggetto dell‟attenzione critica80. O riprova di ciò basti pensare che tra i titoli dei primi dieci anni ci furono: Geografia delle elezioni italiane dal 1946 al 1953 di F. Compagna e V. De Caprariis, La sinistra italiana nel dopoguerra di G. Galli, Alle origini della filosofia e della cultura di R Mondolfo, Democrazia e cultura di H. Kelsen, La folla solitaria di D. Riesman, N. Glazer, R. Donney, Società e dittatura e La struttura dell’azione sociale di T. Parsons, Teoria della letteratura di R. Wellek e A Warren, La ribellione delle masse di J. Ortega y Gasset, Ideologia e utopia di K. Mannhiem. Certo in questi quasi sessant‟anni di attività la “società editrice” il Mulino è cresciuta arrivando nel 2009 a pubblicare 56 riviste, 351 nuovi volumi e 479 tra ristampe e riedizioni, toccando un fatturato netto di 12,6 milioni di 80 L’Emilia e la Romagna, a cura di Anselmi, G.M., Bertoni A.; 1989 , Letteratura italiana: storia e geografia, III, L’età contemporanea, diretto da Asor Rosa, A., Torino, Einaudi, p. 458. 53 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica euro, con un fatturato a prezzo di copertina dei volumi di 17,6 milioni di euro. A fine anno i titoli in catalogo erano 4.19081. Discorso a parte vorremmo dedicare ai due direttori editoriali che si sono succeduti dal 1965 ad oggi. Il primo non può che essere definito uno dei pilastri dell‟intera esperienza “mulinista”, direttore della casa editrice per ben quarantaquattro anni, dal 1965 al 2008. Giovanni Evangelisti è considerato uno degli uomini che hanno animato la cultura italiana degli ultimi cinquant‟anni. Personalità poco avvezza al palcoscenico, ma capace di svolgere dietro le quinte un lavoro di eccezionale qualità, con una dedizione accanita e la convinzione che ciò che conta nella cultura non è lo show system, ma il catalogo, i programmi, le idee82 così lo definisce Edmondo Berselli dalle pagine di «la Repubblica» il giorno seguente la sua morte. Fu proprio Evangelisti, laureato presso la facoltà di Scienze Politiche di Firenze, che volle accentuare l‟identità plurale della casa editrice. Dopo la liberalizzazione degli accessi alle università del 1969, Evangelisti capì che vi erano solo due cose da fare per dare vita a una nuova classe dirigente: spalancare le porte alle intelligenze emergenti e 81 http://www.mulino.it/ - Ultima consultazione 25/11/2011. E. Berselli, Addio a Evangelisti, anima del Mulino, «la Repubblica», 5 ottobre 2008, p.12. 82 54 Il Mulino «trasformare il sapere e la ricerca in programmi editoriali, cercando e perfino “formando” il pubblico» 83. Intellettuale, non voleva essere definito tale, come afferma Luigi Pedrazzi, suo amico e co-fondatore del Mulino in un‟intervista Giovanni sapeva tutto, leggeva tantissimo, ma conosceva bene le regole del mercato dell‟ editoria. Aveva un‟immensa energia. Il ‟64 fu l‟anno del grande passo, della scommessa: comprammo la proprietà della società editrice […] Fu lui a dirmi “compriamo” […] -era- una competenza poliforme […] sapeva tutto di sociologia, diritto e scienze storiche e non è mai stato uno yesman 84. Riportiamo queste parole perché ci sembra vadano a ricalcare al meglio quanto detto sin ora sull‟editrice stessa, a riprova del fatto che indubbiamente Evangelisti fu uno dei principali ispiratori e una delle guide più importanti che ebbe il Mulino. A raccogliere la gravosa eredità di Evangelisti è una donna: Giovanna Movia, che dal 2009 dirige la casa editrice di Strada Maggiore. Collaboratrice del gruppo già dal 1967, Giovanna Movia, alla quale i giornali hanno spesso dato il soprannome di “Lady Mulino” è stata una delle curatrici della fortunata collana “Farsi un‟idea”. Movia sostiene che per rilanciare la casa editrice servano due cose: innovazione e tradizione. 83 Ibidem. Gulotta, C.; 2008; Pedrazzi e l’amico di una vita fu lui a dirci diventiamo editori, «la Repubblica-Bologna», 5 ottobre, p.5. 84 55 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica 1.4.3 L'Istituto Cattaneo Costituita nel 1984, la fondazione “Cattaneo” viene riconosciuta nel 1986. Il periodo d'azione tuttavia dell'Istituito è ben più ampio in quanto al sua fondazione risale al 1965, come emanazione dell‟Associazione di politica e cultura “Carlo Cattaneo”, a sua volta creata nel 1956. La storia dell'Istituto è legata in modo indissolubile a quella della Rivista, saldo tronco di tutti i rami che oggi compongono l'albero Mulino. Innanzitutto crediamo sia fondamentale ricordare chi sia Carlo Cattaneo. Cattaneo, nato nel 1801 e morto nel 1869, si può considerare uno dei principali patrioti, filosofi, politici e scrittori dello stato italiano. Al di là del suo pensiero federalista, Cattaneo viene ricordato in quanto figlio dell‟illuminismo: è insita in lui una vera e propria fede nella ragione che si mette a servizio di una vasta opera di rinnovamento della società. Per Cattaneo scienza e giustizia devono guidare il progresso della società e tramite esse l‟uomo ha compreso l‟assoluto valore della libertà di pensiero. Il progresso umano, però, non viene dal singolo individuo, ma, al contrario, da uno sforzo collettivo. Scambio e confronto servono più della singola intelligenza, la quale, per mezzo di quest‟ultimi diventa più tollerante e con lei anche la società. Non è certo un‟intitolazione casuale quella a Cattaneo, soprattutto se si pensa che i due temi portanti dell‟interesse della casa editrice e dell‟istituto sono: l‟analisi dei dati elettorali e la sociologia. 56 Il Mulino Oltre all‟intitolazione, però, non è nemmeno senza significato che i primi due volumi editi da il Mulino trattino proprio dei temi sopra citati e che i curatori siano due autori appartenenti ad un contesto non bolognese, ma napoletano. I primi contatti importanti fra il gruppo bolognese de “il Mulino” e gruppi di altre città avvengono infatti con Napoli, dove Matteucci, Pedrazzi e Santucci si erano recati a studiare dopo la laurea presso l‟Istituto italiano per gli studi storici. I rapporti con quell‟istituto non solo sarebbero stati fecondi, determinando un ampliamento del gruppo fondatore del Mulino, ma sarebbero proseguiti negli anni, soprattutto attraverso la figura di Cavazza, che a partire dal 1986 sarebbe diventato consigliere di amministrazione di quell‟istituto85. Il gruppo dei redattori della rivista sentì quindi l‟esigenza di costituire una sede autonoma di studio, di organizzazione e di ricerca. Nacque così dapprima l'Istituto, poi la Fondazione “Cattaneo” dall‟interesse culturale per la sociologia promosso da alcuni dei fondatori e condiviso da tutti gli altri collaboratori. E' da sottolineare che l'impegno dei collaboratori dell'Istituto fu per così dire “disinteressato” sotto il profilo personale. Si tratta di un caso, forse non unico, ma certamente molto raro, di totale gratuità culturale, una specie di mecenatismo giovanile senza la risorsa fondamentale del mecenate: la disponibilità economica. 85 http://www.cattaneo.org - Ultima consultazione 25/11/2011. 57 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Questi giovani imprenditori culturali si fecero sponsor di attività di ricerca coinvolgendo pian piano tutti gli studiosi che si affacciavano a questo tipo di studi, senza investirvi nella propria carriera accademica. Si tratta di una cosa di grande rilevanza e probabilmente poco usuale. Occorre considerare che si trattava di persone che non si erano ancora affermate sotto il profilo della carriera personale e avrebbero potuto legittimamente sfruttare questa occasione a tal fine. A questo si accompagna anche un atteggiamento universalistico nel reclutamento dei propri ricercatori da parte del “Cattaneo”, che ha spesso preferito giovani promettenti e non ancora affermati a studiosi più noti, ma ritenuti meno adatti alle attività di ricerca. Si venne a creare, quindi, l'esigenza di una sede di studio e di ricerca distinta sia dalla rivista e dalla casa editrice. Ciò si tradusse, il 4 settembre 1956, nella creazione dell‟Associazione di studi e ricerche “Carlo Cattaneo” che ha come scopo la promozione di convegni e ricerche e la pubblicazione di libri e riviste. Ne sono promotori Cavazza, Contessi, Matteucci, Pedrazzi, e Santucci. Segretario viene nominato Cavazza. Nasce così quello che poi diverrà Istituto Cattaneo e in seguito Fondazione, con una sua autonomia funzionale e organizzativa e con una struttura non giuridicamente ma, di fatto, distinta da quella dei fondatori. Per iniziativa degli stessi promotori, e nello stesso giorno, viene inoltre costituito il Comitato di studio dei problemi dell‟Università italiana. La costituzione del comitato sui problemi dell‟Università definisce immediatamente uno degli ambiti 58 Il Mulino di ricerca del futuro istituto. Con questa scelta si definiscono altresì in modo più puntuale le mete e gli interessi culturali di questo gruppo di fondatori. L‟intitolazione dell‟associazione viene motivata, oltre che come doveroso omaggio a uno dei protagonisti del Risorgimento e dunque dell‟Unità nazionale, come riconoscimento del rilievo dell‟approccio empirico evidenziato da Cattaneo nelle sue ricerche storiche ed economiche in quanto criterio metodologico cui ispirare l‟attività dell‟Associazione. Dunque emergono già in quegli anni, nel 1956, due filoni di ispirazione del Cattaneo: da un lato quello laico-riformista, dall‟altro l‟orientamento empirico alla ricerca 86. Questo gruppo di intellettuali (giuristi, storici, filosofi e letterati) di lì a poco incontrerà la sociologia e questo incontro è promosso da persone la cui formazione è sostanzialmente crociana, il cui idealismo certamente avrebbe guardato con sospetto l‟orientamento empirico alla ricerca. Da non dimenticare, inoltre, che queste vicende si svolgono in un periodo storico-culturale, quello degli anni cinquanta, caratterizzato dalla guerra fredda, e in un‟Italia con un sistema politico bloccato. In Italia la contrapposizione tra democristiani e comunisti e l‟idea di una via diversa, politicamente e culturalmente, distingueva il gruppo del Cattaneo e del Mulino rispetto ai due opposti schieramenti, ma soprattutto, nella Bologna la cui scena politico-culturale era dominata dai comunisti li 86 Ibidem. 59 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica distingueva da questi ultimi. Ovviamente però questo gruppo, proprio perché gli altri due orientamenti, anche a Bologna erano così radicati, veniva ad essere considerato come residuale; inevitabilmente veniva ad essere definito in negativo, come qualcosa che non era né l‟uno né l‟altro. Gli spazi per l‟affermazione di una via politicamente e culturalmente diversa erano veramente esigui87. Ed è probabilmente proprio dallo spirito che animava i fondatori dell‟istituto che venne una delle regole qualificanti della Fondazione: la natura non riservata dei risultati degli studi e delle ricerche. Per tenere fede a questo impegno, l‟Istituto “Cattaneo” ha dato luogo, nel corso dei decenni, a un‟ampia produzione editoriale, coltivando in questo senso un rapporto privilegiato con la “società editrice” il Mulino. Oltre, naturalmente, a confluire in una serie di altre pubblicazioni del Mulino e non. 1.4.4 La Fondazione Biblioteca del Mulino «La Biblioteca del Mulino, come insieme di libri e di riviste, è andata formandosi a partire dal 1951, anno di nascita della rivista “il Mulino” e quindi punto di avvio di una intensa attività culturale che si arricchirà successivamente con la fondazione della “società editrice” il Mulino (1954) e con la creazione dell‟Istituto di studi e ricerche “Carlo Cattaneo”»88 (1965). 87 88 Ibidem. http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. 60 Il Mulino È solo verso gli anni settanta che la biblioteca conosce la sua prima trasformazione, concentrandosi solo sui giornali e trasformandosi, per questo, in emeroteca. Recentemente i vertici del Gruppo “il Mulino” hanno scelto di dare un nuovo patrimonio librario a questa realtà, patrimonio che si sta lentamente accrescendo. Le motivazioni di questo nuovo cambiamento si possono rintracciare sia nelle “attività extra” promosse dalla Biblioteca del Mulino, come iniziative culturali, di studio e di ricerca, di incontri e seminari, sia nella sua istituzionalizzazione (avvenuta nel 2004) a Fondazione. Tale fondazione è nata per iniziativa dell'Associazione il «Mulino», con il concorso della “società editrice” il Mulino e della Edifin. In particolare, l'esistenza e il funzionamento della Biblioteca sono resi possibili, oltre che dalle risorse che a essa destina la “società editrice”, da specifiche convenzioni con l‟istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e l‟Università degli Studi di Bologna, ciò a sottolineare il fortissimo legame tra i mulinisti, l‟EmiliaRomagna e l‟ateneo Bolognese. La Biblioteca del Mulino si avvale, inoltre, di una serie di sostenitori, che garantiscono alla Biblioteca un funzionamento adeguato. 61 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica 62 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere Capitolo II - Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere 2.1 L’Infanzia È forse memoria la parola chiave per iniziare una trattazione su Edmondo Berselli. Memoria a dir di tanti strepitosa, la sua, e memoria, intesa come ciò che va ricordato, ripreso, riletto e riscritto, per dar vita a nuove analisi, a riflessioni e perché no a ricordi. È proprio da questi ultimi, i ricordi che è necessario partire. Vi è in Berselli quella voglia, o forse necessità, di raccontarsi e raccontarci, di tenere il filo dei suoi ragionamenti. La sua vuole essere proprio una metafora della vita e di come sia necessario interpretare il mondo: è come se Berselli volesse ricordarci, con newtoniana memoria, che a ogni azione corrisponde una reazione. Ogni gesto che noi facciamo, ogni scelta che prendiamo, modificherà di poco o tanto non solo la nostra vita, ma forse anche quella altrui. È per questo che non si può prescindere dal raccontare chi si è stati per parlare dell‟oggi. Berselli dà l‟idea di essere un pragmatico emiliano, di quelli che non credono se non vedono. Non si costruisce una casa se non dalle fondamenta, per lui è ovvio, imprescindibile. Ed è per questo che prima di tutto ci racconta chi è. Non siamo in presenza di una mera esibizione collezionistica, di un esercizio di trovarobato sterile e 63 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica compiaciuto, fine a se stesso. Per Berselli, riposizionare sulla pagina tutti quei segni (piccoli e grandi), farli rivivere, ridare loro il giusto valore e la giusta collocazione, è la chiave di volta di un ragionamento ben più ampio e ambizioso, teso a ricostruire la mappa della modernità italiana, quell‟universo di suoni, colori, sapori, idee e atmosfere che tra gli ultimi Cinquanta e i primi Sessanta sta cambiando radicalmente la pelle del paese. Per accompagnarci in questo viaggio a ritroso egli sceglie la strada dell‟esperienza personale 1 Edmondo Berselli nasce a Campogalliano il 2 febbraio del 1951, ma l‟infanzia emiliana è solo un ricordo sbiadito per lui. «La storia reale è che nel dicembre 1954 ci trasferiamo al Nord»2 e in particolare nelle zone di Rovereto, in provincia di Trento, dove tutta la famiglia dovette emigrare per seguire il padre operaio; mia madre giovane con in braccio mia sorella in fasce, una bambina di quattro mesi. Hanno appena abolito a terza classe, commenta mio padre. Rivedo la piazza soleggiata della stazione di Bologna, il passaggio sul ponte del Po a Ostiglia, il fiume che si apre larghissimo sotto le carrozze e i binari, il male al culo sui sedili di legno dell‟accelerato; all‟arrivo una giornata stupenda dell‟inverno trentino, con il volo di colombi, lontano, nell‟aria chiara […] e non 1 Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, p. XI. 2 Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del Sessantotto, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp. 849-1006), p.853. 64 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere appena mette piede a terra, con la bambina in braccio, la mamma giovane, che adesso sarebbe considerata poco più che una ragazza, si fa venire le lacrime agli occhi e in italiano, cioè la lingua delle occasioni speciali, dice a mio padre: ma dove mi hai portata3. Berselli attraverso i suoi ricordi di infanzia ci racconta un‟epoca: la Gilera nuova cilindrata 150 del padre, l‟Idrolitina, la quale «aveva un gusto vagamente salato, che sembrava il dissapore da concedere alla modernità delle bollicine»4, le poche notizie, tutte sapientemente filtrate, la morte di Papa Pacelli e la vita in questo Trentino, così diverso dall‟amata Emilia. Figlio di padre operaio, degasperiano, il quale commentava le notizie del giornale radio con giudizi sommari sui dirigenti del Partito comunista, e di madre proveniente da una famiglia socialista «di quelli di una volta che pensavano sinceramente che Cristo fosse stato il primo socialista»5, Edmondo vive la sua infanzia tra calcio, musica e politica, senza mai dimenticare l‟Emilia. Il periodo del quale stiamo parlando va, come dicevamo, dal 1954 al 1966, dai tre ai quindici anni dell‟autore, periodo nel quale avviene la sua formazione primaria. Rovereto si trova in Val Lagarina e allora non era che una cittadina di circa venticinquemila abitanti. Come racconta lo stesso Berselli nel backstage al libro Adulti con riserva, erano finiti in quell‟angolo d‟Italia «per via 3 Ivi, pp. 853-854. Ibidem. 5 Ibidem. 4 65 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica dell‟industrializzazione alla maniera democristiana, poiché l‟azienda di Campogalliano dove lavorava mio padre, la Crotti […] aveva aderito a un programma di sovvenzioni e aveva aperto la filiale roveretana in cui mio padre ha fatto per dodici anni il capo officina»6. C‟è una sorta di malinconia per la terra natia, che sembra essere quasi palpabile in tutta la prima parte del testo sotto citato. Nelle sere d‟inverno, qualche volta, veniva a trovarci Innocente Annovazzi, modenese anche lui in esilio: uno che aveva la Lambretta, ne vantava la superiorità su tutti gli altri veicoli a due ruote, amava qualche piccola esibizione di savoir-faire mondavo, conosceva diversi giochi divertenti con le carte. Si passavano ore discutendo di calcio, perché lui era tifosissimo del Bologna e convinto di possedere una sapienza tecnico-tattica rara. Raccontava volentieri di quella volta che aveva schierato la squadra (aveva fatto l‟allenatore? E dove?) con un modulo anomalo, mettendo un terzino nella posizione di centravanti, in modo da ingarbugliare lo schema di gioco degli avversari. Non c‟era niente da fare in quelle sere, e non restava che chiacchierare davanti alla cucina economica accesa, mentre il tepore appannava i vetri, e le conversazioni dei due uomini, Annovazzi e mio padre, evocava questioni di lavoro, di tecnica e meccanica, sentiva un ricordo, o la traccia di un ricordo, che lasciava trasparire qualcosa della 6 Ivi, p. 996. 66 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere vita emiliana, schiume effervescenti di lambrusco, rumori secchi di biliardo7. Era il 1958 e Berselli ci restituisce uno spaccato di vita a un decennio dalla fine della guerra, raccontandoci i suoi ricordi di bambino e continua: Dopo il primo biennio, nella scuola elementare c‟erano ancora i maestri maschi, che li sconsigliavano con asprezza teologica. Durissimi se non spietati, quei maestri, capaci di prendere a schiaffi e perfino a calci i teppisti che venivano dalle periferie e dalle frazioni, di bastonarli con il metro di legno fra la solita generale approvazione di tutta la classe. La disposizione dei maschi nelle file dei banchi era uno specchio della società. Nei banchi davanti c‟erano i figli della buona borghesia, commercianti, piccoli imprenditori, professionisti; in mezzo un crogiuolo di borghesia piccolissima e di proletariato industriale consapevole di se stesso e della necessità di „fare tanti sacrifici‟ perché la prole potesse studiare; laggiù in fondo, in una geenna anonima e oscura, i figli dei poveri, delle vedove, dei comunisti. In questa gradazione democristiana, che metteva in scena un automatismo di classe in appartenenza immune da ogni cambiamento, il rendimento scolastico e quindi i voti nelle pagelle erano direttamente proporzionali alla condizione sociale. Gli ultimi, là nel fondo dell‟aula, erano quelli che prendevano i ceffoni, venivano puniti in modi orribili, e i loro genitori non venivano mai a parlare con il maestro. Sarebbero finiti in fabbrica, o „a rubare‟, o all‟estero, avrebbero messo incinta una deficiente, si sarebbero 7 Ivi, p. 868. 67 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica ammalati precocemente, li avrebbero visti trascinarsi da un caffè all‟altro mendicando una grappa, sarebbero finiti paralizzati. Ci vuol poco a capire che ero fortissimamente per il centrosinistra e per le riforme sociali8. 2.2 La giovinezza Nel 1966 la famiglia Berselli torna a vivere nei suoi luoghi natii, o lì vicino: non tornarono propriamente nella piccola Campogalliano, ma a poche decine di chilometri, nel capoluogo di provincia: Modena. Tornare ad abitare dove si è nati, che strana idea: era sembrato un progetto curioso e attraente sulle prime, allorché era stato annunciato in famiglia, anche se nessuno era davvero convinto che si trattasse di una scelta del tutto logica. L‟Emilia era il luogo della vacanza, delle estati, un catalogo di cose che esistevano solo lì. […] L‟unico che voleva davvero tornare a tutti i costi era mio padre […] noi avevamo accolto il trascorrere dei mesi, via via che sia avvicinava il giorno dell‟addio, quasi con incredulità, come se sul calendario fosse segnata una scadenza irreale […] all‟improvviso ci si ritrovava, invece, in una città sconosciuta, ma soprattutto anonima, imprendibile nei suoi mesi fondamentali, nei suoi incroci basilari9. 8 Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del Sessantotto, cit. p. 869. 9 Ivi, p. 932. 68 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere Come abbiamo detto Berselli ai tempi ha solo quindici anni e si trova catapultato in una realtà del tutto nuova per lui, spesso stereotipata dal padre e dai suoi racconti, ma comunque ben diversa da quella trentina. Racconta l‟autore: Se si voleva invece captare davvero lo spirito del tempo era meglio andare in centro, in quel bar dove si era concentrato il vero spirito beat. Nei dintorni incontravi praticamente tutti: trovavi il chitarrista ritmico Franco Ceccarelli […], il magistrale e intellettuale Guccini e, accanto a lui Bonvi, quello schizzato delle Strumtruppen; transitava il profetico Augusto Daolio con qualche altro dei Nomadi, veniva Maurizio Vandelli, che un giornale giovanile aveva beatificato come il quinto miglior chitarrista d‟Europa, mentre l‟intera Emilia era consapevole che quelli dell‟Equipe avevano cominciato conoscendo a malapena il giro di do10. Consapevoli che queste descrizioni possano apparire ridondanti e di poco conto, chi scrive, così come Berselli, vuole sottolineare determinati passaggi perché, esattamente come ci sembra voglia comunicare l‟autore, la cultura emiliano romagnola passa proprio attraverso alcuni legami chiave tra politica, musica, sport e cucina (emblematico il titolo del saggio da lui firmato Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe)11. 10 Ivi, p. 935. Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp.541-662). 11 69 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Ed è in quel bar, il Grand’Italia, nel centro di Modena, che si parlava dei viaggi a Parigi e Londra, passando per Reggio e la via Emilia, che Berselli racconta tra l‟ironico e il obiettivo: nei loro racconti, Londra non era una città, era il luogo hegeliano dove si concentrava, e trovava il suo compimento, la Storia. Cioè, la storia vera. Non la nostra italiana e più precisamente emiliana, che è una storia diversa, Perché qui, vedete, ci sono i comunisti, come dicono tutti i giornali del mondo, e il fatto sconvolgente è che ci sono davvero. Abitano sullo stesso vostro pianerottolo, li si incontra nei negozi, sbucano dal fruttivendolo, fanno benzina come gli altri, sembrano gente normalissima. Ma l‟apparenza inganna: è chiaro che i comunisti non sono la storia, sono l‟eternità. Sono i costruttori di un sistema sociale e politico immutabile. Quel sistema con tutte le bazzecole che abbiamo imparato a citare a memoria, i servizi sociali, le lotte operaie e civili, le lotte antifasciste che vanno a occupare un terreno, di modo che il comune, che appoggia la democrazia militante, ci fa un asilo, il sindaco taglia il nastro in nome del popolo il giorno dell‟inaugurazione, avanti compagni. Ma se li guardate con attenzione, i comunisti, vi accorgerete che appartengono a un mondo parallelo, che l‟euforia degli anni Sessanta non riesce a sfiorare. […] Ma, detto questo, il gran partito dei lavoratori è una risorsa preziosa perché toglie tutti i pensieri. A nessuno che sia sano di mente passa per la testa di fare politica perché la politica la fa il Partito comunista italiano, ma proprio lui in persona […] ci si alza la mattina, perfino la domenica sacrale delle elezioni, e si sa che nessuna sorpresa, buona o 70 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere cattiva, è possibile. La situazione è immutabile. Carpi, sessantacinque per cento. Mirandola, sessantacinque per cento. I lavoratori fanno la solita grande avanzata, le masse predicano democrazia, le cooperative cooperano, e si prosegue sulla strada del socialismo12. E a Londra, invece? A Londra, voi non potete capire. Gli inglesi hanno avuto la tessera annonaria per dieci anni dopo la guerra; l‟ultima grande nebbia, nei primi anni Sessanta, era una cosa verde, densa, piena di anidride solforosa […] al confronto, le nostre famose nebbie padane fanno ridere, a Londra con la zuppa di piselli ci sono stati quattromila morti di malattie polmonari, ed è per questo che hanno deciso di cambiare tutti i sistemi di riscaldamento, abbandonando finalmente le stufe a carbone. E guardatela adesso Londra. Vedere il mondo a colori, le ragazze che passano a coppie sgambettando con quelle gonnelline corte corte […] ci si sarebbe potuti chiedere: ma come mai il mondo nuovo è cominciato proprio qui, nell‟isola della rivoluzione industriale, dell‟economia manchesteriana, di Adam Smith e David Ricardo, della dismal science, la triste scienza di Thomas Carlyle…? Se permettere, io un‟idea ce l‟avrei, racconta una volta il giovane Guccinius, che intellettuale, conosce pure il latinorum e ha già in mente gli accordi e le parole di Dio è morto13. 12 Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del Sessantotto, cit, pp. 936-937. 13 Ivi, p. 941. 71 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Il quale si addentra in una spiegazione storico sociologica così dettagliata, e così negativa, che Berselli, dopo la dotta citazione gucciniana, non resiste e afferma: «Per questo, anche grazie alla lezione di Guccinius, io sono diventato inglese integralmente, dalla punta dei capelli alla punta dei piedi»14 e questo amore per il beat rimase a lungo, tanto da far scrivere al Berselli stesso un intero spettacolo teatrale su questo argomento15. È sul finale dell‟ultimo capitolo di Adulti con Riserva che Berselli fa un bilancio dei suoi primi diciotto anni: insomma, non sono ancora sulla soglia della maggiore età e mi sembra già di avere un passato. Ho attraversato l‟epoca del beat, sono così individualista che non mi sfiora nemmeno l‟idea, in sé molto semplice e attraente, di unirmi a un complesso per suonare la sera in garage. Guardo mio padre e i suoi amici, e mi pare che la delusione per il centrosinistra li abbia invecchiati. Fra poco andrò all‟università, farò il servizio militare e poi que serà serà16. 2.3 Berselli adulto Da questo momento in avanti risulta complesso ricostruire la storia del poliedrico Berselli, il quale, negli stessi anni, sviluppa diverse professionalità: da quelle di giornalista, al 14 Ivi, p. 942. Beatnix, spettacolo teatrale scritto da Edmondo Berselli e Shal Shapiro, qui p. 99. 16 Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del Sessantotto, cit. p. 994. 15 72 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere suo ruolo all‟interno del Mulino (editrice, rivista e associazione), a quella di scrittore e, per finire, autore televisivo e teatrale. Cercheremo di intrecciare le sue “storie parallele”, nel tentativo di regalare a chi legge un quadro sì completo, ma che dia anche un‟idea il più possibile precisa della sua vita. 2.3.1 La laurea e il Mulino Laureato in filosofia presso il Magistero di Parma («un frammento parigino nella pianura, un lascito prezioso di Maria Teresa d‟Austria»17) con una tesi sulla dialettica negativa di Adorno, citato più e più volte in quasi tutti i suoi libri e «sbertucciato in lungo e in largo negli anni a venire»18, Berselli cresce professionalmente nella casa editrice il Mulino, ricoprendo diversi ruoli nella direzione editoriale. È innegabile che il percorso universitario incida profondamente nella scrittura e nella conoscenza dell‟autore, il quale padroneggia la materia con maestria e dovizia di dettagli in pressoché tutti i suoi scritti. Il primo incarico nella casa editrice lo ebbe nel 1976, come correttore di bozze, diretto da Lucia Nicoletti che «mi ha insegnato il mestiere sul campo, nell‟ufficio tecnico di via Santo Stefano 6: maiuscolo e maiuscoletto, tondo e corsivo, 17 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit. p. 583. 18 Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, cit., p. XIX. 73 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica alto e basso»19, per poi passare, dopo un periodo come redattore, all‟ufficio stampa della casa editrice, dove «incenerì il povero gregario che lavorava con lui scodellandogli in venti minuti la recensione di un libro a cui non aveva nemmeno tolto il cellophane»20. Dalla casa editrice, Berselli, uscì nel 2000, ma rimase nel comitato editoriale della rivista. Si può, infatti, affermare che per circa vent‟anni la sua vita si sia sovrapposta a quella del Mulino e, in particolare, dal 1986 a quella dell‟omonimo periodico. In quell‟anno, infatti, ne divenne redattore capo, affiancando Nicola Matteucci (anche fisicamente, condivise con lui l‟ufficio), che all‟epoca ne era direttore, per poi crescere professionalmente e divenire dapprima vicedirettore, negli anni di direzione di Alessandro Cavalli, e direttore, poi, per due mandati, dal 2003 al 2008. Come sottolinea Bruno Simili, nel 1991, con la direzione Evangelisti Berselli assiste e contribuisce, in quanto capo redattore, al cambiamento epocale del periodico, contributo che troverà il suo culmine nel periodo della sua direzione 21. Inutile negare che l‟esperienza con i “mulinisti” lo segnò profondamente; è lui stesso ad affermare «ho lavorato ventidue anni al Mulino, ed è naturale che ogni tanto riemerga qualche storia che mi piace riportare, come il 19 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp.1181-1134), p. 1314. 20 Berti Arnoldi, U.; 2010, Artigiano d’idee, «la Repubblica-Bologna» , 13 Aprile, p. 1. 21 Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 215. 74 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere segno di un legame di amicizia e di affetti tutt‟altro che ridimensionati dal tempo e da nuove scelte di vita» 22. 2.3.2 Berselli saggista23 Attivo anche dal punto di vista della produzione letteraria, Berselli scrisse più di 40 articoli per la rivista (che probabilmente sarebbe più corretto definire “saggi”) e in campo editoriale moltissimo materiale. In ordine cronologico, nel 1993 ha curato la sezione Politica del volume La riconquista dell’Italia24, a cura di Fabio Luca Cavazza, successivamente due suoi saggi, The Sunset of Christian Democracy e Politics and Karaoke, sono apparsi in inglese rispettivamente in Deconstructing Italy: Italy in the Nineties25 e in Italian Politics. The Year of the Tycoon26. Nel 1995 pubblica il volume L’Italia che non muore27, dedicato alla politica e alla società italiana nella fase della transizione politica della prima metà degli anni Novanta (si trattava in realtà della raccolta di alcuni articoli da lui stesso scritti per la rivista) e, sempre nello stesso anno, Il più 22 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit p.1314. In appendice tutte le pubblicazioni a cui ha partecipato, anche in minima parte, Edmondo Berselli. 24 Cavazza, F.L.; 1993, La riconquista dell’Italia, Milano, Longanesi. 25 Sechi, S. a cura di; 1995, Deconstructing Italy: Italy in the Nineties, University of California. 26 Ignazi, P., Katz, R. a cura; 1996, Italian Politics. The Year of the Tycoon, Westview Press. 27 Berselli, E.; 1995, L’Italia che non muore, Bologna, il Mulino. 23 75 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica mancino dei tiri28, un saggio su memoria, calcio e politica, che vinse il Premio Satira Politica di Forte dei Marmi di quell‟anno. Successivamente, nel novembre 1999, dà alle stampe Canzoni. Storie dell’ Italia leggera, libro che, negli intenti dell‟autore, doveva essere un libro politico. A modo suo, ma politico: cioè sostenuto dall‟idea che nel nostro paese i conformismi ideologici e i loro variopinti fantasmi proiettino un alone che si stende perfino sulle canzoni; e che di conseguenza si potesse dare sfogo a qualche cattivo pensiero anche parlando di musica popolare e di passioni tutto sommato leggere. Qualcosa, di politico, dev‟essere rimasto, ma alla fine ho l‟impressione che ne sia uscito chissà come un libro soprattutto romantico, o addirittura sentimentale, anche nelle malevolenze e nelle irritazioni. Come se uno strato emotivo avesse cominciato a premere e poi fosse affiorato a dispetto delle intenzioni consapevoli, con una sua imprevista necessità. Tu chiamale, se vuoi, eterogenesi dei fini29. Con questo libro Berselli si aggiudica il Premio Estense nel 2000 e riceve il Premio speciale della giuria al Premio Biella nello stesso anno. 28 Berselli, E.; 1995, Il più mancino dei tiri, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp. 3-94). 29 Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp. 95-272), p. 97. 76 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere Dopo l‟uscita dei tre volumi con la società editrice il Mulino, tra la fine del 1999 e l‟inizio del 2000 è nelle librerie il volume, redatto con Ermanno Paccagnini, Mille libri per il Duemila30. Un suo saggio, sulla transizione politica italiana, è stato pubblicato in un fascicolo della rivista Daedalus31 dedicato all‟Italia. Dopo l‟esperienza editoriale con il Mulino, Berselli decide di passare a Mondadori e con la nuova casa editrice pubblica ben sei saggi. In essi tratta di politica, musica, calcio, storia, televisione e attualità con disinvoltura e rigore, alternando l‟analisi dei fenomeni politici con l‟interpretazione della realtà sociale e culturale dell‟Italia contemporanea. Nel 2003, infatti, vede la luce la sua terza produzione inedita: Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio 32, pubblicato da Mondadori, che ha raggiunto un immediato successo di pubblico e ha suscitato numerosi interventi sulla stampa nazionale. Queste sue "cronache di un paese provvisorio" scandagliano la politica, la cultura e i mass media dell'Italia contemporanea evidenziandone la natura arcaica e allo stesso tempo post-moderna, la ricerca sfrenata di un'identità laica che non può però prescindere da tutte le tradizioni. 30 Berselli, E., Paccaguidi, E.; 1999, Mille libri per il Duemila, Milano, Il Sole 24 ore. 31 “Daedalus”, tradotto in Italia nel volume a cura di Padoa-Schioppa, T., Graubard, S.R; 2001, Il caso italiano 2, Milano, Garzanti, pp. 225249. 32 Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp. 273-540). 77 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Scrive Berselli, ad esempio, a proposito della televisione nostrana: è un fluido, l'Italia televisiva, in cui sono omogeneizzati ormai tutti gli atteggiamenti e i comportamenti di una società che si è illusa di cambiare, passando, per dirlo in una formula, dalla volgarità al trash, e che quindi celebra se stessa, nei ludi dell'etere, sperimentando ogni giorno la propria post-modenità e nascondendo dietro le quinte di una fiction e di un talkshow i propri arcaismi. In quello sconfinato presente che è l'orizzonte televisivo, anche gli italiani provano finalmente ad essere eterni, sempre dalla parte dell'ultimo ritrovato intellettuale di massa, fedeli e conformi al tabù individuale e collettivo dell'assenza di tabù. Appena spenta, la televisione ricomincia identica domani. E anche l'Italia, la post Italia, domani riapre33. Nel 2004 sempre da Mondadori esce un nuovo volume, Quel gran pezzo dell’Emilia34, che porta come sottotitolo Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe: una interpretazione glocal dell‟Emilia come nord del sud e sud del nord. L'Emilia-Romagna è, infatti, una regione che per Edmondo Berselli non corrisponde esattamente ai confini disegnati nelle cartine geografiche. Mentre Piacenza, città emiliana, è già un po' periferia di Milano, Mantova a nord e Pesaro a sud fanno idealmente e culturalmente parte della regione. 33 Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio, cit. pp. 537-538. 34 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit. 78 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere Guai poi a confondere gli emiliani coi romagnoli. Esistono delle precise differenze antropologiche, storiche, linguistiche e culturali. Comunque, nell'Emilia del dopoguerra, quella delle diatribe fra Peppone e don Camillo inventate da Giovannino Guareschi, è successo uno strano fenomeno evolutivo: il comunismo, che per tanti anni ha detenuto la leadership politica della regione, si è sposato felicemente con gli affari. Il carattere pragmatico del comunismo emiliano, ispirato, nelle sue migliori espressioni, a sobri ed elevati valori morali, ai principi della buona amministrazione e al compromesso con la borghesia, ha prodotto alcuni servizi pubblici eccellenti (gli asili di Reggio Emilia, per esempio, sono i migliori del mondo secondo un'autorevole rivista internazionale) e un pullulare di aziende, nelle aree contigue alla Via Emilia, che costituiscono tuttora un modello, denominato "economia di distretto", studiato anche dai professori americani. In Emilia si è realizzata un'utopia altrove inconcepibile: “il socialismo più la ricchezza”. Scrive Berselli: c'è stato un periodo irripetibile in cui da Piacenza a Rimini una moltitudine di cristiani ha costruito il modello emiliano. Naturalmente non sapevano neppure che cosa fosse, il modello divenuto poi così celebre. Si conoscevano più o meno gli ingredienti, che sarebbero stati sufficienti per fare il più grande zampone economico del mondo: c'erano dentro il culatello di Zibello, il salame di Felino e il prosciutto di Langhirano, la Salvarani e la Barilla, gli egiziani che lavoravano alle fonderie di Reggio, i magliai di Carpi, il gusto della meccanica arretrata e avanzata, il 79 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica parmigiano reggiano, la Fiat Trattori di Modena, l'Idrolitina e Zangheri a Bologna, le cooperative che diventavano sempre più colossali, le banche locali dappertutto, le sterminate balere in ogni dove, l'agricoltura fiorente della Romagna, le pensioni a tre stelle o quasi per i tedeschi a Cesenatico e Milano Marittima, le notti calde a Rimini, tutti i birri della Riviera, Amarcord di Fellini, la pace sociale perché il sindacato non tirava troppo la corda, l'ordine generale perché nulla sfuggiva al partito [...]. Ma per inglobare a amalgamare tutti questi elementi ci voleva un ingrediente in più. Ci voleva la Cultura [...]35. E per Berselli cultura significa sì università di buon livello, professori come Umberto Eco e Ezio Raimondi e scrittori come Pier Paolo Pasolini, ma anche la musica pop, i motori, la buona cucina e il bel gioco. Alla fine del 2006 sempre con Mondadori pubblica il volume Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia36, un pamphlet sui mostri sacri della cultura italiana che ha ottenuto un‟ampia risonanza critica ed eccellenti risultati di diffusione. Venerati maestri è la storia di una progressiva, costante disillusione e di un tragico disinnamoramento. Vergata per l'appunto da chi, per anni, si è nutrito di linguaggio di lotta, di strutture e sovrastrutture, di fumosissimi comitati di 35 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit. pp. 558559. 36 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp. 663-848). 80 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere redazione spesi a sviscerare l'ipocrisia borghese. Berselli tratteggia infatti la parabola biografica dei numerosi sessantottini rimasti fermi al palo, loro e le innumerevoli rate del mutuo acceso per comprare i ponderosi tomi della Einaudi. Un tradimento che si è consumato così tante volte da divenire la cifra esistenziale di una generazione intera. Nel 2007 è uscito Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del ’6837. Questo libro è stato da molti recensito come un‟autobiografia, ma, a nostro giudizio, non è esattamente così. Berselli prende sì le mosse dalla sua esperienza, ma per arrivare ad affermare gli anni sessanta siano stati un decennio irripetibile, pieno di vita, di sublime leggerezza pur nell'estasi di una cultura che stava esplodendo, portando al popolo tante cose che potremmo dire semplicemente belle: nella musica (ce n'è tantissima, in questo libro) nello sport, nella politica ed in genere nella società. E alla fine arriva la tirata contro il sessantotto. E la chiave di lettura è una: tutto ha girato al serioso, al cervellotico, al non-divertente aprioristico. Lasciando intendere che, da lì in poi, sarebbe andata solo peggio. Nell‟ottobre 2008 esce Sinistrati38, una personale analisi della sconfitta della sinistra nelle elezioni politiche dell‟aprile dello stesso anno. 37 Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del Sessantotto, cit. 38 Berselli, E.; 2008, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp.1007-1180). 81 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Finisce il berlinguerismo e, di fatto, si esaurisce anche il comunismo italiano. Tramonta l‟idea che una tensione etica possa fare da fulcro alla politica, che l‟Europa possa essere il luogo della terza via, né sovietica né capitalista, e mentre si dilegua la speranza che la diversità sia un valore politico, si preparano i tempi in cui le mani pulite del Pci non saranno sufficienti a salvare l‟Italia da Tangentopoli 39. Come si diceva, Berselli, dopo le brucianti elezioni del 2008, osserva la gravosa crisi della sinistra italiana e cerca, con questo saggio, di guardare all‟origine della sua caduta, studiando le diverse componenti dell‟universo che nel suo complesso chiamiamo sinistra. I comunisti naturalmente e le loro diverse “correnti” (parola vietata ai tempi, ma reale nei fatti), i cosiddetti extraparlamentari (quelli di allora che volevano esserlo, non quelli di oggi costretti ad esserlo), i cattolici democratici, i cattocomunismi, i socialisti: tanti ritratti di personalità, di forme di pensiero, di “diversità”, e il mondo che stava loro intorno che intanto vorticosamente cambiava. Ma se teneramente severo è il ritratto della sinistra nel suo complesso, impietosamente crudo è quello della destra, o sedicente tale (Montanelli inorridiva a definire così Berlusconi e la sua corte), attualmente al governo. A un certo punto però, quasi per necessità, a sinistra si sono ritrovate persone che mai avrebbero pensato di andarci, in fondo solo buoni democratici che non tolleravano alcune derive o alcuni personaggi. Per l‟appunto, i personaggi: davvero graffiante il ritratto di Berlusconi che ci offre 39 Ivi, p. 1043. 