Il Paradiso degli Alberti, ritrovi e ragionamenti del 1389, romanzo
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Il Paradiso degli Alberti, ritrovi e ragionamenti del 1389, romanzo
, .A ^' ?* r':. ^Iv !%. 1 IL PARADISO ^EOLI ALBERTI A\^V ; IL PARADISO DEIiLI Al.KRHTI RITROVI E RAGIONAMENTI DEL 1389 ROM^VNZO idl,GIOV ANNIDA prato! dai codice autoj^ratu e auoaima della liic-f-urdiaua A CURA _ DI ALESSANDRO WESSELOFSKY VoIuiTie T'erz^> Tetto — ne*— I I .- BOLOGNA' PRliSSo GAETANO ItOMAGNliLl MDCCCLX VI I. ^^<^ Edizione di soli 202 esemplari ordinatamente numerati. N". \\>-^\:\ Ti|iMKriili:> 103 LIBRO IH Pci'cliè inimiciindo luiii s' à lìPocesso in sul slvenie adivieiie che coi piaceri aùli traili amici meno del fatto, consolazione nel di tempo che con ciò si sia sia stato cosa che bene che più comune è, sanza dubbio più divino si dimostra: onde, o cordialissimi amici miei, di quanto ndilo avete da tanti prcclarissimi pa(]uel dri dello e ragionalo, a me somma- mente ingrato sulo essere mi parrebbe, si per la buona memoria di tanti uomini si per avere magninchi giocondi e maestrevoli esempli, avendo sanza con voi comunicargli taciuto. Il perchè de vogliale, riguardando spcilabili , voi ricreati de' loro e , 2 le predelle cose non secondo mio non isquisilo islile, ma secondo il loro pronunziare e narrare, lultc il giudicare. (J quanto è potere discrivere forte laborioso il e loro divino gesto, l'argute sentenzie e talora a piacevolissimi motti colla tempo i , miracolosa pronunziazione, delli uomini di tanta autoriladc e gravezza! Comprenda adunche il vostro divino intelletto e suplisea a quello, clic debile ingegno mio non buona rciiu) la e il la ; nostra matera. Saputosi come il le e così faccendo ferma speranza segui- forze, averlo scusato con aule à per alcuno della cosa era adivenuta tornare da' santissimi spetabili cittadini, e sì città si per luoghi ancora per tornata di Biagio e di Malio, festa e sollazzo alla , gli la comune cittade, e ripe- quanto s'era detto e fallo a Poppi, mise in animo ad alcuno volere ragunarc in qualche luogo più piacevole e alto una compagnia di tcndi) sintrularissimi famosi e cliiarissimi 3 uomini, quaulo per do si fosse, i lu tempo quali nella nostra glo- riosa città in quelli tempi chi per uno fine e chi uficiali iMarsilio altro. Era maestri li de nostro studio Maestro da santa Sofia Padovano, uomo fisico di trina, non solamente sua medicina, rali riirovaro si per un slato chiamato e eletto per e mon- al mirabile s'cienza e dot- ma nella prmcipale in tutte l'arti libe- sanza dubbio meritevolmente glo- Similemenle ancora ci era maestro Biagio da Parma, universal filosofo e merioso e famoso. per simile lamatico età modo più che altro avesse. Eraci si il che divino quella intel- famoso maestro Luigi, teologo sommo e predaletto del rissimo nostro oratore di , a le cui laude di mare della eloDemostane e Cicerone. bisogno sarebbe queiizia tanto lo e famoso maestro Grazia, non meno d'ingegno divino che umano. Fioriva ancora in que' tempo Francesco dalli Orfani musico tee- Kraci ancora il preclaro leolago e metamatico l rico e piMlico mostrò minbil cosa , qnnsi cieco quale il tli mostrava proporzioni solilissime le si divino, che tallio intellcllo ogni parte più astratta il) a ridirp: niitivilà ;i de' suol musicabili numeri, e quelle con tanta organo suo dolcezza col praticava ciré cosa non credibile pure a udilla. E non questo ehi con ogni istante e filosofo ciò dispulando artista tanto della sua musica l'arti liberali, in e perchè ma , in non tulle di