Teorie di gauge di Chern-Simons e stringhe topologiche

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Teorie di gauge di Chern-Simons e stringhe topologiche
Università degli studi di Genova
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Tesi di Laurea Specialistica in Fisica
Teorie di gauge di Chern-Simons
e stringhe topologiche
Relatore:
Prof. Camillo Imbimbo
Candidato:
Dario Rosa
Correlatore:
Prof. Nicola Maggiore
Anno Accademico 2010/2011
Ringraziamenti
Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito attivamente alla stesura di questo lavoro di
tesi. Un ringraziamento particolare và al mio Relatore, il Prof.Camillo Imbimbo, per tutto
il bagaglio di insegnamenti che mi ha fornito durante il lavoro e per la costante presenza e
disponibilità.
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Indice
Ringraziamenti
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Introduzione e conclusioni
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1 Le teorie topologiche: proprietà di simmetria
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 La simmetria di BRST . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3 Le teorie topologiche: introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.1 La teoria di Chern-Simons: aspetti classici . . . . . . . . . . . . . .
1.3.2 L’estensione delle simmetrie e teorie topologiche . . . . . . . . . .
1.4 Le teorie di gravità topologica: simmetrie e campi . . . . . . . . . . . . .
1.4.1 Campi e simmetrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.2 Interpretazione geometrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5 I modelli sigma topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.1 Le teorie supersimmetriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.2 I modelli sigma supersimmetrici con una carica di supersimmetria
1.5.3 Interludio matematico: introduzione alle varietà di Kahler . . . . .
1.5.4 I modelli sigma supersimmetrici con due cariche e twist topologico
1.5.5 Il modello A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.6 Il modello B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2 Le teorie di stringa: teoria bosonica e topologica
2.1 La stringa bosonica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.1 L’azione per la stringa bosonica e simmetrie . . . . . . . . . .
2.1.2 L’integrale di cammino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.3 Lo spazio degli stati di stringa chiusa e carica di BRST . . .
2.1.4 Lo spazio degli stati di stringa aperta e carica di BRST . . .
2.1.5 Le osservabili di stringa bosonica . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.6 Dagli stati fisici alle osservabili . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.7 Le ampiezze di scattering . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.8 Calcolo di correlatori, fisica del target-space di bassa energia
2.2 La stringa topologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.1 I modelli sigma topologici: richiami e ampliamenti . . . . . .
2.2.2 La gravità topologica bidimensionale . . . . . . . . . . . . . .
2.2.3 Le teorie di stringa topologica . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.4 Fisica di target-space per i modelli di stringa topologica . . .
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3 La teoria di Chern-Simons: aspetti quantistici e anomalie
3.1 L’azione effettiva quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.1 Le simmetrie dell’azione effettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.2 Il problema delle anomalie: perdita dell’invarianza di gauge . . . . .
3.2 L’indipendenza dal gauge-fixing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 L’applicazione alla teoria di Chern-Simons . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4 Interludio: il metodo di BV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.1 Algebra irriducibile che chiude off-shell . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.2 Chiusura on-shell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.5 La teoria di Chern-Simons in contesto BV e sua struttura supersimmetrica
3.6 Osservabili e deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.7 Anomalie topologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.8 Interpretazione dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4 La teoria di Chern-Simons olomorfa
4.1 Parametrizzazione di Beltrami della struttura complessa . . . . . . . . .
4.2 Azione dei diffeomorfismi e simmetrie dell’equazione di Kodaira-Spencer.
4.3 Fattorizzazione olomorfa e derivazione covariante . . . . . . . . . . . . .
4.4 Teoria di HCS: simmetrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.4.1 Introduzione degli anticampi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.5 L’operatore di discesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.6 Anomalie gravitazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.6.1 Introduzione al problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.6.2 Il modello di Bardeen-Zumino per le anomalie gravitazionali . .
4.6.3 Una variante olomorfa del modello di Bardeen-Zumino . . . . . .
4.6.4 Calcolo esplicito dei possibili cocicli di anomalia gravitazionale .
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A Superfici di Riemann e il teorema di Riemann-Roch
A.1 Definizioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A.2 Spazio dei moduli e teorema di Riemann-Roch . . . . . . . . . . . . . . . .
A.2.1 La sfera e il toro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Bibliografia
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Introduzione e conclusioni
Un problema centrale della fisica delle alte energie è la ricerca di una teoria unificatrice
che consenta di incorporare al proprio interno tutte le quattro interazioni fondamentali.
Dal punto di vista storico si può affermare che il primo risultato in questa direzione si
ebbe con Maxwell il quale fornì l’unificazione di elettricità e magnetismo. Ulteriori sviluppi
significativi giunsero negli anni quaranta, quando si comprese che la teoria quantistica dei
campi (e più in particolare la teoria di gauge abeliana) forniva il contesto giusto con cui
realizzare l’unificazione tra la teoria elettromagnetica e la meccanica quantistica. Sempre
in questo contesto si raggiunse, negli anni ’70, l’ulteriore unificazione tra l’elettrodinamica
quantistica e le interazioni nucleari (sia forti che deboli) costruendo il cosiddetto modello
standard che è una teoria di gauge con gruppo di invarianza SU(3) × SU(2) × U(1) [5] [1].
Negli anni successivi il modello standard è stato sottoposto a numerose verifiche sperimentali che ne hanno confermato le predizioni almeno fino a scale di lunghezza dell’ordine dei
10−18 m. Lo stato attuale della conoscenza non si discosta significativamente da questo quadro: tre delle quattro interazioni fondamentali sono unificate attraverso il modello standard e
ne rimane esclusa la gravità che classicamente è descritta dalla relatività generale. Una teoria
gravitazionale quantistica non è attualmente disponibile, tutti i tentativi in questa direzione
conducono infatti a teorie non rinormalizzabili e quindi mal definite nell’ultravioletto (cioè
ad altissime energie) [27].
La non rinormalizzabilità di una teoria può indicare che la stessa vada considerata solo
come un’approssimazione di bassa energia di una teoria corretta a tutte le scale energetiche:
è il caso ad esempio della teoria di Fermi delle interazioni elettrodeboli che ad alte energie è
corretta dalla teoria di Glashow, Salam e Weinberg, teoria nella quale l’interazione a quattro
fermioni è mediata da bosoni di gauge vettoriali [1].
In quest’ordine di idee la non rinormalizzabilità di tutte le teorie di gravitazione fin qui
formulate suggerisce che la teoria dei campi possa essere considerata come un’approssimazione
di bassa energia di una teoria più fondamentale, teoria che sia ben definita a tutte le
scale energetiche, che incorpori la gravità e che nel limite di bassa energia riproduca i
risultati del modello standard. La proposta attualmente più promettente per unificare il
modello standard e la relatività generale è costituita dalla teoria di stringa la quale, molto
rozzamente, sostituisce le particelle puntiformi presenti in teoria dei campi con oggetti estesi
unidimensionali (le stringhe) in moto nello spazio-tempo. In questo contesto le particelle
della teoria dei campi sono da considerarsi come particolari modi normali di vibrazione
delle stringhe medesime e non più come oggetti fondamentali [27]. Naturalmente, affinchè
una teoria siffatta possa riprodurre il modello standard a basse energie (o equivalentemente
a grandi lunghezze d’onda), è necessario che la lunghezza delle stringhe stesse sia molto
piccola se comparata con le distanze sondabili sperimentalmente.
In che modo una teoria di oggetti unidimensionali consente di superare il problema
delle divergenze? Intuitivamente questo fatto può essere compreso considerando che le
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divergenze compaiono come effetti di alta energia o di piccola distanza. Una teoria di oggetti
unidimensionali consente quindi di introdurre una scala minima di distanza — ovvero la
lunghezza della stringa — e quindi un cut-off naturale che risolva il problema delle divergenze
ad alte energie [27].
La rimozione delle divergenze ultraviolette e la presenza del gravitone sono due proprietà
generali della teoria delle stringhe che incoraggiano l’ipotesi che questa teoria fornisca
una formulazione quantistica consistente della gravità: non è tuttavia ancora chiaro se
l’unificazione della gravità con le altre interazioni fondamentali che emerge nella teoria delle
stringhe porti ad un concreto modello teorico consistente con le osservazioni sperimentali.
Una caratteristica peculiare delle teorie di stringa è il porre condizioni sulle caratteristiche
dello spazio-tempo in cui sono definite: in particolare, affinché queste teorie siano definibili a
livello quantistico e non sorgano anomalie, è necessario che lo spazio-tempo abbia un numero
fissato di dimensioni (nello specifico 26 per la teoria di stringa bosonica e 10 per le teorie
di superstringa). Sorge pertanto il problema di caratterizzare queste dimensioni extra e di
spiegare perché, nell’esperienza ordinaria, lo spazio-tempo appaia quadri-dimensionale. Per
conciliare le previsioni teoriche e l’esperienza si invoca un fenomeno detto di compattificazione:
delle dieci dimensioni che compongono lo spazio-tempo si ritiene che 6 siano compattificate
su scale di lunghezza estremamente piccole e che risultino pertanto insondabili direttamente
con gli strumenti sperimentali attuali.
Un altro aspetto per molti versi insoddisfacente della comprensione attuale della teoria delle stringhe è lo stato molto incompleto di sviluppo della formulazione di seconda
quantizzazione della teoria. Le teorie dei campi ordinarie sono normalmente sviluppate
in un formalismo di seconda quantizzazione [5]: per ogni particella viene introdotto un
corrispondente operatore di campo quantistico, la teoria è poi formulata in termini di un
integrale di cammino sui campi. Fissato un background classico della teoria di campo, è
possibile comunque calcolare le ampiezze di scattering tra particelle — perturbativamente —
in un formalismo di prima quantizzazione. Questa formulazione delle ampiezze di scattering
è però intrinsicamente perturbativa: una formulazione di seconda quantizzazione della teoria
è essenziale per investigare aspetti non perturbativi della dinamica. Per esempio questioni
cruciali del modello standard come il meccanismo di Higgs e la rottura spontanea della
simmetria [1] sono investigabili solo con metodi non perturbativi che richiedono una formulazione di seconda quantizzazione della teoria. Per ottenere una formulazione di seconda
quantizzazione in teoria di stringa occorrerebbe introdurre un operatore di campo per tutte
le particelle che compongono lo spettro fisico e dedurre l’azione corrispondente. Poiché
lo spettro delle teorie di stringa è costituito da un’infinità di particelle di massa via via
crescente la sua formulazione di seconda quantizzazione deve necessariamente includere un
numero infinito di campi locali [28], [29]. Benché delle proposte teoriche in questo senso siano
state formulate e studiate, la teoria di campo risultante appare estremamente complessa e,
per questa ragione, la sua analisi si è finora limitata ad alcuni aspetti classici.
Questo quadro di difficoltà di tipo tecnico è una (ma non l’unica) delle motivazioni che
ha portato all’introduzione ed allo studio cosiddette teorie topologiche di campo e di stringa
[2], [13]. Una teoria di campo è detta topologica se risulta indipendente dalla metrica della
varietà nella quale è definita. In conseguenza di questa indipendenza dalla metrica la teoria
non possiede osservabili locali, ossia non possiede osservabili che siano interpretabili come
particelle in propagazione nella varietà. In una teoria topologica le sole osservabili sono
“globali”, cioè associate alle proprietà di lunga distanza, globali appunto, dello spazio tempo.
Di conseguenza lo spettro fisico delle teorie di campo e di stringa topologiche è assai ridotto
rispetto alle usuali teorie fisiche. Questo porta ad una drastica semplificazione dello studio
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della loro dinamica.
Chiaramente una teoria topologica, non descrivendo particelle propagantisi, non è direttamente rilevante come teoria delle interazioni fondamentali; tuttavia, in virtù dell’estrema
semplicità della stessa rispetto alle usuali teorie fisiche, alcune teorie topologiche possono
almeno rappresentare utili “toy models” per studiare in maniera esatta aspetti che nelle
teorie fisiche ordinarie sono studiabili solo perturbativamente.
Contestualizzando il discorso alle teorie di stringa è comprensibile che nelle teorie di
stringa topologica, in virtù del ridotto numero di osservabili che contengono, è più semplice
ottenere una formulazione di seconda quantizzazione. In particolare mostreremo che per
due modelli di stringa topologica, detti modello A e modello B, è possibile ottenere una
descrizione di seconda quantizzazione completa ed esatta [28]; più nello specifico mostreremo
che la descrizione di seconda quantizzazione del modello A aperto è costituita dala teoria
di gauge di Chern-Simons in 3 dimensioni, mentre la descrizione del modello B aperto è
costituita da una variante olomorfa della teoria di Chern-Simons, variante che prende il nome
di Holomorphic Chern-Simons (HCS). La HCS che è molto meno studiata della teoria di
Chern-Simons tridimensionale e lo studio di alcune sue proprietà costituirà la parte originale
di questo lavoro di tesi.
Notiamo a questo riguardo che questa corrispondenza tra modelli di stringa topologica
aperta e teorie di gauge costituisce un esempio esplicito e calcolabile della congettura di ’t
Hooft, secondo la quale gli sviluppi N1 delle teorie di gauge (con gruppo di gauge SU(N ))
nel limite di accoppiamento forte sono descrivibili attraverso modelli di stringa chiusa
debolmente interagenti.
Sommario
Questa tesi si propone di descrivere alcuni risultati originali concernenti la teoria di HCS,
teoria introdotta da Witten a metà degli anni ’90[28]. Molte proprietà di questa teoria
di campo non sono ancora studiate. In particolare non è chiara la questione della sua
rinormalizzabilità: la HCS infatti è una teoria di gauge definita in uno spazio tridimensionale
complesso (e quindi sei-dimensionale reale) e, pertanto, superficialmente non rinormalizzabile
per conteggio di potenze. Tuttavia, come mostrato da Witten, la HCS è interpretabile come
la formulazione di seconda quantizzazione della teoria di stringa topologica di tipo B aperto,
le cui ampiezze sono perfettamente definite nell’ultravioletto ad ogni ordine in teoria delle
perturbazioni. Questa corrispondenza spinge ad ipotizzare che la teoria di HCS ammetta
un completamento univoco nell’ultravioletto.
Preliminarmente allo studio della HCS la tesi intende fornire un’introduzione all’argomento delle teorie topologiche di campo e delle teorie di stringa (sia bosoniche che
topologiche).
Il capitolo 1 è un’introduzione generale alle teorie di campo topologiche. Come argomento
preliminare discuteremo la simmetria di BRST [12], simmetria che costituisce un’estensione
dell’ordinaria simmetria di gauge e che è preservata della procedura di gauge-fixing necessaria
per definire l’integrale funzionale quantistico. Le osservabili fisiche di una teoria di campo
sono identificabili con le classi di comologia dell’operatore s di BRST. La simmetria di
BRST è alla base dell’idea di teoria topologica: una teoria topologica è una teoria nella
quale la simmetria di BRST è abbastanza ampia da eliminare in maniera completa i gradi
di libertà locali, ovvero quelli propagantisi. In generale la richiesta di eliminare i gradi di
libertà in propagazione si traduce in un corrispondente requisito geometrico: ossia che la
teoria nel suo complesso non dipenda dalla metrica della varietà su cui è definita. Questo
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fatto è all’origine del nome topologico che caratterizza queste teorie di campo. In concreto
discuteremo tre teorie topologiche che saranno l’oggetto di studio del seguito della tesi: la
teoria di Chern-Simons, la gravità topologica e i modelli sigma topologici. In particolare
sarà posta particolare enfasi sulle proprietà di simmetria e sull’interpretazione geometrica
dei tre modelli.
Il capitolo 2 è dedicato all’introduzione e alla definizione delle teorie di stringa. Per
introdurre queste teorie ci si riferirà da principio alla teoria più semplice possibile: la teoria
di stringa bosonica [27]. Nella prima sezione di natura classica saranno definite le azioni di
stringa (di Nambu-Goto e di Polyakov), le simmetrie di queste e la distinzione tra stringhe
aperte e stringhe chiuse. Sarà inoltre mostrato che le teorie di stringa vanno in ultima
analisi interpretate come modelli sigma (che mappano una superficie di Riemann compatta
nello spazio-tempo) accoppiati alla gravità bidimensionale. Successivamente sarà definita
la misura funzionale di integrazione (ossia la funzione di partizione) per la teoria bosonica.
In questa sezione la discussione si discosterà leggermente dalla trattazione usuale dei testi
introduttivi all’argomento: un’ estensione dell’azione dell’operatore di BRST del modello
sigma ai parametri di gauge permetterà di mostrare, in maniera semplice, che la misura
funzionale di integrazione della teoria è interpretabile come una forma di grado massimo
sullo spazio dei moduli delle superfici di Riemann di genere fissato dall’ordine perturbativo
dato [17]. La discussione si sposterà poi allo spettro della stringa bosonica e alla definizione
delle ampiezze di scattering. La trattazione mostrerà che sia la teoria chiusa sia la teoria
aperta presentano un tachione (che puó essere interpretato come un’instabilità perturbativa
della teoria) mentre tra gli stati di massa nulla appaiono nello spettro i gluoni delle teorie
di Yang-Mills per quanto riguarda le stringhe aperte ed il gravitone per le stringhe chiuse.
Lo spettro fisico contiene inoltre una torre infinita di stati massivi. In corrispondenza a
ciascuno di questi esistono delle osservabili locali, cioè degli operatori invarianti di BRST,
detti operatori di vertice, attraverso i quali è possibile definire le ampiezze di scattering.
Per esemplificare il formalismo esposto, saranno calcolate alcune ampiezze di scattering tra
tachioni e gluoni a livello ad albero: si mostrerà come le ampiezze tra gluoni coincidono,
nel limite di bassa energia, con quelle che si calcolano a partire dall’usuale lagrangiana di
Yang-Mills. In definitiva l’azione di Yang-Mills è nel quadro della teoria delle stringhe il
termine di bassa energia di un’azione più complessa che riproduce le ampiezze di scattering
delle teorie di stringa ad energie arbitrarie.
Terminata la trattazione della stringa bosonica sposteremo l’attenzione alle stringhe
topologiche: in particolare saranno ripresi i modelli sigma topologici introdotti nel primo
capitolo discutendo in maniera completa per questi modelli le osservabili e le funzioni di
correlazione [18]. Sarà poi ripresa la gravità topologica per discuterne alcune caratteristiche
peculiari del caso bidimensionale: otterremo l’azione (che consiste di un puro termine di
gauge-fixing) e mostreremo che le funzioni di correlazione di osservabili si limitano a fornire i
valori delle osservabili calcolati nei background scelti per fissare il gauge [16]. La trattazione
andrà poi a discutere l’accoppiamento dei modelli sigma topologici con la gravità topologica
bidimensionale per costruire le stringhe topologiche, ottenendo una forma esplicita per
l’azione accoppiata e per i correlatori di osservabili in entrambi i modelli [18]. In ultimo
saranno presentati argomenti che suggeriscono che la teoria di gauge di Chern-Simons
tridimensionale sia da interpretarsi come la formulazione di spazio-tempo (o di seconda
quantizzazione) della stringa topologica aperta di tipo A mentre la HCS svolge lo stesso
ruolo per la teoria di stringa aperta di tipo B.
Il capitolo 3 è dedicato all’esposizione di alcuni sviluppi recenti della teoria di ChernSimons [21]. Scopo del capitolo sarà lo studio dell’indipendenza topologica della teoria
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a livello quantistico. A questo scopo la teoria verrà accoppiata alla gravità topologica.
L’accoppiamento richiederà una generalizzazione del metodo di BRST, generalizzazione che
prende il nome di metodo di Batalin-Vilkoviski (BV) e i cui rudimenti saranno esposti nel
capitolo stesso. In virtù della relazione tra teoria di Chern-Simons e stringhe topologiche
saranno anche prese in esame alcune generalizzazioni della teoria di Chern-Simons ottenute
considerando osservabili dotate di numero di ghost non standard. In ultimo saranno discusse
le possibili violazioni dell’indipendenza topologica a livello quantistico della teoria di ChernSimons e delle generalizzazioni prima introdotte, unitamente all’interpretazione di queste
anomalie in termini della teoria di stringa topologica soggiacente la teoria di Chern-Simons.
Il capitolo 4 contiene i risultati originali di questa tesi ed è incentrato, come preannunciato,
sulla teoria di HCS. Come primo obiettivo ci proponiamo di studiare le proprietà della
teoria al variare della struttura complessa posta sullo spazio di Calabi-Yau M in cui questa
è definita. La ragione di questo interesse risiede nella corrispondenza tra la HCS e il
modello B di stringa topologica: come spiegato nei capitolo precedenti della tesi il settore di
stringa chiusa del modello B descrive le deformazioni della struttura complessa posta su
M [49]; pertanto studiare le proprietà olomorfe della teoria di HCS equivale a descrivere
l’accoppiamento tra il settore di stringa chiusa e il settore di stringa aperta del modello
B. Nello specifico vedremo che, una volta realizzato l’accoppiamento tra l’azione di HCS e
i differenziali di Beltrami, per mantenere le proprietà di simmetria per trasformazioni di
gauge e per diffeomorfismi chirali1 della teoria, è necessario introdurre nell’azione ulteriori
campi che svolgono il ruolo di moltiplicatori di Lagrange che implementano delle equazioni
di consistenza per i background.
Otterremo in questo modo un’azione classica invariante per trasformazioni di BRST,
che include i termini di sorgente per i campi e per le variazioni di BRST dei campi. Questa
formulazione di BRST, valida off-shell, della teoria è un risultato originale presentato in
questa tesi che è preliminare allo studio della rinormalizzabilità del modello di HCS, una
questione che è lasciata per studi futuri.
Successivamente passeremo ad analizzare le possibili anomalie gravitazionali chirali ad
un loop della teoria, ossia le possibili violazioni ad un loop della simmetria per diffeomorfismi
chirali. L’analisi sarà di tipo comologico, e pertanto consentirà di classificare le possibili
anomalie senza però fornire informazioni sui coefficienti di anomalia. Nello specifico il calcolo
dei possibili cocicli di anomalia sarà dapprima effettuato con un metodo che generalizza
un’analoga costruzione, dovuta a Bardeen e Zumino [56], per classificare le anomalie
gravitazionali reali. Questo metodo, anch’esso un risultato originale della tesi, ha carattere
generale ed è applicabile a teorie definite su varietà di dimensione arbitraria. Esso individua
un certo insieme di cocicli dei diffemomorfismi chirali senza però permettere di stabilire
se questa classe di cocicli esaurisca effettivamente la comologia di BRST rilevante. Per
questo motivo nella parte finale del capitolo l’analisi sarà ristretta ed approfondita nel caso
rilevante per la teoria di HCS, quello di uno spazio-tempo di dimensione complessa eguale a
tre. In questo caso specifico arriveremo ad una descrizione esplicita ed esaustiva dei cocicli
associati alle anomalie chirali della teoria di HCS.
Nel corso dello studio dei cocicli di BRST, verrà individuato anche il cosidetto operatore
di discesa per la teoria di HCS, uno strumento tecnico di carattere generale utile per la
risoluzione dei problemi comologici di BRST connessi con anomalie e rinormalizzabilità.
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La nozione di diffeomorfismo chirale sarà introdotta sempre nel capitolo 4.
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Proposte per ulteriori sviluppi
La tesi può fornire diversi spunti per degli ulteriori sviluppi. Il primo e forse più immediato
sviluppo risiede nel calcolo esplicito dei coefficienti di anomalia gravitazionale chirale [59],
[55], [62], coefficienti che ovviamente non sono deducibili con metodi comologici.
Un’altra estensione naturale dei risultati presentati in questo lavoro è la generalizzazione
dello studio delle anomalie chirali ad ordini perturbativi più alti.
Una questione che non è stata approfondita in questa tesi è la relazione precisa tra le
anomalie dei diffeomorfismi chirali e l’anomalia olomorfa delle teoria di stringa topologica.
L’esistenza di una relazione tra queste due anomalie è suggerita dai risultati validi per le
teorie conformi in due dimensioni [63]. Per le teorie conformi in due dimensioni è stato infatti
mostrato (da Belavin e Knizhnik) che l’anomalia per diffeomorfismi chirali è equivalente
all’anomalia olomorfa. La corretta generalizzazione di questo risultato alla teoria di HCS,
non è ancora compresa [59]. Sembra ragionevole pensare che i risultati presentati in questa
tesi possano permettere di chiarire questa questione. Anche la connessione tra anomalia
olomorfa delle stringhe topologiche chiuse [49] e quella delle stringhe topologiche aperte [65]
— un tema che è stato recentemente oggetto di notevole interesse nello studio delle stringhe
topologiche [64] — dovrebbe essere elucidata dalla nostra analisi.
Infine, come più volte ricordato, alcuni dei risultati esposti in questa tesi sono preliminari
per lo studio della rinormalizzabilità della teoria di HCS con metodi comologici: fornire
una definizione ultravioletta alla teoria di HCS è un progetto ambizioso e consentirebbe
di definire a livello quantistico una teoria di gauge su uno spazio-tempo sei-dimensionale.
Raggiungere un tale risultato potrebbe fornire interessanti spunti per ottenere una teoria di
gravitazione quadridimensionale che sia rinormalizzabile.
Capitolo 1
Le teorie topologiche: proprietà di
simmetria
In questo capitolo si procederà all’introduzione e alla definizione di cosa sia una teoria
di campo topologica; e di quali siano le caratteristiche peculiari che la caratterizzano e
la rendono interessante. Terminata la prima sezione storica e di introduzione alle teorie
topologiche, seguirà una sezione di introduzione alla simmetria di BRST (introduzione
che seguirà da vicino la trattazione svolta in [7]) nelle teorie di gauge, simmetria che sarà
utilizzata per tutto il seguito del lavoro. A seguire saranno definite le teorie topologiche,
prima in modo generale per poi focalizzarsi su quattro esempi che saranno significativi per
tutto il proseguio del lavoro di tesi: la teoria di Chern-Simons, i modelli sigma topologici
(modello A e modello B), e la gravità topologica. In tutti questi esempi sarà posta particolare
enfasi sulle proprietà di simmetria delle teorie in esame.
1.1
Introduzione
Le teorie di campo topologiche furono introdotte nel 1988 da Witten [2], con l’intento di
fornire un’interpretazione fisica alla teoria degli invarianti di Donaldson [3] e ad alcune
questioni connesse (come la teoria di Floer [4]); per quanto inizialmente studiate per finalità
attinenti alla fisica matematica esse hanno poi mostrato la loro indubbia utilità anche nella
fisica teorica, e la ragione del loro successo risiede nel fatto che esse sono sufficientemente
semplici da consentire lo sviluppo di calcoli espliciti (impossibili da compiere direttamente
nelle teorie fisiche ordinarie), ma ancora abbastanza complesse da fornire utili indicazioni
circa il comportamento delle teorie fisiche da cui discendono.
Le teorie di campo tradizionali possiedono uno spazio delle configurazioni infinitodimensionale, comprendente le fluttuazioni dei campi a tutte le scale di lunghezza. I metodi
perturbativi consentono di sviluppare ed analizzare la dinamica delle fluttuazioni attorno
alle configurazioni classiche, e le divergenze che insorgono per effetto delle fluttuazioni
ultraviolette sono controllate tramite la teoria della Rinormalizzazione [5, 6]. Ciò che
tuttavia i metodi perturbativi non sono in grado di cogliere è la struttura complessiva e
globale dello spazio delle configurazioni suddetto, come si può capire se si considera che i
metodi perturbativi sono sviluppi validi localmente, nelle vicinanze delle soluzioni classiche.
Un esempio standard di quanto appena detto si ha nelle teorie di gauge. In questo
caso lo spazio delle configurazioni si divide nella somma di diversi componenti disconnesse,
corrispondenti a diversi comportamenti all’infinito dei campi di gauge. All’interno di
1
2
ciascuna di queste componenti le configurazioni dei campi che minimizzano l’azione classica,
gli istantoni, sono come noto quelle che danno luogo ad un tensore Fij self-duale. In generale
gli istantoni sono raggruppati in famiglie identificate tramite un insieme di parametri: lo
spazio dei moduli degli istantoni. Nelle teorie fisiche il calcolo delle ampiezze di correlazione
comprende sia l’integrazione finito dimensionale sullo spazio dei moduli degli istantoni, sia
l’integrazione su tutte le possibili fluttuazioni dei campi attorno ad una data configurazione
istantonica; in questo modo il calcolo si presenta immediatamente come estremamente
complicato per via della presenza di tutte le scale di lunghezza nell’integrazione; e per questo
motivo risulta presto impraticabile a meno di ricorrere alla teoria delle perturbazioni.
Al fine di acquisire informazioni sulla struttura globale sarebbe quindi auspicabile
congelare i gradi di libertà ultravioletti corrispondenti alle fluttuazioni (ossia i gradi di
libertà locali), in modo da concentrarsi sull’integrazione nello spazio dei moduli. Questo è ciò
che in effetti avviene in una teoria topologica grazie alla simmetria di BRST, estensione della
simmetria di gauge e sintetizzata in una descrizione operatoriale da un operatore nilpotente
omonimo, che in una teoria topologica elimina completamente (e non solo parzialmente
come al contrario avviene nelle teorie ordinarie) i gradi di libertà locali. Si verifica infatti
che le osservabili fisiche sono costituite dalle classi di comologia dell’operatore di BRST,
ossia da operatori che sono BRST-chiusi ma non BRST-esatti. La simmetria consente poi di
verificare che le fluttuazioni ultraviolette sono BRST-banali e, quindi, non fisiche (l’analoga
simmetria di BRST in una teoria fisica è invece meno potente, non eliminando infatti in
modo completo queste fluttuazioni dallo spettro e non consentendo quindi in definitiva di
concentrarsi esclusivamente sull’integrazione nello spazio dei moduli). Ciò che rimane è
dunque l’integrazione sullo spazio dei moduli degli istantoni consentendo così di acquisire
informazioni globali sulla teoria come auspicato.
Vale la pena infine di rilevare un ultimo aspetto che giustifica l’interesse della fisica
teorica verso le teorie topologiche: a dispetto della loro maggiore semplicità esse infatti
consentono, in alcuni casi, di studiare in maniera esatta certi aspetti delle teorie di campo
supersimmetriche con due cariche di supersimmetria; teorie dalle quali discendono grazie ad
un procedimento formale detto di twist topologico [2]1 . Una teoria supersimmetrica ha,in
genere, due gruppi di simmetria globali: Il gruppo di Lorentz e il gruppo degli automorfismi
dell’algebra supersimmetrica, detta R-simmetria [8]. Il twist topologico consiste nel ridefinire
il gruppo di Lorentz in modo tale che il nuovo gruppo di Lorentz sia costituito da una
combinazione lineare del vecchio gruppo di Lorentz e della R-simmetria. Il twist ha l’effetto
pratico di cambiare lo spin dei campi fermionici, rendendolo intero, in questo modo una
delle cariche supersimmetriche diviene uno scalare. Dall’algebra di supersimmetria segue che
tale scalare, detto Q, è nilpotente e che il tensore energia impulso della teoria è Q-banale.
Ambedue questi fatti consentono da un lato di interpretare Q come un operatore di BRST;
dall’altro (come sarà discusso in dettaglio più avanti) il carattere di banalità del tensore
energia-impulso è sufficiente a sancire il carattere topologico della teoria twistata.
1.2
La simmetria di BRST
Come noto in una teoria di campo quantistica le grandezze fisiche di interesse sono le
ampiezze di scattering, le quali sono calcolate tramite la formula di riduzione LSZ, formula
che permette di ottenere le ampiezze di transizione a partire dalle funzioni di correlazione di
osservabili, quest’ultime vengono quindi ad essere la reale quantità di interesse da calcolare
1
Come vedremo in modo esplicito tramite i modelli sigma topologici.
3
in una teoria di campo. È altresì noto che le funzioni di correlazione sono efficacemente
calcolate a partire dall’integrale di cammino di Feynman:
Z[J] =
Z
dµ eı
R
d4 x φ(x) J(x)
(1.2.1)
dove la misura funzionale dµ è ottenuta a partire dall’azione tramite la relazione: dµ =
dφ (x) eı S(φ) e J è la sorgente del campo; le ampiezze di correlazione sono poi ottenute
tramite le derivate funzionali rispetto a J della (1.2.1) [5].
La quantizzazione delle teorie di gauge [9] presenta tuttavia la difficoltà che, in generale,
l’integrale funzionale (1.2.1) è mal definito. Denotiamo con F0 lo spazio dei campi, ossia lo
spazio delle configurazioni sul quale la teoria di gauge è costruita; l’invarianza di gauge della
teoria può essere tradotta in linguaggio geometrico dicendo che F0 è fibrato dalle orbite di
gauge O, che in termini più fisici sono l’insieme delle trasformazioni di gauge di una data
configurazione. Limitandosi alle sole trasformazioni infinitesime quanto detto è equivalente
alla presenza di un sistema di operatori differenziali {X} su F0 , tangenti in ogni punto dello
spazio dei campi alla corrispondente orbita; denotando le coordinate generiche in F0 con φa
gli operatori possono essere scritti nella forma:
XI = PI a (φ) ∂φa
(1.2.2)
La forma esplicita dell’eq. (1.2.2) in una teoria di gauge non abeliana è data da:
XI = ∂µ
δ
δAµI (x)
− gfIKJ AµJ (x)
δ
δ AµK (x)
(1.2.3)
dalla quale segue la ben nota legge di trasformazione:
δ Aµ = ∂µ θ − g [θ , Aµ ]
(1.2.4)
La richiesta di integrabilità per il sistema {X} implica:
[XI , XJ ] = CIKJ (φ) XK
(1.2.5)
nelle situazioni più comuni l’algebra (1.2.5) è un’algebra di Lie e le funzioni di struttura
sono le costanti di struttura dell’algebra medesima, tuttavia esistono casi in cui si ha la
validità della (1.2.5) solo on-shell, ossia solo modulo le equazioni del moto. Nel seguito di
questa sezione di introduzione alla simmetria di BRST, supporremo sempre che la condizione
(1.2.5) sia verificata off-shell, l’estensione al caso in cui ciò non avvenga và sotto il nome di
metodo di Batalin-Vilkoviski (BV) [10] e verrà sviluppata in seguito.
La misura funzionale di integrazione è costante lungo le orbite di gauge (come conseguenza
ovvia dell’invarianza della teoria), unitamente al fatto che quest’ultime sono non compatte
si deduce che l’integrale funzionale risulta mal definito, tale difficoltà è superata grazie
al procedimento di Faddeev-Popov [11]. Al fine di esplicare nella maniera più immediata
possibile tale metodo, inizieremo col supporre, sebbene questa circostanza non si verifichi
nei casi pratici quasi mai, che esista un sistema di coordinate su F0 tale da identificare una
sezione globale del fibrato, ossia che esista un sistema di coordinate globali su F0 ; denoteremo
quindi con {ξ} le coordinate che sono costanti lungo le orbite (e che rappresentano dunque
i reali gradi di libertà fisici del sistema), e con {η} le coordinate verticali lungo le orbite
4
stesse. Per rendere l’integrale ben definito è quindi sufficiente moltiplicare la misura per
una opportuna funzione deltiforme di η in modo da selezionare una sezione del fibrato F0 ,
una scelta spesso utilizzata è rappresentata da:
δinv [η − η̄] ≡ δ[η − η̄] det XI η J (1.2.6)
dove il determinante serve a rendere la funzione invariante di gauge.
Il procedimento di Faddev-Popov è ottenuto con la sostituzione:
dµ −→ dµ δinv [η − η̄]
(1.2.7)
quest’ultima può poi essere
n o posta facilmente in forma locale. Introducendo due insiemi di
variabili di Grassmann cI e {c̄J }2 e usando i cosiddetti moltiplicatori di Nakanishi-Lautrup
{bJ } si può riprodurre il membro di destra della (1.2.6) nella forma:
Z Y
dbI
Y
dcJ
Y
dc̄K eı[bI (η
I
− η̄ I ) − c̄I cJ XJ η I ]
(1.2.8)
Da un punto di vista fisico l’equazione (1.2.8) può essere interpretata come un allargamento dello spazio funzionale dei campi: accanto al campo fisico di gauge sorgono ora i
campi di ghost c, c̄ e b, denoteremo con FC e con dµC l’ovvia estensione dello spazio dei
campi e della misura funzionale rispettivamente. È rimarchevole e degno di nota il fatto che
la comprensione e l’analisi delle teorie di gauge abbia richiesto un’estensione del numero
di gradi di libertà del problema e, come vedremo, l’introduzione della simmetria di BRST,
piuttosto che perseguire la strada, a prima vista più scontata, di ridurre il numero di gradi
di libertà essendo come visto questi in sovrannumero, perdendo però così la simmetria.
Analizzando i dettagli della formula (1.2.8) osserviamo che l’operatore differenziale cI XI
può essere sostituito con l’estensione nilpotente:
dV = cI XI −
1 I J K
c c CI J (φ) ∂cK
2
(1.2.9)
infatti l’addendo aggiunto non produce effetti nella (1.2.8) in quanto l’operatore ∂cK non
agisce sulle variabili η I , tuttavia estende l’azione dell’operatore (1.2.9) ai campi cK . L’operatore (1.2.9), nilpotente in virtù della (1.2.5) e della corrispondente identità di Jacobi,
è detto operatore di BRST. Identificando quindi il sistema {c} con la totalità delle forme
lasciate invariate dal sistema X, l’operatore dV può essere identificato con il differenziale
esterno verticale; ossia con l’operazione su F0 che in ogni punto dello stesso corrisponde al
differenziale esterno sull’orbita di gauge passante per il punto considerato.
Tornando ora al sistema di coordinate che banalizza il fibrato, è chiaro che questo esiste
globalmente solo in un numero ristretto di casi, in particolare solo quando la corrispondente
fibrazione è banale3 . Comunque il procedimento può essere opportunamente localizzato
notando che, al fine di costruire in maniera corretta la misura funzionale, è sufficiente poter
identificare una sezione di F0 costituita da carte locali intersecanti ogni orbita in un solo
punto. In pratica è sufficiente identificare un atlante in F0 , che denoteremo con {σ}, per
2
Da notare che, a differenza dei primi lavori pionieristici sul gauge-fixing [11], qui non stiamo supponendo
che queste variabili siano hermitiane coniugate l’una dell’altra.
3
Da notare che la situazione è completamente diversa per i fibrati vettoriali: in questo caso infatti è
possibile avere sezioni globali del fibrato anche se questo non è complessivamente banale. L’asserzione nel
testo è conseguente alla presenza dell’operazione di prodotto nel gruppo che definisce la fibra standard di F0 .
5
il quale l’espressione det XI σ J non si annulla mai nei punti in cui σ = σ̄ per qualche σ̄
opportunamente selezionato.
Assumendo verificata questa condizione l’azione di gauge-fixing può essere riscritta nella
maniera seguente:
h
ı SGF = ı bI (σ I − σ̄) − c̄I dV σ I
i
(1.2.10)
questa formula può poi essere posta in forma più sintetica introducendo un nuovo differenziale
esterno s agente sull’algebra generata da b e c̄ in modo da estendere l’azione di dV alla
totalità dei campi.
s c̄ = b
sb = 0
s A = Dc
s c = c2
(1.2.11)
dove si è indicata con D l’usuale derivata covariante rispetto alla connessione di gauge A. È
d’uso comune associare ai campi della teoria un numero detto ghost-number, indicato con
gh nella maniera seguente:
gh A = 0
gh c = 1
gh c̄ = −1
gh b = 0
(1.2.12)
si verifica in maniera elementare che l’operatore di BRST s aumenta di un’unità il numero
di ghost per ciascun campo e pertanto si pone:
gh s = 1
(1.2.13)
s = dV + bI ∂c̄I
(1.2.14)
Riassumendo, s assume la forma:
la quale consente di riscrivere la (1.2.10) nella forma:
SGF = s[c̄I (σ I − σ̄ I )] ≡ s ΨGF
(1.2.15)
e quindi vediamo che il termine di gauge-fixing si manifesta come il risultato dell’azione
di s su un funzionale dei campi di numero di ghost −1, funzionale che prende il nome di
fermione di gauge. Le scelte più comunemente usate nel gauge fixing sono funzioni lineari
nei campi, ossia funzioni del tipo:
SGF =
Z
dx
bI (VαI (∂) φα
ξ
+ δ IJ ξJ ) − c̄I VαI PJα (φ) cJ
2
(1.2.16)
per esempio rientrano in questa categoria le ben note scelte di gauge di Lorentz e assiale.
Raggruppando i risultati l’azione gauge fissata assume la forma:
S = Sinv (φ) + SGF = Sinv (φ) + sΨGF
(1.2.17)
si osserva in maniera elementare che la (1.2.17) è invariante di BRST, essendo s nilpotente
e SGF BRST-esatto.
La costruzione della misura funzionale appena approntata consente una dimostrazione
semplice e diretta dell’identità di Slavnov-Taylor, che avrà diversi risvolti nelle teorie
topologiche. Sia infatti Ξ un funzionale misurabile, ne consegue:
Z
dµC eıS s Ξ = 0
(1.2.18)
6
che si dimostra ricordando che l’azione è s-invariante.
Come già preannunciato le conseguenze della (1.2.18) sono notevoli. In primo luogo tale
identità dimostra che le funzioni di correlazione contenenti espressioni BRST-esatte sono
nulle; congiuntamente al fatto già ricordato che s rappresenta l’estensione naturale della
originaria simmetria di gauge, si deduce che le osservabili fisiche devono essere invarianti
di BRST. Tirando le somme si conclude che le sole osservabili fisiche interessanti sono
costituite dalle espressioni BRST-chiuse ma non BRST-esatte, in altre parole sono formate
con la comologia di s. Un’altra conseguenza importante (di fatto essenziale affinchè la
teoria abbia fondamento) che si può trarre dalla (1.2.18) è l’indipendenza dal gauge fixing
dei correlatori di osservabili. Ricordiamo infine che la simmetria di BRST consente di
provare la rinormalizzabilità della teoria di gauge e quindi l’unitarietà della matrice di
scattering, tuttavia non ci addentreremo nella discussione di quest’ultimo punto malgrado
la sua importanza in quanto non verrà sfruttato nel seguito del lavoro4 .
1.3
Le teorie topologiche: introduzione
Vogliamo ora mettere in evidenza i punti principali della discussione fin qui svolta, in quanto
l’analisi di questi condurrà in maniera naturale alla definizione di teoria topologica.
Nel paragrafo precedente abbiamo visto come, la procedura di gauge-fixing in una
teoria di gauge (necessaria al fine di rendere ben definito l’integrale funzionale), rompa la
simmetria di gauge della teoria; tuttavia, l’introduzione dei campi dei ghost e l’estensione
della simmetria di gauge alla simmetria di BRST, mostra come la teoria gauge-fissata
possieda ancora una simmetria (la simmetria di BRST appunto). Simmetria sintetizzata
da un operatore s di BRST, nilpotente, scalare (ossia che non porta indici vettoriali), che
estende la simmetria di gauge originaria, e dotato di numero di ghost pari a 1; e che rispetto
al quale l’azione gauge-fissata assume la forma (1.2.17). Infine abbiamo mostrato l’equazione
(1.2.18) la quale consente di concludere che le sole osservabili fisicamente rilevanti nella
teoria sono costituiti dalla comologia di s, e che i prodotti di correlazione di osservabili
sostanzialmente non risentono del particolare gauge-fixing utilizzato.
Vogliamo ora porre l’enfasi sul fatto che l’invarianza di BRST riduce il numero dei gradi
di libertà locali della teoria (intesi come i gradi di libertà propagantisi) e, per rendere la
discussione più concreta, considereremo l’esempio esplicito delle teorie di Yang-Mills abeliane
quadri-dimensionali (l’elettrodinamica ad esempio) in quanto il carattere abeliano o meno
della teoria non altera la discussione che faremo.
Per mostrare questa proprietà ripartiamo dalle trasformazioni (1.2.11) nelle quali
esplicitiamo la dipendenza delle trasformazioni dalle variabili di spazio-tempo:
s c̄(x) = b(x)
s b(x) = 0
s A(x) = D c(x)
s c(x) = 0
(1.3.1)
e scegliamo come fermione di gauge l’espressione
ΨGF ≡
Z
d4 x c̄
1
η b + ∂ µ Aµ
2
in cui η è un parametro.
4
Per un riferimento in tal senso si rimanda ai lavori originali [12].