82 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere Berselli, tanto che, leggendo queste pagine, un po‟ ci si vergogna (anche se innocenti) di averlo come rappresentante dell‟Italia all‟estero. Berselli, però, non è uno che si piange addosso e sul finale propone qualche strategia per la nuova sinistra, semplice, ma, chissà, forse efficace. Nel 2009, sempre con Mondadori, esce Liù, biografia morale di un cane40, un libro che racconta come intelligenze diverse, umana e canina, cominciano a sfiorarsi. E come la filosofia animale può aiutare a capire il mondo e forse l‟Italia. In questo libro l‟autore parla, forse per la prima volta in modo approfondito, della sua vita privata. È proprio qui, infatti, che Berselli apre un grande varco agli affetti, agli amici, a un impulso comunitario insolito nella sua lunga strada di parole. Il libro prende le mosse dall‟inaspettata affezione dell‟autore per il labrador femmina di colore nero che Marzia, la moglie, lo ha convinto ad acquistare. Berselli assiste alla metamorfosi della propria vita da quando Liù è con loro, ma il libro non è solo questo. Se da un lato vengono narrate le gesta della “bestiolona” che ha cambiato le abitudini di questa progressista coppia senza figli, dall‟altro Berselli cerca di capire le ragioni profonde del perché la novità dell‟arrivo di Liù abbia ribaltato la sua visione finora razionale dell‟esistenza, andando a scoprire una nuova filosofia di vita utile per comprendere ciò che accade nell‟Italia attuale. 40 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. 83 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Questo saggio è, secondo molti critici, il testamento intellettuale di Berselli, che sfocia nel personale. Qui trovano, infatti, spazio Marzia Barbieri Berselli, sua moglie ed eterna ragazza, come lui amava descriverla, Liù, il loro labrador, quasi un figlio, e si chiude con una straordinaria mozione degli affetti, un lunghissimo elenco di amici e di luoghi, di persone e di città italiane, che adesso ci commuove profondamente. È un bell'elenco, in fin dei conti consolante, che racconta un'Italia migliore di come la pensiamo nel nostro ordinario malumore: sapeva vederla. Edmondo era un realista, ma non un pessimista. La fatica di capire, non certo la smania di giudicare, è stato il suo grande merito di intellettuale e di giornalista41. A settembre del 2010 viene pubblicato postumo da Einaudi il saggio L’economia giusta42. La quarta di copertina riporta le parole di Ilvo Diamanti. Esse, a nostro parere, rappresentano quanto di più calzante si possa dire su quest‟opera: Edmondo Berselli […] prima di lasciarci, ha scritto questo saggio, denso e veloce al tempo stesso. È dedicato alla ricerca di nuove vie verso "l'economia giusta", in tempi di 41 Serra, M.; 2010, L'intellettuale ironico che raccontava il pop, «repubblica.it», 27 Aprile. 42 Berselli, E.; 2010, L'Economia Giusta, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, (pp.1134-1392). 84 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere crisi globale, monetarista43. dopo la fine della "superstizione Con L’economia giusta Berselli ripercorre con atteggiamento critico le esperienze politiche, i contenuti teorici, che dall‟Ottocento ad oggi hanno influenzato l‟economia dell‟Italia. Dalla dottrina sociale della Chiesa, al socialismo, al marxismo, in un approccio ibrido tra sociologia, storia e filosofia, con un linguaggio diretto e senza peli sulla lingua, inconfondibile nel suo essere berselliano. La conclusione è disincantata. Finita, rovinosamente, l'era del "pensiero unico monetarista", siamo rimasti senza risposte. Perché le alternative hanno già fallito. Non riescono ad essere credibili. Così, molto semplicemente, dovremo abituarci "ad avere meno risorse. Meno soldi in tasca. Essere più poveri". Berselli lascia cadere questo ammonimento nelle ultime righe. Quasi un invito a non dimenticare. Noi certamente non dimenticheremo lui 44. A questo punto viene spontaneo chiedersi perché Berselli, per anni a fianco del direttore editoriale della società editrice il Mulino, il già citato Giovanni Evangelisti, e colonna portante dell‟Associazione e della rivista, soprattutto nel medesimo periodo in cui diffuse le sue opere più note, abbia scelto di pubblicare con una nuova casa editrice: Mondadori. 43 44 Ivi, quarta di copertina. Ivi, quarta di copertina. 85 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Lo abbiamo domandato a Bruno Simili, per anni al fianco di Berselli, il quale ci ha spiegato che: ha iniziato a scrivere con Mondadori semplicemente perché amico di Beppe Cottafavi, uomo del mestiere stimatissimo da Berselli, che all‟epoca lavorava in quella casa editrice. Negli anni, poi, era entrato in confidenza con Gian Arturo Ferrari, che fino a poco tempo fa era il capo editoriale di Mondadori45. E forse non si può parlare solo di confidenza con Gian Arturo Ferrari, forse è più pertinente chiamarla stima. Berselli nel prologo del suo Liù afferma: il professor Ferrari è l‟uomo più colto che abbia mai incontrato, e quindi qualche sfizio vorrete pur concederglielo; lasciate che la sua orazione si inerpichi allo zenit, verso le altitudini celestiali, lassù dove osano le aquile, e anche qualche starna coraggiosa come noi, che non abbiamo paura di contemplare con occhio limpido il suo svettante pensiero, la sua idea della totalità, la visione meticolosa della nostra quotidianità moderna 46. Simili, invece, prosegue il suo racconto Io sono capo redattore della rivista dal 1999, ovvero da quando Edmondo ha dismesso questo incarico. Nei cinque anni precedenti, però, ho lavorato in “società editrice”, a capo della redazione dei libri, così come anche Edmondo. 45 46 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 207. Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. p.1322. 86 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere Dico questo per sottolineare che più o meno entrambi sappiamo come avviene la produzione dei libri. Berselli mi raccontava con molto interesse da parte di entrambi che la relazione che lui aveva con la redazione di Mondadori era ottima. Pur avendo di fronte un autore molto preciso e puntiglioso come era lui, il quale prima di scrivere verificava ogni cosa, non perdeva occasione per fare una telefonata e riverificare. In tempi in cui purtroppo le redazioni vanno via sempre più rapide sui testi e, anzi, spesso gli autori decidono di auto prodursi, è una cosa importante avere una redazione meticolosa. Aveva trovato un editore che curava benissimo il suo lavoro e perciò non aveva motivo di cambiare47. Provocato sull‟appartenenza della casa editrice a uno dei maggiori bersagli del Berselli stesso, la famiglia Berlusconi, Simili sostiene che: Edmondo non è mai stato sensibile a questo tipo di congetture e credo si sarebbe fatto delle grasse risate se avesse assistito alla polemica tra Saviano e Marina Berlusconi dei mesi scorsi48. 47 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 208. Il 22 gennaio 2011 Roberto Saviano (autore del best seller Gomorra, edito da Modadori) ricevendo a Genova la laurea honoris causa in Giurisprudenza, ha dedicato il riconoscimento al pool di Milano composto dai magistrati Boccassini, Sangermano e Forno «che stanno vivendo momenti difficili solo per aver fatto il loro mestiere di giustizia», pool che in quel periodo stava indagando contro Silvio Berlusconi (caso Ruby). Marina Berlusconi, figlia del già citato Silvio, nonché proprietaria del gruppo editoriale Mondadori ha dichiarato «Mi fa letteralmente orrore che una persona come Roberto Saviano, che ha 48 87 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Di questa cosa lui non si era mai preoccupato, anzi, l‟accusa di essere, assieme ad altri autori “di sinistra”, la foglia di fico che permetteva a un editore come Mondadori di affermare la sua natura bipartisan non lo ha mai toccato e credo avesse ragione. Lui ha sempre riconosciuto una grandissima qualità nelle persone che lavoravano a Mondadori e questo era ciò che contava 49. Oltre a L’economia giusta sono stati pubblicati, postumi altri due saggi: il primo, Quel gran pezzo dell’Italia50, è edito da Mondadori e raccoglie tutte le opere di Berselli, dal 1995 al 2011, la cui introduzione, curata da Francesco Marcoaldi «poeta, esploratore assiduo e amorale delle relazioni51» prende così il via: Da il Più mancino dei tiri (1995) a L’economia giusta (uscito postumo nel 2010) corre un arco temporale di quindici anni. Appena quindici anni. A ripensarci, è sempre dichiarato di voler dedicare ogni sua energia alla battaglia per il rispetto della libertà, della dignità delle persone e della legalità, sia arrivata a calpestare e di conseguenza a rinnegare tutto quello per cui ha sempre proclamato di battersi. Il “mestiere di giustizia”, come lo chiama Saviano - ha aggiunto nella sua dichiarazione Marina Berlusconi - e coloro che sono chiamati ad esercitarlo non dovrebbero avere nulla a che vedere con la persecuzione personale e il fondamentalismo politico che questa vicenda mette invece tristemente, e con spudorata evidenza, sotto gli occhi di tutti». Ne è seguito un lungo scambio di dichiarazioni, sempre più accese, che si sono ulteriormente infiammate quando Berlusconi ha pubblicamente dichiarato che libri come Gomorra incitano alla malavita e fanno cattiva pubblicità all‟Italia. 49 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 208. 50 Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, cit. 51 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. p.1268. 88 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere stupefacente. Eppure questo è il primo dato concreto da cui bisogna partire. Edmondo Berselli si è imposto sulla scena culturale italiana con una tale energia, e un‟autorevolezza ironica così persuasiva, da farci ritenere che la sua stella sia da chissà quanto tempo una presenza stabile del nostro tenue firmamento intellettuale. E invece tutto si è bruciato con estrema rapidità: un esordio piuttosto tardivo e una morte atrocemente precoce racchiudono infatti l‟intera sua opera in una stagione breve, troppo breve. […] A leggere di seguito tutti i libri di Berselli, risulta evidente come la sua guizzante intelligenza non si esaurisca affatto in una festa di fuochi d‟artificio, che sul momento possono anche sorprendere, accendendo con colori e forme inusitati la nostra immaginazione, ma che lasciano alle spalle, quando la festa è finita, una scia di malinconica vuotezza 52. Il secondo, invece, si intitola L’Italia nonostante tutto53 ed è edito dal Mulino. Esso racchiude 15 articoli, pubblicati negli oltre vent‟anni di carriera, all‟interno della rivista. Gli articoli consentono di apprezzare l'osservatore Berselli meno noto, colui il quale riflette sul crollo della prima Repubblica e sull'avvento di Silvio Berlusconi. Anni in cui l'Italia si ritrova a essere "una Repubblica indistinta", divisa tra il "Forzaleghismo" e il Partito Democratico "partito ipotetico". Un cambiamento epocale rintracciato, prima ancora che nei suoi effetti politici, nelle sue premesse di costume. Come ha affermato Simili, che ne è anche il curatore: 52 Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, p. I. 53 Berselli, E.; 2011, L’Italia nonostante tutto, Bologna, il Mulino. 89 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica L’Italia nonostante tutto dice molto della capacità di Berselli di leggere in prospettiva questo paese e i suoi problemi. Non tutte, ma molte delle questioni centrali di questi articoli spiegano, infatti, il blocco che l‟Italia sta soffrendo in questo momento. Dal ruolo del Presidente della Repubblica, alla Bicamerale, all‟imbarbarimento della televisione e al suo controllo politico e ancora dal decadimento della cultura civile sino allo scontro senza civiltà tra destra e sinistra, sempre concentrato sulla figura di Berlusconi, senza rendersi conto che anche se per lo più si parla di decadimento della politica, oggi viviamo soprattutto un decadimento culturale che, capiamoci, non è solo quello del Grande Fratello. Nel 1991 ci avrebbe fatto ribrezzo quel che leggiamo oggi sui giornali, ma poco alla volta, quei titoli, sono entrati nella sgradevole normalità54. E ancora: Questa sua grande capacità di lettura dipende sì dalla sua intelligenza, dal fatto che lui era fatto così, lui aveva talenti che altri non hanno, ma anche dallo scrupolo che lui osservava sempre nel suo lavoro. Edmondo non era solo un instancabile lavoratore; in tutto ciò che realizzava metteva sempre una grandissima attenzione, che è rimasta tale anche quando è diventato “Edmondo Berselli” cioè anche quando, almeno teoricamente, l‟etichetta ti autorizzerebbe, chissà perché, a un minor rigore, nonostante la maggiore autorevolezza. Edmondo no; si prendeva qualche libertà: etichette buffe, battute, però nel momento in cui doveva mettersi lì e 54 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p.209. 90 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere scrivere un pezzo, lo faceva esattamente come alla metà degli anni 80, chiunque fosse il suo lettore, qualunque fosse la testata, dalla “Gazzetta di Modena” al “Sole 24 Ore”. Aveva un‟etica del lavoro e del rispetto di chi gli dava la possibilità di scrivere molto alta che mi ha sempre trasmesso dicendomi «se tu inizi a scrivere sui giornali, nel momento in cui ti chiedono un pezzo tu lo devi fare qualunque argomento sia». Lui non ha mai detto di no, dando spessore a qualsiasi cosa, perché fondamentalmente la sua origine „popolare‟ gli faceva capire bene la fortuna che aveva in mano. Lui diceva che noi in realtà non lavoriamo, siamo privilegiati, facciamo un bel lavoro che ci piace questo di per sè spiega anche una sua certa reticenza ad apparire. Spesso ci si chiede, infatti, perché non andasse molto in tv. Beh, innanzitutto perché era abbastanza intelligente per capire che è molto difficile, per quanto tu sia in gamba, sfruttare al meglio i tempi televisivi e poi perché doveva dosare le sue energie: se Ezio Mauro gli avesse chiesto un editoriale alle sette di sera da pubblicare sul giornale del mattino seguente, Edmondo non si sarebbe mai permesso di dire «no, non posso»55. Simili si lascia, inoltre, andare a una riflessione sull‟atteggiamento politico di Berselli, atteggiamento mutato nel tempo e che, a nostro parere, merita di essere approfondito perché evidente nei suoi stessi scritti: per chi conosceva Edmondo da molto tempo l‟atteggiamento da lui tenuto nei confronti della politica da un lato è sempre stato il medesimo: grande rigore, 55 Ibidem. 91 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica equilibrio e equidistanza rispetto alle parti; dall‟altro, però, è profondamente mutato e questo cambiamento si rispecchia nella metamorfosi del nostro paese e del suo scenario politico. Chi ha conosciuto Berselli negli anni ‟90, infatti, mai avrebbe pensato che sarebbe diventato un editorialista di punta di un quotidiano come «la Repubblica», giornale che è palesemente schierato in opposizione all‟attuale governo, un governo di centrodestra! Edmondo nasce come un cattolico, bravo, intelligente, preparato, ma fondamentalmente democristiano, il padre degasperiano, la madre di origini socialiste... Questa storia di Edmondo mi ricorda la canzone “libertà obbligatoria” di Giorgio Gaber dove si dice che la nonna ogni volta che va a votare vota sempre più a sinistra, ma non è la nonna che si sposta, sono i partiti che slittano, e il caso di Berselli mi par essere il medesimo. Edmondo è rimasto sempre molto coerente con i suoi valori e i suoi principi, e solo chi non ha voluto capire questo nello scenario politico parlamentare lo ha potuto accusare di essere passato dalla parte del vincitore per chi scrive e fa critica. I suoi valori, in buona parte cattolici, che forse dovrebbero essere tendenzialmente condivisi, al di là della religione che professiamo, in una democrazia basata su una bella costituzione come la nostra, dovrebbero essere tenuti alti. Era questo che desiderava e cercava di spiegare Edmondo: la necessità che un governo faccia politiche per il pubblico. Come ha affermato lo stesso Edmondo nel suo ultimo libro, scritto con molta fatica e in buona parte dettato alla moglie Marzia, chiunque abbia delle responsabilità 92 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere pubbliche deve lavorare per una economia giusta. Questo è fondamentale56. 2.3.3 Il giornalista Berselli Contemporaneamente al suo lavoro redazionale e editoriale, l‟autore ebbe un ruolo via via crescente nel settore giornalistico. I suoi articoli, nel corso del tempo, spaziarono dalla cronaca all‟attualità, dalla politica, alla cultura, sino alla musica e alla televisione. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: Berselli era un eclettico e non ha mai smesso di esserlo. Anche al culmine della sua carriera giornalistica, quando diventerà editorialista di punta di uno dei quotidiani più importanti del paese («la Repubblica»), Berselli non rinuncerà mai a parlare dei più svariati argomenti. Certo la politica rimarrà in primo piano, però senza togliere totalmente spazio a tutti gli altri settori egualmente cari all‟autore. Ma procediamo con ordine. Cominciò con la «Nuova Gazzetta di Modena», diretta da Pier Vittorio Marvasi «che per tre anni mi ha fatto scrivere un editoriale ogni domenica per un compenso di venticinquemila lire, somma che gli appariva spropositata nel modesto budget a disposizione del giornale, ma che al tempo conferì un po‟ di rimo dialettico alla città»57, ma, coma afferma Marco Marozzi «non piaceva ai socialisti, allora potenti. Piacque a una serie di ragazzi che sognavano di rifare «il Resto del Carlino». Chiamarono lui, Paolo Pombeni, Angelo Panebianco, che la proprietà non volle 56 57 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 211. Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. p. 1314. 93 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica perché radicale quindi di sinistra. Editorialisti. Esordio. Ricordi e risate»58. Vi rimase dal 1989 al 1994 sotto la guida di Marco Leonelli a cui una tradizione orale attribuisce l‟invenzione e il copyright del titolo assoluto, il titolo totale, il titolo universale, che funziona in ogni circostanza, anche la più politicamente assurda, e che da allora i direttori del “Carlino”, a ogni passaggio di consegne, si trasmettono con riti religiosi in busta chiusa 59. Passò, poi, al «Messaggero» di Giulio Anselmi dal 1994 al 1996. Berselli lo rincontrerà diversi anni dopo a «L‟Espresso» anche se per un brevissimo periodo. Anselmi viene più volte citato dall‟autore nei suoi libri, dapprima, in Venerati Maestri, lo descrive come «tostissimo», uno dei quei direttori che «assaporano le delizie feroci nell‟esercitare un comando dispotico sulle loro vittime preferite»60, per poi soprannominarlo successivamente «il mio caro direttore malvagio»61. Dal 1996 al 1998 fu la volta della «Stampa». Il direttore era Carlo Rossella, che successivamente prenderà più e più volte di mira per la direzione di «Panorama»62. 58 Marozzi, M.; 2010, Addio al genio di Edmondo che illuminò questi portici, «la Repubblica – Bologna», 12 Aprile, p. 1. 59 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 314. 60 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., p. 706. 61 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p..1183. 62 Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio, cit., pp. 490-495-498. 94 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere In un crescendo, Berselli fu chiamato da Ernesto Auci, allora direttore de «Il Sole 24 ore», per il quale scrisse dal 1998 al 2003 circa trecento articoli. Per chiederti un commento, afferma Berselli, Auci parlava per quaranta minuti, lamentandosi che qua non funziona «gnente», e che tutti stanno solo a di‟ «fregnacce» (ma chi, direttore? «Ma tutti…» Tutti chi? «Ma quelli…tutti…»), e alla fine concludeva che il mio compito era riassumere in un editoriale quei quaranta minuti di pessimismo sistematico. La versione Auci Calabrò del giornale della Confindustria va considerata memorabile perché il trio di commentatori di punta e di tacco era composto da Ilvo Diamanti, da Siniscalco e dal sottoscritto: ullallà, che intelligenze danzanti, che stelle filanti, che nietzschiano trio fulgens63. Poi è arrivata la rivista «L‟Espresso» (1999), e con lei «la Repubblica» (2003), per i quali ha lavorato come editorialista sino al giorno della sua morte, avvenuta nell‟aprile del 2010. La collaborazione con «L‟Espresso» è iniziata, come già affermato, sotto la direzione di Giulio Anselmi, il quale volle Berselli a tal punto da inventare una posizione del tutto nuova per lui all‟interno del giornale, una sorta di “assistente al direttore”. Quando Anselmi lascerà la direzione il giornalista sarà già inserito all‟interno del gruppo e la sua collaborazione proseguirà con la nuova direttrice Daniela Hamaui. 63 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. p. 1312. 95 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Per «la Repubblica» di Ezio Mauro, invece, ha scritto più di 750 articoli in circa sette anni. Nei suoi libri, Berselli, cita più e più volte il suo ultimo direttore: in Venerati Maestri afferma che «ci sono direttori come Ezio Mauro, che restano sempre concentrati sul prodotto, nella convinzione che soltanto l‟assiduità del loro pensiero tiene insieme il giornale, le foto, le illustrazioni, l‟iconografia, la proprietà, la redazione, i fattorini» 64. In Post-italiani, invece, dedica a Mauro un intero capitoletto: lo stesso successore di Scalfari, Ezio Mauro, ha cercato fin dal primo momento di interpretare il suo ruolo non in termini manageriali o, viceversa, in chiave giornalistica e di fredda obiettività del commento, ma schierando i suoi uomini secondo un disegno di stampo politico-militare (il comandante in capo, i generali, gli ufficiali, le truppe scelte, eccetera), e assumendosi due compiti di prospettiva. Per via mediata, attraverso i suoi commentatori, a cominciare da Curzio Maltese, ha tenuto altro il fuoco contro il centrodestra; per via diretta, con le sue non frequentissime ma robuste discese in campo, ha dettato una linea politica che si proponeva come modulo essenziale per tutto il centro sinistra65. E ancora, dopo la caduta del governo Prodi e la prospettiva di un governo tecnico dalemiano: 64 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., p. 706. 65 Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio, cit., p. 472. 96 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere in un momento cruciale dell‟evoluzione democratica del nostro paese, tra sottili schermaglie politologiche e scontri incandescenti nello staff e fra i desk –di Repubblica, si intende- Ezio Mauro non si è limitato a descrivere l‟avvitamento e la caduta del centrosinistra, o a deprecarne gli esiti, si è assunto anche il ruolo di teorizzatore della “nuova fase”. […] Questa vocazione politica si rivela in numerose altre occasioni. È un riflesso automatico, la spia di un‟intenzionalità marcata66. Come giornalista, Berselli ha ricevuto nel giugno 2008 il premio Viareggio Terza pagina per il giornalismo culturale e nel novembre 2008, a Ravenna, sempre per la sezione cultura, il premio giornalistico Guidarello. Berselli lascia simbolicamente a Liù, il suo cane, protagonista del suo ultimo manoscritto, una piccola considerazione sui direttori di giornale. Li cita a più riprese e, per dovere o per piacere, ne porterebbe una buona parte alla “festa ideale” che conclude il medesimo libro, ma poi li definisce «gente corrotta, che si riferisce di continuo a criteri civili e democratici altissimi per poi esercitare pratiche immonde, dettate dal cinismo che viene dalla consuetudine degli incallimenti della professione»67. Un‟affermazione che, senza dubbio, obbliga a una riflessione perché, come afferma Franco Marcoaldi, 66 67 Ivi, p. 473. Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 1326. 97 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica si ha la sensazione che l‟arrivo di Liù abbia portato definitivamente a galla desideri, intuizioni, pensieri, che in realtà covavano da tempo. Che ora vengono esplicitati, messi nero su bianco. E condotti fino alle estreme conseguenze. Una volta per tutte, sembra essere arrivato il momento di scendere dai cieli dell‟idealismo per posarsi finalmente a terra e trovare le soluzioni dove le stai cercando68. 2.3.4 Berselli, la tv, il teatro La carriera di Edmondo Berselli non finisce qui. Ha collaborato con la Rai in diverse occasioni: i programmi Giù al nord nel 2007 e il sequel, venuto l‟anno successivo, Su al sud sino ad arrivare all‟ultimo Un paese chiamato Po. Giù al Nord propone un ideale viaggio a tappe attraverso terre e città, dalla provincia lombarda al Friuli Venezia Giulia, da Genova a Torino, da Milano a Venezia, attraverso la via Emilia, mettendo in una relazione significativa eventi e personaggi che oggi, con la distanza storica necessaria, si rivelano punti chiave nella trasformazione italiana. Ogni puntata di Giù al nord si snoda tra il materiale di repertorio, in un gioco di incastro, analogia e opposizione, a cui si accostano i commenti di Edmondo Berselli attraverso un filo conduttore che riprende temi ed episodi di alcuni suoi libri come Quel gran pezzo dell'Emilia e Canzoni. Storie dell'Italia leggera. Ai documenti di archivio come inchieste giornalistiche e 68 Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, Milano, Mondadori, p. XXX. 98 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere sequenze di trasmissioni televisive, si intervallano interviste fatte ex novo a testimonial particolarmente significativi per cultura, professione e radicamento nella loro realtà, come Ermanno Olmi, Fedele Confalonieri, Giampaolo Ormezzano, Giannola Nonino e il Cardinal Tonini. In Su al sud Edmondo Berselli ci porta alla scoperta dei contributi artistici, letterari, musicali e intellettuali, che il Sud ha saputo produrre dal dopoguerra fino ai giorni nostri. Su al sud è un itinerario in otto tappe che parte da Napoli, si sposta in Sicilia e si chiude in Puglia. Un viaggio in un‟area fisica e culturale calda e intensa, che aggiunge un importante episodio al percorso iniziato con Giù al Nord. Un sud, quello del programma, osservato e raccontato da persone del Nord che in forza della distanza materiale e intellettuale che li divide dagli eventi, dalla storia e dal luogo provano ad offrirne una lettura e un racconto originale e appassionato. Osserva Edmondo Berselli: esce da questa ricostruzione una specie di rappresentazione del pensiero “meridiano”, una luce ideale, mediterranea, soffusa intorno a tutti gli eroi. Perché il Mezzogiorno è fatto dagli individui, ma ogni individuo del Sud è circondato dall‟alone della sua terra, del cielo, del suo mare69. Un paese chiamato Po, infine, è un viaggio nei luoghi, nelle grandi città, nei piccoli centri, nella campagna, nei distretti industriali e nella loro gente, ma soprattutto nel fiume e nei suoi personaggi. Un viaggio in sei puntate dalla sorgente al 69 http://www.rai.it/ – ultima consultazione 25 novembre 2011. 99 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica delta del fiume più lungo d'Italia che Rai Due inserisce in seconda serata. La trasmissione si snoda tra contributi inediti documenti provenienti dall'archivio Rai Teche e da altri archivi pubblici e privati. Materiale originale che comprende storiche trasmissioni televisive, film, backstage, documentari e reportage. A scrivere e a condurre il programma non poteva essere che Berselli, intellettuale atipico, convinto sostenitore del nazional-popolare. A fare da spunto e riferimento al programma è un cult della Rai di cinquant‟anni fa, Viaggio lungo la Valle del Po 70 di Mario Soldati. Gli ospiti invitati a riflettere sul fiume definito dallo stesso Soldati «più lungo, più bello, più caro» sono molti: Gad Lerner, Gianni Vattimo, Gualtiero Marchesi, Luca Cordero di Montezemolo, Zucchero, Caterina Caselli, Michele Serra, Gene Gnocchi, Alessandro Bergonzoni, Ermanno Olmi, Carlin Petrini, Carlo Rossella, Mirella Freni. Tutta “gente di fiume”. Oltre ciò, ha scritto due spettacoli con Shel Shapiro, in quale li ha anche portati sul palcoscenico: Sarà una bella società e Beatnix. Sarà una bella società è datato 2007 . Nasce in teatro, dalla musica e dalla scrittura, e torna alla scrittura con il libro, per vivere negli spettatori e lettori. L‟intento sembra essere quello di far rivivere, proprio come in un viaggio sulla 70 Mario Soldati (1906-1999) è stato uno scrittore, regista e sceneggiatore italiano. Nel 1956 è l'ideatore, regista e conduttore dell'inchiesta televisiva: Viaggio lungo la Valle del Po, una delle trasmissioni più originali della TV degli inizi, considerata un documento d'importanza antropologica: con il Soldati del viaggio sul Po nasce in Italia la figura del giornalista enogastronomico. 100 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere macchina del tempo, i fermenti che hanno reso unici gli anni sessanta che pervadono e influenzano ancora oggi il nostro modo d'essere. Sarà una bella società realizza un piccolo sogno ad occhi e orecchie aperti: ripercorrere a suon di musica la crescita di una nazione, l'esplosione dei movimenti giovanili, l'apparizione di alcuni simboli generazionali diventate poi pietre miliari del nostro immaginario. Una sola persona poteva essere il cantore ideale di questa grande idea di Edmondo Berselli e quella persona è Shel Shapiro, icona beat, irripetibile evocatore del sentimento del tempo71. Con queste parole Aldo Grasso apre la sua introduzione al libro, rendendo subito l'idea del mondo e delle atmosfere in cui ci si immerge fin dalle prime righe di lettura. Ad arricchire il libro, oltre all'introduzione di Aldo Grasso, ci sono i contributi di Gino Castaldo, Paolo Carmignani e Moni Ovadia. Beatnix, invece, è uno spettacolo andato in scena per la prima volta nel 2011, postumo. Può essere, anch‟esso, considerato un viaggio attraverso i mutamenti sociali di un‟epoca, quella degli anni sessanta, per tentare di riavvicinare un periodo storico che per molti ha costituito un passaggio epocale nel costume e nella cultura, i cui segni rischiano di allontanarsi dal nostro orizzonte. 71 Berselli, E., Shapiro, S.; 2009, Sarà una bella società, Bologna, Promo Music. 101 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Edmondo Berselli è scomparso l‟11 aprile 2010, dopo aver a lungo lottato contro al tumore al pancreas che lo ha vinto. 2.4 Berselli dopo Berselli: postfazione di una vita Dopo la morte dell‟autore, sono stati molti i pensieri di commiato a lui dedicati. Oltre a una schiera pressoché incalcolabile di articoli ed editoriali su ogni tipo di giornale o rivista, scritti da amici, ammiratori e “seguaci”, sono stati pubblicati tre saggi postumi: L’economia giusta, edito da Einaudi nel 2010, L’Italia nonostante tutto, il Mulino, 2011 e Quel gran pezzo dell’Italia, Mondadori, 2011. Di questi abbiamo già parlato a lungo, non abbiamo invece accennato allo spettacolo teatrale Quel gran pezzo dell’Italia, una retrospettiva berselliana portata in scena da Ennio Fantastichini nell‟aprile 2011. Quel gran pezzo dell’Italia è un‟opera voluta e immaginata da Edmondo Berselli. Tutti i suoi scritti, da Canzoni a Post Italiani , a Quel gran pezzo dell'Emilia e Sinistrati, concorrono in vario modo a comporne il testo. L'adattamento teatrale è stato realizzato da Marzia Barbieri e Andrea Quartarone. In scena, Ennio Fantastichini dà voce al protagonista dello spettacolo, che ripercorre le tappe salienti della vita, dalla giovinezza tra Emilia e Trentino durante l‟Italia del boom economico, passando attraverso il Sessantotto, per approdare alla seconda Repubblica e al berlusconismo che segna la fine dell‟utopia. 102 Edmondo Berselli: una vita attraverso le opere Foto, immagini d‟archivio e brani di musica leggera contribuiscono al dipanarsi del racconto dell‟Italia dei postitaliani, dei venerati maestri e dei tiri mancini. Postumo è anche lo spettacolo Beatnix, recital scritto da Edmondo Berselli e Shel Shapiro, che ne è anche interprete, incentrato su racconti, musiche e poesie della Beat Generation. Il recital racconta l‟America attraverso tre decenni. Dalla grande depressione del 1929 quando la crisi economica mette il paese in ginocchio, alla rinascita degli anni ‟50 in cui fanno la loro comparsa gli scrittori della Beat Generation: Borroughs, Corso, Ferlinghetti, Ginsberg, Kerouac, McClure a spazzare via le convenzioni dell‟epoca, fino all‟America dei grandi raduni democratici, in cui i giovani si battono per i diritti civili, per una società più libera, contro la guerra e la segregazione razziale, e in cui nasce la stella di Bob Dylan. È andato in scena postumo, la prima è stata rappresentata al teatro Ambra Jovinelli di Roma il 12 aprile 2011. Beatnix e Quel gran pezzo dell’Italia sono due spettacoli che restituiscono la cifra e il pensiero di un intellettuale eclettico, che più di altri ha saputo interpretare la complessità e i profondi mutamenti della società moderna dal secondo dopoguerra ad oggi. Infine ci è stato rivelato il progetto della costituzione di una “Fondazione Berselli”. Berselli era un uomo molto ordinato, teneva tutto e si sta pensando di raccogliere tutto il materiale che lo riguarda e di istituire una fondazione a suo nome. Purtroppo questo è ancora un traguardo molto lontano, servono risorse e molto 103 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica tempo per portare a termine un progetto così ambizioso, ma è nelle intenzioni della moglie, Marzia Barbieri Berselli, riuscire in questo intento. 104 Edmondo Berselli e il Mulino Capitolo III – Edmondo Berselli e il Mulino 3.1 Il rapporto con la “società editrice” La collaborazione di Berselli con il gruppo dei “mulinisti” si snoda su diversi piani, ma, in particolare, lo vede coinvolto dapprima nelle attività della casa editrice e successivamente della rivista. L‟editrice il Mulino fu fondata nel giugno 1954. Luigi Pedrazzi afferma che la sua creazione avvenne quasi per caso. Era intervenuta in realtà una circostanza fortunata: lo stabilimento del Resto del Carlino soffriva di tempi morti tipografici, e i giovani del Mulino se ne avvalsero per stampare alcuni «quaderni», fra i quali un saggio di geografia elettorale firmato da Compagna e De Caprariis. Cavazza, il manager del gruppo, aveva intanto fatto un lungo viaggio negli Stati Uniti, entrando in contatto con intellettuali di area postrooseveltiana. Era appena passata una legge per finanziare iniziative di cultura americana all'estero. Cominciarono a uscire così, per la nuova casa Editrice, classici della democrazia moderna, testi di storiografia e sociologia d'Oltre Oceano. Per il resto, la continuità con la rivista era rigorosa: storia, filosofia, politica, sociologia, letteratura1. 1 Ajello, N.; 2001, Il Mulino. Compie cinquant'anni la rivistalaboratorio dell'Italia che cambia, «la Repubblica», 9 Aprile, p. 27. In 105 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Berselli arriva al Mulino venticinque anni dopo, 1976. Come afferma Bruno Simili «Edmondo ha iniziato facendo la gavetta e ha finito facendo parte della direzione editoriale della Società Editrice che è un organo composto da una decina o ventina di persone a seconda dei periodi»2. Cerchiamo ora di ricostruire i passaggi di questa crescita professionale all‟interno dell‟Editrice bolognese. Berselli inizia la sua esperienza come correttore di bozze sotto la guida di Lucia Nicoletti e nei primi cinque anni di esperienza al Mulino cresce nell‟ambito editoriale, sino a diventare redattore. Nel 1981 diviene capo ufficio stampa e pubblicità sostituendo Giuseppe Lovato. Occuperà questa posizione fino al 1985 quando gli succederà Ugo Berti Arnoaldi. È nello stesso anno che Berselli diventa assistente al consigliere delegato3 della “società editrice”. Solo un anno dopo, nel 1986, entra a far parte dello staff dell‟omonima rivista, con il prestigioso ruolo di capo redattore. Nel 1990 viene nominato membro del comitato direttivo della biblioteca e nel 1995 vice direttore nel comitato di direzione della rivista. Cinque anni dopo, nel 2000 Berselli viene cooptato nel comitato di direzione della rivista e cessa di essere dipendente della “società editrice” per poi proseguire il suo lavoro nello staff del periodico. questo articolo Nello Ajello alterna alle sue riflessioni un‟intervista a Luigi Pedrazzi. 2 Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 204. 3 L‟amministratore delegato della “società editrice”. 106 Edmondo Berselli e il Mulino Fin qui dati e numeri. Afferma Bruno Simili: «nonostante Berselli abbia lavorato principalmente per la rivista, non va dimenticato il suo ruolo di primo piano nella direzione editoriale al fianco di colui il quale lo stesso Edmondo definisce nei suoi libri “deus ex machina”4 della “società editrice”: Giovanni Evangelisti»5. 3.1.1 La Figura di Evangelisti Giovanni Evangelisti nasce a Bologna il 18 giugno 1932 ed è indubbio che la sua infanzia venga profondamente segnata dall‟epoca fascista e dagli avvenimenti della seconda guerra mondiale, particolarmente cruenti, soprattutto nella fase finale, proprio a Bologna e su tutta la parte emiliana della linea gotica. Proprio al termine del conflitto mondiale inizia a frequentare il liceo scientifico Righi nella città natale, per poi trasferirsi nel capoluogo toscano per proseguire gli studi presso l‟ateneo fiorentino. Qui si laurea in Scienze Politiche e pochi anni dopo, intorno al 1955, venne a contatto con i giovani mugnai Bolognesi, con i quali, dopo aver contribuito anche personalmente alla costituzione della “società editrice” rimase per ben quarantaquattro anni direttore editoriale, amministratore delegato e, in fin dei conti, factotum. Dal 1964 al 4 ottobre 2008, giorno in cui ha perso la vita. Ricorda Luigi Pedrazzi che incontrò per la prima volta Giovanni Evangelisti negli anni Cinquanta, alla 4 5 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 1326. Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 204. 107 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica presentazione del numero 71 della rivista de “il Mulino”. Il primo scambio con quel giovane studioso, impegnatissimo nel movimento degli scout, fu, a detta dello stesso Pedrazzi, indimenticabile: ricordo bene, era un numero dedicato all' organizzazione dell'Università italiana, in pieno boom della scolarizzazione. Lui, alla fine dell' incontro, venne a parlarmi e disse che nel lavoro c'erano alcune inesattezze, che i dati erano incompleti. Mi piacque subito, le sue erano critiche ostinate ma costruttive, "dall' interno". Mi feci dare il nome di quel simpatico piantagrane. E pochi giorni dopo lo volli vedere6. E questo incontro si rivelò determinante per il futuro del Mulino e dello stesso Evangelisti. Quello di Evangelisti fu il primo contratto fatto dall' editore a un intellettuale. E un intellettuale molto speciale: Giovanni sapeva tutto, leggeva tantissimo ma conosceva bene le regole del mercato dell' editoria. E aveva un' immensa energia. Il '64 fu l' anno del grande passo, della scommessa: comperammo la proprietà della “società editrice”, io avevo avuto una piccola eredità, ma tutti, anche Evangelisti, mettemmo una quota. Istituimmo una fondazione e ognuno di noi contava per uno, non in base a quanto aveva versato. Giovanni ci credeva, fu lui a dirmi "compriamo", anche se i rischi erano tutti suoi, perché noialtri avevamo un altro lavoro. Aveva visto 6 Gulotta, C.; 2008; Pedrazzi e l’amico di una vita fu lui a dirci diventiamo editori, «la Repubblica-Bologna», 5 ottobre, p. 5. 108 Edmondo Berselli e il Mulino giusto, e se il Mulino oggi pubblica 40 riviste specialistiche e 200 libri l' anno, molto, tantissimo, lo dobbiamo proprio a lui7. La figura di Evangelisti si fa sempre più chiara leggendo le parole a lui dedicate dopo la sua morte dai suoi collaboratori più stretti: da Pasquino a Pedrazzi a Marco Marozzi, sino ad arrivare allo stesso Berselli. Afferma il primo: grandissimo lavoratore, attento e meticoloso, finché gli fu possibile, vale a dire fino a quando il numero di libri da pubblicare non divenne grandissimo, seguiva i libri che la casa Editrice avrebbe pubblicato dalla presentazione ad opera dell‟autore alla scelta della collana e della copertina. Attorno a lui ruotava un gruppo di intellettuali che riusciva a coinvolgere, conoscendone pregi e debolezze, sapendo come trattarli, con chi scherzare e con chi mantenersi sulle sue. Senza di lui, senza il suo senso pratico di organizzatore e di manager, senza la sua cordialità e generosità, quel gruppo non avrebbe potuto coagularsi e mantenersi8. Questo “esercizio mnemonico” può apparire poco utile ai nostri fini, ma, in realtà, si rivelerà un passaggio chiave per la nostra ricerca, perciò proseguiamo nella descrizione dell‟Evangelisti, ora per mezzo delle parole di Marco 7 Ibidem. Pasquino, G.; 2008, Addio infaticabile e curioso cittadino Evangelisti, «la Repubblica - Bologna», p. 12. 8 109 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Marozzi, il quale, dalle pagine di «la Repubblica – Bologna» afferma: era un bolognese assolutamente anomalo, Evangelisti, appartato, appartatissimo, silente. Eppure se mai esiste un maestro di volontà che forse a lui non sarebbe piaciuto chiamare ottimismo, lui lo era. La storia di Bologna […] passa attraverso la figura di quest‟uomo che quasi nessuno nella città dell‟apparire conosce. […] Evangelisti ha guidato la sua “casa” di pensieri, analisi e libri […] convinto che fosse la cultura alta a indicare le strade, insieme però capace di capire e gestire la sua discesa in una quotidianità non sbracata. Gli piacevano i libri di grande immagine accademica, profondi, sistemici, di forte identità, “invendibili” lo accusava a volte qualcuno persino tra gli amici. I “fondamentali” di un mondo in movimento. Battagliava per traduzioni complicate, costose, ma che secondo lui facevano traccia. […] Lui, figlio di famiglia modesta, che per tutta la vita mostrava come massima apparizione pubblica la foto di alcuni momenti in serie A nella Virtus Basket. Sala Borsa. Anni Cinquanta. Una umanità che usciva e diventava più affascinante proprio perché inimmaginabile. Come nel piacere della tavola o nel “lei” che usava spesso in un mondo invaso dal “tu”. Ma con un rapporto fin fisico, la battuta, la stretta che rendeva tutto nobile e da rimpiangere9. Ernesto Galli della Loggia, ancora, lo descrive come «un accentratore geniale, un padre-padrone amatissimo, capace 9 Marozzi, M.; 2010, Addio al genio di Edmondo che illuminò questi portici, «la Repubblica – Bologna», 12 Aprile, p. 1. 110 Edmondo Berselli e il Mulino di legare a sé passando da rimbrotto al sorriso: un uomo di generosità e di partiti presi, come è nella tradizione dei grandi capitani d‟industria con cui pure aveva ben poco da fare»10. Arriviamo, poi, alle parole del Berselli che il 5 ottobre 2008, dalle pagine di «Repubblica», racconta: quando verrà l‟occasione di un bilancio dell‟ultimo mezzo secolo di editoria, sarà bene mettere a fuoco la figura di questa personalità poco avvezza al palcoscenico, ma capace di svolgere dietro le quinte un lavoro di eccezionale qualità, con una dedizione accanita e la convinzione che ciò che conta nella cultura non è lo show system, ma il catalogo, i programmi, le idee. […] Con il pragmatismo feroce e la verve che certi emiliani dissimulano sotto lo humor padano, cominciò a trasformare un divertissement in un‟azienda. […] non appena la liberalizzazione degli accessi, nel 1969, aprì la strada all‟università di massa, Evangelisti accentuò l‟identità plurale della casa Editrice per farne lo strumento di una classe dirigente in fieri. In vista di questo scopo, ebbe due riferimenti: da un lato il rapporto con le intelligenze emergenti, a cui spalancò tutte le porte; dall‟altro l‟idea che occorresse trasformare il sapere e la ricerca in programmi editoriali, cercando e perfino “formando” un pubblico. […] “Il Mulino è un porto di mare”, replicava quando qualcuno gli chiedeva il segreto della convivenza fra le personalità più diverse, in un‟Italia dominata da egemonie paranoiche […] l‟Editrice 10 Galli Della Loggia, E.; 2008, Addio a Giovanni Evangelisti, il guardiano del «Mulino», 05 ottobre, p. 35. 