tulle quelle buona parte erudito si n'era. Fue adunche in questo l'elicissinio grazioso anno la città molto di feste e di letizia gioconda: dini i l'amosi cilla- governalori di tanta republica lietissimi e contenti nella jiace sicura; I ottimo temporale avje- mercalanli 110 ; perchè artefici li e niiiiula la gente sanza spese o gravezza, sendo convenevolmente l'anno abbondante, MI questa tirri dere felicità si vedieiio, e ciascheduno SI trovava viti, inagnilìci , a volon- festeggiare e go- facevasi molli con- e spesso. In fra' quali pi;i(]iie padre carissimo Coluceio ;il cancellieri avere iu(-;lro Ilare con kilti i buona seco a disi- e dimeslica letizia con più sopradelti nomali più medici e artisti e altri notabili E venuto tadini.' il e cit- di diputato, ri- ceùti lielissiinamente e in molta abon- danza di splendide vivande grande pia ciuido die inoltissinic il cominciò lieto ;iùlo sonale e cantale fi- "Quanto della io v'alibia a cortesia e piacere da voi, io né saprei uè potrei; tanto ricordare piacere sia vi voglio che a voi qui questa sera cenare, imperò che costumo fiorentino in , desinare, Coluccio cosi a dire: ringraziare in co- lempo chiedeva, dopo 'I crmonie da Francesco con sua compaiinìa nendo e preziosissimi vini, se- di si èe questi tempi cosi fare, e a noi con- viene questo costume seguire e servare; imperò che buona consueludi- nc e prescritta sia in luogo di fermissima Icggie <. Piaque a ciascuno dovere fare, sperando quel (jiiello di con grandissima consolazione nas- 6 sare; e dopo mille belli ragionatncnli lietissimi ciascuno a suo alloiiianieiilo ne gio, l'accendo Goluccio lietissima compagnia per buono spazio. Dapoi da loro presa licenza e verso casa tornando, scontratosi Antonio di Messer Xicolaio il in sua Messer delli Alberti, quale a dijìorto con sua compagnia n'andava, fattosi debite le saluta- Messer Antonio a Bene dovete avere aùlo, zioni cosi cominciò parlare: « singularissimo padre, questa mattina grandissimo piacere e consolazione, sendo slato tra tanti notabili e sommi apresso de' quali e lìlosofi punto non dubito che ogni parte di filosofia si morale come naturale è familiare e pronta. Ben v'ò grande invidia: piacesse a dio che io avessi (anta grazia che qualche di voi fossi teologi , io al Paradiso, iinpeiX) che quivi più in agio istaremo che dcntra alla ciltadc. E voi sommamente priego che di tanto operatore co' loro lo facciale. luogo allo e come in siate insieme Sapete quanto è uno punto avere e che possono si Coluccio, liitli clie gli agi e i)iaceri "Mcs- (Jicea, al cavalieri cosi riS|iuDSo: ser, io proniello che mai vi ». voiontieri nilia (inalilo simile vegiendo u uomini; ma singolarmente piacere abiamo aùlo di.'l maeslro Biagio da Parma, di sue (ippinioni e conclusioni; imperò che con sue pruove e demoslrazioni vuole la lede essere in magior parte conforme colla filosofia naturale e consolazione udendo non ebbi , valenli lanli metafisica, e à dato tanto di piacere maestro Luigi che più a lui s'opoche à usato dire che mai tale l'ebbe. Niente vi dico d^lli altri, al nea si , pprcliè a nulo tutti èe. si quasi Ora il simile adive- col iKuiie dio di voi piacerà questa sera venire a a cena co' loro, e quanto voi dite dell'essere con voi Paradiso iiigegnieremci di fallo ». al .