(1.3.2)
7
Esplicitando ora l’azione di s sul fermione di gauge, e integrando rispetto al campo
ausiliario b, si ottiene l’equazione del moto per b:
η b − ∂ µ Aµ = 0
(1.3.3)
I campi della teoria possono poi essere espressi nello spazio (tridimensionale) dei momenti
in modo da mettere in evidenza i gradi di libertà locali degli stessi
A (x) =
µ
4 Z
X
h
f µ∗ (k)a (k)eıkx + µ (k)a† (k)e−ıkx
dk
λ
λ
λ
i
λ=1
c(x) =
Z
f c(k)eıkx + c† (k)e−ıkx
dk
c̄(x) =
Z
f c̄(k)eıkx + c̄† (k)e−ıkx
dk
h
i
h
i
(1.3.4)
dove abbiamo indicato con i vettori di polarizzazione (a priori abbiamo quattro possibili
stati di polarizzazione) del campo A, mentre gli operatori a, a† , c, c† , c̄, c̄† sono gli operatori
di creazione e distruzione dei campi; inoltre non abbiamo trasformato l’antighost b in quanto
per la discussione non è necessario. Indicando quindi con k µ = (ω, k) = ω(1, 0, 0, 1) il
quadrimpulso, scegliamo come vettori di polarizzazione i vettori
1
µ1 = √ (1, 0, 0, 1)
2
1
µ2 = √ (1, 0, 0, −1)
2
1
µ3 = √ (0, 1, −ı, 0)
2
1
µ
4 = √ (0, 1, ı, 0)
2
(1.3.5)
Sostituiamo ora le espressioni (1.3.4) nelle (1.3.1) e, utilizzando la (1.3.3) per eliminare
la dipendenza da b, otteniamo le trasformazioni di BRST per gli operatori di creazione:
√
s a†λ = 2ωδλ,1 c†
s c† = 0
√
s c̄† = 2ωa†2
(1.3.6)
le quali mostrano che gli operatori di creazione del campo A corrispondenti a polarizzazioni
longitudinali (vale a dire quelle indicate con indici 1, 2) non appartengono alla comologia.
Ne consegue quindi il fatto ben noto che i soli possibili gradi di polarizzazione del fotone
sono gli stati di polarizzazione trasversi.
Quanto appena esposto mostra, tramite un esempio, che le simmetrie locali consentono
di ridurre il numero dei gradi di libertà locali del sistema quantistico in esame. In questa tesi
verrà pertanto focalizzata l’attenzione su questo aspetto, e cercheremo teorie che eliminino
in modo completo i gradi di libertà locali, per studiare aspetti globali della teoria in esame;
il che equivale, detto in altri termini, ad escludere completamente dalla teoria le particelle
propaganti. Definiremo quindi teoria topologica, una teoria nella quale i gradi di libertà
locali sono completamente eliminati.
L’aggettivo topologico, da un punto di vista geometrico, suggerisce comunque l’idea
che la teoria sia indipendente dalla metrica della varietà M sulla quale è definita la teoria:
8
vogliamo quindi mostrare ora come, l’indipendenza dalla metrica dei prodotti di correlazione
di osservabili, consenta di dedurre il carattere topologico della teoria in esame (inteso come
assenza di particelle in propagazione e con solo osservabili globali)
A tal fine, consideriamo un generico prodotto di correlazione di n osservabili O1 , . . . , On
inserite nei punti x1 , . . . , xn
hO1 . . . On i
(1.3.7)
l’ipotizzata indipendenza dalla metrica dei prodotti di correlazione, consente di concludere
che il correlatore (1.3.7) è anche indipendente dai punti di inserzione delle osservabili;
infatti un cambiamento nei punti di inserzione delle osservabili può sempre essere bilanciato
mediante un opportuno cambio della metrica, cambio che non altera il valore assunto dalla
(1.3.7).
Quanto appena esposto permette di concludere che i gradi di libertà locali, in una teoria
indipendente dalla metrica, sono completamente eliminati; infatti è sufficiente trasformare la
(1.3.7) nello spazio dei momenti per accorgersi che i gradi di libertà locali non contribuiscono
al valore dei correlatori e, pertanto, le sole osservabili in una teoria topologica sono globali.
Riassumendo, l’analisi appena esposta consente di tradurre la richiesta fisica che i gradi
di libertà propaganti siano eliminati dallo spettro, in una corrispondente richiesta geometrica:
ossia che i correlatori non dipendano dalla metrica.
Andiamo ora a discutere come si possa ottenere nella pratica una teoria topologica. Visto
l’esempio dell’elettrodinamica prima discusso, un modo ovvio per eliminare completamente
le particelle in propagazione dalla teoria, consiste nel ridurre le dimensioni dello spaziotempo in cui la teoria è definita: nello specifico notiamo che, se la teoria di gauge divenisse
bidimensionale (anziché quadridimensionale come è stato supposto), i gradi di libertà locali
verrebbero automaticamente rimossi dallo spettro in modo completo.
In realtà è possibile trovare una teoria topologica soggetta alle trasformazioni di gauge
(1.3.1) anche in dimensione 3; a patto di scegliere un’opportuna azione. La teoria risultante
è la teoria di Chern-Simons, della quale ne daremo ora una descrizione classica [13], mentre
la discussione quantistica costituirà uno dei capitoli centrali della tesi.
1.3.1
La teoria di Chern-Simons: aspetti classici
La teoria di Chern-Simons reale può essere definita su una varietà differenziabile tridimensionale M , orientata e che sia fornita di un gruppo di lie compatto e semplice G. Indichiamo
poi con E il fibrato banale costituito dal prodotto cartesiano M × G e consideriamo su
di esso una connessione Aaµ , che per semplicità può essere vista come una 1-forma su M
a valori in G. Su questa varietà vogliamo costruire una teoria di gauge topologica per la
connessione A, le cui trasformazioni di gauge siano date dall’usuale espressione:
s A = Dc
s c = c2
(1.3.8)
Approntate le trasformazioni di gauge è ora necessario cercare un’opportuna azione per
il nostro modello (e vogliamo che l’azione abbia carattere topologico): è evidente che l’usuale
lagrangiana di Yang-Mills
S =
Z
M
F ∧ ∗F
(1.3.9)
non presenta le caratteristiche richieste in quanto dipende espressamente dalla metrica
attraverso l’operatore di dualità di Hodge, e non sarebbe quindi topologica. In tre dimensioni,
9
esiste comunque una possibilità ulteriore offerta dall’integrale della 3-forma di Chern-Simons:
2
A ∧ A ∧ A)
3
M
Z
k
2
=
ijk Tr(Ai ∂j Ak + Ai Aj Ak )
4π M
3
Stop
k
=
4π
Z
Tr(A ∧ dA +
(1.3.10)
tale azione è topologica: infatti ricordiamo che sulle forme differenziali, il differenziale di
Cartan d è un operatore covariante senza la necessità di introdurre una metrica. Tale azione
è anche invariante per trasformazioni di gauge infinitesime in quanto si verifica con calcolo
diretto che la lagrangiana varia per una derivata totale sotto la trasformazione (1.3.8) 5 .
Passiamo ora alla definizione delle osservabili della teoria, osservabili che non dovranno
dipendere dalla metrica per non rompere il carattere topologico della teoria stessa: sia
dunque C una curva chiusa e orientata in M ; e sia R una rappresentazione irriducibile di
G. Si può dunque definire il seguente funzionale WR (C) della connessione A, calcolando
l’olonomia di A attorno a C:
WR (C) = TrR exp
Z
C
Ai dxi
(1.3.11)
Proprietà cruciale di questa definizione è che essa mantiene il carattere topologico della
teoria non richiedendo la presenza di una metrica.
Apparentemente la teoria sembra contraddire quanto appena esposto, circa l’equivalenza
tra la richiesta geometrica di indipendenza dalla metrica, e l’assenza di particelle in propagazione. Infatti le trasformazioni di gauge, come già visto, eliminano le due polarizzazioni
longitudinali dallo spettro; mentre resterebbe presente la polarizzazione trasversa (la teoria
è tridimensionale). Pertanto non sarebbero rimosse in modo completo le particelle in propagazione, e la teoria non sarebbe dunque topologica (nel senso di assenza di gradi di libertà
locali).
Tuttavia lo stato di polarizzazione trasverso è anch’esso eliminato dallo spettro: per
accorgersene consideriamo l’equazione del moto per Ai , considerando la parte libera della
lagrangiana L0
0 =
δL0
= ijk ∂j Ak
δAi
(1.3.12)
che, riscritta nello spazio dei momenti, diviene
k × A(k) = 0
(1.3.13)
che dunque elimina dallo spettro anche la polarizzazione trasversa, sancendo così il carattere
topologico della teoria.
Quanto esposto conclude la trattazione classica, per quantizzare occorre preoccuparsi di
definire in maniera corretta l’integrale funzionale, formalmente dato dall’espressione
Z =
Z
[dφ] eıStop
(1.3.14)
In un apposito capitolo, verrà discussa l’invarianza topologica della teoria quantistica:
infatti nella procedura di quantizzazione è naturalmente necessario introdurre un termine di
5
Ricordiamo che, per trasformazioni di gauge che non siano infinitesime, la variazione della lagrangiana
contiene un termine che non è una derivata totale ma tuttavia assume valori quantizzati; ne segue pertanto
il vincolo che la costante di accoppiamento k sia anch’essa quantizzata in modo che la variazione totale
dell’azione sia pari a multipli di 2π, rendendo invariante la funzione di partizione.
10
gauge-fixing, termine che rompe inevitabilmente il carattere topologico dell’azione (infatti
dipende necessariamente dalla metrica come vedremo). Pertanto è possibile che tale dipendenza dalla metrica affligga i prodotti di correlazione; rendendo complessivamente la teoria
non topologica a livello quantistico. Una teoria topologica a livello classico ma che perde il
carattere topologico a livello quantistico sarà detta anomala e, più avanti, il problema delle
possibili anomalie topologiche della teoria di Chern-Simons, sarà discusso sistematicamente.
1.3.2
L’estensione delle simmetrie e teorie topologiche
Nell’esempio appena discusso abbiamo mostrato così che la riduzione delle dimensioni
dello spazio-tempo (da quadridimensionale a tridimensionale), unitamente alla scelta di
un’opportuna azione (l’azione di Chern-Simons che è manifestamente indipendente dalla
metrica) consente di costruire una teoria senza gradi di libertà locali.
La riduzione delle dimensioni dello spazio-tempo, non rappresenta comunque l’unica
possibilità per ottenere una teoria topologica: come abbiamo visto infatti, la presenza delle
simmetrie locali elimina, almeno in maniera parziale, le particelle in propagazione; pertanto è
abbastanza naturale domandarsi se non sia possibile estendere opportunamente la simmetria,
in modo da eliminare in maniera completa le particelle propaganti e ottenere così una teoria
topologica.
D’altra parte abbiamo anche mostrato che, se i correlatori della teoria risultano
indipendenti dalla metrica, la teoria assume automaticamente carattere topologico.
Stante quest’ultima osservazione, riprendiamo in esame l’esempio della teoria di YangMills, sostituendo la consueta lagrangiana con l’espressione:
S =
Z
F ∧F
(1.3.15)
apparentemente simile alla (1.3.9), ma che tuttavia ha carattere topologico non essendo
presente in questo caso l’operatore di dualità di Hodge. In effetti, essendo la (1.3.15)
topologica, la teoria è ora indipendente da variazioni infinitesime arbitrarie del campo di
gauge; ne consegue che il gruppo d’invarianza risulta enormemente più grande, e può essere
sintetizzato dalla trasformazione di BRST:
sA = ψ
sψ = 0
(1.3.16)
in cui ψ è un campo fermionico, detto gaugino, che tiene conto di uno shift infinitesimo e
arbitrario del campo di gauge, mentre la simmetria di gauge originaria (1.3.8) è evidentemente
compresa come un caso particolare della (1.3.16)6 . La teoria definita dall’azione (1.3.15)
e dalle trasformazioni (1.3.16), è manifestamente una teoria topologica, che prende il
nome di teoria di Yang-Mills topologico (TYM) [2, 14], e le trasformazioni (1.3.16) si
configurano come trasformazioni di supersimmetria in cui però la carica supersimmetrica
assume carattere scalare; tale procedura di ricavare una teoria topologica a partire da una
teoria supersimmetrica prende il nome di twist topologico, e sarà analizzato nel dettaglio a
proposito dei modelli sigma topologici.
Riassumendo, abbiamo mostrato in questa sezione come una teoria di gauge possa
essere resa topologica diminuendo le dimensioni dello spazio-tempo, oppure estendendo
6
In realtà, come verificheremo esplicitamente a proposito della gravità topologica, le trasformazioni (1.3.16)
vanno modificate in modo da renderle equivarianti, concetto che sarà spiegato sempre in quella sede.
11
opportunamente le simmetrie locali. Caratteristica peculiare di entrambi gli approcci, è che
la più generale azione gauge fissata compatibile con la richiesta, è del tipo
S = Stop + s ΨGF (g)
(1.3.17)
nella quale abbiamo indicato con Stop la parte dell’azione topologica (ossia indipendente in
maniera esplicita dalla metrica), viceversa il termine s ΨGF (g), in cui l’operatore s governa
tutte le simmetrie della teoria, dipenderà in generale dalla metrica dello spazio-tempo
tuttavia, in virtù della (1.2.18), tale dipendenza non influirà sui prodotti di correlazione.
Notiamo che, il contenuto della (1.3.17) può essere tradotto nella seguente condizione
sul tensore energia-impulso della teoria Tµν ≡ δgδSµν :
Tµν = s Gµν
(1.3.18)
per un opportuno operatore Gµν , infatti la validità della (1.3.18) consente di concludere che
le variazioni dell’azione per deformazioni della metrica sono s-esatte e quindi, sempre in
virtù della (1.2.18), non alterano i prodotti di correlazione.
Vogliamo ora rilevare un’ulteriore proprietà delle teorie topologiche, allorché l’azione
consista esclusivamente del termine di gauge fixing: i prodotti di correlazione sono indipendenti dai valori delle costanti di accoppiamento [15]; pertanto le funzioni di correlazione
possono essere calcolate senza errore sia nel limite di accoppiamento debole che forte. Per
mostrarlo esplicitiamo innanzitutto la costante di accoppiamento nell’espressione dell’azione
S =
1
s ΨGF
g2
per variazioni della costante di accoppiamento
1
g2
→
hO1 ...On i → hO1 ...On i +
+∆
Z
[Dφi ] s O1 ...On ΨGF
(1.3.19)
1
g2 − ∆
si ha, al primo ordine:
1
exp − 2 S
g
=
= hO1 ...On i
(1.3.20)
nella quale abbiamo indicato collettivamente con φ i campi della teoria.
Questa proprietà è di fatto fondamentale: infatti, come avremo modo di rilevare nel
seguito, ricorrere al limite di accoppiamento debole consente spesso di poter fare dei calcoli
espliciti completi sulla teoria e, mentre in una teoria di campo ordinaria i risultati che si
ottengono sono sempre approssimati, in una teoria topologica si è garantiti che il risultato è
valido per qualunque valore della costante di accoppiamento.
Introdotte le teorie topologiche, e descritte le proprietà principali di queste, da qui alla
fine del capitolo ci preoccuperemo di fornire esempi espliciti di tali teorie; esempi che saranno
ripresi e ampliati successivamente quando necessario.
1.4
Le teorie di gravità topologica: simmetrie e campi
Passiamo ora a discutere la gravità topologica [16, 17, 18, 19]. L’interesse verso questa
teoria è duplice: da un lato, come vedremo, le teorie di stringa accoppiano teorie di campo
a teorie di gravità bidimensionale (e nel caso delle teorie di stringa topologica la teoria di
gravità è la gravità topologica bidimensionale); d’altro canto, per studiare l’indipendenza
12
quantistica dal gauge-fixing della teoria di Chern-Simons, sarà necessario studiare la gravità
topologica tridimensionale.
In questa sezione saranno pertanto introdotte le caratteristiche generali di una teoria di
gravità topologica, ossia le caratteristiche che non dipendono dalle dimensioni della varietà
in cui si definisce la teoria.
1.4.1
Campi e simmetrie
Cerchiamo quindi anzitutto di capire come una teoria di gravità sia costruita: una tale
teoria può essere pensata come una teoria di gauge per la metrica; il ruolo del campo di
gauge è quindi svolto dalla metrica gµν definita sulla varietà differenziabile M ; mentre il
ruolo delle trasformazioni di gauge è svolto dalle trasformazioni per diffeomorfismi, che in
linguaggio di BRST sono rappresentati tramite un campo vettoriale cµ fermionico, agente
sui campi tramite derivata di Lie, indicata con Lc [20].
Stante questo programma possiamo passare a scrivere le trasformazioni di BRST per la
gravità, che dunque assumono la forma:
s gµν = −Lc gµν
1
s cµ = − Lc cµ
2
(1.4.1)
che danno luogo ad un operatore di BRST nilpotente.
Come evidenziato nei precedenti paragrafi, per rendere topologica una teoria, occorre
estendere la simmetria di gauge in modo da eliminare completamente i gradi di libertà locali.
Per raggiungere tale scopo introduciamo quindi un ulteriore campo fermionico, il gravitino
ψµν , avente numero di ghost 1, e che permetta di estendere il gruppo di gauge della teoria
alle variazioni arbitrarie della metrica gµν .
In analogia con quanto discusso a proposito della teoria di Yang-Mills topologico, si
perviene dunque alle trasformazioni:
s gµν = ψµν
s ψµν = 0
(1.4.2)
dove nuovamente l’originaria simmetria di gauge, (1.4.1), viene inglobata nella simmetria
più vasta governata dal gravitino.
Tuttavia, come verrà spiegato a proposito dell’interpretazione geometrica dei campi, le
trasformazioni (1.4.2) non sono corrette e vanno sostituite con le trasformazioni equivarianti,
trasformazioni nelle quali i diffeomorfismi sono fattorizzati in maniera esplicita:
s gµν = −Lc gµν + ψµν
s ψµν = −Lc ψµν
1
s cµ = − Lc cµ
2
(1.4.3)
Tuttavia, le trasformazioni (1.4.3) sono evidentemente riducibili (ossia ridondanti); come
ci si può convincere osservando che la trasformazione per gµν rimane invariata se si effettuano
le trasformazioni
ψµν → ψµν + Lω γµν
cµ → cµ + ω µ
(1.4.4)
13
Per questo motivo estendiamo ulteriormente l’insieme dei campi introducendo il campo
ω µ7 , e riscrivendo le trasformazioni (1.4.3) nel modo seguente
s gµν = −Lc gµν + ψµν
s ψµν = −Lc ψµν + Lω gµν
1
s cµ = − Lc cµ + ω µ
2
s ω µ = −Lc ω µ
(1.4.5)
che si verificano essere nilpotenti.
1.4.2
Interpretazione geometrica
Passiamo ora a discutere un’interpretazione geometrica delle trasformazioni (1.4.5), che
fornirà anche l’interpretazione geometrica per lo spazio dei campi su cui la teoria è definita
[21]. Sia dunque Met(M ) lo spazio delle metriche gµν su M , e denotiamo con Diff(M ) il
gruppo dei diffeomorfismi su M . Pertanto Met(M ) si è uno spazio fibrato B avente come
base lo spazio dei moduli Mod definito dalla relazione:
Mod =
Met(M )
Diff(M )
(1.4.6)
e come fibra ovviamente il gruppo dei diffeomorfismi.
Procediamo quindi denotando con m ≡ {ma } un sistema di coordinate locali su Mod e
con ḡµν (x, m) una sezione di B, che può essere considerata, viste le proprietà di Mod, come
una famiglia di metriche inequivalenti per diffeomorfismi.
Ovviamente è possibile su Mod definire un’operazione di differenziazione esterna dm
nella maniera usuale secondo la relazione:
dm ≡ pa
∂
∂ma
(1.4.7)
nella quale si sono indicati con pa i differenziali esterni delle coordinate ma , che sono così
variabili fermioniche, anticommutanti di numero di ghost 1.
Come conseguenza della non banalità del fibrato B, agendo sulla sezione ḡµν (x, m), in
generale dm non produce un tensore covariante sotto diffeomorfismi in M , in quanto la
sezione ḡµν (x, m) varia anche sotto diffeomorfismi al variare di m8 . Nello specifico si ha che
il differenziale di Cartan non definisce un’operazione di differenziazione covariante per effetto
della non banalità del fibrato B, e pertanto va sostituito con un’espressione covariante:
dm ḡµν (x, m) = ψ̄µν (x, m) − Lc̄ ḡµν (x, m)
(1.4.8)
nella quale ψ̄µν rappresenta la parte covariante della derivazione, mentre c̄ definisce un
termine di connessione sul fibrato B.
La richiesta di nilpotenza per dm conduce poi all’equazione:
dm ψ̄µν (x, m) = Lω̄ ḡµν (x, m) − Lc̄ ψ̄µν (x, m)
7
(1.4.9)
Che nel gergo del metodo di BV, in cui questa procedura si inserisce, prende il nome di ghost per i ghost.
In altri termini le varie sezioni locali in cui si divide ḡµν non si congiungono a formare una sezione
globale per effetto delle trasformazioni per diffeomorfismi, infatti B è un fibrato principale non banale; da
qui nuovamente la necessità che non esista una sezione globale.
8
14
nella quale ω̄ µ , che è un campo vettoriale su M a valori nelle due forme su Mod, è collegato
alla curvatura della connessione c̄µ (x, m) tramite:
dm c̄µ (x, m) +
1
Lc̄ c̄µ = ω̄ µ (x, m)
2
(1.4.10)
e vediamo così che le equazioni (1.4.8), (1.4.9) e (1.4.10) riproducono esattamente le trasformazioni (1.4.5); in quest’ordine di idee possiamo quindi sancire che l’operatore di BRST si
identifica l’operatore di differenziazione di Cartan nello spazio dei moduli Mod, mentre le
variabili fermioniche pi sono interpretabili come i differenziali esterni nello spazio dei moduli
delle variabili mi .
1.5
I modelli sigma topologici
Per concludere il capitolo passeremo a discutere due particolari teorie topologiche, che
sono basilari nella costruzione delle teorie di stringa topologica: i modelli sigma topologici
[22, 23, 18]. Inizieremo dapprima con una discussione generale, atta a mostrare come le
teorie supersimmetriche siano candidate naturali a dare luogo a teorie topologiche, per poi
indirizzarci sui modelli sigma supersimmetrici, ponendo da subito l’attenzione ai modelli
bidimensionali, i soli di interesse in teoria di stringa.
1.5.1
Le teorie supersimmetriche
Come si evince da un’analisi della trattazione fin qui svolta, la caratteristica fondamentale di
una teoria topologica risiede nella presenza dell’operatore s di BRST, operatore nilpotente
e scalare, di numero di ghost 1, rispetto al quale l’azione sia BRST esatta a meno di un
eventuale termine topologico (ossia indipendente dalla metrica). Stante questo punto di vista
le algebre di supersimmetria (e di conseguenza le teorie supersimmetriche), sono candidate
naturali per dare luogo a teorie topologiche: caratteristica comune di queste teorie è infatti
la presenza di N operatori spinoriali di simmetria (chiamati operatori di supersimmetria)
indicati con Qα,A , dove α è un indice spinoriale mentre A va da 1 a N , che mischiano i gradi
di libertà bosonici con i gradi di libertà fermionici e che soddisfano un’algebra del tipo:
{Qα,A , Qβ,B } = ZAB α,β
n
Qα,A , Q̄α̇,B
o
= −2δAB σαµα̇ Pµ
(1.5.1)
nelle quali abbiamo indicato con Q̄β,B le cariche hermitiane coniugate delle Qα,A , ZA,B =
−ZB,A è una carica centrale, e Pµ è l’operatore impulso [8].
L’algebra (1.5.1), mostra che le cariche Qα,A sono operatori nilpotenti, sarebbe pertanto
in prima ipotesi naturale interpretarli come operatori di BRST; tra le teorie supersimmetriche
si configurerebbero quindi come topologiche le teorie nelle quali non solo l’azione sia invariante
di supersimmetria ma che sia anche Q-esatta.
Tuttavia le cariche Qα,A , benché nilpotenti, non possono essere immediatamente interpretate come operatori di BRST; visto che queste sono operatori spinoriali, mentre un
operatore di BRST deve essere uno scalare al fine di mantenere l’invarianza di Lorentz della
teoria.
Per ottenere una teoria topologica da una teoria supersimmetrica occorre quindi procedere
ad un’operazione detta di twist topologico, operazione che in termini rozzi può essere
considerata come una ridefinizione dello spin dei campi di cui la teoria è composta, effettuata
15
la quale una delle cariche di supersimmetria viene ad essere uno scalare e quindi può essere
interpretata come un operatore di BRST.
Nel seguito, tramite l’esempio esplicito dei modelli sigma supersimmetrici, andremo a
studiare come un tale programma possa essere effettivamente realizzato.
1.5.2
I modelli sigma supersimmetrici con una carica di supersimmetria
Passiamo quindi all’introduzione dei modelli sigma supersimmetrici [24, 25], cominciando
dal caso più semplice; ossia supporremo inizialmente che sia presente una sola carica di
supersimmetria, che indicheremo con Q.
I modelli sigma studiano le immersioni Φ : M → X di una varietà di partenza M ,
in uno spazio ambiente X, che supporremo abbia una struttura di varietà differenziabile
Riemanniana n-dimensionale; tuttavia nel seguito, visto l’interesse verso le teorie di stringa,
supporremo sistematicamente che lo spazio di partenza sia una superficie di Riemann Σ
(che quindi è varietà differenziabile complessa, di dimensione reale 2)9 .
Come detto la teoria mappa il world-sheet nel target-space, sorge pertanto naturale
introdurre in primo luogo n campi, indicati con φI , che possano essere identificati come la
rappresentazione in componenti della mappa Φ; inoltre, la richiesta che la mappa abbia un
contenuto geometrico indipendente dai cambi di coordinate su Σ, porta a richiedere che i
campi φI siano campi scalari.
La richiesta che la teoria abbia una struttura supersimmetrica, comporta la necessità di
introdurre anche dei campi spinoriali, dal momento che la supersimmetria mischia gradi
di libertà bosonici con gradi di libertà fermionici. A tal proposito supponiamo che sul
world-sheet sia fissata una struttura complessa, la quale consenta quindi di distinguere tra
coordinata olomorfa ed antiolomorfa (che indicheremo con (z, z̄)) e introduciamo n campi
spinoriali ψ I , che geometricamente saranno interpretati come spinori a valori nel fibrato
tangente ad X (che indicheremo con Φ∗ (T X)). La presenza della struttura complessa su
Σ10 consente poi di distinguere i campi ψ I in componenti left-handed e right-handed, che
I e ψ I rispettivamente.
indicheremo con ψ+
−
Dal momento che i campi ψ sono intepretabili come spinori a valori nel fibrato tangente ad
X sorge la necessità di definire una derivata covariante su questi campi: infatti il differenziale
esterno non ha le caratteristiche richieste di covarianza, pertanto deve essere accoppiato alla
connessione di Levi-Civita Γ, presente su X per effetto del carattere Riemanniano di questo.
A tal proposito considereremo quindi le derivate covarianti definite dalle formule
∂
∂φJ I
+
Γ
∂ z̄
∂ z̄ J K
∂
∂φJ I
Dz =
+
Γ
∂z
∂z J K
Dz̄ =
(1.5.2)
Introdotti i campi con i quali la teoria è costruita, è possibile ora andare a definire l’azione
che la carica di supersimmetria (che analogamente ai campi ψ si scinde in componenti Q+ e
9
E useremo spesso, secondo un gergo comune in teoria di stringa, i termini world-sheet e target-space per
indicare Σ e X rispettivamente.
10
La definizione di struttura complessa di una varietà sarà fornita tra poco quando discuteremo una breve
introduzione alle varietà di Kahler.
16
Q− ) esercita sui campi, ottenendo le trasformazioni
I
I
(− Q+ + + Q− ) ΦI = ı− ψ+
+ ı¯+ ψ−
I
K I
M
(− Q+ + + Q− ) ψ+
= −− ∂z φI − ı+ ψ−
ΓKM ψ+
I
K I
M
(− Q+ + + Q− ) ψ−
= −+ ∂z̄ φI − ı− ψ+
ΓKM ψ−
(1.5.3)
nelle quali − ed + rappresentano i parametri anticommutanti per Q+ e Q− .
Approntati i campi e le operazioni di simmetria non resta che cercare un’azione per il
modello; visto il carattere scalare dei campi φI , e spinoriale dei campi ψ I , si può in prima
istanza ipotizzare un’azione del tipo:
S = t
Z
Σ
I
J
I
J
d2 z gIJ (φ) ∂z φI ∂z̄ φJ + ıψ−
Dz ψ−
+ ıψ+
Dz̄ ψ+
+ ...
(1.5.4)
dove t è una costante di accoppiamento, mentre con gIJ si è indicata la metrica sul
target-space.
La presenza della metrica sul target-space (qualora questa non risulti piatta), rende
l’azione non quadratica nei campi e la teoria risulta pertanto interagente (da qui il nome
di modello sigma non lineare con cui spesso viene indicata la (1.5.4) in letteratura). I
punti di sospensione presenti nella (1.5.4) indicano che l’azione appena scritta deve essere
completata con ulteriori addendi, al fine di renderla complessivamente invariante rispetto
alle trasformazioni (1.5.3). Si può verificare che l’invarianza può essere ottenuta sostituendo
la (1.5.4) con l’azione
S=t
Z
Σ
d z gIJ (φ) ∂z φ ∂z̄ φ +
2
I
J
I
J
ıψ−
Dz ψ−
+
I
J
ıψ+
Dz̄ ψ+
1
I J K L
ψ+ ψ− ψ− (1.5.5)
+ RIJKL ψ+
2
nella quale si è indicato con RIJKL l’usuale tensore di curvatura ottenuto a partire dalla
connessione Γ.
Come già osservato l’azione fin qui descritta non può essere resa topologica, malgrado la
nilpotenza della carica di supersimmetria, per il carattere spinoriale di questa. Al fine di
ottenere, a partire dai modelli sigma supersimmetrici, una teoria topologica è necessario avere
un maggior numero di cariche di supersimmetria (nello specifico 2) in modo da procedere al
twist topologico e rendere una di queste cariche scalare, ed identificarla così con l’operatore
di BRST della teoria. Prima di passare a discutere l’estensione della supersimmetria, è però
necessaria un’introduzione al concetto di varietà complessa di Kahler, introduzione che sarà
fornita nel prossimo sotto paragrafo.
1.5.3
Interludio matematico: introduzione alle varietà di Kahler
In questa sottosezione sarà fornita una breve introduzione al concetto di varietà di Kahler, discussione minimale e che può essere completata sfruttando l’ampia letteratura
sull’argomento11 [26].
Cominciamo col definire il concetto di struttura complessa di una varietà M , varietà
complessa che supporremo di dimensione complessa n. Intuitivamente, fornire una struttura
complessa ad M , equivale a fornire una distinzione, sulle 2n coordinate di cui la varietà è
composta, tra coordinate olomorfe z i e anti-olomorfe z ı̄ . Quanto esposto può essere forma
lizzato nella maniera seguente: si supponga assegnato su M un atlante A ≡ Uα , z i , z ı̄ ,
11
In particolare, non sarà qui richiamato uno degli aspetti più noti della geometria delle varietà Kahler:
ossia l’equivalenza, a meno di una costante moltiplicativa, tra l’operatore di Laplace costruito a partire dal
differenziale di de Rham e l’operatore di Laplace costruito a partire dal differenziale di Dolbeault.
17
diremo che l’atlante
A definisce
una struttura complessa se, per ogni coppia di carte lo
cali Uα , z i , z ı̄ e Uβ , z j , z ̄ le funzioni di transizione tra le due carte locali sono funzioni
olomorfe.
La presenza di una struttura complessa su M consente evidentemente di scindere
i fibrati tangente e cotangente (T (M ) e T ∗ (M ) rispettivamente) nella somma diretta
T (M ) = T 1,0 (M ) ⊕ T 0,1 (M ) e analoga decomposizione si applica al fibrato cotangente;
in conseguenza di questa decomposizione si può distinguere tra differenziali olomorfi dz i e
antiolomorfi dz ı̄ , e più in generale definiremo forma di tipo (p, q) una forma con p indici
olomorfi e q indici antiolomorfi.
Analogamente la struttura complessa consente di scindere il differenziale d di de Rham
¯ nella quale chiameremo l’operatore ∂¯ (che in notazione estesa
nella somma d = ∂ + ∂,
∂
prende la forma ∂¯ ≡ ∂z ı̄ dz ı̄ ) operatore di Dolbeault.
Stanti queste definizioni preliminari passiamo a discutere come la struttura complessa
interagisca con la metrica su M . Definiremo g una metrica hermitiana se questa può essere
posta nella forma
ds2 =
X
gi̄ (z)dz i ⊗ dz ̄
(1.5.6)
i,̄
con le componenti gij e gı̄̄ nulle; caso particolare di metrica hermitiana è costituito da una
metrica euclidea, nella quale la funzione gi̄ è costante. Si può mostrare che su M è sempre
possibile costruire metriche hermitiane, mentre solo in casi particolari (per esempio nel caso
del toro) si può approntare una metrica euclidea.
In quest’ordine di idee vogliamo ora introdurre il concetto di condizione di Kahler sulla
metrica g, una condizione più restrittiva della semplice condizione di hermitianità, ma non
così forte come la condizione di euclideità. Stanti queste premesse diremo che la metrica
hermitiana gi̄ è di Kahler se questa soddisfa la condizione
gi̄ = ∂i ∂̄ K
(1.5.7)
con K un’opportuna funzione, definita su tutto M , detta il potenziale di Kahler.
Stante questa definizione, e denotando con Γ ed R la connessione di Levi-Civita e il
tensore di curvatura associati a g, seguono le relazioni [26]
Γijk = g il̄ ∂j gkl̄
Ri̄kl̄ = −gmj̄ ∂l̄ Γm
ik
Ri̄kl̄ = −R̄ikl̄ = −Ri̄l̄k = Rkl̄i̄
(1.5.8)
In particolare, la prima delle relazioni (1.5.8), sta a significare che tutte le componenti di Γ
con indici misti (olomorfi ed antiolomorfi) sono nulle.
Concludiamo la sezione illustrando in che senso la condizione di Kahler vada interpretata
come una condizione più debole della condizione di euclideità. A tal proposito cominciamo
con l’osservare che, a livello locale, qualunque metrica hermitiana può essere messa in
forma euclidea: vale a dire, scelto un punto z0 ∈ M , è possibile scegliere una carta locale
U = (z i , z ı̄ ), centrata in z0 , tale che in U la metrica assuma la forma
ds2 =
X
dz i ⊗ dz ̄
(1.5.9)
i,̄
la condizione di euclideità si manifesta quindi come la possibilità di estendere questa proprietà
a livello globale.
18
Stanti queste considerazioni di carattere preliminare, diremo che una metrica ds2 oscula
all’ordine k la metrica euclidea se, per ogni punto z0 ∈ M , è possibile trovare una carta
locale nella quale la metrica assume la forma
ds2 =
X
(δi̄ + gi̄ ) dz i ⊗ dz ̄
(1.5.10)
nella quale gi̄ si annulla fino all’ordine k in z0 . Dalla definizione appena fornita, è chiaro che
il concetto appena introdotto rappresenta un indebolimento della condizione di euclideità.
Quanto appena esposto si lega al concetto di varietà di Kahler attraverso il seguente
teorema, la cui dimostrazione può essere trovata in letteratura [26]
Teorema 1.5.1. Una metrica ds2 è di Kahler se e solo se questa oscula all’ordine 2 la
metrica euclidea.
La proprietà sintetizzata nel teorema 1.5.1 è proprio la condizione necessaria e sufficiente
per sancire l’equivalenza tra l’operatore di Laplace costruito col differenziale di de Rham e
l’analogo operatore costruito col differenziale di Dolbeault.
1.5.4
I modelli sigma supersimmetrici con due cariche e twist topologico
Tornando ai modelli sigma supersimmetrici, cerchiamo ora di estendere la supersimmetria
della teoria, per passare da una formulazione caratterizzata da N = 112 , ad una formulazione
che manifesti una supersimmetria di tipo N = (2, 2).
Stante questo programma, passeremo ora a verificare che, la presenza sul target-space di
una struttura di Kahler, è condizione sufficiente per raddoppiare le cariche di supersimmetria
della teoria, e definire quindi una teoria con N = (2, 2)13 .
Supponiamo quindi che il target-space sia una varietà di Kahler (di dimensione complessa
n e dunque di dimensione reale 2n), possiamo suddividere i campi φI in componenti olomorfe
ed antiolomorfe (e tale decomposizione, per la proprietà di Kahler del target-space, è
preservata per cambi di coordinate), indicandoli rispettivamente con φi e φı̄ . Analogamente,
la struttura di Kahler consente la decomposizione del fibrato tangente, secondo la relazione
T X = T 1,0 X ⊕ T 0,1 X, la quale consente di proiettare i campi spinoriali sulle rispettive
decomposizioni
i
ψ+
,
i
ψ−
,
ı̄
ψ+
,
(1.5.11)
ı̄
ψ−
con ovvio significato dei simboli.
Volgendo poi l’attenzione all’azione, questa assume rispetto alle nuove notazioni la forma
(sfruttando le relazioni (1.5.8))
S=t
1
̄
̄
i
i
i ı̄ j ̄
d2 z gij̄ (φ) dφi dφj̄ + ıψ−
Dz ψ−
+ ıψ+
Dz̄ ψ+
+ Riı̄j̄ ψ+
ψ+ ψ− ψ− (1.5.12)
2
Σ
Z
In ultimo passiamo alle simmetrie: avendo introdotto la struttura di Kahler sul targetspace, con conseguente distinzione tra gradi di libertà olomorfi ed antiolomorfi su questo,
anche le cariche di supersimmetria della teoria si raddoppiano14 , dando così luogo al sistema
12
O più esattamente con N = (1, 1) visto che la presenza della struttura complessa su Σ consente di
distinguere tra componenti left-handed e right-handed
13
In realtà è possibile mostrare anche l’implicazione inversa, ossia che per avere una struttura con due
cariche supersimmetriche è necessario che il target-space sia varietà di Kahler; per la dimostrazione si rimanda
a [24].
14
In particolare una tale decomposizione non sarebbe stata possibile in assenza della struttura complessa
su X.
19
di cariche N = (2, 2) indicate con Q+ , Q− , Q̃+ , Q̃− e agenti sui campi della teoria nel
modo seguente:
i
i
(− Q+ + + Q− ) φi = ı− ψ+
+ ı+ ψ−
ı̄
ı̄
˜− Q̃+ + ˜+ Q̃− φı̄ = ı˜
− ψ+
+ ı˜
+ ψ−
j i
i
m
˜− Q̃+ + + Q− ψ+
= −˜
− ∂z φi − ı+ ψ−
Γ jm ψ+
̄
ı̄
m̄
− Q+ + ˜+ Q̃− ψ+
= −+ ∂z φı̄ − ı˜
+ ψ−
Γı̄̄m̄ ψ−
j i
i
m
˜+ Q̃− + − Q+ ψ−
= −˜
+ ∂z̄ φi − ı− ψ+
Γ jm ψ−
̄
ı̄
m̄
+ Q− + ˜− Q̃+ ψ−
= −+ ∂z̄ φı̄ − ı˜
− ψ+
Γı̄̄m̄ ψ−
(1.5.13)
nelle quali si sono
indicati con (−, + , ˜− , ˜+ ) i parametri, anticommutanti, delle cariche di
supersimmetria Q+ , Q− , Q̃+ , Q̃− .
Le trasformazioni (1.5.13) assumono sempre carattere spinoriale tuttavia, per effetto
di aver raddoppiato il numero delle cariche di supersimmetria, è possibile ora ridefinire in
maniera opportuna lo spin dei campi dei quali la teoria è composta in modo da dare luogo a
trasformazioni che siano nilpotenti e scalari (e che quindi generino una simmetria di tipo
BRST come desiderato), tale ridefinizione prende il nome di twist topologico [23].
In particolare analizzando le (1.5.13) si verifica che sostanzialmente si possono effettuare
due scelte inequivalenti, che danno luogo a due modelli sigma topologici distinti, detti
modello A e modello B rispettivamente:
i e di ψ ı̄ in modo da renderli due campi scalari, e corri1. Si può ridefinire lo spin di ψ+
−
ı̄
i
spondentemente ψ+ e ψ− divengono
uno-forme.
In questo modo dalle (1.5.13) si deduce
che la combinazione Q̃− + Q+ genera un operatore scalare e nilpotente, che può
essere considerato come l’operatore
di BRST della teoria; mentre corrispondentemente
la combinazione Q̃+ + Q− definisce un operatore vettoriale.
ı̄ e ψ ı̄ campi
2. Analogamente, ridefinendo lo spin dei campi in modo da rendere ψ−
+
i
i
scalari (e viceversa ψ− e ψ+ uno-forme) si ottiene che la combinazione Q̃+ + Q̃−
definisce l’operatore di BRST della teoria; mentre la combinazione (Q+ + Q− ) definisce
l’operatore vettoriale.
Introdotti i due modelli sigma topologici ci occuperemo ora di studiarne le caratteristiche
rilevanti.
1.5.5
Il modello A
ı̄ , ψ i
Cominciamo con l’analisi del modello A, come preannunciato i campi φi , φı̄ , ψ−
+ sono
i
ı̄ son
da considerarsi campi scalari dal punto di vista del world-sheet, mentre i campi ψ− , ψ+
da considerarsi uno-forme, e pertanto nel seguito espliciteremol’indice di forma indicandoli
con ψz̄i e ψzı̄ rispettivamente. Indicando con s la combinazione Q+ + Q̃− , e combinando i
ı̄ e ψ i nell’unico campo χ secondo ψ ı̄ = χı̄ e ψ i = χi , le trasformazioni di BRST
campi ψ−
+
−
+
20
della teoria divengono:
s φi = ıχi
s φı̄ = ıχı̄
s χi = s χı̄ = 0
s ψz̄i = −∂z̄ φi − ıχj Γijm ψz̄m
s ψzı̄ = −∂z φı̄ − ıχ̄ Γı̄̄m̄ ψzm̄
(1.5.14)
che sono nilpotenti modulo le equazioni del moto15 .
Passiamo a discutere la forma assunta dall’azione, che riscriviamo per comodità in
funzione delle nuove notazioni introdotte
S =t
Z
Σ
d2 z gi̄ dφi dφ̄ + ıgı̄i ψzı̄ Dz̄ χi + ıgı̄i ψz̄i Dz χı̄ + Riı̄j̄ ψz̄i ψzı̄ χj χ̄
(1.5.15)
la quale può essere riscritta, in modo da mettere in evidenza il carattere topologico della
teoria costruita
S = ıt
Z
Σ
d2 z (s V ) + t
Z
Σ
Φ∗ (K)
(1.5.16)
nella quale
V = gi̄ ψzı̄ ∂z̄ φj + ∂z φı̄ ψz̄j
Φ∗ (K) = ∂z φi ∂z̄ φ̄ gi̄ − ∂z̄ φi ∂z φ̄ gi̄
(1.5.17)
Come preannunciato la (1.5.16) dimostra che la teoria costruita ha carattere topologico:
infatti si manifesta come un termine BRST-esatto, più un termine topologico. Il termine
che abbiamo indicato con Φ∗ (K), è infatti il pull-back sul world-sheet della forma di Kahler
con cui è costruita la metrica gi̄ definita sul target-space; pertanto tale termine, dal punto
di vista del world-sheet, dipende solo dalla classe di omotopia della mappa Φ, pertanto è
manifestamente topologico visto che le fluttuazioni dei campi all’interno di una data classe
di omotopia non influenzano l’azione.
Sancito il carattere topologico del modello, e prima di passare all’analoga analisi del
modello B, conviene approntare una prima discussione sulle osservabili (discussione che
sarà ripresa e ampliata successivamente quando sarà studiato l’accoppiamento alla gravità
topologica).
Si può intanto osservare che, dal momento che i campi della teoria sono tutti da
considerarsi come funzioni o uno-forme sul world-sheet, le uniche osservabili locali che,
inserite in un correlatore, avranno valore di aspettazione non nullo sono costituite da
osservabili che siano scalari sul world-sheet16 .
Si può altresì osservare che, nella formulazione dell’azione, è implicita la scelta di un
sistema di coordinate sul target-space; volendo costruire una teoria che risulti indipendente
da tale scelta, ne consegue che vanno considerate osservabili del modello le sole classi di
comologia di s, ristrette allo spazio degli operatori invarianti per riparametrizzazioni [18].
