La leucemia acuta - Ematologia La Sapienza

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La leucemia acuta - Ematologia La Sapienza
EMATOLOGIA
1
direttori della collana
Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati
LA LEUCEMIA ACUTA:
DALLA BIOLOGIA ALLE TERAPIE
Maria Concetta Petti
Ematologia
Dipartimento di Biopatologia Umana
Università “La Sapienza” - Roma
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EMATOLOGIA
DIRETTORI DELLA COLLANA
Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati
Ematologia
Dipartimento di Biopatologia Umana
Università “La Sapienza” Roma
REDAZIONE
P.zza della Vittoria, 15/1 - 16121 Genova
Tel. 010/5458611 - Fax 010/541761
COORDINAMENTO EDITORIALE
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IMPAGINAZIONE
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PROMOZIONE
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PROGETTO GRAFICO
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STAMPA
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DIREZIONE SCIENTIFICA
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DIREZIONE DIDATTICA
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INDICE
INTRODUZIONE
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CARATTERISTICHE BIOLOGICHE
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TERAPIA DELLE LEUCEMIE ACUTE
3
PROCEDURE TRAPIANTOLOGICHE
4
LA MALATTIA REFRATTARIA
5
TERAPIE MIRATE SU SOTTOTIPI BIOLOGICI
6
PROSPETTIVE FUTURE
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BIBLIOGRAFIA GENERALE
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LE DIAPOSITIVE
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ABBREVIAZIONI
ARA-C
ATRA
BCR
BMT
CIg
CTX
DFS
DNR
FAB
FISH
GM-CSF
GVHD
GVL
4HC
i.c.
IDA
IL
LAL
LAM
LAP
MDR
MITO
MoAb
6-MP
MTX
PCR
PDN
PML
RAR
RC
SIg
SNC
TBI
TCR
VCR
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citarabina
acido all-trans-retinoico
breakpoint cluster region
trapianto di midollo allogenico
immunoglobuline intracitoplasmatiche
ciclofosfamide
sopravvivenza libera da malattia
daunorubicina
french - american - british
fluorescent in situ hybridization
fattore stimolante la crescita di colonie di granulociti e
macrofagi
graft versus host disease
graft versus leukemia
4 idroperossi ciclofosfamide
infusione continua
idarubicina
interleuchina
leucemia acuta linfoide
leucemia acuta mieloide
leucemia acuta promielocitica
multidrug resistance
mitoxantrone
anticorpo monoclonale
6-mercaptopurina
metotressato
polymerase chain reaction
prednisone
promielocita
recettore dell’acido retinoico
remissione completa
Ig di superficie
sistema nervoso centrale
total body irradiation
T cell receptor
vincristina
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INTRODUZIONE
1.1 LA LEUCEMIA ACUTA O LE LEUCEMIE ACUTE?
Perché questa domanda? Con il termine di leucemia acuta ci si riferisce in realtà ad un ampio ed eterogeneo gruppo di neoplasie maligne
del sistema emopoietico, che originano dall’espansione clonale di cellule staminali molto alte, non ancora orientate o di progenitori orientati
in senso mieloide o linfoide, bloccati in un particolare stadio della differenziazione.
Il riscontro di alterazioni cromosomiche e molecolari e la dimostrazione
della perdita completa o parziale dei normali meccanismi di controllo
della proliferazione e della differenziazione cellulare indicano chiaramente che questa patologia è la conseguenza di mutazioni che possono coinvolgere la produzione dei fattori di crescita emopoietici e dei
loro recettori, i meccanismi di trasduzione dei segnali che regolano la
proliferazione e la differenziazione cellulare e/o la complessa rete che
controlla il ciclo cellulare e la morte cellulare programmata delle cellule
staminali emopoietiche a vari livelli maturativi.
Le attuali conoscenze delle funzioni dei geni che codificano per la produzione di proteine regolatrici della proliferazione e differenziazione
cellulare e della progressione nel ciclo cellulare hanno talora fornito la
chiave di comprensione del processo fisiopatologico che sottintende
alla leucemogenesi a livello molecolare e, soprattutto, hanno definitivamente chiarito che la “leucemia acuta” costituisce un gruppo di
patologie molto più ampio ed eterogeneo di quanto le sole
caratteristiche cliniche e morfologiche potessero suggerire .
Tuttavia i notevoli progressi raggiunti nella ricerca di base hanno avuto
fino ad ora solo un modesto impatto nel guidare le scelte terapeutiche,
mentre la ricerca clinica ha spesso offerto nuovi spunti alla ricerca di
base.
Attualmente è ben chiaro che la leucemia acuta è una malattia
curabile con possibilità di guarigione estremamente variabile.
La strategia terapeutica è progredita grazie all’identificazione (e continua ricerca) di farmaci attivi, all’impiego di programmi polichemioterapici sempre più articolati ed aggressivi, fino alle procedure trapiantologiche, che, grazie alla crescente comprensione del funzionamento del
sistema immunitario, possono oggi essere offerte ad un numero sempre maggiore di pazienti.
L’impiego sistematico di protocolli terapeutici standardizzati e prospettici in ampie casistiche ha permesso di riconoscere, grazie ad una
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diversa sensibilità ai farmaci utilizzati, che esistono delle differenze
biologiche anche nell’ambito di blasti leucemici apparentemente simili
e che pazienti apparentemente confrontabili per età ed altre caratteristiche cliniche possono rispondere in maniera molto diversa allo stesso approccio terapeutico. Per questo motivo la strategia terapeutica
rappresenta il più importante fattore prognostico della leucemia
acuta. Queste osservazioni hanno costituito la base per l’identificazione di fattori prognostici, clinici e biologici, su cui fondare nuove classificazioni della leucemia acuta e strategie terapeutiche possibilmente
mirate su queste caratteristiche. Questo programma si è dimostrato
vincente nelle terapie adottate sequenzialmente nella leucemia acuta
linfoide del bambino, consentendo di ottenere i migliori risultati possibili nel trattamento delle leucemie acute; nelle altre forme di leucemia,
invece, forse per una minore chiarezza nell’identificazione di caratteristiche di sicuro significato prognostico, l’impiego di programmi terapeutici “mirati” su precise caratteristiche biologiche è ancora agli albori con l’unica ec-cezione della leucemia acuta promielocitica.
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CARATTERISTICHE
BIOLOGICHE
2.1 IMMUNOFENOTIPO
Inizialmente la classificazione delle leucemie acute si è basata essenzialmente sulle caratteristiche morfologiche e citoenzimatiche delle
cellule leucemiche secondo i criteri stabiliti dal gruppo cooperativo
FAB, che identificava tre sottogruppi nell’ambito delle leucemie acute
linfoidi (LAL) e sette sottogruppi nell’ambito delle leucemie acute mieloidi (LAM), ai quali si sono successivamente aggiunti altri due sottogruppi con caratteristiche morfologiche peculiari M4Eo (M4 eosinofila)
e M3v (M3 variante). Tuttavia, la classificazione FAB, tuttora utilizzata
come “linguaggio comune”, individua sottogruppi di leucemia ancora
estremamente eterogenei dal punto di vista biologico ed ha dimostrato
di avere un significato prognostico molto limitato, se non del tutto
assente.
L’utilizzazione contemporanea di ampi pannelli di anticorpi monoclonali (MoAb) specifici, diretti verso le diverse proteine della membrana
cellulare ha consentito di identificare in maniera più precisa di quanto
non permettessero le tecniche citochimiche e citoenzimatiche, la linea
di derivazione e lo stadio maturativo in cui il processo leucemico “cristallizza” gli elementi neoplastici. Se infatti il criterio morfologico, nelle
LAM, permette di identificare sottogruppi di leucemie con morfologia
corrispondente a diversi stadi maturativi, solo l’analisi immunofenotipica ha consentito, nelle LAL, di identificare sottogruppi che corrispondono all’espansione clonale di progenitori di linea B o T bloccati a
diversi livelli maturativi. Lo studio immunofenotipico ha notevolmente
contribuito alla comprensione dell’ontogenesi normale del sistema
linfoide ed ha dimostrato che equivalenti normali delle cellule leucemiche proliferano e differenziano nei tessuti fetali, nel midollo osseo e
nel timo. I diversi tipi di LAL sembrano riflettere gli stadi sequenziali
dell’ontogenesi dei precursori linfoidi, ma le cellule leucemiche non
sono perfetti replicanti delle cellule normali e spesso il loro immunofenotipo dimostra un asincronismo nell’espressione dei vari geni. Queste
osservazioni confermano che la leucemogenesi comporta uno sbilanciamento tra la proliferazione e la differenziazione cellulare
nelle cellule staminali più o meno orientate, piuttosto che un
semplice arresto ad un particolare stadio maturativo.
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LEUCEMIE ACUTE LINFOIDI
Per mezzo dei MoAb si è potuto stabilire che circa l’85% delle LAL del
bambino ed il 75% delle LAL dell’adulto originano da precursori orientati verso la linea linfoide B, mentre circa il 15% delle LAL del bambino
ed il 20-25% delle LAL dell’adulto presentano un fenotipo T (1, 2).
In base alla caratterizzazione immunofenotipica, le LAL di linea B sono
distinte in: “early” pre B, pre B e B mature (Tabella 1). In assenza di
alterazioni citogenetiche sfavorevoli, l’immunofenotipo early pre B
caratterizza le LAL a migliore prognosi, in qualsiasi gruppo di età;
mentre il fenotipo B maturo identifica un gruppo di leucemie a prognosi particolarmente sfavorevole quando vengono trattate con i programmi terapeutici standard. Recentemente è stato descritto in una casistica pediatrica un quarto sottotipo denominato “pre B transizionale”,
con espressione di immunoglobuline con catene pesanti di superficie
(SIgm+), che potrebbe essere associato ad una prognosi favorevole (1).
Nell’ambito delle LAL di linea T si distinguono due sottogruppi in base
al grado di differenziazione intratimica o all’espressione delle proteine
correlate al T cell receptor: pre T, con espressione dell’antigene CD7
di superficie e CD3 intracitoplasmatico e le T mature, che esprimono il
CD3, il CD4 o il CD8 di superficie (Tabella 1). Questa distinzione nell’ambito delle LAL-T non ha la rilevanza prognostica dei sottogruppi di
linea B, anche se in alcune casistiche di pazienti adulti, il fenotipo pre
T è associato ad una prognosi meno favorevole (3).
Tabella 1
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LAL: caratteristiche immunofenotipiche e loro frequenza
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Sottotipo
Immunofenotipo
Early pre B
CD19+, CD22+, SIg-, CIgm(CD10+) TdT+, HLA-DR+
50
57
Pre B
CD19+, SIg-, CD24+, (CD10+)
HLA-DR+
20
25
B matura
SIg+, SIgm+ o SIgl+, CD21+
4
2
Pre T
CD7+, CD3+
6
5
T
CD1+, CD3+, CD7+, CD4+ o CD8+
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Frequenza (%)
adulti
bambini
LEUCEMIE ACUTE MIELOIDI
I MoAb che riconoscono antigeni mieloidi più comunemente utilizzati
sono gli anti CD13, CD14, CD15, CD33, CD41, CD42 e CDW65.
Tuttavia, l’espressione di marker immunologici è molto eterogenea
nelle LAM e non correla con un preciso stadio maturativo della linea
mieloide, pertanto la tipizzazione immunofenotipica presenta in genere
un limitato valore diagnostico nelle LAM con due importanti eccezioni:
l’identificazione della LAM M0, in cui i blasti sono morfologicamente e
citoenzimaticamente indifferenziati, ma esprimono marker di linea mieloide, e la migliore possibilità di diagnosticare la M7 (leucemia megacarioblastica) mediante MoAb che riconoscono antigeni piastrinici (glicoproteine di membrana Ib e IIb-IIIa).
LEUCEMIE BIFENOTIPICHE
L’impiego sistematico dei MoAb ha consentito infine di identificare un
gruppo di casi in cui cellule leucemiche a morfologia linfoide o mieloide
coesprimono antigeni di linea mieloide e linfoide. Non è ancora chiaro
se queste leucemie bifenotipiche siano la conseguenza di un’aberrante
espressione genica conseguente al processo leucemico (4) o derivino
dalla trasformazione leucemica di una cellula staminale multipotente,
che normalmente coesprime geni specifici di linee diverse (5). In base
ai criteri morfologici del FAB queste forme vengono definite come LAM
con espressione di antigeni linfoidi o LAL con espressione di antigeni
mieloidi. Dato che non esistono criteri di valutazione uniformi, la frequenza di queste forme varia, a seconda delle casistiche, dal 17 al
60% dei casi delle LAM (6-8) e dal 6 al 22% dei casi delle LAL (6, 910). L’espressione di antigeni di linea diversa non è attualmente considerata un fattore prognosticamente sfavorevole (11-14), anche se alcuni autori hanno segnalato una peggiore prognosi per i pazienti con LAL
con espressione di antigeni mieloidi (9-10,15).