111 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica bolognese è stata a lungo la rete dei rapporti, delle discussioni, dei progetti che Evangelisti aveva suscitato11. Il titolo di “deus ex machina” 12 della “società editrice”, sembra, quindi, non essere affatto casuale. Dalle parole delle personalità che hanno lavorato a stretto contatto con Evangelisti emerge il suo ruolo di primissimo piano nella nascita e nella crescita non solo della casa editrice, ma di coloro i quali sono cresciuti professionalmente al suo fianco. Tra questi, troviamo certamente Berselli. È risaputo che quando un capo stima un subalterno, spesso, gli rende la vita difficile, quasi impossibile, certo che le sue capacità possano risolvere ogni tipo di difficoltà. Sembra che Evangelisti, con Berselli, facesse proprio questo. E lo stesso vale per l‟allievo: la “genialità” del direttore editoriale era, probabilmente, così lampante da costringere il giovane Edmondo a sopportare ogni tipo di “prepotenza”, perché, si sa, ai geni, per giunta carismatici, si concede tutto. Un rapporto di amore odio, conflittuale per tanti aspetti, ma di grande affetto per altri. Come scrive Berselli, nel backstage del libro Liù: sono stato una vittima, forse la principale, di Giovanni Evangelisti, il geniale e capriccioso deus ex machina dell‟Editrice bolognese, singolare figura di grasso nevrotico, nonché inventore di un metodo di lavoro che fingeva di affidare agli altri il potere, attraverso un carosello vorticoso di comitati e gruppi di lavoro, mentre 11 Berselli, E.; 2008, Addio Evangelisti, anima del Mulino, «la Repubblica», 05 ottobre, p. 12. 12 Segue in pagina successiva. 112 Edmondo Berselli e il Mulino in realtà il bastone del comando veniva tenuto saldamente ed esclusivamente da lui, senza mai un tentennamento. Soltanto con il tempo, e dopo essere uscito dalla casa Editrice, mi sono accorto che, come il Duce, Evangelisti aveva sempre ragione, soprattutto quando discuteva con me, e ho cominciato a volergli bene perché non c‟era più bisogno di litigare per accettare il suo punto di vista. Il metodo di lavoro del bolognese e quindi diplomatico e bottegaio Evangelisti consisteva nel fare scomparire i problemi (libri non pubblicati, decisioni non prese) infilandoli negli ordinatissimi cassetti della sua scrivania. Talvolta, però, il problema manifestava una irritante tendenza a riemergere alla superficie e alla coscienza del mondo. L‟autore maltrattato o dimenticato si faceva sentire. Evangelisti, allora, spediva lettere patetiche, accampando malattie lunghissime che avevano reso impossibili le decisioni di collana e commerciali, in seguito all‟impossibilità di comunicazioni con il consiglio d‟amministrazione e la rete commerciale. Infine, quando il caso diventava rognoso, saliva su una macchina blu, raggiungeva il problema e trovava un precario accordo, che gli consentiva di riporre nuovamente il problema editoriale nel solito cassetto per un altro paio d‟anni, in attesa di tempi migliori, la morte dell‟autore, o un‟opportunità politica che avrebbe consentito una bella cerimonia romana “in onore di”, alla presenza di Amato, Scoppola, Nino, Romano, Giugni, Rodotà, Cassese, De Mauro e tanti altri amici impegnativi da cui cercava sempre di fuggire. 13 13 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit. pp.13261327. 113 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Evangelisti per Berselli fu una guida. Un punto saldo, una base d‟appoggio di cui si fidava ciecamente. L‟allievo per il maestro. Una squadra. Forse questo il modo migliore per definire il rapporto tra i due. Una squadra che, una volta in più, ha dimostrato la sua forza nel momento in cui Evangelisti è stato direttore anche della rivista, con Berselli come capo redattore. Gli anni a cui facciamo riferimento vanno dal 1991 al 1994. Afferma Simili: Edmondo entra alla rivista come redattore capo con Matteucci. Da lui impara molte cose, soprattutto dalla sua presenza fisica in queste stanze: direttore autoritario e di polso che faceva una rivista di un certo livello, anche abbastanza difficile, lo si può notare dai sommari dei numeri da lui diretti. Ma negli anni 90 la rivista ha il suo maggiore cambiamento. Con direttore Evangelisti, il periodico cambia in maniera nettissima, con un taglio davvero diversissimo: pezzi più brevi, si decide (cosa che rimane fino al 2008) di creare il blocco, ovvero alcuni articoli su un tema definito per ogni numero, un focus tematico. Inoltre, essendo Evangelisti direttore non solo della rivista, ma anche direttore editoriale della “società editrice”, non ha difficoltà a mettere a disposizione un po‟ di risorse per la produzione, la ricerca, la pubblicità 14. Parlare di “ruolo chiave” appare dunque riduttivo, nel parlare del rapporto tra Giovanni Evangelisti e il Mulino tutto. Come scrive Barbara Bechelloni: 14 Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 212. 114 Edmondo Berselli e il Mulino Giovanni Evangelisti è stato per anni fino alla sua scomparsa uno dei principali animatori di questa realtà editoriale formata dall‟incontro tra cattolici, democratici, socialisti e liberali. Il gruppo è diventato nel corso degli anni piuttosto potente, sia sul piano accademico, sia su quello editoriale. In alcune discipline più di altre, in una prospettiva per così dire di centro-sinistra. Evangelisti è una delle persone che di più, in Italia, ha impersonato l‟editoria di cultura, in particolare quella orientata verso l‟università. Prima di altri il Mulino ha creato sistematici contatti con l‟università per sapere dove le discipline erano presenti, ha scritto regolarmente ai professori di quella disciplina, tenuto conto delle adozioni, deciso il numero delle copie da stampare in funzione di queste adozioni, insomma ha messo insieme le potenzialità. Un lavoro organizzativo a ridosso della stampa e delle decisioni connesse alla pubblicazione dei libri che venivano sempre prese da gruppi limitati di persone, da veri e propri comitati, con riunioni regolari, così come dalle redazioni o direzioni delle riviste. Talvolta questi comitati coincidevano con quelli delle riviste, oppure parzialmente si sovrapponevano [...]. Quasi sempre le riunioni si facevano a Bologna ed erano, e ancora oggi sono, occasioni di incontro tra redattori, curatori e casa Editrice. Il Mulino si è articolato per anni con Giovanni Evangelisti, direttore editoriale e […] con un gruppo di donne molto dedite che si occupavano di alcuni libri e delle riviste, mantenendo i diversi contatti15. 15 Bechelloni, B.; 2010, Università di carta, Milano, Franco Angeli, p. 196. 115 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Ma queste pagine, oltre a descrivere un personaggio, servono anche a comporre un piccolo elenco. Un piccolo elenco di caratteristiche con le quali viene descritto Evangelisti da coloro che lo conoscevano da vicino. Lo riportiamo, almeno in parte: simpatico piantagrane, tuttologo, lettore accanito, intellettuale molto speciale, uomo con un‟ immensa energia, espertissimo del mercato dell'editoria, grandissimo lavoratore, persona attenta e meticolosa, coinvolgitore, conoscitore dei pregi e delle debolezze altrui, uomo dal grande senso pratico, cordiale e generoso, figlio di famiglia modesta, appassionato di sport, amante della buona tavola. Le stesse parole sono state spesso utilizzate per descrivere anche un altro personaggio: Edmondo Berselli Certamente Berselli ed Evangelisti erano accomunati da affinità culturali; ma anche delle doti comuni di base, figlie, quasi certamente, di una simile provenienza sociale e geografica, ma anche di un interesse per il mondo, per la conoscenza, di un senso del dovere nei confronti del lavoro assoluto e dalla necessità di andare ben oltre le luci della ribalta, costruendo non per fama, ma per passione. E se è vero, e ci perdonerete il ricorso ai modi di dire, che, come dice qualcuno, chi si assomiglia si piglia, è altrettanto vero che chi è troppo simile finisce per litigare. Forse è questa l‟unica soluzione possibile per descrivere il rapporto tra questi due uomini. Non è, certamente, un caso che Bruno Simili confessi, fuori dai denti, che 116 Edmondo Berselli e il Mulino Edmondo era l‟unico qui al Mulino che avrebbe potuto sostituire Evangelisti e svolgere il ruolo determinante che egli aveva. Questo per una semplice ragione: Edmondo era una delle poche persone che conosceva bene sia la macchina editoriale che l‟Associazione e se, come abbiamo detto fin ora, la macchina editoriale era personificata da Evangelisti, per deduzione, Berselli conosceva la realtà il Mulino come solo un allievo conosce il suo maestro dopo decenni di lavoro insieme. Ci sembra, comunque, necessario ricordare che Evangelisti non fu certo l‟unico maestro del Berselli all‟interno del gruppo dei mugnai: Nicola Matteucci, Ezio Raimondi, Federico Mancini hanno segnato a fondo la sua forma mentis. 3.1.2 Da tecnico a letterato Berselli, non ebbe solo ruoli tecnici all‟interno dalla “società editrice”; dal 1995, al contrario, ne divenne un autore della stessa, pubblicando il suo primo saggio: il libro Il più mancino dei tiri. Quando lo scrive, Berselli ha quarantaquattro anni: non è più un ragazzino. Passo dopo passo ha scalato tutte le posizioni della casa Editrice […]. Ma la raggiunta maturità intellettuale, e le connesse responsabilità lavorative, non oscurano affatto la sua invincibile vena ludica e scapestrata. Al contrario, sarà proprio la nuova sicurezza raggiunta nella scrittura a fargli compiere un vero e proprio azzardo. A fargli scrivere un libro stravagante, bizzoso, inclassificabile, degno compagno 117 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica d‟avventura dei titoli non meno eterodossi che compaiono nella modesta collana Contrappunti16. Il più mancino dei tiri è il dispiegamento di una rete invisibile. E i nodi chiave di questa rete sono calcio, politica, musica leggera e storia. Nodi apparentemente senza legami, ma in realtà strettamente intrecciati secondo la dimostrazione dell‟autore. Quindi non è un libro solo sullo sport; al contrario è un libro di allusioni, pretesti, nostalgia, di evasione, dissacrazione, rivelazione e citazioni. Tutto insieme, in uno stesso calderone. Un tappeto dai nodi fitti tessuto sapientemente. Attraverso il calcio Berselli racconta un paese, l‟Italia, e un'epoca, la preferita dell‟autore, gli anni sessanta, la storia dello sport più seguito in Italia per raccontarne gli idoli, il folklore di un tempo. Il ricordo dell‟autore fa emergere la semplicità di quel tempo, il gioco ironico del confronto tra ieri e oggi rimanda a una favola perduta, a una “classe” di calciatori come di uomini che sembra non esserci più. L'autore si diverte ad accostare cose diverse, ad usare la metafora del calcio per dipingere la storia di un paese, sempre più simile a quel segmento sociale esemplare, nel quale predomina l‟idea della vittoria ad ogni costo, quindi della sopraffazione per guadagnare sempre più denaro. Ma non è tutto. Volendo riportare, forse, uno degli esempi più significativi del libro, con ironia graffiante Berselli paragona l'azione perfetta del gol di Mariolino Corso che dà 16 Marcoaldi, F., introduzione, in Berselli, E.; 2011, Quel gran pezzo dell’Italia, cit., p. XVII. 118 Edmondo Berselli e il Mulino il titolo al libro e il movimento tripartito di Hegel: tesi, c'è una storia, antitesi, non ce n'è alcuna, sintesi, ma già che siamo qui possiamo sempre inventarcela. Siamo uomini o fantasisti? Recita il risvolto di copertina: Tutto comincia quando Mario Corso (il non dimenticato “piede sinistro di Dio” e quasi certamente il responsabile principale del fallimento del centro sinistra) parte il dribbling dalla propria metà campo durante un‟imprecisata partita all‟estero. Ma prima che quell‟azione si concluda – con il più mancino dei tiri, con il più beffardo ed eretico goal – si comporrà come per incanto lo spaccato di un‟epoca, il carnevale di un mondo: un popolatissimo affresco in cui compaiono Luisito Suàrez e Aldo Moro, Felice Gimondi e Romano Prodi (che erano affettivamente contemporanei, ma l‟uno all‟insaputa dell‟altro), Giulio Andreotti e Raffaella Carrà; e ancora, sistemati dentro e fuori quell‟epoca: Mina e Proust, Fanfani e il Grande Blek, Gentile (il terzino) e Heyek (il filosofo), e tanti altri. In parte saggio sulla memoria, in parte romanzo di conversazione, in parte repertorio di frasi e di demenze celebri, il libro è anche un catalogo di personaggi che sfiorano il mito, di magiche foglie morte, di azioni e finte irresistibili, di luoghi comuni, dicerie, strafalcioni, strampalate stazioni di una “via trucis” dell‟immaginario collettivo che illuminano in modo esilarante una transizione. Sarà proprio così? Sarà tutto vero? Ci si può fidare di uno che dribblerebbe anche sua madre?17 17 Berselli, E.; 1995, Il più mancino dei tiri, cit., risvolto di copertina. 119 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Ciò che contraddistingue maggiormente questo libro, però, è la tecnica utilizzata dal Berselli. Egli sceglie, con queste pagine, di fare un esercizio di memoria: non consulta testi, non verifica date. Berselli vuole affidarsi solo e unicamente a una delle sue maggiori doti: la funzione mnemonica. Nel 2006, ben undici anni dopo la sua prima pubblicazione, Il più mancino dei tiri viene ristampato da Mondadori e l‟autore propone sul finale del volume un “Backstage qualche anno dopo”. In queste pagine Berselli racconta che il Tiro mancino ha avuto estimatori prestigiosi. Nessuno di loro ha voluto credere che il libro fosse stato scritto a memoria, anche se mi sbracciavo per convincerli. Inutilmente segnalavo errori vari e imprecisioni mnemoniche che erano restati nel testo a stampa. E invece è proprio così. Il metodo era che scrivevo senza verificare nulla, per un impegno preciso assunto con me stesso; al massimo accertavo le correzioni che in corso d‟opera i gentili lettori mi segnalavano. Di questo criterio (Principio di non verifica) comprendo la sostanziale assurdità. L‟arbitrio, la gratuitità, la vanità. Ma tutti noi viviamo di atti gratuiti, di superstizioni quotidiane, di fenomenologie apotropaiche, orientandoci faticosamente dentro una segnaletica di dettami infondati che abbiamo creato per complicarci la vita. […] Legge fondamentale della scienza: si procede alla carlona, si formano teorie qualsiasi, poi agisce una selezione darwiniana, qualcuno mette un imprimatur sulla teoria meno improbabile e si forma una scuola 18. 18 Ivi, quarta di copertina. 120 Edmondo Berselli e il Mulino Il calcio è e rimane indubbiamente uno degli argomenti preferiti di Berselli: un “osservatorio italiano” come cita il titolo di uno dei blocchi della rivista de “il Mulino”19. Ed è proprio all‟interno del medesimo blocco del numero cinque datato settembre-ottobre 2002 che Berselli pubblica l‟articolo Nudo come un pallone – Telenovele e barzellette del calcio italiano, scritto a seguito del Mondiale giocato in Corea nell‟estate e dopo un rinvio di ben due settimane del campionato calcistico italiano a seguito di problemi dovuti ai diritti televisivi. La crisi nasce dal fatto che dopo investimenti non commerciali le televisioni criptate intendono ridurre l‟entità dei trasferimenti alle società calcistiche, e che anche la Rai rimette in discussione il rapporto economico con il calcio. Si può aggiungere che in una realtà meno vischiosa di quella italiana, in una situazione di mercato televisivo corretto, la mancata stipula del contratto con la Rai avrebbe chiamato naturalmente in causa con un‟offerta il concorrente della televisione pubblica, cioè Mediaset. Che però è disgraziatamente una proprietà del presidente del consiglio Berlusconi, a cui manca soltanto di farsi accusare di avere approfittato delle difficoltà della Rai. Inoltre, il neo-eletto presidente della Lega, il geometra con pensione sociale Adriano Galliani, è anche in procinto di assumere la carica di presidente del Milan berlusconiano, e quindi la sua mediazione per trovare un 19 La rivista de “il Mulino” è suddivisa in diversi blocchi tematici che sono mutati nel corso degli anni, ne riportiamo alcuni esempi: “osservatorio italiano”, “osservatorio europeo”, “Mappamondo”, “Database”. 121 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica accordo con la Rai era un funambolismo vertiginoso dentro il conflitto d‟interessi. Alla fine, dopo avere chiesto impudicamente al governo lo stato di crisi, i ras ci mettono una pezza, il campionato è salvo, si ricomincia. Il calcio nazionale resta più o meno quello di prima. Con i suoi trecento procuratori, cioè gli “agenti” dei calciatori (secondo la dicitura professionale ufficiale), una categoria che presenta “nodi e sviluppi capaci di far impallidire persino i conflitti d‟interesse di Berlusconi e Galliani”.20 A questo punto Berselli cita un articolo apparso il 2 settembre dello stesso anno su «la Repubblica», scritto da Maurizio Crosetti dove si afferma che altri soggetti hanno emulato i doppi, tripli e quadrupli ruoli recitati dal presidente del Consiglio e dal suo fido scudiero in particolar modo in ambito sportivo, dove la Gea (General Athletic), composta da figli di illustri personaggi, è riuscita a intrecciare complicatissimi rapporti societari, politici, finanziari, sponsorizzazioni e quant‟altro grazie proprio alla rete di parentele, conoscenze e frequentazioni degli ambienti che "contano"21. Riprende a questo punto Berselli: il che sarebbe un esempio delle modalità relativamente comiche con cui viene gestita l‟ “industria” calcistica. 20 Berselli, E.; 2002, Nudo come un pallone. Telenovele e barzellette del calcio italiano, «rivista il Mulino», n°5, p. 881. 21 Crosetti, M.; 2002, Mercato, affari e la grande lobby tutti i colpi dei signori dieci per cento, «la Repubblica», 2 settembre, p. 38. 122 Edmondo Berselli e il Mulino Ovvero di come il calcio sia una specie di ordinamento feudale dentro la vita nazionale. Vassalli, valvassori, valvassini, inviati dell‟imperatore, brancaleoni, bertoldi, tagliagole. Una situazione divertente, per certi aspetti, come poteva risultare divertente ed eccitante la vita pubblica ai tempi della crisi della prima Repubblica, dei nani e delle ballerine, dei ras dell‟immobilismo politico, in attesa del disastro annunciato dalla cassandre. […] Nel frattempo si era alzata l‟ondata moralizzatrice. I dissipatori si vestivano come da copione da risanatori. Parsimonia negli stipendi, cautela negli acquisti. Niente follie. Sobrietà, austerità e soprattutto decenza. Il 23 agosto, al Meeting di Comunione e liberazione di Rimini, Silvio Berlusconi viene accolto da una claque politica che scandisce un po‟ stancamente “Silvio dacci la luce”, e da qualche tifoso milanista che implora. “Compraci Nesta”. Accattivante come al solito, rilassato malgrado la brezza gelata sui conti pubblici e le inquietudini popolari sull‟inflazione “commosso, sbalordito, carburato”, il presidente del Consiglio si rivolge paternamente alla platea e spiega il nuovo trend. Bisogna fare tutti un passo indietro, darsi una regolata. Per quanto riguarda l‟acquisto di Nesta, la questione è molto semplice: “Se pò no”, non si può. “Nel calcio siamo arrivati a livelli che non hanno nulla di economico e di morale. Abbiamo sbagliato”. Non tira più aria mecenatizia, non si può risolvere tutto dicendo “ghe pensi mi”, non si possono più buttare i soldi nella centrifuga del campionato. Il buon senso deve finalmente prevalere. Applausi compiaciuti del popolo ciellino. Non conviene tirarla per le lunghe e illustrare il clima virtuoso che sì è diffuso sui circenses calcistici. Meglio passare direttamente alla conclusone: nel giorno di 123 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica chiusura di un mercato molto depresso […] Nesta? Lo prende, ci mancherebbe, proprio il Milan, per 30,2 milioni di euro: un affare, rispetto alle quotazioni di un anno fa; uno sciallo rispetto alla micragna corrente. E il promesso risparmio? “Non ho ancora sentito Galliani”, spiega Berlusconi da Elsinore, dove si trova per il vertice dei ministri degli Esteri dell‟Unione europea, “ma lui ha piena autonomia di spostare risorse e acquistare un fuoriclasse che ha un costo maggiore, magari dismettendo qualche giocatore che non serve”. […] È la “flessibilità interna” dei bilanci. e il ministro degli Esteri ad interim rafforza il concetto con un severo paragone istituzionale: “Metteremo nella prossima legge finanziaria una norma che consentirà, all‟interno di un ministero, spostamenti di risorse di una certa percentuale all‟altra del dicastero. L‟importante è che il bilancio resti entro i limiti prefissati”. Clemente Mastella, l‟uomo politico che passò agli annali per aver detto di preferire i mercati rionali ai mercati internazionali, e quindi dovrebbe avere una certa conoscenza anche del calciomercato, emette la sentenza definitiva: “Temiamo solo che le sue parole sull‟economia e sull‟inflazione siano uguali al fermo e deciso no all‟acquisto di Nesta pronunciato una settimana fa”. Ma questo è il catastrofismo dell‟opposizione, l‟abuso di critica che conduce alle self-fulfilling prophecies, le profezie che avverano catastroficamente se stesse. La ripresa verrà, una volta o l‟altra. Il campionato non parte? Il Cavaliere, uomo legatissimo al calcio, un giorno lontano, quando i rossoneri avevano sconfitto la Steaua Bucarest, chiarì il suo pensiero geotattico: “I valori dell‟occidente hanno battuto il socialismo reale”. Di 124 Edmondo Berselli e il Mulino questi tempi, invece, intervistato sulle domeniche senza calcio, quella sagoma di Berlusconi l‟aveva già messa sullo scherzo, mentre il vecchio bolscevico e disfattista D‟Alema si imbarcava in sarcasmi su un governo incapace perfino di fischiare il calcio d‟inizio del torneo: “E‟ la rivincita delle mogli, delle fidanzate e del turismo: la domenica si possono fare bellissime gite”. 22 Berselli dimostra così che l‟intreccio tra politica e calcio c‟è e c‟è sempre stato. Lo si può negare oppure prenderne consapevolezza. Con serietà, sì, ma anche con un pizzico di ironia, così come fa lui. L‟intransigenza dei fatti presentati con leggerezza, in fin dei conti alla portata di tutti, non solo dei letterati del Mulino, ma leggibili e comprensibili e, perché no, allettanti, per chiunque trovi un volume sullo scaffale di una libreria, pensa si tratti di un libro di calcio, e, invece, si ritrova a leggere di ieri, di oggi, di noi. Canzoni. Storia dell’Italia leggera, è il secondo saggio che Edmondo Berselli pubblica con il Mulino, nel 1999. Simili lo definisce “il filone beat” dell‟autore. In realtà la passione per la musica è per Berselli l‟ennesimo modo per osservare e analizzare la società nel suo evolversi nel tempo. Libretto prezioso e acutissimo, Canzoni attraversa la musica e in suoni della seconda metà del Novecento fingendo di non voler fare concorrenza a storici e sociologi. Con uno stile prettamente giornalistico, l‟autore, dopo aver esplicitato 22 Berselli, E.; 2002, Nudo come un pallone. Telenovele e barzellette del calcio italiano, cit., pp. 883-884. 125 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica la sua consapevolezza che si tratti "solo di canzonette", cerca di spiegare come tali canzonette non abbiano a che fare solo con il costume nazionale, ma anche il fatto che nel loro susseguirsi esse abbiano assecondato "come una partitura collettiva" l'evoluzione del mondo contemporaneo. Secondo criteri "minimalisti" Berselli traccia un bilancio, dove a prevalere sono il gusto e, beninteso, la memoria, quella stessa memoria che abbiamo già citato precedentemente come una delle più grandi dote dell‟autore. Ora specchio della realtà, ora fautrici dei cambiamenti, le canzoni parlano attraverso i loro testi, Berselli le amplifica e fa notare come "grazie ai veloci rewind della memoria - il lettore può riascoltare - il suono concitato della modernizzazione italiana"23. Ne esce un‟opera in sei atti dove campeggiano le scuole regionali dei grandi cantautori, i protagonisti, e i complessi più o meno noti degli anni sessanta. La storia si può cantare, con Mina e il beat dei capelloni, con Mogol, Battisti, Vasco Rossi e Baglioni, fino a Max Pezzali. E intorno a tutto questo emergono soprattutto le storie collettive di un cambiamento che ha coinvolto più o meno da vicino tutti gli italiani e via via ha modificato il loro modo di essere. È così che Berselli suscita nei connazionali interrogativi e riflessioni, esattamente come stimola ricordi e nostalgie. Certo, un‟analisi simile a quella che fa l‟autore, la potrebbe fare anche uno storico, un sociologo, o un intellettuale dei tanti nelle Università, ma 23 Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, cit., p. 10. 126 Edmondo Berselli e il Mulino il fatto è che si vive ormai in una specie di politeismo culturale che implica tolleranza verso praticamente tutto. La perdita di riferimenti fa sì che anziché uno smarrimento si provi di solito una sensazione confortevole e spensierata: ciò che conta, ossia che piace e che si canta, lo decidiamo noi. Se si vive nel frammentario, nel relativo, nel contingente, se le scale di valori sono arbitrarie, non è necessario puntare su tematiche troppo impegnative e vincolanti. E allora, se si accetta di stare sulla linea dell‟intrattenimento, si potrà vantaggiosamente evitare di offrire spiegazioni sul perché questo libro parla di canzoni. […] Perché questa non è una storia, non è una sociologia, e non è neanche un repertorio. Sono storie, raccontate come ne sono capace, e in queste storie vivono i protagonisti. Veri, poiché esistono o sono esistiti nella cronaca: falsi, finti, immaginari, perlomeno in quanto li ho immaginati io con le dovute immedesimazioni e idiosincrasie, e a sua volta li ha immaginati il pubblico inseguendo i suoi desideri24. Nonostante Canzoni sia datato 1999, Berselli ha continuato il suo parallelo tra musica, cultura e politica anche negli anni successivi. Dalle pagine dei quotidiani per i quali ha scritto, infatti, non ha mai mancato un‟occasione per lanciare sassi, frasi, dettagli, analisi. Portiamo ad esempio un trafiletto pubblicato il 25 agosto 2008 su «la Repubblica» intitolato Se il Pd cambia musica. 24 Ivi, pp. 97,98,101. 127 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Perché non si senta la solita musica, alla festa nazionale del Pd è stato lanciato lo slogan «meno Inti Illimani e più Radiohead» (copyright delll' autore della playlist, Luca Sofri). Aiuto, c' è un problema: perché il passaggio dalla musica andina al rock più cerebrale sembra proprio la sintesi simbolica del passaggio dal Novecento al Terzo millennio, cioè dal calore latino al gelo cosmico dell' odissea nello spazio, con tutti i rischi che ciò comporta. Infatti la parabola sonora che va dalla tradizione all' avanguardia comporta la messa fra parentesi di esponenti significativi della musica popolare: benissimo i Coldplay, i Pearl Jam, i Rem (che, accidenti, sono quelli di Losing my religion, titolo terrificante per qualsiasi festa di partito); ma se nel frattempo il popolo avesse voglia di ascoltare, tanto per dire, il subcomandante Eros, nel senso di Ramazzotti, e la pasionaria Laura, nel senso della Pausini, che si fa, gli si dice di no? Forse è il caso di non dimenticarlo, il popolo: magari la storia ha dimostrato che non è vero che «jamas sera vencido», ma qualche diritto lo conserva. E in ogni caso, per quanto riguarda la musica di centrosinistra, mai dimenticare che l' importante, oggi come ieri, sarebbe non finire suonati.25 Ci sono altri due libri editi il Mulino e a firma di Edmondo Berselli, ma non possono essere considerati propriamente inediti perché raccolte di saggi già comparsi sulla rivista de “il Mulino”. Essi sono L’Italia che non muore del 1995, e L’Italia nonostante tutto del 2011, già citati in precedenza. 25 Berselli, Edmondo; 2008, Se il Pd cambia musica, «la Repubblica», 25 agosto, p. 25. 128 Edmondo Berselli e il Mulino 3.2 Il rapporto con la rivista 3.2.1 Come la rivista de “il Mulino” ha influenzato Berselli: tra vecchi e nuovi “mugnai” Come già ampliamente esplicitato, in origine furono Pier Luigi Contessi, Fabio Luca Cavazza, Gianluigi Degli Esposti, Renato Giordano, Federico Mancini, Nicola Matteucci, Luigi Pedrazzi e Mario Saccenti. Poi la cerchia con il tempo andò via via allargandosi e si aggiunsero: Giorgio Galli, Pietro Scoppola, Ezio Raimondi, Romano Prodi, Gianfranco Pasquino, Giovanni Evangelisti, Alessandro Cavalli, Piero Ignazi ed altri autori. Abbiamo cercato le tracce delle reciproche relazioni e contaminazioni ed abbiamo pensato di rivolgerci direttamente a lui, a Berselli. Gli abbiamo posto delle domande cercando i nomi di questi personaggi nei suoi libri, nei suoi articoli e cercando di metterli in interconnessione tra loro utilizzando il web, il quale ci ha regalato diverse sorprese. Innanzi tutto il gruppo fondatore. Tra i vecchi “mugnai”, Berselli sembra abbia avuto maggiori contatti con Cavazza, Mancini e Matteucci e il primo di questi offre un ottimo spunto. Racconta, infatti, Berselli che uno degli aneddoti maggiormente blasonati nelle stanze del “il Mulino” riguarda proprio Fabio Luca Cavazza, bolognese, nato nel 1927 e morto nel 1996 dopo aver non solo fondato “il Mulino”, ma anche riformato il giornale di Confindustria «il Sole 24 ore». 129 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica In Quel gran pezzo dell’Emilia, l‟autore racconta che «Fabio Luca Cavazza, uno dei fondatori del clan intellettuale, spiegò durante un premio Viareggio come funzionava il sodalizio bolognese: “Facciamo delle cene…” 26». Apparentemente questo non ha nulla a che fare con Berselli, se non fosse che gli amici, collaboratori e estimatori, dell‟autore parlano, all‟interno di buona parte degli articoli a lui dedicati, di come l‟autore avesse una capacità incredibile di coinvolgere e progettare idee proprio attorno a una tavola imbandita. Inoltre, il Berselli stesso in più e più passaggi dei suoi libri sottolinea l‟importanza delle colazioni con Ugo Berti o degli aperitivi con Matteucci e di come spesso da questi piccoli momenti conviviali, si generassero idee, riflessioni, per raccogliere aneddoti e informazioni dai quali, spesso e volentieri nascevano articoli, capitoli e libri interi. Appare chiaro come Berselli avesse la particolare dote di assorbire ogni genere di informazione e immagazzinarla, per poi riutilizzarla nei momenti più impensati, perché come spesso afferma la moglie, Berselli poteva parlare con passione e competenza di Lippi e dopo due minuti montare e smontare tesi filosofiche come solo un grande conoscitore della materia può fare. Cosa significa, allora, il “Facciamo delle cene” di Cavazza? Probabilmente proprio questo: l‟occasione d‟incontro, informale, libero, aperto e gli “scontri” seppur bonari che ne possono conseguire, il tutto, tavola imbandita compresa, certamente in puro stile emiliano. 26 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p.562. 130 Edmondo Berselli e il Mulino Da Cavazza passiamo a un altro personaggio storico de “il Mulino”: Federico Mancini. Nasce a Perugia nel 1927, per poi trasferirsi, prima ancora alla fine della Seconda guerra mondiale a Bologna, dove nel 1949 si laurea in giurisprudenza. Oltre a essere cofondatore della rivista, è stato un docente universitario a Urbino, Roma e Bologna. Nella sua vita è stato eletto membro del Comitato centrale del Partito socialista italiano, membro del Consiglio superiore della magistratura e, infine, giudice della Corte di Giustizia delle Comunità europee. Berselli cita abbastanza frequentemente Mancini nelle sue opere, non per blasonarne le grandi doti giuridiche, ma, soprattutto per la sua passione sportiva per il Bologna calcio «veniva apposta dal Lussemburgo, dove esercitava la sua finissima arte europea alla Corte di giustizia, per vedere il Bologna che si arrabattava in serie B o addirittura in C»27. In particolare, Mancini «bello quasi come Cary Grant, socialista raffinato»28, fu, per Berselli, di particolare aiuto e spinta costante a continuare a scrivere il suo primo libro, il già citato Il più mancino dei tiri. Scrive l‟autore nel backstage al libro: il più appassionato e anzi quasi fanatico dei lettori delle bozze fu Federico Mancini, “sommo studioso del giure e del contropiede” che mi telefonava da varie contrade 27 Berselli, E.; 2005, Ma a farci patire è il football, «la Repubblica – Bologna», 05 giugno, p. 2. 28 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 561. 131 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica d‟Europa per segnalare un errore, una svista o un suo entusiasmo. Si era affezionato al gioco (forse per via del nomen omen?). Poi Federico è morto, andandosene lentamente e dolorosamente con uno stile da fuoriclasse, senza nascondersi niente ma come se la faccenda non lo riguardasse29. Come anticipato dalle parole di Berselli, Mancini si spegne a Bologna il 21 giugno 1999, ma nella formazione dell‟autore sembra aver lasciato soprattutto un aspetto fondamentale. Nonostante il suo ruolo di primo piano come studioso, docente, giurista, conosciuto in tutta Europa, Mancini non ha mai dimenticato la terra che lo ha cresciuto, Bologna. E ha tenuto il contatto con essa non solo attraverso l‟insegnamento universitario o il suo ruolo all‟interno dell‟associazione «il Mulino», ma anche attraverso la “fede” per la squadra di calcio della città. E non è un caso che Berselli lo citi proprio per questo motivo in più e più parti dei suoi racconti. Sembra quasi che l‟autore, in un certo qual modo, si senta autorizzato dal “maestro” Mancini a trattare argomenti che possono essere considerati “bassi”, come il calcio. Dobbiamo tener presente che l‟ambiente del Mulino è composto prettamente da grandi letterati, tutti, o quasi, docenti accademici, mentre Berselli non si è mai interessato all‟insegnamento, rimanendo, perciò, agli occhi di molti, un tecnico che stava facendo carriera. Mancini gli concede appoggio e lo stimola a continuare nella sua stesura. 29 Berselli, E.; 1995, Il più mancino dei tiri, cit., p. 88. 132 Edmondo Berselli e il Mulino Indubbiamente un elemento di influenza e incoraggiamento concreto. Infine, il terzo, Nicola Matteucci, è sicuramente uno dei personaggi più importanti nella formazione professionale di Edmondo Berselli. Nato a Bologna il 10 gennaio 1929, Matteucci è considerato uno dei massimi teorici del costituzionalismo liberale del Novecento, ma, soprattutto, fa parte di quel gruppo di giovani che fonda la rivista “il Mulino” nel 1951. «Il laico, liberale, lamalfiano Nicola Matteucci» 30 si era laureato a Bologna in giurisprudenza nel 1948 e fu, se così si può dire, una guida che accompagnava Berselli, giorno dopo giorno, nella sua crescita intellettuale e lavorativa. Infatti dal 1986, anno in cui l‟autore diventa capo redattore della rivista, i due condivisero anche l‟ufficio. Afferma Berselli: per apprezzarne compiutamente la personalità era necessario ascoltarne la lezione vivente, come facevano i suoi studenti e i collaboratori che venivano a trovarlo la mattina nel suo ufficio al Mulino. Capire i suoi modi un po' bruschi, le sue idiosincrasie sbrigative, il suo affetto talvolta ruvido, i rabbuffi improvvisi, le rapide riappacificazioni, i congedi senza smancerie. Dietro quei modi, si poteva trovare lo spessore di un intellettuale che aveva maturato le sue convinzioni liberali grazie a una sperimentazione incessante, a un mettersi alla prova con la politica, a un gusto speciale per il discorso pubblico e il confronto di idee. [...] E in ogni momento si poteva 30 Berselli, E.; 2004, Radiografia del follinismo, «la Repubblica», 17 luglio, p. 1. 133 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica apprezzare la nonchalance dello studioso che affronta la sua giornata con scioltezza, senza accademismi, fuori di ogni retorica, soddisfatto della sua villa nella campagna bolognese, del suo tavolo di lavoro, delle sue schede bibliografiche, della scienza liberale da cui non si era mai separato, neppure nel momento della fatica e del dolore31. E ancora lo cita, almeno una dozzina di volte, nei suoi testi. Lo definisce, ironicamente, sadico32 durante il racconto delle accese riunioni dei senatori del Mulino, quando incolpava Evangelisti di non aver voluto pubblicare il filosofo statunitense Rawls, e lo lusinga, prendendolo in giro, in Venerati Maestri, perché Matteucci per Berselli era assolutamente tale, quando afferma: non è mica facile contrastare un liberale convertito, perché, com‟è noto, le conversioni rafforzano i convincimenti: i convertiti devono anche dimostrare ai loro vecchi compagni e a tutto il mondo che hanno studiato molto bene, hanno approfondito, hanno valutato le obiezioni, fornito le risposte, ascoltato le repliche. Ma se il liberale insiste troppo a decantarvi le sette bellezze del mercato deregolato è una fatica: bisogna innanzitutto reprimere la voglia di passare alle vie di fatto. Comprensibile, per carità, ma si sappia che non è bene rispondere di malagrazia: senta, buon uomo, sono stato quindicianni in una stanza con Nicola Matteucci, essenza vivente del liberalismo, ho respirato pensiero liberale 31 Berselli, E.; 2003, Matteucci coscienza liberale, «la Repubblica», 11 ottobre, p.56. 32 Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio, cit., p.430. 134 Edmondo Berselli e il Mulino tutte le mattine; mi sono fatto tutti i giorni un corso permanente di pensiero liberale, ho imparato tutto di Tocqueville e Croce, degli antichi e dei moderni. Se una mattina volevo divertirmi, infilavo un piccolo riferimento a Bobbio, con cui Matteucci aveva curato il Dizionario di politica, e osservavo le sue smorfie rivolte all‟incerto liberalimo del maestro torinese. D‟altronde, diceva con perfidia Matteucci, anche Dahrendorf quando parla di Bobbio dice che «forse» il sorriso diventava velenoso. E spesso il corso monografico di storia delle dottrine politiche moderne e contemporanee proseguiva a pranzo, in certi ristoranti del centro di Bologna dove il venerdì arrivavano magnifici cesti di ostriche. Slurp, il liberalismo. 33 Gli aneddoti sulla figura di Matteucci si sprecano, perché il “Maestro” era, in apparenza, quanto di più diverso potesse esservi dalla figura del Berselli, però sembra essere stata una fonte costante di riflessioni, risate e soprattutto di conoscenza. Berselli, per sua stessa definizione eclettico, lo descrive così: di solito era difficile introdurre Matteucci a qualche considerazione culturale, a un discorso di carattere accademico o intellettuale, a un giudizio su un libro, su un saggio, su un filosofo: parlare di cultura evidentemente lo annoiava, e preferiva indulgere a pettegolezzi politici e d‟ambiente giornalistico. Ma naturalmente nei quindici anni di convivenza mattutini sono riuscito a fare il 33 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., pp. 768- 769. 135 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica parassita della sua cultura eccezionale, e qualcosa devo avere imparato. L‟aspetto più divertente della personalità di Matteucci era la scarsa attitudine a frequentare territori estranei alla filosofia, alle dottrine politiche e al costituzionalismo. Per dire, non capiva e non voleva capire nulla di calcio. Aveva giocato a tennis, ma non seguiva nessuno sport. Parlava di cinema senza mai ricordare il titolo di un film, e quindi era costretto a spiegazioni lunghissime. Manifestava un sincero […] quanto ammirato stupore verso certe spiegazioni scientifiche intercettate sulle pagine dei giornali: «Ho visto che c‟è una teoria che va oltre il bang bang…». Che cos‟è, un western, una sparatoria? «No, una cosmologia.» Come no, ma era il Big Bang. Ah, ecco. Una volta, durante un‟assemblea dell‟Associazione «il Mulino», Arrigo Levi si produsse in un‟analisi politica secondo cui «noi non siamo il CAF». Per chi l‟avesse dimenticata, questa sigla simboleggiava con un acronimo l‟accordo di potere fra Craxi, Andreotti e Forlani. Si sviluppò una vivace discussione, per decidere se si era del CAF o nel CAF, per verificare insomma se si era scafati o no; il dibattito venne risolto verso l‟ora di pranzo da Romano Prodi: «Arrigo, ma come sarebbe che non siamo nel CAF! Guarda Nicola, ha la gobba di Andreotti e la faccia da Forlani». Matteucci sembrava addirittura lusingato di riunire in se stesso fattezze di due democristiani così importanti, lui rigoroso laico, liberale, repubblicano, lamalfiano34. 34 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., p. 482. 136 Edmondo Berselli e il Mulino Cos‟altro possiamo affermare? Le parole di Berselli hanno già ammesso l‟influenza di Matteucci nei quindici anni in cui hanno condiviso l‟ufficio, sembra voler dire: più diversi siamo più cose possiamo imparare. Poi vennero i “mugnai” della seconda ora (ovvero tutti quelli che non parteciparono alla fondazione della rivista e che in modo più o meno incisivo ne ebbero a che fare). Il primo che lo stesso Berselli ci suggerisce è Nino Andreatta. Beniamino Andreatta, detto Nino, nacque a Trento l‟11 agosto 1928 ed è stato un noto economista e politico italiano. Muore a Bologna il 26 marzo 2007 e in questa occasione Berselli scrive di lui: era anticomunista nelle fibre più profonde di sé; democristiano con un disprezzo esibito delle pratiche di partito e nello stesso tempo con un orgoglio e uno spirito di appartenenza che lo inducevano a immaginare ancora soluzioni politiche, durante il disfacimento del suo partito, a oltranza, senza tregua e senza rassegnarsi, come se un' ossessione potesse placare una disperazione; e infine convinto che per una riflessione politica rigorosa, oltre che per una scelta etica irresistibile nella sua eleganza, i cattolici dovessero imboccare la via collocata a sinistra nel nascente e già problematico bipolarismo italiano. Adesso una formula sbrigativa potrebbe illustrarlo come il vero padre del Partito democratico. […] Forse, il pregio maggiore di Andreatta è consistito nel pensare che nulla fosse reale come la fantasia35. 35 Berselli, E.; 2007, Addio Andreatta, padre dell' Ulivo, «la Repubblica», 27 marzo, p. 1. 137 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Ed è forse questo che piaceva particolarmente a Berselli di Andreatta, la sua capacità di ragionamento che diventava azione con una naturalezza tale da riuscire a convincere chiunque che fosse l‟unica cosa che si poteva fare. Andreatta fu uno dei primi membri del comitato direttivo de il Mulino e rimase nell‟omonimo gruppo a lungo. Questo ha permesso a Berselli di raccogliere non pochi aneddoti su di lui, citato più e più volte nei suoi libri, nei quali, molto spesso, non perde tempo a parafrasare i discorsi dell‟Andreatta stesso, ma riporta le frasi incisive che lo contraddistinguono. «La lezione»36 come la chiama il Berselli, le stesse lezioni dopo le quali «a ogni uscita di Andreatta la direzione del PCI veniva convocata in riunione, con un solo punto all‟ordine del giorno: che cosa avrà voluto dire Andreatta?, e dopo alcune ore ne venivano fuori tutti molto cupi»37 o ancora la storica affermazione dopo l‟appuntamento della Lega a Pontida del 1995. Andreatta affermò che «le parole di Bossi seguono le coordinate di un mondo adolescenziale e salgariano, alle quali riesce difficile applicare le categorie degli adulti». 38 Un‟ironia tagliente, oseremmo dire quasi berselliana, che l‟autore cita più e più volte e dalla quale sembra voglia aver preso spunto più e più volte nei suoi commenti, ironici anche trattando argomenti serissimi. Vogliamo portare ad esempio proprio una vicenda 36 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., p. 806. 37 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 656. 38 Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio, cit., p. 349. 138 Edmondo Berselli e il Mulino che vide coinvolto lo stesso Andreatta, nel momento in cui propose Prodi come segretario dell‟Ulivo Nino Andreatta. Un uomo di centoventi o centotrenta chili, con la pipa eternamente fra i denti, che si infilava i fiammiferi spenti nella tasca della giacca, capace di straordinarie distrazioni come dimenticarsi la moglie a Roma e lasciare l‟auto in deposito ai carabinieri dopo che questi avevano riscontrato la totale mancanza di bolli, tagliandi e assicurazioni. Come aveva detto anni prima Aldo Moro a Pietro Nenni, che gli chiedeva chi fosse questo giovane consigliere economico: «Chi, Andreatta? È fatto così: se c‟è un problema, lui ha dodici soluzioni. Stai tranquillo che fra queste dodici c‟è quella giusta». Ma quando occorreva, il ciclopico Nino era capace di concentrarsi per ore, o per mesi, sul tema dato, e alla fine scodellava una soluzione formidabile. A quel punto, il tema era molto ben impostato: era necessario bloccare la fuga a destra di Rocco Buttiglione –che spasimava dalla voglia di portare i Popolari verso il Polo delle Libertà- e impedire così che resti della DC fossero trasferiti fra i ranghi berlusconiani. Pensa che ti ripensa, rimestica e rimugina e rumina, Andreatta si pulì gli occhiali con la cravatta, infilò in tasca la pipa accesa e pronunciò le parole fatali: «Proviamo con Romano». 