15
Questo comportamento è una conseguenza del fatto che, nell’originale modello supersimmetrico da cui il
modello A è derivato, erano presenti ulteriori campi ausiliari che sono stati implicitamente integrati.
16
La situazione può essere generalizzata costruendo osservabili non locali, costituite da operatori aventi
gradi di forma sul world-sheet e integrati su opportuni cicli.
21
Restringendo pertanto l’attenzione ai soli campi scalari della teoria, φi , φı̄ , χi , χı̄ ,
notiamo che le prime tre equazioni nella (1.5.14) sono esattamente identiche all’azione del
differenziale di de Rham d definito su X, a patto di identificare i campi χ con i differenziali
esterni delle coordinate φ. Questa osservazione spinge ad ipotizzare un isomorfismo tra le
classi di comologia di de Rham su X e le classi di comologia di s.
Stanti queste osservazioni, consideriamo una generica m-forma sul target-space17
V ≡ VI1 ,...,Im (φ)dφI1 . . . dφIn
(1.5.18)
e in corrispondenza consideriamo l’operatore
OV ≡ VI1 ,...,Im (φ)χI1 . . . χIn
(1.5.19)
s OV = OdV
(1.5.20)
e sussiste allora la relazione
la quale conferma l’isomorfismo tra s e il differenziale di de Rham.
Apparentemente le trasformazioni (1.5.14) non darebbero luogo ad osservabili: infatti i
campi φ e χ sembrano costituire doppietti di BRST e quindi non dare luogo a comologia.
Tuttavia abbiamo già avuto modo di osservare che, vanno identificate come osservabili, le
sole combinazioni di operatori che hanno comportamento covariante per cambi di coordinate
sul target-space; e i campi φ non godono di questa proprietà. Ne consegue che i campi χ
costituiscono comologia non banale per s e, pertanto, possiamo concludere che la (1.5.20)
sancisce un isomorfismo tra lo spazio delle osservabili del modello A e il gruppo di comologia
di de Rham su X.
Quanto appena esposto mostra nuovamente, dal punto di vista delle osservabili, il
carattere topologico della teoria: infatti non vi sono osservabili che siano identificabili con
particelle in propagazione, tutte le osservabili hanno gradi di libertà prettamente globali e
sono pertanto topologiche.
1.5.6
Il modello B
Passiamo ora all’analisi del modello B, in analogia a quanto già svolto sul modello A. Per via
ı̄ , ψ ı̄ ,
del twist topologico in questo modello i campi scalari sono rappresentati da φi , φı̄ , ψ+
−
i e ψ i sono uno-forme, che quindi nuovamente denoteremo come ψ i e ψ i . E’ poi
mentre ψ+
−
z
z̄
conveniente porre:
ı̄
ı̄
η ı̄ = ψ+
+ ψ−
ı̄
ı̄
θi = giı̄ ψ+
− ψ−
(1.5.21)
Stanti queste
definizioni, e identificando nuovamente con s la combinazione scalare
Q̃+ + Q̃− :
s φi = 0
s φı̄ = ıη ı̄
s η ı̄ = 0
s θi = 0
s ψzi = −∂z φi
s ψz̄i = −∂z̄ φi
17
(1.5.22)
Indichiamo in questo caso gli indici con lettere maiuscole in quanto non vogliamo discriminare tra varianti
olomorfe ed antiolomorfe.
22
che definiscono un operatore di BRST nilpotente. L’azione riscritta in termini delle nuove
variabili è:
S = t
Z
d2 z gi̄ dφi dφ̄ + ıη ı̄ Dz ψz̄i + Dz̄ ψzi giı̄ +
Σ
+ ıθi Dz̄ ψzi − Dz ψz̄i
+ Riı̄j̄ ψzi ψz̄j η ı̄ θk g k̄
(1.5.23)
che può poi essere posta nella forma:
S = ıt
Z
Σ
s V + tW
(1.5.24)
in cui
V = gi̄ ψzi ∂z̄ φ̄ + ψz̄i ∂z φ̄
W =
Z θi
Σ
Dz̄ ψzi
+
Dz ψz̄i
ı
− Riı̄j̄ ψzi ∧ ψz̄j η ı̄ θk g k̄
2
(1.5.25)
Scritta nella forma (1.5.24) l’azione non mostra completamente il carattere topologico,
tale carattere può essere ottenuto in maniera manifesta nella maniera seguente [18]. Introduciamo due campi ausiliari nella teoria, indicati con Fziz̄ e Hi , che sia una due-forma e uno
scalare sul world sheet rispettivamente, e modifichiamo la legge di trasformazione (1.5.22)
nella maniera seguente
s φi = 0
s φı̄ = ıη ı̄
s η ı̄ = 0
s θi = Hi
s Hi = 0
s Fziz̄ = Dz̄ ψzi + Dz ψz̄i +
s ψzi = −∂z φi
1 l̄ k
η ψz (Rl̄k )ij ψz̄j
2
s ψz̄i = −∂z̄ φi
(1.5.26)
Stante questo ampliamento dello spazio dei campi l’azione può ora essere riscritta nella
forma18
S = ıt
Z
Σ
s gi̄ ψzi ∂z̄ φj̄ + gi̄ ψz̄i ∂z φ̄ + Fziz̄ θi
≡ s ΨB
(1.5.27)
che mostra esplicitamente il carattere topologico della teoria: infatti è BRST-esatta.
La teoria, nel suo complesso, dipende comunque dalla struttura complessa definita sul
target-space tramite l’operatore di BRST: infatti l’azione di questo sui campi φi e φı̄ è
chirale, e dunque dipende dalla struttura complessa definita su X 19 .
Passiamo ora alla discussione delle osservabili. Nuovamente, osservando le prime tre
equazioni (1.5.26), si può intuire come geometricamente s possa essere interpretato come
il differenziale di Dolbeault su X, previa l’identificazione η ı̄ = dφı̄ . Ancora una volta, si
In questa seconda formulazione l’azione prende tuttavia il termine aggiuntivo Fziz̄ Hi .
Osserviamo inoltre per inciso che, il carattere chirale delle trasformazioni di BRST, rende potenzialmente
anomalo il modello [18, 23].
18
19
23
applicano poi considerazioni identiche a quanto già svolto per il modello A circa il carattere
non covariante dei campi φ, dalla quale si deduce che i campi η costituiscono comologia non
banale.
Tuttavia il discorso non si esaurisce alla sola comologia costituita dai campi η: per
convincersi basta considerare che, prima dell’introduzione dei campi ausiliari usati per
rendere l’azione BRST-esatta, dalle espressioni (1.5.22) si poteva dedurre che anche i
campi θ costituivano comologia per l’operatore di BRST. Quanto appena discusso porta a
considerare, per l’operatore di BRST introdotto nelle trasformazioni (1.5.26), la comologia
on-shell, rispetto alla quale i campi H soddisfano l’equazione del moto Hi = 0 e pertanto
anche i campi θi costituiscono comologia per s.
Stanti queste considerazioni consideriamo una p-forma antiolomorfa su M a valori in
∧q T 1,0 M scrivibile quindi nella forma:
j j ...j
V = dz ī1 dz ī2 . . . dz īp Vı̄11ı̄22...ı̄p q
∂
∂
. . . jq
j
1
∂z
∂z
(1.5.28)
Definiamo quindi l’operatore:
OV = η ı̄1 ...η ı̄p Vı̄11ı̄22...ı̄p q θj1 ...θjq
j j ...j
(1.5.29)
s OV = −O∂V
¯
(1.5.30)
e sussiste quindi la relazione:
la quale dunque sancisce un isomorfismo (restringendosi nuovamente agli operatori locali,
con considerazioni identiche a quanto già esposto a proposito del modello A) tra il gruppo
di comologia di s del modello B (con numero di ghost p + q) e il gruppo di comologia
dell’operatore di Dolbeault ∂¯ nello spazio delle (0, q)-forme a valori in T (p,0) X.
Consideriamo come esempio il caso in cui si ponga p = q = 1: in questo caso notiamo
che l’operatore (1.5.29) assume la forma:
Oµ = η ı̄1 µjı̄11 θj1
(1.5.31)
in cui µı̄1j1 è un differenziale di Beltrami il quale, come sarà spiegato in dettaglio più avanti,
è associato a variazioni della struttura complessa definita sul target-space. Possiamo così
renderci conto che tali osservabili del modello B, hanno come significato geometrico le
deformazioni della struttura complessa di X.
Capitolo 2
Le teorie di stringa: teoria
bosonica e topologica
In questo capitolo si intende fornire un’introduzione alle teorie di stringa, limitando l’attenzione alle sole teorie di stringa bosonica (il prototipo nonché il modello più semplice e
intuitivo da costruire) e di stringa topologica.
Nella prima parte, sfrutteremo la stringa bosonica [27] come un esempio per mostrare
come si possa costruire una teoria di stringa, partendo dalla descrizione classica dell’azione e
delle simmetrie, per giungere ad una descrizione quantistica dell’azione e dello spettro delle
osservabili. Terminata questa discussione, affronteremo il calcolo perturbativo (all’ordine
più basso) di alcune funzioni di correlazione di osservabili, al fine di mostrare come, queste
ampiezze di scattering possono essere calcolate anche in teorie di campo ordinarie. Questa
corrispondenza porta a ritenere che, le teorie di campo ordinarie, possano essere viste come
le teorie effettive di spazio-tempo (troncate all’ordine più basso) delle teorie di stringa da
cui discendono.
Terminata la discussione della teoria bosonica, passeremo a considerare le teorie di
stringhe topologiche derivanti dai modelli A e B già introdotti nel primo capitolo [18]; in
particolare verrà ampliata sia la discussione dei modelli sigma topologici, sia la discussione
della gravità topologica bidimensionale, per poi procedere al loro accoppiamento e giungere
alla costruzione delle teorie di stringhe topologiche.
In ultimo, in analogia con quanto fatto per la teoria bosonica, ci preoccuperemo di
fornire una formulazione di spazio-tempo di entrambi i modelli (di stringa aperta) [28]:
senza entrare nei dettagli della dimostrazione, ci limiteremo a fornire alcuni elementi di
plausibilità per mostrare che, la formulazione non perturbativa di spazio-tempo del modello
A è data dalla teoria di Chern-Simons tridimensionale, mentre l’analoga formulazione per
il modello B, è data da una variante olomorfa della teoria di Chern-Simons che prenderà
il nome di holomorphic Chern-Simons (HCS), il cui studio costituirà la parte originale di
questo lavoro.
2.1
La stringa bosonica
Cominciamo dall’esempio più semplice: la stringa bosonica. Partiremo, con la formulazione
di world-sheet (il senso di questa nomenclatura sarà chiarito più avanti); mentre alla fine
del paragrafo saranno fornite alcune idee per giungere ad una formulazione di target-space
di bassa energia.
25
26
2.1.1
L’azione per la stringa bosonica e simmetrie
Da un punto di vista intuitivo, una teoria di stringa è una teoria in cui gli enti geometrici
fondamentali non sono punti (le particelle elementari della teoria di campo) bensì oggetti
estesi unidimensionali (le stringhe appunto), in moto nello spazio-tempo (anche detto targetspace) D-dimensionale e con metrica piatta. Le particelle usuali della teoria di campo
vengono così viste in questo quadro come particolari modi normali di vibrazione delle
stringhe medesime.
Come primo obbiettivo otterremo un’azione classica per il moto della stringa nello
spazio-tempo1 e, per rendere la discussione di più agevole lettura, svilupperemo un parallelo
tra l’azione per una particella puntiforme e una stringa unidimensionale.
Cominciando con la particella puntiforme, la sua evoluzione nello spazio-tempo é descritta
fornendo la sua legge oraria φI (φ0 ) (ossia fornendo un totale di D − 1 funzioni del tempo
φ0 ), ma tale descrizione ha il difetto di nascondere la covarianza della teoria fin dal principio,
richiedendo di discriminare tra coordinata temporale e coordinate spaziali.
Introduciamo quindi un parametro lungo la linea di universo seguita dalla particella (il
tempo proprio τ ), e descriviamo il moto tramite D funzioni φI (τ ). Ovviamente la fisica
della particella non deve dipendere dalla particolare parametrizzazione scelta, e ciò si riflette
nell’asserzione che le coordinate φI abbiano carattere scalare per riparametrizzazioni del
tempo proprio.
Occorre esibire un’azione che rispetti anch’essa l’invarianza di Lorentz, e la scelta più
semplice è rappresentata da un’azione proporzionale al tempo proprio:
Spp = −m
Z
dτ −φ̇I φ̇I
1
(2.1.1)
2
dove si è indicata con m la massa della particella (mentre con la notazione φ̇I si intende la
derivazione rispetto al tempo proprio), e dalla quale si ottengono le equazioni del moto:
u̇I = 0
uI ≡ φ̇I −φ̇J φ̇J
1
2
(2.1.2)
Malgrado l’azione (2.1.1) sia perfettamente definita a livello classico, in contesto quantistico risulta difficile implementare un integrale di cammino, per la presenza di derivate sotto
la radice quadrata. Per questo motivo è utile porla in una forma classicamente equivalente
ma più semplice.
Introduciamo quindi una metrica sulla linea di universo, indicata con γτ τ (τ ), e definiamo
1
η(τ ) = (−γτ τ (τ )) 2 . e consideriamo la seguente azione quadratica nelle derivate delle
coordinate:
0
Spp =
1
2
Z
dτ η −1 φ̇I φ̇I − ηm2
(2.1.3)
L’equivalenza tra la (2.1.3) e la (2.1.1) si dimostra ricavando le equazioni del moto per η
η2 = −
φ̇I φ̇I
m2
che, sostituita nella (2.1.3), consente di riottenere l’azione originale (2.1.1).
1
In questa sezione di natura classica seguiremo da vicino l’approccio dato in [27].
(2.1.4)
27
Ci preoccuperemo ora di definire un’analoga azione per un oggetto unidimensionale.
Ovviamente per una stringa definiamo una coordinata σ che ne identifichi i punti che la compongono. Pertanto l’evoluzione di questa determinerà nello spazio-tempo una corrispondente
striscia di universo, definita world-sheet.
Vengono quindi introdotte D funzioni φI (σ, τ ) che rappresentano le coordinate dei
punti della stringa nello spazio-tempo, e per le stesse ragioni di indipendenza della fisica
dalla parametrizzazione, si richiede che tali funzioni abbiano comportamento scalare per
riparametrizzazioni delle coordinate sul world-sheet.
Per l’azione, la ovvia generalizzazione della (2.1.1) si ha definendo un’azione che sia
proporzionale alla superficie spazzata dal world-sheet. Introduciamo quindi la matrice:
hµν = ∂µ φI ∂ν φI
(2.1.5)
che può essere interpretata come il pullback tramite l’applicazione Φ della metrica sullo
spazio-tempo.
Si ottiene così la cosiddetta azione di Nambu-Goto:
SNG =
Z
(2.1.6)
dτ dσLNG
Σ
con
LNG = −
1
1
(− det hµν ) 2
0
2πα
(2.1.7)
Le simmetrie dell’azione di Nambu-Goto sono costituite dall’ordinario gruppo di Lorentz
sullo spazio-tempo e dai diffeomorfismi bidimensionali, ossia in formule:
φ0I (τ, σ) = ΛJI φJ (τ, σ)
φ0I (τ 0 , σ 0 ) = φI (τ, σ)
(2.1.8)
in cui la seconda equazione mostra il carattere scalare dei campi φI per diffeomorfismi
bidimensionali.
la formulazione di un integrale di cammino a livello quantistico per l’azione di NambuGoto si rivela difficoltosa. Introduciamo quindi una metrica di world-sheet indipendente gµν (τ, σ), e rimpiazziamo la (2.1.8) con un’azione equivalente a livello classico (come
mostreremo tra un momento), che prende il nome di azione di Polyakov:
SP = −
1
4πα0
Z
1
(2.1.9)
dτ dσ(−g) 2 g µν ∂µ φI ∂ν φJ
Σ
nella quale si è indicato con g il determinante di g µν .
Per ottenere l’equivalenza con l’azione di Nambu-Goto consideriamo la variazione
dell’azione rispetto alla metrica g
δg SP = −
1
4πα0
Z
X
1
dτ dσ (−g) 2 hµν −
1
gµν g ρη hρη
2
(2.1.10)
dalla quale consegue
1
gµν g ρη hρη
2
hµν =
(2.1.11)
che può essere posta nella forma
1
1
hµν (−h)− 2 = gµν (−g)− 2
(2.1.12)
28
che sostituita nella (2.1.9) consente di riottenere l’azione di Nambu-Goto, dimostrando così
l’equivalenza a livello classico delle due formulazioni.
L’azione di Polyakov, preserva le ordinarie simmetrie di Lorentz e di diffeomorfismi, e
possiede un’ulteriore simmetria che prende il nome di simmetria di Weyl:
φ0I (τ, σ) = ΛJI φJ
0
gµν
(τ, σ) = gµν (τ, σ)
∂σ 0ρ ∂σ 0η 0
g (τ 0 , σ 0 ) = gµν (τ, σ)
∂σ µ ∂σ ν ρη
0
gµν
(τ, σ) = exp(2ω(τ, σ))gµν (τ, σ)
φ0I (τ 0 , σ 0 ) = φI (τ, σ)
φ0I (τ 0 , σ 0 ) = φI (τ, σ)
(2.1.13)
Il cui significato é chiaro: nell’azione di Nambu-Goto, g non compariva affatto nell’azione.
Da questo punto di vista l’azione di Nambu-Goto é topologica, in quanto non dipende in
maniera esplicita dalla metrica sul world-sheet. In quest’ottica la simmetria di Weyl può
essere interpretata come ciò che rimane dell’invarianza topologica una volta che si passa
dall’azione di Nambu-Goto all’azione di Polyakov.
Come conseguenza dell’invarianza per diffeomorfismi si ottiene che il tensore energia
impulso della teoria ha divergenza nulla ∂µ T µν = 0, mentre l’invarianza di Weyl consente
di concludere che lo stesso ha traccia nulla Tµ µ = 0.
Passiamo ora a discutere le equazioni del moto per i campi φI : in particolare supponiamo
che la stringa abbia lunghezza finita, ossia restringiamo la regione concessa alle coordinate
di world-sheet agli intervalli
0 ≤ σ ≤ l
−∞ < τ < ∞
(2.1.14)
e la variazione dell’azione per variazioni dei campi φI diviene:
δSP ∝
Z ∞
Z l
1
dσ (−g) 2 δφI ∇2 φI
dτ
−∞
0
(2.1.15)
per quanto concerne l’interno della stringa, più l’ulteriore termine di bordo
Z ∞
∞
1
dτ (−g) 2 δφI ∂ σ φI |σ=l
σ=0
(2.1.16)
Dalla (2.1.15) si ottengono le equazioni del moto
∇2 φI = 0
(2.1.17)
mentre dal termine di bordo si ottengono le condizioni al contorno sui campi φI affinché
questo termine si annulli. In particolare la (2.1.16) è annullata se i campi soddisfano
condizioni al contorno del tipo
∂ σ φI (τ, l) = ∂ σ φI (τ, 0) = 0
(2.1.18)
che vengono dette condizioni di Neumann, oppure condizioni del tipo
φI (τ, l) = φI (τ, 0)
gµν (τ, l) = gµν (τ, 0)
∂ σ φI (τ, l) = ∂ σ φI (τ, 0)
(2.1.19)
che vengono dette periodiche. Notiamo che le (2.1.18) stanno a significare che il world-sheet
si immerge nel target-space dando luogo ad una superficie con bordo, e le stringhe che
soddisfano queste condizioni prendono il nome di stringhe aperte; mentre le condizioni
29
(2.1.19) danno luogo a superfici chiuse nel target-space, e le stringhe corrispondenti prendono
il nome di stringhe chiuse.
Passiamo ai dettagli dell’equazione (2.1.9) e alle possibili generalizzazioni di questa. È
chiaro che i φI sono D campi scalari e la teoria definita è dunque una teoria scalare (o
meglio, una teoria conforme vista l’invarianza di Weyl). Dal punto di vista bidimensionale,
l’invarianza di Lorentz è invece una simmetria interna allo spazio dei campi.
Per quanto concerne le generalizzazioni del quadro fin qui introdotto, la prima e più
scontata generalizzazione consiste nel considerare metriche non piatte sul target-space.
Pertanto, denotando con GIJ (φI ) la metrica sul target-space X (che va considerata come
una funzione nei campi φI ), sorge naturale considerare la generalizzazione
SP =
1
4πα0
Z
Σ
1
d2 zg 2 g µν GIJ (φ) ∂µ φI ∂ν φJ
(2.1.20)
La (2.1.20) è proprio l’azione di un modello sigma non lineare, modello bosonico visto che
nella teoria non sono stati introdotti gradi di libertà fermionici2 . La (2.1.20) mostra quindi
che i modelli sigma non lineari (e in particolare i modelli sigma topologici introdotti nel
primo capitolo), possono essere viste come le teorie di campo bidimensionali che descrivono
l’evoluzione della stringa nello spazio-tempo.
Tuttavia in una teoria di stringa anche la metrica definita sul world-sheet va considerata
una campo dinamico dell’azione. Pertanto le teorie di stringa vanno interpretate come
modelli sigma accoppiati alla gravità bidimensionale.
2.1.2
L’integrale di cammino
Passiamo a discutere come ottenere una formulazione quantistica della teoria fin qui definita3 .
In questo sottoparagrafo definiremo un’integrale funzionale per il modello sigma (2.1.20)
accoppiato alla gravità bidimensionale; in seguito saranno discusse le osservabili del modello
e i corrispondenti correlatori4 .
Da un punto di vista formale, l’integrale di cammino è definito dalla formula (detta di
Polyakov, [32]):
Z =
Z
[d g dφ] −SP
e
Vdiff VWeyl
(2.1.21)
dove abbiamo formalmente diviso per il volume del gruppo di gauge della teoria (diffeomorfismi e trasformazioni di Weyl), la cui azione sui campi è sintetizzata dalle regole di
BRST:
s φI = L c φI
s gµν = −Lc gµν − ρgµν
1
s cµ = − Lc cµ
2
s ρ = −Lc ρ
(2.1.22)
2
Che comunque possono essere inseriti in un secondo momento per dare luogo alle cosiddette teorie di
superstringa, per un’introduzione si rimanda alla letteratura [31] oppure [30].
3
La nostra trattazione in questa sezione, si discosta da quanto normalmente riportato nei testi introduttivi
all’argomento (come per esempio [27]); in quanto, in linea con la struttura generale della tesi, si è scelto di
costruire l’integrale di cammino con il formalismo di BRST.
4
Nel seguito supporremo sistematicamente, visto che questa è la circostanza di interesse in teoria di
stringa, che il world-sheet sia una superficie di Riemann compatta di genere g, con o senza bordo.
30
Approntiamo il gauge-fixing. Da un punto di vista euristico cominciamo con l’osservare
che, visto che la metrica bidimensionale g è simmetrica, questa ha complessivamente tre gradi
di libertà; d’altro canto i diffeomorfismi bidimensionali sono rappresentati, in linguaggio di
BRST, tramite il campo vettoriale fermionico c, mentre l’invarianza di Weyl è governata dal
campo scalare ρ; per un totale anche in questo caso di tre gradi di libertà.
Sorge pertanto naturale ipotizzare che, almeno localmente, l’invarianza di gauge possa
essere fissata vincolando la metrica bidimensionale g ad una metrica di riferimento g̃,
eliminando così la libertà di gauge in modo completo.
In termini geometrici, quanto appena esposto può essere riassunto dicendo che stiamo
assumendo che lo spazio quoziente
Mg =
[d g]
Vdiff VWeyl
(2.1.23)
si riduca ad un punto, o in altri termini, che tutte le metriche siano equivalenti per opportune
trasformazioni di diffeomorfismi e di Weyl.
In realtà questa circostanza non è sempre verificata, e lo spazio delle orbite Mg , che
chiameremo lo spazio dei moduli, non è in generale puntiforme. La ragione di questo,
in ultima analisi, é che l’azione dei diffeomorfismi e delle trasformazioni di Weyl su una
superficie di Riemann compatta di genere g, non è transitiva: pertanto non tutte le metriche
sono equivalenti ad una particolare metrica di background5 .
Dal punto di vista dell’integrale di Polyakov, il carattere non puntiforme dello spazio dei
moduli si manifesta con la presenza di zero-modi non fissati dal gauge fixing. Per mostrare
questo introduciamo, tramite l’usuale procedura del metodo di BRST, il fermione di gauge
ΨGF
ΨGF = bµν (g µν − g̃ µν )
(2.1.24)
in cui g̃ rappresenta la metrica di background scelta, mentre b è il consueto antighost per la
condizione di gauge.
Essendo il modello sigma una teoria conforme, le espressioni (2.1.21) e (2.1.22) possono
essere semplificate: infatti integrando la (2.1.21) rispetto a ρ6 si può eliminare questo
dall’integrale di cammino, giungendo all’espressione:
Z =
Z
dĝ dφ db0 dΓ dc e−SP + s ΨGF
(2.1.25)
nella quale, come si vede, non compare più il campo ρ mentre il campo b0 sostituisce b e
ha traccia nulla, mentre con ĝ abbiamo indicato la metrica privata del fattore di Weyl. Le
trasformazioni di BRST della teoria assumono la forma semplificata
s φI = L c φI
s ĝµν = −Lc ĝµν
1
s cµ = − Lc cµ
2
s b0µν = −Lc b0µν + Γµν
s Γµν = −Lc Γµν
5
(2.1.26)
Per quanto concerne la caratterizzazione dello spazio dei moduli delle superfici di Riemann di maggiore
interesse in teoria di stringa, insieme ad altre questioni connesse come l’importante teorema di Riemann-Roch,
si rimanda all’apposita appendice.
6
E supponendo che in questa integrazione non sorgano anomalie conformi, anomalie che in effetti insorgono
a meno che il target-space non sia 26-dimensionale, per una dimostrazione si rimanda alla letteratura (ad
esempio, come di consueto, [27], oppure anche [33]).
31
L’espressione (2.1.25) presenta degli zero-modi per i campi di gauge fixing non fissati.
Consideriamo infatti il fermione di gauge ΨGF :
ΨGF = b0µν (ĝ µν − g̃ µν )
(2.1.27)
ed esplicitando su questo l’azione dell’operatore di BRST, le equazioni per gli zero-modi
sono:
Z
0
µν
b(0)
=0
µν Lc g̃
(2.1.28)
interpretabili come variazioni della metrica ortogonali alle trasformazioni per diffeomorfismi
o, in altri termini, come variazioni della metrica non ottenibili attraverso un opportuno
diffeomorfismo e, pertanto, manifestazioni del carattere non puntiforme dello spazio dei
moduli. Tramite un’integrazione per parti, caratterizziamo gli zero modi come le soluzioni
delle equazioni
0
Dµ b(0)
µν = 0
(2.1.29)
Ponendo quindi su Mg , che è una varietà differenziabile µ-dimensionale, coordinate locali
mi , questi zero-modi residui possono essere fissati scegliendo, anziché una singola metrica di
background g̃µν (x), una famiglia di metriche g̃µν (x, m) che determinino una sezione di Mg ,
ed estendendo l’azione dell’operatore di BRST (indicando con s̃ l’operatore esteso) della
teoria ai moduli definendo le trasformazioni [16]
s̃ mi = C i
s̃ C i = 0
(2.1.30)
che consentono di interpretare i C i come i differenziali esterni delle variabili mi nello
spazio dei moduli, e l’operatore di BRST esteso come il differenziale esterno su tale spazio
s̃ ≡ dC = C i ∂mi .
Il calcolo della funzione di partizione può essere ora svolto in due passaggi: per prima
cosa si scrive l’integrale funzionale nel solo settore di materia, ottenendo un funzionale dei
background
Z̃(mi , C i ) =
Z
d g dφ db0 dΓ dc e−SP + s̃ΨGF
(2.1.31)
funzionale che è un monomio di grado µ nei C i , e che soddisfa le identità [16]
s̃Z̃ = 0 ⇒ dC Z̃ = 0
ΨGF → ΨGF + XGF ⇒ Z̃ → Z̃ + dC W
(2.1.32)
che mostrano che Z̃ è s̃-chiusa e per cambi di gauge-fixing cambia per termini s̃-banali; ossia
è interpretabile come una forma chiusa, di grado µ ossia di grado massimo, nello spazio dei
moduli Mg e che quindi può essere integrata su questo spazio
Z =
Z
Mg
Z̃(m, C)
(2.1.33)
questa caratteristica, ossia il fatto che i correlatori di osservabili nel solo settore di materia
siano interpretabili come forme chiuse di grado massimo nello spazio dei moduli, è una
peculiarità delle teoria di stringa.
32
Nel caso particolare di superfici di genere 0 o 1, come vedremo in un esempio esplicito,
esistono trasformazioni di diffeomorfismi, che lasciano invariata la metrica di background, e
che pertanto non sono fissate dal gauge-fixing: trasformazioni che possono essere interpretate
come zero modi per il campo c, e che soddisfano evidentemente l’equazione
Lc g̃µν = 0
(2.1.34)
vista come un’equazione per il campo vettoriale c, soluzioni che in letteratura sono riportate
come conformal killing vectors (CKV)7 .
Per concludere la sezione, andiamo a calcolare la dimensione dello spazio dei moduli e
del conformal killing group. Cominciamo con l’osservare che, le equazioni (2.1.29) (2.1.34),
assumono una forma particolarmente semplice se si pongono sul world-sheet coordinate
complesse (z, z̄) e se si sceglie come metrica di background la metrica conforme, caratterizzata
dagli elementi di matrice
1
2
gz z̄ = gz̄z =
gzz = gz̄ z̄ = 0
(2.1.35)
in questo caso infatti le (2.1.29) e (2.1.34) assumono la forma [27]
0
(0)0
∂z̄ b(0)
zz = ∂z bz̄ z̄ = 0
∂z̄ cz = ∂z cz̄ = 0
(2.1.36)
le quali consentono dunque di classificare i moduli come due-forme olomorfe globalmente
definite, mentre i conformal killing vectors come campi vettoriali olomorfi.
La caratterizzazione dei campi vettoriali olomorfi e delle due-forme olomorfe su una
superficie di Riemann compatta, è governata dal ben noto teorema di Riemann-Roch;
teorema i cui risultati verranno qui solo richiamati per non interrompere il filo del discorso,
mentre una descrizione più precisa di questo teorema è disponibile in appendice.
Denotiamo quindi con µ il numero dei moduli, mentre con κ il numero dei conformal
killing vectors definiti sul world-sheet, il teorema di Riemann-Roch consente di sancire la
seguente equazione
µ − κ = −3χ
(2.1.37)
dove abbiamo indicato con χ il numero di Eulero per il world-sheet, numero che vale 2 − 2g
per superfici di Riemann senza bordo (dove con g abbiamo indicato il genere), mentre vale
2 − 2g − b per superfici con bordi (in cui b indica il numero di bordi della superficie).
Sussiste infine l’ulteriore risultato (per il quale si rimanda nuovamente all’appendice): κ
si annulla se χ < 0 mentre µ si annulla se χ > 0.
Specializzando quindi alla sfera e al toro il discorso (le due superfici di maggiore interesse
in teoria di stringa chiusa come vedremo, così come l’anello e il disco lo sono per le stringhe
aperte), si ottiene che la sfera non possiede moduli, mentre possiede 3 CKV; il toro invece
possiede un solo modulo complesso e un CKV.
Riassumendo, abbiamo in questa sezione mostrato come ottenere la corretta espressione
per la funzione di partizione a meno di trasformazioni appartenenti al conformal killing group;
ciò che rimane da discutere sono le osservabili della teoria e la costruzione dei correlatori di
osservabili.
7
Per una esposizione estesa di questo ed altri concetti si può consultare, ad esempio,[34]
33
2.1.3
Lo spazio degli stati di stringa chiusa e carica di BRST
Passiamo ora a discutere lo spettro di particelle possedute dalla teoria bosonica, considerando
dapprima le stringhe chiuse. Per quantizzare canonicamente la teoria e analizzare le
osservabili consideriamo un world-sheet avente la topologia di un cilindro, e denotiamo con
σ 1 la coordinata spaziale sul world-sheet che può essere considerata periodica di periodo 2π:
σ 1 ' σ 1 + 2π
(2.1.38)
mentre la coordinata spaziale τ sarà indicata con σ 2 e varia su tutto l’asse reale
(2.1.39)
−∞ < σ 2 < ∞
Per proseguire sfruttiamo la caratteristica del world-sheet di essere una superficie di
Riemann, accorpando ambedue le coordinate in un’unica coordinata complessa z nella forma
z = exp(−ıσ 1 + σ 2 )
(2.1.40)
e la corrispondente complessa coniugata z̄; con questa notazione le configurazioni a tempo
costante vengono viste come circonferenze, e il tempo scorre radialmente con l’origine corrispondente al lontano passato. Utilizzando quindi il sistema di coordinate (z, z̄), definiremo
olomorfo un campo dipendente solo dalla variabile z, mentre definiremo anti-olomorfo un
campo che dipenda dalla sola z̄.
Il settore di materia
In termini del nuovo sistema di coordinate, l’azione per il modello sigma assume la forma
1
SP =
2πα0
Z
¯ I
d2 z∂φI ∂φ
(2.1.41)
da cui derivano le equazioni del moto
¯ I (z, z̄) = 0
∂ ∂φ
(2.1.42)
Occorre preliminarmente discutere un modo per definire il prodotto di operatori in uno
stesso punto: infatti a livello quantistico, il prodotto di due campi in uno stesso punto è in
generale divergente e va regolarizzato. Considerando i campi φI della teoria, introduciamo
la definizione di prodotto normale di operatori, indicato con la notazione : :, definito dalla
relazione
: φI (z, z̄) φJ z 0 , z̄ 0 : ≡ φI (z, z̄) φJ z 0 , z̄ 0 +
α0 IJ
η ln |z − z 0 |2
2
(2.1.43)
in cui η IJ è la metrica di Minkowski, che per semplicità stiamo supponendo ora che sia
presente sul target-space; notiamo che questa definizione possiede la proprietà
∂ ∂¯ : φI φJ := 0
(2.1.44)
La definizione è poi generalizzata al prodotto di più operatori nella maniera seguente
: φI1 (z1 , z̄1 ) . . . φIn (zn , z̄n ) : ≡ φI1 (z1 , z̄1 ) . . . φIn (zn , z̄n ) +
X
sottrazioni
(2.1.45)
dove la sommatoria si estende su tutti i modi di scegliere una, due o più coppie di campi e
0
sostituendole con α2 η Ii Ij ln |zi − zj |2 .
34
Dall’equazione (2.1.42) segue che i campi ∂ φ e ∂¯ φ sono olomorfi ed anti-olomorfi
rispettivamente, e quindi possono essere espansi in serie di Laurent
∂ φ (z) = −ı
I
0 12
α
∞
X
I
αm
z m+1
m=−∞
2
α0
∂¯ φI (z̄) = −ı
2
12
∞
X
I
α̃m
z̄ m+1
m=−∞
(2.1.46)
La richiesta che il campo φI sia a singolo valore, comporta quindi l’identificazione
= α̃0I ; inoltre, l’invarianza per traslazioni sul target-space, unitamente al teorema di
Noether[5], consentono di interpretare l’operatore α0I come l’impulso del centro di massa
della stringa, in formule:
α0I
p =
I
2
α0
1
2
(2.1.47)
α0I
Integrando la (2.1.46), si perviene all’espressione per i campi φI
α0
α0
φ (z, z̄) = x − ı pI ln |z|2 + ı
2
2
I
I
21 X
1
m6=0
m
I
I
αm
α̃m
+
zm
z̄ m
!
(2.1.48)
I e α̃I possono essere interpretati come operatori di
I termini dell’espansione in serie αm
m
creazione e distruzione, introducendo le relazioni di commutazione canoniche
h
I
I
αm
, αnJ = αm
, αnJ = mδm,−n η IJ
i
h
i
h
xI , pJ = ıη IJ
i
(2.1.49)
in base alle quali gli operatori con m < 0 divengono gli operatori di creazione, mentre gli
operatori con m > 0 sono gli operatori di distruzione, e in cui abbiamo supposto che sul
target-space sia posta l’usuale metrica di Minkowski η IJ . In questa rappresentazione lo stato
di vuoto viene visto come il ket |0, ki, ossia come lo stato in cui la stringa si sta propagando
con impulso k senza gradi interni eccitati, mentre gli stati successivi dello spettro sono
ottenuti agendo su |0, ki con i vari operatori di creazione.
Passiamo a studiare il tensore energia-impulso T : la simmetria per diffeomorfismi
bidimensionale, unitamente alla simmetria di Weyl, implicano che quest’ultimo è a traccia
nulla e a divergenza nulla. Queste proprietà, riscritte nel sistema di coordinate (z, z̄),
implicano che le componenti Tz z̄ e Tz̄z sono entrambe nulle, mentre le restanti sono olomorfe
ed anti-olomorfe rispettivamente
T (z) ≡ Tzz (z)
T̃ (z̄) ≡ Tz̄ z̄ (z̄)
(2.1.50)
e sono date dall’espressione
1
: ∂φI ∂φI :
α0
1 ¯ I¯
T̃ (z̄) = − 0 : ∂φ
∂φI :
α
T (z) = −
(2.1.51)
35
T (z) e T̃ (z̄) sono olomorfi (o antiolomorfi) e quindi possono essere espansi in serie di
Laurent nella forma
T (z) =
T̃ (z̄) =
+∞
X
Lm
z m+2
m=−∞
+∞
X
L̃m
m+2
z̄
m=−∞
(2.1.52)
nella quale gli Lm sono noti in letteratura con il nome di generatori di Virasoro e si può
mostrare sviluppando il prodotto normale di T (z) con se stesso, che soddisfano un’algebra
caratteristica che prende il nome di algebra di Virasoro
c 3
m − m δm,−n
(2.1.53)
[Lm , Ln ] = (m − n) Lm+n +
12
I generatori di Virasoro possono essere scritti in termini degli operatori di creazione e
distruzione
Lm =
X
1 +∞
αI αIn
2 n=−∞ m−n
(2.1.54)
per m = 0, va discusso l’ordinamento tra gli operatori di creazione e distruzione. Secondo
una prassi comune in teoria di campi, scriviamo sistematicamente gli operatori di creazione
a sinistra dei corrispondenti distruttori (ordinamento normale), e introduciamo una costante
di ordinamento
L0 =
∞
α 0 p2 X
I
α−n
αIn + aφ
+
4
n=1
(2.1.55)
Imponendo la validità dell’algebra di Virasoro (2.1.53) si ottiene
2 L0 |0, 0i = [L1 , L−1 ] |0, 0i = 0
(2.1.56)
aφ = 0
(2.1.57)
e si trova quindi
L’espressione per L0 mostra che gli oscillatore αnI abbassano per n > 0 (alzano per n < 0 )
l’autovalore di L0 di −n (n). I generatori di Virasoro e le espressioni in termini di operatori
di creazione e distruzione di questi, saranno utilizzati quando discuteremo della carica di
BRST, associata alla teoria di stringa bosonica.
Il settore di ghost
Per effetto del gauge-fixing compare anche nell’azione l’ulteriore termine (scritto in coordinate
(z, z̄) e usando la metrica conforme) contenente i campi b e c
Sgh ∝
Z
d2 z bzz ∂z̄ cz + bz̄ z̄ ∂z cz̄
(2.1.58)
dalla quale segue che i campi bzz e cz (indicati semplicemente con b e c per comodità) sono
olomorfi, e quindi ammettono direttamente l’espansione in serie di Laurent:
b(z) =
∞
X
bm
m=−∞
z m+2
c(z) =
∞
X
cm
−∞
z m−1
(2.1.59)
36
mentre i campi bz̄ z̄ e cz̄ (indicati con b̃ e c̃) sono anti-olomorfi ed ammettono un’analoga
espansione in serie di Laurent della variabile z̄. Nel seguito della sezione
ci riferiremo
sistematicamente al settore composto da (b, c), essendo il settore con b̃, c̃ un duplicato
esatto.
Dalle espressioni (2.1.59), e ricordando il carattere fermionico di questi campi, si
ottengono le regole di anticommutazione canoniche
{bm , cn } = δm,−n
(2.1.60)
Per quanto concerne il vuoto dello spazio di Fock degli stati del sistema, abbiamo a
priori diverse possibilità. Uno stato di vuoto |0n̄ i è infatti definito scegliendo un generico
intero n̄, e definendo stato di vuoto lo stato definito dalla relazione
cn |0n̄ i = 0
n > n̄
(2.1.61)
che identifica quindi tutti i cn con n > n̄ come distruttori (e i b−n con n > n̄ come distruttori
per b).
La scelta più ovvia si ha prendendo n̄ = 0, e ottenendo il vuoto |Ωi definito dalla
relazione
cn |Ωi = 0
n > 0
(2.1.62)
Tuttavia, in contesto di teorie di stringa e di teorie conformi, una scelta più conveniente
(come mostreremo tra un momento) si ha prendendo come vuoto per lo stato di ghost lo
stato |0i definito dalla relazione
cn |0i = 0
n > 1
(2.1.63)
e il cui legame con lo stato |Ωi è dato da
|0i = b−1 |Ωi
(2.1.64)
|Ωi ha numero di ghost +1 rispetto al vuoto |0i, al quale viene assegnato, convenzionalmente
numero di ghost nullo.
Il motivo per cui lo stato |0i è quello più conveniente in teorie conformi è che questo è il
vuoto che è invariante rispetto alla sotto-algebra SL(2, C) dell’algebra di Virasoro generata
da L0 , L± . Grazie a questa proprietà, il vuoto |0i è anche quello invariante sotto l’azione della
carica di BRST del sistema materia+ghost, rilevante per la teoria di stringa. L’invarianza
del vuoto |0i si dimostra a partire dall’espressione per il tensore energia-impulso del sistema
dei ghost:
T (z) =: (∂b)c : −2∂ : (bc) :
(2.1.65)
dove con la notazione : : si intende l’ordinamento normale di operatori. Dal tensore
energia-impulso, si ottiene l’espressione per i generatori di Virasoro
Lm =
+∞
X
(2m − n) : bn cm−n : +δm,0 ag
(2.1.66)
n=−∞
dove la consueta costante di ordinamento ag , può essere determinata in maniera identica a
quanto già svolto per il settore di materia, imponendo la validità dell’algebra di Virasoro
2L0 |0i = [L1 , L−1 ] |0i = 0
(2.1.67)
37
Pertanto
ag = 0
(2.1.68)
L0 |0i = L1 |0i = L−1 |0i = 0
(2.1.69)
da cui consegue che |0i soddisfa le relazioni
La carica di BRST
Vogliamo ora ottenere come le trasformazioni di BRST dei campi φ,b e c (e coniugati) si
traducano in corrispondenti trasformazioni sugli operatori di creazione e distruzione.
Riscriviamo le trasformazioni di BRST sui campi nella maniera seguente
¯ I
s φI = (c∂ + c̃∂)φ
¯
s c = (c∂ + c̃∂)c
sb = Tφ + Tg
¯
s c̃ = (c∂ + c̃∂)c̃
s b̃ = T̃ φ + T̃ g
(2.1.70)
in cui la trasformazione per b e b̃ è stata ottenuta utilizzando le equazioni del moto per il
moltiplicatore di Lagrange Γ.
Per ottenere l’azione della carica di BRST, indicata con Q (che nel formalismo operatoriale
sostituisce l’operatore s, e che agisce tramite (anti)commutazione[5]), sugli operatori di
creazione e distruzione per i campi, usiamo le espansioni in serie di Laurent, ed uguagliando
i termini di pari grado in z otteniamo:
h
I
Q, αm
h
i
=−
i
I
Q, α̃m
=−
{Q, cm } =
0 12
α
2
X
i
αm−n
cn
n
0 12
α
X
m pI cm − m
2
m pI c̃m − m
X
I
α̃m−n
c̃n
n
(1 − n) cm−n cn
n
{Q, c̃m } =
X
(1 − n) c̃m−n c̃n
n
{Q, bm } = Lφm + Lgm
n
o
Q, b̃m = L̃φm + L̃gm
(2.1.71)
L’espressione esplicita della carica di BRST diviene
Q =
+
+∞
X
m
cn Lm
−n + c̃n L̃−n +
n=−∞
∞
X
m−n : cm cn b−m−n + c̃m c̃n b̃−m−n :
2
m,n=−∞
(2.1.72)
dove Lm indica i generatori di Virasoro nel solo settore di materia.