2.2 CITOGENETICA E BIOLOGIA MOLECOLARE
Alterazioni cromosomiche clonali sono presenti in circa il 60-90% di
casi di leucemia acuta e virtualmente si può affermare che forse in
tutti i casi è presente un’alterazione, anche se le attuali tecniche non
riescono ad identificarla. Le alterazioni del cariotipo delle cellule leucemiche indicano la sede della lesione molecolare coinvolta nella trasformazione leucemica ed hanno un fondamentale ruolo diagnostico e
prognostico. Le traslocazioni infatti provocano la deregolazione di geni
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potenzialmente oncogeni attraverso diversi meccanismi. In alcuni casi
la formazione di geni di fusione dà luogo alla formazione di mRNA chimerici, che spesso codificano per proteine chimeriche. In altri casi le
traslocazioni determinano l’espressione aberrante di prodotti genici
altrimenti normali attraverso la giustapposizione di geni eterologhi
“promotori” o “favorenti” dando luogo ad una deregolazione di fattori
di trascrizione. Negli ultimi anni sono state identificate numerose alterazioni cromosomiche specifiche associate a determinati sottotipi di
leucemia e di alcune sono stati clonati i geni coinvolti nella traslocazione. La caratterizzazione biochimica dei prodotti genici aberranti ha
spesso consentito di chiarire il meccanismo molecolare attivo nella trasformazione leucemica e di stabilire i criteri per una nuova classificazione delle leucemie sulla base di un “fenotipo molecolare”.
L’identificazione degli eventi molecolari coinvolti nella patogenesi delle leucemie acute ha due obiettivi:
1.
2.
la definizione di sottogruppi di leucemie con ben definite
caratteristiche cliniche e prevedibile risposta alla terapia
il riconoscimento delle lesioni geniche specifiche della leuc emia, ch e p o tr eb b er o e s s e r e u t i l i z z a t e c o m e r a z i o n a l e
“bersaglio” per una strategia terapeutica mirata (oligonucleotidi antisenso, immunoterapia).
E’ oggi ben chiaro che la prognosi delle leucemie acute è strettamente
correlata alla presenza di alterazioni numeriche e/o strutturali del
cariotipo (Tabella 2), che possono essere identificate mediante le tecniche standard del bandeggio o con le più raffinate metodiche della
ibridizzazione in situ (FISH) e della biologia molecolare (southern blot e
PCR).
Le alterazioni numeriche dei cromosomi rivestono un importante ruolo
prognostico nelle LAL del bambino, che in base alla ploidia possono
essere classificate in:
1.
2.
forme iperdiploidi (>50 cromosomi) a prognosi favorevole
(16)
forme ipodiplodi (<45 cromosomi) a prognosi particolarmente sfavorevole (17, 18).
La causa biologica dell’associazione tra ploidia e prognosi non è
ancora chiara, ma potrebbe dipendere dalla maggiore tendenza delle
cellule iperdiploidi all’apoptosi, cioè alla morte cellulare programmata
(19) e ad accumulare al loro interno alte concentrazioni di metotressato e di metotressato glutammato (20, 21).
Come abbiamo già detto, alcune traslocazioni cromosomiche identificano sottogruppi di leucemie con precise caratteristiche cliniche,
fenotipi morfologici e/o immunologici e risposta alla terapia.
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Tabella 2
Significato prognostico delle alterazioni
cromosomiche nelle leucemie acute
Tipo di
leucemia
Buona
Intermedia
Cattiva
>50 cromosomi
dic(9;12)
t(12;21)
diploide
<45 cromosomi
t(9;22)
t(8;14)
t(2;8)
t(8;22)
t(1;19)
anomalie 11q23
{
LAL
Prognosi
14q11
7q34
LAM
inv 16
t(8;21)
t(15;17)
diploide
-5, del(5q-)
-7, del(7q-)
anomalie 11q23
+8
anomalie 3q21-26
t(6;9)
cariotipi complessi
TRASLOCAZIONI CHE COINVOLGONO L’ONCOGENE c-myc (8q24):
t(8;14), t(2;8), t(8;22)
L’oncogene c-myc è stato identificato nella banda q24 del cromosoma 8 e nell’ambito delle LAL è coinvolto nelle traslocazioni t(8;14),
t(2;8) e t(8;22). La t(8;14) (q24;q32), una delle prime anomalie della
linea linfoide studiata a livello molecolare (22), rappresenta il prototipo
di un fenotipo molecolare che identifica uno specifico sottotipo di leucemia. La traslocazione del gene c-myc situato sul cromosoma 8
è virtualmente presente in tutti i casi di LAL con fenotipo B
maturo. In circa l’80% dei casi di LAL con fenotipo B maturo la
traslocazione del c-myc coinvolge il gene che codifica per le
catene pesanti delle immunoglobuline localizzato sul braccio
lungo del cromosoma 14 (14q23), mentre nel restante 20% sono
coinvolti i geni delle catene leggere localizzati sul braccio lungo
del cromosoma 2 o 22. La giustapposizione del c-myc (che codifica
per un fattore trascrizionale) vicino a geni attivi per la trascrizione delle
catene pesanti o leggere dà luogo ad una superespressione del gene
con incremento del suo prodotto genico, che interagisce con un’altra
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proteina cellulare (denominata MAX) influenzando l’espressione di altri
geni coinvolti nella proliferazione cellulare (23, 24).
Il sottotipo di LAL definito da questi “fenotipi molecolari” presenta una morfologia L3 secondo FAB, ed è caratterizzato da
elevata frequenza di iperleucocitosi, localizzazioni extra-midollari, elevata frazione di crescita ed elevata tendenza alla recidiva, sistemica e meningea se si utilizzano terapie standard.
TRASLOCAZIONI CHE COINVOLGONO 14q11 (adTCR)
o 7q34 (bTCR)
Un meccanismo analogo è operante in circa il 50% dei casi di LAL di
linea T, in cui sono presenti traslocazioni che coinvolgono i geni del
TCR 14q11 (adTCR) o 7q34 (bTCR) con varie controparti cromosomiche (25). Infatti l’attività “promoter/ enhancer” del TCR è probabilmente
responsabile della trascrizione aberrante di geni situati al punto di rottura della controparte cromosomica, quali Tal-1, Tal-2, Lyl-1, hox-11,
Ttg-1/Rhom-1, Ttg-2/Rhom-2, che codificano per fattori trascrizionali.
La delezione Tal-1 sembrerebbe la più comune anomalia genetica delle
LAL T, (25% dei casi), presente anche in casi in cui non sono evidenti
alterazioni citogenetiche a livello del cromosoma 1p32 (26) dove è
situato il gene Tal-1.
Dal punto di vista clinico anche questo sottotipo è caratterizzato da iperleucocitosi ed elevata frequenza di localizzazioni
extra-midollari, in particolare a livello mediastinico.
TRASLOCAZIONE t(9;22)
Circa il 3-5% delle LAL del bambino ed il 30% di quelle dell’adulto con
fenotipo immunologico early pre B o pre B, è caratterizzato dalla presenza della t(9;22) (q34;q11) o cromosoma Ph’, citogeneticamente
indistinguibile dalla traslocazione che caratterizza la leucemia mieloide
cronica. Nella t(9;22) il gene c-ABL è traslocato dalla sua normale
posizione sul cromosoma 9 in giustapposizione alla “breakpoint
cluster region” (BCR) sul cromosoma 22 dando luogo ad un
gene chimerico detto BCR-ABL. In base al punto di rottura sul
cromosoma 22 (più o meno centromerico) il prodotto di fusione
risultante comprende una porzione più o meno lunga del gene
BCR, e codifica per due diverse proteine, p190 o p210, entrambe
dotate di elevata attività tirosin chinasica. Gli studi di biologia
molecolare hanno notevolmente contribuito alla diagnosi ed alla comprensione del processo di leucemogenesi di questi sottotipi di leucemia. Infatti il gene normale ABL (e forse anche il BCR) codifica per una
proteina dotata di attività tirosin chinasica e svolge un importante
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ruolo nel controllo della proliferazione e della differenziazione cellulare.
Le proteine chimeriche presentano un’attività tirosin chinasica più elevata rispetto alla loro controparte normale dando luogo ad un’esaltata
proliferazione ed alla trasformazione leucemica attraverso meccanismi
non ancora completamente chiariti (27). Circa il 50% dei casi di LAL
dell’adulto e la maggior parte delle LAL Ph'+ del bambino esprimono
la p190, mentre i restanti casi sono caratterizzati dalla p210. Anche se
molti studi in casistiche di pazienti adulti non avrebbero dimostrato
sostanziali differenze nella presentazione clinica e nella risposta alla
terapia tra i pazienti che esprimono la p190 in confronto a quelli che
esprimono la p210 (27-29), alcuni studi attribuiscono alla p190 una
maggiore attività trasformante dovuta ad una diversa configurazione
spaziale tra le regioni biochimicamente rilevanti di BCR e di ABL (30).
L’esame citogenetico classico identifica circa la metà dei casi con
BCR-ABL, negli altri casi vi sono traslocazioni complesse che coinvolgono un terzo cromosoma e mascherano il Ph’, oppure il gene di
fusione si crea per l’inserzione dell’ABL nel gene BCR di un cromosoma 22 apparentemente normale (31).
La presenza del riarrangiamento BCR-ABL identifica un sottotipo di LAL a prognosi particolarmente sfavorevole sia nella popolazione pediatrica che in quella adulta, negli adulti la probabilità di
ottenere una RC è simile nei pazienti Ph’ negativi e positivi, ma in questi ultimi la frequenza della recidiva è elevatissima e la sopravvivenza a
lungo termine è estremamente rara (32); nei bambini la presenza del
riarrangiamento connota una forma a prognosi sfavorevole sia per
quanto riguarda la probabilità che la durata della RC (33).
E’ infine da ricordare che la t(9;22) può essere presente anche in rari
casi di LAM (34) e genericamente viene considerato un fenotipo molecolare a cattiva prognosi, anche se per la rarità del riscontro e per la
mancanza di studi sistematici non è ancora ben definito il reale peso
prognostico di questa alterazione nelle LAM.
TRASLOCAZIONE t(1;19)
Circa un quarto delle LAL con fenotipo pre B presenta la t(1;19)
(q23;p13), che genera un prodotto di fusione tra il gene E2A,
situato sul cromosoma 19, il quale codifica per fattori che favoriscono il legame delle Ig, ed il gene PBX1, situato sul cromosoma 1, con una funzione ancora incerta (35-37). La proteina chimerica prodotta dal gene di fusione aberrante presenta una notevole
capacità trasformante (38) e la sua presenza si associa ad una prognosi sfavorevole in pazienti trattati con terapie standard (39, 40). Dal
punto di vista clinico, questo fenotipo molecolare si associa a
leucocitosi ed elevata incidenza di localizzazioni al sistema nervoso centrale (SNC). E’ interessante notare che la t(1;19) può esse-
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re presente anche in casi con fenotipo immunologico early pre B,
ma in tale caso non genera la proteina chimerica codificata da
E2A-PBX1 e non si associa ad una prognosi sfavorevole (41).
TRASLOCAZIONE CHE COINVOLGONO IL CROMOSOMA 11q23
Alterazioni strutturali dell’11q23 sono rilevabili in circa il 3-6% delle
LAL e nel 5-6% delle LAM, in particolare sono presenti nel 60% delle
leucemie della prima infanzia (< 1 anno) (42, 43) e nell’85% delle leucemie secondarie a trattamento con inibitori della topoisomerasi II (44,
45). Il gene situato sulla regione 11q23, detto MLL (o anche HRX o
ALL1), recentemente clonato (46, 47), mostra omologia con il gene
Trithorax della Drosophila, che codifica per un fattore di trascrizione
coinvolto nel normale sviluppo della Drosophila, e svolge un importante ruolo regolatore dei processi differenziativi (48).
Le traslocazioni che interessano l’11q23 possono coinvolgere
varie controparti; le più frequentemente osservate sono la t(4;11)
(q21;q23), la t(9;11) (p22;q23) e la t(11;19) (q23;p13), è interessante
sottolineare che i geni situati sui cromosomi 4 (AF4 o FEL), 9 (AF9) e 19
(ENL) presentano sequenze omologhe e potrebbero costituire una
nuova classe di fattori di trascrizione (49). Le caratteristiche delle leucemie che presentano traslocazioni dell’11q23 costituiscono un esempio di entità cliniche individuabili da un marker molecolare: la traslocazione più frequente, t(4;11) (q21;q23), identifica una LAL CD10+,
con fenotipo early pre B o pre B, spesso con coespressione di
antigeni mieloidi, iperleucocitosi e prognosi sfavorevole in ogni
gruppo di età (41, 42, 50).
Nelle LAM le traslocazioni più frequenti sono la t(9;11) e la t(11;19),
che caratterizzano forme con morfologia M4-M5, iperleucocitosi, alterazioni coagulative, frequente localizzazione del sistema nervoso centrale e prognosi sfavorevole.
