Arte, luce, cinema, fotografia L`Ultima cena di Leonardo

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Arte, luce, cinema, fotografia L`Ultima cena di Leonardo
Arte, luce, cinema, fotografia L’Ultima cena
di Leonardo
A POCHI MESI DI DISTANZA dalla realizzazione della copia del telero de “Le nozze di Cana” del
Veronese, esposto al Louvre e oggi anche nel suo originale contesto architettonico all’interno del
refettorio dei frati benedettini sull’isola di San Giorgio a Venezia, torna alla ribalta il nome di Adam
Lowe e del team di Factum Arte, composto da artisti, operatori e tecnici che si occupano della
trasformazione digitale e della produzione di opere in due e tre dimensioni per artisti, per musei o in
occasione di speciali progetti. Come in questo caso.
L’idea di un possibile dialogo tra pittura e cinema è di Peter Greenaway, che dopo il successo
ottenuto con l’intervento realizzato al Rijksmuseum di Amsterdam su “La Ronda di Notte” di
Rembrandt ha deciso di proporre come soggetto di un’ulteriore tappa di questo lavoro uno dei
capolavori di Leonardo. Greenaway, regista gallese e sperimentatore della settima arte, voleva
reinterpretare “L’Ultima cena di Leonardo” proiettando delle luci sulla superficie del dipinto e
diffondendo al contempo musiche, parole e suoni nello spazio del Refettorio di Santa Maria delle
Grazie a Milano. Essendo però il dipinto sottoposto ad un rigido protocollo di tutela e conservazione,
per preservarne la fragile integrità, si è dovuto pensare ad un sistema alternativo, ad una diversa
possibilità che consentisse la realizzazione dell’opera di Greenaway senza arrecare danni al
capolavoro di Leonardo.
Peter Greenaway, L’Ultima Cena di Leonardo, Milano, Palazzo Reale, Sala delle Cariatidi, 16 aprile –
6 settembre 2008
Adam Lowe ha pertanto realizzato una copia assolutamente identica dell’Ultima Cena, ha riprodotto
il dipinto mantenendone le dimensioni originali e rispettandone le caratteristiche della superficie
pittorica. Unendo le scansioni tridimensionali realizzate dall’Istituto Centrale per il Restauro di
Roma e le fotografie ad alta risoluzione realizzate da HAL9000, egli ha “clonato” l’opera di Leonardo
grazie alla moderna tecnologia, utilizzando una stampante ad hoc che ha permesso una stesura degli
strati di colore e delle tonalità originali del dipinto su una superficie pittorica analoga a quella
preparata dal maestro rinascimentale. Questo clone è poi stato inserito all’interno di una
ricostruzione tridimensionale del Refettorio di Santa Maria delle Grazie, posta all’interno della Sala
delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano, andando a ricreare in tal modo il contesto nel quale l’opera
si trova e col quale dialoga, l’ambiente per il quale è stata pensata e costruita, attraverso una sua
nuova ri-costruzione reale, fisica, materica.
Anche questa volta si tratta di una duplicazione perfetta e perfettamente confondibile con l’opera
originale, una duplicazione che vive una propria vita di luci e suoni, che coinvolge i visitatori quanto
una performance teatrale. Lo spettacolo dura poco meno di mezz’ora, ma sembra molto di più;
l’osservatore-spettatore viene come trasportato in uno spazio diverso da quello che gli appare non
appena passa sotto l’arco di ingresso alla sala, egli fa correre gli occhi senza sosta dal dipinto alla
controfacciata dell’ambiente costruito all’interno della Sala delle Cariatidi, alla tavola in gesso
imbandita con piatti bicchieri e pane posta al centro dell’ambiente, riproduzione fedele e
tridimensionale di quanto Leonardo ha dipinto nell’affresco, anch’essa illuminata e protagonista
dello spettacolo.
Peter Greenaway, L’Ultima Cena di Leonardo, Milano, Palazzo Reale, Sala delle Cariatidi, 16 aprile –
6 settembre 2008
L’opera di Greenaway sembra dimostrare ancora una volta la grande importanza che il capolavoro di
Leonardo riveste all’interno della cultura figurativa occidentale, fonte di ispirazione continua non
solo per scrittori di romanzi gialli ma soprattutto per artisti e per performatori d’arte, come già fu
per Franz Fischnaller. Questi, alla ricerca dell’”integrazione di tecnologia, comunicazione,
architettura, arte e design e che parallelamente affrontava problematiche relative all’interfaccia
uomo-macchina”(1) , ha lavorato ad un work in progress dall’emblematico titolo “L’Ultima Cena
Interattiva”, con lo scopo di realizzare un viaggio nel capolavoro leonardesco utilizzando la realtà
virtuale, per indagare la relazioni esistenti tra l’architettura reale e quella dipinta.
L’originale, ma anche la sua perfetta copia, il suo clone, o comunque si voglia chiamarlo, nessuno dei
due sembra perdere, attraverso questa operazione di riproduzione e rilettura
cinematograficoteatrale nulla dell’aura di benjaminiana memoria. Anzi, sembrano entrambi
guadagnare da tutto questo nuova vita e nuova forza. La luce che illumina zone specifiche del
dipinto, particolari di corpi e oggetti, la musica che in un crescendo di volume e pathos trasporta lo
spettatore all’interno dell’opera d’arte, la perfetta riproduzione fotografica dell’affresco. Tecnica e
tecnologia che non soltanto consentono di riprodurre l’arte, ma che le aggiungono un quid in più,
rendendo la nuova opera un’opera essa stessa, qualcosa di unico e allo stesso tempo riproducibile e
ripetibile, con una nuova aura.
Martina Ganino
(1) Pier Luigi Capucci, F.A.B.R.I.CATORS, in «Domus», n.792, aprile 1997