La (2.1.72) mostra, come anticipato, che |0i è Q-invariante
Q |0i = 0
(2.1.73)
38
2.1.4
Lo spazio degli stati di stringa aperta e carica di BRST
Passiamo quindi all’analisi della teoria di stringhe aperte, e poniamoci immediatamente
nel sistema di coordinate (z, z̄), questo è ristretto al solo semipiano superiore del piano
complesso (la coordinata spaziale infatti è limitata all’intervallo 0 < σ 1 < π), e pertanto
le condizioni al bordo divengono ∂z φI = ∂z̄ φI sull’asse reale. Da ciò ne consegue che, per
quanto riguarda i campi φI , vi è una sola famiglia di operatori di creazione e distruzione,
visto che le condizioni al bordo impongono sugli stessi la condizione
I
I
αm
= α̃m
(2.1.74)
∀m
quindi, l’espressione in termini di operatori di creazione e distruzione del campo φI diviene
0 12 X I
αm −m
α
(z
+ z̄ −m )
φ (z, z̄) = x − ıα p ln |z| + ı
I
I
0 I
2
2
m6=0
m
(2.1.75)
Un’ulteriore modifica si ha per quanto riguarda lo sviluppo normale di operatori, si può
infatti mostrare [27] che la presenza del bordo richiede di modificare il prodotto normale di
operatori giacenti sul bordo stesso, giungendo all’espressione seguente, che indicheremo con
la notazione ? ?
?φI (y1 ) φJ (y2 ) ? = φI (y1 ) φJ (y2 ) + 2α0 η IJ ln |y1 − y2 |
(2.1.76)
in cui y indica la coordinata lungo il bordo.
Per quanto concerne il tensore energia-impulso, le condizioni al bordo impongono la
validità di
Tzz = Tz̄ z̄
se Imz = 0
(2.1.77)
e, con queste condizioni, è conveniente accorpare Tzz e Tz̄ z̄ in un unico tensore, definito su
tutto il piano complesso dalla condizione
Tzz (z) ≡ Tz̄ z̄ (z̄)
se Imz < 0
(2.1.78)
pertanto ne consegue che, in questo caso, vi è un solo insieme di generatori di Virasoro Lm
con la consueta algebra
[Lm , Ln ] = (m − n) Lm+n +
c 3
m − m δm,−n
12
(2.1.79)
Passando ai campi di ghost, b e b̃, e analogamente i campi c e c̃, sono ovviamente definiti
nel solo semipiano superiore, con la condizione al bordo
c(z) = c̃(z̄)
b(z) = b̃(z̄)
Im z = 0
(2.1.80)
questa condizione consente di accorpare le coppie b, b̃ e c, c̃ nei campi b e c definiti in tutto
il piano complesso dalle relazioni
c(z) ≡ c̃(z̄)
b(z) ≡ b̃(z̄)
Im z < 0
(2.1.81)
ne consegue quindi che, anche in questo caso, abbiamo una sola famiglia di operatori di
creazione e distruzione per ciascun campo.
39
La carica di BRST
É immediato accorgersi che la carica di BRST per la stringa aperta, ha un’azione non
dissimile da quanto già discusso per la stringa chiusa. Con lo stesso metodo si ottiene
h
i
I
Q, αm
= − 2α0
1
2
m pI cm − m
X
i
αm−n
cn
n
{Q, cm } =
{Q, bm } =
X
n
Lφm
(1 − n) cm−n cn
+ Lgm
(2.1.82)
e l’espressione esplicita della carica di BRST diviene
Q =
+∞
X
cn Lm
−n +
n=−∞
2.1.5
∞
X
m−n
: (cm cn b−m−n ) :
2
m,n=−∞
(2.1.83)
Le osservabili di stringa bosonica
Avendo discusso lo spazio di Fock degli stati sia per le stringhe aperte che chiuse, possiamo
ora passare a discutere la comologia di Q per entrambe, ossia le osservabili della teoria. La
deduzione degli stati fisici è identica nei due casi, tuttavia per le stringhe aperte è meno
laboriosa in quanto vi è una sola famiglia di creatori e distruttori per ogni campo. Nel
seguito riporteremo quindi la deduzione dei primi livelli di stringa aperta, mentre per le
stringhe chiuse riporteremo solo gli analoghi risultati.
Lo spettro di stringa aperta
Tra la carica di BRST e il generatore L0 , sussiste la relazione [34]
[Q, L0 ] = 0
(2.1.84)
ricordando l’hermiticità di L0 , è possibile diagonalizzare contemporaneamente sia Q che L0 .
In altre parole, gli stati dello spettro (elementi della comologia di Q), sono anche autostati
per L0
L0 |ψi = β |ψi
(2.1.85)
con β un autovalore complesso.
Tutti gli autostati con autovalore non nullo sono Q-banali, quindi non appartengono allo
spettro:
Q
b0
L0
|ψi =
|ψi = |ψi
β
β
(2.1.86)
Pertanto le osservabili devono soddisfare
L0 |ψi = 0
(2.1.87)
il cui significato può essere dedotto esplicitando l’azione del generatore L0 , e ricordando che
il modello sigma in questione è una teoria scalare libera. Si ottiene infatti che la (2.1.87) é
un’equazione di tipo Klein-Gordon per lo stato |ψi
0 I
α p pI +
∞
X
n=1
I
α−n
αn I
+
∞
X
n=1
!
n (: b−n cn + c−n bn :) |ψi = 0
(2.1.88)
40
Pertanto la massa invariante m2 ≡ −pI pI degli stati fisici è determinata dal livello totale
secondo la relazione
0
αm =
2
∞
X
+
I
α−n
αn I
n=1
∞
X
n (: b−n cn + c−n bn :)
(2.1.89)
n=1
Notiamo ancora che, nel settore soddisfacente la condizione di mass-shell, Q e b0 anticommutano. Ha allora senso restringere l’attenzione al solo settore della comologia di Q
relativa a b0 , ossia ai soli stati soddisfacenti8
b0 |ψi = 0
(2.1.90)
Passiamo a considerare gli stati dello spettro (limitando la discussione ai soli primi due
livelli): lo stato di vuoto si fattorizza nel prodotto tensore tra il vuoto di materia e il vuoto
di ghost
|VACi = |0mat i ⊗ |0gh i
(2.1.91)
Lo stato fisico di livello più basso è uno stato di ghost number 1 costituito da una stringa in
propagazione con impulso k e lo stato c1 |0i nel settore di ghost. La condizione di fisicità
(2.1.88) dice che questo stato è un tachione
|0, ki ⊗ c1 |0gh i
α0 m2 = −k 2 = −1
(2.1.92)
Questo stato, che è evidentemente BRST-chiuso, non è BRST-esatto e pertanto appartiene
alla comologia di BRST. Il tachione rappresenta un’instabilità infrarossa della teoria9 , il cui
significato fisico sarà spiegato tra poco.
Al livello successivo m2 = 0 (e considerando la sola comologia di numero di ghost 1),
possiamo considerare D stati linearmente indipendenti
|ψ1 i = (e · α−1 ) |0, ki ⊗ c1 |0i
k2 = 0
(2.1.93)
dove abbiamo introdotto un vettore di polarizzazione D-dimensionale eI . La condizione che
questo stato sia BRST chiuso è
Q |ψ1 i = 2α0
1
2
(k · e) |0, ki ⊗ c−1 c1 |0i
(2.1.94)
da cui si deduce che il vettore di polarizzazione eI deve essere trasverso
k·e=0
(2.1.95)
D’altro canto, è facile verificare che vettori di polarizzazione longitudinali eI ∝ k I corrispondono a stati BRST-esatti. Quindi lo spazio dei vettori di polarizzazione fisici è lo spazio dei
vettori trasversi modulo la relazione di equivalenza:
eI ' eI + β k I
(2.1.96)
con β reale arbitrario.
8
Condizione sulla quale è possibile consultare un’ampia letteratura (ad esempio [37]), e che nella
terminologia anglosassone prende il nome di semi-relative condition.
9
La presenza, nello spettro di stringa bosonica, del tachione costituisce per inciso una delle ragioni per cui
la stringa bosonica non è da considerarsi una teoria realistica, e deve essere estesa alle teorie di superstringa.
41
Riassumendo, a livello di stati a massa nulla, lo spettro è costituito da D − 2 particelle
vettoriali, con polarizzazione trasversa e soggette all’invarianza di gauge (2.1.96). Gli stati
appena trovati sono proprio i fotoni usuali dell’elettrodinamica.
L’analisi può essere ripetuta in maniera analoga per tutti gli stati di massa crescente
della stringa aperta. In questo modo si capisce come, in teoria di stringa, lo spettro sia
costituito da un insieme infinito di particelle a massa crescente; le particelle a massa nulla
sono, nelle stringhe aperte, i fotoni dell’elettrodinamica, che dunque può essere interpretata
come un’approssimazione di bassa energia per la teoria di stringa.
Stringhe chiuse
Passando alle stringhe chiuse, la trattazione è del tutto equivalente. Ovviamente in questo
caso vanno imposte due condizioni:
b0 |ψi = b̃0 |ψi = 0
(2.1.97)
Con metodi identici a quelli giá esposti, si ottengono i seguenti risultati per gli stati
fisici a massa più bassa dello spettro e di numero di ghost 2:
|0, ki ⊗ c1 c̃1 |0gh i
m2 = −
4
α0
I
J
eIJ α−1
α̃−1
|0, ki ⊗ c1 c̃1 |0gh i
m2 = 0
k I eIJ = k J eIJ = 0
(2.1.98)
Lo spettro fisico della stringa chiusa bosonico presenta dunque, come quello aperto, un
tachione che segnala, anch’esso un’instabilità perturbativa. Gli stati a massa nulla dipendono
dal tensore eIJ il quale soddisfa l’equivalenza di gauge
eIJ ' eIJ + aI kJ + kI bJ
a·k =b·k =0
(2.1.99)
e quindi in totale si hanno (D − 2)2 stati fisici. Gli stati a massa nulla sono descritti quindi
da: (a) un tensore simmetrico a traccia nulla, che può essere identificato col gravitone; (b)
un tensore antisimmetrico a due indici che è un campo peculiare della teoria di stringa. In 4
dimensioni questo campo può essere identificato con un assione. (c) Una particella scalare
cui viene dato il nome di dilatone.
2.1.6
Dagli stati fisici alle osservabili
Il nostro scopo è calcolare alcune ampiezze di scattering tra gli stati di stringa. Come noto, in
teoria di campi, le ampiezze sono calcolate sfruttando la formula LSZ e calcolando le funzioni
di correlazione tra le osservabili corrispondenti. Avendo trovato la misura funzionale di
integrazione (la funzione di partizione), per calcolare ampiezze di scattering occorre un modo
per ”tradurre” gli stati in corrispondenti osservabili. Per questo motivo faremo dapprima
una discussione generale sulle osservabili in teoria dei campi, e sulle diverse rappresentazioni
di queste, per poi discutere le implicazioni nel caso specifico in esame.
Caratterizzazione delle osservabili: introduzione generale
Consideriamo una teoria di gauge definita su una varietà n-dimensionale M . Sia s l’operatore
di BRST della teoria, che soddisfa la proprietà
{s, d} = 0
(2.1.100)
42
(0)
sia inoltre Om , un’osservabile della teoria (ossia una classe di comologia per s), e poniamo
sia una zero-forma avente numero di ghost m ≥ n.
(0)
Poniamo ora che Om soddisfi l’equazione
(1)
(0)
d Om
= s Om−1
(2.1.101)
(1)
per un’opportuna uno-forma Om−1 avente numero di ghost m − 1. È allora evidente che,
(1)
integrata su un ciclo unidimensionale, anche Om−1 definisce una diversa rappresentazione
della medesima osservabile. La procedura può essere iterata per dare luogo all’equazione di
discesa
(n)
(n−1)
s Om−n = d Om−n+1
(n−1)
(n−2)
s Om−n+1 = d Om−n+2
......
(1)
(0)
s Om−1 = d Om
(0)
s Om
=0
(2.1.102)
Specializzando il discorso alle teorie di stringa, esibiremo le osservabili in corrispondenza
degli stati trovati nella precedente sezione a partire dal livello di zero forme, per poi cercare
le corrispondenti uno e due-forme.
Cominciando con le stringhe aperte, lo stato di tachione è il ket
(2.1.103)
|0, ki ⊗ c1 |0gh i
di numero di ghost 1.
Lo stato |0, ki, corrispondente al settore di materia, è ottenibile agendo sul vuoto della
teoria bosonica attraverso un operatore che generalizza al caso della stringa l’onda piana
della teoria dei campi scalari liberi:
|0, ki = lim : eık·φ(z) : |0, 0mat i
z→0
(2.1.104)
dove il segno di ordinamento normale si riferisce all’ordinamento normale della teoria scalare.
Per il settore di ghost abbiamo, analogamente
c1 |0i = lim c(z) |0gh i
z→0
(2.1.105)
In definitiva lo stato del tachione
|0, ki ⊗ c1 |0i = lim : c(z) eık·φ(z) : |0, 0mat i|0gh i
z→0
(2.1.106)
si ottiene dal vuoto BRST invariante agendo con l’operatore scalare
O(0) ≡: c(z) eık·φ(z) :
α0 k 2 = 1
(2.1.107)
che è chiamato l’operatore di vertice corrispondente allo stato fisico in questione. La
corrispondente uno-forma è data da
O(1) ≡: eık·φ :
(2.1.108)
43
Per il fotone osserviamo che si ha (a parte un fattore di proporzionalità)
∂φI (z) |0, ki =
X αI
n
n
z n+1
(2.1.109)
|0, ki
così che
I
α−1
|0, kmat i ⊗ |0gh i = lim ∂φI (z) : eık·φ(z) : |0, 0mat i ⊗ |0gh i
z→0
k2 = 0
(2.1.110)
Al fotone corrisponde pertanto l’operatore di vertice (zero-forma)
(0)
O1 (z) =: c(z) e · ∂φ(z)eık·φ :
k2 = 0
(2.1.111)
mentre la corrispondente uno-forma è
(1)
O0 =: e · ∂φ(z)eık·φ
(2.1.112)
Per la stringa chiusa, lo stato di tachione è
(2.1.113)
|0, ki ⊗ c1 c̃1 |0i
di numero di ghost 2 e a cui corrisponde la zero-forma
O(0) ≡: c(z) c̄(z) eık·φ :
(2.1.114)
con la condizione su k
k2 =
4
α0
(2.1.115)
e la corrispondente due-forma
O(2) ≡: eık·φ :
(2.1.116)
Gli stati successivi sono ottenuti utilizzando la relazione (che si ricava nella stessa maniera
di quella mostrata per il fotone)
I
α−m
I
α̃−m
2 1/2
1
→ı
∂ m φI (0)
0
α
m − 1!
1/2
2
1 ¯m I
→ı
∂ φ (0)
α0
m − 1!
m≥1
m≥1
(2.1.117)
In conclusione ad ogni stato fisico della stringa bosonica è possibile associare un operatore
locale BRST-invariante di numero di ghost 1 nel caso della stringa aperta o 2 per la stringa
chiusa — detto operatore di vertice — a valori nelle 0-forme, il quale, agendo sul vuoto
invariante e valutato nel punto z = 0 genera lo stato fisico corrispondente. Le equazioni di
discesa associano a queste 0-forme degli operatori di ghost number 0 a valori nelle 1-forme
per le stringhe aperte e a valori nelle 2-forme per le stringhe chiuse che sono BRST-invarianti
modulo d. Sono quest’ultime che saranno utilizzate per costruire delle ampiezze di scattering
invarianti per ogni insieme di stati fisici.
44
2.1.7
Le ampiezze di scattering
Avendo definito gli stati fisici della teoria bosonica (quantomeno ai livelli di massa più bassi),
vogliamo vedere come assemblare i vari pezzi per costruire delle ampiezze di scattering tra
stringhe [32].
Da un punto di vista concettuale, riprendendo un’argomentazione ben nota in teoria
dei campi [5, 6] e considerando momentaneamente le sole stringhe chiuse, immaginiamo
di avere preparato, nel lontano passato, m stringhe negli stati i1 . . . im e aventi impulsi
k1 . . . km , stringhe che considereremo inizialmente libere e molto distanziate tra loro. Gli
stati così preparati sono poi lasciati evolvere, fatti interagire, per dare luogo, al termine
dell’interazione, ad n − m stringhe negli stati im+1 . . . in e aventi impulsi km+1 . . . kn , che a
loro volta evolvono liberamente nel target-space.
Per l’aspetto di interazione, la situazione è diversa dalla corrispondente situazione in
teoria dei campi: in linea di principio, si puó sommare su tutti i possibili ”vertici” di
interazione tra gli stati asintotici così preparati. Ad esempio prendendo due stringhe negli
stati asintotici iniziali ed unendole a formare un unico tubo uscente, si costruisce l’equivalente
di un vertice a tre gambe in teoria di campo.
Peró in teoria dei campi si possono costruire vertici con un numero arbitrario di gambe
esterne (la richiesta di invarianza di Lorentz non pone vincoli sui vertici stessi), in teoria di
stringa, per via dell’invarianza conforme, qualunque altro tipo di vertice nel world sheet può
sempre essere ricondotto ad una somma di “vertici” a tre.
Da un punto di vista grafico, le stringhe iniziali e finali, essendo in evoluzione libera,
assumono la topologia di un lungo cilindro, con la coordinata spaziale che scorre su una
circonferenza e il tempo che scorre lungo l’altezza del cilindro. Negli istanti di interazione,
queste invece originano topologie più variegate, corrispondenti ai diversi stati intermedi
che nascono con lo scattering. Comunque, per il carattere locale dell’interazione, tutte le
topologie corrispondenti all’interazione sono compatte, e si identificano come superfici di
Riemann chiuse di genere differente.
Passando alle stringhe aperte, la situazione è del tutto analoga, solo che le stringhe iniziali
e finali avranno la topologia di una striscia, mentre i world-sheet intermedi assumeranno la
topologia di superfici di Riemann compatte con bordi e di genere differenti.
Possiamo pensare di calcolare l’ampiezza di scattering inserendo nella funzione di
partizione le osservabili corrispondenti agli stati asintotici iniziali e finali nella funzione di
partizione (in maniera identica a quanto avviene in teoria dei campi), e sommando su tutte
le possibili topologie compatte dei world-sheet intermedi. Somma che assume il significato
di uno sviluppo a loop, in cui il genere del world-sheet assume il significato dell’ordine
perturbativo10 e, all’ordine più basso, il world-sheet diviene una sfera per le stringhe chiuse e
un disco per le stringhe aperte.
In generale, per rendere l’ampiezza calcolata indipendente dai punti di inserzione, gli
operatori di vertice saranno 2-forme da integrare sul world-sheet nel caso degli operatori di
stringa chiusa, oppure 1-forme da integrare sul bordo del world-sheet nel caso degli operatori
di stringa aperta.
Tutta la discussione si riassume nella seguente espressione per l’ampiezza di scattering
10
Quest’idea, secondo la quale il genere della superficie di Riemann assume il significato dell’ordine
perturbativo, e che rappresenta una peculiarità delle teorie di stringa, è stata per la prima volta introdotta
in [32].
45
tra stati di stringa:
Sj1 ...jn (k1 , . . . , kn ) =
XZ h
dΨ
i
i
e
−SP + s̃ΨGF
Z
Σ
g≥0
O
(2)
(ja ; ka )
Z
∂Σ
O(1) (ja ; ka ) (2.1.118)
dove abbiamo indicato con la notazione collettiva Ψi i campi e i moduli della teoria, mentre
con O(2) (ja , ka ) e O(1) (ja , ka ) abbiamo indicato le 2-forme e le 1-forme di numero di ghost
nullo che corrispondono agli stati fisici |ja , ka i di momento ka e spin ja .
Nei prossimi paragrafi, discuteremo alcune applicazioni della (2.1.118), che forniranno
lo spunto per iniziare una discussione sulla possibilità di sviluppare la teoria di stringa fin
qui descritta, direttamente a partire dal target-space, senza passare per la formulazione
perturbativa di world-sheet qui descritta.
2.1.8
Calcolo di correlatori, fisica del target-space di bassa energia
Calcoleremo ampiezze di scattering solamente a tree-level; ossia solo con world-sheet di
genere 0: la sfera (nel caso senza bordo cioè di stringa chiusa) e il disco (nel caso con bordo
cioè di stringa aperta).
Preliminari: la sfera e il disco
Cominciamo dalla sfera: dal teorema di Riemann-Roch si ottiene che la sfera non ha moduli,
dunque tutte le metriche possono essere condotte con un’opportuna trasformazione di gauge
(diffeomorfismi e trasformazioni di Weyl), ad una metrica di background, ad esempio:
4dzdz̄
(2.1.119)
1 + z z̄
utilizzando il metodo della proiezione stereografica, la sfera (escludendo il polo nord) può
essere identificata col piano complesso.
Sempre dal teorema di Riemann-Roch, segue che la sfera pur non avendo moduli, ha un
conformal killing group non banale, ossia la scelta della metrica di background (2.1.119) non
fissa completamente tutta la simmetria: in particolare sussiste ancora la simmetria residua
data dalla trasformazione
αz + β
(2.1.120)
z→
γz + δ
pertanto il conformal killing group dipende da quattro parametri complessi, tuttavia è
possibile fissarne uno imponendo che valga la relazione
ds2 =
αδ − βγ = 1
(2.1.121)
così il conformal killing group consta di tre parametri complessi, e può essere fissato fissando
la posizione di tre operatori di vertice chiusi posti sulla sfera. In altri termini, per calcolare
ampiezze di scattering sulla sfera occorre che tre operatori di vertice siano zero-forme fissate
in punti arbitrari del world-sheet, in modo da eliminare la simmetria residua.
Passando a discutere il disco, è evidente che questo è isomorfo a metà sfera (la metà
superiore ad esempio). Pertanto questo può essere identificato con il semipiano complesso
superiore mentre il bordo viene ad identificarsi con l’asse reale.
Nuovamente, tutte le metriche sono gauge equivalenti (ossia anche il disco non ha moduli)
mentre il conformal killing group ha la medesima forma della (2.1.120), tuttavia in questo
caso i parametri sono reali. Ne consegue che anche in questo caso la simmetria residua può
essere fissata fissando la posizione di tre operatori di vertice sul bordo del disco (ossia, per
l’identificazione prima citata, fissati sull’asse reale).
46
Ampiezze di scattering tra tachioni sulla sfera
Iniziamo con il calcolo dell’ampiezza di scattering tra tachioni di stringa chiusa sulla sfera.
Consideriamo l’ampiezza di scattering tra n tachioni sulla sfera aventi impulsi k1 . . . kn .
Utilizzando la (2.1.118), la (2.1.116) e fissando tre operatori di vertice, otteniamo
Sn =
Z h
i
dΨi e−SP + s ΨGF
n Z
Y
eıki ·φ
i=4 Σ
3
Y
: c c̄eıki ·φ (zi ) :
(2.1.122)
i=1
Calcoliamo quindi dapprima l’integrale nel solo settore di materia (e trascurando
momentaneamente il contributo dato dai ghost)
Z
1
[dX] exp −
4πα0
(
Z
Σ
X
√ µν
gg ∂µ φI ∂ν φI + ı
ki · φ
)
(2.1.123)
i
scriviamo quindi i campi φI nella forma analoga alla (2.1.75)
φI = xI + φIcl + Y I
(2.1.124)
nella quale abbiamo indicato con φIcl la soluzione delle equazioni del moto
φIcl = −ı
α0 X I
k ln |z − zi |2
2 i i
(2.1.125)
e si perviene all’espressione
P
!
D D
(2π) δ
X
ki
e
ı
k ·φ
i i cl
2
Z
i
1
[dY ] exp −
4πα0
Z
√
Σ
gg ∂µ Y ∂ν YI (2.1.126)
µν
I
e vediamo che l’ultimo termine è una costante ed è indipendente dagli operatori di vertice.
Così, a meno di costanti moltiplicative, l’integrale di cammino diviene
!
D D
(2π) δ
X
Y
ki
i
0
|zi − zj |α ki ·kj
(2.1.127)
i<j
Ottenuta la (2.1.127), resta da compiere l’integrazione sulla posizione di inserzione degli
operatori di vertice non fissati dal conformal killing group. Pertanto la (2.1.127) va integrata
su
Z
(2.1.128)
d2 z4 . . . d2 zn
Stante questo, concentriamo l’attenzione verso i due casi più semplici: le ampiezze a tre
e quattro tachioni. Iniziando con il caso dei tre tachioni, è evidente che in questo caso non
occorre alcuna integrazione, e l’ampiezza è semplicemente data da
0
0
0
|z12 |α k1 ·k2 |z13 |α k1 ·k3 |z23 |α k2 ·k3
(2.1.129)
nella quale abbiamo usato la notazione abbreviata zij = zi − zj . La (2.1.129) può comunque
essere semplificata, e sfruttando la condizione di mass-shell e la conservazione dell’impulso
si arriva a:
|z12 z13 z23 |−2
(2.1.130)
47
che, è indipendente dall’impulso degli operatori di vertice, ma dipende dalla posizione
di inserzione degli operatori di vertice medesimi. Il risultato vá completato calcolando il
determinante fermionico derivante dall’inserzione dei ghost. Il valore assunto da questo
determinante può essere dedotto anche senza effettuare calcoli espliciti: l’ampiezza consiste
di un termine esclusivamente di gauge-fixing e la (2.1.130) dipende dai punti di inserzione
(e quindi in definitiva dipende dal particolare gauge-fixing utilizzato). Si deduce quindi che
il determinante fermionico deve essere proporzionale a
(2.1.131)
J ∝ |z12 z13 z23 |2
in modo da eliminare la dipendenza dal gauge-fixing.
Riassumendo, l’ampiezza di scattering per tre tachioni sulla sfera viene ad essere una
costante e, la generica ampiezza a n tachioni sulla sfera, può essere scritta, a meno di costanti
moltiplicative, nella forma
S(k1 . . . kn ) =
Z
d2 z4 . . . d2 zn |z12 z13 z23 |2
Y
0
|zij |α ki ·kj
(2.1.132)
i<j
visto l’indipendenza dai punti di inserzione degli operatori fissi, è conveniente porre z1 = 0,
z2 = 1 e z3 → ∞. Sfruttando la condizione di mass-shell e la conservazione dell’impulso, è
possibile cancellare tutti i monomi che coinvolgono z3 , ottenendo così l’espressione
(2.1.132) =
Z
d2 z4 . . . d2 zn
0
|zij |α ki ·kj
Y
(2.1.133)
i<j6=3
Passiamo a discutere il caso di quattro tachioni (ampiezza che prende il nome di ampiezza
di Virasoro-Shapiro); in questo caso la (2.1.133) assume la forma
Z
0
0
d2 z4 |z4 |α k1 ·k4 |1 − z4 |α k2 ·k4
(2.1.134)
integrale che può essere risolto, e così l’ampiezza per quattro tachioni diviene
!
(2π)D+1 δ D
X
ki
i
Γ (1 + α0 k1 · k4 /2) Γ (1 + α0 k2 · k4 /2) Γ (1 + α0 k3 · k4 /2)
(2.1.135)
Γ (−α0 k1 · k4 /2) Γ (−α0 k2 · k4 /2) Γ (−α0 k3 · k4 /2)
Introducendo poi le variabili di Mandelstam
s = − (k1 + k2 )2 ,
t = − (k1 + k3 )2 ,
u = − (k1 + k4 )2
(2.1.136)
si perviene all’espressione equivalente
!
(2π)
D+1 D
δ
X
i
ki
Γ (−1 − α0 s/4) Γ (−1 − α0 t/4) Γ (−1 − α0 u/4)
(2.1.137)
Γ (2 + α0 s/4) Γ (2 + α0 t/4) Γ (2 + α0 u/4)
Come unica osservazione sull’equazione (2.1.137), ci limitiamo ad osservare che l’ampiezza
ha poli ogniqualvolta una delle funzioni Γ a numeratore ha un intero non positivo come
argomento, ossia ogniqualvolta s,t o u assumono uno dei seguenti valori
−
4
4 8
, 0, 0 , 0 , . . .
α0
α α
(2.1.138)
che sono esattamente i valori delle masse al quadrato degli stati di stringa chiusa.
48
Ampiezze di stringa aperta, fattori di Chan-Paton e fotoni
Passiamo a discutere le ampiezze di stringa aperta sul disco (che è l’analogo della sfera nella
teoria aperta). Il disco può essere pensato come mezza sfera, e quindi può essere identificato
con il semipiano complesso superiore, con l’asse reale che si identifica con il bordo.
Per questo motivo gli operatori di vertice applicati sul bordo del disco, saranno pensati
applicati sull’asse reale del piano complesso (e gli integrali saranno integrali sull’asse reale),
asse la cui coordinata sarà indicata con x.
Le ampiezze di tachioni sul disco non differiscono significativamente da quanto discusso
sulla sfera, e pertanto la discussione non sarà richiamata. Viceversa sono di interesse
le ampiezze di scattering tra stati a massa nulla (che nel seguito saranno genericamente
denominati fotoni). Ad un fotone, con vettore di polarizzazione e e impulso k, corrisponde
l’operatore
eI : φ̇I eık·φ :
(2.1.139)
dove abbiamo indicato con φ̇I la derivata lungo il bordo.
Prima di passare a definire e calcolare ampiezze di scattering tra fotoni, è necessario
introdurre una generalizzazione della teoria di stringhe aperte, che consenta di trattare le
teorie di gauge sul target-space in contesto di stringa; generalizzazione che và sotto il nome
di fattore di Chan-Paton. Una stringa aperta ha, ovviamente, i due estremi liberi, e dunque
è possibile assegnare ad entrambi gli estremi due ulteriori gradi di libertà, uno per estremo.
Chiameremo questo grado ulteriore di libertà fattore di Chan-Paton, e immaginiamo che
complessivamente vi siano n fattori distinti. In questo modo il generico stato di stringa
aperta verrà denotato con la notazione
(2.1.140)
|N, k, i, ji
dove con i, j abbiamo indicato i fattori di Chan-Paton degli estremi destro e sinistro della
stringa, mentre N indica i gradi di libertà interni dello stato, e k è l’impulso dello stesso.
In questo modo si vengono così ad avere n2 tachioni, n2 fotoni e così via. Introducendo
poi le n2 matrici λaij , che possono essere viste come le funzioni d’onda di Chan-Paton, con
la condizione di normalizzazione
Tr λa λb = δ ab
(2.1.141)
possiamo passare alla base in cui è definita λ, ossia in formule
|N, k, ai =
n
X
(2.1.142)
|N, k, i, ji λaij
i,j=1
Stante questa discussione, possiamo valutare il calcolo di un’ampiezza di scattering:
nuovamente come già discusso per la sfera, il conformal killing group impone di fissare la
posizione di tre operatori sul bordo del world-sheet, pertanto la più semplice ampiezza tra
stati a massa nulla che può essere calcolata è l’ampiezza a tre fotoni
S (k1 , a1 , e1 ; k2 , a2 , e2 ; k3 , a3 , e3 ) ∝
∝ |x12 x13 x23 |h: e1 · φ̇e
ık1 ·φ(x1 )
:: e2 · φ̇e
(2.1.143)
ık2 ·φ(x2 )
:: e3 · φ̇e
ık3 ·φ(x3 )
:i Tr (λ
a1
[λ , λa3 ])
a2
in cui abbiamo usato la notazione compatta h i, per denotare l’integrale di cammino, mentre
la traccia sulle matrici di Chan-Paton è stata ottenuta considerando che, visto che i fattori
49
di Chan-Paton non subiscono interazioni, è necessario che lo stato dell’estremo destro del
fotone 1 coincida con l’estremo di sinistra del fotone 2 e così via.
Per effettuare l’integrale di cammino, occorre contrarre tutti i campi φ̇ presenti, e la
contrazione si può fare o tra i campi φ̇ o con gli esponenziali. A seconda di quale contrazione
si effettua vi sono due tipi di termini: quelli in cui tutti e tre i φ̇ sono contratti con gli
esponenziali, e che dunque danno luogo ad un di ordine k 3 ; e quelli in cui due φ̇ sono
contratti tra di loro, e il terzo con un esponenziale, dando così luogo a termini di ordine k.
Complessivamente l’ampiezza diviene dunque
!
D D
S ∝ (2π) δ
X
ki (e1 · k23 e2 · e3 + e2 · k31 e3 · e1 + e3 · k12 e1 · e2 +
i
α0
+ e1 · k23 e2 · k31 e3 · k12 Tr (λa1 [λa2 , λa3 ])
2
(2.1.144)
Va ora rilevato come, l’ampiezza appena ottenuta, sia ottenibile anche a partire dalla
seguente lagrangiana di target-space
0
L ∝ α0 Tr FIJ F IJ + α 2 Tr FI J FJK FKI
(2.1.145)
in cui il primo termine è l’usuale lagrangiana di Yang-Mills, mentre il secondo è un termine
ulteriore che si annulla per valori piccoli di α0 e che serve a riprodurre il termine proporzionale
a k 3 nella (2.1.144).
Questa osservazione ci porta ad ipotizzare che, le usuali teorie di spazio-tempo, possano
essere viste come azioni effettive di bassa energia (sul target-space) della teoria di stringa,
e che abbiano in realtà delle correzioni di ordine superiore delle quali il secondo addendo
della (2.1.145) rappresenta il primo termine. In quest’ottica, si può pensare di ottenere una
formulazione di target-space (o di seconda quantizzazione) per la teoria di stringa bosonica
sviluppata in questo paragrafo; ossia una formulazione che, anziché partire dall’integrale di
cammino sul world-sheet, sia definita direttamente sul target space, e della quale l’azione
(2.1.145) rappresenti i termini di ordine più basso. Tuttavia, visto l’infinità di stati di stringa
presenti nello spettro bosonico (come accennato in precedenza), tale programma risulta
estremamente arduo da ottenere esattamente in una teoria di stringa bosonica11 .
Prima di proseguire và chiarito il senso con cui sono usate le espressioni prima quantizzazione˝e seconda quantizzazione˝. Per chiarire il significato conviene ripartire dall’espressione(2.1.20): questa definisce un modello sigma non lineare, il cui carattere non lineare
dipende dalle caratteristiche della metrica posta sul target-space, metrica che quindi può
essere pensata un background per la teoria conforme bidimensionale.
Dal punto di vista della teoria bidimensionale quindi, un cambio di background corrisponde ad una differente teoria (infatti è la metrica a definirne la parte interagente). D’altro
canto, come abbiamo visto discutendo lo spettro di stringa chiusa, tra gli stati di stringa
chiusa è presente il gravitone, che va considerato come una perturbazione alla metrica di
background scelta, e a partire dalla quale viene sviluppata la teoria. In quest’ottica si
inserisce pertanto il concetto di formulazione di prima quantizzazione: infatti tutta la teoria
sviluppata può essere vista come uno sviluppo perturbativo, attorno ad una teoria conforme
scelta come background (che può essere pensata come lo stato di vuoto da cui viene fatto
partire lo sviluppo perturbativo). In questo contesto trova una giustificazione la richiesta che
11
E una teoria completa di seconda quantizzazione alla teoria di stringa bosonica non è attualmente
disponibile, studi in questa direzione sono l’oggetto di indagine della cosiddetta string field theory, per la
quale si rimanda alla vasta letteratura, ad esempio [36].
50
le osservabili, a livello di zero-forme, abbiano numero di ghost pari a due: infatti in questo
modo le corrispondenti due-forme hanno numero di ghost nullo, e possono essere considerate
come deformazioni dell’azione originaria senza violare la conservazione del numero di ghost.
Sempre in questo contesto si motiva la presenza del tachione: la presenza di questo
infatti segnala un’instabilità del vuoto scelto per lo sviluppo perturbativo.
Riassumendo quanto appena esposto, mostra in che senso l’approccio di world-sheet sia
da considerarsi un approccio di prima quantizzazione, e che di conseguenza la formulazione
ottenuta sia manifestamente dipendente dal background. Viceversa la (2.1.145) definisce
una formulazione di seconda quantizzazione (formulazione che tuttavia va considerata solo
come un’approssimazione di bassa energia), in quanto questa è direttamente formulata nello
spazio-tempo ed è indipendente dal background.
Nel prossimo paragrafo, mostreremo come i modelli sigma topologici introdotti nel primo
capitolo, in virtù del ridotto numero di stati presenti nello spettro e della validità esatta del
limite di accoppiamento debole, possano dare luogo ad un’azione di target-space che non sia
un’approssimazione di bassa energia ma che sia esatta a tutti gli ordini.
2.2
La stringa topologica
Passiamo dunque a costruire, seguendo l’esempio della scorsa sezione sulla stringa bosonica,
le teorie di stringa topologica. Nel primo capitolo della tesi, ci siamo già occupati di
definire le caratteristiche salienti dei modelli sigma topologici e della gravità topologica;
scopo di questo capitolo sarà pertanto dapprima riprendere quanto esposto e fornire i dovuti
ampliamenti necessari (In particolare vedremo come possono essere caratterizzati i correlatori
di osservabili), per poi procedere all’accoppiamento delle due teorie. In ultimo cercheremo
di fornire una giustificazione alle formulazioni di target-space per entrambi i modelli di
sola stringa aperta, non sarà nostra pretesa fornire una deduzione rigorosa e precisa di
quest’aspetto (che si inserisce nell’ambito della string field theory), ma ci limiteremo a fornire
solo alcune argomentazioni di plausibilità sulla forma assunta dalle azioni di spazio-tempo.
2.2.1
I modelli sigma topologici: richiami e ampliamenti
Riportiamo quindi l’attenzione sui modelli sigma topologici (modello A e modello B) discussi
nel primo capitolo. In questa sezione ci preoccuperemo dapprima di approfondire l’analisi
delle osservabili [18, 23], ossia ci proponiamo di ottenere, a partire dalle osservabili O(0) già
trovate nel primo capitolo, le soluzioni della discesa:
s O(2) = dO(1)
s O(1) = dO(0)
s O(0) = 0
(2.2.1)
Risolta la discesa ci preoccuperemo di studiare e definire in modo corretto i correlatori
di osservabili.
Le osservabili del modello A
Come abbiamo visto (equazione (1.5.19)), le osservabili del modello A (a livello di zero-forme)
sono isomorfe alla comologia del differenziale di de Rham sul target-space X, ossia si ha che
(0)
OV
≡ VI1 ,...,Im (φ)χI1 . . . χIn
(2.2.2)
51
definisce un’osservabile del modello A (di numero di ghost n) se la corrispondente n-forma
V appartiene alla comologia di de Rham su X. Stante questo risultato, è ora di verifica
immediata che la soluzione dell’equazione di discesa è fornita dall’espressione
(1)
OV = −nVI1 ,...,Im (φ)dφI1 χI2 . . . χIn
n(n − 1)
(2)
OV = −
VI1 ,...,Im (φ)dφI1 dφI2 χI3 . . . χIn
2
(2.2.3)
Nello specifico, passando a considerare il caso marginale (ossia di un’osservabile che a livello
di due-forma definisce una deformazione dell’azione senza rompere la conservazione del
numero di ghost), in cui valga n = 2, si trova la due-forma
(2)
OV = −VI1 I2 dφI1 dφI2 = −φ∗ (V )
(2.2.4)
che rappresenta esattamente la deformazione del termine topologico φ∗ (K) dovuta ad un
cambio della classe di Kahler sul target-space.
Riassumendo, possiamo concludere che le deformazioni del modello A, sono in relazione
con le deformazioni della struttura di Kahler sul target-space.
Le osservabili del modello B
Come abbiamo già notato nel primo capitolo, nel modello B le osservabili sono definite come
la comologia di s modulo le equazioni del moto, tuttavia questa comologia è apparentemente
insoddisfacente: infatti, come abbiamo visto, l’azione del modello B consiste esclusivamente
di un termine di gauge-fixing, e quindi a priori siamo portati ad ipotizzare che la comologia
di s on-shell, e quindi in definitiva le osservabili del modello, dipendano dalla scelta fatta sul
fermione di gauge. Si può comunque mostrare [18] che questa arbitrarietà è insignificante,
infatti le varie comologie ottenute con diversi fermioni di gauge sono in realtà isomorfe e
quindi non danno luogo a differenze significative.
Stante questa osservazione, ripartiamo dalla (1.5.29)
j j ...j
O(0) = η ı̄1 ...η ı̄p Vı̄11ı̄22...ı̄p q θj1 ...θjq
(2.2.5)
che definisce evidentemente la soluzione della discesa a livello di zero-forme, e proponiamoci
di ottenere le corrispondenti O(1) e O(2) che completano la soluzione dell’equazione di
discesa.
A tal proposito, ricordiamo che, la struttura supersimmetrica da cui derivano i modelli
sigma topologici, definisce oltre all’operatore di BRST, anche un operatore vettoriale G, che
chiameremo operatore di discesa, e che nello specifico del modello B è dato dalla combinazione
G = (Q+ + Q− )
(2.2.6)
il quale è caratterizzato dalla seguente regola di commutazione con s [18]
{s, G} = D
(2.2.7)
in cui D è la derivata covariante, e che si riduce all’espressione
{s, G} = d
sulle quantità invarianti per riparametrizzazioni sul target-space.
(2.2.8)
52
La caratteristica sintetizzata nella (2.2.7) consente di risolvere la discesa a partire dalle
osservabili a livello di zero-forme, tramite l’applicazione ripetuta di G; infatti ponendo ad
esempio
O(1) = G O(0)
(2.2.9)
s O(1) = {s, G} O(0) = d O(0)
(2.2.10)
si ottiene
la quale mostra che tramite l’azione dell’operatore di discesa, l’equazione di discesa è
automaticamente risolta, previa la conoscenza della comologia a livello di zero-forme.
Specializzando ora il discorso al modello B, e nello specifico all’osservabile (1.5.31) con
numero di ghost 2
O(0) = η ı̄ µjı̄ θj
(2.2.11)
(0)
(0)i
notiamo anzitutto che O(0) si scompone nel prodotto di due operatori O1i = θi e O2
µiı̄ η (ı̄) [18]; applicando quindi ad entrambi l’operatore di discesa G si ottiene
=
(0)
O1i = θi
(1)
O1i = −Gi̄ dφj̄
(2)
O1i = 0
(2.2.12)
e
(0)i
= µiı̄ η (ı̄)
(1)i
= µi̄ dφ̄ + Dψ µi̄ η ̄
O2
O2
(2)i
O2
1
= Dψ µi̄ dφ̄ + DF µi̄ η ̄ + Dψ2 µi̄ η ̄
2
(2.2.13)
dove abbiamo indicato con D la derivata covariante costruita col pull-back della connessione
di Levi-Civita sul target-space, mentre la notazione Dψ è un modo compatto di indicare
ψ i Di .
Le equazioni (2.2.12) ed (2.2.13), consentono di trovare i discendenti di O(0) nella maniera
seguente
(0)
(0)
(1)
(0)
(0)
(1)
(2)
(0)
(1)
(1)
O(0) = O1 O2
O(1) = O1 O2 − O1 O2
(2)
(0)
O(2) = O1 O2 − O1 O2 + O2 O1
(2.2.14)
il discorso può poi essere ripetuto per le altre osservabili del modello; ricordiamo che
avevamo già osservato nel primo capitolo, che le osservabili con numero di ghost 2 sono
in relazione con le deformazioni della struttura complessa sul target-space; riprendendo
questa osservazione possiamo quindi concludere che a queste osservabili corrisponde una
ben definita deformazione dell’azione, e che dunque tali deformazioni sono anch’esse in
corrispondenza con le deformazioni della struttura complessa.
53
Le funzioni di correlazione del modello A
Discusse le soluzioni dell’equazione di discesa per entrambi i modelli possiamo passare a
discutere il calcolo dei correlatori, e cominceremo nuovamente dal modello A. Il carattere
topologico del modello consente di passare al limite di accoppiamento debole, pertanto
l’integrale di cammino può essere calcolato con la seguente procedura: si sviluppa l’azione
all’ordine più basso rispetto alle soluzioni delle equazioni del moto, da questa si calcolano i
determinanti fermionici e bosonici derivanti dal calcolo ad un loop, e poi si integra rispetto
alle soluzioni delle equazioni del moto.
Trattandosi di un sistema supersimmetrico, è comunque ben noto che i contributi ad
un loop fermionici e bosonici si cancellano a vicenda, dando dunque come risultato netto 1.
Pertanto ciò che rimane è l’integrazione rispetto alle soluzioni delle equazioni del moto.