\ cui cosi il (;avaliere rispuo- Bene non vuole la mia fortuna che io possa venire imperò che (juese : " sia sera più gentili uomini festegianli cenano meco; ma bene voi priego che, 8 cenalo che voi avete, a l'are collazione vi piaccia venire insieme nel tulli nostro ujiardino, e quivi daremo l'orma alla dilettevole gita del Paradisi! ». Piaque al cancellieri e cosi si partiron andando ciascuno la diliberazione; suo viaggio. Venuto poi il vespro uomini raunati, e gitone al tempo a tavola con molli piaceri faccendo Biagio ora uno e sollazzi giuoco ora un altro per si l'alta l'or- al e i valenti , ma che l'acea maravigliare chi più lo conoscea, non che coloro che usi di ve- non erano, ora contrafacendo maestro Biagio, ora il maestro Mar- dello il silio, ora l'uno, ora l'altro ne' gesti, nelle parole e talora nell' abito, clic stupel'aili e attoniti mirallo, parendo lusione di slavono loro più spirili, che tulli tosto induslra a il- o ingegno umano. Et così tu la cena tanto gioconda e piena di festa che mai simile a quella si vide. Finita in questi piaceri e le tavole levate, piaque al cancellieri alla compagnia così dire: «Voi sapete, reverendissimi padri e amici, quaiilo è stala oltiiiii 1,'raziosa, e onorata iiiaiinitlea famiglia delli (Iella larmente la Alberti casa la e siiigu- propia de! valoroso e per bono essempo ragujrdevole e ricordevole a ogni memoria cavaliere Messer Nicolaio degli Alberti (1), qui ogni a noi per l'arielro vicina, e [)re virtù di ralo. Al presente figliuolo, ritenendo me del padre, in chiesto che nel come sem- anno onoMesser Antonio suo uomini gli la natura e costu- singulare grazia ni'à suo giardino conduca, si che, una sua lietissima chi noi io vi sa, apari Il perchè a contentamento clie noi 1' andiamo a vedere e non sanza grandissima consolazione di casa. ine pare, sedi vostro è , fia ciascuno e cortesia e giovane cavaliere ». Non ebbe parole il . laiid'llaln somma al tosto delle (picsle cancellieri ll)Abliinnin Allici'li si letizia e dalla ilslabililo nel Codice il brigata rasalo : di'lli 10 risposto che facesse quanto a lui |ii;i- cesse, che Messere Antonio con ono- revole compagnia de' Peruzzi sulla piazza che che col cancenato avieno. E uscendo, in- uscissor di fuori cellieri i^ià in era, aspettando si (juelli nanzi egli facendosi con debite salutazioni quelli singulari maestri per mano prendea diciendo: alla la E' piacerà » a vedere una maestro Luigi, che vostra carità venire nostra casa? « 11 seco molta contezza avea mamente rispuose « : sere, che incontro ciamo per prestissi- , Vedete, Mesnoi a voi ci fac- quanto a voi piacere nella ricca si fia ». Et lutti insieme casa entrare; e passato per lo cortile, dove a mano destra era una loggia l'are ricamente ornata di e splendidissimi capolclli tappeti, pancali ; et oltre- passando entrarono al giardino, dove ins' uno pratello circumlato d'allissinìi arcipressi e abeti, melagrani, alori aparecliialo si , melaranci e mortiui e ulivi, era da sedere richissi- inamenle, con una credenza da unn , Il de' eanli siivi , molle e varie molte argentiere con cont'ezzioiii e frulli co' molli vasi di vetro pieni di pre- ziosissimi vini. Era in quell'ora nel uno giardino piacevolissimo rezzo gioconda brigala rinfrescava. Posto a sedere valenti uomini Francesco, die lietissimo era, chiese il suo organetto e cominciò si dolcemente a sonare suoi amorosi canti, che nessuno quivi si era che per dolcezza della dolcissima ermoche la iultii i , nia iiolli paresse, che '1 cuore per soprabondanle letizia del petto uscire gli volesse. E mentre che queste cose si si facieno, uno in abito assai onesto e quieto venne e domandò del maestro Marsilio e che perdioavea grande bisogna di parlare a lui per cosa necessaria e di fretta. Fu detto al maestro, e elli inanzi a lui si umanamente facesse, adimandale, buono