39 Ezio Raimondi. Nato a Lizzano in Belvedere (provincia di Bologna) il 22 marzo 1924, è considerato uno dei maggiori 39 Berselli, E.; 2008, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica, cit., pp. 1081-1082. 139 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica filologi, saggisti e critici letterari italiani ed è tutt‟ora docente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell‟Università di Bologna. Anche il «professor Ezio Raimondi, italianista supremo benché mancato difensore di fascia di potenziale classe internazionale» è abbondantemente citato da Berselli. Con uno dei maggiori letterati d‟Italia Berselli parla di calcio, ribadendone più e più volte le grandi capacità “sprecate”, e di musica, con colui che, dopo aver assistito a un concerto di Francesco Guccini a Bologna, gli disse: di Guccini mi piacciono le sue canzoni perché sono etica che si fa politica», e Francesco si è schermito perché, se il finissimo Raimondi ti dice quelle cose lì, bisogna pensarci un momento, per capire se ti ha fatto un complimento oppure se ti ha mandato a dire che musicalmente fai pietà 40. Ma, va detto, quelli che probabilmente furono per Berselli due veri e propri compagni di viaggio nel Mulino furono Ugo Berti Arnoaldi e Ilvo Diamanti. Ugo Berti è nato a Bologna ed è l‟attuale presiedente della fondazione Biblioteca del Mulino. Entrò al Mulino nel 1985 e al suo primo incarico sostituì come capo ufficio stampa e propaganda proprio quello che diverrà l‟amico Edmondo. Berselli lo cita in pressoché tutti i suoi libri, soprattutto nei ringraziamenti finali. Ne Il più mancino dei tiri lo descrive come «Il primo lettore della prima copia uscita dalla 40 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit. p. 622. 140 Edmondo Berselli e il Mulino stampante laser» con il quale allora al Mulino condivideva «la puntata di mezza mattina, fuga dall‟ufficio, rapida discesa di Strada Maggiore, imbocco di via Guerrazzi, caffè, e prima di rientrare una sommaria discussione sul titolo: che ne dici di “Menare il can per l‟area”?» 41. In Canzoni, in apertura dei ringraziamenti, Berselli afferma «Questo libro non sarebbe venuto fuori se non ci fossero state le chiacchiere quotidiane con Ugo Berti, che ha letto le prime versioni e mi ha offerto suggerimenti con la stessa intelligente nonchalance con cui di solito fa nascere libri di storia»42 e ancora le medesime affermazioni nella stessa sezione del testo in Post-italiani. In Quel gran pezzo dell’Emilia, Berselli ringrazia Berti che «ancor più del solito […] ha contribuito a migliorare la forma e il contenuto del libro, con le sue accuratissime precisazioni43» così come in Adulti con riserva dove, addirittura, lo descrive, ironicamente, talmente meticoloso da risultare «leggermente irritante per la sua precisione chirurgica»44. Infine in Liù estende l‟invito alla festa di cui si parla nel finale anche a Berti perché abbiamo lavorato insieme da giovani, ci vogliamo bene nella nostra maniera timorosa, abbiamo gusti politici, culturali e musicali tanto dissimili da risultare 41 Berselli, E.; 2007, Il più mancino dei tiri, cit. p. 88. Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, cit., p. 102. 43 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 661. 44 Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del Sessantotto, cit., p. 1006. 42 141 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica reciprocamente interessanti, e sul piano editoriale mi piace sempre ricordargli con ironia che, a ragione o a torto, è stato “l‟uomo che da sinistra ha scompaginato la storiografia contemporaneistica”, come hanno scritto le cronache culturali dei giornali45. Sembra essere stato un vero e proprio percorso di vita insieme, di amicizia, di stima, che non è ancora terminato, a giudicare dalla presenza costante di Berti alle presentazioni dei libri del Berselli usciti postumi. Ilvo Diamanti, infine, è nato a Cuneo il 4 settembre 1952 ed è un sociologo, politologo, giornalista, ricercatore e saggista italiano. All‟interno del gruppo Mulino ha collaborato dapprima con l‟Istituto Cattaneo, per poi diventare anche autore sia della rivista che di pubblicazioni edite dalla “società editrice”. Dalle parole di Berselli sembra quasi che lui e Diamanti, pressoché coetanei, siano stati per diversi anni l‟uno il braccio destro dell‟altro. Nel capitolo “opinioni, opinionisti” contenuto nel saggio Post-italiani, Berselli dedica all‟amico quasi due pagine, nelle quali spiega le motivazioni che hanno spinto Ezio Mauro, direttore di «Repubblica», a inserire nel suo staff Ilvo Diamanti, che era l‟opinionista domenicale del «il Sole 24 ore», ascoltatissimo in Confindustria, ma soprattutto il politologo che meglio degli altri aveva seguito la vicenda politica della Lega, e sicuramente uno dei più puntuali analisti del cambiamento politico e 45 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 1313. 142 Edmondo Berselli e il Mulino sociale degli ultimi dieci - quindici anni. […] Diamanti non è un commentatore qualsiasi, da impiegare sull‟ultima notizia di giornata, e neppure un pensatore umorale, di quelli abituati a seguire gli impeti del proprio carattere. La sua caratteristica principale consiste nell‟essere rimasto legato alla ricerca empirica, da cui trae concetti, indicazioni, orientamenti, prospettive. Nel deserto interpretativo che i quotidiani sentono incombere, la figura di Diamanti e le sue «Mappe» domenicali rappresentano la connessione tra l‟ufficio centrale di «la Repubblica» e la realtà effettuale di un‟Italia che continua vorticosamente a cambiare, soprattutto nella percezione dei giornalisti, eternamente timorosi di essere scavalcati dalle tendenze in atto, anche se i sondaggi politici disegnano un paese immobile46. Berselli prosegue a lungo nel motivare ed elogiare le scelte di Mauro, ma crediamo di poterci fermare qui, ed aggiungere una sola frase, contenuta nel saggio Venerati Maestri: «Nessuno ci disturbi più con l‟idea che la forma romanzo può descrivere una società o una cultura meglio di un‟analisi di Ilvo Diamanti o del Rapporto Censis» 47. Berselli e Diamanti collaborarono dapprima al Mulino, poi a «il Sole 24 Ore» e infine a «la Repubblica». Si ha la sensazione che Diamanti elaborasse dati e statistiche e, in qualche modo, Berselli le mettesse “in rima”. Afferma il Diamanti stesso nell‟introduzione al libro L’Italia 46 Berselli, E.; 2003, Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio, cit., p. 475. 47 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., p.824. 143 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica nonostante tutto: «Berselli è un virtuoso del linguaggio. Usa le parole per evocare, ma anche per interpretare. Io me ne sono servito spesso, nei miei articoli. E continuerò a farlo»48. E non è forse questo l‟anima del Mulino? Ricerca e riflessione che si trovano, si scontrano e si fondono per diventare soluzioni, per poi ritrovarsi attorno a un tavolo a parlare di calcio, musica e politica? Certo non tutti gli accademici accettarono di buon grado la “scalata” del Berselli, un tecnico, come lo abbiamo sin ora descritto, che lentamente è approdato sino alla direzione della rivista. Si ha la netta sensazione, infatti, che Berselli spesso non venisse percepito da molti intellettuali come uno di loro. Da alcuni, infatti, poteva essere visto come un funzionario della casa editrice che mano a mano occupandosi di sport e canzonette, era riuscito a ritagliarsi uno spazio sempre più ampio 49. Afferma Simili Edmondo non ha mai avuto un titolo accademico, perché non ha mai voluto averlo, altrimenti, visti tutti gli ottimi rapporti che aveva, non avrebbe certo faticato ad avere una cattedra. Si percepiva, invece, in lui la voglia di essere più un tecnico che un intellettuale. Un tecnico che aveva però la fortuna di aver studiato negli anni giusti e che quindi poteva disporre di una visione ampia, perché il 48 Berselli, E.; 2011, L’Italia nonostante tutto, Bologna, il Mulino, p. 16. Pasquino ha scritto su la «rivista dei libri» una sorta di recensione su Post-italiani che creò parecchi dissapori perché metteva a confronto il libro di Vespa di quel momento e il libro di Berselli. Marmellata italiana nel numero di marzo 2003. 49 144 Edmondo Berselli e il Mulino problema che io riscontro oggi è che chi dovrebbe trasmettere il sapere agli altri livelli, non ha più quello sguardo complessivo che invece è fondamentale per argomentare la realtà. Ci sono degli iper-specialismi, come quelli di tendenza dell‟università italiana 50. Berselli era un eclettico, quasi un tuttologo. E nel 2009 lo stesso aveva intitolato un articolo apparso su «la Repubblica» La scomparsa del tuttologo assassinato da internet51 e, forse, anche dalle eccessive specializzazioni universitarie. 3.2.2 Come e quanto Berselli ha inciso sulla rivista de “il Mulino” Tirando le somme di quanto detto sin ora del rapporto tra Edmondo Berselli e la rivista de “il Mulino”, possiamo affermare che egli ebbe tre ruoli fondamentali all‟interno di essa: il primo come capo redattore, il secondo come autore e il terzo direttore. Del primo abbiamo già detto in precedenza, nel parlare dei diversi rapporti con i direttori che si sono susseguiti. Vogliamo invece andare ad analizzare nello specifico il secondo e il terzo per capire in che modo Berselli ha inciso sulla rivista. 50 Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 216. Berselli, E.; 2009, La scomparsa del tuttologo assassinato da Internet, «la Repubblica», 18 novembre, pp. 1-51. 51 145 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica 3.2.2.1 Gli articoli: saggi sull’Italia di domani. I temi, le peculiarità Edmondo Berselli scrive il suo primo articolo per la rivista de “il Mulino” nel 1989, per la precisione nel quinto numero, quello di settembre-ottobre. Da allora, in due diversi momenti, ha prodotto per la rivista un complesso di trentasette articoli, suddivisi in due periodi: dal 1989 al 1997 i primi venti e dal 2001 al 2009 i secondi diciassette. Il nome di Berselli è apparso nei sommari della rivista anche nel terzo numero (maggio-giugno) del 2010, quando, dopo la sua morte, la rivista ha deciso di dedicare alcune pagine a tre dei suoi articoli più significativi. Non conosciamo i motivi per cui dal 1998 al 2000 non sono apparsi suoi articoli, certo è che il suo ruolo rimase centrale nella rivista almeno sino al 1999, anno in cui dismette la carica di capo redattore, e che questi anni coincidono con l‟intenso lavoro dell‟autore presso il quotidiano di Confindustria. Particolare attenzione a questi articoli è stata posta anche dalla “società editrice”, la quale, nel 2011, ha pubblicato il già citato L’Italia nonostante tutto, all‟interno del quale ha raccolto quindici tra i più significativi, secondo la direzione editoriale, contributi del Berselli alla rivista. Non dobbiamo dimenticare, però, che quello della “società editrice” è una sorta di sequel: nel 1995, infatti, aveva già pubblicato L’Italia che non muore, che potrebbe essere considerato il suo primo libro, anche se dai contenuti non inediti, nel quale venivano ripresi tre articoli apparsi originariamente proprio sulla rivista e scelti per esser ripubblicati dall‟autore e dalla direzione editoriale. 146 Edmondo Berselli e il Mulino Uno degli aspetti più interessanti del volume è che qui l‟autore denuncia l‟insostenibilità di stereotipi verbali ricorrenti in politica: ci sono parole o espressioni divenute ormai praticamente impronunciabili, o pronunciabili solo rischiando sarcasmi che hanno il sapore dell‟inevitabile: la lotta, le masse, le conquiste, la società reale, il progresso e il rinnovo, il trend, il mix, gli spazi di libertà, l‟evento epocale, la solidarietà […] la fine delle ideologie; e lascia un suggerimento: «uno dei metodi più semplici ed efficaci per smascherare le minori o maggiori truffe partigiane praticate nel lessico politico quotidiano è sempre consistito nel porre in raffronto una formula convenzionale con il suo contrario». Un esempio: il “partito degli onesti” vedere i potenziali componenti del “partito dei disonesti”. Nella Premessa alla pubblicazione 2011, scrive Bruno Simili: leggere le analisi di Berselli scritte mentre la politica si attorcigliava su se stessa e confermava, alla faccia dei tanti rapporti periodici sulla situazione del Paese, le proprie deviazioni e gli effetti nefasti, permette di capire meglio perché poco alla volta sia diventato sempre più difficile accettare il gioco democratico e le sue regole. Al contempo questo libro lascia aperto lo spiraglio per un clima diverso, in cui siano bandite le posizioni, i programmi e i risultati raggiunti e si oppone all‟idea di due società messe l‟una contro l‟altra, che si fronteggiano in nome di valori, culture e convenienze del tutto antagonisti, sfruttando a proprio uso e consumo 147 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica l‟intreccio di interessi e di pulsioni presenti nella società italiana”52. Ed è nell‟introduzione allo stesso libro che Ilvo Diamanti elenca ed esplicita cinque buoni motivi per leggere ciò che Berselli ha scritto per “il Mulino” «dagli anni Ottanta a ieri. Anzi, ad oggi, direi, visto che c‟è poco da aggiungere alle vicende annotate dall‟autore»53. E, innanzi tutto, Diamanti consiglia non solo di leggere questo libro, ma di tenerlo a portata di mano, come un promemoria, un taccuino, nel quale andare a ripescare appunti presi in passato, intuizioni scritte diversi anni fa e che, a rileggerle oggi, chiudono il cerchio o, se non altro, avvicinano le due estremità. «La prima buona ragione per leggere questo libro […] è che offre un‟agenda accurata dell‟Italia “pubblica” nel corso degli ultimi vent‟anni. Seguita e rivisitata attraverso i personaggi tortuosi tra Prima, Seconda e Terza Repubblica54». Già, perché dal 1989 al 2009 di cose ne sono successe moltissime. Berselli osservava tutto quanto, con curiosità e cura. Fatti, antefatti, personaggi, interpreti e luoghi. E li annota, li appunta a margine. Con disincanto e, al tempo stesso, passione. In modo ironico e divertito. O meglio: divertente. Ma prendendo sul serio questa materia, terribilmente seria, che è la nostra storia recente e presente. Perché c‟è poco da ridere, sul nostro Paese. Poco da divertirsi. D‟altra parte, “il Mulino” è una rivista 52 Berselli, E.; 2011, L’Italia nonostante tutto, cit., p. 8. Ivi, p.11. 54 Ivi, p.12. 53 148 Edmondo Berselli e il Mulino prestigiosa, con una storia prestigiosa, dove, però, Edmondo Berselli non ha mai rinunciato a fare quel che gli è sempre riuscito meglio. Muoversi fra più registri, usando diversi stili e diversi approcci. Lui che ha sempre trattato allo stesso modo, con lo stesso rigore, con la stessa (auto)ironia, la politica, il football, la canzone leggera e la politica pesante, la filosofia e il gossip 55. La seconda buona ragione indicata da Diamanti per tenere alla mano gli articoli di Berselli è la loro capacità di essere «uno strumento ottico multifunzionale. Per guardare dentro, ma al tempo stesso, al di là e al di sotto degli eventi, dei personaggi, dei luoghi. Del nostro tempo»56. La terza è una ragione politica, perché, secondo Diamanti, Berselli con la sua capacità di analisi e con la „sfrontatezza‟ con la quale ha sempre parlato di politica, senza paure e false illusioni, cercando di proporre ragionamenti e possibili soluzioni, potrebbe essere un faro nel mare non solo di chi osserva la politica, ma anche di chi la fa. Quarta buona motivazione per leggere e rileggere gli articoli di Berselli è per ripercorrere l‟avvento della “democrazia del pubblico” all‟italiana. La versione “nazionale” (o meglio, “locale”) del modello tracciato da Bernard Manin. Fondata sul trionfo della personalizzazione e della televisione. Edmondo Berselli, più di chiunque altro, l‟ha colta e ricostruita da tempo e per tempo. Quando nessuno, o quasi, ne aveva colto l‟impatto. Oggi siamo talmente 55 56 Berselli, E.; 2011, L’Italia nonostante tutto, cit., p. 12. ibidem 149 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica immersi dell‟ irreality show che mischia vita e spettacolo, che non ce ne rendiamo conto. […] Basta allora scorrere le pagine scritte in proposito da Berselli. Il quale indica come la televisione “produca” l‟assetto politico”57. La quinta ed ultima motivazione che offre Diamanti è prettamente intellettuale ed estetica. L’Italia nonostante tutto, ma, in generale, tutta la produzione berselliana, può essere letta in modo ordinato o alla rinfusa. Prenderne parti, frasi, paragrafi, o articoli interi, senza seguire un ordine ben preciso. «Per il gusto di scoprire e isolare osservazioni minime, cogliendo formule lessicali inedite e neologismi suggestivi. Che definiscono e aiutano a capire quanto, e talora, più di certe laboriose analisi»58. Andremo ora a riprendere alcuni di questi articoli, cercando di catturane l‟essenza in poche righe, possibilmente scritte dall‟autore stesso, per permettere al lettore di comprendere quanto l‟opera di Berselli non possa che aver arricchito e influenzato l‟intera rivista de “il Mulino” e per dimostrare la tesi, precedentemente introdotta, di Diamanti, secondo il quale questi articoli possiedono la capacità di essere tutt‟oggi di attualità. Vertone al capolinea Europa 59 è il primo articolo berselliano incluso nella rivista ed è datato 1989. Per la prima prova, a quanto pare, non gli viene affidato un compito difficile: questo articoletto di tre pagine, altro non è 57 Ivi, p. 13. Ibidem. 59 Berselli, E.; 1989, Vertone al capolinea Europa, «rivista il Mulino» n°5, pp. 871-874 58 150 Edmondo Berselli e il Mulino che una dotta recensione del volume Penultima Europa60, scritto da Saverio Vertone61 nello stesso anno. Berselli, sin dal suo primo lavoro, però, si rivela inconfondibile nel suo stile chiaro, tagliente e ironico e nei contenuti che, in fin dei conti, sono attualissimi anche oggi. Scrive: ciò che viene fuori da Penultima Europa […] è una specie di geografia morale, e anche di fisiognomia storica, ritagliata come le figurine sui contorni di numerose piccole (ma piuttosto ingombranti) patrie, ognuna dotata di una propria cultura, di un tratto distintivo assolutamente peculiare. E ognuna di queste porziuncole nazionali è nello stesso tempo diffidente verso l‟integrazione quanto irresistibilmente astratta a cercare una dimensione più ampia, fosse pure soltanto per affermare snobbisticamente un modello, un «noi», una qualche identità. Conta poco che i provincialismi e i localismi vengano messi preventivamente dietro la lavagna dalle profezie messianico-tecnocratiche del Novantatrè: gli effetti di schizofrenia e di spaesamento, fra “armonizzazioni” comunitarie e squilibri tecnici o campanilistici, sono pur sempre plateali62. Tre dogmi uguali e indistinti. Autoritarismo, democrazia, partecipazione63, è il secondo articolo redatto da Berselli per la rivista ed appare nel sesto numero del 1989. In questo 60 Vertone, S.; 1989, Penultima Europa, Bologna, Rizzoli. SaverioVertone (Mondovì, 17 novembre 1927 – Torino, 30 giugno 2011) è stato un politico e giornalista italiano. 62 Berselli, E.; 1989, Vertone al capolinea Europa, cit., p. 873. 63 Berselli, E.; 1989, Tre dogmi uguali e indistinti. Autoritarismo, democrazia, partecipazione, «rivista il Mulino», n°6, p. 928-939. 61 151 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica testo l‟autore spiega in nove punti quanto già esplicato nel titolo, nella fase storica in cui stiamo vivendo, però, crediamo le parole che seguono possano risultare quantomeno familiari e perciò le riportiamo. Un ovvio sospetto o vizio di autoritarismo si proietta su quasi tutti i programmi o le ambizioni di costruire impalcature adatte a reggere i pesi squilibrati della società contemporanea. Alle faticose soluzioni dettate dall‟incombere della realtà – con tutto il loro potenziale di impopolarità – il senso comune allenato sul terreno progressista oppone di solito alternative tutte di elevatissimo profilo e di bassissima praticabilità, precostituendo una serie indiscutibile di alibi per l‟immobilismo che ne consegue. Insomma, la formula magica che consente di lasciar marcire i problemi invocando nel contempo ipotesi alternative di profilo siderale funziona a meraviglia. C‟è sempre un Bene Supremo largamente condiviso che permette di guardare con sufficienza il Male Minore. E poiché ogni decisione politica comporta un principio e un processo di divisione che la mentalità pop stenta ad accettare, il prepotente richiamo al confronto unanimistico riesce quasi sempre a imporre le proprie ragioni. Se non ci fossero alle spalle accertate ragioni storiche e politiche, sembrerebbe quasi che una specie di base costruttiva, addirittura antropologica, impedisca agli italiani di assimilare la logica del conflitto regolamentato di interessi (e delle relative passioni): al momento opportuno, l‟italiano “democratico” preferisce porsi in 152 Edmondo Berselli e il Mulino attrito rispetto a qualsivoglia programma, riforma, costruzione o ricostruzione di regole64. Nell‟articolo L’estinzione della classe operaia 65, del 1990, Berselli ripropone il medesimo modello già utilizzato nel sesto numero del 1989: scrive, infatti, un articolo suddiviso in punti (in questo caso quattro) all‟interno dei quali spiega, basandosi su salde basi storiche, la tesi presentata nell‟articolo, in questo caso, appunto, l‟estinzione della classe operaia. Va tenuto presente che, proprio in quegli anni si presentò la prima gravissima crisi del settore industriale, mal gestita dai sindacati e dallo stato. Alla fine della sua trattazione Berselli afferma senza essere profeti si può prevedere che nessuno dei problemi che affliggono la classe operaia verrà risolto. E c‟è di peggio: una volta attenuati i clamori, “la condizione operaia” tornerà a essere un tema sepolcrale, che non interessa più nessuno. Eppure, ci sarebbe da dedicare qualche triste pensiero a un paese che tratta male proprio chi da consistenza e pesantezza di realtà al benessere generale. 66 Nel 1991, Berselli scrive un articolo considerato dai più profetico. Si intitola L’ultima recita dei partiti67 ed è 64 Ivi, p. 929. Berselli, E.; 1990, L’estinzione della classe operaia, «rivista il Mulino», n°4, pp. 575-584. 66 Ivi, p. 584. 67 Berselli, E.; 1991, L’ultima recita dei partiti, «rivista il Mulino» n°6, pp. 1031-1044. 65 153 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica apparso nel numero di novembre – dicembre. Dalle pagine de «l‟Espresso», Marco Damiano riporta un brano di questo articolo e afferma «eccolo qui, l‟avvento del berlusconismo preconizzato con lucidità da un analista chiamato Edmondo Berselli. Parole scritte nell‟estate del 1991, all‟indomani del referendum sulla preferenza unica che sembrò aprire una nuova stagione. Berselli aveva appena compiuto quarant‟anni»68. Ed ecco un brano di quel breve saggio, così significativo Le elezioni della primavera prossima [1992] saranno le prime che si svolgeranno senza la condizione base che ha contraddistinto la politica dell‟Italia repubblicana, e cioè la conventio ad excludendum nei riguardi del principale partito di opposizione. […] Si è legittimati a pensare che il gioco al suicidio dei partiti possa proseguire inesorabilmente; ma accettare questa ipotesi comporterebbe accettare l‟ineluttabilità di un cammino di decenza avviato dal Paese, con un inevitabile destino sudamericano, nel cui orizzonte si configurano la perdita progressiva di legittimità, l‟iperinflazione, le aspettative irrazionali che al posto della politica qualcuno, un uomo, un gruppo, sia capace di assumere un ruolo provvidenziale69. 68 Damiano, M.; 2011; Quando Berselli previde B., «l‟Espresso online». 69 Berselli, E.; 1991, L’ultima recita dei partiti, «rivista il Mulino», n°6, p. 1043. 154 Edmondo Berselli e il Mulino Si può forse affermare che dopo la fine della Prima Repubblica, abbiamo assistito all‟avvento di un populismo sudamericano? La situazione politica di quel periodo, assolutamente immobile, si ripercuote negli scritti di Berselli del 1992, che, nel mese successivo alle elezioni di quell‟anno scrive: come ormai si è diffusamente capito, le elezioni del 5-6 aprile non sono mai avvenute. […] Alla fine, il sistema è riuscito nell‟impresa di creare soltanto minoranze, un ventaglio di rappresentanze amorfe. Sarebbe la situazione ideale per chiunque volesse, stregonescamente, evocare dal disordine e dallo sfaldamento lo spirito di un‟iniziativa politica. Ma il caso vuole, si scelga se per disgrazia o per fortuna, che nella classe politica non ci siano più né carismatici né strateghi, né duri decisori né ispirati progettisti della mediazione: sicché quelli che vengono ogni giorno evocati dall‟abisso non spiritelli deboli, a cui si tenta senza troppa convinzione di mettere addosso il lenzuolo dei grandi e vecchi fantasmi della politica70. E sul finale dello stesso articolo, in un paragrafo intitolato Foto di famiglia conclude: quando una classe politica si presenta trascinandosi dietro la montagna indebitata su cui ha costruito il suo effimero consenso, dovrebbe avere almeno la faccia di investire un po‟ di risorse residue come minimo in una finzione di 70 Berselli, E.; 1992, La musica del Quartetto. Il quadripartito al canto del cigno, «rivista il Mulino», n°3, p. 451. 155 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica movimento. […] e invece no: nessuna iniziativa, nessuna mossa. Inamovibile anche se spennacchiata. […] dovrebbe muoversi freneticamente, e invece se ne sta quasi immobile, pensosa, preoccupata dei propri rituali e del loro esoterico significato. […] sembra che non debbano fare nessuno sforzo per ignorare che l‟avvenire è drammaticamente precario, e il loro ruolo in discussione. Fuori dal quadro di famiglia, infatti, la Lega Nord prepara secessioni e successioni, nel senso della sostituzione integrale di segmenti di classe politica 71. Potrebbe, in fin dei conti, essere stato scritto ieri. Ma mano a mano che gli anni passano l‟arte berselliana sia affina. L‟abbiamo già ricordato più e più volte, questo autore non è solo un commentatore politico. Ed è proprio per questo motivo che in saggi come Gruppo di famiglia in televisione, datato 1994, è in grado di rintracciare i mutamenti culturali e di costume che conseguiranno dalle elezioni dello stesso anno e dal ruolo che i mass media acquisiranno sempre più. Può venire il sospetto che nel giudicare il rapporto fra televisione e società possa essere replicata – su un altro piano ma con la medesima intenzione moralistica – l‟idea metafisica della distinzione fra il paese legale e il paese reale, fra la politica e la società: potrebbe delinearsi cioè, anche solo a scopi polemici, la concezione di una televisione “cattiva” capace di esercitare un‟influenza nefasta su una società intimamente “buona”. Si tratta di una riduzione semplicistica che con ogni probabilità non reggerebbe a verifica. È una tesi che nei suoi tratti 71 Ivi, p. 460. 156 Edmondo Berselli e il Mulino essenziali può assumere un suo rilievo strumentale se viene fatta propria da settori limitati, “corporativi”, di opinione pubblica, interessati a promuovere istanze polemiche proprio nei riguardi dei processi di modernizzazione e quindi a eleggere come bersagli polemici i più vistosi idola di una contemporaneità ritenuta nel suo complesso inquietante e stordente procedere della perdita di valori72. Proprio dalle pagine della rivista de “il Mulino”, Berselli conia alcune delle sue più note fulminanti sintesi verbali: l‟Italia come “Repubblica indistinta”, divisa tra il “Forzaleghismo”, il “partito ipotetico” Pd e ancora “paese immaginario” detto anche “Italia imprecisa”. In appendice riporteremo il testo completo di tre degli articoli a nostro parere più significativi apparsi sulla rivista, certi che per comprendere a fondo un autore, sia necessario leggerlo. Essi sono L’ultima recita dei partiti del 1991, La tv, la politica e l’antidoto del mercato datato 2003 e La società del cinquanta per cento del 2008. E se la parola chiave utilizzata da tutti i commentatori degli articoli Berselliani è “profetico”, allora, forse, leggendo si potrebbero disvelare passaggi di un domani più o meno lontano, per chi sia in grado di comprenderli. 3.2.2.2 La direzione della rivista: 2003-2008 Edmondo Berselli è direttore della rivista de “il Mulino” per due mandati dal 2003 al 2008. A metà del 2002, infatti, 72 Berselli, E.; 1994, Gruppo di famiglia in Televisione, «rivista il Mulino», n°4, pp.659-670. 157 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Assemblea dell‟Associazione aveva eletto il Comitato di direzione della rivista per il 2003-2005, comitato composto da: Edmondo Berselli, Paolo Bosi, Marco Cammelli, Alessandro Cavalli e Giovanni Evangelisti, mentre rimane direttore capo Bruno Simili. Nel primo anno di direzione Berselliana «La struttura della rivista fondamentalmente non cambia. Cessa la rubrica “Mappamondo”, ma non per questo cade l‟attenzione portata dalla rivista alla dimensione internazionale»73.Viene dedicata, inoltre, particolare attenzione alle riforme in discussione in quello stesso periodo in Italia. Dal punto di vista redazionale, Simili confessa che «Edmondo era il direttore ideale perché non era per nulla invadente, perché avendo fatto lui stesso questo lavoro sapeva come muoversi e allo stesso tempo se io avevo bisogno lui era sempre presente»74. Sulla formattazione, come racconta Simili, Berselli aveva contribuito in modo molto incisivo nel 1991 in quanto capo redattore e per questo negli anni della sua direzione non vi sono particolari cambiamenti Vice versa, Berselli svolge un ruolo cruciale, dal punto di vista della comunicazione: in quegli anni, infatti, aveva già rapporti consolidati con la stampa e con i giornalisti e riesce a far in modo che la rivista abbia visibilità. Apertura non solo verso i giornali, ma anche verso i giornalisti di qualità, ai quali commissiona diversi pezzi per la rivista. La sua è una vera e propria scelta editoriale, inizialmente non vista di 73 Lovato, G., Traldi, M.E.; 2004, il Mulino 1951-2004, Bologna, il Mulino, p. 248. 74 Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui, p. 215. 158 Edmondo Berselli e il Mulino buon occhio dagli intellettuali che, come abbiamo visto in precedenza, non sempre apprezzano i curricula extra accademici. Ma, come afferma Simili, il Mulino è per sua stessa natura a-conflittuale: è confronto e non scontro. Inoltre Edmondo era riuscito a tenere negli anni buoni rapporti con quasi tutti e quindi poteva e sapeva innanzitutto tirar fuori il meglio dalle persone sia umanamente che professionalmente. E nel momento in cui gli serviva un‟informazione magari per spiegare una cosa in un pezzo, era in grado di andare dalla persona giusta, chiedere nel modo corretto e farsi dire le cose importanti, quelle fondamentali. Ci riusciva perché aveva quel rapporto paritario anche nella sua autorevolezza nel porsi, che gli permetteva di tirar fuori il meglio dai suoi interlocutori75. Sfogliando i numeri della rivista degli anni che hanno visto Berselli alla direzione e confrontandoli con quelli delle direzioni precedenti e successive non possono che saltare all‟occhio due cose: una capacità di innovazione discreta, senza eccessi, un semplice leggero alleggerire, forse dovuto all‟alternarsi di scritture giornalistiche e accademiche, che danno maggior ritmo ai testi e, contemporaneamente, un forte legame contenutistico con il passato, fatto di politica, sociologia, attualità. Volendo riportare alcuni esempi, possiamo constatare come Berselli introduca nel mondo de “il Mulino” molte personalità diversissime tra loro. Si pensi ad esempio 75 Intervista a Bruno Simili, febbraio 2011, Bologna, cit., qui p. 217. 159 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica all‟articolo commissionato nel 2003 ad Aldo Grasso e a quelli che tra il 2004 e il 2008 ha scritto Giancarlo Zizola per la rivista. Aldo Grasso è un giornalista proveniente dalle fila del «Corriere della Sera» che si occupa principalmente di critica televisiva. Solo Berselli avrebbe potuto trovare un modo per mettere a loro agio le argomentazioni di Grasso con quelle degli accademici de “il Mulino” e infatti nel terzo numero del 2003 (quello di maggio-giugno) gli commissiona un articolo dal titolo La politica nel salotto televisivo nel quale il giornalista analizza come i due rami del Parlamento rischino ogni giorno di più di essere “scavalcati” dalle ospitate televisive dei politici di maggioranza e opposizione, sempre più presenti in ogni tipo di trasmissione: dai talk show ai programmi comici. È così che Grasso si interroga su quali siano le conseguenze per la politica e per la percezione dei cittadini, perché «se la politica italiana fosse governabile con un telecomando sarebbe facile compiere l‟operazione, diminuire il volume, cambiare il canale del furore partitico, spegnere le luci. Tenere le mani a posto»76. Nello stesso anno Berselli e Grasso collabora per l‟edizione del volume Piccolo schermo fra cultura e società: i generi, l'industria, il pubblico77 ed è potrebbe essere che proprio da questa collaborazione nasca l‟articolo dell‟esperto televisivo per la rivista. 76 Grasso, A; 2003, La politica nel salotto televisivo, «rivista il Mulino» n.3, pp. 474-480. 77 Grasso, A., Scaglioni, M.; 2003, Piccolo schermo fra cultura e società: i generi, l'industria, il pubblico, Milano, Garzanti. 160 Edmondo Berselli e il Mulino Esempio completamente diverso, ma in verità molto simile, per Giancarlo Zizola, vaticanista di lungo corso per il «Giorno», «Panorama», «il Sole 24 ore» e infine per «la Repubblica». Probabilmente è proprio nella redazione del quotidiano di Confindustria che Berselli incontra l‟esperto di teologia e decide di commissionargli (nei sei anni di mandato come direttore della rivista) ben quattro articoli (uno nel 2004, due nel 2005 e uno nel 2008), tutti riguardanti il rapporto tra stato e chiesa, tra cui anche uno dedicato alla cruciale elezione di papa Ratzinger. Ciò esemplifica perfettamente la linea editoriale per la rivista scelta da Berselli, sobria, ma allo stesso tempo ricca di spunti di riflessione molto diversi tra loro, negli stili e negli argomenti (oltre che nelle argomentazioni). Un melting pot, perché come ha sostenuto lo stesso Berselli in un intervista rilasciata a «la Repubblica» in occasione della sua elezione a direttore il "mio" Mulino avrà un' attenzione speciale alla cultura e alla politica del centro-destra, ma non per compensare inesistenti squilibri passati nell' altra direzione. La verità è che il governo del centro-destra è la vera novità sensibile e di forte portata di questo decennio italiano, ma nessuno finora ha intrapreso un lavoro intellettuale di analisi, di smontaggio profondo della cultura che sta alla base di questo fenomeno molto complesso, nebulosa unificata solo da Berlusconi. Ecco, mi piacerebbe che tutti gli intellettuali che fanno riferimento al Mulino, di qualsiasi tendenza, si dedicassero un po' a questo […]. Lavoreremo nel nostro stile, che è studiare le cose prima che le ideologie. A tutto campo: non ci dedicheremo solo a un settore del quadro. Per esempio mi sembra necessario lavorare ancora sul filone centrale, storico della rivista, che è il rapporto fra cattolicità e laicità in Italia, e che è ancora uno dei fattori 161 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica centrali che influenzano le scelte politiche di fondo. Insomma, In un periodo in cui sembra prevalere la politique politicienne, la tattica sulla strategia, la manovra sul contenuto, in cui il conflitto politico contingente rischia di oscurare le ragioni di fondo, studieremo la politica e la società sotto la luce più neutra, ma anche la più accurata possibile. Possibilmente, non 78 solo per le élite intellettuali . Sforgliare un numero dell‟epoca Berselli e uno della nuova era Ignazi è ulteriormente formativo: il “nuovo Mulino” è caratterizzato da articoli brevi, spesso di autori pressoché sconosciuti, compaiono vignette per spiegare la storia e vengono lasciate da parte firme e argomenti storici per la rivista. Un cambiamento davvero forte. Berselli ha saputo innovare senza eccedere, lui che con il tempo (quello della musica) e gli equilibri estremi (quelli della vita) ci sapeva fare. 78 Smargiassi, M.; 2003, Il Mulino adesso studierà le radici del centrodestra, «la Repubblica-Bologna», 20 Febbraio, p. 5. 162 Le postfazioni: meta progetti editoriali Capitolo IV – Le postfazioni: metaprogetti editoriali Nella struttura dei libri di Berselli, che pure esplorano con estrema disinvoltura gli argomenti più disparati e contaminati, è presente un motivo ricorrente, un punto di riferimento stabile. Si tratta di un ultimo capitolo, che potrebbe apparire come una postfazione, che spesso Berselli, nel suo linguaggio nuovo e ironico, battezza come “Backstage”. Il termine è preso in prestito dal mondo dello spettacolo e in inglese sta a significare “dietro le quinte”. Ha a che fare, quindi, con la scena, con il teatro e la finzione. È come se con questa metafora Berselli ci volesse portare a spiare nel retroscena dei suoi libri, per farci capire cosa sta dietro a ciò che appare. Una volta finito il lavoro di stesura pare che Berselli voglia prendere le distanze da sé come autore, o meglio dalla sua opera, e leggersi con altri occhi. Una sorta di individuazione delle fonti, ma compiuta in modo colloquiale. Vuole spiegare al lettore perché ha scritto una cosa piuttosto che un‟altra, da dove viene quell‟aneddoto, quella storia, ma lo fa con acume e leggerezza. Ciò consente di comprendere, forse più di un trattato teorico, quello che sta dietro, sotto, intorno al testo berselliano. Questo percorso inizia nel 2004, quando, una volta scritto Quel gran pezzo dell’Emilia, l‟autore decide di “pagare i debiti” ovvero di aggiungere un capitolo, per ringraziare e 163 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica citare in modo esauriente tutti quelli che hanno fornito spunti per il suo scritto. Nel 2006, poi, con la riedizione de Il più mancino dei tiri da parte di Mondadori (già pubblicato nel 1995 da il Mulino), Berselli decide di scrivere una “post fazione qualche anno dopo” nella quale racconta i risvolti della prima stesura del medesimo saggio. Tale diventerà, da questo momento, un vero e proprio metodo per l‟autore. A tal proposito, scrive Filippo Ceccarelli nelle pagine di «la Repubblica»: divertenti da rileggere sono le note, veri e propri backstage e insieme porte attraverso cui accedere all´interno di stanze per lo più inesplorate; e con lo stesso stato d´animo, ma con un tocco di nostalgia supplementare, ci si sofferma sui ringraziamenti dai quali viene fuori l´efficacia dell´officina berselliana, quel complesso e amichevole sistema di relazioni e illuminazioni, consulenze, chiacchiere, telefonate notturne, e riletture, dubbi, cortocircuiti, ripensamenti 1. 4.1 Metaprogetti o postfazioni La locuzione “metaprogetto” viene dall‟architettura. Si utilizza in progettazione per definire un‟attività, che ha nature disciplinarmente diverse, e che ha come obiettivo 1 Ceccarelli, F.; 2011, L'Italia vista da Berselli quello sguardo unico tra ironia e profondità, «la Repubblica», 1 aprile, p.47. 164 Le postfazioni: meta progetti editoriali l‟indirizzo strategico del processo di transizione tra il momento di istruttoria del progetto, quindi la raccolta dei dati e la loro analisi, e quello di formalizzazione e sintesi. Nel metaprogetto si possono riconoscere due fasi minori: quella analitica e quella concettuale. La prima, quella analitica, si caratterizza per lo studio e la ricerca di ciò che circonda il progetto in senso sociale, fisico e temporale. E quindi, nel caso di un libro, l‟operazione non si limiterà all‟analisi del contesto nel quale si svolge una vicenda, ma anche alle situazioni sociali, come usi, costumi, tradizioni, e al target al quale rivolgersi. Se poi volessimo allargarci sino al prodotto vero e proprio, quale libro “supporto”, la fase analitica deve occuparsi dei materiali, dei colori, delle lavorazioni produttive dei materiali stessi o le lavorazioni sulle superfici. Si analizzano l'ergonomia e le capacità sensoriali che l'oggetto riesce a trasmettere grazie proprio alle scelte fatte dal progettista. Inoltre si fa una ricerca storica sulla stessa tipologia di oggetti creati in passato, per evitare imitazioni, errori, o prendere ispirazione. Nella seconda fase, invece, quella concettuale, si mette in pratica tutto ciò che si è analizzato in fase analitica. L‟obiettivo è creare un prodotto quanto più vicino possibile agli obiettivi che erano stati prefissati. È indubbiamente la fase più complessa che deve, infatti, tener conto di una serie di vincoli. Sin qui in generale. La fase analitica, in editoria, si definisce progetto editoriale. Scopo principale del progetto editoriale è quello di valutare e definire sino al dettaglio le condizioni di fattibilità di un 165 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica dato prodotto editoriale. Una volta realizzato il progetto editoriale, si entrerà nella fase concettuale, ovvero nel vero e proprio ciclo produttivo che comprende la stesura del testo, la sua elaborazione, la successiva revisione, la cura di eventuali immagini, la progettazione grafica, sino ad arrivare alla bozza di stampa, la fotocomposizione e, infine alla stampa. Si sarà intuito che, in questo caso, a noi interessa più la prima fase. Berselli, infatti, con le sue postfazioni, ripercorre con estrema precisione, cura e profondità di pensiero i passaggi della fase analitica, e lo fa alla fine del processo di stesura. Se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci verrà naturale ragionare sul fatto che è usuale che introduzioni e postfazioni non vengano scritte dall‟autore stesso del testo, ma da altri, i quali, con occhio esterno, creano una vera e propria critica di quanto riportato nel testo, seguendone passo passo i ragionamenti. Nei testi berselliani non è propriamente così. L‟autore utilizza questi spazi finali, questo ultimo capitolo, per raccontare ciò che sta dietro a quello che è stato esposto. È un po‟ come se scoprisse le carte, se volesse dirci che questo libro è, seppur in forma di racconto, un saggio e, per questo, necessita di una serie di specificazioni per sottolineare cosa è verità e cosa invece è fantasia. E a riprova della forma “saggio” dei suoi scritti, Berselli aggiunge nelle ultime pagine l‟indice dei nomi, dettaglio assolutamente sconosciuto in un romanzo, ma elemento di primo piano nella forma saggistica. 166 Le postfazioni: meta progetti editoriali Nel domandarci del perché scelga di aggiungere questi elementi, viene spontaneo pensare alla sua storia professionale trascorsa nelle redazioni e iniziata come correttore di bozze. Berselli lo ripete spessissimo: queste sono le sue origini professionali e probabilmente per questo motivo il suo rigore è quasi dovuto. Nella fase di editing di un testo, l‟editor è tenuto a verificare tutte le fonti, tutti i dettagli, note, citazioni, eventi. Berselli sembra voglia impersonare il ruolo di editor anche per le sue opere, dichiarando esplicitamente le fasi del processo. Ci ricorda Simili, nell‟intervista riportata in appendice, che Berselli era ordinatissimo, teneva tutto e ci teneva che quanto scriveva fosse sempre preciso. Non lasciava mai nulla al caso, non si sarebbe mai permesso di firmare un saggio o anche solo un articolo, tra le centinaia che ha scritto, senza verificare ogni singola fonte, ogni dettaglio. Questo nonostante la sua proverbiale ferrea memoria. Ci domandiamo se questi backstage, in realtà, non siano delle note, note che l‟autore utilizza per specificare quanto scritto nel testo. In effetti nei testi analizzati non compaiono note a piè di pagina, sembrerebbe quasi per non disturbare o interrompere la storia. Sono, invece, note finali, dettagliate e articolate, con una ricerca a volte ossessiva delle fonti e completate da minuziosi indici dei nomi; sono arricchite di collegamenti e connessioni; sono discorsi organici che circostanziano e motivano le vicende narrate nei capitoli precedenti. 