Le soluzioni delle equazioni del moto del modello A si identificano, nel settore bosonico,
con lo spazio delle mappe olomorfe di grado n, che indicheremo con Mn
∂z̄ φi = ∂z φı̄ = 0
(2.2.15)
mentre per quanto concerne i gradi fermionici, analogo ragionamento conduce alle equazioni
Dz̄ χi = Dz χı̄ = 0
Dz ψz̄i = Dz̄ ψzı̄ = 0
(2.2.16)
Stante questa discussione di carattere preliminare, vogliamo ora discutere un’anomalia
riguardo la conservazione del numero di ghost nei correlatori quantistici del modello A. A
tal fine ricordiamo che, i campi χ possono essere interpretati come delle zero-forme a valori
in Φ∗ (T X), mentre i campi ψ come delle uno-forme a valori in Φ∗ (T X); d’altra parte, il
teorema di Riemann-Roch, fissa le dimensioni di questi due spazi (che indicheremo con H (0)
e H (1) rispettivamente) tramite la relazione
dim H (0) − dim H (1)
= 2d (1 − g) + c1 (X)
(2.2.17)
nella quale si è indicata con d la dimensione del target-space X, con g il genere della
superficie Σ e con c1 (X) la prima classe di Chern del target-space.
Dalla (2.2.17) si deduce quindi la relazione (ponendo che X sia spazio di Calabi-Yau12 )
]χ(0) − ]ψ (0) = 2d (1 − g)
(2.2.18)
dove abbiamo indicato con χ(0) e ψ (0) gli zero modi. La (2.2.18) esprime l’anomalia di ghost
prima citata, ne consegue infatti che qualunque correlatore che non abbia numero di ghost
pari a 2d (1 − g) si annulla per la presenza di modi zero non fissati.
Le funzioni di correlazione del modello B
Per quanto riguarda il modello B, si possono applicare le medesime considerazioni appena
esposte per il modello A: anch’esso esibisce un’anomalia nella conservazione del numero di
ghost. Il calcolo esplicito, fatto sulla traccia di quello appena esposto, consente di concludere
che, in questo caso, il limite di accoppiamento debole sui campi bosonici riduce l’integrale
12
Senza addentrarci nei dettagli delle questioni geometriche, ci limiteremo a ricordare che uno spazio di
Calabi-Yau è una varietà di Kahler, con prima classe di Chern nulla, tutti i dettagli a riguardo sono reperibili
ad esempio su [26].
54
funzionale ad un integrale sullo spazio delle mappe costanti da Σ a M ; ossia in un integrale
su tutto M ; il teorema di Riemann-Roch stabilisce poi nuovamente la relazione
]η (0) + ]θ(0) − ]ψ (0) = 2d (1 − g)
(2.2.19)
che sancisce l’anomalia nella conservazione del numero di ghost; sono non nulli infatti solo i
correlatori che possiedono numero di ghost totale pari a 2d (1 − g).
Come abbiamo già avuto modo di rilevare nel primo capitolo, c’è comunque una sostanziale differenza rispetto al modello A: infatti nel modello B l’azione della simmetria di
BRST sui campi bosonici φi e φı̄ è chirale, e quindi, in linea di principio, può sorgere un’ulteriore anomalia dovuta proprio alla chiralità della trasformazione. Vogliamo ora esplorare
più a fondo la definizione degli zero-modi per i campi, per mostrare che la condizione di
annullamento dell’anomalia porta alla richiesta che il target-space sia spazio di Calabi-Yau
[18, 23].
Per procedere in tal senso, notiamo che gli zero-modi dei campi aventi comportamento
scalare sul world-sheet (vale a dire gli zero modi per φ, φ̄, η ı̄ e θi ) sono tutti costanti,
pertanto scegliendo un punto arbitrario x0 ∈ Σ si ottiene
φI0 ≡ φI (x0 )
η0ı̄ ≡ η ı̄ (x0 )
θi 0 ≡ θi (x0 )
(2.2.20)
quindi questa definizione fornisce
(0,1)
η0 ∈ Tφ0 X
∗(1,0)
θ0 ∈ Tφ0
X
(2.2.21)
Per quanto concerne la uno-forma ψ i ≡ ψzi dz+ψz̄i dz̄, gli zero-modi possono essere anch’essi
localizzati nel punto x0 : per raggiungere tale obiettivo occorre definire un’opportuna base di
uno-cicli {Ca ; a = 1, · · · , 2g} passanti per x0 , e definendo gli zero modi ψai come gli integrali
di linea di ψ lungo i cammini Ca . In questo modo si ottiene
(1,0)
ψai ∈ Tφ0 X
(2.2.22)
in questa maniera vediamo come, tutti gli zero modi sono identificati con opportuni tensori
su uno stesso punto punto φ0 del target-space.
Stante questa discussione, la definizione della misura funzionale di integrazione sugli
zero modi diviene (presupponendo che il target-space sia tridimensionale, che come vedremo
tra non molto è un’assunzione sensata in vista dell’accoppiamento alla gravità topologica)
dµ0 = d3 φ0 d3 φ̄0 d3 η0 d3 θ0 d6g ψa
(2.2.23)
dalla (2.2.23) è possibile vedere l’insorgenza dell’anomalia chirale, infatti per riparametrizzazioni del target-space, indicando con Λji la matrice di riparametrizzazione, si
ottiene
dµ0 → (det Λ)2−2g dµ0
(2.2.24)
ossia che la misura non è invariante e di qui la presenza dell’anomalia. Notiamo tuttavia
che, dalla (2.2.24), si ottiene che la misura varia come una sezione di K 2g−2 , in cui con K
si è indicato il fibrato canonico su X. Pertanto, se il target-space è spazio di Calabi-Yau,
esiste sempre una sezione olomorfa di K mai nulla [26], sezione che indicheremo con Ω; e in
conseguenza di questa proprietà, è possibile definire una misura invariante
dµ00 ≡ Ω2−2g (φ0 )dµ0
(2.2.25)
che risulta invariante per riparametrizzazioni (e visto il carattere olomorfo di Ω preserva
l’invarianza di BRST), e che pertanto rimuove l’anomalia.
Concludiamo così che, a differenza del modello A, il modello B è definibile a livello di
quantistico solo per target-space che siano spazi di Calabi-Yau.
55
2.2.2
La gravità topologica bidimensionale
Per ottenere una teoria di stringhe topologiche, occorre ora definire il settore gravitazionale
della teoria; dovendo inoltre approntare una teoria topologica, naturalmente anche il
settore gravitazionale deve esibire caratteristiche topologiche, ripartiamo dunque dalla
trattazione generale svolta nel primo capitolo per approfondirla e specializzarla al contesto
bidimensionale.
Ricordiamo che i campi di cui la teoria è fornita sono, la metrica bidimensionale gµν
posta sul world-sheet, il suo partner supersimmetrico ψµν , il ghost di riparametrizzazioni cµ
e il superghost ω µ ; soggetti alle trasformazioni di BRST
s gµν = ψµν − Lc gµν
1
s cµ = ω µ − Lc cµ
2
s ψµν = Lω gµν − Lc ψµν
s ω µ = −Lc ω µ
(2.2.26)
Notiamo che abbiamo già escluso il campo di Weyl ρ nella stesso modo già discusso per la
stringa bosonica.
L’azione
Discusse le osservabili, vogliamo ora andare a cercare un’opportuna azione per il nostro
modello; vedremo che la discussione non sarà troppo dissimile da quanto già svolto per la
stringa bosonica.
Siamo quindi indotti, per il carattere topologico del modello costruito, a cercare una
lagrangiana che consista esclusivamente di un termine di gauge-fixing
L = sΨ
(2.2.27)
dove si è indicato con Ψ un termine di gauge-fixing avente numero di ghost −1.
Per procedere oltre, seguendo la procedura già svolta per la stringa bosonica, poniamo
sullo spazio dei moduli, Mg coordinate locali mi . Nuovamente, fissare il gauge per la
metrica gµν , richiede di determinare una metrica di background ḡµν (x, m) rispetto alla quale
fissare l’invarianza di gauge e, in corrispondenza della scelta della metrica di background,
fissare anche il corrispondente campo fermionico ψµν al valore di background ψ̄µν (x, m).
Ovviamente, visto il legame che intercorre tra i campi gµν e ψµν già discusso nel primo
capitolo (in cui abbiamo mostrato che ψ è il differenziale esterno covariante nello spazio dei
moduli di g), il valore di background assunto da ψ̄µν non sarà libero ma ottenuto tramite la
relazione:
ψ̄µν = dp ḡµν + Lc̄ ḡµν
(2.2.28)
nella quale dp ≡ pi ∂mi è la derivata esterna nello spazio dei moduli (con i pi definiti come
i partner supersimmetrici e anticommutanti delle variabili mi13 , o in altri termini, come i
differenziali esterni degli mi ), e c̄ sarà identificato con il background per il ghost c.
Stanti queste premesse il gauge-fixing procede in maniera usuale, conducendo alla
lagrangiana [16]
h
L = s bµν (g µν − ḡ µν ) + βµν ψ µν − ψ̄ µν
i
(2.2.29)
13
Questa asserzione è completamente giustificata se si ricorda che è possibile fornire anche alla gravità
topologica un carattere supersimmetrico tramite un twist topologico, con una procedura non troppo dissimile
da quanto effettuato per i modelli sigma topologici, procedura che qui non verrà descritta ma che può essere
trovata in letteratura [20].
56
dove, come di consueto, sono stati inseriti gli antighost bµν e βµν , le cui trasformazioni di
BRST sono date dalle usuali:
s bµν = −Lc bµν + Λµν
s Λµν = −Lc Λµν − Lω bµν
s βµν = −Lc βµν + Lµν
s Lµν = −Lc Lµν − Lγ βµν
(2.2.30)
nelle quali Lµν e Λµν sono i rispettivi moltiplicatori di Lagrange per la condizione di
gauge-fixing.
Come già visto in contesto bosonico, la (2.2.29) non fissa completamente l’invarianza di
gauge per i campi fisici, deve infatti essere ancora discussa la questione degli zero-modi, che
sono definiti dalle equazioni
Z
µν
b(0)
=
µν Lc ḡ
Z
(0)
βµν
Lc ḡ µν = 0
(2.2.31)
che, nuovamente, possono essere interpretate come la presenza di modi nei campi di gaugefixing ortogonali rispetto a variazioni per diffeomorfismi della metrica di background. Integrando per parti le equazioni (2.2.31) si perviene alle equazioni soddisfatte dagli zero modi
di bµν e βµν :
µ (0)
Dµ b(0)
µν = D βµν = 0
(2.2.32)
Nuovamente, la questione degli zero-modi può essere affrontata estendendo l’azione di s
ai moduli (e ai loro partner supersimmetrici) nella maniera seguente:
s mi = C i
s pi = −Γi
s Ci = 0
s Γi = 0
(2.2.33)
infatti andiamo a verificare come l’estensione appena esposta definisca in modo completo
l’integrale funzionale.
In primo luogo nasce il termine ovvio:
Λµν (g µν − ḡ µν ) + Lµν ψ µν − ψ̄ µν
(2.2.34)
che, integrati i moltiplicatori di Lagrange, fissa la metrica e il gravitino ai corrispondenti
valori di background. Fatta questa prima integrazione funzionale passiamo a considerare il
termine dipendente dal ghost bµν , che si riduce a
bµν [(dp − dC ) ḡ µν + (Lc̄ − Lc ) ḡ µν ]
(2.2.35)
e qui si rende evidente l’utilità di aver esteso l’azione di BRST ai background: infatti, per la
stessa definizione degli zero-modi del campo b, il secondo addendo non dipende da questi,
che resterebbero così indeterminati. Viceversa, grazie all’estensione dell’operatore di BRST
ai background, il primo addendo della (2.2.35) permette di integrare gli zero modi per dare
luogo al vincolo:
C i = pi
(2.2.36)
che è proprio il requisito che i pi siano i differenziali degli mi ; mentre il secondo addendo
forza c ad assumere il valore del background c̄. Trattando in maniera analoga il campo β si
perviene all’equazione:
h
βµν dΓ ḡ µν + Lω − Ldp c̄ − L2c̄ ḡ µν
i
(2.2.37)
57
che nuovamente conduce ai vincoli
Γi = 0
ω̄ = dp c̄ +
1 ¯
Lc̄ ξ
2
(2.2.38)
importante in modo particolare è il primo vincolo: infatti è necessario che si abbia Γi = 0
in modo da poter identificare le variabili pi con i partner supersimmetrici delle variabili di
background mi e contemporaneamente preservare la nilpotenza dell’operatore s.
Le funzioni di correlazione
Passiamo quindi al calcolo delle funzioni di correlazione:
hOi ≡
Z
[dΦ] O (Φ) e−
R
Σ
L
(2.2.39)
dove con O abbiamo indicato una generaica osservabile della gravità topologica (osservabili
che qui non abbiamo discusso in quanto non necessarie negli sviluppi futuri).
Dalla discussione della precedente sezione, l’integrale funzionale si limita a fornire il
valore dell’osservabile (come funzione dei moduli e dei super-moduli) calcolata per i campi
valutati nei background, in formule
hO (g, ψ, c, ω)i = O ḡ, ψ̄, c̄, ω̄ .
(2.2.40)
Osserviamo inoltre che, se l’osservabile O ha numero di ghost N , la conservazione del
numero di ghost implica che il suo corrispondente correlatore hOi, è un monomio di grado
N nelle variabili pi ; come d’altra parte abbiamo già visto, queste variabili possono essere
identificate con i differenziali delle variabili di background mi , quanto detto consente di
interpretare hOi localmente come una N -forma su Mg,n inoltre, come mostrato dalle identità
(2.1.32) in contesto bosonico, tale forma è chiusa nello spazio dei moduli.
2.2.3
Le teorie di stringa topologica
Avendo fornito una discussione dei modelli sigma topologici e della gravità topologica
bidimensionale, in quest’ultima parte ci occuperemo del loro accoppiamento, per costruire i
modelli di stringa topologica [18]. Nello specifico, l’analisi si soffermerà sulla discussione
di come ottenere l’operatore di BRST per la teoria accoppiata, sulla discussione delle
osservabili e della lagrangiana, giungendo in ultimo a fornire un’espressione per i correlatori
di osservabili. Per quanto concerne quest’ultimo punto, la discussione sarà di natura
esclusivamente euristica, in quanto non verrà analizzato il problema del fissare gli zero-modi.
L’operatore di BRST accoppiato
Cominciamo partendo dalla discussione dell’operatore di BRST. Come già specificato
diverse volte, l’operatore di BRST ingloba tutte le simmetrie della teoria. Stante questa
affermazione, è evidente che gli operatori di BRST delle teorie rigide (modello A o modello
B rispettivamente), che nel seguito indicheremo genericamente con s0 , devono subire delle
variazioni, in quanto nei modelli sigma topologici accoppiati alla gravità topologica, compare
l’ulteriore simmetria per diffeomorfismi (inoltre la teoria ha un numero maggiore di campi,
inglobando sia i campi dei modelli sigma topologici sia i campi della gravità topologica).
58
Ci proponiamo quindi in primo luogo di studiare la modifica da apportare all’operatore
di BRST, che indicheremo con s, in modo da comprendere tutte le simmetrie della teoria
accoppiata.
Per procedere in questa direzione, cominciamo con l’osservare che su tutti i campi (sia di
gravità che di materia), s ha in primo luogo il termine banale di diffeormofismi dato da −Lc ,
termine che agisce su tutti i campi della teoria, sia nel settore di materia che di gravità, Lc
è inoltre l’unico contributo del campo cµ presente nell’operatore di BRST. Stante questa
osservazione, risulta naturale fattorizzare il termine Lc dall’operatore di BRST e definire
quindi l’operatore S identificato dalla relazione
S ≡ s +Lc
(2.2.41)
in termini del quale, la condizione di nilpotenza di s si traduce nella condizione
S 2 = Lω
(2.2.42)
in cui con Lω si intende la derivata di Lie lungo il campo vettoriale ω della gravità topologica.
L’accoppiamento dei modelli sigma topologici alla gravità topologica, richiede quindi in
primo luogo di trovare un opportuno S che soddisfi la (2.2.42).
A tal fine, è sufficiente osservare che la soluzione al problema è già contenuta nella
struttura supersimmetrica dei modelli sigma topologici: infatti ricordiamo che, a seguito
del twist topologico, in entrambi i modelli risulta definito un operatore di discesa G, che
costituisce una uno-forma, e che soddisfa la seguente regola di anticommutazione con s0
(quando agisce sui campi invarianti per riparametrizzazioni sul target-space)
{s0 , G} = d
(2.2.43)
La (2.2.43) è proprio la condizione necessaria a risolvere il problema, è infatti immediato
accorgersi che, l’operatore che risolve la condizione (2.2.42) è dato da
S = s0 +Gω
(2.2.44)
in cui, con la notazione Gω abbiamo indicato l’operatore ottenuto saturando l’indice di
forma di G con l’indice vettoriale di ω; in formule
Gω = i ω G
(2.2.45)
La (2.2.44) fornisce la definizione dell’operatore di BRST accoppiato agente sul settore di
materia, l’analogo operatore sul settore gravitazionale è semplicemente dato dall’operatore
di BRST della gravità topologica, privato ovviamente del termine Lc .
Notiamo infine che, le osservabili dei modelli sigma topologici rigidi già discusse, sono
automaticamente promosse ad osservabili anche nel modello accoppiato.
Lagrangiana e funzioni di correlazione
Per concludere la costruzione della stringa topologica in formalismo di prima quantizzazione,
resta da discutere la costruzione della lagrangiana e la forma assunta dai correlatori14 .
14
Come preannunciato la discussione che svolgeremo sarà leggermente imprecisa, in quanto non prenderemo
in considerazione la definizione degli zero-modi nelle due teorie topologiche.
59
Cominciando dalla lagrangiana nel settore di materia, è chiaro, visto il carattere topologico
della teoria, che questa assume la forma
L = s Ψ = (s0 +Gω ) Ψ
(2.2.46)
In cui Ψ rappresenta il fermione di gauge per il modello A o B a seconda dei casi.
Ricordando la natura supersimmetrica da cui Ψ deriva, è chiaro che sussiste la relazione
Gω Ψ = 0
(2.2.47)
e quindi la (2.2.46) assume in definitiva la forma
µν
L = sm
0 Ψ + ψ Gµν
(2.2.48)
nella quale sm
0 è l’operatore di BRST rigido nel settore di materia, mentre Gµν rappresenta
il termine di accoppiamento con la gravità ed è dato da
Gµν =
δΨ
δg µν
(2.2.49)
Supponendo ora di aver definito un’opportuna misura funzionale di integrazione, in
altre parole di aver risolto il problema degli zero-modi per il modello A e B, siamo pronti a
discutere la forma assunta dai correlatori di osservabili15 .
A tal fine, consideriamo di voler valutare il correlatore, tra n osservabili integrate del
modello sigma topologico in questione, (quindi a livello di due-forme e quindi dotate di
(2)
(2)
numero di ghost 0), O1 · · · On ; tale conto procede in due passaggi.
Per prima cosa occorre valutare il correlatore nella teoria rigida, correlatore che si
presenta quindi come un funzionale dei background ḡ µν e ψ̄ µν
(2)
hO1 · · · On(2) i|ḡ,ψ̄ =
Z
(2)
d [Φ] O1 · · · On(2) eΓ[g,ψ]
(2.2.50)
dove con Γ [g, ψ] si intende l’azione ottenuta con la lagrangiana(2.2.46).
Il risultato della (2.2.50), come abbiamo visto, è una forma globale nello spazio dei
moduli delle superfici di Riemann di genere g, Mg . Della (2.2.50) può quindi essere integrata
su Mg la componente avente grado di forma (supponendo world-sheet chiusi e inoltre g > 1)
pari a 6g − 6 questa è infatti proprio la dimensione dello spazio dei moduli come già discusso;
espandendo quindi in serie l’esponenziale dell’azione per ottenere il grado di forma desiderato
si perviene all’espressione per il correlatore
C1···n ≡
Z
Mg
Z
h
Σ
ψ˜µν Gµν
6g−6
O1 · · · On i
(2.2.51)
in cui il valor medio si intende calcolato con la lagrangiana di materia esclusivamente.
Chiaramente la discussione va adattata nel caso che il world-sheet abbia genere 0 o 1:
in questo caso infatti, la presenza di un conformal killing group non banale, costringe a
considerare anche operatori fissati sulla superficie, come già discusso nella teoria bosonica.
Ciò che rimane da discutere è la regola di selezione collegata all’anomalia del numero di
ghost dei modelli sigma topologici: ricordiamo infatti che, perché un correlatore nel modello
15
Non è invece necessario discutere la lagrangiana nel settore di gravità in quanto, come abbiamo visto,
questa si limita a localizzare i campi di gravità nel corrispondente settore di background
60
sigma topologico rigido non sia nullo è necessario che il numero di ghost sia pari a 2d (1 − g),
combinando questo risultato con quanto espresso nella (2.2.51) si perviene all’equazione
(6g − 6) = 2d (1 − g)
(2.2.52)
che è soddisfatta per qualunque g ed n se si ha d = 3, ossia se il target-space è un Calabi-Yau
tridimensionale.
Otteniamo così il risultato già annunciato in precedenza che, affinché la teoria di stringa
topologica consenta il calcolo di qualunque correlatore di osservabile marginale (ossia di
osservabili che definiscono le deformazioni del modello sigma topologico rigido), il target-space
deve essere uno spazio di Calabi-Yau tridimensionale.
Con questo risultato concludiamo la trattazione delle teorie di stringa topologica dal
punto di vista di world-sheet, nel prossimo paragrafo ci occuperemo invece di discutere come
ottenere una formulazione di target-space.
2.2.4
Fisica di target-space per i modelli di stringa topologica
In questa sezione andremo a discutere la possibilità di ottenere una formulazione di targetspace per i modelli A e B discussi fin qui, formulazione scoperta da Witten in [28]. Nello
specifico, ci occuperemo dei soli modelli sigma topologici aperti, in cui cioè il world-sheet è
una superficie di Riemann con bordo.
Come abbiamo visto, una particolarità delle teorie di stringa aperta consiste nella
presenza di condizioni al bordo per i campi della teoria e, più importante, nella possibilità
di accoppiare tramite i fattori di Chan-Paton sul bordo stesso, le teorie di stringa a teorie
di gauge sul target-space (accoppiamento che nella stringa bosonica conduce ad ottenere
l’usuale lagrangiana di Yang-Mills, almeno per basse energie).
Per questo motivo, andiamo in primo luogo a considerare le condizioni al bordo da
imporre nei due modelli.
Per quanto concerne il modello A, senza scendere nei dettagli per i quali si rimanda
alla letteratura [28], assumeremo che il bordo del world-sheet, che indicheremo con ∂Σ,
sia mappato su una varietà tridimensionale reale M3 ; mentre il target-space della teoria
complessiva sarà identificato con il fibrato cotangente ad M3 , in formule X = T ∗ M3 , targetspace che quindi è in effetti un Calabi-Yau tridimensionale complesso. In questo modo,
restringendoci a considerare le sole stringhe aperte, vogliamo andare a descrivere la fisica di
target-space su M3 determinata dal bordo delle stringhe aperte propaganti su questo16 .
Per quanto concerne invece il modello B, ancora una volta senza addentrarci nei dettagli,
imporremo al contrario delle condizioni al contorno libere, ossia non supporremo che il bordo
∂Σ sia mappato su alcuna sottovarietà del target-space complessivo X, ma ci limiteremo ad
imporre le consuete condizioni di Neumann per il bordo della stringa come già trattato in
stringa bosonica; pertanto in questo caso concludiamo che, il target-space del modello B
aperto, si identifica con l’intero Calabi-Yau tridimensionale complesso X.
Discusse le condizioni al bordo caratteristiche per i due modelli, passiamo ora ad
analizzare come accoppiare i modelli A e B aperti, a teorie di gauge sul target-space
Modello A
Iniziando con il modello A, poniamo che in M sia posta una connessione di gauge A = AI dφI
(e prendiamo come gruppo di gauge U (N )), in cui φI sono le coordinate reali poste su M .
16
Questa costruzione, in un linguaggio più evoluto, sta sostanzialmente descrivendo una teoria di stringhe
aperte i cui estremo sono confinati su una D-brana tridimensionale immersa nel target-space X [31].
61
L’accoppiamento della connessione di gauge con la teoria di stringa appena formulata,
avviene tramite l’usuale fattore di Chan-Paton, e in ultima analisi può essere realizzato
tramite il pullback della connessione A mediante l’applicazione Φ che mappa il world-sheet
nel target-space.
Pertanto si può pensare di realizzare l’accoppiamento tra la teoria di stringa e la
connessione di gauge, rimpiazzando l’integrale di cammino di Polyakov che formalmente
indichiamo come
Z=
Z
[DΦ] eıSA
(2.2.53)
in cui con SA abbiamo indicato l’azione del modello A, con l’espressione accoppiata
Z
R
[DΦ] eıSA Tr e
M
Φ∗ (A)
(2.2.54)
Ovviamente, è necessario imporre che la modifica appena enunciata all’integrale di
cammino, non rompa l’invarianza di BRST; andiamo quindi a valutare l’azione dell’operatore
di BRST sul termine di olonomia appena introdotto, azione data dall’espressione
dφJ
FIJ (τ )dτ · exp
Φ∗ (A)
(2.2.55)
dτ
M
M
M
in cui con τ abbiamo indicato la coordinata temporale che corre lungo il bordo del worldsheet, mentre con FIJ abbiamo indicato il pullback della curvatura ottenuta a partire dalla
connessione A.
Ricordando a questo punto la trasformazione di BRST del modello A s φI = χI , notiamo
che l’annullarsi della (2.2.55), e quindi in definitiva la richiesta che il contributo aggiunto di
olonomia non rompa l’invarianza di BRST complessiva, implica che la connessione di gauge
A sia piatta, ossia che valga la condizione FIJ = 0.
Stante questa richiesta, è evidente che la descrizione di spazio-tempo del modello A
aperto, deve avere un’azione che localizzi il campo di gauge A su un campo avente curvatura
piatta; ossia, in altri termini, deve essere un’azione le cui equazioni del moto diano luogo a
connessioni a curvatura piatta. A tal proposito, ricordando che M è reale tridimensionale, è
evidente che la lagrangiana di Chern-Simons
s Tr exp
Z
Φ∗ (A) = Tr
Z
s φI
LCS ∝ A ∧ d A + A ∧ A ∧ A
Z
(2.2.56)
realizza la richiesta, in quanto le equazioni del moto di questa sono proprio date da F = 0.
In questo modo abbiamo ottenuto un argomento di plausibilità, per giustificare l’asserzione che la lagrangiana di Chern-Simons costituisce la formulazione di target-space per
il modello A aperto. Una deduzione rigorosa di questo risultato è ottenibile attraverso i
metodi di string field theory, i quali consentono di dedurre che, non solo la lagrangiana di
Chern-Simons rappresenta un’azione effettiva di target-space per il modello A aperto (ossia
un’approssimazione di bassa energia); ma anche che, in virtù della validità esatta del limite
di accoppiamento debole nelle teorie topologiche, tale azione di target-space è esatta a tutti
gli ordini perturbativi.
Il modello B
Passando a considerare il modello B, si applicano le medesime considerazioni che hanno
portato a dedurre l’equazione (2.2.55); sostituendo poi in questa la trasformazione di BRST
s φi = 0
s φı̄ = η
(2.2.57)
62
si ottiene che, affinché il termine aggiunto di olonomia non rompa l’invarianza di BRST,
è necessario che si annullino le componenti (1, 1) e (0, 2) della curvatura F . In realtà, la
prima condizione, è troppo restrittiva e può essere rimossa, con una procedura piuttosto
tecnica che qui non verrà richiamata; rimane pertanto la sola condizione sull’annullarsi della
componente (0, 2) di F, che può essere riformulata richiedendo che la componente (0, 1) di
A sia olomorfa.
In analogia a quanto fatto per il modello A, siamo quindi portati a cercare un’azione
di target-space, le cui equazioni del moto riproducano la condizione di annullamento della
componente (0, 2) della curvatura. Come prima ipotesi, si può supporre una lagrangiana del
tipo
LHCS ∝ Ā ∧ ∂¯Ā + Ā ∧ Ā ∧ Ā
(2.2.58)
che rappresenta evidentemente una generalizzazione olomorfa della lagrangiana di ChernSimons. Tuttavia ricordiamo che il target-space del modello B è tridimensionale complesso,
mentre la lagrangiana (2.2.58) definisce evidentemente una forma di tipo (0, 3) che quindi
non può essere integrata sul target-space. Il problema può essere aggirato ricordando che il
target-space è spazio di Calabi-Yau e, per questo motivo, è dotato di una forma Ω di tipo
(3, 0), olomorfa e ovunque non nulla.
La presenza di Ω consente di scrivere l’azione di target-space per il modello B nella forma
SHCS =
1
2
Z
2
Ω ∧ Tr Ā ∧ ∂¯Ā + Ā ∧ Ā ∧ Ā
3
(2.2.59)
con l’invarianza di gauge
¯ + Ā, c
s Ā = ∂c
h
i
(2.2.60)
La teoria risultante è evidentemente una variante olomorfa della teoria di Chern-Simons, e
lo studio della stessa costituirà la parte originale di questo lavoro di tesi.
Notiamo due caratteristiche che si rilevano subito a proposito della (2.2.59): per prima
cosa notiamo che abbiamo ritrovato per altra via, la condizione che il modello B deve avere per
target-space uno spazio di Calabi-Yau, altrimenti non ci sarebbe la forma Ω con cui scrivere
l’azione; la seconda è che, essendo il target-space tridimensionale complesso, la teoria non è
rinormalizzabile per power-counting [5]. In particolare quest’ultimo aspetto è di particolare
interesse: Non essendo la teoria rinormalizzabile superficialmente ci si può aspettare che
questa abbia delle divergenze ultraviolette; tuttavia la teoria è in corrispondenza con un
modello di stringa topologico (il modello B), e ci sono diversi argomenti di plausibilità17
per cui le teorie di stringa siano ben definite nell’ultravioletto e non soffrano di divergenze,
corrispondenza che quindi induce a supporre che l’azione (2.2.59) sia in realtà rinormalizzabile.
La questione della rinormalizzabilità della teoria di HCS si presenta come un interessante
problema aperto.
Con questo risultato, concludiamo la discussione delle teorie di stringhe topologiche. Nel
prossimo capitolo saranno esplorati alcuni sviluppi recenti della teoria di Chern-Simons a
livello quantistico, per poi cercare di comprendere gli stessi alla luce di questa interpretazione
in termini di teorie di stringa. Nell’ultimo capitolo invece, passeremo ad approntare alcuni
sviluppi preliminari originali per lo studio della rinormalizzabilità della teoria di HCS.
17
Principalmente per via del fatto che in teoria di stringa esiste una scala di cut-off naturale data dalla
dimensione della stringa stessa.
Capitolo 3
La teoria di Chern-Simons: aspetti
quantistici e anomalie
In questo capitolo riprenderemo in esame la teoria di Chern-Simons tridimensionale, che
come abbiamo visto nel precedente capitolo, può essere pensata come una formulazione di
target-space per il modello A aperto accoppiato alla gravità topologica bidimensionale, per
discuterne gli aspetti quantistici.
In modo particolare, ci proponiamo di indagare la questione delle anomalie topologiche;
ossia andremo a studiare se l’indipendenza topologica dell’azione classica sia preservata in
contesto quantistico1 . Per raggiungere tale scopo, dopo una prima parte di introduzione
generale all’azione effettiva quantistica e alla questione delle anomalie nelle teorie di gauge [6],
provvederemo ad accoppiare la teoria di Chern-Simons alla gravità topologica tridimensionale;
tale accoppiamento ci permetterà di studiare la questione dell’indipendenza dalla metrica
a livello quantistico con metodi comologici, gli stessi metodi normalmente approntati per
studiare le anomalie di gauge.
Per realizzare l’accoppiamento sarà necessario, come vedremo, sviluppare un’estensione
del metodo di BRST che permetta di studiare algebre di gauge che chiudano solo on-shell,
estensione che è nota come metodo di Batalin-Vilkovisky (BV), e che verrà sviluppata
nei suoi aspetti essenziali in un apposito paragrafo all’interno del capitolo. Come primo
risultato, l’accoppiamento consentirà di fornire un’interpretazione più naturale alla cosiddetta
supersimmetria vettoriale della teoria di Chern-Simons2 .
Una volta ottenuto l’accoppiamento con la gravità topologica tridimensionale, potremo
studiare la questione delle anomalie topologiche della teoria di Chern-Simons; in particolare
l’analisi permetterà di ottenere nuovamente un risultato già ottenuto da Witten con metodiche
diverse alcuni anni fa [13], risultato noto in letteratura col nome di framing anomaly [38],
che dunque costituisce una conferma della correttezza del metodo approntato.
Parallelamente a questo programma, saranno passate in rassegna diverse generalizzazioni
della teoria di Chern-Simons, generalizzazioni ottenute aggiungendo alla teoria osservabili
con numero di ghost positivo; in particolare, l’aver realizzato l’accoppiamento alla gravità
topologica tridimensionale, consentirà di studiare l’indipendenza topologica anche di queste
generalizzazioni evidenziando, come vedremo, tutta una serie di generalizzazioni di numero
di ghost maggiori della framing anomaly.
1
Seguendo uno studio portato avanti in [21].
Nello specifico, questo risultato sarà solo citato, mentre tutti i dettagli sono reperibili nell’articolo
originale [21].
2
63
64
Nella parte finale del capitolo, saranno esposte alcune argomentazioni circa
l’interpretazione delle anomalie trovate, interpretazione in termini di teorie di stringa.
3.1
L’azione effettiva quantistica
In questa sezione vogliamo occuparci di esplorare sistematicamente come ottenere l’estensione
quantistica delle teorie di gauge definite a livello classico, per poi specializzare la discussione
alla teoria di Chern-Simons.
Per procedere in tal senso, introdurremo l’azione effettiva quantistica [6], discutendo inoltre come, a meno di anomalie, le simmetrie dell’azione classica si traducano in corrispondenti
simmetrie dell’azione effettiva.
Stante questo programma ripartiamo dalla definizione dell’integrale di cammino di
Feynman (1.2.1), in cui esplicitiamo l’azione classica S e la dipendenza dalle sorgenti dei
campi (indicati collettivamente con la notazione φr (x), e che inizialmente supporremo
sistematicamente siano bosonici per semplicità):
Z [J] =
Z "Y
#
dφ (y) exp ıS(φ) + ı
s
Z
φr (x) Jr (x)
(3.1.1)
s,y
È d’uso comune riscrivere l’integrale di cammino nella forma
Z [J] ≡ exp(ıW [J])
(3.1.2)
nella quale ıW [J] si identifica quindi con la somma di tutti i diagrammi di Feynman del
vuoto (a tutti gli ordini perturbativi) connessi. Tuttavia, per il calcolo delle ampiezze di
scattering (che come abbiamo accennato rappresentano le grandezze fisiche di interesse
in teoria dei campi), sarebbe preferibile sostituire W con la somma di tutti i diagrammi
del vuoto connessi e irriducibili (indicati di consueto con la sigla 1PI), ossia con tutti i
diagrammi che restano connessi dopo aver tagliato una qualunque linea interna [5].
Per questo motivo si definisce l’azione effettiva quantistica nella maniera seguente:
indichiamo anzitutto con φrJ (x), il valore di aspettazione del campo φr (x) in presenza della
sorgente J
φrJ (x) = −
ı
δ
δW [J]
Z [J] =
Z [J] δJr (x)
δJr (x)
(3.1.3)
Il punto di vista può essere poi invertito, definendo Jφr (x) come il valore della sorgente per
cui l’aspettazione del campo φr (x) assume il valore dato dalla (3.1.3).
Stanti queste premesse possiamo definire l’azione effettiva quantistica Γ [φ] con la
relazione:
Γ [φ] ≡ −
Z
φr Jφr + W [Jφ ]
(3.1.4)
L’azione effettiva Γ [φ] può essere considerata l’estensione quantistica dell’azione classica,
e il senso di questa affermazione è formalizzato dalle seguenti proprietà, le cui dimostrazioni
sono reperibili in letteratura [6]:
1. Le equazioni del moto quantistiche per i campi φr , in assenza delle sorgenti, sono date
dai punti di stazionarietà di Γ [φ]; così come le equazioni del moto classiche sono date
dai punti di stazionarietà dell’azione classica:
δΓ [φ]
= 0
δφs (x)
J = 0
(3.1.5)
65
2. La somma dei diagrammi di Feynman connessi W [J] è data dai diagrammi, a tree-level,
ottenuti usando Γ [J] al posto dell’azione classica.
Entrambe le proprietà mostrano così che l’azione effettiva tiene conto delle correzioni
quantistiche da apportare all’azione classica. Definita l’azione effettiva, e sancite le sue
principali proprietà, nel resto del paragrafo appronteremo una discussione su come le
simmetrie possedute dall’azione classica S, diano luogo a corrispondenti simmetrie dell’azione
quantistica; facendo ovviamente particolare riferimento alla simmetria di BRST.
3.1.1
Le simmetrie dell’azione effettiva
Supponiamo quindi che l’azione classica S sia invariante per trasformazioni infinitesime dei
campi nella forma
φn (x) → φn (x) + F n [x; φ]
(3.1.6)
nelle quali F n è un funzionale dei campi e delle derivate di questi.
Supponiamo inoltre, che oltre all’azione classica, anche la misura funzionale sia invariante
per le trasformazioni suddette, ossia
Y
d (φn (x) + F n [x; φ]) =
n,x
Y
dφn (x)
(3.1.7)
n,x
in realtà, come vedremo trattando le anomalie di gauge e come abbiamo già visto nel caso
esplicito del modello B, questa assunzione è tutt’altro che scontata, se nella teoria sono
presenti campi fermionici chirali.
Tenendo conto della (3.1.7), la richiesta di invarianza dell’integrale di cammino Z [J]
conduce all’espressione
Z
hF n (y)iJ Jn (y) = 0
(3.1.8)
che può essere posta nella forma (ricordando la (3.1.5))
0 =
Z
hF n (y)iJφ
δΓ [φ]
δφn (y)
(3.1.9)
la quale permette di concludere che la simmetria dell’azione classica si traduce nella seguente
simmetria dell’azione quantistica:
φn → φn + hF n iJφ
(3.1.10)
che coincide con la simmetria dell’azione classica qualora la trasformazione F n sia lineare
nei campi. Visto il particolare rilievo che la simmetria di BRST riveste nelle teorie di gauge
(e visto il carattere non lineare di questa), passeremo ora a discutere nel dettaglio come
questa simmetria si traduca in una simmetria dell’azione quantistica.
L’equazione di Zinn-Justin
Passiamo quindi a discutere nello specifico la simmetria di BRST, indicandola con la
notazione
s φn (x) = ∆n (x)
(3.1.11)
66
e dunque l’equazione (3.1.9) prende la forma
0 =
Z
h∆n (y)iJφ
δΓ [φ]
δφn (y)
(3.1.12)
la quale può essere posta in una forma più utile nella maniera seguente.
Introduciamo, per ogni trasformazione di BRST dei campi della teoria, una corrispondente
sorgente, che indicheremo con φ∗n per futura utilità, e indichiamo con W [J, φ∗ ] l’espressione:
ıW [J,φ∗ ]
e
≡
Z "Y
#
dφ (x) exp ıS +
n
Z
∆n φ∗n + ı
Z
φn Jn
(3.1.13)
n,x
Si può quindi mostrare che, la nuova azione effettiva Γ [φ, φ∗ ], soddisfa la condizione
analoga alla (3.1.12):
0 =
Z
h∆n (y)iJφ ,φ∗
δΓ [φ, φ∗ ]
δφn (y)
(3.1.14)
che può essere posta nella forma seguente, che prende il nome di equazione di Zinn-Justin
[6]3 :
Z
δΓ [φ, φ∗ ] δΓ [φ, φ∗ ]
= 0
δφ∗n
δφn
(3.1.17)
Sancite le simmetrie a cui obbedisce l’azione effettiva quantistica, come conseguenza
delle corrispondenti simmetrie dell’azione classica, passeremo ora ad analizzare, con qualche
dettaglio ulteriore, l’assunzione sintetizzata dalla (3.1.7), la cui validità non è garantita. E
vedremo come, l’eventuale non validità della (3.1.7), introduca il problema delle anomalie
quantistiche di gauge.
3.1.2
Il problema delle anomalie: perdita dell’invarianza di gauge
Come abbiamo già citato, per descrivere le violazioni dell’equazione (3.1.17) di Zinn-Justin,
e quindi il problema delle anomalie quantistiche, occorre analizzare con maggiore dettaglio
la misura funzionale di integrazione, in modo da comprendere in quali casi questa preserva
l’invarianza di gauge e in quali casi no.
Per illustrare i problemi che insorgono, supponiamo di avere come esempio una teoria di
gauge quadridimensionale in cui compaiano un campo di gauge Aµ , e un campo fermionico
ψ 4 ; supponiamo inoltre per cominciare, che tra questi due campi vi sia un interazione di
tipo non chirale (ossia che nel termine di interazione non compaia mai la matrice γ5 ).
3
La formula (3.1.17), come già anticipato in introduzione, è valida per campi bosonici; la generalizzazione
valida per campi bosonici e fermionici è data da
Z
δR Γ [φ, φ∗ ] δL Γ [φ, φ∗ ]
= 0
δφ∗n
δφn
(3.1.15)
dove i suffissi R ed L indicano le derivate destre e sinistre, che sono legate dalla relazione:
δR F
δL F
≡ (−1)campo (F + 1)
δ(campo)
δ(campo)
in cui è la parità e F è un generico funzionale dei campi.
4
Seguendo un esempio standard presente ad esempio in [6] oppure [5].
(3.1.16)
67
Stante questo quadro, sottoponiamo ora il sistema ad una trasformazione di gauge,
parametrizzata dalla matrice U (x) e andiamo a studiare come varia la misura funzionale
di integrazione fermionica. Dal momento che ψ(x) e il suo hermitiano coniugato ψ̄(x),
sono fermionici, ne consegue che la misura funzionale di integrazione non varia come il
determinante della matrice di trasformazione, ma come la sua inversa, ossia in formule
h
i
[d ψ] d ψ̄ → det U det Ū
−1
h
[d ψ] d ψ̄
i
(3.1.18)
dove abbiamo indicato con Ū la matrice data da γ4 U γ4 , e in cui γ4 = ıγ0 è la matrice usata
per definire ψ̄ = ψ † γ4 .
Come anticipato, supponiamo ora che la matrice di trasformazione non contenga la
matrice γ5 , ossia che la trasformazione sia unitaria e non chirale, matrice che rappresentiamo
nella forma
U (x) = exp [ıα(x)t]
(3.1.19)
con t una matrice hermitiana, e α(x) una funzione reale arbitraria. Se U (x) si presenta nella
forma (3.1.19), allora ne consegue
Ū U = 1
(3.1.20)
che, sostituita nella (3.1.18), mostra che in questo caso la misura funzionale fermionica è
anch’essa invariante e quindi la teoria non porta anomalie quantistiche, e quindi in ultima
analisi l’equazione di Zinn-Justin non viene rotta a livello quantistico.
Supponiamo ora che, al contrario, la matrice di trasformazione sia chirale: ossia
consideriamo, in luogo della (3.1.19) la matrice di trasformazione
U (x) = exp [ıγ5 α(x)t]
(3.1.21)
in questo caso allora, U soddisfa, anzichè la (3.1.20) la relazione
Ū = U
(3.1.22)
pertanto la misura non è invariante, e la (3.1.18) diviene in questo caso
h
i
h
[d ψ] d ψ̄ → (det U )−2 [d ψ] d ψ̄
i
(3.1.23)
Stante quanto appena esposto, specializziamo la discussione a trasformazioni infinitesime:
in questo caso si ottiene
1 − U = ıαγ5 t
(3.1.24)
usando poi la relazione det M = exp Tr ln M e la formula
ln (1 + x) → x
(3.1.25)
otteniamo
h
i
Z
[d ψ] d ψ̄ → exp ı
4
d xα(x)A(x)
h
[d ψ] d ψ̄
i
(3.1.26)
in cui, con la notazione A(x), abbiamo indicato l’anomalia; che si presenta quindi come
una violazione dell’invarianza di BRST a livello quantistico, violazione che come abbiamo
mostrato va imputata alla non invarianza della misura funzionale per trasformazioni di
BRST.