uomo?» rispuose: » Maestro, rerò per essere tosto e co' dicea che dicendo io A : Che cui elli non mi cu- sentito, perchè meno impaccio più fornirò 12 la mia facceiula venlura quanto " , come e — -. Or « pare a voi buona colla maestro dieea il — ». dite • , " maestro, arci bisogno che voi mi cessi qual cosa migliore è lo, di- giltare a imperò eh' uno mio fraiello bisogno grandissimo n' àe. » A cui il maestro soramente rispuose dandogli molli rimedi, a cui il buon uomo non altremenli dicea: «Maestro, maestro non vai uè gotta >. Perchè il maela pietra, stro sopragiunse ancora più e più medi, a cui il buon uomo simile sta a quella, clic l'atta ri- rispo- avea, taceva. Il perchè, avendo detti molti e molli e infiniti ripari e avere che dire, rispondea non v;ilere cedette e disse: mi' ". A cui il ne gotta. El Non ne so più buono uomo sogiunse: elli « e più non buon uomo pure rimedi e'I » Volete voi, maeslro, che io a voi ne 'nsegni una migliore che di quante delle n'avete, e no me lo negherete ?• A cui preslissimamenle rispuose; A me lìa perlo ". singuhirissima El elli grazia sogiunse: • a sa- Sapiatc 13 admu'lio. iiiMcsIm (enele rli' cIT è per e iiiio, certi) polvere da bom- l;i che grande vedere se ne maestro die ancora non tturd^i, e pniiive Uitlu |)i-oiiiellovi i;ion)(j imole I. Il avea conosciuto Bia;;io di gemello, il (jnale era quelli che mutalo iibilo e forma rai,'ion dimandava, prestamente il rispuose: « Voi dite il vero ed avete Ma, poi che Biagio ». fu apa- si lesalo e lasciato l'abito che avea, maestro slupetallo saziare non di lea si il pe- mirallo, e abbracciato slrelta- menle disse: «Biagio mio, io voglio essere omai de' tuoi discepoli in tulle le ma singularmenle cose, cina di pietre ». dissime e risa Fece la sollazzo imperò che neuno ancora che quello Biagio m festa la si luccio .Xiitonio glia fornita, essere la di questo, s'era acorlo fosse. Et cosi collazione splendissima- mente aparechiala niamente medi- in brigata gran- si lue; e parve tempo brigata del T'aradiso, v. lielissi- padre Coche messer al invitasse cosi lo alla fece per u questa maniera. siri carila clic Voi padri avele in' in|ei , cortesia tanta fallo e inac- per vostra voluta questa vostra casa avele vedere. Piacesse quale merita dio « singuiarissimi Dio a vostre virludi le sommamente tale fosse ; per- il ne ringrazio, voi sperando di corto che vorrete vederne un'altra, la (juale qui di fuori presso alla città voi avele. 11 tempo nella vostra sia ornai tanto dire vi voglio, inanzi che di qui vi partiate, eleggerete do ma elezione; clic, il quan- piaceràe. Tanta forza con a voi me ne pare, non abilcmente potervi sì vostra licenza usare veggendo io unitamente acozzarvi sente 1 si siete come al pre- llislrinsonsi insieme ». maestri, e finalmente comisono nel cancellieri la' lezione di quel di che dovessono gire piacea tutti e , quello concorrieno di che a fare.' Itimaso adunche la' cancellieri, e prestissimamente spuose così liere : " elli in Perchè lezione del di nome i di tutti al buoni lui — al ri- cava- e piacevoli 15 Messere Antonio, preslis- pensieri, simainenle esecuzione in niellare si ileono, e per voi conlenlare, vi ri- spondo che domattina noi tulli insieme al Paradiso saremo: amai sanzu altre eccezioni da noi l'alte questo empiere vedrete ". Ringraziò la brigata il cavalieri; da poi partitosi con grazioso commiato, ciascuno loro magioni a tornaro, riniagnendo prima sieme doversi trovare lo fresco al la tutti in- mattina per Paradiso come promesso avieno. Venuto da vatosi come la la poi