TRASLOCAZIONE t(15;17) (q24;q21)
La t(15;17), già da tempo identificata come marker citogenetico
della leucemia promielocitica (M3 secondo FAB), determina il riarrangiamento del gene del recettore a dell’acido retinoico situato sul
cromosoma 17q21 (RARa) con il gene PML, situato sul cromosoma
15q24 (51, 52). Il gene RARa codifica per un fattore trascrizionale che
lega sequenze specifiche del DNA in elementi responsivi all’acido retinoico. La sua attività è di tipo “promotore”, strettamente linea specifica ed è modificata dalla sua capacità di legare diversi tipi di retinoidi.
La traslocazione genera due geni di fusione: PML/RARa ed il
suo reciproco RARa/PML, ma sembra che il fattore critico impli-
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cato nel processo di leucemogenesi sia il prodotto di PML/RARa
(51, 52).
Il punto di rottura sul cromosoma 17 è costante, mentre vi sono tre
possibili punti di rottura sul cromosoma 15 (BCR1, BCR2, BCR3).
Sebbene vi sia una discreta variabilità strutturale nei diversi prodotti
chimerici, tutti conservano la capacità di legare i retinoidi e di interagire con elementi responsivi all’acido retinoico. Non è ancora chiaro
come il PML/RARa svolga la sua attività trasformante nel processo di
leucemogenesi, probabilmente il processo è mediato attraverso l’interazione con altri geni che vengono normalmente regolati da RARa.
E’ stato dimostrato che il prodotto chimerico inibisce la differenziazione delle cellule mieloidi e, in assenza di acido retinoico, ne
promuove la sopravvivenza (53). In presenza di alte concentrazioni di acido retinoico invece, il prodotto chimerico induce una
differenziazione terminale delle cellule leucemiche (54). Il ruolo
critico svolto da RARa è confermato da quei rari casi di LAM a morfologia M3, non rispondenti all’acido retinoico, in cui il riarrangiamento
avviene tra RARa ed il gene PLZF situato sul cromosoma 11q23:
t(11;17) (55).
Per le sue caratteristiche citomorfologiche e cliniche (leucopenia,
assenza di organomegalia, sindrome emorragica in cui la coagulopatia
svolge un ruolo determinante) la M3 è stata riconosciuta da oltre venti
anni come una entità specifica nell’ambito delle LAM. Dal punto di
vista terapeutico già da tempo è nota una particolare sensibilità alle
antracicline, attualmente è evidente che la M3 presenta una sensibilità
unica al trattamento con acido all-trans-retinoico (ATRA), che è in
grado di indurre una RC nella quasi totalità dei casi. Infatti studi combinati di citogenetica e di biologia molecolare dimostrano che il 100%
delle M3 responsive all’ATRA presentano la t(15;17) (56), in tal
senso la M3 costituisce, per ora, l’unico esempio di patologia
leucemica in cui si può ottenere il controllo di malattia con una
terapia mirata sulla lesione molecolare che sottintende al processo leucemico. E’ interessante però osservare che le M3 con
t(11;17), nelle quali vi è una diversa lesione molecolare, non sono sensibili al trattamento con ATRA (57).
TRASLOCAZIONE t(8;21) (q22;q22)
La t(8;21) è una delle più frequenti alterazioni cariotipiche delle LAM,
riconoscibile in circa il 40% dei casi con morfologia M2, o, più raramente, M1 (58, 59); un’intensa positività alla mieloperossidasi, la presenza di numerosi corpi di Auer e l’eosinofilia midollare sono considerate caratteristiche morfologiche specifiche di questo sottotipo (58).
La traslocazione coinvolge il gene AML1 situato sul cromosoma
21q22 ed il gene ETO, presente sul cromosoma 8q22 dando
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luogo al gene chimerico AML1/ETO. Il gene AML1 presenta una
notevole omologia con il gene runt della Drosophila (60) ed il prodotto
chimerico conserva, in tutti i casi studiati, l’area omologa al runt.
AML1 è un membro di una famiglia di fattori di trascrizione e codifica
per la proteina che si lega a specifiche sequenze del DNA del fattore
di trascrizione AML1/CBFb; la sua capacità di legarsi è mediata dall’area di omologia con il gene runt (61). Studi sull’attività di AML1 hanno
dimostrato che AML1 lega il DNA come un complesso eterodimerico
formato dalla subunità AML1 e da una seconda subunità CBFb, che
non lega il DNA, ma incrementa l’affinità del legame DNA-AML1 (61).
AML1/CBFb regola l’espressione di numerosi altri geni specifici, quali
CD13, il gene per la mieloperossidasi, il gene del fattore stimolante la
crescita delle colonie monocito-macrofagiche (GM-CSF), geni specifici
della linea T (recettore per l’antigene delle cellule T, IL-3). Il processo
di leucemogenesi in questo caso potrebbe essere mediato da alterata
interazione tra il prodotto chimerico e geni normalmente regolati da
AML1. L’analisi delle sequenze di ETO suggeriscono che codifichi per
un fattore trascrizionale, ma attualmente il suo ruolo non è chiaro.
La presenza della t(8;21) nella LAM dell’adulto si associa ad una
prognosi favorevole sia per quanto riguarda la possibilità di
ottenere una RC sia per quanto riguarda la durata della RC e la
possibilità di “guarigione”, tuttavia questa caratteristica favorevole non è confermata nei pazienti pediatrici.
INVERSIONE DEL CROMOSOMA 16
L’inversione del cromosoma 16, inv(16), osservabile in circa il 15%
delle LAM, dà luogo ad un riarrangiamento del gene CBFb, situato
sul cromosoma 16, e del gene MYH11, ugualmente situato sul cromosoma 16, che codifica per la catena pesante della miosina della
muscolatura liscia, con la formazione del gene chimerico
CBFb/MYH11. E’ ancora da chiarire quale ruolo svolga la proteina
chimerica nel processo di leucemogenesi, dati preliminari suggeriscono che CBFb/ MYH11 conservi la sua capacità di interagire con AML1,
ma che la sua trasformazione comporti un’alterata attività del complesso trascrizionale sui geni normalmente regolati da AML1.
La inv(16) si associa in genere al sottotipo LAM M4Eo, descritta
dal FAB, e presenta una prognosi altamente favorevole nelle
LAM dell’adulto.
TRASLOCAZIONE t(12;21) (p13;q22)
La t(12;21) è stata identificata, nelle indagini citogenetiche di routine in
meno dello 0.05% delle LAL pediatriche, tuttavia studi di FISH e di
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biologia molecolare suggeriscono che il solo esame citogenetico
porta a sottostimare la reale frequenza di questa alterazione
(62-64).
Molto recentemente è stato dimostrato che una traslocazione criptica,
evidenziabile solo con indagine molecolare, è un evento osservabile in
circa il 22% delle LAL pediatriche (65). Questo “fenotipo molecolare” identifica una LAL pediatrica a fenotipo early B a prognosi
estremamente favorevole (65) utilizzando trattamenti standard.
La traslocazione determina la formazione di un prodotto chimerico TEL/AML1, che coinvolge il gene AML1, componente che si lega
al DNA, già descritto per il suo coinvolgimento nelle traslocazioni
osservate nelle LAM t(8;21) e inv(16), ed il gene TEL che codifica per
un fattore di trascrizione. Anche in questo caso è probabile che il processo di leucemogenesi sia mediato da una deregolazione dei geni
che dipendono da una normale trascrizione di AML1.
Quest’ultima osservazione dimostra che le alterazioni del complesso AML1/CBFb sono molto frequenti sia nelle LAM che nelle LAL
e che il complesso trascrizionale AML1/ CBFb è uno dei bersagli
più frequenti delle leucemie umane.
Altre alterazioni cariotipiche, estremamente rare, sembrano associate
a particolari sottotipi di leucemia, quali la leucemia acuta megacarioblastica dei neonati e la t(1;22) (p13;q13) (66), le LAM a cattiva prognosi con trombocitopoiesi e antecedenti mielodisplastici ed i riarrangiamenti strutturali del cromosoma 3(q21-26) (67), e le LAM a cattiva
prognosi, caratteristiche mielodisplastiche ed età relativamente giovane (20-30 anni) e la t(9;21) (p23;p34), ma la rarità delle osservazione
non consente, per ora, di identificarle come leucemie con un preciso
“fenotipo molecolare”.
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TERAPIA DELLE
LEUCEMIE ACUTE
3.1 LE LEUCEMIE ACUTE LINFOIDI DEL BAMBINO
I progressi raggiunti nel trattamento delle LAL dell’infanzia rappresentano uno dei successi più gratificanti dell’oncologia clinica. Grazie
all’impiego di una razionale polichemioterapia e di una efficace profilassi del SNC oltre il 70% dei bambini è, al momento attuale, probabilmente “guarito” dalla malattia. L’evoluzione dell’approccio terapeutico
nelle LAL pediatriche costituisce un modello ideale di sviluppo razionale di programmi terapeutici volti a dare risposte a successivi quesiti
clinici. Infatti, i successi ottenuti con questi programmi terapeutici, sia
in termini di frequenza di RC che di “curabilità” della malattia ha portato allo sviluppo di analoghe strategie terapeutiche per altre forme di
leucemia o altre patologie oncologiche.
Una serie di studi sequenziali, condotti da singole istituzioni o da
gruppi cooperativi, utilizzando inizialmente approcci terapeutici uniformi, hanno consentito di identificare nell’ambito delle LAL gruppi a prognosi diversa per una diversa risposta allo stesso programma terapeutico e che quindi richiedono forme diverse di terapia.
La prognosi dei bambini con LAL è largamente influenzata da vari fattori identificabili all’esordio della malattia. Poiché nel tempo i programmi terapeutici sono diventati progressivamente sempre più intensivi, molte caratteristiche cliniche, precedentemente considerate come
fattori di rischio (sesso maschile, livelli di emoglobina e di piastrine,
etc), hanno perso il loro significato, mentre altre, quali l’iperleucocitosi, la presenza di impegno mediastinico e/o di organomegalia, l’età
d’insorgenza e la localizzazione al SNC, conservano il loro peso prognostico sfavorevole e vengono comunemente utilizzate nella stratificazione dei pazienti per la scelta di programmi terapeutici più o meno
intensivi. E’ importante sottolineare che queste caratteristiche cliniche si associano spesso a diversi sottotipi di leucemia con
caratteristiche biologiche e “fenotipi molecolari” ben definiti
per i quali, in un prossimo futuro, si potrebbero elaborare strategie terapeutiche mirate.
Anche al momento attuale, comunque, considerando che le LAL
pediatriche comprendono molti sottotipi distinti a prognosi diversa, un
approccio terapeutico uniforme non sembra più appropriato e di fatto
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la maggior parte dei ricercatori clinici utilizza programmi terapeutici
articolati, di diversa intensità, graduata sul “rischio prognostico” dei
singoli pazienti.
Due linee guida dovrebbero essere osservate, in particolare nel
trattamento delle LAL pediatriche, ma comunque in generale nel trattamento delle leucemie acute:
1.
la terapia deve essere sufficientemente intensiva per ottenere la RC e per cercare di raggiungere la “guarigione” della
malattia;
2.
la terapia deve cercare di limitare la tossicità del trattamento senza compromettere i risultati finali.
Tutti i moderni protocolli di terapia comprendono tre strategie di base:
a.
b.
c.
la terapia d’induzione della RC
la terapia d’intensificazione e di mantenimento
la profilassi della localizzazione al SNC.
Tutti i programmi terapeutici utilizzano nella terapia d’induzione glucocorticoidi (PDN), vincristina (VCR), ± antracicline (in genere daunorubicina (DNR)) ± asparaginasi con possibilità di RC >90% in tutte le fasce di
rischio. Nessun protocollo terapeutico si è dimostrato significativamente superiore agli altri, l’impiego di un terzo o quarto farmaco comporta
variazioni difficilmente apprezzabili per quanto riguarda la percentuale
di RC nei bambini a rischio standard, mentre presenta un impatto positivo sulla durata della RC (68).
La risposta iniziale alla terapia è un importante fattore prognostico, infatti i pazienti con malattia residua al 14°-21° giorno dall’inizio della terapia sono ad elevato rischio di recidiva (69), di conseguenza molti ricercatori clinici considerano pazienti ad alto rischio
quelli con malattia residua al 14°-21° giorno e li trattano con terapie più
intensive di quelle inizialmente previste. L’importanza di una rapida
distruzione dei blasti è stata ben dimostrata dallo studio del Dana
Farber Institute, che ha utilizzato a random, prima dell’inizio della terapia d’induzione, un ciclo con alte dosi di metotressato (MTX) paragonandolo ad un ciclo con basse dosi dello stesso farmaco. Dopo un follow-up mediano di 7,1 anni, la sopravvivenza libera da eventi era significativamente migliore nei pazienti trattati con alte dosi di MTX (70).