68
Condizioni di consistenza e impostazione del problema comologico
Riassumendo, abbiamo mostrato che, sebbene l’azione classica sia invariante di BRST, è
possibile che la corrispondente azione effettiva quantistica non goda della stessa proprietà e
che presenti dunque un’anomalia. Anomalia che riassumiamo con la formula (valida per
una generica varietà M , di dimensione n, in cui sia definita la teoria di campo)
sΓ =
Z
M
Anm+1 6= 0
(3.1.27)
in cui Anm+1 è un funzionale locale dei campi (che è n-forma in modo da essere integrabile),
avente numero di ghost m + 1, supponendo che l’azione effettiva abbia numero di ghost m,
e ricordando che s porta numero di ghost pari a 1.
Dalla (3.1.27) ci si accorge immediatamente che, al fine di rispettare la nilpotenza
dell’operatore di BRST, l’anomalia deve rispettare la condizione
s Anm+1 = d An−1
m+2
(3.1.28)
condizione che prende il nome di condizione di consistenza di Wess-Zumino [39]; il processo
si può poi iterare come abbiamo fatto per le osservabili per dare luogo ad un’equazione di
discesa.
Stante questa discussione, concludiamo che le anomalie di una teoria, sono necessariamente s-chiuse modulo d; si può però mostrare il risultato ulteriore: supponiamo infatti che
si abbia
Anm+1 = s Anm
(3.1.29)
per qualche funzionale Anm di numero di ghost m. Notiamo che, per la nilpotenza di s,
la (3.1.29) rispetta la condizione di consistenza. Tuttavia un cociclo della forma (3.1.29)
non rappresenta una reale anomalia: infatti notiamo che Anm può essere aggiunto all’azione
effettiva e si ha
s Γ̃ = s Γ +
Z
M
Anm
=0
(3.1.30)
Concludiamo così che, per la ricerca delle possibili anomalie di una teoria di gauge,
può essere impostato un problema comologico per l’operatore di BRST modulo d, e che le
anomalie di gauge sono BRST-chiuse modulo d ma non BRST-esatte.
3.2
L’indipendenza dal gauge-fixing
Discusse le possibili anomalie di gauge di una teoria (intese quindi in ultima analisi come
violazioni dell’equazione di Zinn-Justin), vogliamo ora analizzare più in dettaglio un altro
aspetto, direttamente collegato al mantenimento del carattere topologico di una teoria a
livello quantistico: l’indipendenza della teoria dal gauge-fixing. In altre parole vogliamo
analizzare più in dettaglio l’indipendenza dei correlatori dal particolare gauge-fixing utilizzato
per definire l’integrale funzionale5 .
Consideriamo quindi una teoria di gauge, e consideriamo l’azione gauge-fissata
S(αi ) = Sinv + s ΨGF (αi )
5
(3.2.1)
Indipendenza che finora abbiamo solo sancito euristicamente nella sezione di introduzione alla simmetria
di BRST.
69
dove abbiamo indicato con la notazione collettiva αi , l’insieme di parametri (commutanti)
da cui dipende il termine di gauge-fixing, parametri dai quali invece risulta indipendente
l’azione classica Sinv .
Indicando quindi con la notazione
Z(α ) =
i
Z
ı
i
(3.2.2)
e ~ S(α )
la funzione di partizione quantistica della teoria, ci proponiamo di studiare l’indipendenza o
meno di Z αi dai parametri αi usati per fissare il gauge.
Stante questa premessa notiamo subito che la situazione si presenta a primo impatto
assai diversa rispetto alle anomalie di gauge: in questo caso infatti non esiste a priori
un’operazione di BRST sui parametri αi , pertanto in questo frangente l’anomalia (cioè
la dipendenza dai parametri αi ) non si presenta inizialmente come una violazione di una
simmetria di BRST a livello quantistico.
La questione può comunque essere studiata in maniera analoga a quanto viene svolto per
le anomalie di gauge: per procedere in tal senso, come abbiamo mostrato a proposito della
gravità topologica bidimensionale, è necessario estendere l’azione di BRST ai parametri αi ,
introducendo quindi l’operatore di BRST modificato s̃ dato dall’espressione
s̃ = s + β i ∂αi
(3.2.3)
nella quale i parametri β i sono anticommutanti di numero di ghost 16 .
Il passaggio dall’operatore s all’operatore s̃, si manifesta anche nell’azione gauge-fissata,
che assume quindi la forma
S̃(αi , β i ) = Sinv + s̃ ΨGF (αi )
(3.2.4)
e, in ultima analisi nella funzione di partizione, che diviene in questo caso
Z(α , β ) =
i
i
Z
ı
i
e ~ S̃(α ,β
i)
(3.2.5)
Il passare dalla (3.2.2) alla (3.2.5), consente di impostare matematicamente il problema
della ricerca delle anomalie topologiche come un problema comologico: infatti, avendo esteso
l’azione dell’operatore di BRST ai background αi , la (3.2.5) soddisfa ora, a meno di anomalie,
l’identità
s̃ Z(αi , β i ) = 0
(3.2.6)
Sviluppando la funzione di partizione (3.2.5) in potenze dei parametri anticommutanti
β i7
(1)
(2)
Z(αi , β i ) = Z (0) (αi ) + βi Zi (αi ) + β i β j Zij (αi ) + . . .
(3.2.7)
(k)
l’identità (3.2.6) si traduce in una corrispondente identità per ciascuno degli Zi1 ...ik (αi ),
delle quali la prima
βi
∂ (0)
Z
= 0
∂αi
(3.2.8)
6
Questo metodo di estendere l’azione dell’operatore s ai background usati per fissare il gauge, è una
tecnica che risale a diversi anni fa. Alcuni esempi si possono trovare ad esempio in [40] oppure [41], anche se
in quei frangenti è utilizzato esclusivamente come uno stratagemma tecnico.
7
In cui il primo termine rappresenta proprio l’originaria funzione di partizione Z (0) cui eravamo interessati.
70
è esattamente la richiesta di indipendenza della funzione di partizione originaria dai background αi . Notiamo quindi che l’aver esteso l’azione dell’operatore di BRST ai background
consente di tradurre la condizione di indipendenza dagli αi , in una corrispondente condizione
di cociclo espressa dalla (3.2.6); condizione che, può essere indagata con metodi comologici,
come vedremo più in dettaglio a proposito della teoria di Chern-Simons.
Prima di passare a trattare il caso concreto della teoria di Chern-Simons, spendiamo
(k)
ancora qualche commento circa il significato fisico dei termini Zi1 ...ik con k > 0: nelle teorie
fisiche ordinarie questi non hanno di norma significato fisico, e tipicamente si annullano
per via della conservazione del numero di ghost, e visto che i parametri β i portano numero
di ghost +1. Vedremo invece che, per quanto riguarda la teoria di Chern-Simons (e come
abbiamo già visto per le teorie di stringa), la presenza di osservabili con numero di ghost
non nullo consentirà di fornire un significato fisico anche a queste componenti con k > 0.
In particolare l’identità di BRST (3.2.6), si traduce, nel caso che lo spazio dei parametri
αi sia continuo e possa essere fornito di una struttura di varietà differenziabile, in una
condizione di chiusura della k-forma Z (k) ,definita nella varietà parametrizzata dagli αi8 , in
formule
(k)
β i1 β i2 . . . β ik β ik+1 ∂i1 Zi2 ...ik+1 = 0
(3.2.9)
ad esempio abbiamo già discusso questo aspetto nelle teorie di stringa: lo spazio degli αi è
identificato in questo caso con lo spazio dei moduli delle superfici di Riemann di genere g; e
il k di rilievo è quello che consente di interpretare la corrispondente Z k in una forma chiusa
di grado massimo su questo spazio, in modo da poter essere integrata.
3.3
L’applicazione alla teoria di Chern-Simons
Stante questa discussione di carattere preliminare, passiamo ora al caso specifico della teoria
di Chern-Simons, e vediamo come la procedura spiegata nella precedente sezione possa
essere adeguata al contesto in esame.
Come rimarcato in precedenza, la teoria a livello classico è indipendente dalla metrica
tridimensionale gij definita sulla varietà M ; tuttavia il termine di gauge-fixing, necessario al
fine di definire correttamente l’integrale funzionale, dipende necessariamente dalla metrica e
rompe quindi il carattere manifestamente topologico dell’azione.
Per convincerci di questo consideriamo ad esempio il consueto gauge di Landau
∂ i Ai = ∗ d ∗ A =
√
g g ij ∂j Ai = 0
(3.3.1)
e la dipendenza dalla metrica è manifesta.
Pertanto ci accorgiamo che la situazione è esattamente analoga a quella descritta nel
precedente paragrafo, in cui la metrica gij è interpretabile come i parametri αi prima citati.
Studiare quindi le anomalie topologiche della teoria, equivale a studiare la dipendenza
eventuale dalla metrica tridimensionale della funzione di partizione Z(gij ).
In linea con quanto discusso nel precedente paragrafo, estendiamo quindi l’azione di s
alla metrica e, in prima istanza, consideriamo una trasformazione del tipo:
s̃ gij = ψij
s̃ ψij = 0
che rappresenta l’esatto analogo dell’estensione ipotizzata nel precedente paragrafo.
8
E in cui i parametri β i si identificano con i differenziali esterni degli αi .
(3.3.2)
71
Tuttavia le trasformazioni (3.3.2) non sono corrette e vanno leggermente modificate:
notiamo infatti che gij e ψij , sono esattamente i campi di gauge che compaiono nella teoria
della gravità topologica; e abbiamo già discusso a riguardo che le trasformazioni corrette
della gravità topologica fattorizzano in maniera esplicita i diffeomorfismi.
Per questo motivo, siamo portati a sostituire le (3.3.2) con le trasformazioni (1.4.5),
ottenendo
s̃ gij = −Lξ gij + ψij
s̃ ψij = −Lξ ψij + Lω gij
1
s̃ ξ i = − Lξ ξ i + ω i
2
i
s̃ ω = −Lξ ω i
(3.3.3)
Il passaggio dalle (3.3.2) alle (3.3.3), introduce in maniera esplicita la simmetria per
diffeomorfismi della teoria, pertanto occorre esplicitarne l’azione anche sui campi di materia
Ai e c, ossia in formule:
s̃A = D c − Lξ A + . . .
s̃c = c2 − Lξ c + . . .
(3.3.4)
tuttavia, come indicato dai punti di sospensione, aver modificato le trasformazioni di BRST,
rompe la nilpotenza dell’operatore medesimo9 . Pertanto le (3.3.4) vanno ulteriormente
modificate in modo da ripristinare la nilpotenza (almeno on-shell ossia modulo le equazioni
del moto).
Cominciamo pertanto considerando l’azione di BRST sul campo c, con calcolo diretto si
ottiene:
s̃2 c = Lω c
(3.3.5)
pertanto su c s̃ non è nilpotente, ma la nilpotenza può essere ripristinata modificando
l’operatore come segue
s̃ c = c2 − Lξ c + iω (A)
(3.3.6)
dove abbiamo indicato con iω la contrazione col vettore ω i , in formule
iω (A) = ω i Ai
(3.3.7)
Passando a considerare il campo di gauge Ai , si giunge a:
s̃2 A = iω (F )
(3.3.8)
e dunque vediamo che su A l’operatore di BRST è nilpotente solo on-shell (F = 0 sono
infatti le equazioni del moto per il campo A).
Riassumendo, abbiamo mostrato come estendere l’azione di BRST alla metrica di
background, in modo da poter studiare in seguito l’indipendenza topologica della teoria a
livello quantistico con metodi comologici.
Tuttavia, la corrispondente deformazione nel settore di materia, conserva la nilpotenza di
s̃ solo on-shell sul campo A. Per affrontare e risolvere la questione è necessario approntare una
9
E il motivo di questa rottura risiede nel carattere riducibile on-shell delle trasformazioni complessive
date dai diffeomorfismi più trasformazioni di gauge.
72
generalizzazione del metodo di BRST, che và sotto il nome di metodo di Batalin-Vilkoviski
(BV). Nella prossima sezione sarà quindi presentata dapprima una descrizione generale di
tale metodo, per poi applicarlo alla situazione specifica in esame10 .
3.4
Interludio: il metodo di BV
Si pone quindi il problema di trovare un modo per generalizzare il metodo di BRST, che
consenta di trattare anche trasformazioni di gauge che chiudono solo on-shell (responsabili,
in ultima analisi, della nilpotenza solo on-shell di s); e vedremo che il metodo di BV consente
in effetti di ottenere la generalizzazione cercata (in realtà il metodo di BV consente anche di
trattare casi più generali, in cui sia presente la riducibilità tra le trasformazioni di gauge).
Per introdurre in maniera più semplice la procedura, considereremo dapprima il caso
in cui l’algebra di gauge chiuda off-shell e sia irriducibile; ossia il caso che già sappiamo
trattare efficacemente col formalismo di BRST, e che tuttavia fornirà lo spunto per studiare
il problema da un punto di vista diverso, punto di vista che consentirà di trovare la
generalizzazione al caso in cui l’algebra chiuda solo on-shell.
3.4.1
Algebra irriducibile che chiude off-shell
Consideriamo quindi una teoria di gauge, e indichiamo con L0 la lagrangiana mentre con s
il corrispondente operatore di BRST (che ,per l’ipotesi di chiusura off-shell dell’algebra di
gauge, risulta nilpotente su i campi φA11 che compongono la teoria).
Traendo spunto dalla discussione svolta a riguardo dell’azione effettiva quantistica,
consideriamo l’azione ottenuta aggiungendo ad L0 (φ) le sorgenti per le trasformazioni di
BRST dei campi12
S =
Z h
L0 (φ) + φ∗A s φA
i
(3.4.1)
dove le sorgenti φ∗A d’ora in avanti, in linea con la nomenclatura abitualmente in uso, saranno
collettivamente chiamati anticampi.
Andiamo ora a valutare come varia S sotto l’azione dell’operatore di BRST:
sS
=
=
Z h
i
s L0 (φ) + (s φ∗A ) s φA + φ∗A s2 φA =
Z " L
δ L0 (φ)
δ φB
#
sφ
B
+ (s
φ∗A ) s
φ
A
(3.4.2)
dove abbiamo tenuto conto della nilpotenza di s sui campi, e dove abbiamo fatto agire
l’operatore di BRST anche sugli anticampi; possiamo quindi definire le trasformazioni di
BRST degli anticampi, in modo da ristabilire l’invarianza di S per trasformazioni di BRST.
A tal fine, la trasformazione a prima vista più ovvia per porre a zero l’espressione (3.4.2),
è data da
δ L S0
s φ∗A = − A
(3.4.3)
δφ
10
La discussione non avrà pretesa di completezza o eleganza, essendo incentrata esclusivamente alla ricerca
di una soluzione al problema in esame. Per una trattazione completa e dettagliata del metodo di BV si
segnalano, oltre ai lavori originali già citati, le referenze [42], [43] oppure, per l’impostazione geometrica [44].
11
Da notare che con la notazione φA , abbiamo inteso tutti i campi della teoria, compresi i campi di ghost e
i ghost per i ghost presenti in caso di eventuali riducibilità.
12
L’aggiunta di questi termini è necessario qualora si desideri studiare gli aspetti di rinormalizzabilità della
teoria.
73
infatti, sostituita nella (3.4.2), annulla la variazione di BRST dell’azione. Osserviamo inoltre
che, in base alla (3.4.1), le trasformazioni di BRST dei campi si possono scrivere come
s φA =
δLS
δφ∗A
(3.4.4)
manifestamente analoga alla (3.4.3), eccetto per il fatto che per gli anticampi abbiamo
utilizzato la sola azione classica S0 .
Tuttavia, l’analogia tra le due espressioni può essere resa completa, sostituendo alla
(3.4.3) l’espressione
s φ∗A ≡
δLS
δφA
(3.4.5)
che, sostituita nella (3.4.2), aggiunge l’ulteriore termine
Z "
∂(s φB )
φ∗B
∂φA
#
sφ
A
=
Z h
i
φ∗B s2 φB = 0
(3.4.6)
che quindi non altera l’invarianza dell’azione sotto s. Con calcolo diretto, e sfruttando
un’integrazione per parti, si può infine mostrare che la (3.4.5) definisce un’operazione
nilpotente sugli anticampi.
Quanto fin qui svolto,nell’ambito di un’algebra che chiuda off-shell come abbiamo
supposto fin dal principio, definisce esclusivamente un modo per introdurre i termini di
sorgente: siamo infatti partiti da un’azione invariante di BRST, l’abbiamo modificata
aggiungendo un pezzo ulteriore e dei campi aggiuntivi (gli anticampi), e abbiamo infine
definito le trasformazioni di BRST su questi in modo da ripristinare l’invarianza di BRST. Da
notare comunque che, posto il problema in questo modo, l’invarianza dell’azione estesa per
trasformazioni di BRST e la nilpotenza dell’operatore medesimo sono legate, e la richiesta
di invarianza per l’azione estesa ha accorpata al suo interno la condizione di nilpotenza.
Per procedere notiamo inoltre che, nello spazio dei campi allargato a comprendere gli
anticampi, è possibile introdurre una struttura geometrica addizionale, simile alla struttura
simplettica presente nello spazio delle fasi della meccanica classica, che nella terminologia
anglosassone prende il nome di antibracket:
(F, G) =
δR F δLG
δR F δLG
−
δφA δφ∗A
δφ∗A δφA
(3.4.7)
nella quale F e G sono da intendersi come due funzionali generici dei campi e degli anticampi.
Ciò posto è ora possibile rovesciare il punto di vista adottato fin qui: si può infatti notare
che, una volta ottenuta l’azione estesa S, le trasformazioni di BRST della teoria per i campi
e gli anticampi sono univocamente determinate dalle relazioni:
s φA = φA , S
s φ∗A = (φ∗A , S)
(3.4.8)
inoltre la condizione di invarianza dell’azione estesa (che come abbiamo già discusso contiene
al suo interno la richiesta di nilpotenza per s) è sintetizzata dall’equazione
(S, S) = 0
(3.4.9)
74
equazione che prende il nome di master equation.
In quest’ordine di idee è quindi possibile riformulare il problema: anziché cercare le
trasformazioni di BRST a cui assoggettare gli anticampi della teoria, occorre trovare la
soluzione della master equation, dalla quale sarà poi possibile ottenere le trasformazioni di
BRST cercate. Si può poi dimostrare che la soluzione della master equation può sempre
essere trovata nella forma
S = S0 + S1 + S2 + . . .
(3.4.10)
in cui S0 si identifica con l’azione classica di partenza, e il pedice indica il numero di
anticampi presenti. In questa notazione, notiamo che la chiusura off-shell dell’algebra di
gauge, consente di fermare la soluzione della master-equation ai soli termini lineari negli
anticampi:
S = S0 + S1 = S0 + φ∗A s φA
(3.4.11)
considerando ad esempio il caso della teoria di Chern-Simons non accoppiato alla gravità
topologica, l’azione estesa assume in questo caso la forma (dove abbiamo indicato con s0
l’operatore di BRST non accoppiato alla gravità)
S0 =
S1 =
Z
ZM
M
Tr
1
1
A dA + A3
2
3
Tr [A∗ (s0 A) + c∗ (s0 c)]
(3.4.12)
con le traformazioni di BRST per gli anticampi date da
s0 A∗ = F + {A∗ , c}
s0 c∗ = D A∗ + [c∗ , c]
(3.4.13)
Il punto di vista qui esposto costituisce il metodo di Batalin-Vilkovisky, metodo che si
rivela equivalente all’ordinario formalismo di BRST nel caso qui discusso, ma che consente
di trattare algebre più generali (con chiusura on-shell).
Nella prossima sottosezione sarà quindi posto il problema di una teoria con algebra di
gauge che chiuda solo on-shell, e andremo a studiare come il metodo di BV consenta di
affrontare e risolvere efficacemente il problema.
3.4.2
Chiusura on-shell
Passiamo quindi a considerare un problema in cui si abbia la nilpotenza solo on-shell (che è
proprio il caso di nostro interesse come abbiamo visto). Supponiamo cioè che sussista la
relazione
s2 φA = M AB
δS0
δφB
(3.4.14)
vogliamo dunque capire come estendere la procedura appena approntata per trattare anche
questo caso.
A tal fine, ripartiamo dalla (3.4.2), che in questo caso diviene
sS
=
=
Z h
i
s L0 (φ) + (s φ∗A ) s φA + φ∗A s2 φA =
Z " L
δ L0 (φ)
δ φB
sφ
B
+ (s
φ∗A ) s
φ
A
+
φ∗A M AB
∂L0
∂φB
#
(3.4.15)
75
notiamo quindi che, per ripristinare l’invarianza dell’azione estesa, occorre aggiungere alle
trasformazioni dei campi il termine
s φB → s φB + φ∗A M AB
(3.4.16)
D’altro canto, come abbiamo rilevato nella precedente sezione, nel metodo di BV la
condizione di nilpotenza per s e l’invarianza dell’azione estesa sono in realtà accorpate in
un’unica condizione data dalla master equation. Per questo motivo, andiamo ora a verificare
quale sia l’azione che risolve la master equation in questo caso di nilpotenza on-shell.
Per procedere in questa direzione, è sufficiente notare che, la trasformazione (3.4.16),
può essere ottenuta aggiungendo all’azione estesa il termine (quadratico negli anticampi)
1 ∗ ∗ AB
φ φ M
2 A B
S2 =
(3.4.17)
concludiamo così che, la soluzione completa della master equation, è data in questo caso
dall’espressione
S = S0 + S1 + S2
(3.4.18)
Discussa questa breve introduzione al metodo di BV, andiamo ora ad applicare la
procedura appena approntata alla teoria di Chern-Simons.
3.5
La teoria di Chern-Simons in contesto BV e sua struttura
supersimmetrica
Tornando quindi alla teoria di Chern-Simons, notiamo che le equazioni (3.3.8) denotano che
l’algebra di BRST chiude solamente on-shell, pertanto può essere trattata con i metodi di
BV appena esposti.
Accanto ai campi fisici A e c, introduciamo quindi i rispettivi anticampi A∗ e c∗ , dotati
di numero di ghost −1 e −2 rispettivamente, e definiti come una due-forma e una tre-forma
rispettivamente, e ripetiamo il medesimo procedimento su tutti i campi di gravità della
teoria (introduciamo quindi gli anticampi ψ ∗ , g ∗ , ξ ∗ e ω ∗ ). Come studiato nel caso generale,
l’azione estesa assume ora la forma data dall’espressione (3.4.18) che, adattata al caso in
esame, diviene (indicando con la notazione collettiva Φ i vari campi della teoria)
SBV = SCS +
Z
M
"
Tr
X
Φ
1
(s Φ) Φ + iω (A∗ ) A∗
2
#
∗
(3.5.1)
nella quale con SCS abbiamo indicato l’azione classica di Chern-Simons.
Ricordando poi le relazioni
s Φ = (Φ, SBV )
s Φ∗ = (Φ∗ , SBV )
(3.5.2)
otteniamo le trasformazioni di BRST complessive su campi e anticampi di materia (d’ora in
avanti indicheremo sistematicamente s̃ con la sola notazione s)
s c = c2 − Lξ c − iω (A)
s A = D c − Lξ A − iω (A∗ )
s A∗ = F − Lξ A∗ + [A∗ , c] − iω (c∗ )
s c∗ = D A∗ − Lξ c∗ + [c∗ , c]
(3.5.3)
76
mentre sui campi di gravità s continua ad agire nella forma data dalla (3.3.3).
Prima di procedere oltre, è interessante notare ancora un punto che metta in evidenza
in modo differente la natura topologica della teoria che stiamo approntando. A tal fine
ricordiamo che, in gravità topologica, la nozione di comologia di BRST di interesse è data
dalla comologia equivariante [45], il che significa restringere l’attenzione ai soli elementi
della comologia che siano indipendenti dal ghost di riparametrizzazione ξ.
Come già rimarcato a più riprese, in questo contesto, è utile introdurre l’operatore
S = s +Lξ
(3.5.4)
che, su tutti i campi eccetto ξ, soddisfa la relazione
S2 = Lω
(3.5.5)
e risulta quindi nilpotente quando agisce sui funzionali dei campi invarianti per riparametrizzazioni (ossia scalari), e indipendenti da ξ. Come di consueto, S si filtra in una parte
indipendente da ω e in una parte lineare in ω, parte che indicheremo Gω :
S = S0 +Gω
(3.5.6)
in cui S0 è la parte indipendente da ω, mentre Gω è l’operatore nilpotente definito dalle
trasformazioni
Gω c = iω (A)
Gω A = −iω (A∗ )
Gω A∗ = −iω (c∗ )
Gω c∗ = 0
Gω g = 0
Gω ψ = Lω g
Gω ω = 0
(3.5.7)
S0 e Gω soddisfano dunque un’algebra di supersimmetria twistata
S20 = 0 G2ω = 0
{S0 , Gω } = Lω
(3.5.8)
che è una conferma del carattere topologico della teoria di Chern-Simons: in questa costruzione, si rende infatti manifesta la struttura supersimmetrica con due cariche di supersimmetria
della teoria accoppiata alla gravità topologica, e dunque la natura topologica della stessa.
È ancora interessante ricordare (sebbene questo aspetto non sarà sviluppato, e per il
quale si rimanda all’articolo originale), che recentemente questa struttura supersimmetrica
della teoria accoppiata, ha permesso un’interpretazione più completa della supersimmetria
vettoriale della teoria di Chern-Simons in gauge di Landau [46]: ricordiamo infatti che la
teoria di Chern-Simons sviluppata su varietà piatte, esibisce un’ulteriore supersimmetria
vettoriale globale, oltre all’ordinaria simmetria di gauge, quando quantizzata in gauge di
Landau. Grazie alla struttura (3.5.8) (e alla presenza nell’azione accoppiata del termine
d’accoppiamento tra i campi di gauge e il super-ghost ω), è possibile mostrare che, tale
supersimmetria, è da considerarsi come una reminiscenza su varietà piatte, dell’originaria
struttura supersimmetrica (3.5.8) presente nella teoria equivariante accoppiata.
77
3.6
Osservabili e deformazioni
In questa sezione andremo a studiare delle particolari generalizzazioni della teoria di ChernSimons fin qui approntata, nel dettaglio andremo a studiare la possibilità di costruire
osservabili dotate di numero di ghost non nullo e positivo, e le corrispondenti deformazioni
all’azione. Inoltre studieremo come queste osservabili possano avere valori di aspettazione
non nulli qualora inserite in un correlatore.
Per procedere in questa direzione, cominciamo col definire la forma generalizzata
A ≡ c + A + A∗ + c∗
(3.6.1)
di grado di forma e di numero di ghost indefinito, ma che ha grado totale (di forma più
numero di ghost) uguale a 1.
Come già ribadito in precedenza a proposito delle stringhe topologiche, la comologia di
rilievo in gravità topologica è la comologia equivariante, e in questo frangente la comologia
di s modulo d è equivalente alla comologia assoluta dell’operatore
δ ≡ S +iγ − d
(3.6.2)
sullo spazio delle forme generalizzate indipendenti da ξ [18]. Prima di procedere è ancora
da notare che, in virtù delle equazioni (3.5.7), su A sussiste anche l’identità
(Gω − iω ) A = 0
(3.6.3)
grazie alla quale, su A, l’azione di δ è equivalente all’azione dell’operatore δ0 ≡ S0 −d
δA = δ0 A
(3.6.4)
in cui si è indicato con S0 l’operatore di BRST non accoppiato al settore di gravità la cui
azione è data da
S0 A = D c
S0 c = c2
S0 A∗ = F + [A∗ , c]
S0 c∗ = D A∗ + [c∗ , c]
(3.6.5)
dove con le parentesi quadre abbiamo indicato indifferentemente un commutatore o un
anticommutatore a seconda della statistica cui obbediscono i campi.
La comologia di δ0 è abbondantemente studiata in letteratura e, specializzando la
discussione al caso in cui il gruppo di gauge sia SU (N ), si trova il risultato seguente [47]
Teorema 3.6.1. Sia τa1 ...am un tensore G-invariante e completamente antisimmetrico con
m indici ai in qualche rappresentazione R di G. Allora la forma generalizzata
hAm i ≡ τa1 ...am Aa1 . . . Aam
(3.6.6)
appartiene alla comologia di δ0 . Nel caso particolare di G = SU (N ) se
m = 3, 5, 7, . . . , 2N − 1
(3.6.7)
la dipendenza di τ dalla rappresentazione si riduce ad un fattore di normalizzazione
moltiplicativo.
78
Grazie alla validità della condizione (3.6.3) i cocicli di δ0 sono poi automaticamente
cocicli di δ.
Il più piccolo valore di m è m = 3 per il quale la scelta è unica ed è data da τ = fabc ,
con fabc le costanti di struttura del gruppo, la corrispondente osservabile diviene dunque
1
(0)
(2)
(1)
(3)
Ω3 ≡ TrA3 ≡ Ω3 + Ω1 + Ω2 + Ω0
3
(3.6.8)
le cui componenti Ω sono date da
(0)
Ω3
(1)
Ω2
1
Tr c3
3
= Tr A c2
=
h
i
(2)
= Tr A∗ c2 + A2 c
(3)
=
Ω1
Ω0
1
Tr [A3 + 3c∗ c2 + 3 {A , c} A∗ ]
3
(3.6.9)
(3)
Dal momento che Ω0 è s-invariante modulo d questo può essere aggiunto all’azione, per
dare luogo ad una versione deformata dell’azione di Chern-Simons
S̃BV (t) = SBV + t
(3)
come abbiamo visto, in Ω0
relazione
Z
(3)
M
Ω0
(3.6.10)
compaiono esplicitamente gli anticampi pertanto, vista la
s Φ = S̃BV , Φ
(3.6.11)
si ottiene che la deformazione genera delle trasformazioni di BRST a loro volta deformate.
Quanto appena esposto può essere generalizzato a numeri di ghost maggiori di 3; in
particolare, scegliendo nuovamente
m = 3, 5, 7, . . . , 2N − 1
(3.6.12)
otteniamo le osservabili a traccia singola [21]
Ωm =
1
(1)
(2)
(3)
Tr Am ≡ Ω(0)
m + Ωm−1 + Ωm−2 + Ωm−3
m
(3.6.13)
le cui componenti sono date dall’espressione
1
Tr cm
m
= Tr A cm − 1
Ω(0)
m =
(1)
Ωm−1
1 2 m−2
(A c
+ A c A cm−3 + .... + A cm−2 A)]
2
1
(3)
Ωm−3 = Tr[c∗ cm−1 + A∗ (A cm−2 + c A cm−3 + .... + cm−2 A) +
2
X
+
A cm−i A cj A ci−j−3 ]
(3.6.14)
(2)
Ωm−2 = Tr[A∗ cm−1 +
i,j≤m−3
nelle quali la tre-forma ha, come si vede, numero di ghost m − 3.
79
(3)
In maniera analoga al caso m = 3 le tre-forme Ωm−3 possono essere aggiunte all’azione,
dando luogo alla deformazione13
S̃BV (ti ) = SBV +
N
−1
X
i=1
Z
(3)
ti
M
Ω2i
(3.6.15)
che nuovamente deformano corrispondentemente le trasformazioni di BRST dei campi della
teoria.
Si rende ora necessario compiere un commento riguardo il significato delle deformazioni
appena introdotte [28]. Apparentemente la procedura appena approntata, con l’introduzione
delle osservabili con numero di ghost positivo, può sembrare non particolarmente significativa:
infatti la teoria di Chern-Simons conserva il numero di ghost, e pertanto in prima analisi
qualunque correlatore in cui sia inserito un’osservabile avente numero di ghost positivo
dovrebbe annullarsi per la conservazione del numero di ghost; ricordando quanto già affermato
nel primo capitolo, ossia che in teoria dei campi la grandezza fisicamente di rilievo è costituita
dai prodotti correlazione, la costruzione appena mostrata sembra non avere particolare
importanza. Tuttavia mostreremo ora in maniera molto semplice come, l’accoppiamento
alla gravità topologica, fornisca osservabili di numero di ghost negativo, che inserite in
un correlatore possono bilanciare il numero di ghost totale e quindi fornire significato alle
osservabili appena introdotte.
Si consideri a tal fine il termine di gauge fixing utilizzato (nel quale esplicitiamo le
dipendenze dalla metrica)
SGF
k
=
s
2π
Z
M
√
(0)
g Tr c̄ g ij Di Ãj
(3.6.16)
ricordando che in questo frangente l’operatore di BRST agisce anche sulla metrica il
termine di gauge-fixing contiene ora l’ulteriore termine (trascuriamo, per semplicità la parte
equivariante della trasformazione di g):
k
2π
Z
M
√
g Tr
ψ ij −
1 ij k
(0)
g ψ k c̄Di Ãj
2
(3.6.17)
che ha numero di ghost −1 nel settore di materia, e che dunque può essere inserito in un
correlatore per bilanciare il numero di ghost delle osservabili con numero di ghost positivo,
concludiamo pertanto che le osservabili con numero di ghost non nullo sono da considerarsi
significative nella teoria accoppiata.
Notiamo infine che, un correlatore contenente osservabili per numero di ghost totale 2n,
una volta effettuata l’integrazione funzionale sui campi di gauge darà luogo ad un funzionale
delle variabili gravitazionali avente ancora numero di ghost totale 2n, per effetto della
presenza delle 2n variabili ψ ij presenti nel correlatore originario. Ricordando quanto già
esposto a riguardo della gravità topologica, in cui abbiamo mostrato che ψ è una uno-forma
nello spazio dei moduli, concludiamo che tale funzionale và interpretato come una 2n-forma
nello spazio dei moduli stesso.
3.7
Anomalie topologiche
Vogliamo ora andare a studiare la questione delle anomalie topologiche della teoria di
Chern-Simons originale, e delle deformazioni appena introdotte. Come abbiamo visto, l’aver
13
Nella quale i vari ti hanno numero di ghost negativo in modo da compensare il numero di ghost delle
osservabili.
80
accoppiato la teoria di Chern-Simons alla gravità topologica tridimensionale, ci consentirà
di studiare questa questione con metodi comologici.
In particolare, consideriamo l’azione effettiva gravitazionale ottenuta compiendo
l’integrale funzionale sul solo settore di gauge dell’azione deformata S̃BV
Z
=
ıW [g,ψ,ω,ti ]
e
[d Φ] eıS̃BV (ti )
(3.7.1)
in cui, come previsto dall’equivarianza, non si ha dipendenza dal ghost di riparametrizzazione
ξ, mentre abbiamo indicato con Φ la totalità dei campi del settore di gauge; notiamo inoltre
che W , per la conservazione del numero di ghost, si decompone nella somma di componenti
con diverso numero di ghost
W =
X
(3.7.2)
W2n
n
nella quale i singoli W2n hanno numero di ghost pari a 2n.
In assenza di anomalie topologiche, l’azione effettiva soddisfa l’identità di Slavnov-Taylor
S W [g, ψ, ω, ti ] =
Z δW
δW
ψ−
Lω g = 0
δg
δψ
(3.7.3)
vediamo pertanto che, a seguito dell’accoppiamento, lo studio delle anomalie topologiche si
manifesta come una violazione della (3.7.3)
S W2n [g, ψ, ω] =
Z
M
(3)
A2n+1 [g, ψ, ω]
(3.7.4)
(3)
in cui A2n+1 è un funzionale locale dei campi di gravità che soddisfa le condizioni di
consistenza di Wess-Zumino
(3)
(2)
S A2n+1 = d A2n+2
(3.7.5)
dalla quale è possibile ricavare tutta l’equazione di discesa, equazione come sempre
sintetizzata nella forma
δA2n+4 = 0
(3.7.6)
dove, come di consueto, A2n+4 è la forma generalizzata definita dalla relazione
(3)
(2)
(1)
(0)
A2n+4 = A2n+1 + A2n+2 + A2n+3 + A2n+4
(3.7.7)
Occorre quindi trovare le soluzioni della (3.7.6) modulo δ, il che equivale a cercare le
osservabili della gravità topologica tridimensionale. A tal proposito, in analogia a quanto
già visto nel caso bidimensionale partiamo dal tensore di curvatura su M , che denoteremo
con R, e che considereremo come una due forma a valori matriciali
R(2)
i
j
≡ d Γ + Γ2
i
j
(3.7.8)
dove Γ è la connessione di Levi-Civita, vista come una uno forma a valori matriciali. Dalla
(3.7.8)14 , si ottiene quindi l’equazione di discesa a valori matriciali
δ̂R = 0
14
E sfruttando l’identità Lω Γ = D R(0) − iω R(2) .
(3.7.9)
81
dove abbiamo introdotto come di consueto
R ≡ R(2) + R(1) + R(0)
(3.7.10)
avendo definito
i
1h
Dψ i j + Dj ψ i k dxk − Di ψkj dxk = S (Γ)i j
2
≡ Dj ω i
(R(1) )i j ≡
(R(0) )i j
(3.7.11)
mentre l’operatore δ̂ è dato da
δ̂ ≡ S +iω + D
(3.7.12)
δ̂ 2 X = [R, X ]
(3.7.13)
che soddisfa
e dunque è nilpotente sugli scalari per riparametrizzazioni.
Stante questa discussione, è chiaro che gli scalari costruiti a partire da R
A2k = Tr Rk
k = 1, 2, . . .
(3.7.14)
in cui la traccia si intende sugli indici di matrice, sono δ̂-chiusi
δ̂A2k = 0
(3.7.15)
rimane invece da verificare se siano, δ̂-esatti o meno. Senza entrare nella dimostrazione [21],
ci limitiamo a citare il risultato che i cocicli non banali nella (3.7.15) sono dati dall’espressione
A4p = Tr R2p
p = 1, 2, . . .
(3.7.16)
ossia dalle potenze pari di R.
Ritornando quindi alla ricerca delle anomalie topologiche delle teorie di Chern-Simons
deformate otteniamo quindi l’equazione
S W4(p−1) [g, ψ, ω] = c2(p−1) (t)
Z
M
Tr R2p
p = 1, 2, . . .
(3.7.17)
nella quale l’integrazione su M seleziona la componente dell’anomalia con grado di forma
pari a 3, e in cui abbiamo indicato con c2(p−1) (t) i coefficienti di anomalia (coefficienti che
non sono deducibili con metodi comologici ovviamente).
In particolare, per p = 1 si ritrova un risultato che era già noto in letteratura da diversi
anni, la cosiddetta framing anomaly scoperta da Witten [13]
(3)
A1
= Tr R(2) R(1) = −ijk Rkl Di ψjl
(3.7.18)
anomalia che nei lavori originali era stata comunque scoperta con metodi differenti (tramite
regolarizzazione dell’integrale funzionale).
Notiamo quindi che il metodo approntato in questo capitolo, ci ha permesso di riottenere
il risultato noto in letteratura con metodi comologici, insieme a tutta una serie di generalizzazioni di questo, generalizzazioni che risultano rilevanti per lo studio delle deformazioni
della teoria di Chern-Simons illustrate in questo capitolo.
82
3.8
Interpretazione dei risultati
Per concludere il capitolo, cercheremo ora di fornire un’interpretazione15 alle anomalie
topologiche appena trovate, alla luce del legame dimostrato nel capitolo precedente tra la
teoria di Chern-Simons e i modelli di stringa topologica.
Come abbiamo avuto modo di rilevare in quel frangente, la teoria di Chern-Simons con
gruppo di gauge SU(N ), da un punto di vista di teoria di stringa, descrive una teoria di
stringhe aperte, i cui i estremi sono vincolati a giacere su N D-Brane, oggetti estesi in
propagazione nello spazio sei-dimensionale X6 = T (M )16 .
Scoperta tale interpretazione, Witten formulò l’ipotesi che la framing anomaly della
teoria di Chern-Simons potesse essere rimossa accoppiando il settore di stringa aperta (che in
formulazione di target-space è la teoria di CS), col settore di stringa chiusa, stringhe chiuse
in moto nel target-space complessivo X6 . Si può quindi ipotizzare che tale accoppiamento
possa cancellare non solo la framing anomaly, ma anche tutte le altre generalizzazioni appena
evidenziate.
Ad oggi, questa descrizione rimane ancora a livello di ipotesi, dal momento che la teoria
di target-space del modello A chiuso è tutt’ora poco conosciuta, sebbene alcuni progressi in
questa direzione sono stati compiuti in [48]17 .
In questa sezione ci preoccuperemo allora di illustrare alcune caratteristiche che la teoria
di campo chiusa dovrebbe soddisfare, per poter cancellare le anomalie topologiche trovate.
Come abbiamo visto a proposito delle osservabili del modello A, le osservabili fisiche per
la teoria chiusa, sono le due-forme su X6 appartenenti alla comologia di de Rham. Risulta
pertanto naturale ipotizzare che, la teoria di target-space, debba contenere un campo k (2)
che sia una due-forma in X6 e che l’azione conduca alle equazioni del moto
d k (2) = 0
(3.8.1)
e le cui proprietà di gauge diano luogo ad un’equazione di discesa soddisfatta dall’operatore
S0 di BRST (del solo settore di gauge) del tipo
S0 k (2) = d k (1)
S0 k (1) = d k (0)
S0 k (0) = 0
(3.8.2)
Come già discusso poi per la teoria di Chern-Simons, si arriva alla conclusione che anche
la teoria chiusa vada accoppiata alla gravità topologica (ovviamente 6-dimensionale), come
di consueto introdurremo allora l’operatore equivariante
s = S −Lξ
(3.8.3)
che soddisfa la consueta equazione di discesa modificata
S k (2) = d k (1)
S k (1) = d k (0) − iω (k 2 )
S k (0) = −iω (k (1) )
(3.8.4)
che comunque, come già successo per la teoria di Chern-Simons, è nilpotente solo on shell
S2 = Lγ + iω d k (2)
15
δ
δk (2)
(3.8.5)
Interpretazione comunque di natura qualitativa e assolutamente non definitiva.
Un’introduzione alle D-brane si può trovare, come sempre, in [31].
17
A differenza ad esempio di quanto avviene per il modello B, in cui invece è disponibile una teoria di
target space per il modello chiuso, teoria che và sotto il nome di teoria di Kodaira-Spencer [49].
16
83
Per risolvere il problema, introduciamo nuovamente la forma generalizzata
K = k (0) + k (1) + k (2) + k(3) + k (4) + k (5) + k (6)
(3.8.6)
e, come di consueto, introduciamo l’operatore nilpotente off-shell δ che soddisfa
δK = (S −d − iω ) = 0
(3.8.7)
In analogia a quanto fatto per la teoria di Chern-Simons, siamo poi portati ad interpretare
k (4) con p = 0, 1, 2 come campi, e k (p) con p = 3, 4, 5 come anticampi; un ulteriore vincolo
imporrebbe poi l’annullarsi di k (6) .
Vediamo ora come questo quadro qui delineato si modifichi in presenza di D-brane
topologiche. Come noto in contesti più tradizionali (come ad esempio la teoria di stringa
bosonica o le teorie di superstringa), le D-brane agiscono non solo come oggetti geometrici
su cui si propagano le stringhe aperte, ma anche come sorgenti stesse per le stringhe chiuse
[31]. In quest’ordine di idee, è naturale modificare la (3.8.1) in presenza di una D-brana,
per includerci anche un termine di sorgente
d k (2) = αδM
(3.8.8)
in cui α è una costante di accoppiamento e δM , che in termini tecnici è il duale di Poincaré
della brana M , può essere rozzamente interpretata come un analogo della delta di Dirac
avente supporto sulla D-Brana.
Corrispondentemente anche la (3.8.7) subisce la modifica
δK = αδM
(3.8.9)
δ 2 K = αδδM = 0
(3.8.10)
con la condizione di consistenza
In questo contesto, è possibile introdurre nella teoria chiusa i termini che cancellino le
anomalie della teoria aperta. Basta infatti che nell’azione della teoria di campo chiusa, sia
presente un termine del tipo
Ip = −
c2(p−1) (t)
α
Z
A4p K
X6
(3.8.11)
di modo che, sfruttando la (3.8.10) e le proprietà di δM , si ottenga
S Ip = −c2(p−1)
Z
M
A4p = − S F4(p−1)
(3.8.12)
cancellando così le anomalie.
Come già anticipato ad inizio sezione, la costruzione qui delineata rimane per ora a livello
speculativo; l’unica conferma in tal senso si ha per la framing anomaly, per la quale sono
stati avanzati argomenti che evidenziano la presenza nella teoria chiusa del corrispondente
termine I1 [50].