167 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica 4.1.1 Le citazioni Nei backstge Berselli riprende la cura delle descrizioni che si susseguono nei capitoli, aggiunge particolari, riporta voci di altri, a corroborare o a smentire le sue tesi. Capitolo per capitolo, si snodano i riferimenti. Le prove sono i reperti, come l‟ex voto a Campogalliano nel Santuario della Beata Vergine a Sassola, testimonianza dell‟incidente della madre investita da una Fiat 2; sono i riferimenti bibliografici: «il racconto del duello automobilistico tra Mussolini ed Enzo Ferrari si trova nel volume di Leo Turrini, sassolese come il poeta Emilio Rentocchini, Enzo Ferrari, un eroe italiano»3; sono le testimonianze: «la storia di Luigi Barzini junior e senior l‟ho sentita raccontare da Indro Montanelli in un ristorante – pizzeria di Via san Pietro all‟Orto a Milano»4. Sono note spesso narrate, con quel gusto del racconto che contraddistingue l'autore. Queste note diventano anche citazioni in forma di aneddoto, che aiutano ad immergersi nei luoghi di vita. A volte sono ritratti vivaci, con un'analisi psicologica profonda, pungente e venata di ironia: l‟Oriana, la giovane partigiana, la cronista ventre a terra, l‟intervistatrice che crocifigge gli intervistati da Kissinger 2 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 638. 3 Ibidem. 4 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., p. 842. 168 Le postfazioni: meta progetti editoriali a Khomeini e Gheddafi, la madre mancata della lettera al bambino mai nato, la sposa nubile dell‟amore disperato con Alekos Panagulis, la cacciatrice di scoop sull‟assassinio di Pasolini, il grande inviato che si ammala di cancro durante la prima campagna irachena e attribuisce la malattia alla grande nuvola malefica del petrolio bruciato, la miliziana che combatte dal suo appartamento a New York contro il fondamentalismo islamico, senza mai dimenticare di citare il babbo o la mamma, o di rivolgersi al trono e all‟altare, ai re e ai papi, se è il caso5. Altre volte hanno un sapore cultural-gastronomico: lo sfacciato couplet di Bacchelli sulle ostriche […] me l‟ha raccontato proprio il testimone Nicola Matteucci: naturalmente a pranzo chez Leonida in Via Alemagna, nel centro di Bologna a un passo dalle due torri6. Sono anche suggestioni olfattive, richiamo che consente al lettore (come le madeleines di Proust) di sentirsi dentro le situazioni: che dal casello di Modena nord o di Carpi si riesca davvero a sentire l‟odore del Mare del Nord non lo so. Ma l‟invenzione di Pier Vittorio Tondelli mi è sempre sembrata irresistibile. Apre una visione d‟Europa. Un senso sulle cose. Ci fa sentire dentro uno spazio fisico. Fa venire voglia di uscire dall‟auto e restare lì con il naso per aria, e verificare se quella sera è la sera giusta. Di sperare 5 6 Ivi, p. 845. Ivi, p. 841. 169 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica che sia la sera in cui il Mare del Nord viene a farsi sentire7. 4.1.2 Il contesto L‟attenzione agli ambienti, l‟approfondimento sul prima e il dopo delle vicende sono un segno della grande importanza che Berselli attribuisce al contesto. Come ribadisce Filippo Ceccarelli dalle pagine di «Repubblica», «Tutto è stato Berselli fuorché un solitario, e infatti non c´è libro che si possa togliere da una dimensione collettiva, a volte perfino corale»8. Nelle citazioni ritroviamo spesso riferimenti ai gruppi di lavoro, o a vivaci relazioni, a volte anche virtuali, con colleghi, amici, artisti, o ad incontri al ristorante; difficilmente si rifanno ad indagini solitarie. Berselli è un uomo profondamente legato alla sua città, al suo paese, alle radici, all‟ambiente di lavoro, a tutto ciò che è relazione. Lo vediamo tessere reti, orientarsi perfettamente nei labirinti della comunicazione, comprendere in modo quasi intuitivo le gerarchie e le connessioni. Relazioni che diventano ancor più ampie se parliamo dell‟ambito culturale. È una cultura intesa a 360 gradi; da Mariolino Corso, calciatore, a Vilfredo Pareto, economista, dall'Equipe 84, band anglo-emiliana, a Bauman, sociologo: 7 Berselli, E.; 2009, Liù. Biografia morale di un cane, cit., p. 1332. Ceccarelli, F.; 2011, L'Italia vista da Berselli quello sguardo unico tra ironia e profondità, «la Repubblica», 1 aprile, p. 47. 8 170 Le postfazioni: meta progetti editoriali le canzoni, il calcio, la televisione, quello che oggi si chiama genericamente "pop", erano per Edmondo materia di incessante curiosità, di partecipazione emotiva e razionale. Un intellettuale rigoroso che non diminuisce il suo calibro culturale solo perché la materia è vile e allegra, e parla di Mariolino Corso e di Pareto, dell‟Equipe 84 e di Bauman, con lo stesso rispetto per i materiali della vita: questo era Edmondo Berselli, una smentita vivente della maniera appartata e schizzinosa con la quale il colto rischia sempre di guardare al "volgare"9. Dai backstage emerge in modo ancora più nitido la qualità di queste relazioni, tutt‟altro che monocordi, gestite con grande sensibilità ma anche con «una diffidenza radicata verso l'eccesso di pathos, i sentimenti incontrollati» 10. Si possono cogliere queste sfumature semplicemente scorrendo in una pagina di backstage, per esempio di Venerati maestri11, gli attributi riferiti ai personaggi che si susseguono:«l‟immarcescibile» Montanelli, «l‟ineccepibile» Sergio Romano, «il diabolico» professor Giovanni Sartori. Un sano distacco gli consente di guardare le vicende con equilibrio e di esercitare il giudizio con grande libertà di pensiero, senza timori reverenziali. Non esita pertanto a definire l‟avversario Montanelli «un maestro di libertà e di 9 Serra, M.; 2010, L'intellettuale ironico che raccontava il pop, «repubblica.it», 12 aprile. 10 Ibidem. 11 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., p. 843. 171 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica indipendenza»12 e a considerare Alberto Arbasino, suo vero maestro, «il maggior scrittore italiano»13, ma qui sconcerto e ammirazione, stupore e incantamento facevano grumo e lasciavano interdetti, e per l‟appunto invidiosi: di quella invidia “bianca”, d‟accordo, non di quella “nera”, gretta e malata che stinge nell‟ arbitrabile malinconia 14. 4.1.3 Il processo Nei backstage Berselli, focalizza, più che gli oggetti e i progetti, i processi e le relazioni rispetto alle quali i fatti raccontati divengono delle conseguenze. Si concentra sul “ come” piuttosto che sul “cosa” e spiega, spesso con una logica rigorosa, i passaggi che hanno portato a una affermazione. È questo il vero obiettivo dei backstage. E in Liù, si esce finalmente allo scoperto: il titolo del backstage, ultimo capitolo del suo ultimo libro, è Epilogo dell’epilogo – Un discorso sul metodo. L‟epilogo è dunque il metodo, con un chiaro rimando a Cartesio. Il metodo quindi è la chiave d‟interpretazione, l‟intelaiatura nascosta che sorregge e valida i contenuti del pensiero. Non è un caso che l'autore si preoccupi sempre, a volte in modo quasi maniacale, di dimostrare la verità, o la verosimiglianza delle sue affermazioni, come vedremo più avanti. E questi 12 Ibidem. Ivi, p. 841. 14 Ivi, p. 841. 13 172 Le postfazioni: meta progetti editoriali “discorsi sul metodo”, reiterati anno dopo anno in ogni volume che usciva, riportano ad alcuni punti: una volta, da hegeliano, credevo solo nelle astrazioni: tesi, antitesi, sintesi, struttura, sovrastruttura; paradigma, sintagma; comunità, società; secolarizzazione, burocratizzazione […]. Adesso credo solo negli episodi, anzi più precisamente negli aneddoti15. oppure: «Non mi piacciono gli indiscutibili» 16. 4.1.4 Vero, autentico, verosimile In Il più mancino dei tiri, la sfida «di scrivere un libro tutto a memoria»17 ha per Berselli una complessità non evidente e che esplicita solo nel backstage. Essa comporta, infatti per lui, l‟apertura di almeno tre fronti: una prova per la memoria, un‟avventura per la creatività artistica, un dilemma di carattere epistemologico. In particolare è su quest‟ultimo punto, che la maggior parte degli autori avrebbe ignorato o liquidato sulla base di una scelta artistica, che il rigore scientifico e lo spessore culturale lo obbligano a scomodare tutti i più importanti epistemologi, a partire da Galileo Galilei, sino ai filosofi del Novecento. Lo inquieta, in particolare, la propria trasgressione, che se dal punto di vista artistico è un valore, 15 Berselli, E.; 2007, Il più mancino dei tiri, cit., p. 89. Ibidem. 17 Ivi, p. 90. 16 173 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica come licenza a lasciar correre la scrittura sul confine della memoria e della fantasia, dal punto di vista del rigore metodologico «scrivere senza verificare nulla per un impegno preciso assunto con me stesso»18 gli crea un senso di colpa: «Di questo criterio (principio di non verifica) comprendo la sostanziale assurdità. L‟arbitrio, la gratuità, la vanità»19. Ed ecco quindi che inizia un‟indagine puntigliosa, uno scavare, quasi da psicoterapia, sul perché di questa scelta e ritrovarsi finalmente nelle epistemologie più recenti sulla costruzione delle teorie scientifiche, dal principio di falsificazione di Popper, ai paradigmi di Kuhn, alla critica alla condizione di coerenza di Feyerabend: ho letto Imre Lakatos (o era Paul Feyerabend, controllate voi), il quale sosteneva una scienza anarchica che assomigliava moltissimo nei suoi criteri epistemologici di base e nel metodo al Tiro mancino. Legge fondamentale della scienza: si procede alla carlona, si formulano teorie qualsiasi, poi agisce una selezione darwiniana, qualcuno mette un imprimatur sulla teoria meno improbabile e si forma una scuola 20. O nelle origini e negli epigoni della nostra civiltà: «invece […] Piero Capelli ha paragonato Il più mancino dei tiri, nel metodo e nel sistema, al Talmud e a internet»21. 18 Ibidem. Ibidem. 20 Ibidem. 21 Ibidem. 19 174 Le postfazioni: meta progetti editoriali E a questo livello è irrilevante che si parli di calcio o dei massimi sistemi, tantochè Heriberto Herrera è consapevolmente posto a fianco di Hegel, Marx, Saussure, Tonnies e Weber. Al di là dell‟esperimento dello scrivere a memoria di Il più mancino dei tiri, per Berselli il validare ogni affermazione, il corroborare i dati con una puntuale citazione delle fonti è un abito mentale prima ancora che professionale. Che diviene a volte una vera e propria ossessione per il vero. Di qui l‟urgenza di precisare sempre, per esempio: «nel primo capitolo di questo libro, la storia [...] è rigorosamente autentica, tranne che nei particolari di contorno e di colore , che sono soltanto verosimili»22. E ancora: il racconto di alcune modeste epopee di viaggio in treno o in autobus dal Trentino alla provincia modenese è la ricostruzione, non infedele, del viaggio annuale che ci portava a passare le vacanze estive a casa della nonna materna Augusta, a Campogalliano23. Oppure: «Non sono così sicuro che l'edificio sia ad ovest, e che quindi il sole tramontasse proprio dietro quel tetto»24. 22 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p.635. 23 Berselli, E.; 2007, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del Sessantotto, cit., p.996. 24 Ivi, p.997. 175 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica 4.2 A uno a uno, i backstage Ci apprestiamo ora ad analizzare una ad una queste postfazioni per entrare nello specifico di ciascuna, sottolineando come anche le modalità di scrittura siano mutate nel corso del tempo. I saggi di Berselli vengono scritti nell‟arco di quindici anni. Innanzi tutto, gli unici testi berselliani a non avere né introduzione né “backstage” sono Post-italiani. Cronache di un paese provvisorio, datato 2003 e L’economia giusta del 2010. Quest‟ultimo, come già affermato, è un vero e proprio saggio sull‟economia e si concede solo tre pagine iniziali per un “Esergo” che prende le mosse da Marx e Leone XIII per spiegare come si sia arrivati all‟attuale crisi economica mondiale. Nel tentativo di dare un ordine, prendiamo come anno base per lo studio dei Backstage berselliani il 2003. In questo anno, infatti, viene pubblicato nella collana “Frecce” di Mondadori il già citato Post-italiani, privo di qualsiasi pre o post fazione. Nel 2004, vede la luce, all‟interno della collana “Saggi” della Mondadori stessa, Quel gran pezzo dell’Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, il quale contiene sia una introduzione che un backstage. Due anni dopo, nel 2006, assistiamo alla ripubblicazione da parte di Mondadori (collana “Piccola biblioteca Oscar”) de Il più mancino dei tiri, libro edito nel 1995 da il Mulino, ora arricchito con una “Postfazione”. 176 Le postfazioni: meta progetti editoriali Nello stesso anno, inoltre, esce l‟inedito Venerati Maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia, anch‟esso incluso nella collana “Saggi” della casa editrice milanese e che si conclude con un ricco Backstage. Doppia pubblicazione anche nel 2007: con il Mulino viene rivisitato Canzoni. Storia dell’Italia leggera, in origine contenente solo una prefazione e poi arricchito con “Postfazione”, mentre con Mondadori, ancora una volta nella collana “Saggi”, Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del Sessantotto, che si apre con un prologo e si chiude con l‟ormai classico backstage. Nel 2008 è nelle librerie per i “Saggi” Mondadori, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica, con postfazione finale. Infine, l‟anno successivo, esce Liù. Biografia morale di un cane, stessa collana, stessa casa editrice, arricchito da un piccolo prologo e da un ricco backstage. Nell‟analisi non procederemo quindi seguendo l‟ordine di uscita dei libri, quanto dei prologhi e postfazioni. Ciò comporterà che i due libri editi dal Mulino negli anni novanta verranno analizzati nelle loro nuove versioni, stampate, come abbiamo visto, nella seconda metà degli anni duemila. Pensando al primo libro che stiamo andando ad analizzare, Quel gran pezzo dell’Emilia, viene spontaneo pensare a Guccini. Per i due - Berselli e Guccini – stessi luoghi, stesso periodo, stesse frequentazioni, e un‟affinità nella sensibilità e nel gusto. Anche in Guccini ritornano le epopee emiliane che sembrano essere leggende, ma che in fondo sono realtà. 177 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Per esempio, nel testo che accompagna l'album «Fra la via Emila e il West», ecco cosa scrive il cantautore: la via Emilia tagliava Modena in due; la strada dove abitavo, da una parte, si incrociava con essa. Dall'altra parte c'erano già gli ampi campi della periferia. Erano un po' il nostro "West" domestico: bastava fare due passi, o attraversare una strada, e c'erano già indiani e cow-boys, cavalli e frecce; c'era, insomma, l'Avventura, tradotta in "padano" dai film e dai fumetti. Poi la via Emilia continuò a tagliare Modena in due, ma il West aveva volto diverso, e il "mito americano", quello di tante generazioni oltre alla mia, parlava lingua diversa, quella del rock, delle copertine dei dischi, della faccia di James Dean in Gioventù bruciata, dei libri che altri appena prima di noi avevano scoperto e voltato in italiano. Ma i due riferimenti esistevano sempre, un piede di qua e uno di là, il sogno (meglio, l'utopia) e la realtà 25. Nell‟introduzione Berselli ci spiega come, nonostante non vi siano stati personaggi del cinema o della storia che hanno impersonato in tutto e per tutto l‟identità emiliana, essa esista e provenga da radici solide, accostabili più a questioni politiche e anticlericali, pragmatiche e non filosofiche, che a confini geografici, spesso labili (perché Mantova è più emiliana di Piacenza e Pesaro è romagnola almeno quanto Riccione). La sezione finale del libro si intitola “A ciascuno il suo (ovvero un backstage)” e analizza uno a uno tutti i capitoli del libro. Riferisce da dove provengono gli aneddoti, che 25 Guccini, F.; 1984, Fra la via Emilia e il west, EMI. 178 Le postfazioni: meta progetti editoriali cosa è rintracciabile su altri testi, dove e cosa invece è stato “colorito” dall‟autore e perché. Ne riportiamo alcuni brani per dare un‟idea: nel primo capitolo di questo libro, la storia di Palmiro Togliatti che viene a Reggio Emilia e del suo discorso Ceti medi ed Emilia rossa è rigorosamente autentica, tranne che nei particolari di contorno e ci colore, che sono soltanto verosimili, come capisce qualsiasi persona di normale intelligenza. Una ricostruzione recente di questa vicenda, senza fare troppa fatica in archivi e biblioteche, si può trovare nel dibattuto volume di Giampaolo Pansa Il sangue dei vinti, pubblicato da Sperling & Kupfer nel 200326. È proprio in queste pagine che si esplicita la tesi del libro: l‟ipotesi, centrale in queste pagine e in tutto il libro, che a Modena, Reggio e sostanzialmente nell‟Emilia rossa nessuno faceva politica perché c‟erano già i comunisti a farla e l‟ha suggerita Giulio Santagata, aiutante di campo di “Romano” e fratello del petrarchista Marco; al Santagata politico si deve anche la ricostruzione della vicenda di Punto Radio e degli esordi di Vasco Rossi. […] Il libro di Marco Santagata Papà non era comunista è un piccolo e bellissimo romanzo autobiografico (Guanda, 1996), che in certe parti può ricordare Luigi Meneghello (soprattutto Libera nos a Malo) e fa comprendere molte vicende politiche emiliane, il ruolo 26 Berselli, E.; 2004, Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, cit., p. 655. 179 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica della Democrazia cristiana e dei democristiani di sinistra, il rapporto competitivo con il PCI27. Per finire con: nel sesto ed ultimo capitolo di questo libro, il brano di Ugo Cornia sul fatto che stare a Parigi è come stare a Modena e quindi non vale la pena di andarci è tratto dal suo romanzo Roma, pubblicato da Sellerio nel 2004. Le notizie riguardanti Umberto Bossi sono riprese da Gian Antonio Stella, Tribù (Mondadori, 2001). Naturalmente il Bersani che chiude il libro è un personaggio virtuale, e le sue opinioni non impegnano né i Democratici di sinistra né le Feste dell‟Unità 28. La particolarità di questo Backstage è che non assomiglia a note a fine capitolo o a postfazioni rigorose. Mantiene il ritmo del libro e ne fa parte in tutto e per tutto. Nella lettura sembra quasi che l‟autore voglia fare una carrellata dei vari capitoli e che, sia per onor di cronaca, ma soprattutto per piacere personale, voglia riprendere uno a uno i passaggi ispirati da altri e restituire al lettore la possibilità di andarne a cercare i dettagli. Sembrano in un certo qual modo consigli spassionati, suggerimenti da amico a amico su cosa leggere, vedere, chi seguire. Ed è solo un dettaglio, una presa in giro la frase con cui conclude il suo primo backstage: «e con questo i debiti sono pagati, i creditori 27 28 Ivi, p.659. Ivi, p.660. 180 Le postfazioni: meta progetti editoriali dovrebbero essere soddisfatti, e quindi finisce anche il backstage»29. Non ci sono debitori o creditori, ma solo la voglia di questo autore di rendere giustizia, con scanzonata puntigliosità, a quanto scritto e a chi lo ha ispirato, quasi come se non fosse merito suo, quasi come se l‟autore avesse solo raccolto dettagli per poi metterli insieme, in puro stile Mulino. Il più mancino dei tiri, come già affermato, vede la sua prima pubblicazione nel 1995. Come già detto, ha una particolarità: l‟autore, nonostante il suo amore per la precisione e per i dettagli, scommette con se stesso di poter scrivere un intero libro a memoria, senza controllare nulla. E non è certo un “peccato di gioventù”, l‟autore a quel tempo ha già quarantaquattro anni. Undici anni dopo, nel 2006, complice una ripubblicazione, Berselli decide di aggiungere al libro una postfazione, intitolata “Voci di spogliatoio. Un backstage qualche anno dopo”, nella quale, innanzitutto, si chiariscono ragioni e dubbi di una stampa e una ristampa: nel giugno del 1995, allorché venne pubblicato Il più mancino dei tiri (alias, per brevità, Tiro mancino), la collana “Contrappunti” del Mulino elencava i seguenti autori: Achille Campanile, Giorgio Celli, Carlo M. Cipolla, Masolino D‟Amico, Giampaolo Dossena, Augusto Frassineti, Mino Maccari, Fabio Mauri, Beniamino Placido, Giuseppe Pontiggia, Dante Zanetti. Una sottile inquietudine, al momento dell‟uscita in 29 Ibidem 181 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica libreria, mi suggeriva il pensiero noioso che forse il libro poteva essere il colpo di grazia alle fortune declinanti di quella piccola ed elegante collezione. Adesso nel 2006, per la gentile insistenza di Gian Arturo Ferrari, viene ripubblicato, ma intatto, senza correggere nemmeno gli errori involontari che mi sono stati segnalati […]. Il Tiro mancino è un manufatto d‟altra epoca. Alterarlo con modifiche testuali e il senno di poi sarebbe una scorrettezza ai danni dei lettori di allora e di oggi30. E prosegue: si dovrebbe sentire subito che il Tiro mancino nasce in un ambiente editoriale: infatti dà conto delle fisime principali che assillano le case editrici. Il mercato, il pubblico, la “tesi”, l‟identità delle collane, il disgusto per i libri sintetizzato nell‟aforisma corporativo: “L‟editoria è come la merda: si fa ma non si guarda” […] Ho avuto anche un editor, come no. Il testo è stato letto, riletto, scrutato, rivoltato di sotto e di sopra da Giuseppe Ulianich. Un lettore meticoloso che ha individuato tutti, diconsi tutti, ma proprio tutti, i passaggi che non mi convincevano e che non avevo migliorato perché i libri bisogna pur dichiararli finiti e mandarli in tipografia […]. La sfida […] consisteva nello scrivere un libro tutto a memoria. Per capriccio, per segnalare un indirizzo o un uzzolo psicologico irresistibile. Vale a dire una concessione deliberata al caso nel momento in cui sopraggiunta la maturità, avevo 44 anni, richiederebbe una dose in più di prudente razionalità31. 30 31 Berselli, E.; 2007, Il più mancino dei tiri, cit., p.87. Ivi, p.89. 182 Le postfazioni: meta progetti editoriali Insomma, questo backstage è un po‟ diverso dagli altri. Non motiva quello che è scritto nel libro, ma racconta cosa è accaduto durante e dopo la sua stesura, non rinunciando mai ai suoi amati aneddoti, come quello che segue. Al Tiro mancino venne assegnato il Premio satira politica di Forte dei Marmi per la saggistica. Era un bel sabato di metà settembre del 1995. Alla Capannina di Franceschi durante la “Conferensia estampa” della mattina (presidente della giuria Pasquale Chessa, fra i premiati Oreste del Buono, Milo Manara, Daniele Luttazzi), si alza un tale che con fortissimo accento sardo, e dall‟altro –si fa per dire- di un perfetto physique du role isolano comincia a vociare che è contrariatissimo all‟assegnazione del premio al mio libro, “perché non si parla mai di Gigirriva”, mentre altri due gli tengono bordone e fanno ampi cenni di sì con la testa. Al che io mi profondo in spiegazioni, dicendo che invece, come no, di Rombo di Tuono si parla moltissimo, e quasi mi indigno guardandomi attorno sbalordito per questo attacco presuntuoso e infondato, quando qualcuno mi tira per la manica e mi dice sottovoce: “Guarda che quei tre sono Aldo, Giovanni e Giacomo”. Erano anche loro fra i premiati, ma non li avevo riconosciuti. Ghignate generali32. Nello stesso anno, come detto sopra, vede la luce anche Venerati Maestri. 32 Ivi, p.94. 183 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Sul finire di questo libro troviamo un backstage intitolato “Personaggi, interpreti, retroscena e fraintendimenti”. È di notevole lunghezza: ben dieci pagine. Ma una tale dimensione è ben giustificata; si ricorderà che il sottotitolo di Venerati Maestri è Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia; sulle vicende di tali personaggi, raccontate nel dipanarsi dei capitoli, l‟autore dà conto nel backstage attraverso chiarimenti ed aneddoti. E infatti sin dalle prime battute di quest‟ultimo capitolo afferma: dovrebbe essere chiaro, ma lo metto per iscritto perché non si sa mai, che i personaggi di questo libro non sono che una trasposizione simbolica delle loro figure reali. Quindi episodi e giudizi contengono quel tanto di precarietà essenziale e critica che deriva dall‟imprecisione dei profili. Tanto per dire una sciocchezza con sussiego retorico, le pagine precedenti parlano di un mondo parallelo, abitato da personaggi che assomigliano a Alberto Arbasino, Claudio Magris, Nanni Moretti, Roberto Benigni, e hanno scritto libri e girato film che assomigliano a quelli da loro scritti e diretti 33. E prosegue, smentendo o confermando quanto raccontato nel testo, sulla base di precisi riferimenti, riprendendo uno a uno i personaggi, in un fluire costante di nomi, titoli e citazioni che reggono il libro in modo magistrale. La particolarità maggiore sta forse nel finale di questa 33 Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., p. 838. 184 Le postfazioni: meta progetti editoriali postfazione: poche righe in cui, una volta tanto, l‟autore disvela se stesso: per finire: non ci sono ringraziamenti ufficiali, questa volta, perché questo libro è frutto di decenni di chiacchiere con i miei amici. Che sono quelli che ho già ringraziato nei miei libri precedenti, che ringrazio qui ancora, tutti, insieme a quelli che nel frattempo si sono aggiunti. Ho cinquantacinque anni, una moglie eterna ragazza, un cane femmina dal nome turandottiano di Liù. Nella sua autobiografia, Ralf Dahrendorf confessa che si guarda allo specchio e di vede sempre come un adulto di ventisette anni. Io mi guardo meno che posso, cercando di non smentire la sensazione di essere ancora un ventenne. Sarà per il perdurare psicologico dell‟età irresponsabile che queste pagine sono state scritte con un certo gusto, un po‟ di divertimento. Avevo cominciato, per la verità, con l‟intenzione di andarci pesante. Mi sono accorto però che via via che passa il tempo, nonostante i miei vent‟anni virtuali, divento più insofferente verso le opere ma assai più tollerante verso gli autori. La mia fiducia nel genere umano e nell‟intelligenza collettiva e individuale del piccolo paese in cui abitiamo mi induce alla speranza che i personaggi verosimili o falsificati di cui ho parlato nelle pagine precedenti non si sentano offesi dal modo in cui li ho trattati. Sarebbe inutile. Come ho cercato di dire, è soltanto un cabaret. 34 Dopo Venerati Maestri, ecco la riedizione di Canzoni, con la sua “Postfazione - qualche anno dopo: piangi con me”. 34 Ivi, pp. 846- 847. 185 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Anche in questo caso Berselli, oltre alle note che motivano le origini, le fonti e le circostanze di alcune vicende scritte nel libro, racconta quel che è accaduto dopo la sua pubblicazione. E dato che il saggio è nato, a dir dell‟autore, grazie all‟ascolto di una vecchia canzone di Guccini passata per caso per radio, le prime quattro pagine di questa postfazione sono dedicate al cantautore bolognese, «deposito vivente di cultura, tanto che bisognerebbe metterlo dentro una teca e conservarlo come monumento nazionale e reliquia antropologica meglio degli indios dell‟Amazzonia»35. E via così, raccontando per esempio delle vecchie e nuove opinioni su Celentano che vende miliardi di copie con il disco Io non so parlar d’amore «e in seguito per motivi altrettanto misteriosi Adriano ritorna ad essere il ragazzo irresistibile, quello che inchioda il pubblico davanti alla TV, stravende dischi, scandisce il dibattito politico» 36. E ancora, Vasco, Battisti, Mogol, Baglioni e Max Pezzali per il quale ancora adesso sono disposto a sostenere in pubblico che non solo è un bravissimo sociologo naturale, un perlustratore intelligente della provincia profonda, ma è anche il più bravo autore di testi per le canzoni che ci sia in circolazione in questo povero momento37. 35 Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, cit., p. 243. Ivi, p. 246. 37 Ivi, p. 252. 36 186 Le postfazioni: meta progetti editoriali Le postfazioni diventano ora parte integrante dei libri di Berselli. Anche in Adulti con riserva, come in Quel gran pezzo dell’Emilia, l‟autore compie una suddivisione non per argomenti, ma per capitoli, spiegando di volta in volta vicende riguardanti se stesso, la sua formazione, la sua famiglia e dettagli a proposito dell‟incontro tra Churchill e Pio XII e gli ormai immancabili aneddoti provenienti dal Mulino. La postfazione di Sinistrati,“Tanto per precisare qualche stagione dopo” appare più un saggio da rivista del Mulino che una digressione sui contenuti del libro. Un “tanto per precisare” reiterato nei tempi e negli argomenti, che scandisce quasi con rabbia quanto accaduto dopo le elezioni del 2008. Ne citiamo l‟ultima parte: ma poi, tanto per precisare, quale sinistra, avrebbe commentato pensosamente Norberto Bobbio, appiccicando al termine “sinistra” un numero filosoficamente congruo di punti di domanda. Nel frattempo era successo il finimondo. Bettino Craxi aveva rinunciato all‟idea mitterandiana dell‟alternativa, richiudendosi nell‟alleanza di brevissimo respiro con Andreotti e Forlani. Tangentopoli e Mani pulite avrebbero poi provveduto a spazzar via un‟intera classe politica. Il resto è storia o cronaca. Vittorie, sconfitte, pareggi. Prodi, Veltroni, la vocazione maggioritaria, lo spirito del Lingotto, che nessuno sa più cosa sia. E in fondo, la vecchia idea che occorra tornare al passato, inteso come glorioso. A Berlinguer, al governo degli onesti, al pensiero che la classe dirigente comunista era 187 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica migliore, più sobria, meno compromessa (eppure Bobbio ammoniva che il governo degli onesti è sempre stato una truffa reazionaria). Nostalgie, ma non soltanto. Occasioni per introdurre nel discorso pubblico l‟indignazione e la rabbia, sentimenti che vengono da lontano e vorrebbero andare lontano, ma in realtà sono sempre fermi qui. Perché il problema non è il passato, ma il futuro: ossia il compito, faticoso e ancora tutto da inventare, di governare una società moderna38. Il Backstage di Liù si intitola “Epilogo dell’epilogo – Un discorso sul metodo” e racconta capitolo per capitolo aneddoti sul calcio, sulla musica, passando, senza farci caso più di tanto, alla sociologia di Riesman, a Montanelli, per poi tornare al Mulino e all‟odore del Mare del Nord. In questo Backstage si può dire vi sia tutto Berselli. Un po‟ come nel libro dal quale è tratto, disvelato, sincero, nascosto solo dietro a un vetro trasparente. Non vi è un saggista distaccato, ma un romanziere, perché no, di se stesso e della sua vita. 4.2.1 I riferimenti al lavoro editoriale nelle opere Vi è un altro elemento chiave che esemplifica perfettamente quanto il lavoro presso la casa editrice abbia influito su Berselli. Esso riguarda tutti quei piccoli riferimenti che continuamente l‟autore fa al lavoro tipico di una casa editrice, l‟uso frequente del lessico professionale. Su di essi 38 Berselli, E.; 2008, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica, cit., pp. 1178 -1179. 188 Le postfazioni: meta progetti editoriali si potrebbe scrivere un intero saggio, noi ne riporteremo solo una minima parte per chiarire con esempi il concetto. Ne Il più mancino dei tiri, già dalle prime pagine, afferma la tesi la reclamano soprattutto i funzionari editoriali, i cosiddetti editors: i quali raramente si prendono la responsabilità aziendale di dire se un libro è buono o cattivo, bello o brutto, ma possiedono un infallibile schema di interpretazione, una specie di affilatissimo rasoio logico, secondo cui non si scappa: il saggio ha “una tesi forte”39. E ancora orsù dunque: a voi piacerà applaudire lo studioso che ha allestito un ordinato archivio, che ha schedato lo schedabile, che redige saggi meditabondi con un corredo definitivo di note a piè di pagina […]. Gli specialisti oltretutto sono individui che vivono nel terrore di sbilanciarsi, che rifiutano di avanzare la benché minima tesi dichiarando l‟eccezionale complessità dei loro vasi argomenti; mentre poi giudicano vittime di un‟accademica codardia i colleghi […]. In buona sostanza va bene nutrire una devota reverenza per l‟insigne accademico che spulciata tutta la letteratura, interroga finemente i classici, si misura alla pari con i contemporanei, postula lo sviluppo del dibattito e infine consegna gli esiti della sua scienza a capitoli ben ponderati e redatti con sapiente acribia e misurato rigore40. 39 40 Berselli, E.; 2007, Il più mancino dei tiri, cit., p. 10. Ivi, p. 11. 189 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Funzionari editoriali, editors, tesi, l’ordinato archivio dello studioso, le schedature, note a piè di pagina, capitoli ben ponderati, redatti con sapiente acribia: in ogni libro, soprattutto nelle prefazioni e nelle postfazioni, si ripete questo lessico. Riportiamo un altro esempio dal libro Canzoni, quando parlando di Guccini, Berselli suggerisce che bisognerebbe «fargli incidere tutti quei vecchi canti, in modo da porteli studiare all‟università con le note a piè di pagina e tutta la bibliografia in bell‟ordine, e farci delle belle tesi»41. E ancora in Venerati maestri parlando nel “maestro” Alberto Arbasino, dove si parla di macchine per scrivere elettriche, impaginature, bozze, editori, redattori42 e così via via discorrendo, in ciascun saggio dell‟autore. Abbiamo riportato tutti questi piccoli esempi per dimostrare come il gergo tipico di una casa editrice fosse profondamente radicato nel suo linguaggio. Naturalmente ciò non stupisce se si pensa che Edmondo Berselli lavora in contesti editoriali per tutta la sua vita, più di trent‟anni tra correttori di bozze e libri. Ciò che sorprende, invece, è come spesso l‟autore riesca a utilizzare questo linguaggio per esemplificare e metaforizzare ogni tipo di concetto, spesso paragonando il rigido metodo editoriale, fatto di precise linee guida, a personaggi o situazioni, fingendo di essere un “lavoratore alla carlona” per poi rivelare, in realtà, l‟utilizzo 41 Berselli, E.; 1999, Canzoni. Storie dell'Italia leggera, cit., p. 243. Berselli, E.; 2006, Venerati maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d'Italia, cit., p. 719. 42 190 Le postfazioni: meta progetti editoriali che lui stesso fa di quelle procedure e di quell‟ordine tipico di chi segue il rigore dettato dalla pubblicazione editoriale. 191 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica 192 Conclusione Per concludere possiamo affermare che è indubbio vi siano stati influssi tra la crescita professionale del Berselli e il gruppo il Mulino e, allo stesso modo, abbiamo dimostrato come il lavoro di Berselli abbia notevolmente arricchito e, in alcuni casi, modificato le attività sia della società editrice che della rivista del medesimo gruppo. Indubbiamente la provenienza geografica (la cattolica Emilia rossa) e il medesimo anno di nascita hanno contribuito a far sì che entrambi i nostri soggetti abbiano avuto nei primi 25 anni di vita influenze molto simili, soprattutto in un periodo particolarmente ricco di spunti sociali, economici e politici come quello che va dai primi anni cinquanta alla metà dei settanta (il dopoguerra, la ricostruzione del paese, il boom economico, il 1968). Un'infanzia, quella del Berselli, scandita dai ritmi di una famiglia modesta, costretta anche a trasferirsi nel lontano Trentino per seguire il padre operaio, ma che non ha mai perso la sua identità emiliana. Il calcio, la politica, la "cucina grassa" e più avanti con gli anni la musica, quella che, una volta tornato a Modena, avvolgerà la vita dell'autore e ne influenzerà profondamente non solo il gusto, ma anche gli scritti, e quel suo amore non solo per la politica, ma anche per il costume, passaggio fondamentale, secondo l'autore stesso, per riuscire a capire meglio una società in continuo movimento come la nostra. Da quel che abbiamo potuto osservare sembra chiaro come il gruppo del Mulino abbia fortemente influenzato la vita, non solo lavorativa, del Berselli, accolto tra le braccia della 193 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica casa editrice nel 1976 con il suo primo incarico di correttore di bozze e cresciuto anno dopo anno, incarico dopo incarico, in un'escalation di mansioni sempre più importanti. Certamente hanno profondamente inciso in Berselli gli insegnamenti, all‟inizio, di Giovanni Evangelisti, deus ex machina della casa editrice, suo primo maestro, che lo ha accolto non tanto tra le sue braccia quanto tra i suoi artigli, in un rapporto di amore ed odio che è proprio di ogni coppia affiatata soprattutto in ambiente lavorativo. Allo stesso modo hanno influito sulla sua crescita personale e professionale personaggi come Nicola Matteucci, Ezio Raimondi, Federico Mancini, Ugo Berti e Ilvo Diamanti, così come, ne siamo ormai certi, ogni singola persona che abbia varcato la soglia del Mulino quando Berselli era in quelle stanze, spugna che ha saputo assorbire quante più nozioni dotte e quanti più aneddoti irriverenti da chiunque abbia avuto il piacere di scambiare chiacchiere con lui. Ne sono dimostrazione le numerose pagine che Berselli dedica nei suoi saggi al gruppo dei "mugnai", che abbiamo a lungo citato nelle pagine che precedono queste conclusioni. Allo stesso modo possiamo affermare che il lavoro editoriale svolto presso la casa editrice abbia ispirato gli scritti berselliani, e, in particolare, i suoi saggi. Lo abbiamo dimostrato per mezzo dell'analisi dei backstage, punto nevralgico di quasi tutti i saggi dell'autore. Pagine ricche di spunti, chiarimenti, note a piè di pagina riportate a fine testo, per non spezzare il fluire del racconto e per non rendere asettico nemmeno il riordino delle fonti, riportato con stile scanzonato e irriverente tipico del Berselli, ma senza dimenticare, mai, la cura per il dettaglio, per un'analisi 194 il più possibile corretta, senza lasciare nulla al caso, perché se è vero che la memoria è uno dei maggiori pregi dell'autore, è altrettanto vero che è lui stesso a non voler mai lasciare spazio a fraintendimenti, a possibili errori, come ogni editor che si rispetti esige nel suo lavoro. E come abbiamo affermato poc'anzi, non possiamo certo dimenticare quanto l'influsso di una personalità carismatica e professionalmente forte come quella di Edmondo Berselli abbia incrementato il lavoro e della casa editrice e della rivista. La prima non solo attraverso i suoi incarichi che hanno avuto luogo per anni nelle stanze dell'editore, ma in particolar modo per mezzo dei suoi primi due saggi: Il più mancino dei tiri e Canzoni, pubblicati proprio con il Mulino, la seconda, la Rivista, su diversi fronti. Dapprima come autore di alcuni tra i più interessanti articoli in essa contenuti, articoli quasi "profetici", in grado non solo di analizzare con ironica dovizia di dettagli la situazione politica e sociale che si prospettava in quel determinato periodo storico, ma spesso anche di suggerire risposte, ai noi percepite il più delle volte troppo tardi come tali. Successivamente l'apporto del Berselli alla rivista il «Mulino» si è reiterato per circa una decina di anni nel suo ruolo di capo redattore, al fianco di direttori come Matteucci e Evangelisti, per poi evolversi ulteriormente con la sua stessa carica a direttore della rivista, avvenuto per due mandati dal 2003 al 2008. Una storia, quella del Mulino e di Berselli, che si può dire abbia proceduto di pari passo, che ha formato un autore e arricchito un intero gruppo editoriale. Una storia emiliana di cultura e politica. 195 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica 196 Appendice In appendice abbiamo voluto riportare il testo completo dello statuto dell‟Associazione di Cultura e Politica «il Mulino», associazione privata, senza fini di lucro, costituita con atto pubblico il 27 febbraio 1965, perché esso contiene non solo i dettami che regolano il gruppo, ma soprattutto cosa è il mulino, quali sono i suoi valori, quali i principi che lo ispirano. Successivamente abbiamo incluso l‟intervista che ci ha concesso Bruno Simili il 5 febbraio 2011. Simili ci ha accolti nel suo studio del Mulino e ci ha fatto respirare aria di Mulino, di carta, di cultura di amicizia, di passione. Aria di Berselli e del Mulino. Infine abbiamo voluto includere tre tra i più significativi articoli che Edmondo Berselli ha scritto per la rivista “il Mulino”. Il primo, L'ultima recita dei partiti, del 1991, analizza il complesso periodo tra la prima e la seconda repubblica, così simile a quello attuale. Il secondo La tv, la politica e l'antidoto del mercato del 2003 va a constatare come la televisione, e in particolare quella pubblica, sia diventata un vero e proprio problema politico e istituzionale, e come il futuro pluralismo fatto di web, televisione satellitare e digitale potrebbero sconvolgere il duopolio creatosi nei primi anni duemila. Infine, La società del cinquanta per cento, analizza come l‟Italia, dopo le elezioni del 2008, sia una società completamente spaccata in due parti: la forbice sociale che 197 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica si apre sempre più, la povertà che cresce e la ricchezza, dei pochi, sempre più sfrenata, e si chiede se la destra italiana potrà davvero reggere la crisi economica che molto presto si abbatterà su questo “modo di vivere” ormai troppo diffuso nel nostro paese. E oggi, dopo la caduta del Governo Berlusconi, Berselli avrebbe le risposte che stava cercando. 