Utilizzando una terapia di mantenimento con antimetaboliti per un
periodo di 2-3 anni, usualmente MTX e 6-mercaptopurina (6-MP) si
ottiene una “guarigione” della malattia in circa l’80% dei bambini a
rischio standard; la necessità di una terapia di intensificazione subito
dopo l’ottenimento della RC è controversa sebbene molti studi recenti
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dimostrino che l’impiego di una fase di intensificazione dà luogo
ad un aumento dei lungo-sopravviventi in RC (71, 72).
Considerando che una rapida eradicazione del clone leucemico correla con una più lunga sopravvivenza libera da eventi, i protocolli terapeutici attualmente utilizzati per i pazienti ad alto o altissimo rischio,
che rappresentano circa il 40% dei casi, prevedono l’impiego di 4 o più
farmaci durante la fase di induzione e una fase di intensificazione con
alte dosi di MTX e/o citarabina (Ara-C). Con queste strategie terapeutiche la possibilità di “guarigione” nei bambini ad alto rischio sono simili
a quelle osservate in passato nei pazienti a basso rischio (1). Tuttavia,
pazienti con particolari sottotipi di leucemia, quali la t(8;14), la
t(9;22), la t(4;11) e quelli con riarrangiamenti del gene MLL presentano una prognosi sfavorevole anche con protocolli terapeutici previsti per l’altissimo rischio e necessitano quindi di programmi terapeutici “mirati”.
L’impiego sistematico della terapia di profilassi della localizzazione al
SNC ha rappresentato un importante passo avanti nello sviluppo di una
terapia efficace delle LAL. Il razionale di questo approccio è basato sull’assunto che le cellule leucemiche, anche se non dimostrabili, hanno
già invaso le leptomeningi al momento della diagnosi, o subito dopo l’inizio della terapia d’induzione, e sono protette in questo “santuario” per
la scarsa penetrazione della maggior parte degli antiblastici nel liquido
cerebrospinale. Attualmente vengono utilizzati vari schemi di profilassi
che utilizzano una chemioterapia intratecale (MTX ± PDN ± Ara-C),
associata o meno a radioterapia craniale 1,8 cGy, oppure la somministrazione di alte dosi di MTX (3-5 g/m 2 ) e/o di alte dosi di Ara-C (2-3
g/m 2 ) durante la fase di intensificazione. Queste ultime sono sistematicamente contemplate nei protocolli di terapia per le forme ad alto
rischio, inoltre le alte dosi di MTX per via sistemica possono vantaggiosamente sostituire la radioterapia nei pazienti a basso rischio (73).
3.2 LE LEUCEMIE ACUTE LINFOIDI DELL’ADULTO
Le LAL dell’adulto costituiscono globalmente un gruppo di patologie a prognosi decisamente peggiore di quelle del bambino.
Utilizzando programmi terapeutici simili a quelli dei bambini le percentuali di RC variano dal 60 all’85% e la possibilità di “guarigione” è realisticamente inferiore al 30% (Tabella 3). Infatti studi che riferiscono
risultati migliori spesso escludono dallo studio i pazienti con fattori di
rischio o escludono dall’analisi i pazienti usciti dallo studio per tossicità o cattiva tolleranza al trattamento.
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Tabella 3
Risultati della chemioterapia nelle LAL dell'adulto
(studi cooperativi)
Gruppo
n
Età
pazienti mediana
RC
(%)
Durata mediana Sopravvivenza
di RC (mesi) libera da malattia
(%) a 5 anni
SWOG (a)
168
28
68
23
30
MD Anderson (b)
105
30
84
22
34
GIMEMA (c)
358
31
79
19
25
GMALL (0181) (d)
368
25
74
24
35
GMALL (0284) (e)
562
28
75
27
41
MSKCC (f)
199
-
82
28
33
EORTC (g)
106
27
74
-
39
GATLA (h)
145
-
78
28
34
CALGB (1991) (i)
277
33
64
16
29
FGTALL (l)
467
-
76
-
39 (4 anni)
JALSG (m)
117
38
81
-
27 (3 anni)
SALLG (n)
113
38
77
-
46 (4 anni)
CALGB (1995) (o)
197
32
85
29
46 (3 anni)
3182
27-38
64-85
16-29
25-41
Totale
a Hussein et al. Blood 73: 57, 1989.
b Kantarjianet al. J Clin Oncol 8: 994, 1990.
c Mandelli et al. Acute lymphoblastic leukemia. Gale-Hoelzer eds.,
New York, AR Liss, p 205, 1990.
d Hoelzer Hematol Oncol North Am 7: 139, 1993.
e Hoelzer Hematol Oncol North Am 7: 139, 1993.
f Clarkson et al. Blood Transfusion 33: 397, 1990.
g Strickmans et al. Haematologica 76 (suppl 4): 109, 1991.
h Lluesma-Gonalons et al. Annals of Oncology 2: 33, 1991.
i Ellison et al. J Clin Oncol 9: 2002, 1991.
l Fiere et al. Haematologica 76 (suppl 4): 108, 1991.
m Tomonaga et al. Haematologica 76 (suppl 4): 68, 1991.
n Smedmyr et al. Haematologica 76 (suppl 4): 107, 1991.
o Larson et al. Blood 85: 2025, 1995.
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Con il termine “LAL dell’adulto” ci si riferisce in genere a
pazienti di età > 18-20 anni in quanto dal punto di vista biologico quest’entità differisce dalla LAL del bambino sotto molti
aspetti:
1.
elevata incidenza delle forme Ph’+, che come abbiamo visto è
una caratteristica a prognosi sfavorevole, (circa il 30% nell’adulto
contro <5% nel bambino)
2.
diverso metabolismo degli antimetaboliti (MTX e 6-MP), infatti
nelle LAL di linea B degli adulti i blasti accumulano livelli
significativamente inferiori di MTX poliglutammato. La forma
poliglutammato del MTX viene trattenuta più a lungo dell’MTX
all’interno della cellula e possiede un’analoga capacità di inibire la
diidrofolato-reduttasi, inoltre i poliglutammati sono potenti inibitori
di molti enzimi coinvolti nella sintesi “de novo” delle purine, che
non sono inibiti dall’MTX. Considerando che MTX e 6-MP sono i
farmaci comunemente impiegati nella terapia di mantenimento
delle LAL questi dati possono dare una spiegazione della diversa
risposta tra adulti e bambini a simili programmi terapeutici e della
inferiore durata di RC negli adulti
3.
diversa espressione del gene della “resistenza a molti farmaci” (MDR-1)
La proteina di membrana p170, codificata dal gene MDR-1, funziona come una pompa di efflusso ADP indipendente per molti
chemioterapici e la sua espressione correla significativamente, negli adulti, con una minore probabilità di RC e con un
maggiore probabilità di recidiva (74) sia negli adulti che nei bambini (rispettivamente 100% e 73%). L’espressione della p170
all’esordio della malattia o alla recidiva è significativamente
più frequente negli adulti
4.
diverse caratteristiche del paziente
E’ comunemente accettato che la “dose intensity” svolga un ruolo
importante nel successo terapeutico, tuttavia il paziente adulto
presenta una maggiore incidenza di tossicità ematologica ed
extra-ematologica legata alla terapia e di conseguenza è spesso
difficile somministrare il programma terapeutico nei tempi e nei
dosaggi inizialmente previsti.
Quindi, sia caratteristiche biologiche della malattia leucemica, sia
caratteristiche correlate al paziente adulto contribuiscono ad una prognosi peggiore delle LAL nell’adulto rispetto al bambino e, per tale
motivo, l’adulto con LAL è considerato “tout court” un paziente ad
“alto rischio”. Tuttavia l’impiego di strategie terapeutiche mutuate dai
programmi terapeutici comunemente adottati nei bambini ad alto
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rischio hanno solo parzialmente migliorato la prognosi.
Anche nell’adulto i programmi terapeutici comprendono le tre strategie
di base previste nei bambini: induzione, consolidamento/mantenimento e profilassi del SNC.
E’ difficile però valutare il ruolo di ciascuna fase di terapia sull’andamento generale e infine sulla possibilità di guarigione perché sono stati
condotti solo pochi studi randomizzati volti ad analizzare il ruolo delle
singole componenti.
Tutti i moderni protocolli terapeutici sono basati sull’associazione di 35 farmaci attivi: VCR, PDN, antracicline ± asparaginasi ± ciclofosfamide (CTX). Studi randomizzati e non randomizzati hanno dimostrato che
l'associazione delle antracicline, ed in particolare della DNR, a VCR +
PDN ± asparaginasi ha determinato un significativo incremento della
possibilità di RC dal 50-60% al >70%. Tuttavia, i tentativi di intensificare ulteriormente il programma terapeutico con l’associazione di CTX
o alte dosi di Ara-C o l’impiego di protocolli simili a quelli utilizzati nelle
LAM (associazione di DNR + Ara-C + 6-tioguanina) non hanno migliorato significativamente i risultati sia in termini di percentuale di RC sia
in termini di durata della RC, ma hanno determinato, in alcuni studi, un
aumento della tossicità ematologica ed extra-ematologica (2).
Al momento attuale quindi possiamo dire che nessuno dei
moderni programmi terapeutici proposti per le LAL dell’adulto è
significativamente migliore di un altro e che le differenze osservabili nei vari studi riferiti in letteratura riflettono differenze
nella composizione delle casistiche (diversa età della popolazione dei pazienti, diversa incidenza di fattori prognostici sfavorevoli) piuttosto che una reale efficacia del regime terapeutico utilizzato. Perciò, in mancanza di protocolli terapeutici che tengano
conto delle differenze biologiche che esistono nelle LAL dell’adulto,
l’associazione VCR + PDN + DNR sembra ancora il programma terapeutico dotato di migliore attività terapeutica e di minore tossicità.
In analogia con la filosofia terapeutica maturata nelle LAL del bambino,
tutti i programmi terapeutici prevedono una fase di consolidamento più
o meno lunga e più o meno intensiva. I farmaci comunemente utilizzati
sono MTX ad alte dosi, Ara-C a dosi standard o alte, CTX, asparaginasi, epipodofillotossine (VP16 o VM26) impiegati a rotazione in associazioni di due o tre farmaci. Come detto in precedenza, è difficile stabilire il reale ruolo del consolidamento nella terapia della LAL dell’adulto:
alcuni autori concludono che non esistono dati sicuri a favore del consolidamento (75), mentre altri osservano un miglioramento dei risultati
negli studi che utilizzano terapie articolate di consolidamento (76).
Il gruppo tedesco in particolare, ha raccolto la lezione dell’esperienza
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pediatrica ed ha condotto una serie di studi sequenziali basati sulla
valutazione retrospettiva dei fattori di rischio e l’impiego di strategie
terapeutiche a diversa intensità, mirate sulla fascia di rischio. Questi
studi sequenziali hanno dimostrato che programmi di consolidamento
intensivi, che includevano Ara-C e CTX, hanno significativamente
migliorato i risultati nel trattamento delle LAL T, abolendo il significato
prognostico sfavorevole che precedentemente veniva attribuito a questo sottotipo di LAL (76).
Tuttavia, escludendo questa importante eccezione, anche se l’impiego
della terapia di consolidamento ha indubbiamente migliorato la prognosi dei pazienti adulti senza altri fattori di rischio, lo stesso non si
può dire per quei pazienti che presentano fattori di rischio.
Per quanto riguarda la terapia di mantenimento, è comunemente
accettata, anche negli adulti ed in assenza di studi randomizzati, l’utilità della terapia con 6-MP e MTX. Infatti, alcuni studi in cui non era
previsto un mantenimento dopo la terapia di consolidamento o in cui
la fase di mantenimento era più breve di quella generalmente utilizzata, mostrano una più breve durata di sopravvivenza libera da malattia.
La durata della terapia di mantenimento non è stata definita in studi
randomizzati, ma basandosi sull'esperienza pediatrica non dovrebbe
essere inferiore a due anni.
Sebbene l’incidenza della localizzazione al SNC all’esordio o come
sede di recidiva sia meno frequente negli adulti rispetto ai bambini, il
trattamento di profilassi fa parte integrante anche dei programmi terapeutici degli adulti e uno studio randomizzato ha dimostrato che l’uso
di una profilassi con MTX intratecale associato ad irradiazione cranica
riduce significativamente il rischio di recidiva meningea (77).
Sia negli adulti che nei bambini la presenza di leucocitosi all’esordio (globuli bianchi >50.000/mm 3 ), un fenotipo B maturo, elevati livelli di LDH ed un elevato indice proliferativo delle cellule
leucemiche si associano ad un maggior rischio di recidiva a
livello del SNC. Considerando queste caratteristiche, pazienti adulti a
“basso rischio” mostrano bassa incidenza di localizzazione al SNC
anche in assenza di profilassi, mentre nei pazienti a “alto rischio” la
recidiva nel SNC è relativamente più frequente anche con l’impiego
della profilassi. E’ importante sottolineare che l’inizio precoce della
profilassi intratecale, in contemporanea con l’inizio della terapia d’induzione, riduce sensibilmente la comparsa della recidiva nel SNC.