Capitolo 4
La teoria di Chern-Simons
olomorfa
In questo capitolo verranno studiati alcuni aspetti quantistici della teoria di holomorphic
Chern-Simons. Come abbiamo già avuto modo di rimarcare al termine del capitolo 2, la
teoria di HCS è una teoria di gauge in sei dimensioni reali, pertanto non rinormalizzabile
superficialmente per conteggio di potenze. Tuttavia la corrispondenza con il modello B
aperto, spinge a ritenere che alla HCS possa essere attribuito un significato quantistico che
la renda ben definita a tutte le scale energetiche. La questione della rinormalizzabilità della
teoria di HCS è un problema che ancora non è stato completamente risolto, e al quale la
presente tesi intende fornire alcuni sviluppi preliminari originali.
Sempre in termini della corrispondenza tra modello B e teoria di HCS, verrà discusso
come l’azione di HCS debba essere riscritta in modo da evidenziare la sua dipendenza dalla
struttura complessa dello spazio di Calabi-Yau sei-dimensionale M in cui è definita. Nel
linguaggio del modello B, il risultato che otterremo descrive l’accoppiamento tra il settore
di stringa aperta (che è descritto dalla HCS) e il settore di stringa chiusa (che descrive le
variazioni della struttura complessa del target-space [49]). Otterremo quindi un’azione nella
quale l’accoppiamento con i differenziali di Beltrami è realizzato in maniera esplicita e nella
quale tutte le simmetrie (sia di gauge sia di diffeomorfismi chirali1 ) sono realizzate off-shell.
Introdurremo infine, come sviluppo preliminare in vista dello studio della rinormalizzabilità,
i termini di sorgente per tutte le trasformazioni di BRST dei campi che compongono la
teoria.
Successivamente passeremo allo studio delle possibili anomalie gravitazionali chirali della
teoria. Nello specifico ci preoccuperemo di classificare tutti i possibili cocicli di anomalia
ad un loop in teoria delle perturbazioni. L’analisi sarà dapprima di natura generale (e
sfrutterà una variante olomorfa di un modello, introdotto da Bardeen e Zumino [56], per
studiare le anomalie gravitazionali reali), per poi specializzarsi al caso specifico di interesse.
Contestualmente deriveremo l’operatore di discesa per la teoria di HCS, che permetterà
di studiare i problemi comologici connessi con le anomalie a solo livello di zero-forme,
rivelandosi dunque uno strumento utile per lo studio dei problemi comologici.
1
Che saranno introdotti nella prima parte del capitolo.
85
86
4.1
Parametrizzazione di Beltrami della struttura complessa
In questa sezione ci occuperemo di mostrare la parametrizzazione di Beltrami per la struttura
complessa di una varietà M , varietà complessa n-dimensionale[51], [52]2 .
Come già spiegato a proposito delle varietà di Kahler, fornire una struttura complessa ad
una varietà M , equivale a fornire una distinzione tra coordinate olomorfe e antiolomorfe, in
modo che le funzioni di transizione tra carte locali abbiano carattere olomorfo. Indicheremo
quindi con J la struttura complessa di cui M è fornita, in base alla
quale scriveremo un
generico sistema di coordinate posto su M con la notazione z i , z ı̄ , sistema di coordinate
che in seguito sarà denominato sistema di coordinate piccole.
Accanto al sistema di coordinate piccole è possibile considerare il sistema di coordinate
adattato alla struttura complessa J, sistema che sarà
denominato sistema di coordinate
grandi, che sarà indicato con la notazione Z i , Z ı̄ e che può essere considerato come il
sistema di coordinate su M rispetto al quale la metrica assume la forma
(4.1.1)
ds2 ∝ |dZ|2
Naturalmente, il sistema di coordinate grandi dipende strettamente da J, nel senso che
al variare della struttura complessa anche il sistema di coordinate grandi varia corrispondentemente; per questo motivo un’altra nomenclatura
che sarà spesso usata è sistema di
i
ı̄
coordinate fissoper indicare il sistema z , z e sistema di coordinate mobile per indicare il
sistema Z i , Z ı̄ .
Vogliamo ora discutere un particolare modo di descrivere la struttura complessa J,
descrizione che va sotto il nome di parametrizzazione di Beltrami.
Consideriamo a tal proposito il cambio di coordinate dal sistema di coordinate piccole
al
i
i
l
l̄
sistema di coordinate grandi, rappresentato in componenti dalle funzioni Z = Z z , z
(e analoga espressione vale per le complesse coniugate) e vediamo la corrispondente
trasformazione sui relativi differenziali:
d Z i = d z j + d z ̄ µ̄j Λji
d Z ı̄ = d z ̄ + d z j µj̄ Λ̄ı̄
(4.1.2)
dove abbiamo indicato
∂Z i
∂z j
∂z j ∂Z l
=
∂Z l ∂z ̄
Λji =
µ̄j
(4.1.3)
Nella (4.1.3) µ̄j , e il corrispondente complesso coniugato, sono i cosiddetti differenziali
di Beltrami, e la (4.1.2) mostra che le variazioni della struttura complessa di M sono
parametrizzate proprio dai differenziali di Beltrami e dai fattori Λji (da cui il nome di
parametrizzazione di Beltrami della struttura complessa).
Avendo definito i differenziali di Beltrami, e i fattori integranti Λji , notiamo anzitutto
che, stanti le (4.1.3), la richiesta di integrabilità conduce alle equazioni
∂k Λij = ∂i Λkj
∂k̄ Λji = ∂j µk̄l Λli
∂[k̄ µj̄] − µi[k̄ ∂i µj̄] = F(µ)ik̄ ̄ = 0
2
(4.1.4)
In seguito, quando specializzeremo i discorsi alla teoria di Holomorphic Chern-Simons, M sarà da
considerarsi spazio di Calabi-Yau tridimensionale; tuttavia quanto stiamo per esporre ha validità generale.
87
in particolare la seconda e la terza prendono il nome di equazioni di Beltrami e di KodairaSpencer rispettivamente.
Analizzando ora il contenuto delle equazioni (4.1.4), notiamo che l’equazione di KodairaSpencer è interpretabile come un vincolo sui differenziali di Beltrami. In altri termini
possiamo affermare che, affinchè una forma di tipo (0, 1) a valori in T 1,0 M sia una deformazione della struttura complessa, questa deve risolvere l’equazione di Kodaira-Spencer;
viceversa si può mostrare che, posto che µ soddisfi l’equazione di Kodaira-Spencer, l’equazione
di Beltrami è risolta da un unico Λ.
Pertanto le due equazioni combinate mostrano che le strutture complesse su M sono
parametrizzate esclusivamente dai differenziali di Beltrami, che sono 1-forme a valori nel
fibrato tangente soluzioni dell’equazione di Kodaira-Spencer.
4.2
Azione dei diffeomorfismi e simmetrie dell’equazione di
Kodaira-Spencer.
Stante la discussione precedente, andiamo ora a valutare l’azione dei diffeomorfismi sui
differenziali di Beltrami appena introdotti[20].
Cominciamo intanto ponendoci nel sistema di coordinate piccole e ricordiamo che, in
contesto di BRST, i diffeomorfismi sono rappresentati tramite un campo vettoriale fermionico
cI 3 , avente numero di ghost +1 e definito dalla relazione
s f z i z ı̄
=
∂f i
∂f ı̄
c +
c
i
∂z
∂z ı̄
(4.2.1)
il quale agisce sui campi di materia tramite derivata di Lie e la cui variazione per
diffeomorfismi è data dalla relazione
s cI = cJ ∂J cI
(4.2.2)
L’azione dei diffeomorfismi sui differenziali di Beltrami, si ottiene a partire dall’azione
dei diffeomorfismi stessi sulla metrica gIJ . Restringiamo l’analisi al solo settore indipendente
dalla classe di Kahler
ĝ i̄ = d Z i ∧ d Z ̄
(4.2.3)
Le equazioni (4.1.2) e (4.1.1) conducono all’espressione a blocchi
1
ĝ =
1 − µµ̄
2µ̄
1 + µµ̄
1 + µµ̄
2µ
!
(4.2.4)
da cui deriva la variazione di BRST per µ[52]
s µı̄ j = ci ∂i µı̄ j + cı̄ ∂ı̄ µı̄ j + ∂ı̄ − µı̄ l ∂l cj + ∂ı̄ − µı̄ l ∂l
cr̄ µr̄ j
(4.2.5)
che, sfruttando l’equazione di Kodaira-Spencer, assume la forma più semplice
s µı̄ j = ci ∂i µı̄ j + ∂ı̄ cl̄ µl̄ j
3
− ∂l cl µı̄ j − µı̄ l ∂l cr̄ µr̄ j + ∂ı̄ cj
(4.2.6)
Dove adottiamo la convenzione di indicare con indici maiuscoli le coordinate ogniqualvolta non si faccia
distinzione tra indici olomorfi ed antiolomorfi.
88
Passiamo al sistema
di coordinate mobili: questo può essere visto come un sistema di
i
i
l
l
funzioni Z = Z z , z̄ e analoga espressione per le complesse coniugate. Pertanto la
trasformazione per diffeomorfismi diviene
s Zi =
∂Z i
∂Z i
l̄
l
l̄ l
l
s
z
=
c
+
c
µ
Λl i
s
z
+
l̄
l̄
∂z l
∂z
(4.2.7)
definendo quindi
ξ i = ci + c̄ µ̄i
ξ ı̄ = cı̄ + cj µjı̄
(4.2.8)
la (4.2.7) diviene:
s Z i = ξ j Λji
s Z ı̄ = ξ ̄ Λ̄ı̄
(4.2.9)
che consente così di interpretare i ghost ξ e ξ¯ come i ghost per diffeomorfismi associati al
sistema di coordinate mobili.
La richiesta di nilpotenza per s conduce quindi alle espressioni
= ξ j ∂j ξ l Λli + s ξ j Λji =
= ∂̄ ξ j Λji
s ξ j Λji
s µ̄j Λji
s ξ j − ξ l ∂l ξ j Λji = 0
= ξ j ∂j µ̄l Λli + ∂̄ ξ j Λji
= µ̄j ∂j ξ l Λli + s µ̄l Λli
(4.2.10)
dalle quali si ottengono:
s ξ i = ξ j ∂j ξ i
s µı̄j = ∂ı̄ ξ j − µı̄l ∂l ξ j + ∂l ξ j µı̄l
(4.2.11)
e analogamente per il settore antiolomorfo.
Le equazioni (4.2.11)
esprimono
la fattorizzazione olomorfa dell’azione dei diffeomorfismi
¯ µ, µ̄ [53]. Per ottenere queste equazioni si è fatto uso delle condizioni
ristretta al settore ξ, ξ,
di integrabilità (4.1.4). La proprietà di fattorizzazione olomorfa dell’algebra di diffeomorfismi
richiede pertanto la validità dell’equazione di Kodaira-Spencer per i differenziali di Beltrami
µ e µ̄.
D’altra parte è immediato osservare che le trasformazioni di BRST (4.2.11) sul multipletto
olomorfo (ξ, µ) sono nilpotenti indipendentemente dalla validità dell’equazione di KodairaSpencer. Le (4.2.11) possono infatti essere dedotte dalle (4.2.5) ponendo c̄ ≡ 0 (e quindi
conseguentemente c ≡ ξ), senza supporre alcuna restrizione su µ. Nel seguito ci riferiremo
a tali trasformazioni sul settore olomorfo (ξ, µ) come diffeomorfismi chirali. La relazione tra
l’operatore di BRST schir associato ai diffeomorfismi chirali e sdiff relativo ai diffeomorfismi
tout court è :
sdiff µ = Lξ µ + i(c̄) F ≡ schir µ + i(c̄) F
(4.2.12)
dove L indica la derivata di Lie, mentre i(c̄) rappresenta la contrazione col vettore c̄. L’analisi
delle proprietà olomorfe della HCS che svilupperemo nel resto di questo capitolo, nella quale
µ svolgerà il ruolo di sorgente esterna per il tensore energia-impulso, farà uso di schir .
89
4.3
Fattorizzazione olomorfa e derivazione covariante
In questa sezione deriveremo l’estensione dell’azione dei diffeomorfismi chirali (che d’ora
in avanti per comodità indicheremo sistematicamente con s qualora non vi sia possibilità
di fraintendimenti) a campi di materia (scalari, forme o vettori) definiti sulla varietà M .
L’estensione delle (4.2.11) che otterremo costituisce un risultato originale che sarà essenziale
per lo studio delle proprietà olomorfe della teoria quantistica di HCS.
La strategia che adotteremo sarà basata sulla seguente osservazione: la sostituzione
ci ≡ ξ i
cı̄ = 0
(4.3.1)
nelle regole di trasformazioni per diffeomorfismi non-chirali per i campi da materia è
un troncamento consistente che preserva la nilpotenza dell’operatore di BRST associato.
Naturalmente questa sostituzione non è compatibile col carattere reale dei parametri cI ,
ovvero con la condizione (ci )∗ = cı̄ . Per questa ragione i diffeomorfismi chirali non hanno la
stessa interpretrazione geometrica dei genuini diffeomorfismi. Essi devono piuttosto essere
pensati come una simmetria di gauge che controlla la struttura olomorfa delle teorie chirali.
L’azione dei diffeomorfismi chirali sui campi scalari è dunque
s φ = ξ j ∂j φ
(4.3.2)
La sostituzione (4.3.1) non è però sufficiente a generare delle trasformazioni fattorizzate
per campi con indici tensoriali. Per esempio nel caso di un campo con indice di forma
otteniamo
s Aī = ∂ī ξ l Al + ξ l ∂l Aī
s Ai = ∂ i ξ l Al + ξ l ∂ l Ai
(4.3.3)
Come si vede la (4.3.3) non fattorizza le coordinate olomorfe ed antiolomorfe, e a seguito della trasformazione queste si mischiano. Il problema può essere risolto ridefinendo
opportunamente le componenti olomorfe e antiolomorfe nella maniera seguente
Ai −→ Aei = Ai
Aı̄ −→ Aeī = Aī − µīl Al
(4.3.4)
s Aeī = ξ l ∂l Aeī
(4.3.5)
sulla quale si ottiene:
e la 1-forma modificata Ae fattorizza le componenti, più in dettaglio vediamo che per
diffeomorfismi chirali trasforma come uno scalare.
Il discorso può essere esteso ad una generica n-forma, definendo gli indici antiolomorfi
tramite prodotto esterno di uno-forme:
Aei¯1 i¯2 ....i¯n = Aei¯1 ∧ Aei¯2 ∧ ..... ∧ Aei¯n
(4.3.6)
s Aei¯1 i¯2 ....i¯n = ξ l ∂l Aei¯1 i¯2 ....i¯n
(4.3.7)
che ovviamente soddisfa:
90
Passiamo a grandezze contenenti indici vettoriali, V i ≡ V i
diffeomorfismi nella maniera seguente:
∂
.
∂ zi
Questi trasformano per
s V i = ξ l ∂l V i − ∂l ξ i V l − ∂l̄ ξ i V l̄
s V j̄ = ξ l ∂l V j̄
(4.3.8)
e le componenti olomorfe a non fattorizzano; poniamo quindi:
Ve i ≡ V i + µij̄ V j̄
(4.3.9)
e utilizzando le (4.3.8) si ottiene:
(4.3.10)
s Ve i = ξ l ∂l Ve i − ∂l ξ i Ve l
e anche in questo caso la fattorizzazione olomorfa è mostrata; nuovamente il discorso si
estende in maniera ovvia a tensori di grado generico tramite prodotto esterno.
Per concludere questa sezione mostriamo che è possibile introdurre un’operazione di
derivazione sui campi di materia, che sia covariante rispetto alle trasformazioni di diffeomorfismi appena considerate. Consideriamo anzitutto l’operatore, indicato con ∇, definito dalla
relazione:
∇ = ∂¯ − µ · ∂ ≡ dxı̄ ∇ı̄
(4.3.11)
e verifichiamone l’azione sui campi fin qui discussi.
Omettendo sistematicamente il simbolo ~per comodità, si ottiene:
s (∇ı̄ φ) = ξ j ∂j (∇ı̄ φ)
s (∇̄ Aı̄ ) = ξ j ∂j (∇̄ Aı̄ )
(4.3.12)
le quali mostrano che, rispetto alle forme antiolomorfe e agli scalari, l’operatore ∇ si
comporta come una derivata covariante.
Sulle grandezze contenenti componenti olomorfe il comportamento covariante può essere
ottenuto aggiungendo a ∇ un pezzo di connessione:
∇ ≡ ∇ + ∂ · µ ≡ dx
b
ı̄
∇ı̄ + Γ̂ı̄
i
j
(4.3.13)
dove si è posto
Γ̂ı̄
i
j
≡ ∂j µı̄i
(4.3.14)
agente sui campi nella maniera seguente
j i ...
ˆ φi ...
i ...
i j ...
∇
k̄ ı̄̄...;k... = ∇k̄ φı̄̄...;k... + ∂j µk̄ φı̄̄...;k... − ∂k µk̄ φı̄̄...;j... + · · ·
(4.3.15)
La necessità di costruire una teoria che non contenga esplicitamente il campo µ̄ 4 ,
impedisce di costruire in maniera analoga un operatore di differenziazione covariante olomorfo;
tuttavia, sui campi aventi comportamento scalare per diffeomorfismi (sugli scalari e sulle
forme), la derivazione olomorfa ordinaria è sufficiente per avere la covarianza:
s (∂i φ) = ∂i ξ j (∂j φ) + ξ l ∂l (∂i φ)
4
Ci riferiamo qui esplicitamente all’applicazione alla teoria di HCS.
(4.3.16)
91
vedremo che questo è sufficiente per gli scopi successivi.
Riassumendo, in questa sezione abbiamo mostrato che l’azione dei diffeomorfismi chirali,
può essere estesa ai campi di materia con cui una teoria di campo su M è costruita.
Inoltre abbiamo anche mostrato come sia possibile costruire un’operazione di derivazione
antiolomorfa covariante rispetto ai diffeomorfismi, operazione che sfrutta il solo campo µ,
ma non il campo µ̄. Pertanto si conclude che ad una teoria di campo su M è possibile
attribuire carattere semi-topologico (nel senso di indipendenza da µ̄), purchè la teoria in
questione includa la sola derivazione antiolomorfa (o al più una derivazione olomorfa agente
sui campi scalari). Nella prossima sezione verificheremo come questa circostanza si verifichi
in effetti per la teoria di HCS.
4.4
Teoria di HCS: simmetrie
Ritorniamo all’azione di Holomorphic Chern-Simons che, come abbiamo ricavato in precedenza, è da considerarsi come la formulazione di seconda quantizzazione del modello B nel
settore delle stringhe aperte5 .
La formula (2.2.59) è da considerarsi riferita al sistema di coordinate olomorfo adatto
ad una particolare struttura complessa. Il nostro obiettivo è lo studio delle proprietà della
teoria al variare struttura complessa del background. Per rendere esplicita la dipendenza
della teoria dalla struttura complessa faremo uso della parametrizzazione di Beltrami. Il
problema che risolveremo in questa sezione sarà dunque quello dell’accoppiamento della
teoria di HCS ai differenziali di Beltrami in maniera da preservare, insieme all’invarianza
di gauge, l’invarianza per diffeormorfismi chirali del background. La derivazione di questa
azione costituisce uno dei risultati originali della presente tesi. In termini della teoria di
stringa topologica soggiacente la HCS, l’azione che deriveremo descrive l’accoppiamento tra
il settore di stringa aperta e il settore di stringa chiusa6 .
Nel paragrafo precedente si è già studiato come modificare la derivata antiolomorfa in
modo da renderla covariante rispetto a diffeomorfismi chirali. Pertanto denotiamo con S0
l’azione di HCS abeliana, in cui l’operatore di Dolbeault è stato sostituito con la derivata
covariante antiolomorfa7 :
S0 =
Z
M
Ω ∧ A∇A =
Z
M
d6 x ρ ı̄̄k̄ Aı̄ ∇̄ Ak̄
(4.4.1)
dove ricordiamo la forma esplicita di ∇:
∇ ≡ ∂¯ − µi ∂i ≡ dxı̄ ∇ı̄ ≡ dxı̄ ∂ı̄ − µı̄i ∂i
(4.4.2)
e la sua relazione con la curvatura di Kodaira-Spencer
1
[∇ı̄ , ∇̄ ] = − Fı̄̄ (µ) = 0
2
5
(4.4.3)
Nel seguito del capitolo l’analisi sarà ristretta alla sola teoria abeliana.
Per il quale è disponibile un’azione non-locale che va sotto il nome di azione di Kodaira-Spencer [49].
7
Ricordiamo che sulle forme la derivata covariante è data esclusivamente dal termine (4.3.11) senza la
necessità di considerare l’ulteriore termine di connessione
6
92
In definitiva S0 è invariante per diffeomorfismi chirali, che agiscono sui campi e sui background
nella maniera
s Aı̄ = ξ k ∂k Aı̄
ˆ
s µı̄i = ∂ı̄ ξ i + ξ j ∂j µı̄i − µı̄j ∂j ξ i = ∇ξ
s ξ i = ξ j ∂j ξ i
(4.4.4)
s ρ = ∂i ξ i ρ
L’azione dei diffeomorfismi sul background ρ è stata ottenuta ricordando che questo si
comporta come una densità (visto che è proprio la densità tensoriale associata alla tre-forma
Ω).
Passiamo ora a discutere le simmetrie di gauge, il cui operatore di BRST sarà denotato
con il simbolo sg per distinguerlo dall’analogo operatore di diffeomorfismi, che agiscono sul
campo Aı̄ secondo la relazione
sg A = ∇c
sg c = 0
(4.4.5)
dove c è il consueto campo di ghost ed è una zero-forma di numero di ghost +1. Notiamo
che, anche in questo caso, la derivata antiolomorfa è stata sostituita con la corrispondente
derivata covariante.
Occorre ora andare a calcolare la variazione della lagrangiana (che indicheremo con L0 )
rispetto alla trasformazione appena scritta:
sg L0 = ρ ı̄̄k̄ (∇ı̄ c∇̄ Ak̄ + Aı̄ ∇̄ ∇k̄ c ) =
= ρ ı̄̄k̄ { ∇k̄ (Aı̄ ∇̄ c) + Aı̄ [ ∇k̄ , ∇̄ ]c}
(4.4.6)
La trasformazione in oggetto è una simmetria dell’azione purchè valgano le condizioni
ˆ ρ = 0
∇
k̄
(4.4.7)
[ ∇k̄ , ∇̄ ] =
∂[k̄ µj̄]
−
µi[k̄
∂i µj̄]
=0
(4.4.8)
il cui significato geometrico è chiaro. La prima delle (4.4.7) è la condizione di olomorfia della
tre-forma Ω rispetto alla struttura complessa deformata, mentre la seconda è l’equazione di
KS per µ.
Si viene quindi a creare una situazione per cui, nella teoria aperta che stiamo sviluppando,
la richiesta di invarianza di gauge richiede che i campi di background ρ e µ, che dal punto di
vista della teoria di stringa descrivono il settore chiuso della teoria, soddisfino delle equazioni
di vincolo. Per ottenere un’azione che sia invariante di gauge per background generici,
introduciamo dei moltiplicatori di Lagrange in corrispondenza dei vincoli. Cominciamo con
l’aggiungere all’azione un termine che implementa il vincolo di olomorfia della tre-forma di
background[54]
S=
Z
M
Ω ∧ (A ∇ A + ∇ B =
Z
M
d6 x ρ ı̄̄k̄ Aı̄ ∇̄ Ak̄ + ∇ı̄ B̄k̄
(4.4.9)
dove B è una (0, 2) forma
B ≡ dxı̄ dx̄ Bı̄̄
(4.4.10)
93
la cui trasformazione di BRS è data da:
sg B = −c ∇ A
(4.4.11)
aggiungiamo inoltre l’ulteriore termine che implementi l’equazione di Kodaira-Spencer:
S1 =
Z
M
Ω ∧ F(C) =
Z
M
(4.4.12)
d6 x ρ ı̄̄k̄ Fı̄̄i Cik̄
dove C è una (1, 1) forma
(4.4.13)
C ≡ Ci̄ dxi dx̄
la cui variazione di BRST è
sg C =
1
−c ∂ A + ∂ c A
2
(4.4.14)
In questo modo
Z
0
S = S + S1 =
M
Ω ∧ (A ∇ A + ∇ B + F(C)
(4.4.15)
è BRST-invariante per costruzione
sg S 0 = 0
(4.4.16)
mentre riassumendo la trasformazione di BRST sui campi associata è:
sg A = ∇ c
sg c = 0
sg B = −c ∇ A
1
sg C = (−c ∂ A + ∂ c A)
2
(4.4.17)
L’azione (4.4.15) possiede comunque un’ulteriore simmetria: infatti, ricordando la (4.4.3)
e l’identità di Bianchi per F
ı̄̄k̄ ∇ı̄ , ∇̄ , ∇k̄
= 0
(4.4.18)
che può essere scritta nella forma
ˆ ı̄ F = 0
ı̄̄k̄ ∇
̄k̄
(4.4.19)
si ottengono le trasformazioni di BRST più generali8 :
sg A = ∇ c
sg c = 0
sg B = −c ∇ A + ∇ d − F(f )
1
ˆf
sg C =
−c ∂ A + ∂ c A + ∂ d − ∇
2
8
1
2
(4.4.20)
Da notare il differentesegno di ∇ f nella variazione di C quando scritto in componenti: sg Ci ı̄ =
−c ∂i Aı̄ + ∂i c Aı̄ + ∂i dı̄ + ∇ı̄ fi − ∂i µjı̄ fj
94
in cui
d ≡ dxı̄ dı̄
f ≡ dxi fi
(4.4.21)
sono forme, di numero di ghost 1, di tipo (0, 1) e (1, 0) rispettivamente, che a priori
supporremo invarianti di BRST.
Le trasformazioni (4.4.20) sono comunque riducibili, come si può verificare sottoponendo
i campi d ed f alle trasformazioni
sg d = ∇ e
1
sg f = − ∂ e + y c ∂ c
2
(4.4.22)
dove y è un numero reale. Inoltre l’operatore sg risulta non nilpotente sui campi B e C:
1
s2g B = + c ∇ ∇ c = − c F (∂ c)
2
s2g C = + c ∂ ∇ c − ∂ c ∇ c
(4.4.23)
Si può quindi usare la libertà insita nella scelta del valore di y per ottenere la nilpotenza di
sg
2
s2g B = c ∇ c − y F(c ∂ c) =
1
= − c F(∂ c) − y F(c ∂ c)
2
1
c ∂ ∇ c − ∂ c ∇ c − y ∇ (c ∂ c) − y ∂ µ(c ∂ c) =
s2g C =
2
1
=
c ∂ ∇ c − ∂ c ∇ c − y ∇ c ∂ c − y c ∇ ∂ c − y ∂ µ(c ∂ c)
2
(4.4.24)
Prendiamo quindi
y=−
1
2
(4.4.25)
ottenendo
1
1
s2g B = − c F(∂ c) + F(c ∂ c) = 0
2
2
1
1
1
2
sg C = c ∂ ∇ c + c ∇ ∂ c + ∂ µ(c ∂ c) = 0
2
2
2
(4.4.26)
Raccogliendo i risultati ottenuti, l’azione S 0 in (4.4.15) è invariante sotto l’azione
dell’operatore
s̃ = s + sg
(4.4.27)
95
che include sia le trasformazioni di gauge che quelle per diffeomorfismi chirali e la cui azione
su campi e backgrounds è
s̃ A = ξ i ∂i A + ∇ c
s̃ c = ξ i ∂i c
s̃ B = ξ i ∂i B − c ∇ A + ∇ d − F(f )
1
s̃ C = ξ i ∂i C + ∂ ξ i Ci̄ +
−c ∂ A + ∂ c A + ∂ d − ∇ f
2
s̃ d = ξ i ∂i d + ∇ e
1
1
s̃ f = ξ i ∂i f − ∂ (ξ i ) fi − ∂ e − c ∂ c
2
2
i
s̃ e = ξ ∂i e
s̃ ξ j = ξ i ∂i ξ j
ˆ ξi
s̃ µi = ∇
s̃ Ω = ∂ iξ (Ω)
(4.4.28)
La nilpotenza di s̃ è manifesta se si tiene conto che s e sg sono singolarmente nilpotenti,
inoltre tutte le trasformazioni di gauge sono scritte in termini di derivate covarianti 9 e i
campi ξ e µ non subiscono l’azione delle trasformazioni di gauge. Questi due fatti combinati
sono sufficienti a garantire l’annullarsi dell’anticommutatore {s, sg } e quindi a garantire la
nilpotenza di s̃.
Va ancora rilevato il carattere semi-topologico della teoria, questa infatti può essere
formulata in maniera consistente senza avere alcuna dipendenza dal campo µ̄, dipendendo
solo dal campo µ.
4.4.1
Introduzione degli anticampi
Per concludere la sezione introduciamo il termine di sorgente o di anticampo per le trasformazioni di BRST della teoria, come sviluppo preliminare al fine di studiare la questione
della rinormalizzabilità. Si ottiene quindi:
Γ=
Z
M
Ω ∧ A ∇ A + ∇ B + F(C) + A∗ s̃ A + c∗ s̃ c + B ∗ s̃ B + (C ∗ )i s̃ Ci +
+d∗ s̃ d + (f ∗ )i s̃ fi + e∗ s̃ e
(4.4.29)
9
Le derivate parziali olomorfe, che compaiono nelle trasformazioni di gauge, agiscono infatti sempre su
grandezze che hanno comportamento scalare per diffeomorfismi e, come detto, su queste grandezze la derivata
parziale olomorfa è covariante
96
con le trasformazioni di BRST per gli anticampi ottenute nella maniera usuale10 :
s̃ A∗ = ξ i ∂i A∗ + 2 ∇ A +
1
∇ (log ρ) A − ∇(B ∗ ) + ∇ (log ρ) B ∗ c + B ∗ ∇ c +
2
1
∂i (C ∗ )i + ∂i (log ρ) (C ∗ )i c + (C ∗ )i ∂i c
2
s̃ c∗ = ξ i ∂i c∗ − ∇ A∗ + (∇ log ρ) A∗ − B ∗ ∇A +
1
− ∂i (C ∗ )i + (∂i log ρ)(C ∗ )i A − (C ∗ )i ∂i A +
2
1
+ ∂i (f ∗ )i + ∂i (log ρ) (f ∗ )i c + (f ∗ )i ∂i c
2
s̃ B ∗ = ξ i ∂i B ∗ − ∇ log ρ
+
s̃ (C ∗ )i = ξ j ∂j (C ∗ )i − ∂j ξ i (C ∗ )j + F i
1
s̃ d∗ = ξ i ∂i d∗ +
∂i (C ∗ )i + ∂i (log ρ) (C ∗ )i − ∇ B ∗ + ∇(log ρ) B ∗
2
s̃ (f ∗ )i = ξ j ∂j (f ∗ )i − ∂j ξ i (f ∗ )j + B ∗ F i + ∇ (C ∗ )i + (∇ log ρ) (C ∗ )i
1
s̃ e∗ = ξ i ∂i e −
∂i (f ∗ )i + ∂i (log ρ) (f ∗ )i + ∇ d∗ + ∇ (log ρ) d∗
2
(4.4.31)
dove questi sono stati interpretati come forme piuttosto che come densità11 .
4.5
L’operatore di discesa
Il nostro scopo successivo è lo studio delle anomalie dei diffeomorfismi chirali. Come ricordato
nel capitolo precedente questo si riduce allo studio della comologia dell’operatore di BRST
modulo d sullo spazio delle forme di grado massimo con numero di ghost uguale ad 1. È
10
Nel seguito, a meno di possibili fraintendimenti, con ∇ si intenderà la derivata covariante su tutti i
campi, con il termine di connessione ∂ · µ quando necessario, ad esempio:
¯
∇ρ
¯
∇logρ
=
− ∂i µi
ρ
(4.4.30)
11
Infatti, per come normalmente vengono definiti, gli anticampi si presenterebbero in questo caso come
densità tensoriali, ad esempio:
∂ S0
= ı̄̄k̄ 2 ρ∇̄ Ak̄ + ∇̄ ρ Ak̄
∂Aı̄
∂ S0
=−
= ı̄̄k̄ ∇ı̄ ρ
∂B̄k̄
s̃ (A∗ )ı̄ = −
s̃ (B ∗ )̄k̄
s̃ (C ∗ )ik̄ = −
∂ S0
i
= −ρ ı̄̄k̄ Fı̄̄
∂Cik̄
(4.4.32)
tuttavia è utile definire gli stessi come forme, piuttosto che come densità:
1
1
(A∗ )ı̄
(A∗ )ı̄ = ρ ı̄̄k̄ A∗̄k̄
ρ ı̄̄k̄
2
1
1
Bı̄∗ = ı̄̄k̄ (B ∗ )̄k̄
(B ∗ )̄k̄ = ρ ı̄̄k̄ Bı̄∗
ρ
2
1
1
(C ∗ )iı̄̄ ≡ ı̄̄k̄ (C ∗ )ik̄
(C ∗ )ik̄ = ρ ı̄̄k̄ (C ∗ )iı̄̄
ρ
2
A∗̄k̄ ≡
(4.4.33)
nel seguito, a meno che non sia diversamente specificato, si intenderanno sistematicamente gli anticampi
come forme.
97
di solito più agevole studiare la comologia di BRST sullo spazio delle 0-forme con numero
di ghost appropriato. Abbiamo visto che le teorie topologiche generalmente ammettono
l’esistenza di un operatore di discesa b̂ che permette di ottenere una classe di BRST modulo
d a partire da una classe di BRST a valori nelle 0-forme. La proprietà che caratterizza b̂ è
quella di “trivializzare” il differenziale esterno d:
n
d = b̂, s
o
(4.5.1)
L’esistenza di b̂ riflette il carattere topologico della teoria. In effetti se O(x) è un osservabile
s O(x) = 0
(4.5.2)
e se esiste un operatore di discesa, allora
d O(x) = s b̂ O(x)
(4.5.3)
Questa relazione implica che le derivate dei campi BRST-invarianti sono s-triviali come è
appropriato per una teoria che non ha gradi di libertà locali[35]. Nelle teorie topologiche
pertanto il problema delle anomalie (e più in generale qualunque problema comologico) si
traduce nello studio della comologia di BRST di numero di ghost appropriato sulle 0-forme.
In questa sezione discuteremo l’esistenza di un tale operatore nel contesto della teoria di
HCS. A tal fine cominciamo con il definire un operatore b tramite la relazione[52]
b=
Z
d6 x dxi + µiı̄ (x) dxı̄
δ
δξ i (x)
(4.5.4)
nella quale la derivata funzionale è intesa operare su ξ ma non sulle sue derivate. Si può
osservare che, su tutti i campi eccetto µ e Ω (o equivalentemente ρ), b soddisfa la relazione
∂ = {b, s} = {b, s̃}
(4.5.5)
Per quanto concerne l’azione di b sui campi µ e ρ, per calcolo diretto (ed effettuando in
entrambi i casi un’integrazione per parti) si trovano le relazioni:
{b, s} µi = ∂µi + F i
{b, s} ρ = ∂ρ − ∇logρ
(4.5.6)
che possono essere comunque poste off-shell sfruttando gli anticampi: i termini che violano
la (4.5.5) per µ e per ρ, non sono altro che le equazioni del moto su B e C, e quindi le
espressioni (4.5.6) possono essere riscritte nella forma
{b, s} µi = ∂µi + sg (C ∗ )i
{b, s} ρ = ∂ρ + sg B ∗
(4.5.7)
Pertanto concludiamo che la relazione (4.5.5) è verificata su tutti i campi della teoria,
modulo eventuali termini sg -esatti.
L’esistenza di un b̂ che soddisfi (4.5.1) è pertanto equivalente all’esistenza di un operatore
covariante G che soddisfa
∇ = {G, sg }
(4.5.8)
98
ponendo
b̂ = b + G
(4.5.9)
In effetti è possibile trovare tale operatore su tutti i campi della teoria ad eccezione di B
e Ci 12 :
Gc = A
G A = A∗ + B ∗ A − d∗ c
G A∗ = −3 c∗ + 2 B ∗ A∗ + (B ∗ )2 A − B ∗ d∗ c
G c∗ = 0
G d = 2 B + 2 C ∗i fi + A∗ c + B ∗ A c
Ge = d
G fi = Ci
G µi = C ∗i
G C ∗i = 3 f ∗i + 3 B ∗ C ∗i
G f ∗i = 0
G log ρ = −B ∗
G B ∗ = −2 d∗ + (B ∗ )2
G d∗ = 3 e∗ + B ∗ d∗
(4.5.11)
La ragione per cui non si riesce ad estendere la definizione di G ai campi B e C è che la
teoria non è completamente topologica ma dipende dai background fisici µ e Ω, cui sono in
effetti collegati i campi B e C. Per trivializzare d è necessario pertanto allargare lo spazio
dei backgrounds.
L’azione dell’operatore di BRST di gauge sg sui campi di background µ e ρ è naturalmente
triviale, in quanto la teoria dipende da µ e da ρ. È conveniente, come abbiamo visto in altri
contesti, trattare i background classici in maniera formalmente analoga ai campi quantistici
12
Un modo per mostrare la (4.5.11) è di porre inizialmente tutti gli anticampi e i campi ausiliari a zero, e
iniziare con il solo settore composto da (A, A∗ , c, c∗ ); per poi progressivamente liberare gli ulteriori campi e
anticampi di cui la teoria è composta, e apportare le correzioni necessarie a conservare la validità dell’identità
(4.5.1). Si ricordino inoltre le identità
GF i = −2∇C ∗i
G(∇ log ρ) = ∇B ∗ − ∂i C ∗i + ∂i (log ρ)C ∗i ≡ ∇B ∗ − Di C ∗i
(4.5.10)
99
e pertanto introdurre i corrispondenti anticampi µ∗i e ρ∗ . In definitiva
sg ρ = 0
∂S 0
= A ∇ A + ∇ B + F i Ci
∂ρ
sg µ = 0
∂S 0
ˆC +
sg µ∗i =
= A ∂i A − ∂i B + 2 ∇
i
∂µi
sg ρ∗ =
ˆ B∗ f +
−A∗ ∂i c − B ∗ (c ∂i A − ∂i d − 2 ∇fi ) − 2 ∇
i
−C ∗j ∂[i fj] + Dj (C ∗j ) fi − d∗ ∂i e
(4.5.12)
ˆ e D includono le connessioni ∇ log ρ e ∂ log ρ
nelle quali le derivate covarianti ∇
j
j
rispettivamente.
In questo modo è possibile estendere l’azione dell’operatore G ai campi B e Ci
G B = 3 ρ∗ − A∗ A − 2 C ∗i Ci + d∗ c A
G Ci = µ∗i + 2 B ∗ Ci − 2 d∗ fi
(4.5.13)
In altri termini, la ragione per cui è necessario includere ρ∗ e µ∗ per estendere l’azione
di G a tutti i campi, è che la teoria non è completamente topologica: è topologica a meno
dei backgrounds che definiscono le osservabili fisiche della teoria. Le osservabili associate
alle deformazioni di ρ e µ, sono precisamente quelle che impediscono di scrivere G su tutti
i campi. L’aver esteso le trasformazioni di BRST alle costanti di accoppiamento fisiche
(e ai corrispondenti anticampi), consente di scrivere formalmente queste osservabili come
s-triviali, e quindi di ottenere un operatore di discesa su tutti i campi. Questa strategia
di estendere l’azione dell’operatore di BRST alle costanti di accoppiamento è una pratica
sostanzialmente originale.
4.6
Anomalie gravitazionali
Come già discusso, le anomalie gravitazionali sono cocicli, del solo operatore gravitazionale s,
di numero di ghost 1 e grado di forma 6, costruiti coi campi gravitazionali della teoria: ossia
µ, ρ e ξ. Inoltre l’aver trovato nella sezione precedente l’operatore di discesa, consente di
(0)
ridurre il problema all’identificazione dei cocicli scalari di numero di ghost 7 Ω7 ; applicando
(0)
poi sei volte l’operatore di discesa otterremo le anomalie cercate corrispondenti agli Ω7 .
Prima di passare al calcolo esplicito dei cocicli occorre comunque fornire alcuni commenti
circa il significato del calcolo che vogliamo effettuare.
4.6.1
Introduzione al problema
Come rimarcato una teoria viene detta anomala se nel passaggio dalla teoria classica alla
teoria quantistica questa perde parte delle simmetrie possedute classicamente. Le anomalie
di una teoria sono in generale un effetto di alta energia (ossia ultravioletto) che però, come
illustrato nell’articolo di Coleman e Grossman [57], possono essere comprese e valutate
correttamente anche facendo uso di un’azione efficace di bassa energia (ossia in regime
infrarosso). Questo fatto fu compreso per la prima volta da ’t Hooft negli anni ’80 [58] e
poi sviluppato da diversi autori (tra cui proprio Coleman e Grossman) successivamente. In
100
particolare è possibile discutere la questione delle anomalie gravitazionali della teoria di
HCS, vista come teoria effettiva di bassa energia, pur senza aver discusso la questione della
rinormalizzabilità dell’azione classica corrispondente.
Per lo studio delle anomalie gravitazionali della HCS, l’oggetto di studio è l’azione
effettiva gravitazionale, che si può immaginare come il risultato dell’integrazione funzionale
nel settore di materia (cioè di gauge) della HCS, opportunamente definito nell’ultra-violetto
ıW (ρ,µ)
e
=
Z
[d Φ] eı S
(4.6.1)
dove abbiamo indicato con la notazione collettiva Φ i campi di gauge della teoria. W (ρ, µ, ξ) è
un funzionale non-locale di µ e ρ, che, a livello classico è invariante sotto l’azione dell’operatore
di BRST associato ai diffeomorfismi chirali
ˆ
s µı̄i = ∂ı̄ ξ i + ξ j ∂j µı̄i − µı̄j ∂j ξ i = ∇ξ
s ξ i = ξ j ∂j ξ i
s ρ = ∂i ξ i ρ
(4.6.2)
Come abbiamo discusso nel Capitolo 3, a livello quantistico W (ρ, µ) può presentare delle
anomalie
s W (ρ, µ, ξ) = A(µ, ρ, ξ) =
Z
M
(6)
Ω1 (µ, ρ ξ)
(4.6.3)
(6)
dove A(µ, ρ, ξ) è un funzionale locale ed Ω1 è una 6-forma sulla varietà di Calabi-Yau M ,
di ghost number 1, s-invariante modulo d
(6)
(5)
s Ω1 (µ, ρ, ξ) = −d Ω2 (µ, ρ, ξ)
(4.6.4)
Sappiamo che l’anomalia non è rimovibile attraverso una ridefinizione dell’azione effettiva
se non è la s-variazione di un funzionale locale. Il problema che ci occuperà nelle prossime
sezione sarà pertanto quello di risolvere il problema comologico associato ad Eq. (4.6.4).
Si osservi che ρ si presenta nella (4.6.1) a moltiplicare complessivamente l’azione e
pertanto scala come l’inverso di una costante di accoppiamento. Sfruttando questa considerazione notiamo ora che, se consideriamo un generico diagramma di Feynmann connesso,
ogni propagatore è moltiplicato per 1/ρ, ogni linea esterna è moltiplicata per ρ e ogni
vertice è moltiplicato anch’esso per ρ. Ne consegue che, indicando con P , V e E il numero
di propagatori, di vertici e di linee esterne rispettivamente, un generico diagramma di
Feynmann risulta moltiplicato per il fattore ρV +E−P . D’altro canto sappiamo anche che
vale la relazione
P −E−V = L−1
(4.6.5)
dove L indica il numero di loop presenti nel diagramma [5].
Quanto appena esposto mostra che, a tree-level, tutti i diagrammi sono lineari in ρ, a un
loop tutti i diagrammi sono indipendenti da ρ e così via. Ne consegue così che i cocicli di
BRST indipendenti da ρ corrispondono alle anomalie gravitazionali generate ad 1-loop in
teoria delle perturbazioni. Il problema che risolveremo nel seguito sarà quello di calcolare i
cocicli non-triviali di questo tipo.