198 Statuto dell'Associazione di Cultura e Politica il «Mulino» Titolo I, Costituzione e scopi Art.1 E' costituita, con sede in Bologna, l'Associazione di cultura e politica «il Mulino». Art.2 Essa è composta da studiosi e intellettuali di formazione culturale e di attività professionale diverse, legati fra loro da un comune impegno civile e democratico. Essi sanno che la soluzione dei problemi sociali e politici del nostro tempo impegna in primo luogo la responsabilità delle autorità pubbliche e delle forze politiche organizzate, ma giudicano che, in una democrazia pluralistica, sia altresì importante il contributo di studio e di formazione che può essere portato alla società e all'opinione pubblica da parte di gruppi indipendenti. Essi perché si costituiscono in Associazione per perseguire, in modo non episodico, fini di studio, di formazione e orientamento dell'opinione pubblica, di impegno civile democratico. Art.3 Per realizzare le proprie finalità, l'Associazione -che non ha fini di lucro- promuove lo sviluppo di attività di studio e di ricerca, la pubblicazione di periodici e volumi, l'effettuazione di manifestazioni pubbliche, uniche o 199 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica collegate, e di ogni altra attività, a proprio nome op in unione con altri, che possa riuscire utile ai fini indicati nell'art.2. L'Associazione persegue i propri scopi promuovendo, ove occorra, specifiche istituzioni. Di queste istituzioni l'Associazione detta, per quanto possibile, gli statuti; designa le persone che la rappresentano; orienta i programmi e valuta i risultati. Titolo II, I Soci Art.4 Il numero complessivo dei soci non può essere superiore a cento. Art.5 Il comitato direttivo può, una volta all'anno, sottoporre all'Assemblea dei soci un rosa di candidati, in un numero non superiore a dieci, all'ammissione all'Associazione, individuati fra coloro che hanno contribuito alle attività dell'Associazione o delle istituzioni ad esse collegate, con esclusione di chi intrattiene con queste un rapporto di lavoro dipendente. Art.6 I soci versano la quota associativa annuale determinata dall'Assemblea su proposta del Comitato direttivo. Il socio che, alla chiusura del rendiconto economico finanziario annuale, non sia in regola con il pagamento della quota associativa non h diritto di voto nell'Assemblea dei 200 soci e non può essere eletto alle cariche sociali fino all'avvenuta regolazione. Art.7 I soci sono tenuti a prestare la loro collaborazione all'attività dell'Associazione e debbono, quando non sussistano circostanze che ne giustifichino l'assenza, partecipare all'Assemblea ordinaria annuale in cui vengono definiti i programmi dell'Associazione e approvati i rendiconti. Titolo III, Organi sociali Art.8 Sono organi dell'Associazione: L'Assemblea dei soci; Il Comitato Direttivo; Il Presidente, il Vicepresidente e il Tesoriere Il Comitato dei Probiviri Titoli IV, Assemblea dei soci Art.9 L'assemblea dei soci: definisce i programmi di attività dell'Associazione; dà vita alle istituzioni eventualmente necessarie per l'attuazione delle attività; compatibilmente con i relativi statuti ne detta le regole di funzionamento e ne nomina o ne designa i componenti degli organi direttivi e di controllo; discute e approva le relazioni consuntive che i rappresentanti dell'Associazione nelle istituzioni sono tenuti a presentare periodicamente all'Assemblea; 201 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica approva i rendiconti economici e finanziari annuali: elegge fra ia soci i membri del Comitato direttivo; elegge fra i soci i membri del Comitato dei Probiviri delibera la cooptazione di nuovi soci delibera le modificazioni del presente statuto delibera lo scioglimento dell'Associazione. Art.10 Il Presidente dell'Associazione convoca l'Assemblea dei soci in sessione ordinaria almeno una volta all'anno. Sessioni straordinarie possono essere indette dal Presidente ogni volta che lo stesso lo ritenga opportuno o dietro richiesta di almeno tre membri del Comitato direttivo o di un terzo dei soci. La convocazione e l'ordine del giorno sono trasmessi ai soci per iscritto, almeno sette giorni prima della riunione. Nel caso di deliberazioni relative alle istituzioni promosse o da promuoversi dall'Associazione, le proposte debbono essere preventivamente illustrate per iscritto e allegate al documento di convocazione. Art.11 Non sono ammesse deleghe di voto. Art.12 L'assemblea può validamente deliberare, in prima convocazione, con la presenza della metà più uno dei soci. In seconda convocazione, l'Assemblea può validamente deliberare qualunque sai il numero dei soci presenti. 202 Art.13 Se non diversamente stabilito dal presente statuto, l'Assemblea delibera con il voto favorevole della metà più uno ei presenti. Per la cooptazione di nuovi soci l'Assemblea delibera con il voto favorevole di almeno due terzi dei presenti. Per le elezioni dei membri del Comitato direttivo, del Comitato dei Probiviri e per la designazione dei rappresentati dell'Associazione nelle istituzioni di cui al precedente art. 3, secondo comma, sono eletti o designati i soci che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è eletto il socio con minore anzianità nell'Associazione. Quando si procede al rinnovo integrale dei componenti, eletti dall'Assemblea, del Comitato direttivo e dei rappresentanti dell'Associazione nelle istituzioni promosse dall'Associazione i votanti possono esprimere un numero di preferenze pari a quello dei membri da eleggere meno due. Non è immediatamente rieleggibile, nel Comitato direttivo, il socio che sia stato eletto dall'Assemblea in tale organo per due mandati consecutivi. La norma non si applica ai componenti designati dalle istituzioni. Il socio assente ingiustificato nell'Assemblea convocata per l'elezione e/o la designazione degli organi previsti dal precedente articolo, non è eleggibile agli organi medesimi. Titolo V, Comitato direttivo Art. 14 203 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Il Comitato direttivo è composto da undici membri, di cui quattro nominati dalle istituzioni promosse dall'Associazione e sette eletti dall'Assemblea. I componenti del Comitato direttivo durano in carica per un triennio. Art.15 Il Comitato direttivo: elegge nel proprio seno il Presidente, il Vicepresidente e il Tesoriere dell'Associazione; sovraintende allo sviluppo dei programmi definiti dall'Assemblea, coordinando le attività elle istituzioni promosse dall'Associazione. Art. 16 Il Comitato direttivo si riunisce di regola ogni due mesi e ogni volta ce il Presidente dell'Associazione lo ritenga necessario o su richiesta di almeno tre membri del Comitato direttivo stesso. Convocazione e ordine del giorno sono comunicati ai membri almeno cinque giorni prima della riunione, salvo i casi di urgenza. Art.17 Le riunioni del Comitato direttivo sono valide allorché sia presente almeno la metà più uno dei componenti. Le deliberazioni vengono prese a maggioranza dei presenti. In caso di parità decide il voto del Presidente. 204 Titolo VI, Presidente e Tesoriere Art.18 Il Presidente: cura l'attuazione ei programmi dell'Associazione e rappresenta legalmente l'Associazione di fronte ai terzi anche in giudizio; convoca e presiede le riunioni del Comitato direttivo; convoca e presiede l'Assemblea dell'Associazione, fissandone l'ordine dei lavori, dopo aver sentito il Comitato direttivo Art.19 Il Vicepresidente coadiuva il Presidente nell'espletamento dei suoi compiti e lo sostituisce in caso di impedimento. Art.20 Il Tesoriere cura l'equilibrio economico-finanziario del''Associazione. Su mandato del Presidente esegue i pagamenti controllando che avvengano entro i limiti di spesa definiti dal rendiconto economico-finanziario preventivo dell'Associazione. Titolo VII, Comitato dei Probiviri Art.21 Il Comitato dei Probiviri è formato da tre soci, eletti dall'Assemblea triennio per triennio, con scheda limitata a due nomi. Il Comitato dei Probiviri è tenuto ad esprimere il proprio parere in ordine alle proposte di modifica statuaria che il Comitato direttivo intenda presentare all'Assemblea. 205 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Al Comitato dei Probiviri è altresì affidato il compito di segnalare tempestivamente, e comunque almeno sette giorni prima del giorno in cui è convocata l'Assemblea, l'eventuale rosa delle candidature pervenute per l'elezione del Comitato direttivo dell'Associazione e degli organi delle istituzioni promosse o collegate all'Associazione, raccogliendo a tal fine tutte le candidature avanzate dai soci, integrate da eventuali altre ritenute opportune dal Comitato stesso, e fermo restando che tutti i soci dell'Associazione sono comunque eleggibili. Alla decisione inappellabile del Comitato dei Probiviri è inoltre deferita ogni controversia tra soci e tra soci e Associazione. La carica di membro del Comitato dei Probiviri è incompatibile con altre cariche negli organi dell'Associazione o delle istituzioni da essa promosse o controllate. Titolo VIII, Patrionio e rendiconto Art. 22 Il patrimonio sociale è formato dai conferimenti che possono essere effettuati dai singoli soci, da oblazioni e contributi che pervenissero all'Associazione da enti pubblici, privati e da singole persone, senza alcuna distinzioni di nazionalità, cittadinanza, nonché da donazioni e lasciti testamentari. Le quote e i contributi associativi, non rivalutabili, sono intrasmissibili. Non è consentito distribuire ai soci, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonchè fondi o riserve durante la vita dell'Associazione. 206 Art.23 Ogni anno viene predisposto dal Comitato direttivo il rendiconto economico-finanziario preventivo da sottoporre alla discussione e all'approvazione dell'Assemblea dei soci, assieme al rendiconto economico-fianziario consuntivo dell'anno precedente. L'approvazione dei due rendiconti deve effettuarsi entro il 31 gennaio di ogni anno. Titolo IX, Modificazioni statutarie Art.24 Il presente Statuto può essere modificato su proposta del Comitato direttivo con il voto favorevole dei tre quarti dei presenti all'Assemblea, i cui partecipanti costituiscano almeno un terzo più uno degli aventi diritto. Le proposte di modifica dello statuto debbono essere indicate per esteso nell'ordine del giorno di convocazione dell'Assemblea e recare in allegato il parere del Comitato dei Probiviri. Le modifiche riguardanti le modalità di funzionamento dell'Assemblea e dei suoi lavori hanno effetto dalla riunione immediatamente successiva a quella della loro approvazione. Titolo X, Scioglimento Art. 25 L'Assemblea dei soci può deliberare lo scioglimento dell'Associazione nel rispetto dei quorum costitutivo e deliberativo previsto dal 1° comma dell'art.24. 207 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Il caso di scioglimento il patrimonio dell'Associazione verrà devoluto ad altra Associazione con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità, sentito l'organismo di controllo di cui all'art.3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n.662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge. 208 Intervista a Bruno Simili, Febbraio 2011, Bologna Incontriamo Bruno Simili, capo redattore della rivista “il Mulino”, amico e collega di Edmondo Berselli in lunghi anni di attività, presso la sede storica dell‟Associazione, in Strada Maggiore. Parliamo un po’ di Edmondo Berselli e del suo rapporto con il Mulino… Edmondo Berselli non a caso è laureato in filosofia; questo ha segnato buona parte della sua attività e del suo pensiero. Se vogliamo entrare nella vicenda di Edmondo al Mulino… Edmondo ha iniziato facendo la gavetta e ha finito come componente della direzione editoriale della Società editrice, che è un organo composto da una decina o ventina di persone, a seconda dei periodi. Quindi è mai stato direttore editoriale ma in coda alla sua relazione con il Mulino ha ricoperto il ruolo di direttore della rivista per due mandati, insieme a me. Io sono capo redattore da quando Edmondo ha smesso di esserlo. Ha lavorato alla Rivista del Mulino dalla metà degli anni 80 alla fine del 1999 e nel corso di questi quindici anni si è impegnato in primo luogo per la Rivista ma anche nella direzione editoriale, con colui che Edmondo stesso nei suoi libri definisce il Deus ex machina della casa editrice: Giovanni Evangelisti, morto un anno prima di lui e con il quale ha sempre avuto un rapporto conflittuale per tanti aspetti, ma anche di grande affetto. 209 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Secondo molti Edmondo era l‟unico qui al Mulino che avrebbe potuto sostituire Evangelisti e svolgere il ruolo determinante che egli aveva. Questo per una semplice ragione: Edmondo era una delle poche persone che conosceva bene sia la macchina editoriale che l‟Associazione. La Struttura gruppo il Mulino è piuttosto curiosa. Pochi sanno che la Società editrice è solo una delle quattro parti che fanno capo all‟Associazione di Politica e Cultura « il Mulino». È, certo, comprensibile, in quanto è il ramo più noto, più importante e più significativo del gruppo, anche in termini economici. Essa, infatti, fattura da sola più di venti milioni di euro all‟anno e ha più di settanta dipendenti. Numeri indubbiamente di grande portata. Ma all‟origine c‟è la rivista, che nasce nel 1951. Pochi anni dopo inizia la sua attività la Società editrice e, successivamente, per coordinare il lavoro del gruppo, nasce l‟Associazione di cultura e politica che in origine si chiamava Associazione “Carlo Cattaneo” (oggi il Cattaneo è un istituto di ricerca, patrocinato dal Presidente della Repubblica. Ha sede qui a Bologna in Piazza Santo Stefano e attualmente fa capo all‟Associazione del Mulino). La Rivista de “il Mulino” è gestita interamente dall‟assemblea dei soci; la società editrice, invece, è controllata per un pacchetto azionario di maggioranza (64%) da una finanziaria, che a sua volta è subordinata all‟Associazione e si chiama Edifin. Di fatto l‟Associazione è quindi a capo anche della Società editrice, però per statuto gli utili di quest‟ultima vengono reinvestiti e non possono essere distribuiti ai soci. 210 Nel 2009 la finanziaria che controlla la società editrice è anche diventata proprietaria del 60% di Carocci editore di Roma che quindi è entrata a far parte de “il Mulino”, anche se indirettamente. C‟è poi una società che si occupa di promozione in libreria che si chiama Promedi, che ha una certa consistenza. Anch‟essa è controllata da Edifin e oltre al Mulino e a Carocci, distribuisce molti altri editori. E‟ di fatto un piccolo gruppo editoriale, anche se un po‟ mascherato dietro alla sobrietà che da sempre ha caratterizzato l‟azione di Evangelisti e di tutto il gruppo Mulino. Sono tante scatole una dentro l‟altra, ma al vertice rimane sempre l‟Associazione. La Fondazione Biblioteca nasce come emeroteca e negli ultimi anni ospita anche i volumi della Casa editrice, mentre l‟Istituto Cattaneo è sicuramente il più importante istituto italiano per quel che riguarda le analisi elettorali e cicliche sulla società italiana, anche se entrambe soffrono questo periodo di vacche magre per finanziamenti e quant‟altro. Alla fine tutto è connesso, perché per statuto gli organi direttivi vengono eletti dall‟Associazione e molti dei soci dell‟Associazione si occupano anche alle ricerche e dei lavori dell‟Istituto. Torniamo a Berselli… Il lavoro a “il Mulino” di Edmondo si è svolto in gran parte in queste stanze, ma anche nella direzione editoriale (per la scelta dei volumi, soprattutto nei settori che lui controllava meglio, ovvero le scienze politico-sociali); da un certo punto in avanti, ha collaborato con molti quotidiani; c‟è in atto un 211 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica tentativo di raccogliere tutto questo, ma l‟operazione è un po‟ velleitaria, perché il materiale è tantissimo; tuttavia l‟impresa non è irrealizzabile. Lui era ordinatissimo, teneva tutto, e la moglie vorrebbe mettere ordine in questo materiale, ma ci vogliono risorse, ci vuole tempo. Ha iniziato con i giornali locali, con varie testate; in particolare ha lavorato con Anselmi che poi è diventato direttore dell‟Espresso, e che alla fine del 1999 lo ha chiamato nella figura di “assistente al direttore”, ruolo del tutto nuovo in quella testata; poi è finita l‟esperienza di Anselmi, ma Edmondo è rimasto dentro al gruppo editorialista «L‟Espresso». Tutto ciò, contemporaneamente a una serie di collaborazioni con la Rai e ai libri che, senza nulla togliere al Mulino, ha iniziato a scrivere con Mondadori. Come mai da un certo punto in avanti Berselli inizia a pubblicare con Mondadori? Ha iniziato a scrivere con Mondadori semplicemente perché amico di Beppe Cottafavi, uomo del mestiere stimatissimo da Berselli, che all‟epoca era occupato in quella casa editrice. Negli anni, poi, era entrato in confidenza con Gian Arturo Ferrari, che fino a poco tempo fa era il capo editoriale di Mondadori. Io sono capo redattore della Rivista dal 1999, ovvero da quando Edmondo ha abbandonato questo incarico. Nei cinque anni precedenti, però, ho lavorato in Società editrice, a capo della redazione dei libri, così come anche Edmondo. Dico questo per sottolineare che più o meno entrambi 212 sappiamo come avviene la produzione dei libri. Berselli mi raccontava che la relazione che lui aveva con la redazione di Mondadori era ottima,con molto interesse e stima da parte di entrambi. Pur avendo di fronte un autore molto preciso e puntiglioso come era lui, il quale prima di scrivere verificava ogni cosa, non si perdeva occasione per fare una telefonata e riverificare. In tempi in cui purtroppo le redazioni vanno sempre più rapide sui testi e, anzi, spesso gli autori decidono di auto prodursi, è una cosa importante avere una redazione meticolosa. Lui aveva trovato un editore che curava benissimo il suo lavoro e perciò non ha mai avuto motivo di cambiare. Ma Mondadori appartiene alla famiglia Berlusconi, uno dei principali bersagli di Berselli… Edmondo non è mai stato sensibile a questo tipo di congetture e credo si sarebbe fatto delle grasse risate se avesse assistito alla polemica tra Saviano e Marina Berlusconi dei mesi scorsi. Di questa cosa egli non si era mai preoccupato, anzi, l‟accusa di essere, assieme ad altri autori “di sinistra”, la foglia di fico che permetteva a un editore come Mondadori di affermare la sua natura bipartisan non lo ha mai toccato e credo avesse ragione. Lui ha sempre riconosciuto una grandissima qualità nelle persone che lavoravano a Mondadori e questo era ciò che contava. Edmondo ha pubblicato con il Mulino in una collanina di nome Tendenze che riprendeva tre articoli estratti dalla rivista del Mulino; questi erano saggi critici, piccolini e 213 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica leggibili. Il libro si intitolava L’Italia che non muore. Poi sono venuti Il più mancino dei tiri e Canzoni. Questo è l‟altro filone di Edmondo, quello che io chiamo Beat. Il lavoro con Shel Shapiro per lui era in effetti un momento molto importante non solo per la sua biografia ma anche per capire i cambiamenti di questo paese. Berselli ha pubblicato libri con il Mulino, poi però ha iniziato scriverli anche per altri. Fatti della vita. Uscirà a breve un altro libro a firma Berselli e edito dal Mulino, che conterrà 15 articoli scritti da Edmondo per la Rivista “il Mulino”. Si intitolerà L’Italia nonostante tutto. L’Italia nonostante tutto dice molto della capacità di Berselli di leggere in prospettiva questo paese e i suoi problemi. Non tutte, ma molte delle questioni centrali degli articoli spiegano, infatti, il blocco che l‟Italia sta soffrendo in questo momento. Dal ruolo del Presidente della Repubblica, alla Bicamerale, all‟imbarbarimento della televisione e al suo controllo politico e ancora dal decadimento della cultura civile sino allo scontro senza civiltà tra destra e sinistra, sempre concentrato sulla figura di Berlusconi, senza rendersi conto che anche se per lo più si parla di decadimento della politica, oggi viviamo soprattutto un decadimento culturale che, capiamoci, non è solo quello del Grande Fratello. Nel 1991 ci avrebbe fatto ribrezzo quel che leggiamo oggi sui giornali, ma poco alla volta, quei titoli sono entrati nella sgradevole normalità. Questa sua grande capacità di lettura dipende sì dalla sua intelligenza, dal fatto che era fatto così, aveva talenti che 214 altri non hanno, ma anche dallo scrupolo che osservava sempre nel suo lavoro. Edmondo non era solo un instancabile lavoratore; in tutto ciò che realizzava metteva sempre una grandissima attenzione, che è rimasta tale anche quando è diventato “Edmondo Berselli”, cioè anche quando, almeno teoricamente, l‟etichetta ti autorizzerebbe, chissà perché, a un minor rigore, nonostante la maggiore autorevolezza. Edmondo no; si prendeva qualche libertà: definizioni buffe, battute, però nel momento in cui doveva mettersi lì e scrivere un pezzo, lo faceva esattamente come alla metà degli anni 80, chiunque fosse il suo lettore, qualunque fosse la testata, dalla “Gazzetta di Modena” al “Sole 24 Ore”. Aveva un‟etica del lavoro e del rispetto di chi gli dava la possibilità di scrivere molto alta, che mi ha trasmesso dicendomi: «se tu inizi a scrivere sui giornali, nel momento in cui ti chiedono un pezzo, tu lo devi fare, qualunque argomento sia».Edmondo non ha mai detto di no, dando spessore a qualsiasi cosa, perché fondamentalmente la sua origine „popolare‟ gli faceva capire bene la fortuna che aveva in mano. Lui diceva che noi in realtà non lavoriamo, siamo privilegiati, facciamo una cosa che ci piace questo di per sè spiega anche una sua certa reticenza ad apparire. Spesso ci si chiede, infatti, perché non andasse molto in tv. Beh, innanzitutto perché era abbastanza intelligente per capire che è molto difficile, per quanto tu sia in gamba, sfruttare al meglio i tempi televisivi e poi perché doveva dosare le sue energie: se Ezio Mauro gli avesse chiesto un editoriale alle sette di sera da pubblicare sul giornale del 215 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica mattino seguente, Edmondo non si sarebbe mai permesso di dire «no, non posso». Per chi conosceva Edmondo da molto tempo, l‟atteggiamento da lui tenuto nei confronti della politica da un lato è sempre stato il medesimo: grande rigore, equilibrio e equidistanza rispetto alle parti; dall‟altro, però, è profondamente mutato e questo cambiamento si rispecchia nella metamorfosi del nostro paese e del suo scenario politico. Chi ha conosciuto Berselli negli anni ‟90, infatti, mai avrebbe pensato che sarebbe diventato un editorialista di punta di un quotidiano come « la Repubblica», giornale che è palesemente schierato in opposizione all‟attuale governo, un governo di centrodestra! Edmondo nasce come un cattolico, bravo, intelligente, preparato, ma fondamentalmente democristiano, il padre degasperiano, la madre di origini socialiste... Questa storia di Edmondo mi ricorda la canzone “libertà obbligatoria” di Giorgio Gaber, dove si dice che la nonna ogni volta che va a votare vota sempre più a sinistra, ma non è la nonna che si sposta, sono i partiti che slittano, e il caso di Berselli mi par essere il medesimo. Edmondo è rimasto sempre molto coerente con i suoi valori e i suoi principi, e solo chi non ha voluto capire questo nello scenario politico parlamentare lo ha potuto accusare di essere passato dalla parte del vincitore, per chi scrive e fa critica. I suoi valori, in buona parte cattolici, che forse dovrebbero essere tendenzialmente condivisi, al di là della religione che professiamo, in una democrazia basata su una bella 216 costituzione come la nostra, dovrebbero essere tenuti alti. Era questo che desiderava e cercava di spiegare Edmondo: la necessità che un governo faccia politiche per il Pubblico. Come ha affermato lo stesso Edmondo nel suo ultimo libro, scritto con molta fatica e in buona parte dettato alla moglie Marzia, chiunque abbia delle responsabilità pubbliche deve lavorare per una economia giusta. Questo è fondamentale. La rivista è cambiata da quando Edmondo ne è stato direttore? Edmondo entra alla Rivista come redattore capo con Matteucci. Da lui impara molte cose, soprattutto per mezzo della sua presenza fisica in queste stanze. Matteucci era direttore autoritario e di polso e faceva una rivista di un certo livello, anche abbastanza difficile: lo si può notare dai sommari dei numeri da lui diretti. Ma negli anni 90 la Rivista ha il suo maggiore cambiamento. Con direttore Evangelisti, il periodico assume un taglio davvero diversissimo: pezzi più brevi, si decide (cosa che rimane fino al 2008) di creare il blocco, ovvero alcuni articoli su un tema definito per ogni numero, un focus tematico. Inoltre, essendo Evangelisti non solo direttore della Rivista, ma anche direttore editoriale della Società Editrice, non ha difficoltà a mettere a disposizione un po‟ di risorse per la produzione, la ricerca, la pubblicità. Questi sono gli anni d‟oro anche in termini di diffusione e visibilità, anni in cui si vince il premio “Parlamento”; durano fino a metà anni 90 e la esperienza dell‟Ulivo ed il prodismo è un momento di particolare importanza. Il 217 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Mulino, infatti, si caratterizza ancora una volta per la solita equidistanza, il consueto equilibrio rispetto alle parti politiche che sono in campo; dall‟altro però Prodi è un “prodotto della casa”, nel senso che è un altro non bolognese che viene dalle sue parti, è un socio dell‟Associazione e soprattutto fa parte della storia del Mulino perché in un periodo di difficoltà -in cui l‟indipendenza economica che ha sempre contraddistinto la società editrice e che per fortuna ha anche oggi, sembra essere in pericolo- riesce a lavorare per una ricapitalizzazione e tra l‟altro diviene il presidente della Società editrice per qualche anno, quindi non è uno dei tanti intellettuali che passa di qui due volte l‟anno, che scrive qualcosa e va via, ma è un uomo di macchina. Nel momento in cui scende in campo, si aspetta che il Mulino prenda le sue parti, cosa che però non accade, c‟è un editoriale in cui si dicono delle cose sulla situazione politica italiana, lui si aspetta una presa di posizione di un certo tipo, ciò non avviene. Questo naturalmente per chi conosce il Mulino non diventa un casus belli, per cui ancora oggi Prodi è un socio dell‟associazione: partecipa alle riunioni che facciamo (io oltre a essere redattore sono anche segretario dell‟associazione, così come lo era Edmondo) e però questo è un altro passaggio chiave, perché il Mulino inteso come laboratorio politico guarda con molto interesse all‟esperienza dell‟Ulivo e soprattutto mette a disposizione delle risorse, nel senso che ci sono alcuni giovani (oggi meno) che accompagnano questa esperienza e che si sono formati qui, come Franco Mosconi. 218 La rivista con quella impostazione prosegue sino al 2008; c‟è un cambio di grafica nel 2001, quando la rivista festeggia i 50 anni, viene organizzato un convegno qui a Bologna sulle riviste di cultura e politica in Europa. Questa è una cosa grande, fatta bene, grazie al lavoro di Alessandro Cavalli che in quegli anni era il direttore della rivista. Di fatto la rivista è sempre la stessa. Il cambiamento forte è quello che c‟è con l‟attuale direzione: a metà del 2008 viene proposto un progetto, approvato dalla direzione, che porta la rivista a essere come la vediamo oggi. (L‟associazione è proprietaria della testata, ogni tre anni si elegge il comitato di direzione della rivista, elezione che però avviene qualche mese prima). Nel 2008 il comitato di direzione elegge il direttore, si mette a punto la linea editoriale nuova, con un cambio di formato molto forte, una scommessa che non sappiamo dove ci porterà. Il tentativo è di catturare un pubblico più giovane e diverso, ma i vincoli della rivista intellettuale continuano ad esserci. E‟ vero che adesso il tentativo è di avere più pezzi e più rubriche, pezzi che sono commissionati, come durante la direzione di Edmondo, e si fa fatica a fare stare tutto in sei numeri l‟anno di 180 pagine. Il cambiamento vero è con il web. Nel febbraio del 2009 abbiamo deciso di entrare anche sul web e questa è stata una scommessa con risorse praticamente nulle. Ciò nonostante, grazie al blasone de “il Mulino”, stiamo riuscendo a mettere insieme un gruppo di collaboratori, 219 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica diverse decine, in giro per il mondo, che gratuitamente lavorano, e lavorano anche bene, facendo cose di buona qualità. E qui bisogna dire che le risposte ci sono state. Il sito serve anche per mettere alla prova le persone. Qualche risorsa però ci vuole. Il sito, quindi, è solo un costo, però risponde meglio allo statuto rispetto alla rivista scritta. E‟ certo che l‟esperienza dei quotidiani ti dice che è fallimentare la richiesta economica sul web. Noi possiamo contare su una grande quantità di autori e l‟editrice ha pubblicato 315 novità. Fortunatamente non è in passivo perché ha una coda alta di libri strumentali. La battuta di Evangelisti era che “i manuali sono la battona delle monografie” nel senso che tu puoi permetterti di pubblicare dei libri che sai saranno in perdita, soprattutto oggi come oggi con i grandi gruppi editoriali . Scontiamo un peso aziendale forte e delle difficoltà. Poche librerie e quasi tutti acquisti on line, Tornando alla rivista, il punto chiave è stato il 1991, lì c‟è il passaggio della formula e il lavoro che Edmondo svolge qui è crucial; siccome lui ha già in quegli anni rapporti consolidati con la stampa e con i giornalisti, riesce a fare in modo che la rivista abbia un minimo di visibilità negli anni della sua direzione (due mandati di 3 anni ciascuno). Edmondo era il direttore ideale perché non era per nulla invadente, perché avendo fatto lui stesso questo lavoro, sapeva come muoversi e allo stesso tempo se io avevo bisogno, lui era sempre presente. E da direttore si è aperto verso i giornalisti di qualità che invece dagli intellettuali sono visti come meno qualificati, e questo è stato poi il punto più delicato. Edmondo, infatti, 220 non veniva percepito da molti intellettuali come uno di loro. Secondo alcuni non era un vero intellettuale, ma soprattutto un funzionario della casa editrice che mano a mano e un po‟ furbescamente - occupandosi di sport e di canzonette - era riuscito a ritagliarsi uno spazio. Non è così, Edmondo è stato tutt‟altro, ma per onestà anche questo va detto Edmondo non ha mai avuto un titolo accademico, perché non ha mai voluto averlo, altrimenti, visti tutti gli ottimi rapporti che aveva, non avrebbe certo faticato ad avere una cattedra. Si percepiva, invece, in lui la voglia di essere più un tecnico che un intellettuale. Un tecnico che aveva però la fortuna di aver studiato negli anni giusti e che quindi poteva disporre di una visione ampia, perché il problema che io riscontro oggi è che chi dovrebbe trasmettere il sapere agli altri livelli, non ha più quello sguardo complessivo che invece è fondamentale per argomentare la realtà. Ci sono degli iper-specialismi, come quelli di tendenza dell‟università italiana. Edmondo aveva una memoria impressionante. Per esempio se tu gli dicevi la data di nascita di qualcuno, lui se la ricordava per sempre. Filippo Ceccarelli, in un articolo apparso su la «Repubblica» dopo la morte di Berselli, celebra l’autore ricordandone le doti di mediatore. Lei lo definirebbe tale? Non era un uomo di mediazione, un democristiano vecchio stampo, che riesce a gestire le cose. Tuttavia Edmondo era riuscito a tenere negli anni buoni rapporti con quasi tutti e quindi poteva e sapeva innanzitutto tirar fuori il meglio dalle 221 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica persone sia umanamente che professionalmente. E nel momento in cui gli serviva un‟informazione magari per spiegare una cosa in un pezzo, era in grado di andare dalla persona giusta, chiedere nel mondo corretto e farsi dire le cose importanti, quelle fondamentali. Ci riusciva perché aveva un bel rapporto paritario anche nella sua autorevolezza nel porsi. E‟ “il Mulino”, invece, che è aconflittuale. Arrivi qui e ti confronti con i problemi. Che questo sia vero lo dimostra lo stato attuale dell‟Associazione. 222 Appendice Articoli da la rivista “il Mulino” L'ultima recita dei partiti Contenuto nel numero 6, (novembre-dicembre) 1991, pp 1031-1044 Un'atmosfera da ultima spiaggia si è diffusa durante il 1991 nel nostro Paese. È stata stupefacente e brutale la rapidità con cui la tendenza generale si è rovesciata. Il passaggio dal clima di festa collettiva degli anni Ottanta ai poveri saldi di fine stagione dei Novanta ha fatto mozzare il fiato, e ha riportato in primo piano il plumbeo clima dei tempi della stagnazione. Sono bastati pochi mesi, a partire dalla guerra del Golfo, perché quasi tutti gli indicatori economici assumessero un segno negativo; la cattiva congiuntura mondiale ha cominciato ad assomigliare minacciosamente alla recessione; i timidi segnali di ripresa nel corso dell'anno sono apparsi via via più contraddittori e deludenti. Alla fine, la situazione italiana si è configurata come una perfida combinazione di crisi economica conclamata e di marasma politico pericolosamente vicino al collasso del sistema. Quel che forse è peggio, l'idea che l'Italia è un malato terminale si è diffusa irresistibilmente, permeando la collettività con quella che si potrebbe chiamare senza retorica una cultura del pessimismo. Aspettative tutte di carattere negativo sono divenute l'unico orizzonte visibile. Non è un caso che lo scrollone più appariscente, quello che è sembrato innescare l'alterazione di un sistema di equilibri ampiamente collaudati, sia venuto dai settori geneticamente filogovernativi, quelli dell' imprenditoria e dell'industria. Ma 223 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica diverse altre linee di crisi, svariate linee di faglia di possibili sconvolgimenti tellurici, si erano manifestate sul piano politico con cruda nitidezza nel corso dell' anno. Il referendum sterilizzato Il primo bruciante caso di shock politico si è registrato ovviamente con il referendum sulla preferenza unica alla Camera svoltosi il 9-10 giugno 1991. A distanza di tempo, e quindi dopo avere assistito a mente fredda al modo in cui la «Repubblica dei partiti» è riuscita finora a metabolizzare l'esito referendario, a ingoiare il rospo senza per il momento strozzarsi, il festoso plebiscito, quel 95,6 per cento dei votanti che ha detto «sì» alla liquidazione del sistema delle preferenze, sembra assumere le spoglie definitive di una solo temporanea rivincita, o vendetta, politica dei cittadini sui corridoi romani, sulle auto blu, sulla prevaricazione esercitata per via tangentizia o captando il consenso per via spartitoria e concessione monetaria. In ogni caso, a voler seguire lo schema iper-razionale che di solito viene applicato alle scelte elettorali espresse dall'opinione pubblica, se ne poteva dedurre che di fronte allo schiaffo di giugno i partiti avrebbero dovuto cercare di proporre come minimo una finzione riformatrice, per non esporre se stessi al rafforzamento dell' accusa che li bolla come agenti tutt'altro che segreti dell'immobilismo: altrimenti il capo di imputazione di miopia, insensibilità, chiusura, manipolazione della volontà popolare ne sarebbe disceso fin troppo naturalmente. Inutile dire che non è stato così. 224 Appendice Come forse si ricorderà, il primo a cercare di mettersi in tasca l'attraente patrimonio politico del referendum fu il presidente della Repubblica: a poche ore dall'esito del voto popolare, Francesco Cossiga si presentò alla televisione di Stato, sostenendo con un certo inatteso vigore due tesi piuttosto discutibili, una probabilmente tattica, l'altra forse di maggiore portata. Secondo la prima tesi, il risultato del referendum e il conseguente cambiamento delle regole elettorali poteva delegittimare retroattivamente la Camera dei deputati (e fin qui si poteva semplicemente sospettare che le parole del capo dello Stato facessero parte di quella trama di dispetti e cattive relazioni che ha contrapposto Quirinale e Parlamento negli ultimi due anni di legislatura). Invece la seconda argomentazione presidenziale era più capziosamente suggestiva, più insidiosa,e poteva prospettarsi nelle sembianze di una strategia sofisticata e ambiziosa. Dalla soluzione referendaria, infatti, il presidente della Repubblica faceva discendere immediatamente, come conseguenza automatica e necessaria, che il destino delle riforme istituzionali dovesse imboccare una strada plebiscitaria, praticata a colpi di consultazioni dirette del «popolo sovrano». Si trattava ancora una volta di una proposizione intrinsecamente discutibile, dal momento che, anche in una fase di tipo costituente, niente vieterebbe che proprio i partiti si presentassero tradizionalmente all'elettorato, ognuno chiedendo il consenso sulla base delle rispettive ipotesi riformatrici. E dunque l'indicazione accuratamente tempestiva della via referendaria per consentire ai cittadini di decidere «direttamente e 225 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica immediatamente» sulle modalità della trasformazione istituzionale non costituiva affatto un dogma democratico. In quel momento, anzi, il sillogismo del capo dello Stato appariva soprattutto come la sponsorizzazione di progetti di parte, e non era molto difficile individuare quella parte nel Psi, e i progetti costituzionali nel presidenzialismo craxiano. I passi successivi dell' azione presidenziale sembravano confermare la consapevolezza di un disegno, non del tutto precisato ma per sommi capi intuibile. Tanto per cominciare, il messaggio del capo dello Stato sulle riforme istituzionali, più volte annunciato, rinviato, limato assiduamente, ma in buona sostanza ispirato alla scelta che a «convalidare, ratificare o scegliere» la Costituzione della Seconda Repubblica fosse l'immancabile «popolo sovrano», piombava sulle Camere proprio alla vigilia del congresso straordinario socialista di fine giugno, confortando un Bettino Craxi reduce dalle due pesanti sconfitte ~ referendum sulle preferenze e alle elezioni regionali siciliane della settimana successiva, ma sempre convinto di poter restare ancorato alla propria scommessa, secondo cui esisterebbe una distanza crescente fra la maggioranza del Parlamento, legata a criteri di tipo rappresentativo, e la maggioranza dell'opinione pubblica, qualificata da una vocazione presidenzialista mortificata dalla resistenza vischiosa dello schieramento dei partiti. Si dà il caso, tuttavia, che in politica non tutti i conti tornino automaticamente: «Ai quadrati di De Mita - esemplificò una volta Giulio Andreotti a proposito di una presunta determinatissima volontà democristiana di "fare quadrato" contro gli avversari - manca sempre un lato»; a Cossiga e a 226 Appendice Craxi erano destinate a mancare le condizioni che avrebbero potuto dimostrare l'esistenza in Parlamento di uno scontro così forte, di una divisione talmente lacerante da poter giustificare il ricorso alla sanzione dirimente della volontà popolare. Il presidenzialismo sarà pure maggioritario nell' opinione pubblica, ma in Parlamento risultò fortemente minoritario. Di fatto, la prospettiva delle riforme istituzionali, riaccesa nelle aspettative generali dalle cifre parlanti del referendum, sfumava tristemente, almeno per questa legislatura, per schietta responsabilità dei partiti, proprio nel pieno del dibattito alla Camera sulle 86 cartelle del messaggio presidenziale. È stato il segretario del Partito democratico della sinistra, Achille Occhetto, a contribuire a questo risultato, mentre si proponeva di tendere volonterosamente la mano al Psi: «Non solo non stiamo preparando accordi strategici con la Dc - affermò Occhetto nel suo intervento ma anche per quanto riguarda la legge elettorale ci presentiamo con una prospettiva completamente diversa da quella che si configura attraverso la proposta democristiana». In realtà, si trattava di una tesi avanzata per banali questioni di politica politicante, dal momento che invece, a giudizio della quasi totalità degli osservatori, i progetti riformatori della Dc e del Pds apparivano, se non certamente identici, perlomeno analoghi, ispirati da una medesima logica di fondo. Si comprese in quel momento, senza neppure troppa sorpresa, che per l'ennesima volta al segretario del Pds non interessava tanto affermare un'ipotesi di riforma coerente ed efficace, funzionale a tutto il sistema politico, ma soltanto 227 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica richiamare sentimentalmente «le ragioni della sinistra», e quindi rammendare a parole il consunto vestito dell' alternativa entro l'immaginario atelier in cui si confezionano le mitologie politiche italiane. Per dirla tutta, il neonato Pds immolava senza contropartite, con un atto di generosità non richiesto, il suo progetto di riforma sull' altare dell' alternativa di sinistra; come compenso di questo imprevidente olocausto ricavava il consueto miraggio del «disgelo» con i socialisti. Senza minimamente pensare, o perlomeno senza valutare fino in fondo, che l'unica leva che può realisticamente fare scattare l'alternanza, nel nostro sistema politico, è solo ed esclusivamente la riforma elettorale. Come conseguenza, alla fine della estenuante discussione parlamentare sul pensiero istituzionale di Francesco Cossiga, il tema delle riforme era ricondotto definitivamente entro le regole non auree ma certamente classiche del mercato e soprattutto del mercanteggiamento politico: Craxi contro la Dc, a cui aveva segnalato con vigore che il perseguimento della proposta fondata sul Cancellierato e il premio di maggioranza sarebbe stato recepito come la volontà di considerare esaurito il ciclo ormai trentennale di collaborazione con i socialisti; isolata drammaticamente l'ipotesi presidenzialista, con il presidente della Repubblica affiancato soltanto dal Psi e dal Msi; erratico e incerto il Pds, in bilico faticoso fra l'ossequio formale al principio della rigidità costituzionale (e quindi favorevole a un moderato revisionismo della Costituzione), e le evasioni di fantasia a sinistra, che impongono di prendere in debita considerazione la volontà socialista di 228 Appendice passare con uno spettacolare salto istituzionale alla Seconda Repubblica. In questo ritorno della tematica istituzionale dentro la contrattazione politica c'erano tutte le condizioni per capire che ormai la macchina politica italiana era divenuta un ferrovecchio frenato dalle proprie ruggini, in cui ogni manovra sui comandi portava solo all'aumento dei giri del motore senza alcuna conseguenza che non fosse un rumore sgangherato; qualsiasi tentativo di accelerazione provocava soltanto il surriscaldamento delle parti più esposte e usurate. Ma si dispiegavano anche diversi indizi, piuttosto coerenti a volerli leggere tutti insieme, che dovevano risultare vagamente ma sensibilmente destabilizzanti per la psicologia politica che regna nella penombra dei corridoi romani. Per la prima volta dall'avvio del centrosinistra si ponevano le condizioni e il problema dell'interruzione del rapporto fra la Dc e il Psi. Non un incidente di percorso, come accadde con l'Andreotti-Malagodi nel 1972-73, un breve ritorno al centrismo, e neppure la sostanziale perdita di peso governativo del Psi (un Psi drammaticamente sotto il 10 per cento dei voti) durante la vicenda della solidarietà nazionale con i comunisti nel 1976-79, ma una vera e propria questione di fondo, lungo la quale l'equilibrio politico del nostro Paese potrebbe essere alterato in termini strutturali. Governare senza accordo Le conseguenze del surplace che da questa constatazione è seguito fra i due maggiori alleati di governo ha avuto 229 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica conseguenze nefaste sulla qualità dell' amministrazione. Occorrerebbe essere ciechi per non osservare che l'ultimo governo Andreotti ha come base di sopravvivenza una sola e sovrana regola: non toccare nessun nodo politico che esca dall'immediato. Lo si era notato fin dal momento della sua formazione, quando la questione istituzionale, che era stata posta (o imposta) da presidente della Repubblica al centro della trattativa per la formazione dell'esecutivo, all'ultimo momento era stata «sfilata» e rimandata a tempi migliori, dato che sull'argomento non esisteva la minima possibilità di accordo fra i due partner principali della maggioranza. L'immobilità costituiva quindi una connotazione per così dire costitutiva dell' alleanza. Case o necessità, infatti, la medesima trionfante tecnica è stata usata nei giorni convulsi che hanno portato alla redazione da parte del governo della legge finanziaria; l'unica manovra strutturale che avrebbe dovuto affiancare la legge di bilancio, vale a dire la riforma del sistema pensionistico, è stata messa da parte dopo un' opposizione del Psi in cui molti hanno visto il pese decisivo di valutazioni di stampo elettoralistico. In termini di bassa cucina politica, è lecito pensare che alla fine il «no socialista al progetto del ministro del Lavoro Franco Marin avesse fatto comodo anche ai democristiani (le pensioni costituiscono un argomento che brucia, sotto elezioni), come anche che il Psi avesse scommesso su un definito calcolo politico secondo cui nessuna decisione di un certo peso va presa da un governo che non sia contrassegnato da un più distinguibile marchio socialista. Dunque si deve rilevare che una percepibile linea di crisi passa dentro il centrosinistra. Craxi tiene il Psi nell' 230 Appendice esecutivo ma solo per l'obbligo morale di «assicurare la governabilità». Nello stesso tempo, cresce il risentimento del Psi verso metodo e stile di Andreotti (lo si è visto benissimo nel corse del congresso straordinario barese, con la platea dei delegati che invocava una netta sterzata a sinistra). Da parte demo cristiana, analoga acredine viene nutrita verso l'alleato, insieme con il disagio provocato dal diffondersi di un umore politico che vede nella Dc il «regime», l'intreccio istituzionalizzato d corposi interessi clientelari, di grandi corporativismi garantiti politicamente, oltreché di minimi privilegi distribuiti a pelle d leopardo per ancorare l'opinione pubblica al consenso. Ma ci sono anche aspetti meno soggettivi che accentuano la tendenza all'instabilità: la fine del pregiudizio ideologico verso l'ex Pci esalta la fluidità del sistema politico; e se è vero che la politica, come la natura, ha orrore del vuoto, sul fronte di sinistra si apre un arco di opportunità politiche inedite, dovute al fatto che in prospettiva le formule delle alleanze di governo non appaiono più dettate implacabilmente da dogmi politico-ideologici stringenti. Finiscono le dighe, le rendite, ma finiscono anche le formule di coalizione obbligate. In sostanza, almeno fino a settembre siamo di sicuro entro una situazione caratterizzata da una immobilità parossistica, ma le vie d'uscita appaiono ancora praticabili. Tutto potrebbe ancora essere giocato en politique, se i protagonisti della politica decidessero di assumere una iniziativa. 