Non vi è ancora accordo su quale sia il miglior approccio di profilassi
negli adulti. Attualmente la maggior parte dei protocolli utilizza un
approccio basato sulla somministrazione intratecale di MTX ± PDN ±
Ara-C seguita da irradiazione craniale; tuttavia, l’impiego di strategie
terapeutiche intensive, basate su alte dosi di MTX e/o Ara-C per via
sistemica durante il consolidamento potrebbe evitare, come già confermato nei bambini a basso rischio, la necessità dell'irradiazione craniale.
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3.3 LE LEUCEMIE ACUTE MIELOIDI
Le LAM sono una patologia rara nel bambino e la loro frequenza
aumenta con l’aumentare dell’età. Se utilizziamo come elemento di
confronto le LAL del bambino, le LAM sia in età pediatrica che adulta
rispondono meno bene alla terapia, nonostante l’impiego di programmi
terapeutici intensivi. La RC è ottenibile in circa il 65-90% dei bambini
(Tabella 4) e nel 50-75% degli adulti (Tabella 5) con possibilità di
“guarigione” variabili dall'8 al 50% dei casi a seconda dell’età e del tipo
di programma terapeutico adottato. Sebbene circa il 50% dei pazienti
con LAM sia di età >60 anni e spesso le LAM rappresentino l’evoluzione da una precedente fase mielodisplastica, i successi terapeutici più
importanti sono stati registrati nei pazienti di età <60 anni e con leucemia “de novo”. Perciò, sebbene le LAM siano una patologia prevalentemente dell’anziano e dei pazienti con precedenti mielodisplastici, la
prognosi di questi pazienti è rimasta particolarmente sfavorevole.
A differenza delle LAL, per le LAM non vengono utilizzati protocolli terapeutici differenziati per i pazienti di età pediatrica ed
adulta o di intensità graduata in base alla presenza di fattori di
rischio. Questo fondamentalmente perché gli unici fattori di rischio
Tabella 4
Risultati della chemioterapia d'induzione
nelle LAM del bambino
Autore
Tipo di terapia
n pazienti
RC (%)
Età
Stevens et al. (a)
DAT
156
91
0-14
Weinstein et al. (b)
DAT
353
80
0-21
Creutzig et al. (c)
ADE: BFM83
BFM87
182
210
80
78
0-17
Steuber et al. (d)
DAT
VADx
49
56
82
61
0-21
Ravindranath et al. (e)
DAT
285
79
0-21
a
b
c
d
e
E
22
M
Stevens et al. Leukemia 6 (suppl 2): 55, 1992.
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Creutzig et al. J Clin Oncol 11: 279, 1993.
Steuber et al. J Clin Oncol 9: 247, 1991.
Ravindranath et al. J Clin Oncol 9: 572, 1991.
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Tabella 5
Risultati della chemioterapia d'induzione
nelle LAM dell'adulto
Gruppo
Tipo di terapia
n pazienti
RC (%)
Età
Tedesco (a)
TAD9
576
65
>16
MRC (b)
DAT
784
80
15-55
"3+7"
"3+10"
TAD
211
241
216
53
57
57
>16
HOVON (d)
DAT/"3+7"
117
77
15-60
GIMEMA (e)
"3+7"
448
68
15-55
ECOG (f)
DAT
744
71
15-60
EORTCGIMEMA (g)
AML8A
"3+7"
941
66
15-45
CALGB (h)
"3+7"
1088
64
>16
CALGB7921 (c)
a
b
c
d
e
f
g
h
Buchner et al. J Clin Oncol 3: 1583, 1985.
Goldstone et al. Proc Int Soc Haematol 61: 238, 1992.
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Mayer et al. N Engl J Med 331: 896, 1994.
unanimemente riconosciuti sono l’età e la presenza di una precedente
fase mielodisplastica o di una leucemia secondaria ad una precedente
radio/chemioterapia. Di conseguenza, nonostante sia evidente
che esiste una notevole eterogeneità nell’ambito delle LAM,
queste vengono tuttora generalmente affrontate, dal punto di
vista terapeutico, come una singola entità nosologica.
Negli studi più recenti si è fatto un grosso sforzo per definire meglio le
caratteristiche biologiche dei pazienti con LAM in relazione alla risposta alla terapia ed i risultati di questi studi potrebbero fornire importanti informazioni per una nuova strategia terapeutica più articolata e
mirata su sottotipi biologici anche nelle LAM.
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Il trattamento di prima linea per l’induzione della RC è stato negli ultimi
15 anni l’associazione DNR+Ara-C nello schema standard “3+7”. Con
questo schema, la possibilità di RC all’esordio della malattia è del 5570%. Questo risultato non è significativamente influenzato da piccole
modificazioni nel dosaggio dei farmaci (DNR 45-60 mg/m2 , Ara-C 100200 mg/m 2 in infusione continua).
Numerosi studi hanno valutato l’efficacia di un farmaco intercalante
alternativo alla DNR, idarubicina (IDA) o mitoxantrone (MITO) nello
schema “3+7”.
L’IDA, un analogo della DNR, è dotato di un effetto antileucemico in
vitro maggiore delle altre antracicline, presenta un’emivita più lunga
ed il suo metabolita, l’idarubicinolo, è farmacologicamente attivo.
Inoltre l’IDA sembra avere un effetto citotossico anche su cellule quiescenti e su popolazioni leucemiche che presentano il fenotipo della
resitenza multipla ai farmaci (MDR). In tre studi randomizzati (78-80),
basati sull’IDA a 12 mg/m 2 , valutata verso la DNR a 45 mg/m 2 nello
schema “3+7” la percentuale di RC era significativamene più alta nei
pazienti trattati con IDA. Tuttavia, la reale superiorità dell’IDA non
viene chiaramente dimostrata in questi studi per due motivi:
1.
i risultati ottenuti nel braccio DNR erano più bassi di quelli generalmente osservati con tale farmaco anche in studi policentrici
(vedi Tabella 4)
2.
il dosaggio dell’IDA non era probabilmente equivalente a quello
della DNR, come suggerito dalla maggiore mielosoppressione rilevata nel braccio IDA.
Una maggiore attività antileucemica dell’IDA è comunque indicata dal
maggior numero di RC ottenute con un singolo ciclo di terapia.
Gli studi randomizzati che hanno valutato il MITO verso la DNR nello
schema “3+7” non hanno dimostrato reali vantaggi nè in termini di percentuale di RC nè in termini di sopravvivenza libera da malattia; è da
valutare se questo farmaco possa dimostrarsi superiore alla DNR in
termini di cardiotossicità a distanza.
Analogamente, studi randomizzati volti a valutare l’aggiunta di un terzo
farmaco, 6-TG o etoposide, o l’estensione della somministrazione
dell’Ara-C a 10 giorni o, infine, l’impiego dell’Ara-C ad alte dosi (81)
nella fase d’induzione, non hanno dimostrato globalmente risultati
significativamente migliori nei confronti dello schema classico “3+7”.
Tuttavia, considerando che una rapida e massiva distruzione
della massa leucemica può ridurre l’emergenza di cloni leucemici resistenti e quindi il numero delle recidive precoci e potrebbe
tradursi almeno in una migliore qualità di RC, la maggior parte
dei programmi terapeutici attualmente utilizzati nei pazienti di
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età <60 anni sono intensivi e basati sull’impiego di tre farmaci:
Ara-C 100-200 mg/m 2 i.c. x 7-10 gg + intercalante ± etoposide o 6TG. Infine, alcuni gruppi intensificano la terapia adottando sistematicamente una “doppia induzione” basata sulla somministrazione precoce (14 giorno dall’inizio della terapia) di un secondo ciclo di terapia
d’induzione.
Studi prospettici randomizzati volti a valutare il miglior approccio terapeutico nelle LAM hanno chiaramente dimostrato che:
1.
è necessaria una terapia post-remissionale
2.
una chemioterapia di mantenimento a basse dosi dà solo un
modesto miglioramento della durata di RC
3.
una terapia di consolidamento basata sulla ripetizione di
uno o più cicli della stessa terapia utilizzata in fase d’induzione seguita da una terapia di mantenimento dà una possibilità di sopravvivenza libera da malattia non superiore al
10-25%.
Pertanto, attualmente anche se tutti concordano sul fatto che una
terapia post-remissionale intensamente citoriduttiva e/o l’impiego di
procedure trapiantologiche (trapianto allogenico o autologo) possa
aumentare significativamente la possibilità di "guarigione”, tuttavia non
vi è consenso se esista una terapia post-remissionale valida per tutti i
pazienti e quale sia la migliore terapia post-remissionale.
I primi tentativi di terapie post-remissionali intensive, basati su cicli
polichemioterapici ripetuti con farmaci non cross-resistenti e/o su alte
dosi di Ara-C hanno dimostrato una scarsa possibilità di somministrare cicli intensivi ripetuti per la presenza di un’elevata tossicità ematologica ed extra-ematologica. Perciò, gli studi attualmente in corso
sono basati su due-tre cicli di Ara-C a dosi alte o intermedie ± un farmaco intercalante.
L’estrema variabilità dei programmi terapeutici e dei criteri di selezione
adottati rendono impossibile un confronto delle esperienze presenti in
letteratura e la possibilità di sopravvivenza in RC varia dal 30 al 75%
con follow-up mediani di 2-5 anni. Certamente la fattibilità di questi
programmi terapeutici intensivi decresce con l’età e non si sono dimostrati vantaggiosi in pazienti di età >60 anni per una elevata incidenza
di mortalità in RC ed elevata tossicità.
Se la scelta della “migliore terapia d’induzione” nelle LAM è
ancora controversa, ancor meno chiarezza esiste, al momento
attuale, sulla “migliore terapia post-remissionale”. Considerando
che le esperienze con procedure trapiantologiche, in studi non randomizzati ed in alcuni studi randomizzati, sembrerebbero indicare risultati migliori, molti autori considerano il trapianto in prima RC la terapia
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post-remissionale d’elezione per tutti i pazienti con LAM. Tuttavia,
alcuni studi recenti, in cui gli studi di citogenetica sono stati eseguiti
nella maggior parte dei pazienti e sono stati correlati alla risposta terapeutica ed alla durata di RC, hanno permesso di individuare alterazioni
citogenetiche, quali la t(8;21) e la inv(16), che si associano ad una prognosi particolarmente favorevole.
Molto interessanti, in questo senso, sono i risultati dello studio condotto dal gruppo americano CALGB (82), nel quale i pazienti con queste caratteristiche citogenetiche favorevoli, trattati con cicli ripetuti di
alte dosi di Ara-C presentano una sopravvivenza libera da malattia a
lungo termine dell'84% dei casi contro il 24% dei pazienti trattati con
lo stesso programma terapeutico, ma con alterazioni citogenetiche
complesse o con traslocazioni sbilanciate.
Questi dati costituiscono un primo esempio di come, anche nelle LAM,
sottogruppi di pazienti definiti da caratteristiche biologiche della
malattia, possano beneficiare di particolari programmi terapeutici.
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PROCEDURE
TRAPIANTOLOGICHE
4.1 TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI ALLOGENICHE
L’impiego di una terapia sovramassimale radio e/o chemioterapica
seguita dall’infusione di cellule staminali normali rappresenta un’importante opzione terapeutica nel trattamento delle leucemie acute.
Nato oltre 20 anni fa come approccio sperimentale per il trattamento
delle leucemie in fase avanzata, il trapianto di midollo allogenico (BMT)
è attualmente una componente fondamentale del moderno repertorio
terapeutico.
Notevoli progressi sono stati raggiunti nel trattamento delle complicanze correlate alla procedura trapiantologica, delle complicanze
infettive, della malattia da rigetto dell’ospite (GVHD) acuta e cronica,
della tossicità extra-ematologica dei farmaci utilizzati nel condizionamento, riducendo sensibilmente la mortalità da trapianto. Studi recenti
dimostrano la possibilità di utilizzare precursori emopoietici normali
raccolti dal sangue periferico del donatore mediante leucoaferesi, con
tale procedura si può quindi risparmiare al donatore il rischio, benchè
minimo, dell’anestesia necessaria per il prelievo di midollo. Anche il
grosso limite rappresentato dalla mancanza di un fratello HLA compatibile è ormai superato, infatti il migliore controllo della tossicità da trapianto consente di utilizzare come fonte di cellule staminali normali
donatori non consanguinei HLA compatibili o donatori consanguinei
aploidentici. Infine, del tutto recente è la possibilità di utilizzare sangue di cordone ombelicale parzialmente o completamente HLA compatibile. Quest’ultima possibilità, attualmente utilizzabile solo nei bambini o comunque in soggetti con piccola massa corporea, per il limitato numero di cellule staminali presente nel sangue del cordone ombelicale, potrebbe essere offerta su larga scala in un prossimo futuro con
tecniche di espansione in vitro.