brigata la mattina e Iro- grazioso luogo, al sera dinanzi ordinato avieno, Messer Antonio co' fratelli con sua onorevole compagnia entraro(lj dentro al palagio, con grandissima letizia riceuti dove tutti insie- e trovalo e , me ne girono alla cappella, e quivi aparecliialo un [irete una messa con modesto modo si disse. E finita la messa con molla giocondità nel giardino (1 delli abeli i;oil. apresso ondalo. alla fonte ne Iti j,'iro,dove;i|)arecliialo si era da sedere apresso idii molli rielii paiicali, e ivi ridi) uno dirizzaloio quale erano in sul molli vasi d' arienlo con di vino [)rezio.sissim(i peregrine molti confezioni trulli altri eravi ; ancora soavi e freschi, ciriege ottimi e rugiadosi lichi. poi)i.uii, niinciata la pieni e di varie e E , co- collazione a (lucUi dolcis- simi rezzi per molli e molti sergenti die puliti e frescandosi lietamente servieno cantando per simi pini numero di , cime de le abeti , rin- frigidissima aqua colla li cipressi e d' uccellelli, sì , odorosisinfinilo che ciascuno essere istimava nel più bel loro paradiso; da poi falla la collazione e veduto perla prateria diversi animali, sommamente e strani piacevoli e nia- ravigliosi (a) quelli considerare e ve- dere; fu ajiarcchiato e porlo a France- sco musico il suo presolo cominciò cailo e si organetto; e dolcemente elli a loc- con tanta dolcissima ermoiiia sonando che ciascuno grande maracosi per laudcviglia prcndea e , ; \(ilc spazili soiiaiidn tulli d'niiiiiila , J7 inebriava. El mentre clic que- iliili-ezza ste cose si al larieno si , venero deniro i^iardino una lietissima e gioconda (•om|)agnia legiadre di e bellissime tionnc, sendo dinanzi da loro molle vezzose e angeliche pulcellclte e in compagnia di loro legiadrissiini giovenelli. E fatto reverente salutazione prima tanto famosi maestri a' seguentcniente su- e ciascuno, da a loro furon lietamente vedute e accettale, parendo obicllo sì tosi più una dì « questa essere singula- loro grazia rissima ventura avere per e bellissime creature. E fat- innanzi e apresso di loro loro cosi cominciò a dire: l{evercndi padri e maestri, da poi a voi è piaciuto esser venuto a vedere questa contrada, per la qual che cosa a noi è singularissima grazia, preghiamvi che noi accettiate, soinnia ci>n vostra pace voi che possiamo si consolazione voi con udire e fi- iialmeiile portarne utile e santissimo ainaestramenlo. >ti->>inH) dire i » Udito ipiesto one- xalciili maestri, piaqnc 18 loro t'omelcre risposta ; maestro ;il così disse; « Biagio il nostra sia a voi i^rave lo 'iidugio di risposta, imperò clic elli è qui Biagio che pienamente stro la maestro Luii;i Onestissime cioime, noti 'perchè il mae- vi dirà quale è nostro piacere e intenzione. E prestamente si Biagio e disse: « volse al Maestro, voi avete queste venerabili donne: uilito •• maestro sta la risposta, fatela loro voi, a voi come Ixmtade e gentilezza >. È mestieri adunche, amici caris- merita tanta la condizione più tritamente del Maestro Biagio sapere, acciò che pienamente conipretidiate suoi costumi e modi E il maestro Biagio uomo di simi, i mirabil scienza e dottrina, come in parte di sopra udito avete, e non so- lamente ma guto in in filosolìa naturale e morale, melamatica ardemostrativo e più oh' altro ogni |)arte di secondo che la astuzia argumenlazioni richiedo. Olire reale, e solista iieir mea questo è sommo teolago, di moria tenacissima e grande, eh' è 19 rn;nM\igli;i a alla luiiln lollura naturale lìlosofia avere peusalla , , zione improviso si e é lanlo abi- singularmcnte di che ogni innanzi ; saiiza libro dillìcilissinia le- leggie, dilucida e Vedale adunche quante sono le sue virludi. Per altra parte non credo che trovare si potesse uomo che sano sia di celebro, di mi(lechiara. nore inlenilimento di lui intorno alle cose politiche o icononiichc e singu- larmenle circa la eloquenza. Il perchè maestro Luigi con piacere della compagnia dare al maestro Biagio la risposta alle graziose donne, per prendere di lui piacere. Udirete adunche come la fece e con quanto piaque al leggiadra eloquenzia. Veduto maestro Biagio, dopo il molla rcpugnanza per non fallo, do- vere rispondere, non altrimenti che cosi disse: terra cosa e , chiezza bonae, o bonae, do- « minae meae! " sanza sendo il inchinandosi quasi a avere in capo alcuna suo capo per vec- quasi tutto calvo e picciolo: 20 il perchè, per essere ancora sì colo e sparuto di persona, pic- come per lo tempo, uno mentecatto parea. Le donne, die lui vedieno sì injjinocliiato a terra e sì dire nò altro maravigliavansi. Ma una di quelle con una buona e otiesla baldanza, il , nome è Ginevra, figliuola del nopadre messer Nicolaio facendosi più innanzi il prese per mano e su levòllo e in tal maniera parcui tabile lòe di : , Mollo • quanto a ringraziare v'abiamo à risposto ci stro Biagio die il ci cliiaiiia nostro maesue madon- vogliamo essere sue buone figliuole pur che meritiamo essere m ne; noi li vostra compagnia «. Ralegròssi ciascuno del modo del maestro e com- mendando mcnto di buono il e presto acorgi- della valorosissima giovane e sua risposta piacere di tutti ; e prestamente con e singularmente di Francesco musico due f;iiiciullctle cominciarono una ballata a cantaro, te- nendo lo, con loro bonbìiie Biagio di taiila Semel piacevolezza e con voci sì 21 die non che aiigeliclie, mini e donne, e udì pressi erano, cauli loro caiilare, queste Or SII ma cliiaramenle iiceilelli li I.e si che su per , no- gli ast;\nli vide li ci- più pressimani e l'arsi i con più dolcezza e copia parole della ballala son : e?), gcnlili ad amar pronti. spirti Volete voi vedere paradiso il ? Mirale d' està cosa suo bel viso. Nelle sue sunti luci arde e sfavilla Amor vcttorioso, che IVr dolcezza Ma I' Piala K alma mia, fedelissima non trova nuli' altro S:icra Mercè Tir , mercé : Finilo vole al il lei ama ; lampa o disila. tuo servo un po' spira sol cliiartlo, sii conquiso ; morie m'abbia auciso. calilo dell'angeliche pul- sendo già lenipo che lo tadesinare erano insieme coi valletti aparcchiati, e alle mira ancilla. in questa cliiara che Iddea, al fallo pria rlie cellelie, divampa di gloria cliì la preso ijuivi l'aqua mani, uscirono del giardino e in una sala terrena riccamente guernila per mangiare te si poiiieno. E dopo mol- splendide vivande, levalo le tavole e cantato e sonalo più canti e suoni. due garzonelli pigliòe con una isnella e leg- giadrissinm dro due con pulceilelle Maltio di ser danza, dicendo AlessanLamberto quella al tulio volere sonare elli, e colla sua chitarra dolcemente sonòc, che non ch'altri, ma Francesco musico tulio ringioire Iacea. E cosi per buono spazio di tempo I' ozio passaro con gioconsì dissima festa. Kra nel luogo molle reverende matrone e padri venerabili per altorità, loro figliuoli quali con somma dilezione raguardavano parendo loro essendo in quei luogo dovere ellino per singulare memoria sempre doversene ricordare. K di lauto molti di quelli che a vedere slavano s'acorgeno. Finito la legiadra i i , ilanza e lutti rimasi in silenzio, e es- sendo già il tempo vicino a girsi a posare, messere Antonio cosi cominciò a maestri