231 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Quando un patto storico entra in crisi Ma non lo fanno. La classe politica italiana sembra assoggettarsi senza resistenza a due spinte esattamente opposte, l'istinto di conservazione e un'oscura volontà di auto annientamento. Mentre cominciano a cedere a uno a uno i pilastri che avevano sorretto l'evoluzione politica del Paese e accompagnato il suo sviluppo socioeconomico, comincia all'improvviso ad allentarsi anche il patto che aveva unito gruppi d'interesse e partiti di governo. A metà settembre, il «partito dell'industria» alza il tiro cominciando a bombardare il quartier generale: fa sapere che ormai l'apparato industriale non riesce più a tollerare i costi del disfunzionamento. L'amministratore delegato della Fiat, Cesare Romiti, evoca la necessità di un imprecisato trauma, che possa schiodare il meccanismo politico. Eppure, benché i toni confindustriali diventino via via ultimativi, non si sente circolare una sola parola sul «come» l'attacco alla paralisi governativa possa tradursi in una spinta al cambiamento. La diagnosi fa aggio come sempre sulla terapia. Dal punto di vista del «regime», in assenza di indicazioni concrete, la storia degli ultimi decenni, da parte sua, autorizza a pensare che l'irritazione imprenditoriale non sia molto più che un episodio; malgrado infatti le ricorrenti lamentele delle associazioni imprenditoriali, che hanno costituito una sorta di basso continuo nella vicenda repubblicana, l'esperienza italiana è stata segnata da un accordo sostanziale fra ceto produttivo e classe di governo. Nulla di strano, com'è ovvio in una società avanzata. Dietro la parola d'ordine della ripartizione di competenze, 232 Appendice «l'industria agli industriali, la politica ai politici», si è dispiegato un tavolo il cui si sistemava l'intreccio degli interessi comuni: gli industriai contrattavano sgravi fiscali, misure di sostegno agli investimenti ( all'innovazione, politiche monetarie favorevoli alla competitività dei prodotti italiani, cassa integrazione e prepensionamenti, e I politici ricevevano un contributo diretto e indiretto dell'industria al mantenimento del sistema di consenso su cui si è basato il nostro Paese. La chiave di questo matrimonio d'interesse era data dalla premessa di perpetua immutabilità degli equilibri politici. In una convivenza obbligata, è opportuno ridurre al minimo l'intensità dei conflitti, e la mediazione, in una democrazia bloccata, diventa la regola primaria. Ma se la situazione si fa all'improvviso più fluida, in sé e per sé non ci sono più ragioni decisive perché il patto storico venga rinnovato come è sempre tacitamente stato rinnovato finora, insomma perché venga rinnovata gratuitamente la cambiale alla costellazione di potere fondata sulla Dc. Fino a pochi mesi fa, il sistema politico era irrigidito dall'inutilizzabilità del Pci. Oggi è ingessato dall'assenza di alternativa. Il «trauma» elettorale atteso e quasi auspicato da Romiti, come pure altre espressioni critiche verso il regime partitocratico, finisce inevitabilmente per precipitare entro l'assurda perfezione del congegno politico così com'è: un eventuale shock provocato da un voto di protesta significherebbe la crescita abnorme dell'ingovernabilità; il ricambio viene impedito dalle rigide norme di autori produzione che regolano l'esistenza dei partiti. La drammaticità della situazione politico-economica consiste allora nella somma di due fattori di segno negativo: 233 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica da un lato c'è l'impossibilità di trasferire al livello della decisione politica le scelte essenziali per orientare nuovamente allo sviluppo la società italiana, in quanto il sistema dei partiti negozia ogni istanza smembrandola fino alla dissoluzione; dall'altro lato fa sentire i suoi ipnotici effetti l'incapacità di allestire quello schema di competitività politica, proprio delle democrazie adulte, che è l'alternanza. Tuttavia ciò che risulta alla fine più preoccupante è che in Italia non si sta combattendo una facilmente identificabile partita manichea fra i buoni e i cattivi. Il «contratto» stipulato nel tempo fra amplissime fasce sociali e la classe politica di governo è sempre operante, ed è basato su una generosa redistribuzione senza contropartite (attraverso i titoli di Stato, gli stipendi pubblici, il regime previdenziale, cioè attraverso una creazione fittizia di ricchezza e benessere) che ha colpito al cuore le regole fondamentali a cui dovrebbe attenersi una collettività. Sarebbe ingenuo non registrare che gran parte della società italiana è divenuta in tal modo speculare alla classe politica, perfettamente «irresponsabile» di fronte a se stessa, incapace di accettare il profitto come indicatore della buona imprenditorialità allo stesso modo in cui non sa più concepire lo stipendio pubblico come il corrispettivo di una prestazione, bensì solo come una erogazione automatica o un diritto dovuto. Date queste condizioni, comincia piano piano a chiarirsi il paradosso tipicamente italiano che vede un sistema allestito pezzo su pezzo per rastrellare consenso attraverso la magia della redistribuzione raccogliere alla fine il maleficio del disprezzo e del rancore dei beneficati; ma si ha l'impressione 234 Appendice che i partiti di governo non siano nemmeno in grado di elaborare la risposta della protervia: cioè, state zitti voi, che ci avete guadagnato abbondantemente. Ascoltare il segretario della Dc Arnaldo Forlani che parla delle prospettive italiane equivale a un'overdose di Valium, che tuttavia non riesce più a risultare rassicurante. Tutto si intorpidisce, e il crampo della politica produce asfissia e spasmi tetanici. Il famoso disgelo a sinistra, atteso a ogni primavera per convogliare in una forza di governo i fiumiciattoli riformatori, si rivela come sempre un'illusione; l'azione degli altri partiti, se si esclude l'exploit contestatore di La Malfa, sul quale ritorneremo, è ininfluente. Così, durante il lungo autunno del '91, il rivolo del mugugno diventa un torrente impetuoso, lo sgocciolio della protesta una cascata. Tre tentativi di cambiamento In novembre, a Brescia, le elezioni amministrative, convocate dopo una spaccatura all'interno della Dc che aveva reso la città ingovernabile, danno luogo a un risultato che appare immediatamente come il paradigma futuro e finale della dissoluzione del sistema politico. Anche se per poche decine di voti, la Lega lombarda diventa il primo partito. Perdono tutti i grandi partiti, Dc e Pds evaporano. Non si tratta più dei soliti «campanelli d'allarme», come per anni i giornali hanno titolato dopo le elezioni non appena aumentava l'astensionismo o qualche altra leggera forma di protesta. Quella di Brescia non è una febbricola, è potenzialmente una malattia letale. Il pensiero che alle 235 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica prossime elezioni questo risultato possa essere duplicato su scala nazionale dovrebbe fare scattare le oligarchie di partito, indurre all'invenzione di contromisure. E invece, come al solito, sotto la paura niente. In Parlamento la discussione sulla legge finanziaria continua a rivelarsi quella trafelata disavventura fatta di ricerca di fondi attraverso misure come minimo problematiche e di assalti alla diligenza che era stata annunciata con largo e sconsolato anticipo. Sul piano delle contromosse politiche, il Psi propone nuovamente la soglia di sbarramento al5 per cento (con una serie di correttivi piuttosto complicati), che tutti interpretano come un provvedimento ad personam contro il senatore Bossi. Tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre, la Democrazia cristiana tiene dopo dieci anni una nuova conferenza programmatica, nella quale la riorganizzazione del partito viene modulata in chiave (auto)illusionistica, come se esistesse ancora un terreno comune fra partito e società. Il Pds, in assenza di una politica, si attesta su un ruolo di difesa della legalità costituzionale minacciata dal presidente della Repubblica, e apre la controversa e discutibile (e contestata di fatto anche a Botteghe Oscure) pratica dell' impeachment contro Cossiga. Siamo paurosamente vicini al risultato definitivo della politica afflosciata su se stessa, implosa, pronta a precipitare nel collasso che la ridurrà a materia amorfa. Eppure qualcosa si muove. Si possono vedere almeno tre novità politiche di un certo peso: in primo luogo, anche per la sua platealità, il ruolo assunto dal presidente della Repubblica; poi, la posizione in cui si è collocato il Pri di Giorgio La 236 Appendice Malfa; e infine la coalizione referendaria, che sta maturando una trasversalità inattesa e assume dimensioni e livelli di consenso inaspettati. Cominciamo dal Quirinale. La contabilità politica dice che il capo dello Stato, sotto il profilo politico, è da tempo uno sconfitto. Teneva a liquidare il Parlamento attuale, verso cui non ha perso occasione di manifestare la sua ostilità, e non c'è riuscito. Ha puntato alle elezioni anticipate, e invece la legislatura ha resistito. Ha cercato di fare saltare Andreotti imponendo una crisi di governo centrata sui temi costituzionali, e ha dovuto sopportare sia la formazione claudicante dell' Andreotti settimo sia che le riforme istituzionali venissero «sfilate» dagli accordi che hanno portato all'ultimo governo. Ha tentato di scuotere la scena con il messaggio alle Camere sulle istituzioni, e il risultato finale ha visto le ipotesi della Seconda Repubblica e del presidenzialismo confinate in una limitata minoranza del Parlamento. Ha varato l'operazione Curcio, cioè la soluzione di una grazia politica verso il fondatore delle Brigate rosse per chiudere i conti con le ombre del passato, provocando la ribellione non solo della classe politica ma soprattutto di quella «gente comune» a cui Cossiga ama riferirsi contro le oligarchie del potere. Il suo poker contro la corporazione dei giudici, che avrebbe potuto guadagnargli un piatto politico di eccezionale rilievo, è stato dissipato per la sua incapacità di uscire dalla logica della denuncia tonitruante e di stringere con pazienza alleanze ragionevolmente fruttuose. Non si è ancora capito del tutto che cosa abbia indotto il presidente, dopo cinque anni da notaio, a trasformarsi nel grande esternatore. Chi sottolinea il suo continuo oscillare 237 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica fra pathos e prudenza, fra insulto e riconciliazione, fra attacco a freddo e successiva pacificazione ha considerato la frenetica loquela di Cossiga o come un caso psicologico (il che non ha alcun rilievo politico), oppure come una serie clamorosa di infrazioni del galateo politico. Tuttavia sarebbe una sottovalutazione consegnare l'uomo del Quirinale al puro folklore. Tanto più che, preso di per sé, il contenuto di molti pronunciamenti presidenziali è ampiamente condivisibile. E dunque occorrerebbe cercare di capire se esiste da parte dell'uomo politico Francesco Cossiga - non del suo alter ego che si dedica allo spettacolo - un disegno razionale che non sia stretto calcolo difensivo (alzare il polverone per esorcizzare i fantasmi che gli sono stati evocati contro come Gladio, il Piano Solo, la P2) né attribuibile ad alti e bassi dell'umore, né dovuto a un'urgenza di comunicare così spasmodica da abbattere le formalità della carica che ricopre. Se fosse uscito dal Quirinale dopo un settennato incolore, Cossiga sarebbe rientrato nei ranghi democristiani confinato in un notabilato senza gloria. Può darsi che in passato abbia nutrito qualche speranza di raddoppiare il mandato, cosa che oggi sarebbe impossibile senza accettare candidature e investiture vagamente imbarazzanti come quelle espresse sui manifesti pubblicitari dal Movimento sociale. Ma i mesi vissuti pericolosamente da «Externator», nonostante la «catastrofe stilistica» che gli è stata ripetutamente rimproverata, devono averlo convinto che il suo destino è tutto nella politica, altro che ritornare alla polvere degli studi universitari. Prima ha nutrito un rapporto simbiotico con il Psi, che però, pur facendogli continuamente da supporto, ha 238 Appendice via via maturato una posizione di prudenza. Poi ha avviato una strategia di aggressione spregiudicata contro quello che chiama «il mio ex partito», cioè la Dc. Ormai potrebbe importare poco delle ragioni per cui il Cossiga presidente parla e agisce come ci ha abituati; forse sarebbe più interessante giudicare le sue azioni e le sue parole come le premesse di una sua nuova avventura politica. Non senza qualche ragione, benché suffragata soprattutto dagli effimeri dati degli indici televisivi di popolarità e dalle ambigue cifre dei sondaggi, egli si sente sorretto da un ampio consenso popolare. Intravede un proseguimento di carriera che lo sottrarrebbe all' anonimato politico. Forse non ci si dovrebbe stupire più di tanto se dal Cossiga presidente dovesse nascere il Cossiga capo-fazione. Potrebbe diventarlo addirittura di una nuova corrente democristiana, se cambiasse nuovamente idea sul partito da cui proviene e decidesse di scuoterlo dall'interno; ma anche fuori dalla Dc, come emulo populista di Leoluca Orlando in un movimento dai pronunciati caratteri antisistema e antipartito, o in una sorta di «Rassemblement du peuple italien» che si proponesse di coagulare la protesta in chiave cripto-gollista. Ma per giungere a una soluzione di questo genere (che forse potrebbe risultare non implausibile dato il tifo calcistico che riscuote ormai il «partito del piccone»), per sciogliere il tortuoso rapporto di amore-odio per la Dc, occorre appunto la determinazione di passare decisivamente, come Cossiga ebbe a dire una volta, «dalla commedia al dramma, dalla farsa alla tragedia», e finora invece abbiamo conosciuto soltanto il Cossiga a giorni alterni, oggi che promette di non firmare il decreto che prolunga l'attività 239 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica della Commissione stragi, domani che all'ultimo minuto appone la firma, oggi volutamente a un passo dalla farsa, domani rischiosamente in bilico sulla tragedia. Per ora si può solo registrare che si è di fronte a una rappresentazione a sipario strappato, senza fine, in cui il capocomico fa vedere agli spettatori la mediocrità dei trucchi che animano la commedia. Un secondo fattore con ragguardevoli connotati di novità, nel corso di questa anonima crisi, è l'inedita posizione assunta dal Partito repubblicano. Giorgio La Malfa era uscito tempestosamente dalla compagine di governo proprio nel momento in cui Giulio Andreotti stava per annunciare la composizione del suo settimo gabinetto. I giudizi della prima ora avevano posto in rilievo che il ritiro della pattuglia repubblicana dall'esecutivo e dalla maggioranza nasceva impreparato, dal momento che era il frutto di un calcolo politico interno al Pri (centrato sulla sostituzione di Oscar Mammì al ministero delle Poste), che avrebbe determinato senza dubbio ripercussioni a cascata sulla situazione politica, ma appariva ancora dettato da una situazione contingente. Nei primi tempi dopo il ritiro dal governo, le valutazioni sulla decisione assunta dal segretario repubblicano erano state piuttosto dibattute, e la controversia si era sviluppata anche all'interno del partito. L' «opposizione di centro» inventata da La Malfa era apparsa eccessivamente estemporanea per il partito a più forte vocazione governativa presente in Parlamento. Secondo alcuni, per il Pri sottrarsi al compito di governare poteva equivalere di fatto a un'abdicazione politica. E invece almeno per ora il progetto elaborato a posteriori da La Malfa 240 Appendice sulla trama di equivoci dell' Andreotti settimo sembra attrarre consensi e guadagnare peso. Ciò si è verificato a Brescia, dove la contestazione repubblicana nei confronti della Dc è risultata pagante; ma soprattutto è opportuno prendere atto che la guerriglia che La Malfa conduce contro il governo, soprattutto a colpi di interviste giornalistiche, in qualche forma e misura intercetta l'insoddisfazione espressa dalle organizzazioni degli imprenditori, dall'Italia che si richiama ostentatamente a criteri di onestà, da quel mondo insomma che ha sempre guardato al Pri come custode di quel tanto di rigore amministrativo che era residualmente possibile nel clan della contrattazione. La Malfa e Bruno Visentini hanno tentato più volte di puntare forte su una roulette politica ancora in movimento, formulando l'auspicio che il governo del Paese potesse essere assunto da un governo di competenti, capaci, onesti. Il segretario ha addirittura manifestato l'opinione che il Pri potrebbe dissolversi in un più ampio schieramento alternativo, capace di sfidare il «regime» per consegnare l'Italia in mani più efficienti. Come per miracolo della dimenticanza si è ricominciato a parlare del fantomatico «partito degli onesti», dimenticando per l'ennesima volta che nessuna alternativa realistica si può costruire su fondamenta extrapolitiche. Si è anche dimenticato, solo per citare ad esempio uno degli onesti più sovente evocati, che Norberto Bobbio ebbe a definire più volte il partito degli onesti come una «truffa reazionaria». Si deve anche segnalare che l'ipotesi «ideologica» su cui La Malfa ha scommesso nel lungo periodo è assolutamente eroica, ed è fondata sulla spaccatura in due tronconi del 241 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica sistema politico italiano, da una parte coloro che si riconoscono nel mercato (e quindi in criteri di efficienza, compatibilità economica ecc.), e coloro che invece sono legati a principi e umori di tipo populistico: eccellente sul piano della astrazione, per essere calata nella realtà questa idea strategica dovrebbe essere confortata dalla simultanea spaccatura in due blocchi della Dc: un'ipotesi che anche in questo momento continua a prospettarsi scarsamente plausibile. Su basi più realistiche, è ragionevole aspettarsi che la grande fuga di La Malfa dalla Dc possa portare al Pri qualche punto percentuale alle prossime elezioni politiche, ma è assai dubbio che possa catalizzare uno schieramento di alternativa. Il terzo caso di contestazione interna al sistema dei partiti viene dal fronte referendario. Il Comitato Segni, sulla scia della grande vittoria riscossa i19-10 giugno, incarna la volontà di porre fine al sistema consociativo, alla lunga stagione trasformista prodotta dal sistema elettorale proporzionale; il Comitato Giannini aggredisce più direttamente l'occupazione partitocratica dell' economia. Ma ciò che sembra farsi più evidente di giorno in giorno sul piano generale è che l'esperienza referendaria tende irresistibilmente ad assumere una forma che prelude a un più diretto coinvolgimento nella lotta fra i partiti. Sono state formulate esplicite proposte affinché lo schieramento che promuove i referendum possa diventare una forza politica trasversalmente antagonista alle vecchie e compromesse forze politiche. Anche in questo caso, il progetto di un partito dei referendum sarebbe più o meno un' assurdità, considerata l'amplissima varietà di posizioni politiche 242 Appendice presenti nello schieramento referendario, e concordi soltanto sul tentativo di sbloccare i cardini del sistema facendo leva sulla consultazione popolare. Tuttavia il successo del fronte referendario, sia di critica sia di pubblico, tanto fra le aristocrazie quanto a livello popolare, appare comunque innegabile. Ma anche se gli obiettivi di Segni e Giannini appaiono ragionevoli e condivisibili, lo spettacolo schizofrenico di un'Italia buona e onesta che attende ansiosamente i referendum, separata dall'Italia maligna dei partiti, chiusa nel proprio irriducibile mutismo e dedita alle proprie perfide liturgie, risulta ancora una volta irrealistica. Un gioco delle parti tipicamente da società di corte fa sì che i salotti dell'alta borghesia milanese si aprano ai promotori dei referendum. Ma se è concesso formulare un'ipotesi consapevolmente impopolare, si può prevedere che non sarà l'incongruo partito trasversale dei referendum a modificare la situazione politica e a riportarla su un sentiero di razionalità, a costituire la nuova maggioranza o la nuova opposizione. Dai referendum elettorali dobbiamo aspettarci solo (ed è già moltissimo) una vigorosa spallata alle regole attuali, e un impulso fortissimo a una riforma complessiva delle istituzioni. Invece, e non si scappa, la questione politica dovrà essere elaborata politicamente. Non sarà la Lega nazionale vagheggiata da Eugenio Scalfari, non sarà l'improbabile partito degli onesti, non sarà il supergoverno dei tecnici a trarre la politica italiana dalle secche in cui è incagliata: ammesso che ne siano capaci, saranno ancora una volta i partiti, o nessun altro. 243 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica L'ultimo trasformismo Numerosi indizi e molti dati di fatto lasciano pensare che i partiti politici italiani non abbiano ancora assorbito completamente l'ondata d'urto provocata dalle rivoluzioni del 1989 e dalla decomunistizzazione nell'Europa centrale e orientale. Nel momento in cui l'Unione Sovietica si dissolve e ogni residuo ideologico viene estinto, il Pds si ritrova finalmente come un partito davvero «nuovo», purificato magari senza troppo merito dal peccato originale leninista; e di conseguenza vengono necessariamente a cadere gran parte delle convenzioni politiche che hanno retto il nostro sistema, a partire dalla prima e fondamentale: vale a dire la scelta di parte anticomunista, che ha inciso in profondità tutta la vicenda repubblicana e che oggi non riveste più alcun significato effettivo. Cambia quindi l'ambiente dell'agire politico, il copione della commedia si trasforma radicalmente: la Dc non può fare conto ulteriormente sulla rendita di posizione garantita dalla scelta di civiltà, occidentale e liberaldemocratica, contro il Pci stalinista di Palmiro Togliatti, e nemmeno sull'intonazione moderata che aveva fatto valere contro i tratti fortemente antagonistici assunti dopo la solidarietà nazionale dalla segreteria Berlinguer. Ma nessuno è immune dal flusso di trasformazione. Per il Psi svanisce il ruolo corsaro esercitato con evidente consapevolezza e determinazione nell'ultima parte del quindicennio craxiano, caratterizzato da un'alleanza «obbligata», in nome della governabilità, con la Dc e da un aspro anticomunismo che bilanciava a sinistra la rissosa rivalità esercitata nei 244 Appendice confronti del partito di maggioranza relativa. Contemporaneamente, nel momento in cui lo show di fine secolo a Mosca e a San Pietroburgo spazza via ogni tara ideologica, il Pds può salutare la propria mutazione genetica e la propria resurrezione sotto legittimate spoglie liberal, ma vede simultaneamente sbrecciarsi la sua comoda posizione di oppositore coatto, di fisiologico raccoglitore di tutte le proteste, niente affatto preoccupato di tradurre in programma potenzialmente governativo l'antagonismo sociale e politico di cui si faceva portavoce. Se queste premesse sono accettabili, la prima conclusione consiste nell' attestare che oggi tutti i maggiori partiti appaiono nudi. Ognuno di essi dovrebbe misurarsi sui programmi, presentare proposte amministrative e su queste chiedere il giudizio degli elettori, competendo per porsi alla guida del Paese. Ed è proprio su questo punto che la pletorica macchina politica italiana rivela tutti i suoi deficit di qualità. I partiti, infatti, sono abituati a confrontarsi sul terreno che va dal più gretto clientelismo e dai tatticismi negoziali alle più sesquipedali e barocche questioni ideologiche, ma non sulla buona amministrazione della cosa pubblica. Fino a pochi mesi fa, più che su progetti concreti, hanno chiesto il consenso su una Weltanschauung, oppure hanno offerto pensioni e impieghi nel parastato. Adesso che devono abbandonare il piccolo cabotaggio, e navigare in alto mare senza più la precisa stella polare della contrapposizione ideologica, non possono non trovarsi drammaticamente disorientati, legati a una serie di comportamenti che non hanno più riscontro con la realtà, a 245 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica dichiarazioni di principio che sembrano prodotte da una morbosa coazione a ripetere. Le elezioni della primavera prossima [1992] saranno le prime che si svolgeranno senza la condizione base che ha contraddistinto la politica dell'Italia repubblicana, e cioè la conventio ad excludendum nei riguardi del principale partito di opposizione. La sclerosi della politica attuale tende a smorzare il significato di questa prospettiva inedita. Ma anche Luigi XVI annotava cinicamente «Rien» sulla pagina di diario del 14 luglio 1789, a Bastiglia appena presa. Se si prendono le distanze dallo scetticismo con cui i santuari politici della capitale registrano le novità, non si può ignorare che l'acquisita normalità del Pds significa che una moltitudine di potenzialità politiche finora ibernate sotto una campana di vetro vengono liberate, ed è insensato pensare che ciò non si ripercuota sulle strategie dei partiti, sulla formazione delle alleanze, sugli accordi di prospettiva. Certo, si è legittimati a pensare che il gioco al suicidio dei partiti possa proseguire inesorabilmente; ma accettare questa ipotesi comporterebbe accettare l'ineluttabilità di un cammino di decadenza avviato dal Paese, con un inevitabile destino sudamericano, nel cui orizzonte si configurano la perdita progressiva di legittimità, l'iperinflazione, le aspettative irrazionali che al posto della politica qualcuno, un uomo, un gruppo, sia capace di assumere un ruolo provvidenziale. Il fatto è che per tentare l'ardua impresa di uscire dal trasformismo occorre paradossalmente un ulteriore esercizio trasformistico. È proprio necessario che il Barone di Miinchhausen si afferri per il codino della parrucca e 246 Appendice depositi se stesso e il cavallo dall' altra parte della palude. Chi nega questa ipotesi, e invoca spallate e traumi, sembra ignorare che le capacità di assorbimento del sistema politico sono enormi. Già il Pds non rappresenta più fortunatamente un'alternativa di sistema, e quindi potrà essere cooptato nel governo non appena ciò sarà ritenuto necessario: costituisce una delle primarie forme di difesa di qualsiasi organismo complesso la soluzione di associare nella gestione i soggetti più conflittuali, per ridurre al minimo il tasso di scontro. Ma perfino la Lega lombarda, una volta emersa come forza politica di una certa consistenza in un Parlamento fortemente frammentato, potrebbe essere coinvolta nelle pratiche di governo. Angelo Panebianco ha parlato del sistema sociopolitico italiano come di una «maionese impazzita», nella quale tutti gli ingredienti perdono coesione e degradano senza scampo; tuttavia, a pensarci bene, potrebbe darsi che la maionese sia perfettamente riuscita, che riesca a integrare attraverso chimismi misteriosi qualsiasi nuovo componente si butti nell'impasto. D'accordo che il sapore risulta pessimo, ma la formula funziona con diabolica perfezione e promette anzi minacciosamente di resistere per l'eternità. D'altra parte, risulta difficile contraddire il pessimismo sulla capacità dei partiti e del Parlamento di giungere concordemente a una invenzione alchemica che permetta di scomporre razionalmente maggioranze e minoranze, per arrivare insomma a uno schema di tipo europeo, quello stesso che permette alla Cdu di governare con il 43,8 per cento dei voti, ai conservatori inglesi con il 42,3, ai socialisti spagnoli con il 39,6, ai socialisti francesi con il 37,5 (tutte 247 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica percentuali che vengono poi esaltate dal congegno elettorale dei vari Paesi, e portate oltre la maggioranza assoluta o alle soglie di essa). Toccherà in primo luogo alla Dc dimostrare se la sua proposta istituzionale è stata avanzata semplicemente per dovere di ufficio oppure per impegnare effettivamente il partito su di essa. E toccherà di conseguenza al Psi decidere come comportarsi di fronte a un'eventuale presa d'iniziativa democristiana. Durante i mesi di novembre e dicembre, Bettino Craxi è sembrato piuttosto deciso nell'affermare che la prossima legislatura vedrà una maggioranza di governo ancora fissata sull' asse Dc-Psi. L'unica novità che si potrebbe intravedere è il ritorno del leader socialista a Palazzo Chigi. E resta da notare che in questa politicamente tranquillizzante, anzi narcotica, prospettiva politica non c'è alcun elemento di novità, alcuna risposta che non sia personalistica o volontaristica, e quindi arbitraria, ai problemi del Paese. Ad ogni modo, per il momento non rimane altro che aspettare l'esito delle elezioni politiche: perché sulle percentuali della primavera prossima si misurerà il grado di consapevolezza dei partiti riguardo alla crisi del sistema, e se essi mostreranno la volontà di adeguarsi a un principio di razionalità (oltre che allo scadenziario dettato dalla Conferenza europea di Maastricht, che di per sé imporrebbe l'abbandono della computisteria di fazione in favore di una strategia nazionale improntata all'impegno richiesto). Sappiamo già che nel caso di una frantumazione della rappresentanza avremo di fronte una sola alternativa: il proseguimento, da un lato, della grande coalizione 248 Appendice trasformistica, con la cooptazione assicurata a chiunque prometta di alimentarla nei limiti di una conflittualità interna accettabile e di uno sperimentatissimo gioco di contrattazioni, veti, ricatti, negoziati, risarcimenti, scambi; oppure, dall' altro, la ripresa di iniziativa dei partiti, una scommessa civile che si decida a mettere a rischio il capitale per non vederlo eroso giorno per giorno. A malincuore, e con la consapevolezza che la condizione di questi partiti è tale da non autorizzare speranze troppo complesse, i cittadini italiani dovrebbero augurarsi un altro paradosso politico, e cioè che - per paura - i responsabili del degrado riescano a diventare i restauratori, gli autori dello sperpero i risanatori, gli scialacquatori della morale i moralizzatori. Per garantirsi una sopravvivenza, è l'ultima strada che hanno di fronte. Nel pessimismo di quest'ora così inquieta, in assenza di strategie coerenti, dovremmo essere disposti a credere per l'ultima volta alla più imbarazzante delle risorse e abitudini italiane, il colpo di teatro. 249 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica La tv, la politica e l'antidoto del mercato Contenuto nel numero 2, (marzo-aprile) 2003 pp 317-325 Nello marzo 2003 si è constatato senza possibilità di dubbio come la televisione rappresenti un problema politico; e subito dopo come questo problema politico si sia dilatato fino a rivelarsi un severo problema istituzionale. Non che prima potessero esserci tante incertezze in proposito. Ma l'autentica nevrosi che ha sovreccitato tutto il sistema politico durante i giorni che hanno condotto alla nomina del nuovo Consiglio d'amministrazione della Rai è l'esemplificazione più chiara della portata politica che viene attribuita al controllo della televisione pubblica, nel contesto della situazione patrimoniale che investe il presidente del Consiglio; e il processo decisionale che ha condotto alla soluzione del caso creatosi con la caduta del Cda precedente, presieduto da Antonio Baldassarre, costituisce la prova che la questione politica si proietta inevitabilmente, e non proprio con riflessi positivi, sulle presidenze delle Camere, a cui la legge del 1993 assegna la titolarità della nomina. Perché la televisione è una risorsa politica Nell'attesa di conoscere l'esito parlamentare della cosiddetta legge di sistema, messa a punto dal ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, e a cui l'Ulivo oppone i soliti duemila emendamenti, conviene provare a definire alcuni aspetti di fondo, riguardanti l'orizzonte 250 Appendice contemporaneo della televisione generalista, nei quali si può riscontrare come agisca l'intreccio fra politica e struttura televisiva. Prima di tutto, è utile chiarire le ragioni per cui oggi la classe politica considera il sistema della televisione, e in particolare l'apparato della televisione di Stato, come una risorsa cruciale per la formazione e il mantenimento del consenso politico. C'è in primo luogo l'evidenza secondo cui l'assetto proprietario delle reti Mediaset, in quanto riconducibile a Silvio Berlusconi, «scarica» sul secondo ramo del duopolio, la Rai, l'interesse essenziale di tutto il sistema politico. Una metà sostanziale della televisione italiana, infatti, non è né contendi. bile sul mercato né negozia bile in termini politici. Al di là della correttezza giornalistica e dell' equilibrio professionale delle principali figure che gestiscono l'informazione di casa Mediaset, dovrebbe essere chiaro che l'indirizzo culturale, il contenuto e l'orientamento politico delle reti berlusconiane appartengono a una sfera larghissimamente discrezionale. Ciò vuol dire che non esiste nessuna garanzia formale e sostanziale che i telegiornali e i programmi d'informazione debbano rispondere a criteri di imparzialità. Il privato è il privato, e il fatto che la proprietà di mezzo duopolio sia da ricondurre al capo del governo è un semplice incidente della storia politica italiana. È vero che sono state create le norme sulla «par condicio», ma esse sono state attive soltanto durante le campagne elettorali. A sua volta, il pluralismo dei contenuti politici delle reti Mediaset è garantito, ammesso che si possa usare questa espressione, da fattori impalpabili. Nel 1994, conferendo l'incarico di formare il governo a 251 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Berlusconi, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro si assunse un ruolo di garanzia informale, come se dovesse essere paradossalmente il sovrano a coprire la responsabilità politica del capo del governo; in seguito la legge sulla par condicio ha tamponato il problema alla meno peggio, ma al prezzo di ulteriori rigidità al dibattito pubblico, tali da recare danno alla stessa libertà di informazione, e di favorire ulteriori processi manipolativi. Nel 2002 Carlo Azeglio Ciampi è ricorso allo strumento non proprio ovvio del messaggio alle Camere, e in seguito a interventi tutti ispirati da una preoccupazione acuta per la tenuta del pluralismo nell'informazione. Su questo terreno è arduo immaginare rimedi, se non radicali. Ma poiché il radicalismo dell'eventuale terapia entrerebbe in conflitto con l'interesse di una parte del sistema politico, è più conveniente per il momento limitarsi all' aspetto diagnostico. Un approccio meno scontato potrebbe ad esempio prendere in considerazione le altre ragioni (altre rispetto a un rischio monopolistico conclamato) per cui l'informazione televisiva riveste un'importanza essenziale per la politica italiana. Ora, se è evidente che i grandi numeri dell'audience televisiva costituiscono un fenomeno di rilievo immediato, tale da testimoniare con nettezza il peso potenziale della televisione nella formazione delle opinioni, meno evidente risulta tuttavia per quale motivo dovrebbe esserci una congruenza così forte tra il controllo del medium televisivo e la formazione del consenso politico. Occorre una visione pessimistica della società italiana per immaginarla come una 252 Appendice sudditanza indistinta, dominata dalla potenza intrinseca del medium stesso. E in realtà anche le indagini che hanno cercato di misurare l'influsso della televisione sull'espressione del voto, come quelle del gruppo di ricerca ITANES, mostrano una platea segmentata, su cui non è il caso di immaginare un imprinting deterministico delle visioni del mondo proiettate dal sistema televisivo. È vero che ITANES ha mostrato un particolare parallelismo fra il voto per il centrodestra di alcune fasce sociali, in genere «marginali», e la loro esposizione ai programmi Mediaset; ma questo aspetto semmai offrirebbe una spiegazione supplementare dell' accanimento mostrato dalle parti politiche nella battaglia per il controllo dello spazio televisivo residuale, ovvero la Rai. E non spiegherebbe affatto per quale motivo i ceti più moderni e preparati dovrebbero essere inerti davanti al piccolo schermo fino a risultare succubi della sua influenza politica. Un pessimismo di questo tipo è forse concepibile sul piano di una critica sociale di tipo antropologico, o filosofico: le masse televisive «implose nella privacy» si stagliano come una suggestiva immagine di Carlo Galli (La guerra globale, Laterza, 2002), che allude a un universo sociale amorfo, e in quanto tale strumentalizzabile e manipolabile dalla ratio implicita nel processo complessivo della postmodernità. Tuttavia, prima degli esiti finali della grande omologazione, non è inutile concentrarsi su aspetti più circoscritti, attraverso i quali sia possibile una spiegazione almeno parziale del dominio televisivo sulla formazione dell' opinione pubblica. 253 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Anche la spiegazione di Giovanni Sartori, secondo il quale la ricerca obbligata dell' audience innesca un meccanismo qualitativamente al ribasso, appare di taglia troppo ingente per essere efficacemente esplicativa di processi più parziali. Sul terreno empirico in questo momento non è in gioco la televisione «cattiva maestra», bensì il complesso di ragioni che designano il peso politico dell'informazione televisiva in una società come quella italiana. Sotto questo profilo, un'ipotesi da valutare è che l'incombere dei messaggi televisivi vada di pari passo con la perdita di autorevolezza della stampa quotidiana. Le ragioni che possono spiegare questo dato di percezione sono numerose, ma una di esse ha un contenuto più «politico» delle altre. Nei quotidiani d'opinione, la necessità dettata da comprensibili motivi di marketing di apparire il più possibile neutrali rispetto al conflitto politico contingente, e generalmente in posizione «terza» riguardo al confronto fra i due schieramenti ufficiali, tende a stemperare le posizioni o a renderle percettivamente irrilevanti: in questo senso, la denuncia delle viziosità intrinseche al centrodestra e al centrosinistra si qualifica agli occhi di molti lettori non tanto come una posizione sopra le parti, ma come un patteggiamento continuo, una compensazione manieristica e alla lunga irritante. Ancora: l'attenzione meticolosa alle minuzie quotidiane della vita politica romana, la spettacolarizzazione del gossip, il retroscenismo, fanno perdere di vista la portata reale del confronto politico; mentre il logorio inevitabile dei commentatori principali, ciascuno preoccupato di non essere identificabile come una figura sbilanciata verso uno 254 Appendice schieramento, può rendere irrilevanti le loro posizioni, e condurre il pubblico a una sostanziale diffidenza verso i loro giudizi. Detto a margine, ciò contribuisce inoltre a spiegare il successo - ovviamente di critica - di un giornale come «lI Foglio», in quanto il quotidiano di Giuliano Ferrara si propone come il campione di un'informazione partisan, senza dissimulazioni retoriche. O viceversa spiega il successo di mercato dell'«Unità» diretta da Furio Colombo e Antonio Padellaro, che ostenta un atteggiamento critico più estremizzato di quanto non sia la linea del suo partito di riferimento. Su questo sfondo, pur tratteggiato con sommarietà, la brutalità espressiva dell'informazione televisiva assume un segno di forza grandissima. Mentre la carta stampata approfondisce e moltiplica, senza per questo risultare autorevole e credibile, il piccolo schermo seleziona e intensifica, diventando nel medio periodo molto più persuasivo. Oltretutto, si nota facilmente che la televisione si appropria con prontezza degli elementi di novità che appaiono sui giornali, e li proietta in tempo reale nell'opinione pubblica, facendoli diventare ulteriori schegge della propria sfera di contenuti politici e di immagini pubbliche. Quando la televisione «produce» li assetto politico In televisione il pluralismo è una condizione necessaria ma non sufficiente ad assicurare un'informazione distaccata o 255 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica «corretta». Le possibilità discorsive offerte dal montaggio, dalla titolazione, dalle scalette dei telegiornali, dalla scelta degli argomenti e dal taglio e dal contesto delle dichiarazioni pubbliche sono talmente numerose per cui la faziosità si può esprimere anche in un prodotto ineccepibile dal lato professionale. Ma non è tutto. Si è dato con bella chiarezza almeno un caso in cui è stato lo stesso formato di una trasmissione politica a sovrapporsi in modo prepotente sul processo politico in corso, assecondando e nello stesso tempo influenzando l'esito di una fase politica. Si ricorderà infatti che nella campagna elettorale del 1994 esistevano tre entità politiche in competizione. Il bipolarismo era ancora in formazione, e sulla scena politica erano presenti l'alleanza capeggiata da Berlusconi, la «gioiosa macchina da guerra» guidata da Achille Occhetto, e il Patto per l'Italia siglato da Mario Segni e Mino Martinazzoli. Ebbene, il clou di quella campagna fu rappresentato dal confronto, quello sì «bipolare» fra Berlusconi e Occhetto negli studi di Canale 5. Con ogni probabilità il polo centrista era stato già sconfitto da un sentimento collettivo, suggerito dai mezzi d'informazione e da molti improvvisati fondamentalisti del maggioritario, secondo cui nel nuovo schema elettorale lo slogan di fondo era «o di qua o di là», senza la possibilità di sfumature intermedie; tuttavia il confronto fra il capo dei moderati e il leader dei progressisti esprimeva anche plasticamente la necessità o l'obbligo di adeguarsi a un principio alternativo, a una scelta esclusiva, alla cogenza aristotelica del «tertium non datur». 