Il BMT è chiaramente la procedura più efficace per l’eradicazione della
malattia leucemica in molti pazienti per l’effetto combinato della terapia di condizionamento e dell’attività antileucemica svolta dalle cellule
immunocompetenti del donatore (GVL); ma la sua efficacia è tuttora
controbilanciata da una mortalità precoce e da sequele a lungo termi-
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ne (GVHD cronica, sterilità) che possono seriamente compromettere la
sopravvivenza e la qualità di vita del paziente e sono tanto più importanti quanto maggiore è l'incompatibilità fra donatore ed ospite: trapianto da donatore HLA compatibile non correlato o da cordone non
correlato, trapianto da correlato non compatibile. Pertanto l’indicazione al trapianto allogenico deve essere attentamente valutata in termini
di rischi/benefici in base alle caratteristiche iniziali di rischio, alla fase
della malattia (prima RC, seconda o successive RC, malattia in recidiva) ed al tipo di trapianto che si propone: fratello HLA identico, donatore HLA identico non consanguineo, donatore familiare aploidentico.
LEUCEMIE ACUTE LINFOIDI
Il momento opportuno per eseguire un BMT nelle LAL è tuttora molto
controverso.
Per quanto riguarda i bambini, molti ricercatori clinici concordano sull’indicazione al BMT da fratello HLA compatibile in prima RC nei casi
ad altissimo rischio di recidiva (LAL Ph’+, t(4;11)). Per quanto riguarda
il trapianto allogenico da donatore HLA non correlato compatibile (da
midollo o da cordone ombelicale), o da donatore correlato (genitori o
fratelli) HLA non compatibili, l'indicazione è la seconda RC nei pazienti
in recidiva precoce (durante la chemioterapia) o recidivati dopo programmi terapeutici particolarmente intensivi, considerando che la possibilità di “guarigione” con la chemioterapia in questi casi è praticamente inesistente.
Diverso è l’atteggiamento in caso di recidive tardive fuori terapia o di
recidive dopo programmi terapeutici per pazienti “a basso rischio”. In
questi casi molti autori non ritengono vi sia indicazione al trapianto
allogenico soprattutto se il donatore non è un fratello HLA compatibile.
Analogamente non esiste una identità di vedute per quanto riguarda i
pazienti adulti.
Anche se, considerati globalmente, i pazienti adulti costituiscono un
gruppo di pazienti ad “alto rischio” di recidiva, sia studi retrospettivi
che prospettici volti a valutare “tout court” la relativa efficacia della
chemioterapia e del BMT in pazienti non selezionati in prima RC non
hanno mostrato risultati significativamente diversi (83, 84). I dati riferiti
dall’esperienza dei centri di trapianto mostrano in alcuni casi risultati
apparentemente migliori, ma i pazienti che giungono ai centri di trapianto sono spesso già selezionati per età, durata della RC ed altre
caratteristiche cliniche favorevoli.
Certamente, come già prospettato nei bambini, i pazienti in prima RC
con caratteristiche citogenetiche sfavorevoli, quelli in cui la RC è stata
ottenuta dopo una terapia di salvataggio o i pazienti in seconda RC,
per i quali le possibilità di “guarigione” con la sola chemioterapia sono
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estremamente remote, devono essere candidati precocemente al BMT
e, in assenza di un fratello HLA compatibile, devono essere esplorate
altre possibilità di trapianto da cellule staminali allogeniche. Indicativo
in questo senso è lo studio comparativo del gruppo francese tra BMT
ed autotrapianto in pazienti adulti in prima RC con almeno una caratteristica prognostica sfavorevole: la sopravvivenza libera da malattia a
sei anni era rispettivamente 62% e 27% nei pazienti sottoposti rispettivamente a BMT ed autotrapianto (83). Comunque, alcune caratteristiche iniziali, che influenzano negativamente la prognosi nei pazienti
sottoposti a chemioterapia, conservano il loro peso prognosticamente
sfavorevole anche nei pazienti sottoposti a BMT.
LEUCEMIE ACUTE MIELOIDI
Il BMT è attualmente l’unica forma di terapia in grado di dare una possibilità di “guarigione” ai pazienti resistenti alla terapia d’induzione.
Infatti pazienti resistenti a più cicli di terapia d’induzione possono
ancora essere “salvati” dal BMT da fratello/sorella HLA compatibili nel
10-15% dei casi o, in proporzione non facilmente valutabile dai dati
della letteratura, da donatori non correlati HLA compatibili o correlati
non HLA compatibili. Inoltre il BMT può “curare” circa il 30-35% dei
pazienti in seconda remissione o in prima recidiva precoce non trattata, con risultati migliori di quelli osservabili con la chemioterapia.
Rimane da chiarire il ruolo del BMT nei pazienti in prima RC. Numerosi
studi prospettici, volti a valutare il ruolo del BMT in prima RC nei confronti della chemioterapia intensiva, sono stati recentemente pubblicati.
In questi studi, la possibilità di lunga sopravvivenza in RC varia dal 40 al
60% nei pazienti sottoposti a BMT verso un 20-35% nei pazienti trattati
con chemioterapia; in alcuni, ma non in tutti gli studi, la differenza è
risultata statisticamente significativa. In particolare non è stata osservata una significativa differenza negli studi in cui il programma di chemioterapia post-remissionale era particolarmente intensivo. Considerando
che recentemente sono stati raggiunti notevoli progressi anche con
programmi di chemioterapia, non è ancora chiaro se una strategia di
trapianto in prima RC sia superiore ad una strategia di chemioterapia
con BMT utilizzato come terapia di salvataggio.
E’ infine da sottolineare che, analogamente alle LAL, la presenza di
caratteristiche a prognosi negativa per la durata della RC nei pazienti
trattati con chemioterapia, quali una precedente fase mielodisplastica,
l’età, ed alterazioni citogenetiche sfavorevoli, svolgono un ruolo sfavorevole anche nei pazienti sottoposti a BMT.
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4.2 TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI AUTOLOGHE
Generalmente, la probabilità di avere un fratello HLA compatibile è stimata intorno al 30%, inoltre il trapianto di cellule staminali allogeniche
è limitato ai pazienti più giovani (anche se la fascia di età in cui si può
effettuare trapianto allogenico da donatore HLA compatibile è stata
recentemente estesa fino ai 60 anni). Perciò, la maggior parte dei
pazienti con LAM ed una parte dei pazienti con LAL sono esclusi da
questa importante opzione terapeutica. Per superare questa limitazione, a partire dagli anni ‘80 è stato sperimentato il trapianto di cellule
staminali autologhe, prima midollari, e più recentemente raccolte da
sangue periferico, quale alternativa terapeutica per la somministrazione di alte dosi di chemio e/o radioterapia in pazienti in RC. Dato che
donatore e ricevente sono la stessa persona, la procedura può definirsi trapianto in senso lato, per l’analogia della cinetica di attecchimento
delle cellule staminali reinfuse e per la possibilità di somministrare trattamenti altamente mieloablativi. In questo senso “l’autotrapianto” rappresenta l’evoluzione finale di una filosofia di terapia post-remissionale
sempre più intensiva, rimane però il problema della contaminazione del
reinfuso da parte di cellule leucemiche e la mancanza della GVL.
Uno dei principali problemi di questa procedura è rappresentato
dalla contaminazione di cellule leucemiche residue prelevate
con l’espianto. Infatti con tecniche di biologia molecolare è stato
possibile dimostrare che, almeno in una certa percentuale di casi, la
recidiva è legata alla riespansione di cellule leucemiche presenti nel
reinfuso (86).
Per ridurre o eliminare la contaminazione sono state utilizzate
varie procedure di “purging” in vitro, basate su sistemi fisici,
immunologici o biochimici.
Le tecniche di purging immunologico utilizzano anticorpi monoclonali
diretti contro antigeni di membrana associati alla cellula leucemica
quali CD33, CD13, CD14 e CD15 per le LAM e CD10, CD9, CD20,
CD22, CD24, CD5 e CD7 per le LAL, per opsonizzare le cellule ed attivare la capacità litica di complemento esogeno. In alternativa gli anticorpi sono stati legati a tossine chimiche (ricina), proteine antivirali o
farmaci citotossici. Il purging farmacologico con 4-idroperossiciclofosfamide (4HC) è ampiamente utilizzato da solo o in associazione al
purging immunologico.
Anche se queste tecniche si sono dimostrate efficaci in vitro e non
danneggiano i progenitori emopoietici normali, vi sono importanti limiti
concettuali alla loro reale efficacia in vivo. In primo luogo queste tecniche raramente eliminano più di 3-4 logaritmi di cellule leucemiche, in
secondo luogo, dato che le cellule leucemiche presentano un’ampia
variabilità nell’espressione degli antigeni di superficie e nella sensibilità
ai farmaci, anche se molte cellule leucemiche vengono distrutte,
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potrebbero essere risparmiate le cellule leucemiche clonogeniche.
Pertanto, fino ad ora l’utilità del purging non è stato dimostrato nè
nelle LAL nè nelle LAM, e fino a che non verranno condotti ampi studi
prospettici randomizzati volti a valutare i risultati dell’autotrapianto con
e senza purging, il reale ruolo di queste metodiche rimarrà indefinito.
Una nuova ed affascinante tecnica di purging, attualmente in valutazione, è basata sull’impiego degli oligonucleotidi antisenso. L’originalità
dell’approccio è data dall’impiego di oligonucleotidi sintetici complementari alla sequenza genica putativamente responsabile del processo
di leucemogenesi, che trasmettono un messaggio antisenso determinando una inibizione specifica della capacità di replicazione delle cellule leucemiche senza effetti sui progenitori emopoietici normali.
Teoricamente, gli oligonucleotidi antisenso, diretti verso un oncogene
che conferisce un vantaggio selettivo di crescita alle cellule leucemiche, potrebbero essere utili nelle tecniche di purging in quanto più
selettivi degli agenti convenzionalmente usati. L’uso degli oligonucleotidi antisenso rappresenta sicuramente la tecnica più selettiva che abbiamo a disposizione in questo momento, in quanto gli
oligonucleotidi sono diretti verso specifiche sequenze geniche coinvolte nel determinismo e nello sviluppo della malattia, tuttavia questo
approccio è ancora a livello pionieristico per i problemi correlati alla
ottimizzazione e standardizzazione delle condizioni di esposizione in
vitro delle cellule agli oligonucleotidi. Inoltre, è importante la definizione del “bersaglio”, anche se numerose alterazioni molecolari
sono state associate a determinati sottotipi di malattia, in molti casi
non è ancora chiaro se la lesione molecolare identificata abbia un
ruolo patogenetico primario nella proliferazione neoplastica.
LEUCEMIE ACUTE MIELOIDI
I risultati dell’autotrapianto con cellule midollari riferiti in letteratura,
valutando le casistiche con > 20 pazienti e con un follow-up mediano
> 3 anni, mostrano una soppravvivenza libera da malattia variabile dal
35 al 60%. Il regime di condizionamento più frequentemente utilizzato
in questi studi è l’associazione standard ciclofosfamide + irradiazione
corporea totale (CTX+TBI), come nel trapianto allogenico. Tuttavia è
difficile un confronto di questi studi, perché vi è un’ampia variabilità
nelle caratteristiche dei pazienti, nel tipo di terapia di induzione e di
consolidamento utilizzate, nell’intervallo di tempo trascorso tra l’ottenimento della RC e il trapianto, nell’uso o meno del purging.
Lo studio retrospettivo più ampio è quello condotto dal gruppo cooperativo europeo EBMT su circa 1000 pazienti. In questa analisi si conferma una sopravvivenza libera di malattia del 40%, non si osservano
differenze significative tra pazienti autotrapiantati con cellule midollari
sottoposte a purging rispetto a quelli non “purgati”, e si identificano
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come fattori prognosticamente sfavorevoli un tempo necessario all’ottenimento della RC >40 giorni e un intervallo <6 mesi tra l’ottenimento
della RC e la procedura trapiantologica (87). In questo senso l’autotrapianto si rivela meno efficace proprio in quei pazienti in cui la
malattia presenta caratteristiche sfavorevoli ed in cui ci si apettano
risultati migliori con una procedura terapeutica particolarmente intensiva. E’ però importante sottolineare che in questi pazienti a “cattiva
prognosi” il purging sembrerebbe dare risultati migliori.