a parlare: , posarvi tulli « quando , a voi Reverendi a padri e voi piacesse gire sta. » 11 parve non essere ancora perchè il a Icinpo 53 né laudabile dicendo con voce il maestro Biagio: « lo non debito alta , voglio posa altra mi' E ». cosi fri ragionando si parli più e più clic quivi a vedere erano slati si l'ho rlmaso le gentilissime donne e venerabili padri a sedere, Alessandro che bene considerava così cominciò loro , , dire a : forse lo " presuntuoso saròe a parlare sanza espressa comessione di voi, padri e maestri condilà si ma miei; della vostra presenza la gio- come delle preziosissime vivanda con tanta (I), die io né voglio né teposso d' uno dubbio che al aùte letizia nere mi presenic m'é di scoprire, nella mente cadalo a voi parendomi doverne esse- re prestissimamente contento e cliia-, E bene a me é sommo contentamento e piacere die, presente tanto oneste matrone e di somma reverenza degne, quello si dichiari, imperò rito. ( iie ; I ) M;iii< a il coiiipleineiito diMlii piuposizici- dovev:( per uvvenluia dirsi ; è lauta. 5i che loi'iM oslanle a luro come niio piacere il ;i noi. Ma non nienle dirci vosln grazia e pace io non dicessi, aspellando che in vostra consolazione a me il coman- che con diale «. Udilo luUi così dire a Allessandro, piacevolmenle volea dicesso; fu dello, che quanto onde preslissinianicnlo così disse e propuose. Porcile molto e molto conside- « rato si oè , mentre che alle vezzoso donzelle co' giovanetti danzando so- nava, quanto è l'amore e l'effezionc de' genitori verso per molli essere segni molli i loro figlinoli conoscendo padri e madri, io e ; e (]ui vog- gendo li alTettuosi sembianti di ciascuno; m' à l'atto dubitare assai di quello che prima sanza molta esami- nazione aITcrmalivamcnte tenea; perquello, che al presente per me chè si dubita, alla vostra reverenza pro- pongo: "Quale è magiorc amore, o quello del padre o della madre nel loro ligliuolo ? " 95 molto l'iiiqiic Uropiislii ciasrlipduno a per Alessandro l'alia, e hi por più consolazione, clnnre/.za o dollrina (liliberarono, che, consideralo quella era nialeria da udire imperò più, come clic unmini alli argonier.lare le locava per , ompenioiii di si alle quella parie piacesse, liberamente potesse. dissono e vollono donne donne, che, chi volesse clic si a E lui cosi seguisse per uomini, prima dicendo iiiaestrol.uigi ad Allessandro che il (]iiello che a lui pareva più ragionevole si dicesse e cominciasse. E cosi preslissimamente fece e disse: le Io » e li per vostro comandamento farò, come quello che a voi piacerà che mie ragioni le falle si sieno, sem- pre piaccendo avermi scusalo parlare, e singularmente dispulando dinanzi famosi dottori. tanti alla vostra Ma 1' a ubidienza comanda e adunche che io magiorc amore quelniuovemi ((uesla ra- paternità mei slrigne di fallo. Pico mi credo che lo sia del padre, e giono : la sperienza delle cose è gran pruova di vegliamo sanza Noi (juellii. piccoli i lutti) ^'iorii.) fanciulli rimasi padri dalle madri essere aban- i nuovo inarilo e Questo gianiai si uomo l'are perchè io inferimia oppinione, che l'amore donali, e prendere quasi vide sco diinenlicalli. a : la del |)adre sia mai^iore che quello della madre verso i tii;liuoli. Ancora con- sidero un'altra ragione, die l'uomo per sua natura che non è la è più perfella cosa feniina: sendo cosa più perfetta, più perfettamente dee ama- E così la ragione mi dimostra la mia conclusidiic essere vera. Ben è vero che me l'à fatto dubitare la tenerissima alFezione che io ò veduto a queste madri avere e dimostrare