101
4.6.2
Il modello di Bardeen-Zumino per le anomalie gravitazionali
Preliminarmente allo studio dei cocicli dell’operatore di BRST di diffeomorfismi chirali,
vogliamo richiamare l’attenzione su un modo di ricavare le possibili anomalie gravitazionali
(quindi relative all’operatore di BRST per i genuini diffeomorfismi non chirali) di una teoria,
dovuto a Bardeen e Zumino [56]. Sia dunque s l’operatore di BRST di diffeomorfismi non
chirali e, come di consueto, indichiamo con cI i ghost associati, con I = 1, . . . d = 2 n dove
d è la dimensione della varietà Riemaniana M su cui è definita la teoria di campo. Le
anomalie sono rappresentate dalle classi di comologia di s modulo d, nello spazio delle forme
di grado massimo con numero di ghost 1. Tale classi possono essere studiate cercando la
comologia dell’operatore
(s +d) Ω̃2 n+1 = 0
(4.6.6)
nello spazio delle forme generalizzate (anche dette poliforme) Ω̃2 n+1 di grado totale (ghost
+ grado di forma) 1 + 2 n dove abbiamo denotato con 2 n la dimensione di M (reale):
(2 n+1)
(0)
Ω̃2 n+1 = Ω̃2 n+1 + · · · Ω̃0
(4.6.7)
(2 n)
L’anomalia cercata è la componente di numero di ghost 1 e grado di forma 2n, Ω̃1 , di
questa poliforma.
Assumeremo ovunque che s e d anti-commutino. Il modello di Bardeen-Zumino è
associato al seguente operatore
∆ ≡ S +d
(4.6.8)
in cui
S ≡ s − ic , d
(4.6.9)
Questo modello è equivalente al modello originale in quanto si ha che
S +d = e−ic s +d eic
(4.6.10)
Questa relazione implica che i cocicli Ω2 n+1 del modello di Bardeen-Zumino non contengono
il campo cµ non derivato e sono legati ai cocicli Ω̃2 n+1 di s + d dalla relazione
Ω̃2 n+1 = eic Ω2 n+1
(4.6.11)
Il vantaggio di passare alla comologia di ∆ è dovuto al fatto che per questo operatore è possibile ottenere un’espressione esplicita per i cocicli: a tal fine, consideriamo la
superconnessione di grado totale 1
µ
G
ν
= (Γ̂)µν + ∂ν cµ = (Γ̂)µν + M µν
(4.6.12)
dove Γ̂µν = dxλ Γµλν è la connessione di Levi-Civita. In corrispondenza si ottiene la
supercurvatura che è interamente bosonica:
R = ∆ G + G2 = R̂ + S Γ̂ + d M + {M, Γ̂} + S M + M 2 =
= R̂ = d Γ̂ + Γ̂2
(4.6.13)
102
dal momento che si ha
S Γ̂ = −d M − {M, Γ̂}
S M =h−M 2 i
S R̂ = R̂, M
(4.6.14)
Pn+1 (R̂) = Pn+1 (R)
(4.6.15)
Ne consegue che, se
è un polinomio invariante e simmetrico di grado n + 1 della curvatura
S Pn+1 (R̂) = d Pn+1 (R̂) = 0
(4.6.16)
Pn+1 (R̂) = Pn+1 (R) = d Q2n+1 (Γ̂, R̂) = ∆ Q2n+1 (G, R)
(4.6.17)
si ha
in cui Q2n+1 (Γ̂, R̂) è il polinomio di Chern-Simons, associato a Pn+1 (R̂) tramite la formula
Q2n+1 (Γ̂, R̂) = (n + 1)
Z 1
0
dt Pn+1 (Γ̂; R̂t )
R̂t = t dΓ̂ + t2 Γ̂2
(4.6.18)
La notazione Pn+1 (Γ̂; R̂t ) denota il polinomio invariante simmetrico nel quale un argomento
è rimpiazzato da Γ̂ e gli altri n sono rimpiazzati con R̂t .
La decomposizione della poliforma Q2n+1 (G, R) in componenti con grado di forma
definito è
(2n+1)
Q2n+1 (G, R) = Q0
(2n+1)
Q0
(2n)
(Γ̂, R̂) + Q1
(0)
(Γ̂, R̂, M ) + · · · + Q2n+1 (Γ̂, R̂, M )
(Γ̂, R̂) = Q2n+1 (Γ̂, R̂)
(4.6.19)
La (4.6.17) implica pertanto le equazioni di discesa
(2n+1)
Pn+1 (R̂) = d Q0
0=
0=
(Γ̂, R̂)
(2n+1)
(2n)
S Q0
(Γ̂, R̂) + d Q1 (Γ̂, R̂)
(2n)
(2n−1)
S Q1 (Γ̂, R̂) + d Q2
(Γ̂, R̂)
···
(0)
0 = S Q2 n+1
(2n)
(4.6.20)
La 2 n forma di numero di ghost 1, Q1 , è pertanto un cociclo di S modulo d. È facile
(2n)
mostrare che il fatto che Q2n+1 (G, R) non sia ∆-chiuso assicura che Q1 non è S-triviale
(2n)
modulo d. Q1 è pertanto una anomalia gravitazionale in dimensione 2 n. È meno agevole
dimostrare che le anomalie costruite in questa maniera esauriscano la comologia di S, un
risultato per il quale rimandiamo alla letteratura [56].
103
Esempio: anomalie in due dimensioni
Consideriamo il caso esplicito bidimensionale (ossia con n = 1) per vedere come nella pratica
funzioni l’algoritmo approntato. Per n = 1 abbiamo un solo polinomio invariante di secondo
grado
P2 (R) =
1 2
Tr R
2
(4.6.21)
Il corrispondente polinomio di Chern-Simons è
h1
1
1 i
Tr R2 = δTr G δ G + G3 .
2
2
3
(4.6.22)
L’anomalia è la componente di numero di ghost 1:
(2)
Q1 = Tr
i
1
1
1
M dΓ + Γ §Γ + ΓdM + M Γ2 = Tr(M dΓ) ,
2
2
2
2
h1
(4.6.23)
dove si è fatto uso della (4.6.14).
4.6.3
Una variante olomorfa del modello di Bardeen-Zumino
In questa sezione s indicherà l’operatore di BRST dei diffeomorfismi chirali. Presenteremo una
variante della procedura di Bardeen-Zumino che genera le anomalie dei diffeomorfismi chirali;
si tratta di un contributo originale finora non disponibile in letteratura13 . L’ingrediente
essenziale di questa costruzione è la definizione del seguente operatore nilpotente che agisce
sulle poliforme
ˆ
δ ≡ S +∂ + ∇
(4.6.24)
con
S ≡ s − iξ , ∂
ˆ ≡ ∇ + i = ∂¯ − µ∂ + i
∇
∂µ
∂µ
(4.6.25)
dove ∂ µ deve essere pensata come una (1, 1) forma a valori nel fibrato tangente olomorfo.
La maniera più semplice per vedere che δ è effettivamente nilpotente è osservare che
ˆ = e−iξ+µ s +d eiξ+µ
S +∂ + ∇
(4.6.26)
Questa relazione mostra anche che δ e s +d hanno comologia isomorfa sullo spazio delle
poliforme. Per costruire dei rappresentativi della comologia di questo modello tipo BardeenZumino consideriamo la super-connessione, di grado totale 1
(g)ij = ∂j µi + ∂j ξ i ≡ γ ij + mij
(4.6.27)
La corrispondente super-curvatura r, a differenza del caso reale, non è completamente
bosonica ma è omogenea di grado 1 nel grado di forma olomorfo:
ˆ γ + γ2 + ∂ m + S γ + ∇
ˆ m + {m, γ̂} + S m + m2 =
r = δ g + g2 = ∂ γ + ∇
(1,1)
= ∂ γ + ∂ m ≡ r0
13
(1,0)
+ r1
Malgrado alcuni risultati parziali in questa direzione siano dizponibili nell’articolo [59].
(4.6.28)
104
dove si è usato
ˆ m − {m, γ̂}
S γ = −∇
S m = −m2
ˆ γ + γ2 = 0
∇
(4.6.29)
Pn+1 (r) = Pn+1 (∂γ + ∂m) = δ Q2n+1 (γ + m, r)
(4.6.30)
Abbiamo pertanto
in cui il membro di sinistra è una poliforma di grado di forma olomorfo n + 1. L’espansione
di Q2n+1 (γ + m, r) 2 n in componenti di grado di forma definito è
(2n+1)
Q2n+1 (γ + m, r) = Q0
(2n+1)
Q0
(2n)
(γ) + Q1
(0)
(γ, m) + · · · + Q2n+1 (γ, m)
(γ) = Q2n+1 (γ, ∂γ)
(4.6.31)
(2 n)
Nella quale la componente di numero di ghost 1, Q1
è proprio l’anomalia gravitazionale
chirale.
In definitiva, la costruzione illustrata associa un cociclo di numero di ghost 1 dell’operatore
S dei diffeomorfismi chirali a ciascun polinomio caratteristico Pn+1 (r) di grado n + 1 in r.
La costruzione non permette però di determinare quali di questi cocicli siano effettivamente
indipendenti e se essi esauriscano la comologia corrispondente.
Va inoltre tenuto presente che la procedura delineata costruisce cocicli di § sullo spazio
funzionale dei campi (ξ, µ). Abbiamo chiarito come lo spazio rilevante per la teoria di HCS
sia quello dei campi (ξ, µ, ρ). Benché per quanto riguarda le anomalie ad 1 loop, il cociclo
corrispondente non dipende ρ, è possibile che cocicli ρ-indipendenti che sono non-triviali nello
spazio (ξ, µ) siano s-triviali nello spazio esteso (ξ, µ, ρ). Dovremo pertanto identificare quali
fra i cocicli prodotti dalla costruzione à la Bardeen-Zumino sono trivializzati dall’inclusione
del campo ρ nello spazio funzionale.
Nella prossima sezione completeremo pertanto l’analisi delle anomalie per HCS
restringendo la nostra analisi al caso particolare n = 3.
4.6.4
Calcolo esplicito dei possibili cocicli di anomalia gravitazionale
Il calcolo esplicito dei cocicli di BRST sarà portato avanti tramite il cosiddetto metodo delle
filtrazioni [60], il cui procedimento può essere sintetizzato nel seguente [35]:
Teorema 4.6.1. Sia N un operatore di filtrazione, che mappa lo spazio delle forme F in
se stesso, e poniamo che gli autovalori di N siano gli interi non negativi. Espandiamo le
forme Ωqp e l’operatore di BRST per diffeomorfismi s in accordo con questi autovalori:
Ωqp =
X q
Ωp(n)
N Ωqp(n) = nΩqp(n)
(4.6.32)
n
s =
X
sn
[N , sn ] = n sn
n≥0
Assumiamo inoltre che l’operatore N commuti col differenziale esterno d allora:
- s0 è nilpotente;
(4.6.33)
105
- la comologia di s è isomorfa ad un sottospazio della comologia di s0 e analogo discorso
si applica alla comologia di s modulo d.
L’utilità del teorema (4.6.1) è evidente: grazie a questo sarà infatti possibile approntare
degli opportuni operatori di filtrazione che diano luogo a degli operatori di BRST s0 semplificati, il cui calcolo della comologia risulti semplice, per poi ottenere i cocicli dell’operatore
s originale; ai quali i cocicli dell’operatore s0 risultano (eventualmente) isomorfi.
Nella prossima sotto-sezione affronteremo preliminarmente il caso semplificato n = 1,
in cui quindi cercheremo i cocicli di BRST ottenuti tramite i campi ξ,µ e ρ; questo conto
verrà effettuato per diverse ragioni: in primo luogo ci consentirà di fornire un esempio
concreto molto semplice dell’uso del teorema (4.6.1); in secondo luogo, malgrado un problema
analogo sia stato affrontato e risolto in letteratura (fornendo il ben noto cociclo di Gel’fandFuchs), non è disponibile alcun articolo in letteratura che consideri la situazione in cui
è presente, oltre al Beltrami µ ed al ghost ξ anche con il campo ρ che è specifico della
teoria di HCS. Pertanto si metteranno in evidenza, in quanto segue, le differenze che si
ottengono considerando l’aggiunta di questo campo. Inoltre, anche per quanto riguarda il
cociclo di Gel’fand-Fuchs, il metodo che presenteremo è più semplice di quello normalmente
rintracciabile in letteratura [35]. Infine, alcune delle idee sviluppate per n = 1, saranno
generalizzate al caso di reale interesse con n = 3.
Il caso unidimensionale
Nel caso n = 1 i campi a disposizione sono dunque ξ, µ e ρ, per utilità successiva definiamo
anche φ ≡ ln ρ, inoltre le anomalie di una teoria unidimensionale sono, a livello di zero-forme,
scalari di numero di ghost 3.
Ricordiamo le leggi di trasformazione per diffeomorfismi dei campi suddetti:
s ξ = ξ∂ξ;
¯ + ξ∂µ − ∂ξµ;
s µ = ∂ξ
s ρ = ∂ξρ + ξ∂ρ;
s φ = ξ∂φ + ∂ξ.
(4.6.34)
Definiamo l’operatore di filtrazione N :
N =
Z
d2 z
ξ(z, z̄)
δ
δ
δ
+ µ(z, z̄)
+ φ(z, z̄)
δξ(z, z̄)
δµ(z, z̄)
δφ(z, z̄)
(4.6.35)
e si verifica direttamente:
s = s0 + s1 ;
s0 ξ = 0;
¯
s0 µ = ∂ξ;
s0 φ = ∂ξ
(4.6.36)
Nel seguito useremo le notazioni:
ξn,m ≡ ∂ n ∂¯m ξ
µn,m ≡ ∂ n ∂¯m µ
φn,m ≡ ∂ n ∂¯m φ
n + m > 0;
(4.6.37)
106
Le trasformazioni per s0 delle espressioni appena introdotte sono:
s0 ξn,m = 0
s0 µn,m = ξn,m + 1
s0 φn,m = ξn + 1,m
(4.6.38)
Dalla (4.6.38) si deduce che (ξn,m + 1 , µn,m ; ξn + 1,m , φn,m ) costituiscono doppietti di BRST
e quindi la comologia non può dipendere da questi. Concludendo la comologia di s0 è
costituita dal solo campo ξ che però non permette di costruire delle funzioni di ghost-number
3 come voluto. Concludiamo così che, nel caso n = 1, non vi sono cocicli di BRST con le
caratteristiche richieste.
Per concludere vogliamo ora trovare a quale cociclo dell’operatore di BRST completo s
corrisponda il cociclo di s0 che abbiamo appena trovato (ammesso che tale corrispondenza
esista visto che il teorema (4.6.1) non garantisce che ad ogni cociclo di s0 corrisponda
necessariamente un cociclo di s).
A tal fine, notiamo che il prodotto ξ · ρ costituisce comologia per l’operatore s completo;
pertanto l’isomorfismo dalla comologia di s0 alla comologia di s, citato dal teorema (4.6.1),
viene in questo caso identificato dal prodotto con ρ.
Notiamo che in un contesto in cui il campo ρ è assente le derivate olomorfe di ξ diventano
comologia per s0 ; i cocicli di numero di ghost 3 e grado di forma 0 devono contenere 3 ξ e
tre derivate. L’unica possibilità è
(0)
a3
= ξ∂ξ∂ 2 ξ
(4.6.39)
che è in effetti il celebrato cociclo di Gel’fand-Fuchs.
Il caso tridimensionale
Passiamo ora a discutere il caso di interesse n = 3, e restringiamo da subito l’attenzione alla
sola ricerca dei cocicli scalari di numero di ghost 7 (che definiscono le possibili anomalie
della teoria); l’operatore di filtrazione introdotto per n = 1 si può esportare al contesto
tridimensionale:
s0 ξ i = 0
s0 µi = ∂¯ ξ i
s0 φ = ∂i ξ i
(4.6.40)
nelle quali nuovamente abbiamo definito φ ≡ logρ.
La (4.6.40) mostra che le derivate antiolomorfe di ξ i sono BRST-banali così come le
divergenze di ξ i , pertanto concludiamo che, per la ricerca dei possibili cocicli, ci si può
restringere al solo insieme costituito da:
n
ξ i , ∂j1 ξ i , ∂j1 ∂j2 ξ i , ∂j1 ∂j2 . . . ∂jn ξ i · · ·
o
(4.6.41)
con la restrizione:
∂i ∂j1 . . . ∂jn ξ i ≡ 0
(4.6.42)
per procedere introduciamo quindi la notazione
Cii1 i2 ...in = ∂i1 ∂i2 · · · ∂in ξ i
(4.6.43)
107
con i vincoli
Ciii 2 ,...in ≡ 0
(4.6.44)
Al fine di cercare la comologia di s nello spazio dei funzionali di numero di ghost 7 e
(0)
scalari Ω7 , è conveniente introdurre una nozione di grado in questo spazio, che sia dato
dal numero di ghost non derivati presenti nel funzionale considerato (ovviamente, vista
l’anticommutatività degli ξ, si potrà avere al più funzionali di terzo grado); pertanto, il
(0)
generico funzionale Ω7 si scinde nella somma
(0)
Ω7
= Ω7,3 + Ω7,2 + Ω7,1 + Ω7,0
(4.6.45)
Per procedere, restringiamo ora l’attenzione ai soli cocicli con carica 3: è evidente che
questi assumono la forma
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Ωi1 i2 i3
(4.6.46)
in cui con Ωi1 i2 i3 si è indicata una tre-forma avente numero di ghost 4 e carica 0. Ne consegue
dunque che Ωi1 i2 i3 deve essere il prodotto di 4 Cii1 i2 ...in con n > 0, e così la struttura generale
degli Ω7,3 è del tipo
l
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 ··· Cij2 ··· Cik3 ··· C···
(4.6.47)
dove con i puntini di sospensione si sono indicati i possibili punti dove possono essere inseriti
gli indici i,j,k,l da saturare.
l per via del vincolo (4.6.44), poniamolo
Dal momento che l’indice l non può stare in C...
k
14
arbitrariamente in Ci3 .... , ottenendo dunque:
l
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 ··· Cij2 ··· Cik3 l··· C···
(4.6.48)
l è necessario porre almeno un indice (altrimenti il cociclo in questione
Ovviamente in C...
avrebbe carica 4 anzichè 3 come necessario), e le due scelte a priori inequivalenti sono
costituite da:
(I)
l
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 ··· Cij2 ··· Cik3 l··· Ci···
(II)
l
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 ··· Cij2 ··· Cik3 l··· Ck···
(4.6.49)
Con la prima scelta vi sono ancora da decidere dove mettere gli indici j e k. Con la
seconda sono invece ancora da piazzare i e j. Dal momento che ogni indice ha tre possibili
posti in cui può essere piazzato ci si aspetta a prima vista 9 strutture tensoriali per ogni
l vi è un
tipologia (I o II). Comunque consideriamo la struttura I: se j è posto sotto Ci...
ulteriore simmetria per scambio di i1 con i2 , concludiamo quindi che vi sono 2 e non 3
scelte inequivalenti per k. Pertanto i cocicli di tipo I inequivalenti sono 8, come di seguito
14
Le altre possibili scelte sono equivalenti grazie all’antisimmetrizzazione rispetto a i1 , i2 e i3 .
108
riportato:
(I1)
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 jk Cij2 Cik3 l Cil
(I2)
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 k Cik3 l Cil
(I3)
l
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 Cik3 l Cik
(I4)
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 k Cij2 Cik3 jl Cil
(I5)
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 k Cik3 jl Cil
(I6)
l
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 jl Cik
(I7)
l
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 l Cijk
(I8)
l
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 k Cij2 Cik3 l Cij
(4.6.50)
Mentre invece, in prima analisi, le possibili scelte inequivalenti di tipo II sono
rappresentate dai tensori:
(II1)
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 i Cik3 l Ckl
(II2)
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 i Cik3 lj Ckl
(II3)
l
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 i Cik3 l Ckj
(II4)
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 Cik3 li Ckl
(II5)
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 lij Ckl
(II6)
l
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 li Ckj
(II7)
l
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 Cik3 l Cki
(II8)
l
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 lj Cki
(II9)
l
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 l Ckij
Ω7,3
Ω7,3
Ω7,3
Ω7,3
Ω7,3
Ω7,3
Ω7,3
Ω7,3
Ω7,3
(4.6.51)
tuttavia con calcolo diretto si verificano le equivalenze:
(II2)
Ω7,3
(I6)
(II4)
∼ Ω7,3
(II6)
Ω7,3 ∼ Ω7,3
(II9)
Ω7,3
(I3)
(II8)
∼ Ω7,3
(I7)
∼ Ω7,3
(II3)
Ω7,3 ∼ Ω7,3
(II7)
∼ Ω7,3
(4.6.52)
e dunque le strutture di tipo II realmente inequivalenti si riducono a 3
(II1)
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 i Cik3 l Ckl
(II2)
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 i Cik3 lj Ckl
(II5)
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 Cij2 Cik3 lij Ckl
Ω7,3
Ω7,3
Ω7,3
(4.6.53)
109
Passiamo ora a valutare l’azione di s sugli 11 monomi Ω7,3 appena scritti. Ancora una
volta decomponiamo l’azione di s sui tensori C (n) ≡ Cii1 i2 ...in in s0 e s1 , in accordo alla carica
prima introdotta:
s = s0 + s1
(4.6.54)
in cui s0 e s1 incrementano la carica di 0 e 1 rispettivamente:
s1 ξ i = 0
i
s1 Cii1 = ξ j Cji
1
···
i
s1 Cii1 ...in = ξ j Cji
1 ...in
(4.6.55)
e
s0 ξ i = −Mji ξ j = RM (ξ i )
1
1
s0 Cii1 = −Mji Cij1 = RM (Cii1 ) = RM (Cii1 ) − RM (Cii1 ) = RM (Cii1 ) − (M 2 )ii1
2
2
j
j
j
i
i
i
i
s0 Ci1 i2 = −Mj Ci1 i2 + Mi2 Ci1 j + Mi1 Ci2 j = RM (Cii1 i2 )
s0 Cii1 i2 i3 = −Mji Cij1 i2 i3 + Mij2 Cii3 i1 j + Mij1 Cii2 i3 j + Mij3 Cii1 i2 j +
i
i
i
+Cij1 i2 Cji
+ Cij2 i3 Cji
+ Cij2 i3 Cji
=
3
1
1
i
i
i
= RM (Cii1 ...in ) + Cij1 i2 Cji
+ Cij2 i3 Cji
+ Cij2 i3 Cji
3
1
1
(4.6.56)
nelle quali Mji = Cji e si è indicato con RM la rotazione con la matrice M . Pertanto sul
generico tensore C (n) l’azione di s prende la forma:
sC
(n)
= iξ C
(n+1)
+ RM (C
(n)
)+
n−1
X
C (k) C (n+1−k)
n≥2
(4.6.57)
k=2
nella quale si è indicato con iξ la contrazione col vettore ξ i
iξ (C (n+1) ) = ξ · C (n+1)
(4.6.58)
Con calcolo diretto si può osservare che si ha:
s21 = 0
(4.6.59)
e così, la richiesta di nilpotenza di s, conduce all’espressione:
{s1 , s0 } + s20 = 0
(4.6.60)
tuttavia, dal momento che s1 ed s0 portano cariche diverse (0 e 1), la (4.6.60) dà luogo alle
due equazioni più restrittive
s20 = 0 = {s1 , s0 }
(4.6.61)
notiamo che le equazioni (4.6.59) e (4.6.61) sono esattamente le stesse relazioni algebriche
soddisfatte tra l’operatore s e l’operatore d, le quali sono alla base della possibilità di scrivere
equazioni di discesa per la comologia di s modulo d. Questo fatto avrà ripercussioni in
seguito, quando cercheremo di trovare i cocicli di s corrispondenti ad un particolare cociclo
110
di s1 ; ci troveremo infatti di fronte ad equazioni di discesa non dissimili da quanto già
studiato nelle teorie precedenti per la comologia di s modulo d.
Stanti queste premesse, passiamo a calcolare l’azione di s1 sugli 11 monomi Ω7,3
(a)
(I7)
(II5)
l
P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (C i ) iξ (C j ) iξ (Clk ) iξ (Cijk
) = s1 Ω7,3
2
(b1)
(II1)
(b2)
(I2)
(c1)
(I1)
(I4)
(I8)
(c2)
(I3)
(I5)
(II2)
P8,4 = s1 Ω7,3
= −iξ (Cji ) iξ (Cij ) iξ (Clk ) iξ (Ckl ) = − Tr F̂ 2
P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (Cji ) iξ (Ckj ) iξ (Clk ) iξ (Cil ) = −Tr F̂ 4
i
) iξ (C j ) iξ (Clk ) iξ (Cil ) = s1 Ω7,3 = s1 Ω7
P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (Cjk
l
P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (Cik
) iξ (C j ) iξ (Cji ) iξ (Clk ) = s1 Ω7,3 = s1 Ω7,3
(d)
(I6)
k
l
P8,4 = s1 Ω7,3 = −iξ (C i ) iξ (C j ) iξ (Cjl
) iξ (Cik
)
(4.6.62)
e pertanto il kernel di s1 sullo spazio generato dagli Ω7,3 , è formato dai monomi:
(I7)
ker s1 = {Ω7
(I3)
Ω7
(I5)
− Ω7
(II5)
(I1)
− Ω7
, Ω7
(I3)
(II2)
, Ω7
− Ω7
(I4)
− Ω7
(I1)
, Ω7
(I8)
− Ω7
,
(4.6.63)
}
In linea di principio si possono avere due tipi di cocicli di s1 : il primo tipo corrisponde
a cocicli appartenenti al kernel penta-dimensionale appena scritto, che però non siano
s1 -banali. Il secondo tipo corrisponde invece a monomi, la cui immagine giaccia nello spazio
sei-dimensionale generato dai monomi P8,4 di numero di ghost 8 e carica 4 prima introdotti.
Non vi sono cocicli del primo tipo. Questo asserto può essere mostrato verificando che
tutti i generatori che appaiono nella (4.6.63) sono s1 -esatti:
(I1)
(I8)
i
l
Ω7,3 − Ω7,3 = −iξ (Cjk
) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cil + iξ (Cki ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cij
=
i
= − s1 Cjk
iξ (C j ) iξ (Clk ) Cil
(I1)
(I4)
i
k
Ω7,3 − Ω7,3 = −iξ (Cjk
) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cil + iξ (Cki ) iξ (C j ) iξ (Cjl
) Cil =
k
= s1 Cki iξ (C j ) iξ (Cjl
) Cil
(I3)
(I5)
l
k
Ω7,3 − Ω7,3 = −iξ (Cji ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cik
+ iξ (C i ) iξ (Ckj ) iξ (Cjl
) Cil =
k
= s1 iξ (C i ) iξ (Ckj ) Cjl
Cil
(I3)
(II2)
Ω7,3 − Ω7,3
l
= −iξ (Cji ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cik
+ iξ (C i ) iξ (Cij ) iξ (Cljk ) Ckl =
k
= s1 iξ (C i ) iξ (Cij ) Cjl
Ckl
(I7)
(II5)
Ω7,3 − Ω7,3
l
k
= −iξ (C i ) iξ (C j ) iξ (Clk ) Cijk
+ iξ (C i ) iξ (C j ) iξ (Clij
) Ckl =
k
= s1 iξ (C i ) iξ (C j ) Clij
Ckl
(4.6.64)
pertanto concludiamo che la comologia di s1 è generata interamente dai cocicli del secondo
tipo.
Discusso il problema comologico di s1 a livello degli Ω7,3 , andiamo a vedere come questa
(0)
comologia sia legata alla comologia dell’operatore s completo. La richiesta che l’Ω7 completo
111
sia s chiuso (modulo i vincoli) è matematicamente formulabile nell’equazione di discesa:
s1 Ω7,3 = P8,4
s0 Ω7,3 = − s1 Ω7,2
s0 Ω7,2 = − s1 Ω7,1
s0 Ω7,1 = − s1 Ω7,0
s0 Ω7,0 = 0
(4.6.65)
nella quale, se P8,4 è nullo si ha un cociclo di primo tipo, in caso contrario si ha un cociclo
di secondo tipo. Dalle prime due equazioni otteniamo la relazione
s1 s0 Ω7,3 = 0 = − s0 P8,4
(4.6.66)
pertanto una condizione necessaria affinchè ad Ω7,3 corrisponda un cociclo di s (del secondo
tipo) è che il corrispondente P8,4 sia s0 invariante (senza i vincoli).
(b1)
(b2)
P8
e P8
dipendono solo da tensori di tipo C (2) , sui quali l’azione di s si riduce
a s = s1 + RM : pertanto questi sono s0 invarianti e corrispondono quindi a cocicli di s.
Considerando ora i rimanenti s1 cocicli, si ha
(a)
s0 P8,4 = A3,1,0,1 + A2,2,1,0
(c1)
s0 P8,4 = B2,2,1,0 + A1,4,0,0
(c2)
s0 P8,4 = C2,2,1,0 + B1,4,0,0
(d)
s0 P8,4 = A3,0,2,0 + D2,2,1,0
(4.6.67)
nella quale An1 ,n2 ,n3 ,n4 denotano monomi del tipo (C (1) )n1 (C (2) )n2 (C (3) )n3 (C (4) )n4 e
similmente per B,C e D.
Poichè nè A3,1,0,1 nè A3,0,2,0 si annullano, la sola combinazione lineare che può essere
(c1)
(c2)
s0 -invariante coinvolge P8,4 e P8,4 :
(c1)
q
q
q
i
i
i
s0 P8,4 = ξ p Cpj
Cqk
+ Ckp
Cqj
+ Cjk
Cqp
iξ (C j ) +
i
+iξ (Cjk
) ξ p Cqj Cpq iξ (Clk ) iξ (Cil )
(c2)
q
q
q
l
l
l
s0 P8,4 = ξ p Cpi
Cqk
+ Ckp
Cqi
+ Cik
Cqp
iξ (C j ) +
l
+iξ (Cik
) ξ p Cqj Cpq iξ (Cji ) iξ (Clk )
(4.6.68)
Così
i
k
l
B2,2,1,0 = ξ m ξ p ξ n ξ r Cmjk
Cnl
Cri
Cqj Cpq
l
i
k
C2,2,1,0 = ξ m ξ p ξ n ξ r Cmik
Cnj
Crl
Cqj Cpq =
i
k
l
= ξ m ξ p ξ n ξ r Cmlk
Cnj
Crk
Cqj Cpq
(4.6.69)
dalla quale si vede che le due strutture tensoriali sono inequivalenti. In conclusione solamente
(II1)
Ω7,3
(I2)
= ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 i Cik3 l Ckl
Ω7,3 = ξ i1 ξ i2 ξ i3 Cii1 j Cij2 k Cik3 l Cil
(4.6.70)
112
(b1)
(b2)
che corrispondono rispettivamente a P8,4 e P8,4 possono essere cocicli (del secondo tipo)
di s.
(II1)
(I2)
Ω7,3 e Ω7,3 definiscono effettivamente dei cocicli di s se esistono dei corrispondenti
Ω7,2 , Ω7,1 e Ω7,0 che soddisfano la discesa (4.6.65). Per dimostrare questo fatto, osserviamo
che le catene (4.6.70) sono polinomi invarianti delle matrici
Mij ≡ Cij
Fij ≡ ξ k ∂k ∂i ξ j
(4.6.71)
L’azione di s si chiude sulle matrici M e F
s M = M2 + F
s F = [M, F ]
(4.6.72)
ed, in particolare,
s1 M = F
s1 F = 0
s0 M = RM (M ) − M 2
s0 F = RM (F )
(4.6.73)
Pertanto sullo spazio dei polinomi invarianti di M ed F s1 è evidentemente triviale. Questo
(II1)
(I2)
garantisce che la (4.6.66) per Ω7,3 e Ω7,3 ammette la soluzione
(II1,I2)
s0 Ω7,3
= − s1 ΩII1,I2
7,2
(4.6.74)
e, continuando, permette di risolvere la discesa (4.6.65). In conclusione la comologia di s di
(b1)
(b2)
ghost number 7 è associata ai due cocicli P8,4 e P8,4 .
Appendice A
Superfici di Riemann e il teorema
di Riemann-Roch
In questa appendice ci preoccuperemo di raccogliere alcuni risultati riguardo le superfici
di Riemann, risultati che sono stati enunciati ed utilizzati in vari punti della tesi in modo
sparso.
Scopo dell’appendice non sarà quindi tanto di provvedere ad un’introduzione organica
e completa all’argomento delle superfici di Riemann (per la quale si rimanda alla vasta
letteratura), bensì di fornire una collezione dei vari risultati utilizzati nella tesi, in modo che
possa servire per rapide consultazioni durante la lettura della tesi stessa (insieme ai richiami
bibliografici per i necessari approfondimenti quando necessario).
Scendendo nel dettaglio, in queste pagine forniremo la definizione precisa di superficie di
Riemann, contestualmente ad alcune definizioni di carattere topologico e differenziale come la
nozione di genere di una superficie di Riemann compatta, e la definizione di spazio dei moduli
e di conformal killing group. Approntate queste definizioni, verrà enunciato l’importante
teorema di Riemann-Roch, il quale costituisce uno strumento utile per determinare la
dimensione dello spazio dei moduli e del conformal killing group di una superficie di
Riemann. In ultimo, mostreremo esplicitamente come ricavare la dimensione dello spazio dei
moduli e del conformal killing group per le due superfici di Riemann di maggiore interesse
in teoria di stringa: la sfera e il toro. Non sarà invece richiamata in questa appendice la
costruzione esplicita dello spazio dei moduli del toro; per questo argomento (e molto altro)
si rimanda ad esempio, al testo [61].
A.1
Definizioni generali
Cominciamo col ricordare che definiremo superficie di Riemann una qualunque varietà differenziabile che abbia dimensione reale 2 (e quindi corrispondentemente dimensione complessa
1), e sulla quale sia possibile porre una struttura complessa, ossia sulla quale sia possibile
distinguere tra coordinata olomorfa e antiolomorfa (z, z̄) in modo che questa distinzione
sia preservata
percambi di carte locali; ossia, date due qualunque carte locali complesse
α
α
(z , U ) e z β , U β , se le funzioni di transizione fαβ sono olomorfe (ossia dipendenti dalla
sola z).
Stante questa definizione, vogliamo ora addentrarci nel problema della classificazione,
ossia vogliamo andare a valutare quando due superfici differenti M e M 0 siano identificabili e,
più in dettaglio, vogliamo distinguere tra quando l’identificazione sia solo a livello topologico,
113
114
e quando sussista pure l’identificazione a livello differenziale. Nel discutere questo aspetto
vedremo che sorgono naturali le definizioni di genere topologico e di spazio dei moduli.
Da un punto di vista topologico, diremo che M e M 0 sono identificabili se esiste un
applicazione bigettiva e bicontinua ψ tra le due
ψ : M → M0
(A.1.1)
un’applicazione con le caratteristiche richieste verrà detto omeomorfismo, e due superfici
identificabili dal punto di vista topologico saranno dette omeomorfe.
Dal punto di vista invece analitico (o differenziale) due superfici M e M 0 saranno
considerate equivalenti se l’applicazione ψ della (A.1.1) non solo costituisce un omeomorfismo,
ma è anche differenziabile rispetto alle due strutture complesse poste su M e M 0 , ossia diremo
se ψ costituisce un diffeomorfismo. Come si vede immediatamente, l’identificazione analitica
pone restrizioni più forti sull’applicazione ψ rispetto alla sola identificazione topologica,
pertanto è possibile che due superfici equivalenti dal punto di vista topologico non lo siano
dal punto di vista analitico. Come abbiamo già discusso nel corso del capitolo sulle teorie di
stringa, definiamo spazio dei moduli l’insieme delle superfici di Riemann equivalenti dal punto
di vista topologico ma inequivalenti dal punto di vista differenziale, oppure equivalentemente
l’insieme delle superfici di Riemann omeomorfe ma che non possono essere rese diffeomorfe
tramite un’opportuna trasformazione conforme, ossia lo spazio definito dal quoziente (2.1.23)
Mg =
[d g]
Vdiff VWeyl
(A.1.2)
Stante la caratterizzazione del problema, ci preoccuperemo per prima cosa di fornire un
criterio che consenta di classificare le superfici omeomorfe, restringendoci per semplicità nel
seguito a considerare solamente superfici chiuse e compatte. Da un punto di vista intuitivo,
due superfici sono topologicamente equivalenti se queste hanno, a meno di deformazioni, la
medesima forma. D’altro canto, se si pensa alle sole superfici chiuse e compatte, è piuttosto
evidente che, a meno di deformazioni, due superfici hanno la medesima forma se e solo se
queste hanno lo stesso numero di buchi ˝; per esempio una superficie priva di buchi potrà
essere deformata in una sfera, ma non potrà essere deformata fino ad assumere la forma di
un toro e così via. Questa argomentazione di carattere intuitivo, ci porta a comprendere che,
da un punto di vista topologico, le superfici chiuse e compatte possono essere classificate a
seconda del numero di buchi presenti; nel seguito andremo quindi a definire in maniera più
rigorosa questo concetto, introducendo la nozione di genere topologico g, che è un intero che
conta il numero di buchi presenti nella superficie di Riemann in questione.
Per procedere in questa direzione, daremo alcune nozioni di omotopia, tramite la quale
riusciremo a fornire una definizione precisa di genere topologico. Stante questo programma
consideriamo una superficie di Riemann M e consideriamo due punti su questa p e q.
Definiamo quindi un cammino α da p a q una qualunque applicazione continua
α:I→M
t.c.
α(0) = p, α(1) = q
(A.1.3)
approntata questa definizione, definiremo loop un qualunque cammino chiuso ossia un
cammino i cui punti iniziale e finale coincidono.
Nello spazio di tutti i possibili cammini da p a q (o equivalentemente nello spazio di tutti
i possibili loop da p in se stesso) introduciamo poi una relazione di equivalenza, considerando
equivalenti due cammini che possano essere deformati in maniera continua l’uno nell’altro;
stante questa equivalenza, definiremo classe di omotopia una classe di equivalenza tra
cammini o loop.
115
Restringendo ora l’attenzione ai soli loop con base nel punto p, definiamo il gruppo
fondamentale di M rispetto a p denotandolo con la notazione π (M, p), l’insieme dato da
tutte le classi di omotopia di loop con base nel punto p. Sfruttando la composizione di
cammini, si può poi mostrare che π (M, p) è fornito di una struttura di gruppo (da cui il
nome di gruppo fondamentale) e che inoltre i vari gruppi fondamentali con basi in punti
diversi sono tutti isomorfi tra loro; in particolare, grazie a quest’ultima proprietà, si può di
fatto parlare di gruppo fondamentale di M senza specificare il punto base π(M ).
Definito il concetto di gruppo fondamentale, è ora piuttosto evidente che in esso è
contenuta l’informazione sul numero di buchi presenti nella superficie: ad esempio, in una
superficie priva di buchi come una sfera, è evidente che qualunque loop è equivalente a tutti
gli altri e che in particolare può essere contratto ad un punto; mentre ad esempio in un
toro vi sono tre classi di equivalenza distinte (l’identità e due cammini non banali) e così
via. In particolare, ci si accorge immediatamente che, al crescere del numero dei buchi,
cresce anche il numero di loop inequivalenti per omotopia, e che nello specifico ogni buco
aggiuntivo incrementa di due il numero di cammini inequivalenti per omotopia. Stante
questa considerazione, e ricordando che per ogni superficie di Riemann vi è sempre almeno
la classe di equivalenza banale costituita dall’identità, e denotando con n il numerod i classi
di equivalenza presenti nel gruppo fondamentale di M , otteniamo la seguente equazione per
il genere topologico g della superficie M
g =
n−1
2
(A.1.4)
Riassumendo, in questa sezione abbiamo introdotto le superfici di Riemann, e fornito le
bassi del problema della loro classificazione topologica ed analitica, discutendo anche come,
la classificazione analitica, ponga condizoni più restrittive della classificazione topologica,
e che pertanto in generale vi sono superfici equivalenti dal punto di vista topologico ma
inequivaenti dla punto di visa analitico, abbiamo anche visto come questa disitnzione
definisca naturalmente lo spazio dei moduli. Infine ci siamo preoccupati di analizzare più in
dettaglio la classificazione topologica, definendo il gruppo fondamentale e di conseguenza il
genere topologico di una superficie compatta e chiusa.
Nella prossima sezione ci preoccuperemo di analizzare meglio lo spazio dei moduli di una
superficie di Riemann compatta di genere g e, per questo motivo, introdurremo l’importante
teorema di Riemann-Roch.
A.2
Spazio dei moduli e teorema di Riemann-Roch
Passiamo quindi a discutere lo spazio dei moduli di superfici di Riemann, come abbiamo visto
nel capitolo sulle teorie di stringa, gli elementi dello spazio dei moduli sono identificabili con
lo spazio delle due-forme olomorfe globalmente definite sulla superficie M , contestualmente
abbiamo anche visto come caratterizzare i conformal killing vectors, che identificano le
trasformazioni di gauge non fissate dal gauge-fixing, e che possono essere visti come campi
vettoriali olomorfi globalmente definiti.
Le dimensioni di questi due spazi, sono date dal teorema di Riemann-Roch, teorema che
assume la forma
dimH 0 (X, T ) − dimH 1 (X, T ) = −3g + 3.
dove con H 0 (X, T ) abbiamo indicato lo spazio dei campi vettoriali olomorfi, mentre con
H 1 (X, T ) si intende lo spazio delle due forme olomorfe.
116
In altri termini il teorema di Riemann-Roch fornisce informazioni sulla differenza tra
il numero di moduli e il numero di CKV per una superficie di un dato genere topologico.
L’utilità del teorema risiede nel fatto che, in generale, è piuttosto semplice identificare il
numero dei campi vettoriali olomorfi globalmente definiti su una data superficie compatta,
ottenuta questa informazione il teorema di Riemann-Roch consente poi di dedurre la
dimensione dello spazio dei moduli. Stante il teorema appena enunciato ne mostreremo l’uso
esplicito nel caso della sfera e del toro.
A.2.1
La sfera e il toro
Analizziamo in dettaglio la costruzione dei campi vettoriali globali ed olomorfi per g = 0
e per g = 1 ossia per la sfera di Riemann e il toro rispettivamente. Partendo con la sfera
siano z e w le coordinate nelle carte U0 := P1 \{∞} e U1 := P1 \{0}, con trasformazione tra
le due data dalla relazione
1
w=
z
Si verifica banalmente che dz è un differenziale meromorfo (ossia olomorfo eccetto che
per un nu) globalmente definito rappresentato dalla coppia di funzioni meromorfe:
1, −
1
w2
pertanto la coppia di funzioni inverse definisce un campo vettoriale che risulta ovviamente
olomorfo in quanto non presenta poli:
(1, −w2 )
diventa ora molto facile, tramite moltiplicazione, ottenere altri due campi olomorfi
linearmente indipendenti
(z, −w) e (z 2 , −1)
che descritti localmente su U0 sono:
∂
∂z
z
∂
∂z
z2
∂
∂z
ovviamente la procedura non può proseguire poich� ulteriori moltiplicazioni farebbero
sorgere singolarità in una delle due carte locali.
Notiamo, per calcolo diretto, che i commutatori di questi tre campi soddisfano un algebra
chiusa:
∂ ∂
∂
z ,
=− ,
∂z ∂z
∂z
∂ 2 ∂
∂
,z
= z2 ,
∂z
∂z
∂z
z
∂ ∂
∂
z
,
= −2z
∂z ∂z
∂z
2
la quale, a meno di semplici moltiplicazioni per fattori costanti, è la ben nota algebra di
SL (2, C) che è proprio il ricoprimento universale del gruppo dei diffeomorfismi olomorfi su
tutta la sfera.
117
Passando al toro ricordiamo che esso si può descrivere come il piano complesso
identificando i punti secondo le relazioni:
z ≡ z + 2π ≡ z + 2πτ
dove τ è il modulo complesso del toro. Pertanto si vede immediatamente che tutti i campi
vettoriali del tipo
∂
c
c∈C
∂z
sono globalmente definiti ed olomorfi; altri campi non possono essere costruiti in quanto
non soddisferebbero le richieste condizioni di periodicità.
Riassumendo, abbiamo mostrato che sulla sfera sono presenti tre campi vettoriali olomorfi
globalmente definiti, mentre sul toro vi è un solo campo vettoriale.
Combinando questi risultati col teorema di Riemann-Roch, e ricordando che per g ≥ 2
non vi sono campi vettoriali olomorfi e globalmente definiti, otteniamo la seguente tabella
riassuntiva per la dimensione dello spazio dei moduli Mg
dim Mg = 0
g=0
dim Mg = 1
g=1
dim Mg = 3g − 3
g>1
(A.2.1)
Bibliografia
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model of electroweak interactions, Milano, Italia: Springer (2006) 139 p.
[2] E. Witten, Topological Quantum Field Theory, Commun. Math. Phys. 117 (1988) 353.
[3] S. K. Donaldson e P. B. Kronheimer, The Geometry of Four-Manifolds, Clarendon
Press, Oxford, 1990.
[4] A. Floer, Morse Theory for Fixed-Points of Symplectic Diffeomorphisms, Bull. AMS
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