Gli studi prospettici randomizzati che hanno confrontato l’autotrapianto verso la chemioterapia o verso l’allotrapianto hanno dato risultati
contrastanti, mostrando in alcuni casi la superiorità dell’autotrapianto
verso la chemioterapia, senza differenze significative rispetto all’allotrapianto, come il recente studio randomizzato del gruppo EORTCGIMEMA (88); altri, hanno dimostrato una superiorità dell’allotrapianto
rispetto all’autotrapianto (89), altri infine non hanno rilevato differenze
fra le tre procedure (90). E’ quindi difficile definire il reale ruolo dell’autotrapianto nel trattamento della LAM in prima RC e, analogamente
all’allotrapianto, è ancora da valutare, almeno per pazienti con malattia
a buona prognosi, se non sia opportuno riservare l’autotrapianto come
terapia di salvataggio nei pazienti in seconda RC. Analoghe considerazioni valgono per i pazienti di età pediatrica nei quali vengono riferite,
in studi retrospettivi (EBMT), sopravvivenze libere da malattia del 45%,
risultati del tutto sovrapponibili a quelli che si ottengono con le attuali
chemioterapie intensive.
Certamente, nei pazienti con caratteristiche iniziali a prognosi sfavorevole (citogenetica, precedente fase mielodisplastica, non risposta
completa ad un singolo ciclo di terapia d’induzione), in assenza di una
possibilità di procedura trapiantologica da cellule staminali allogeniche, il trapianto autologo può essere un’indicazione assoluta, anche
se queste caratteristiche pesano in senso prognosticamente sfavorevole anche nei pazienti sottoposti ad autotrapianto.
Una valutazione globale dei dati a nostra disposizione sottolinea
che il successo dell’autotrapianto è legato alla “qualità della
RC” e mette in evidenza il ruolo cruciale della massa leucemica
residua nel paziente al momento dell’espianto, la cui entità è
strettamente correlata al tipo e all’efficacia del programma di
terapia d’induzione e di consolidamento eseguiti prima dell’autotrapianto.
In particolare nei bambini, nei quali, grazie ad una migliore tolleranza
alla chemioterapia, è possibile praticare terapie di induzione e di consolidamento estremamente intensive, un successivo autotrapianto può
dare risultati estremamente incoraggianti. Un esempio in questo senso
è rappresentato dall’esperienza del Royal Children Hospital australiano, che riferisce una sopravvivenza libera da malattia a 3 anni
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dell’87% con un programma terapeutico basato su induzione intensiva, due cicli di consolidamento ed autotrapianto (91).
Non esistono dubbi che in seconda RC i pazienti debbano essere sottoposti ad una procedura trapiantologica per avere ragionevoli possibilità di lunga sopravvivenza libera da malattia, perciò, nei pazienti in
cui non è perseguibile un trapianto da cellule staminali allogeniche, vi
è un’indicazione assoluta all’autotrapianto.
I risultati dell’autotrapianto nei pazienti con LAM in seconda RC nello
studio retrospettivo dell’EBMT su 331 pazienti, indicano una sopravvivenza mediana libera da malattia del 42%; ancora una volta non è
chiaro il ruolo del purging, mentre sicuri fattori prognosticamente favorevoli sono una più lunga durata di prima RC ed un maggior intervallo
tra l’ottenimento della seconda RC e l’autotrapianto (92).
LEUCEMIE ACUTE LINFOIDI
La reale efficacia dell’autotrapianto nelle LAL è ancora molto
meno definita e più controversa che nelle LAM.
In prima RC, dati i risultati che attualmente si ottengono con la
chemioterapia, non vi è indicazione all’autotrapianto nei bambini. Negli adulti, sebbene alcuni studi non controllati suggeriscano che
l’autotrapianto consente di ottenere risultati migliori della chemioterapia, altri studi non confermano questi dati. In particolare, i pochi studi
prospettici randomizzati, che sono stati fino ad ora condotti, non
hanno evidenziato alcuna differenza significativa in termini di sopravvivenza libera da malattia, durata di RC e sopravvivenza globale fra le
due opzioni terapeutiche. Significativi in tal senso sono i risultati dello
studio del gruppo francese, che ha trattato a random 96 pazienti con
chemioterapia e 95 pazienti con autotrapianto: la sopravvivenza libera
da malattia a tre anni è stata rispettivamente del 32 e del 39% (84).
Analoghe perplessità emergono sul ruolo dell’autotrapianto in seconda
RC. La probabilità di ottenere una lunga soppravvivenza in seconda
RC con l’autotrapianto varia generalmente dal 20 al 30% sia negli
adulti che nei bambini, risultati migliori (40-50%) si osservano nei
pazienti con recidive tardive. D’altra parte, i pazienti in recidiva tardiva
presentano una prognosi più favorevole anche con la chemioterapia,
con risultati analoghi. Un recente studio randomizzato, condotto dal
gruppo tedesco in bambini in prima recidiva di LAL, mostra addirittura
risultati marginalmente più favorevoli con la chemioterapia rispetto
all’autotrapianto.
Non sono attualmente disponibili studi randomizzati in pazienti adulti,
comunque i pochi studi non controllati presenti in letteratura non
mostrano risultati incoraggianti e soprattutto indicano una scarsa fattibilità di questa procedura nella popolazione adulta.
Anche nelle LAL non esistono studi che dimostrino chiaramente un
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beneficio con l’impiego delle varie tecniche di purging attualmente
disponibili, anche se il purging è stato utilizzato più estesamente nelle
LAL rispetto alle LAM.
In conclusione, con le procedure con le quali viene oggi praticato l’autotrapianto, non sembra vi sia l’indicazione al suo impiego su larga scala ed il trapianto di cellule staminali allogeniche sembra dare risultati migliori nei pazienti ad alto rischio per fase di malattia
o per caratteristische biologiche sfavorevoli. Tuttavia, sembra opportuno indirizzare all’autotrapianto i pazienti ad alto rischio, in cui
non è disponibile un donatore per un trapianto con cellule allogeniche, ricercando nuove tecniche di purging e/o di terapia
post-trapianto.
4.3 TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI PERIFERICHE
E’ ben dimostrato che nell’ambito del pool delle cellule mononucleate
circolanti nel sangue periferico circa lo 0,1% è costituito da progenitori
e mopo iet i ci i n g rado di as s icu r a r e u n a r i c o sti tu zi o n e d e l l ’ a tti vi tà
empoietica se reinfusi dopo terapia sovramassimale. Una serie di studi
hanno inoltre dimostrato la presenza di almeno due tipi di progenitori:
uno capace di assicurare una ripresa precoce, ma transitoria, dell’attività emopoietica, l’altro, costituito da vere cellule staminali, in grado di
determinare un’emopoiesi più tardiva, ma stabile nel tempo.
L’antigene CD34 marca quasi tutte le cellule progenitrici e l’assenza
dell’antigene CD33, nell’ambito delle cellule CD34+, connota i precursori più immaturi in grado di assicurare una ripresa dell’emopoiesi a
lungo termine. Inoltre lo sviluppo delle tecniche di citometria a flusso
consente una rapida valutazione del numero delle cellule CD34+ ed
attualmente il numero delle cellule CD34+ è considerato l’elemento di
misura dei precursori emopoietici presenti nella frazione di cellule
mononucleate circolanti.
Questa nuova fonte di cellule staminali da utilizzare in procedure trapiantologiche è stata rapidamente valutata ed utilizzata prima nel trapianto autologo e, più recentemente, anche nel trapianto allogenico.
Considerando che nel sangue periferico vi è, in condizioni normali, un
basso numero di cellule staminali, vengono utilizzate tecniche di espansione in vivo basate sull’impiego di chemioterapia ± fattori di crescita
in caso di autotrapianto e di soli fattori di crescita in caso di trapianto
da donatore normale. Attualmente si considera che un numero di
cellule CD34+ > 2x10 6 /Kg sia adeguato per una rapida ripresa di
neutrofili e piastrine, la somministrazione di un numero di cellule
> 4 x 10 6 /kg non comporta in genere un attecchimento più rapi-
E
34
M
A
T
O
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O
G
I
A
do, probabilmente perché è necessario un tempo minimo di 7-14 giorni, per la maturazione e la differenziazione delle cellule progenitrici;
l’infusione di un numero più basso di cellule si associa in genere ad una ripresa più lenta, comunque altri fattori svolgono un ruolo
importante nell’attecchimento di un trapianto, e un danno delle cellule
dello stroma e/o una riduzione delle cellule accessorie, provocato
dalla precedente chemioterapia, possono essere responsabili di un
ritardo dell’attecchimento.
In definitiva, dati recenti mostrano che le cellule staminali periferiche possono essere utilizzate come fonte di cellule staminali
per procedure trapiantologiche. Tuttavia, in caso di trapianto autologo, rimane il problema della possibile contaminazione da parte di
cellule leucemiche, e in caso di trapianto allogenico, la mancanza di
studi con lungo follow-up che confermino la stabilità, a lungo termine,
dell’attecchimento.
4.4 TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI
DA CORDONE OMBELICALE
Il sangue del cordone ombelicale è particolarmente ricco di cellule staminali ed attualmente rappresenta un affascinante fonte alternativa di cellule staminali per un trapianto allogenico. I dati attualmente disponibili indicano che le cellule del cordone sono immunologicamente “primitive” e quindi meno in grado di evocare una risposta
immune nei riguardi di antigeni estranei. Se trapiantate, le cellule del
cordone stabiliscono una migliore tolleranza nei riguardi
dell’“ospite” consentendo una terapia immunosoppressiva
meno spinta o la loro utilizzazione in trapianti semi-compatibili.
L’istituzione di banche di cordone ombelicale potrebbe rappresentare
una fonte molto ampia, facilmente accessibile e sicura di cellule staminali allogeniche. Un ulteriore vantaggio è rappresentato dalla ridotta
possibilità di infezioni virali latenti. Tuttavia, questa procedura, dato il
numero relativamente limitato di cellule staminali, è attualmente praticabile solo nei bambini o negli adulti di piccola taglia, e, in un limitato
numero di casi, è stato segnalato un mancato attecchimento.
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LA MALATTIA
REFRATTARIA
Nonostante i notevoli progressi raggiunti nel trattamento delle leucemie acute, il fenomeno della resistenza alla terapia rimane ancora la
più importante causa d’insuccesso, soprattutto nei pazienti con LAM.
La chemioresistenza si può osservare in due condizioni cliniche ben
distinte:
1. resistenza primaria alla terapia, rara nella LAL e riscontrabile nel
10-30% delle LAM
2. insorgenza di resistenza alla terapia in pazienti che avevano precedentemente ottenuto la RC e sono successivamente recidivati.
Le cause di una mancata risposta alla terapia sono molteplici, ma
possono principalmente ricondursi a tre condizioni:
1. presenza di una popolazione cellulare primariamente resistente
2. elevata attività proliferativa di cellule residue chemiosensibili
3. inadeguata citoriduzione.
Probabilmente le prime due condizioni sono responsabili della resistenza primaria e delle recidive precoci, mentre le recidive tardive
sono legate ad una inadeguata citoriduzione iniziale.
Un somma di meccanismi complessi e spesso interdipendenti condiziona l’entità della citoriduzione dopo la chemioterapia. La farmacocinetica dei farmaci antineoplastici varia notevolmente da paziente a
paziente, per motivi correlati al paziente stesso e/o per le caratteristiche metaboliche delle cellule leucemiche, determinando delle differenze anche marcate, nell’esposizione al farmaco in pazienti che hanno
ricevuto la stessa dose di chemioterapici.
Differenze nell’attività proliferativa della popolazione leucemica condizionano notevolmente l’efficacia di farmaci strettamente fase-specifici,
come ad esempio l’Ara-C. Analogamente ci possono essere differenze
nella capacità di trasporto del farmaco attraverso la parete cellulare o
nella abilità, da parte delle cellule leucemiche, di riparare danni subletali.
Infine, caratteristiche biologiche presenti in subpopolazioni anche piccole di cellule, probabilmente quelle dotate di maggiore capacità di
automantenimento, possono determinare il fenomeno della chemioresistenza (Tabella 6).
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Tabella 6
Meccanismi di resistenza ai farmaci
Ridotta attivazione dei farmaci
Aumentata inattivazione dei farmaci
Incremento dei meccanismi di riparazione del DNA
Alterata espressione genica
Alterazione del "bersaglio" dei farmaci
Alterazione delle vie metaboliche dei farmaci
Stato cinetico della popolazione leucemica
Un particolare interesse è stato rivolto in questi ultimi anni allo studio
del fenotipo della “resistenza multipla ai farmaci” (MDR) che si associa
alla resistenza contemporanea nei confronti di numerosi farmaci antineoplastici di tipo diverso per formula chimica e per meccanismo d’azione.
Il fenotipo della MDR correla con un’elevata produzione di una
glicoproteina di membrana (P-170), che funziona come una pompa
per un accelerato efflusso di un ampio numero di farmaci derivati da
“sostanze naturali” quali le antracicline, i derivati della Vinca Rosea, le
epipodofillotossine.
Numerosi studi suggeriscono che elevati livelli di P-170 correlano
con una aumentata frequenza di resistenza alla terapia. Il fenotipo della MDR è raro nelle LAL all’esordio, soprattutto è raro nei bambini, mentre è più frequente nelle LAM all’esordio, soprattutto nei
pazienti anziani e in quelli con precedente fase mielodisplastica, e
nella malattia in recidiva.