256 Appendice In chiave di sistema, questo rende manifesta l'importanza strategica dell'accesso all'informazione; d'altronde, è noto che, sottoposti a un test demoscopica, numerosi elettori inglesi negli ultimi decenni dichiaravano la propria disponibilità almeno astratta a votare per il «terzo partito», uscendo dalla gabbia del confronto bipartitico fra Labour e Tory, «se i liberaldemocratici avessero una possibilità di vittoria»: il che dice qualcosa sull' esistenza di barriere all' ingresso del mercato politicoelettorale, dal momento che le chance di successo nelle urne dipendono anche dalla presenza e dalla visibilità nel dibattito pubblico, ovvero dall' accesso alla risorsa dell' informazione di massa e dal modo in cui il sistema dell'informazione presenta la competizione elettorale. Come si sa, il polo centrista alle elezioni del '94 vide sacrificati sull' altare del bipolarismo nascente i propri sei milioni di voti. In seguito, i casi sono stati meno clamorosi, dal momento che la macchina bipolare si era andata assestando, e il confronto si imperniava sui due schieramenti principali: tuttavia non occorre una mentalità particolarmente incline alla dietrologia per accorgersi che l'ampio spazio dedicato dai talk show a Fausto Bertinotti non rispondeva soltanto all'interesse giornalistico per l' oltranzismo sofisticato del capo di Rifondazione comunista, ma aveva come sottoprodotto anche la conseguenza di recare danni seri alla compattezza e alla capacità di attrazione dell'Ulivo. E forse è di qualche rilievo che alle elezioni del 2001 alcuni partiti come L'Italia dei valori di Antonio di Pietro, la Lega di Bossi, il cartello postdemocristiano Ccd-Cdu, e il movimento di Sergio 257 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica D'Antoni Democrazia europea non siano riusciti a raggiungere la soglia di sbarramento del 4 per cento al proporzionale: un segno della loro irrilevanza numerica o, anche, un prodotto della semplificazione informativa? La lottizzazione di maggioranza Una delle conseguenze più palesi del «bipolarismo non temperato» deriva dal fatto che la formula maggioritaria si è impressa a forza su un' architettura istituzionale, e su quella serie di convenzioni che i giuristi riferiscono alla costituzione materiale, investendone profondamente la tenuta. Ai tempi della scoppoliana «Repubblica dei partiti», la spartizione politica delle posizioni di vertice nell' establishment pubblico e i suoi criteri di attuazione costituivano un sub-sistema pervasivo. Se i partiti di governo gestivano in regime di monopolio pratico gli enti di Stato, con l'Iri e l'Eni che esemplificavano la logica della coabitazione democristiana e socialista, esistevano ampi settori, a cominciare dall' elezione del capo dello Stato per venire agli istituti parlamentari, dalla presidenza delle Camere alle commissioni parlamentari, in cui il ruolo dell'opposizione comunista era riconosciuto e negoziato. La Rai era l'esempio forse più plateale di quella che Alberto Ronchey definì «lottizzazione». La spartizione avveniva per aree di influenza, si delineava nel controllo delle reti, nella direzione dei telegiornali, nelle nomine di tutta la costellazione dell'emittenza pubblica, nelle assunzioni dei giornalisti. Una volta che il metodo maggioritario ebbe 258 Appendice travolto il sistema di pesi e contrappesi, risarcimenti e veti su cui si basava la convivenza politica e parlamentare, le ripercussioni furono vistose. Mentre in precedenza la televisione di Stato garantiva un pluralismo contrattuale, in cui il servizio pubblico si qualificava come la camera di compensazione della trattativa politica, la durezza implicita del sistema maggioritario non poteva non squilibrare anche il balance / power televisivo. All' epoca della proporzionale le convenzioni accettate consentivano una rappresentanza sufficientemente congrua con la consistenza dei partiti. Il calcolo dei rapporti di potere permetteva ad esempio una divisione «verticale» delle reti e dei telegiornali, ancorandoli al ruolo dei tre pilastri principali del sistema politico di allora (Dc, Psi e Pci). Sotto i cartelli di appartenenza politica dei vertici, la logica della spartizione e della compensazione dava luogo a una trama fittissima che alla fine produceva un rispecchiamento degli equilibri politici generali. Che il sistema fosse perverso è fuori discussione; ma sembra altrettanto chiaro che l'impatto del maggioritario abbia prodotto l'effetto dell' elefante nella cristalleria. Come se la dittatura della maggioranza si fosse sommata al manuale Cencelli. Il primo presidente del Cda nominato dal Polo delle libertà (con !rene Pivetti e Carlo Scognamiglio al vertice delle Camere), ovvero Letizia Moratti, è passato alla cronaca per avere esplicato un programma di gestione della Rai orientato a rendere la televisione pubblica «complementare» alla programmazione delle reti Mediaset. Il che significa che dal duopolio formalmente competitivo si passava automaticamente a un duopolio collusivo. Quanto al 259 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Cda nominato dall'Ulivo, il suo presidente, Roberto Zaccaria, ha interpretato la sua parte proponendosi in modo esplicito all'incirca come un leader politico vicario (per un disinibito editoriale del «Foglio» il suo Cda «è affondato nella più bestiale faziosità elettorale»). Infine, il Consiglio d'amministrazione nominato dopo le elezioni del 2001 ha reso manifesto che la lottizzazione era divenuta doppia, interessando sia le posizioni attribuite alla maggioranza sia le nomine riferibili all' opposizione. La formula del «3+2» ha esordito con la soluzione di per sé grottesca di un presidente che elegge se stesso, sciogliendo lo stallo fra consiglieri di maggioranza e d'opposizione con il proprio personale voto. In seguito la lunga, lenta, interminabile caduta del Cda presieduto da Baldassarre, dopo le dimissioni dei consiglieri di centrosinistra Carmine Donzelli e Luigi Zanda, e poco dopo del centrista ago-dellabilancia Marco Staderini, ha messo in pubblico l'insostenibilità perfino estetica dei criteri di nomina, dei loro risultati pratici e dei loro esiti politici e istituzionali. Il destino della terzietà Per reagire al discredito suscitato dalla fine ingloriosa del Consiglio d'amministrazione dei «giapponesi», del Cda «Smart», i presidenti di Camera e Senato avevano una sola carta: riunirsi in separata sede e uscirne solo con il foglietto con la cinquina dei designati. Ma questa è un'ipotesi astratta, eroica nel modo in cui viene esposta e ragionevolmente impraticabile sul piano empirico. Quando Marcello Pera ha escogitato la trovata di replicare nel Cda la formula che vige 260 Appendice alla Commissione parlamentare di vigilanza (con la presidenza affidata a un membro dell'opposizione), almeno in un primo tempo è sembrato che essa non fosse più che un escamotage causidico per sparigliare il gioco. Ma, subito dopo, su quell'intenzione dei vertici parlamentari è sceso un clima di trattativa clandestina. Che cosa fosse accaduto è presto spiegato. Mentre la parte diessina dell'opposizione tentava di tenere ferma una posizione che rivendicava la totale e assoluta responsabilità di Pera e Casini nelle designazioni, il vertice della Margherita si faceva coinvolgere nel negoziato («Sarebbe un errore politico chiudere la porta», secondo le indiscrezioni attribuite a Francesco Rutelli): avanzava terne di candidati, discuteva in silenzio, intravedeva la possibilità di incamerare un vantaggio politico frazionale. Tanto che a nomina avvenuta il diessino Vincenzo Vita avrebbe sintetizzato in questo modo: «Siamo caduti dalla brace nella padella». La designazione a presidente di Paolo Mieli è stata il tentativo estremo di uscire da un groviglio in apparenza inestricabile e ad un tempo lo sbocco politico di questo negoziato condotto sottotraccia. La composizione del Consiglio era stata studiata con una certa accortezza, almeno nel senso che gli altri quattro consiglieri (Francesco Alberoni, Angelo Maria Petroni, Giorgio Rumi, Marcello Veneziani) rappresentavano più che altro un contorno intellettuale alla figura professionale di Mieli. La scommessa consisteva nell'ipotesi che una personalità come quella del direttore editoriale del gruppo Rizzoli -Corriere della Sera potesse incarnare il ruolo di garante di tutti gli 261 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica equilibri politico-culturali intrinseci alla Rai, di gestore diplomatico dei prevedibili conflitti futuri, di ispiratore culturale di una televisione sopra le parti (o meglio, in cui le parti trovassero una continua mediazione). A posteriori, è netta la sensazione che l'attribuzione a una sola persona dell'insieme di queste funzioni fosse all'origine della debolezza della designazione. La nomina del Consiglio inoltre appariva inevitabilmente squilibrata se si considera che, al di là della proclamata autonomia dai partiti dei suoi componenti, non si vedeva nessuna figura che potesse «garantire», secondo il normale codice spartitorio, uno dei partner di governo, ossia la Lega. Non appare un caso che il primo e più violento attacco contro il presidente designato sia venuto dalla prima pagina della «Padania», mentre Umberto Bossi non nascondeva diffidenze spirituali significative rispetto a «Mielig»: «E un sessantottino, e io non dimentico». Tutto il resto, comprese le scritte antiebraiche alla sede Rai di Milano, ha contribuito più che altro ad agitare le acque. La diffidenza se non l'ostilità di Silvio Berlusconi per il direttore che nel 1994 aveva pubblicato la notizia dell'invito a comparire spedito al premier dal pool di Milano, e che nella campagna elettorale del 1996 aveva scritto sul «Corriere» un editoriale inequivocabilmente avverso al Cavaliere, costituiva un ostacolo forse non insuperabile, se si tiene conto delle sperimentate capacità equilibratrici Mieli; mentre i punti subito rivendicati dal presidente «con riserva», cioè la nomina di un nuovo direttore generale, richieste retributive e l'annuncio del ritorno in prima sera! di giornalisti chiaramente d'opposizione come Enzo Biagi Michele 262 Appendice Santoro («Cominciamo bene», aveva commentato Berlusconi), che in un primo momento erano sembrate un t per misurare preventivamente il raggio della propria autonomi! in pochi giorni hanno contribuito a bruciare una designazione che sotto l'apparenza di una solidità ineccepibile conteneva evidentemente una criticità politica rilevante. La caduta della designazione di Mieli, per «difficoltà O ordine tecnico e politico» assecondate dal ticket BossiTremanti è comunque significativa anche per alcuni effetti collaterali Secondo le interpretazioni più ottimistiche, l' «invenzione» de Cda presieduto da una personalità d'opposizione ha fatto compiere un passo avanti alla politica italiana. Lo ha sottolineato li stesso Mieli: «lI mio stato d'animo è quello di uno scienziato che ha assistito ad un esperimento in provetta assolutamente inedito il cui risultato sarebbe stato utile per tutti». E ancora: «ln questa settimana è come se nel Paese si fosse manifestato un bisogno generale di professionalità e terzietà. È un segnale positivo e fruttuoso. Resta in piedi un metodo nuovo: per una volta mi è sembrato di vedere venir fuori le parti responsabili dei due schieramenti». Secondo questa tesi, con una decisione di questo genere il bipolarismo italiano dimostrerebbe di non essere più in una fase di «guerra civile». Si sarebbero individuati settori della vita nazionale tutelabili rispetto alla logica dell'occupazione politica maggioritaria. Ma si può immaginare che abbia un futuro una concessione dall'alto determinata da un momentaneo calcolo di opportunità? Che cosa resterebbe delle convenzioni nel momento dell'acuirsi del conflitto politico? 263 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Secondo una visione più venata di pessimismo, la rinuncia forzosa di Mieli ha messo in chiaro invece un aspetto ulteriore del rapporto fra politica e informazione televisiva. Questo aspetto ulteriore è la concreta impotenza di quelle posizioni politico-culturali che si fanno ascendere all'idea di «terzietà» cioè di dichiarata distanza dal conflitto fra gli schieramenti non appena esse vengono a contatto con quell'ambito in cu la politica esprime la durezza delle sue decisioni. La terzietà o il «terzismo», di cui Mieli è uno dei teorizzatori più assidui e convinti, è un' eccellente disposizione intellettuale, che può esprimersi nelle scelte culturali, nell' osservazione analitica del confronto politico, nella sollecitazione alla maggioranza affinché non cada in tentazioni sfrontate, e all'opposizione perché non si rattrappisca in un aventinismo ostruzionistico. Ma non regge allorché l'esercizio del potere, con le sue divisioni così nette, e con gli attriti anche sul piano personale che implica, porta alla scelta fra un sì e un no, allo sciogliersi traumatico di un' alternativa netta. Per completezza descrittiva si può aggiungere che, in modo simile, si è rivelata illusoria l'idea che a contatto stretto con la politica potessero avere un ruolo prevalente le reti di solidarietà culturale e professionale di cui Mieli è uno degli snodi più importanti nell'informazione italiana attuale. Secondo le prime ricostruzioni, poteva sembrare che la designazione del direttore editoriale del gruppo Rcs fosse il risultato dell'appoggio e del lavorio di un network che oltre a Mieli si estendeva agli ambienti marcati dall'iniziativa politica e di indirizzo ideologico di Giuliano Ferrara e del «Foglio». Anche in questo caso si è visto che il potere di 264 Appendice queste reti (di solidarietà professionale, di «complicità» giornalistica con i suoi giochi di sponda) sarà sicuramente utile per costruire un consenso nell' opinione pubblica e anche in alcuni settori della realtà politica, ma si arresta di fronte al primato della decisione politica. Una soluzione radicale Ciò che si è subito dimenticato è che la rinuncia di Mieli e la nomina della Annunziata erano state precedute dalla trovata estemporanea del Cda Baldassarre-Albertoni di spedire Raidue a Milano; dalla resistenza accanita fino alla provocazione dei due consiglieri, che per andarsene hanno dovuto subire la minaccia di una mozione di sfiducia nella Commissione di vigilanza da parte An e Udc; da una sfilata impressionante di candidature, da Enzo Cheli a Ottaviano Del Turco, e nel mezzo da un pazzesco ballon d'essai berlusconiano, che per il Cda spiattellava una cinquina capeggiata dal presidente di McDonald's Italia, Mario Resca, e alla direzione generale un tale «leghista di governo», ex presidente della provincia di Varese, parcheggia da Bossi alla direzione del centro di produzione Rai di Milano (funzione che svolgeva da sette mesi). Una «vicenda lunga e grottesca», quella del Cda della R secondo «L'Osservatore romano». Sulla scia di questi avvenimenti si è avuta la conferma implicita e definitiva che nelle condizioni date è illusorio pensare che siano sufficienti buon motivazioni di carattere comportamentale per risolvere un stringente problema politico sistemico. Vale a dire che anche la soluzione individuata con esatto tempismo e con 265 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica chirurgica esattezza politica dai presidenti delle Camere dopo la rinunci di Mieli (cioè la designazione come presidente di Lucia Annunziata che si è aggiunta ai quattro consiglieri già nominati con il via libera di Piero Fassino e la fierissima e ormai inutili opposizione di Francesco Rutelli, costretto ad accettare a denti stretti il colpo della risposta diessindalemiana) segnala una far mula che affida alla personalità dei designati, e in special modo della neopresidente, la tutela di tutto ciò che parlando della Rai si associa a termini come «servizio pubblico», pluralismo autonomia dalla catena di comando politico. Con tutto questo, forse è venuto il momento delle soluzioni radicali, ed è ovvio che come si è accennato in apertura le soluzioni radicali siano politicamente impegnative. Occorrerebbe'ac esempio mettere a frutto l'idea che nel nostro Paese il processo di privatizzazione dell'economia pubblica è stato utile non sole e non tanto nel tentativo di snellire un apparato economico e industriale che per molti aspetti era una macchina inefficace; ma soprattutto perché ha sottratto ai partiti un sistema feudale, una manomorta che era il campo ideale per la spartizione e lo scambio consortile. Qualcuno sa immaginare, in uno scenario controfattuale, che cosa sarebbe accaduto se il sistema maggioritario avesse invaso anche il sistema di norme non scritte che prima presiedeva alle nomine nell'economia pubblica, nelle banche, nell'industria di Stato? La domanda grazie al cielo è irrealistica, ma solo perché nel frattempo si è largamente privatizzato. Tuttavia, seguendo la logica che sottostà a questa domanda, è pressoché impossibile resistere alla 266 Appendice suggestione che oggi, per ciò che riguarda l'informazione televisiva e la televisione tout court, la «cosa» che assomiglia di più alla libertà, al pluralismo, alla garanzia che posizioni politicamente e culturalmente diverse siano adeguatamente rappresentate è il mercato. Non regole imposte dall'alto, ma il principio della concorrenza, della ricerca di un proprio pubblico, della possibilità di accesso paritario alle risorse pubblicitarie. Se ciò significa una inevitabile diffidenza verso la difesa di «valori» difficilmente precisabili come il servizio pubblico, va tenuto presente, a scanso di equivoci, che mercato significa mercato, e concorrenza significa concorrenza. È vero che alla privatizzazione della Rai si accennava anche nelle «88 tesi» che costituivano l'embrione programmatico dell'Ulivo di Prodi nel 1996. Ma il corollario della richiesta di mercato è che non si risolve il problema del duopolio imperfetto, o del duopolio collusivo, semplicemente mettendo sul mercato la metà del duopolio medesimo. Se mercato dev'essere, che mercato sia. E se questo contiene implicitamente anche la prospettiva dello smantellamento della posizione di Mediaset, non è il caso di menare scandalo per l'attacco alla proprietà privata «inviolabile» o arrestarsi di fronte alla definizione preventiva dell'intrattabilità della pratica. Ciascuno può valutare anche intuitivamente che cosa significherebbe un sistema televisivo con sei - sette protagonisti liberi da filiazioni politiche certificate. È vero che in prospettiva la legge Gasparri modifica le modalità di nomina, prevedendo che il presidente sia indicato dall' azionista pubblico, il ministro dell'Economia, con la ratifica 267 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica della Commissione parlamentare di vigilanza con la maggioranza «di garanzia» dei due terzi (salvo nuovi interventi riduttivi già profilatisi nell' iter parlamentare). Ed è vero che il futuro può essere segnato da un sistema dell'informazione in cui satellitare, digitale, procedure web, sistema generale delle telecomunicazioni modificheranno le condizioni di mercato attuali, rendendo forse obsolete le considerazioni sul mercato imperfetto della televisione generalista. Eppure, se si accetta la nozione che il pluralismo costituisce una questione di principio, conviene prenderla alla lettera: e cominciare, per l'appunto, dal principio. 268 Appendice La società del cinquanta per cento Contenuto nel numero 5, (settembre-ottobre) 2008, pp 801-808 La politica possiede ragioni che non possono essere nascoste o mascherate a lungo, a dispetto delle dichiarazioni fuorvianti dei protagonisti. Nei primi mesi dopo l'insediamento, con alle spalle la vittoria a valanga nelle elezioni del 13 -14 aprile 2008, il governo presieduto da Silvio Berlusconi e sostenuto dall'ampia maggioranza composta dai parlamentari del Popolo della libertà ha cercato di diffondere l'idea che la sua azione andava considerata di matrice interclassista; e talvolta alcuni esponenti del governo e della maggioranza, specialmente coloro che hanno una radice nell' antica area culturale del Psi, esponevano volentieri l'enunciato, senza celare l'intento di una certa provocazione, secondo cui la politica del Pdl si configurerebbe come una politica «di sinistra», capace di surrogare, se non addirittura di sostituire, le manchevolezze progettuali e propositive dell' opposizione. Non è necessario sottolineare più di tanto la strumentalità partigiana di enunciati come questi. Invece è indubitabile che la primissima parte della legislatura è stata interpretata da Berlusconi e dai suoi collaboratori più stretti come una sfida durissima al Partito democratico e a tutte le opposizioni residue. Per prenderne nota, è sufficiente riandare ad alcune dichiarazioni con cui il ministro dell'Economia, Giulio Tremanti, ha accompagnato la presentazione della manovra finanziaria: «L'Italia possiede un punto di forza: la stabilità politica; che resterà per cinque, 269 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica dieci, forse quindici anni». Questa considerazione nasce senza alcun dubbio da una valutazione adeguata del voto politico dell'aprile scorso, dei suoi dati numerici e della sua distribuzione geografica; più sottilmente, e in modo più interessante in una prospettiva programmatica, proviene da un'interpretazione strettamente «sociale» del risultato delle urne, vale a dire da un rigoroso riscontro della constituency effettuale e potenziale del Popolo della libertà. . La scommessa di un'Italia spaccata Il primo a lanciare l'allarme, nel senso di un allarme politico chiaro e netto, era stato Massimo D'Alema. Nelle condizioni attuali, aveva detto, il Pd rischia di divenire una «minoranza strutturale» all'interno del sistema italiano. Si può certamente valutare con freddezza un richiamo di questo tipo, attribuendolo alle intenzioni più varie: ai disegni personali del leader ex comunista, alla sua convinzione che esistano altre strade oltre a quelle disegnate da Walter Veltroni, oppure anche a quel suo realismo che talvolta rasenta la ferocia intellettuale. Eppure è difficile sottrarsi al riconoscimento che almeno su un punto D'Alema ha ragione: per la prima volta si assiste in Italia al profilarsi di una specie di politica fortemente discontinua con il passato e con la tradizione: con un programma che ha messo al centro della sua iniziativa qualcosa che assomiglia a una nuova guerra di classe, e che può aggregare un fronte politico ed elettorale tale da costituire una sorta di «maggioranza permanente». Qualcosa di simile a un bipartitismo ancora più imperfetto di quello descritto a metà degli anni Sessanta 270 Appendice da Giorgio Galli, in cui la maggioranza permanente e la minoranza strutturale disegnano un sistema perennemente bloccato da uno squilibrio troppo forte fra destra e sinistra. Si conviene di solito che di fronte alla politica italiana non è opportuno usare parole troppo impegnative. Tuttavia la novità è nel suo genere straordinaria proprio perché non sono esistiti storicamente in Italia partiti di chiaro stampo neoconservatore, determinati a soddisfare il proprio elettorato e a giocare le proprie chance politiche puntando su provvedimenti sostanzialmente punitivi per l'elettorato degli avversari. Infatti la Democrazia cristiana, vale a dire il pilastro centrale di mezzo secolo di equilibri politici, era un partito di mediazione, articolato in varie correnti distribuite su un' ampia gamma di riferimenti politici, «poliarchico» nella sua struttura interna e territoriale, a cui non si può negare a posteriori una riconoscibile sfumatura pro labour, e che rivendicava comunque una programmatica vocazione interclassista. Invece, il governo di Berlusconi e Tremanti sembra ispirato da un progetto molto diverso, al cui termine si intravede la volontà di trasformarsi in un basamento politico su cui fondare una maggioranza elettorale permanente, selezionando senza inibizioni gli interessi da rappresentare e i ceti da privilegiare. Proprio perché l'iniziativa politica è assai spregiudicata e innovativa, per capire le linee di fondo di questo programma è necessario fuoriuscire dal coacervo dei singoli provvedimenti, soprattutto quelli di tipo elettoralistico. Ad 271 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica esempio, per quanto sia apparsa a molti irrazionale anche in vista di un obiettivo «federale», l'abrogazione dell'Ici costituiva un atto dovuto perché era stata promessa durante la campagna elettorale come un evento rivoluzionario dal punto di vista fiscale; a sua volta, la detassazione (parzialissima fin quasi all'irrilevanza) degli straordinari è una misura insignificante nella quantità e riveste un contenuto più che altro indiziario, alla stregua di un segnale, un messaggio in codice alle imprese che per il futuro aspettano maggiore discrezionalità nel rapporto con la forza lavoro e vincoli operativi meno stretti. Su un altro piano, distinto dall'economia, la campagna su immigrazione e sicurezza (anzi, sul cortocircuito volutamente innescato, con unforcing mediatico, fra immigrazione e sicurezza) ha avuto durante la campagna elettorale e detiene tuttora un valore simbolico fortissimo: basta osservare i telegiornali che mostrano l'esercito in strada e le vecchiette che dicono «vi vogliamo bene» ai soldati. Ma i suoi contenuti, chiarissimi nel tentativo di guadagnare il consenso dell'Italia più anziana e spaventata, saranno da valutare più avanti, fuori dai rumori della cronaca (e dagli incidenti di percorso come i turisti olandesi massacrati nella periferia romana in un casale abbandonato): quando sarà possibile cioè verificare se la politica della destra, dopo avere sollevato allarme sociale, sarà stata in grado di se darlo con le sue misure di contrasto alla criminalità e all'illegalità urbana; oppure se queste stesse misure, dimostratesi poco inefficaci, non avranno elevato la percezione di insicurezza da parte dei cittadini, innescando il classico circolo perverso dei provvedimenti «esemplari» 272 Appendice che contribuiscono a creare, o a rafforzare, ciò che intendevano esorcizzare. Il modello delle gride manzoniane infatti è sempre dietro la porta di casa, con l'infinita serie di complicazioni che esso comporta. Ma è soprattutto con il lavoro condotto dal governo dietro la prima linea, riscontrabile nell' articolazione della legge finanziaria triennale e nelle decisioni prese nei singoli ministeri, che si delineano gli elementi del progetto politico e sociale del Popolo della libertà: un lavoro che nasce da una concezione della politica marcatamente di destra, senza inibizioni né remore culturali. In sintesi: il Pdl registra con chiarezza una perdita di peso del lavoro dipendente e di tutti i ceti riconducibili nel perimetro del reddito fisso, e quindi la possibilità di creare un blocco sociale di maggioranza che possa confermarsi, come ha ribadito Tremonti, «a tempo indeterminato». Si tratta di una dinamica già in atto da tempo, che fra l'altro ha spostato gli equilibri finanziari a favore della rendita e a scapito del lavoro dipendente, ha esaltato le differenze di reddito, ha ripudiato le tendenze redistributive. Evidentemente Berlusconi e la sua maggioranza hanno deciso consapevolmente di farsi imprenditori degli interessi della parte di società che intendono rappresentare. Si prospetta in questo modo un circuito politico che copre all'incirca la metà della società, tanto da poter essere definito come «la società del cinquanta per cento», a differenza della «società dei due terzi» descritta a suo tempo dal socialdemocratico tedesco Peter Glotz, che identificava la blockierte Gesellschaft della Germania e similmente delle 273 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica società capitalistiche avanzate; e in quanto tale, dentro rapporti di forza non scalfibili da un'opposizione indebolita e incapace di produrre un progetto politico-culturale alternativo, in grado di governare agevolmente contro tutti gli altri ceti dispersi e perdenti. Per conseguire questo obiettivo, a suo modo «storico» nel suo malthusianesimo sociale, Berlusconi si è premunito da ogni possibile sorpresa garantendosi l'immunità giudiziaria, utilizzando in prima battuta la classica operazione del provvedimento «bloccaprocessi», che è servito a introdurre poco dopo la «mediazione» del Lodo Alfano. La tecnica è nota: prima si minaccia l'introduzione di una sorta di arma totale che prefigura la completa paralisi della giustizia, e poi', con il Quirinale assediato e l'opposizione impotente, si tratta da posizioni di forza. Per molti aspetti si è consumato un formidabile atto di distorsione delle istituzioni. Utile comunque, a questo punto, per passare alla fase successiva con le retroguardie inattaccabili, ossia per provvedere al processo di creazione di una maggioranza politica e sociale stabile, coerente, soprattutto non aggredibile dalle opposizioni. Due linee di divisione Con un esemplare ragionamento da economista, Francesco Giavazzi sul «Corriere della Sera» del 17 agosto scorso ha scritto che con la sua politica economica il ministro Tremonti, che pure ha evocato spesso lo spettro della crisi del Ventinove, «rischia di ripetere gli errori di Herbert 274 Appendice Hoover, il presidente che, nel tentativo di raggiungere il pareggio di bilancio nel mezzo di una recessione, creò le premesse per la grande depressione». Tremonti, ha argomentato Giavazzi, mantiene la pressione fiscale invariata per il triennio di programmazione economica, «al livello elevatissimo al quale l'aveva lasciata Prodi». Si tratta di per sé di una variazione di linea singolare, per una formazione politica che aveva sempre, e gloriosamente, puntato sul «meno tasse per tutti». Tanto più, ha aggiunto l'editorialista del «Corriere», che in questo momento «come ha spiegato con grande chiarezza Guido Tabellini [ ... ] ciò che servirebbe è un'energica riduzione delle tasse sul lavoro». Ora, sarebbe superfluo sottolineare che Giavazzi è uno dei più stimati economisti italiani, tanto che le sue proposte di liberalizzazione dell' economia nazionale hanno incalzato gli ultimi governi fino a condensarsi in quella che i media hanno definito «1'Agenda Giavazzi»; e che Guido Tabellini figura spesso (a differenza di suoi colleghi economisti che hanno assunto cariche di governo e che alludono qua e là nostalgicamente ai tempi in cui venivano considerati in corsa per le migliori attestazioni di merito nella ricerca economica), nella rosa dei candidati al premio Nobel. E allora, date queste semplici premesse, si può davvero immaginare che Tremonti sia uno sprovveduto, talmente inesperto di variabili e tendenze macroeconomiche da varare un complesso di riduzioni di spesa che, durante una fase di stagnazione e inflazione, avrebbe evidenti effetti «prociclici», cioè con una seria probabilità di aggravare la recessione? 275 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Non sembra proprio un'ipotesi plausibile. Un'interpretazione più realistica, almeno in parte, è quella offerta polemicamente dall'esponente del Pd, e ministro ombra per l'Economia, Pier Luigi Bersani: il governo sta procurandosi una provvista per affrontare i costi inevitabili della futura struttura federalista, che almeno in una prima fase, anziché i risparmi indotti in avvenire dalla nuova virtuosità dei comportamenti amministrativi sul territorio, provocherà un incremento di apparati e quindi di spesa pubblica. Ma per certi versi sarebbe possibile anche un'interpretazione più forte sotto l'aspetto politico, che attiene proprio all' «ideologia» di destra del governo presieduto dall' onorevole Berlusconi. Sotto questo profilo, la recessione in atto, quale che sia la sua entità, può costituire un fenomeno inquietante sotto l'aspetto economico generale, ma entro certi limiti potrebbe perfino risultare funzionale al disegno politico del Pdl. È sufficiente rinunciare alla pretesa, o all'illusione, interclassista di governare per il benessere di tutta la comunità nazionale. Il bene comune è una finzione. Conviene invece dividere in due, con una linea netta, la società: da una parte, sommariamente, il già citato reddito fisso, ossia lavoro dipendente e pensionati; dall'altra imprese e lavoro autonomo (professioni, commercio, artigiani ecc.). Per queste ultime categorie sociali, né l'inflazione né la stagnazione devono rappresentare un'inquietudine. Alle imprese è stato subito lanciato il messaggio sulla contrattazione da flessibilizzare, sul lavoro precario da mantenere come risorsa di flessibilità, e perfino su aspetti 276 Appendice tipicamente premoderni del rapporto fra imprenditori e lavoratori come la cancellazione della legge che impediva la pratica delle dimissioni firmate in bianco. Alle categorie del lavoro autonomo, che Bersani da ministro aveva tentato con qualche limitato successo di sottoporre a un regime di concorrenza, è riservata di fatto la possibilità di manovrare prezzi e tariffe. Non che il mercato si possa comprimere con i calmieri; ma la scomparsa del contenimento dell'inflazione dalle priorità vere del governo mette allo scoperto la pesante sfasatura, per il reddito fisso e per i contratti, fra l'inflazione programmata, del tutto irrealistica rispetto agli andamenti reali, e l'inflazione reale. In ogni caso è difficile non vedere che i pilastri dell' azione del governo sono due: da un lato l'attacco a tutti gli apparati pubblici, dall' altro il tendenziale smantellamento del contrasto all'evasione. Il primo aspetto ha connotati spettacolari (così come è diventata uno show quotidiano l'azione evidentemente intimidatoria del ministro Renato Brunetta indirizzata verso il pubblico impiego): i trenta miliardi in tre anni di tagli alla macchina pubblica incidono direttamente su scuola, università, sanità, sicurezza, e su tutti gli enti locali, in maggioranza di centrosinistra, che avranno difficoltà consistenti nell' assicurare i servizi programmati. L'altro aspetto, il ritiro dalla lotta all' evasione, è più strisciante. Si compone di provvedimenti invisibili, che non fanno titoli sui giornali, e che non accendono la fantasia dei commentatori. Tanto per chiarire questo aspetto, si può notare che sul «Sole-24 Ore» un osservatore competente come Stefano Micossi ha riconosciuto al governo di avere 277 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica avviato per il Paese un percorso di «riforme strutturali, capaci di liberarne il potenziale di crescita e modernizzarne le istituzioni obsolete». Prima di accertare se l'osservazione è condivisibile, converrebbe intanto capire se fra queste riforme va compresa anche l'istituzionalizzazione politica dell' evasione, che l'ex viceministro dell'Economia, il detestatissimo ma efficiente Vincenzo Visco, ha riassunto in questo modo: «Ormai si è convinti che le tasse le debbano pagare solo i lavoratori dipendenti». Modernità o arcaicità? Secondo Visco, per chi volesse farsi un'idea delle misure «anti-antievasione» non c'è che l'imbarazzo della scelta: abolizione della tracciabilità dei compensi, indebolimento delle norme di personalizzazione degli assegni bancari, eliminazione dell' elenco dei fornitori, con l'aggiunta dello smantellamento dello staff ministeriale che aveva lavorato con il governo precedente nel settore della lotta all'evasione fiscale. Sono tutti provvedimenti che lasciano intendere a prima vista un chiaro via libera al sommerso. Spesso giustificati addirittura con la spiegazione secondo cui la difficoltà procedurale degli adempimenti è «criminogena», ossia rischia di produrre ulteriore evasione. Siamo più o meno nell'universo narrativo dello storico Carlo M. Cipolla, quando raccontava che i velieri degli spagnoli trasportavano in Europa dalle Americhe quantitativi di argento due o tre volte superiori a quanto riportato sui documenti di bordo: al che, stanco dell' andazzo, ma incapace di mettere sotto controllo i profittatori, il re di Spagna abolì la bolla di accompagnamento. 278 Appendice Quindi, sotto la coltre fumogena di operazioni come la «social card» e di un esproprio patrimoniale con annessa strizzata d'occhio no global come la «Robin Tax», comincia a delinearsi una sterzata violenta rispetto al governo precedente. Brutale nei contenuti ma affidata alla prassi più che alla teoria. La teoria parla con espressioni nobili di economia sociale di mercato, richiamando Wilhelm Ropke, gli «ordoliberali» di Friburgo e la politica economica di Ludwig Erhard, ministro del cristiano-democratico Konrad Adenauer (e poi cancelliere della Repubblica Federale Tedesca); la prassi conduce a una strategia sotterranea a favore delle categorie e delle corporazioni autonome. Così sotterranea, questa strategia, così scarsamente dichiarata che nell'opposizione pochi sembrano in grado di cogliere la portata dello choc sociale che è stato innescato. Vale a dire un trasferimento di ricchezza potenzialmente gigantesco, mascherato dietro le filosofie di Tremanti sulla Soziale Marktwirtschaft, sul federalismo fiscale, sulla resistenza «di comunità» alla globalizzazione (va detto che ormai i migliori economisti di destra citano spessissimo con soddisfazione l'economia sociale di mercato, dopo avere citato per decenni i testi sacri della scuola liberista di Chicago; al massimo, quando citano in tedesco l'economia sociale di mercato, si permettono il lusso tutto intellettuale di sbagliare variamente la grafia). Ci sono insomma, e sarebbe opportuno che diventassero assai più visibili, in modo da diventare oggetto di discussione, due linee di confronto, e potenzialmente di scontro durissimo, dell'opposizione con la maggioranza: una corre sul binario di questa redistribuzione regressiva, 279 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica assimilabile a una qualità intrinseca che non si sa come definire se non come «castale». L'altra sull' operazione «istituzionale» di tipo federalista. Se volessimo ricorrere a un linguaggio geografico, potremmo dire che a dispetto delle dichiarazioni sulla propria azione «di sinistra», il governo in carica progetta di dividere in longitudine la società italiana fra lavoro autonomo e reddito fisso, e in latitudine le regioni fra il Centro Nord e il Sud. È chiaro che entrambe le iniziative di fondo del governo sono destinate a innescare tensioni fortissime nel tessuto sociale e nazionale. Con la prima, l'attacco al lavoro dipendente e al reddito fisso, il Pdl ha cominciato a costruirsi il suo blocco politico e sociale, e con un approccio paradossale ma vicino alla genialità lo fa con i soldi dell' opposizione, cioè con i soldi degli elettori del centrosinistra. Con la seconda, il federalismo, aprirà verosimilmente un tiro alla fune di drammatica intensità fra Centro Nord e Sud, che potrà essere gestito o lasciando il Mezzogiorno a estinguersi in una penosa carenza di risorse, oppure invece aprendo i rubinetti delle casse pubbliche, cioè a spese del bilancio dello Stato. Nel primo caso sarebbero fortissime le spinte verso una prospettiva che la Lega di Bossi non ha mai abbandonato, almeno psicologicamente, ovvero la tentazione separatista. Nel secondo caso, l'allargamento dei cordoni della borsa, si verificherebbe un attentato materiale alla crescita e quindi al benessere generale della collettività italiana. 280 Appendice Conclusioni più o meno keynesiane A fronte di questa politica ci sono alcuni elementi da chiarire. Va da sé che un'analisi come quella esposta nelle pagine precedenti non dovrebbe portare la sinistra a identificarsi semplicemente come il luogo di rappresentanza politica del lavoro dipendente. Sarebbe un calcolo miope, più vicino alla difesa di un'identità, per quanto ormai vaga, che non alla creazione di una strategia politica competitiva. Ma non è affatto miope individuare con chiarezza quali sono le linee di contrapposizione fra destra e sinistra, a cominciare proprio dagli interessi materiali in gioco. E sotto questa luce sarebbe anche il caso che la comunità intellettuale, in particolare i political economist, trovassero sedi e ragioni per formulare un giudizio autonomo sulle politiche in atto e sulle loro conseguenze. Di recente si è osservata una sostanziale abdicazione, un atteggiamento che non si sa come definire se non come una rinuncia intellettuale, per esempio rispetto alle posizioni «antimercatiste» espresse da Giulio Tremanti nel suo fortunato pamphlet La paura e la speranza. Può anche darsi che alla fine il calcolo sia miope in realtà anche per la destra: nel senso che la possibilità di sopravvivere, e bene, alla stagflazione può essere stata sopravvalutata. Finora il Popolo della libertà ha avuto buon gioco nel presentare la propria azione secondo un format apparentemente infallibile, che prevede da una parte la stragrande maggioranza degli italiani buoni, lavoratori, attenti al bene comune, e dall'altra parte una esigua minoranza di fannulloni, buoni a nulla, sabotatori. 281 Edmondo Berselli e il Mulino. Storia emiliana di cultura e politica Lo schema è irrisorio per chiunque abbia soltanto una vaga idea dei processi di secolarizzazione, modernizzazione, burocratizzazione descritti da Max Weber, ma tuttavia serve per generare consenso e ammortizzare i dissensi. Eppure può sempre verificarsi qualche inciampo, che rende queste narrazioni mitico-magiche inadatte a fronteggiare i problemi reali. Oggi si ha l'impressione che le scelte politiche della destra recuperino il vecchio lassismo democristiano, il clientelismo, il particolarismo, la distrazione fiscale e li proiettino in una dimensione inedita, in cui il voto economico di scambio e di interesse diviene un fortissimo fattore di stress politico e di identificazione quasi-militante per gli elettori. Ma se è vero che gli interessi hanno sconfitto le passioni, il darwinismo sociale può contenere i germi del proprio fallimento: ad esempio, nel momento in cui flette la domanda aggregata, potrebbe osservare un keynesiano, cioè in presenza di consumi gravemente cedenti, anche interi settori del lavoro autonomo e del commercio subiscono ripercussioni violente dalla crisi. Se si concede soltanto a una parte della società il diritto di arricchirsi ai danni dell' altra, i consumi crollano, l'economia si inceppa. Chissà se questa prospettiva è chiara e presente, nella mente dei migliori cervelli della destra, e di tutti coloro che pensano che il reale è tutto razionale, e che questo, evidentemente, è il migliore dei mondi possibili: a dispetto della recessione, della stagnazione, dell'inflazione, e anche di un Paese che non riesce più a crescere. 282 Bibliografia Edmondo Berselli Articoli Berselli, Edmondo; 1989a, Tre dogmi uguali e indistinti. Autoritarismo, democrazia, partecipazione, «rivista il Mulino», n°6 Berselli, Edmondo; 1989b, Vertone al capolinea Europa, «rivista il Mulino», n°5 Berselli, Edmondo; 1990, L’estinzione della classe operaia, «rivista il Mulino», n°4 Berselli, Edmondo; 1991, L’ultima recita dei partiti, «rivista il Mulino», n°6 Berselli, Edmondo; 1992, La musica del Quartetto. Il quadripartito al canto del cigno, «rivista il Mulino», n°3, Berselli, Edmondo; 1994, Gruppo di famiglia in Televisione, «rivista il Mulino», n°4 Berselli, Edmondo; 2002, Nudo come un pallone. 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II, La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri, Torino, Einaudi Sitografia http://www.cattaneo.org - Ultima consultazione 25/11/2011. http://www.corriere.it - Ultima consultazione 25/11/2011. http://www.ilsole24ore.it -Ultima consultazione 25/11/2011. http://www.lacropoli.it - Ultima consultazione 25/11/2011. http://www.mulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. http://www.rai.it - Ultima consultazione 25/11/2011. http://www.repubblica.it - Ultima consultazione 25/11/2011. http://www.rivistailmulino.it - Ultima consultazione 25/11/2011. http://www.treccani.it - Ultima consultazione 25/11/2011. 291 292 Ringraziamenti Grazie alla mia family, tutta quanta, senza la quale tutto questo non sarebbe stato possibile: Franco, Chiara, Papio, Gio, Didi, Giovi (tnx per la copertina!), Ada... ma non solo, perché il vostro appoggio, quello di tutti, è stato fondamentale... e allora grazie a Isa, Leo, Paolo, Anna, Marco, Mari, Giacomo (speciale correttore di bozze), Lori, Luca, Mari, Franci, Robbi, Giovi, Ivi, Anto e Ludo, Alba, Lauretta e Cioncio, e a tutta la squadra dei cugini, quelli che… tutti insieme facciamo paura e guai a voi se qualcosa in futuro cambierà: Fra, Eli, Pepo, Robby, Simo, Deeh, Pesca, Cri, Andre, Alle, Dami, Anna, Lore, Sere, Dindo e Pietro. Grazie a Marzia Barbieri, Bruno Simili e Ilvo Diamanti per l‟infinita disponibilità. Grazie alla pazientissima professoressa Foà senza di lei non ce l‟avrei mai fatta. Grazie alla professoressa Capelli per quello che mi ha insegnato e perché fa venir voglia di credere che il futuro sia migliore. Grazie, infinite, al professor Mennella che mi ha regalato consigli anche solo con uno sguardo ogni volta che mi incrociava per i corridoi del Palazzo. Grazie alle amiche che negli anni si perdono per strada (che poi perché?) e alla fine le ritrovi lì, più belle che mai, Marika, Mila e a quelle che sempre ci sono, e sempre ci saranno: Ele, Amne, Ale, grazie! Grazie a Massimo e Franci, che sopportano le mie nevrosi, i miei scazzi, le mie indecisioni, i miei schizzi, le mie blaterate senza filtri! 293 Grazie a tutte le persone bellissime che Roma mi ha regalato: Simo, Giò, Giulietta, in primis e poi tutti i montemurresi, gli amici dell‟università, Lauretta, Luca, le risate in aula, i caffè. Grazie a Leana. Perché ci crede. Grazie a tutto l‟ufficio stampa PD del Senato che mi ha fatta sentire a mio agio fin dal primo istante in cui ho usurpato la prima scrivania. Grazie ai lassociati per questi mesi spensierati. Grazie a tutti quelli che ho dimenticato, ma che sanno di essere stati fondamentali per me in questi due anni. Grazie a Edmondo, per avermi fatto capire un po‟ di più questa Italia, per avermi spinta a guardare al di là delle apparenze, per avermi regalato migliaia di sorrisi, perché ogni volta che ti leggo imparo qualcosa in più. 294