Alcune sostanze, come il destroverapamil e la ciclosporina A si sono
dimostrate capaci, in vitro ed in vivo, di modulare l’effetto della
P-170, favorendo la ritenzione del farmaco nelle cellule, però i dosaggi
terapeuticamente efficaci sono elevati e comportano un’importante
tossicità generale.
Attualmente molti studi sono diretti all’identificazione di altre sostanze
in grado di modulare l’azione della P-170, ma dotate di un’inferiore
tossicità.
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M
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T
O
L
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G
I
A
Comunque, il fenomeno della MDR può manifestarsi indipendentemente dall’espressione della P-170 come nel caso della MDR verso
farmaci inibitori della topoisomerasi II o quella associata all’iperespressione di altre glicoproteine coinvolte nell’induzione di enzimi metabolizzanti, quale ad esempio la glutation-S-transferasi.
I risultati del trattamento della malattia refrattaria, sia LAL che
LAM, sono molto insoddisfacenti, anche se alcuni pazienti
ottengono una RC, questa è in genere di breve durata e solo un
trapianto allogenico può offrire una possibilità di cura.
Al momento attuale non esistono programmi terapeutici standard di
reinduzione nè per la LAL, nè per la LAM resistente; in genere si utilizzano protocolli molto intensivi, spesso basati sull’impiego dell’Ara-C
ad alte dosi in associazione con altri farmaci possibilmente non crossresistenti.
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TERAPIE MIRATE SU
SOTTOTIPI BIOLOGICI
Il concetto della “terapia mirata” su specifiche caratteristiche biologiche è una recente acquisizione della strategia terapeutica nel campo
delle leucemie acute; molti programmi terapeutici che non hanno
migliorato significativamente i risultati valutati sulla popolazione globale dei pazenti, si sono dimostrati invece particolarmente efficaci in
specifici sottogruppi fornendo alla ricerca di base una linea guida per
cercare di comprendere il significato biologico di queste diverse risposte alla terapia.
LAL B MATURA
Questo sottotipo, caratterizzato da un fenotipo immunologico B maturo e da un fenotipo molecolare di traslocazioni che coinvolgono l’oncogene c-myc è tradizionalmente considerato a prognosi estremamente sfavorevole se trattato con terapie standard. Dal punto di vista
biologico questa forma è caratterizzata da un’elevata frazione di crescita e da una elevata frequenza di recidiva, sistemica e meningea,
legata alla rapida emergenza di cloni cellulari resistenti, ma anche da
un’elevata chemiosensibilità. L’impiego di programmi terapeutici di
breve durata ed estremamente intensivi basati su: alte dosi di
MTX ed Ara-C, CTX ad alte dosi o iperfrazionata e precoce profilassi della localizzazione nel SNC, hanno profondamente modificato la prognosi di questa malattia sia negli adulti che nei
bambini. Attualmente la possibilità di sopravvivenza libera da malattia
a lungo termine è del 50-80% dei casi (Tabella 7). Data l’elevata chemiosensibilità è indispensabile affiancare il programma chemioterapico
con una valida terapia di supporto (idratazione, alcalinizzazione, antiuricemici) per prevenire l’instaurarsi di una sindrome da lisi tumorale.
LAL T
L’immunofenotipo T non si associa sempre ad un preciso “fenotipo
molecolare” e probabilmente comprende entità biologicamente diverse. Comunque, il significato prognosticamente sfavorevole che in
passato veniva attribuito a questo immunofenotipo è stato
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Tabella 7
Risultati della chemioterapia intensiva a breve durata
nelle LAL B mature
Studio
n pazienti
CR
Sopravvivenza a
lungo termine (%)
Casistiche pediatriche
Bowman et al. (a)
42
90
60
Patte et al. (b)
31
90
83
Reiter et al. (c)
22
24
41
87
88
90
40
50
78
Fenaux et al. (d)
16
63
57
Hoelzer et al. (e)
24
71
44
{
Casistiche adulti
a
b
c
d
e
Bowman et al. Proc Am Soc Clin Oncol 11: 277, 1992 (abs).
Patte et al. Proc Am Soc Clin Oncol 11: 340, 1992 (abs).
Reiter et al. Blood 80: 2471, 1992.
Fenaux et al. Br J Hematol 71: 371, 1989.
Hoelzer et al. Leukemia 6 (suppl 2): 132, 1992.
recentemente annullato dall’impiego di protocolli terapeutici
che utilizzano precocemente Ara-C e/o CTX, e con i moderni
programmi terapeutici, le LAL T vengono considerate a “buonaintermedia prognosi” (Tabella 8). La spiegazione biologica di questi
dati clinici potrebbe essere legata all’osservazione che i linfoblasti T
Tabella 8
Risultati del trattamento della LAL T dell'adulto
Studio
n pazienti
RC (%)
Sopravvivenza a
lungo termine (%)
*
621
81
46
* dati derivati da casistiche pubblicate
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sono particolarmente sensibili in vitro all’Ara-C perché hanno la capacità di accumulare alti livelli intracellulari della forma attiva dell’Ara-C
(Ara-C trifosfato) (93); inoltre, studi in vitro su linee T neoplastiche
murine hanno dimostrato un sinergismo di azione tra Ara-C e CTX.
LAL PH’ POSITIVA
I pazienti con LAL Ph’ positiva, adulti e bambini, hanno una prognosi
sfavorevole con scarse possibilità di “guarigione”, nonostante l’impiego di programmi terapeutici particolarmente intensivi abbia migliorato
la possibilità di raggiungere la RC (Tabella 9).
Tabella 9
Risultati del trattamento della LAL Ph'+ dell'adulto
Studio
n pazienti
RC (%)
Durata RC
(mesi)
Sopravvivenza a
lungo termine (%)
*
264
64
8
0-16
* dati derivati da casistiche pubblicate
Non sembra che un’ulteriore intensificazione dei programmi polichemioterapici post-remissionali possa modificare sostanzialmente la prognosi di questi pazienti ed attualmente i risultati migliori sono stati
ottenuti con il trapianto di midollo allogenico. Tuttavia, la possibilità
di sviluppare programmi terapeutici mirati sulla lesione molecolare che caratterizza questa forma di leucemia è un’attraente
prospettiva e molti studi sono attualmente diretti in questo
senso. Programmi terapeutici potenziali sono rappresentati dalla possibilità di inibire la trascrizione dell’mRNA chimerico mediante oligonucleotidi antisenso (94) o di inibire l’espressione del gene BCR/ABL
mediante riboenzimi artificiali (95).
Altre potenziali terapie includono nella terapia post-remissionale l’impiego dell’interferone, che si è dimostrato attivo nelle leucemie mieloidi croniche, dell’erbimicina A e dell'interleuchina 4 (IL-4).
L’erbimicina A è un antibiotico benzochinonoico, che sembra avere un
effetto inibitorio specifico sulle tirosin chinasi ed è in grado di bloccare
la crescita e la differenziazione delle cellule Ph’ positive (96); anche
l’IL-4 sembra in grado di inibire specificamente la crescita di linee cellulari Ph’ positive con un meccanismo non ancora chiarito (97). Infine
è particolarmente interessante la possibilità di stimolare una risposta
immune specifica rivolta contro la proteina chimerica, prodotta dalla
fusione BCR/ABL.
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Tutti questi approcci sono attualmente a livello pionieristico e la loro
reale efficacia e possibilità di realizzazione sono tutte da dimostrare,
ma costituiscono un’importante linea di ricerca per lo sviluppo di
“terapie mirate” per questa patologia e per altre che presentano analoghi bersagli molecolari su cui indirizzare la terapia.
LAP
Fino ad ora la ricerca farmacologica per il trattamento delle leucemie
acute è stata fondamentalmente basata sull’identificazione di nuovi e
più attivi farmaci, il cui meccanismo di azione era principalmente di
tipo citotossico; comunque la possibilità di utilizzare farmaci in grado
di indurre la differenziazione terminale della popolazione leucemica,
senza effetti tossici sulle cellule normali, ha sempre costituito un affascinante obiettivo.
Con l’impiego dell’ATRA questo obiettivo é diventato attualmente una
realtà per la LAP. La capacità della LAP di rispondere all’ATRA con un
meccanismo differenziativo é stata dimostrata per la prima volta da un
gruppo cinese che ottenne il 100% di RC in un gruppo di 23 pazienti
con LAP, usando l’ATRA in monoterapia. La RC veniva raggiunta
senza attraversare una fase di aplasia midollare e le modificazioni
morfologiche delle cellule durante il trattamento suggerivano un meccanismo d’azione di tipo differenziativo. Questa prima osservazione,
successivamente confermata da altri gruppi (Tabella 10), ha aperto
Tabella 10
ATRA come monoterapia nelle LAP
Autore
Dosaggio
(mg/m2)
n pazienti
RC (%)
n recidive
45-100
23
100
7
Castaigne et al. (b)
45
22
64
9
Warrel et al. (c)
45
22
82
1
Chen et al. (d)
60-80
50
94
19
45
51
86
-
Huang et al. (a)
Frankel et al. (e)
a
b
c
d
e
E
44
M
Huang et al. Blood 72: 567, 1988.
Castaigne et al. Blood 76: 1704, 1990.
Warrel et al. N Engl J Med 324: 1385, 1991.
Chen et al. Blood 84: 1413, 1994.
Frankel et al. Ann Intern Med 120: 278, 1994.
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O
L
O
G
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A
nuove prospettive terapeutiche per questo particolare tipo di leucemia
acuta. L’ATRA è attualmente il “gold standard” nel trattamento di
prima linea della LAP, ed ha stimolato la ricerca biologica per la comprensione del suo meccanismo di azione, per cui attualmente è chiaro
che il trattamento con ATRA nella LAP è direttamente rivolto alla lesione molecolare che è alla base di questa forma di leucemia acuta.
Tuttavia, gli studi di biologia molecolare hanno dimostrato una
persistenza di malattia a livello molecolare ed una breve durata
della RC nella maggior parte dei pazienti trattati con solo ATRA,
perciò le attuali strategie terapeutiche utilizzano l’ATRA in
associazione con la chemioterapia a base di antraciclinici ±
Ara-C (Tabella 11). I risultati attualmente riferiti sono estremamente incoraggianti e la prognosi della LAP, considerata venti
anni fa la leucemia acuta a prognosi più grave, è ora simile a
quella dei bambini con LAL a basso rischio.
Tabella 11
ATRA ± chemioterapia come induzione nelle LAP
Autore
Dosaggio
(mg/m2)
n pazienti
RC (%)
n recidive
Fenaux et al. (a)
45
26
96
3
Ohno et al. (b)
45
64
84
n.s.
Castaigne et al. (c)
45
30
80
2
Avvisati et al. (d)
45
86
78
n.s.
Kanamaru et al. (e)
45
109
89
0
Avvisati et al. (f)
45
20
90
4
n.s. = non specificato
a
b
c
d
e
f
Fenaux et al. Blood 80: 2176, 1992.
Ohno et al. Leukemia 7: 1722, 1993.
Castaigne et al. Blood 82: 3560, 1993.
Avvisati et al. Blood 82 (suppl 1): 250a, 1993.
Kanamaru et al. Blood 85: 1202, 1994.
Avvisati et al. Blood 89: 1996, in corso di stampa.
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PROSPETTIVE FUTURE
Anche se vi è stata una continua evoluzione nella strategia terapeutica
delle leucemie acute, numerosi problemi rimangono ancora non risolti.
I risultati dell’applicazione su larga scala di programmi terapeutici
standardizzati ha evidenziato la necessità attuale di delineare programmi terapeutici che tengano conto delle caratteristiche biologiche
di definiti sottogruppi di pazienti con esigenze terapeutiche diverse,
non solo per evitare un eccessivo carico terapeutico nei pazienti a
“buona prognosi”, ma soprattutto per elaborare strategie terapeutiche
efficaci nei pazienti che presentano caratteristiche biologiche sfavorevoli. La chemioterapia intensiva ed il trapianto di midollo rappresentano attualmente la strategia terapeutica più efficace in questi pazienti,
ma è comunque un approccio terapeutico non mirato.
I successi dell’impiego dell’ATRA nel trattamento delle LAP possono
indicare la strada attraverso cui la comprensione del meccanismo biologico, che sottintende il processo della leucemogenesi, consente di
sviluppare terapie miratamente efficaci. Potenzialmente vi sono
molte opportunità: immunoterapia mirata su specifici bersagli
antigenici associati alla leucemia, oligonucleotidi antisenso,
modulazione dei meccanismi di resistenza, uso mirato dei farmaci in base alle caratteristiche metaboliche delle cellule leucemiche. Gli sforzi futuri devono perciò essere rivolti all’applicazione
pratica e razionale di queste acquisizioni.
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