a re. questi loro figliuoli. « Tacettedi poi .Vllessandro, e così in silenzio dicieno. Il ciascuno perchè verso vollosi le si stava, e niente il donne maestro Luigi così dicea: Voi avete udito, priidentissime quanto Alessandro à detto donne per la parte delli uomini arecando « , , ^27 aqu;i mulino; -^ìm ii perà e farete rugioni bene ;i liccio die non avenga, die per nolle nioslp.illi vostri; le s:ipere difendere, elli ottenga. Era nella " brigala una vene- lieta donna di grande incostumi molto gentile, rabile e giovane telletto il nome Cosa cui donne di e era; a si tutte vogliose cui le dissono che le piacesse rispondere alle dette ragioni di Alessandro. nia 1. E ella, clic argutissi- così dicea era', Gloriosi : padri maestri, e sì perchè queste mie magiori sirocche pregalo me n' anno, e sì ancora per piacervi ubidirvi e strare Alessandro a , come la pinione , pare e certissimamente io quello dirò p -r mo- sua falsa op- che a me tengo, non dubitando punto che la vostra sapienza determinerà e giudicherà la mia sentenza esser vera: cioè mollo più teneramente le madri amare eli' e padri. Dico adunche, rispondendo allo deboli ragioni d'Alessandro, e prima quando dice che la spiM'ienza è gran- pruovii e che (lissim;i madri ahandonarn vede si figliuoli i ninllo non e avenire ne' padri simile cosa. Debcsi più clie non fa con buona considerazione questa ragione calculare e mo- La sperienza cerlissimamenlc pruova o ella proceda per arie o per natura avegna che notrifigliuoli per natura procede, carc savi dissono, come voi il perchè dificare. è gran , ; i i sapete, che ciò ragione naturale: è generalmente chiaro tanto onde si figliuoli vede, la cura del nolrire pili rimanere nelle madri che ne' padri, e non solamente nella spezie umai ma na ogni in uccelli (Iclli spezie d' animali come altri. Sì delli si che d' Alessandro molto madri che perii padri. K pure se dire volesse 1' uomini togliendo moglie non lasciano uè abanil fondamento più fa donano per i io non couìc figliuoli , ma marito a bene conosco togliendo che le così ; sì cui le le così donne dico, donne essere cosa perfetta regolarmente r uomo per sua natura , il '20 dee essere l>crcliò capii di loro olii quando donna la si iiiarila, ella ; e come jl dee e a lui ne va non adivicne sì delli uomini. E non posscndo elleno abilfigliuoli seco menare né lenienle nere, e perchè il sesso i'eniineo male a calili idiidire , cosa «jiial la i puole slare sanza molla aversilà, sini;ularmetite in giovinezza sanza guar- uomo; però le madri quasi conviene loro per lo meglio dia dell' isforzale Ma non fare. si ostante sempre elleno e come mcnle stra è dubbio, sepcrazione la gli ciie da' anno non figliuoli nel!' animo cosa certissima loro ferma- si pace tengono. E questo con vosi' alla prima ragione dello e risposto. All' altra ragione che dice che Iella nomo per sua natura è più per- cosa che (luei'.le più la donna d'amore rispondo che a non solamente me per conse- e àe; a cui io si pare islia nella clie l'amare perfezione, Mia più loslo nella affezione, come che neir uno e Prosupo- giiamo nell' altro adunche che stia. 1' uomo sia più no perfetto coni' umana, con più figliuoli i sifTe- é questo chiaro vej;solamente nella spezie non gianio dice, non è penS elli che sia verso zione amore ; quasi n)a spezie, ogni in quaiilunque piccola o vilissima sia e pochissimo intelletto, amare con di una esfrennta effezione non temendo verso chi i la loro figliuoli, i morie, anzi infierire loro figliuoli slimolasse o perire volesse, che più non trebbe fare per uomo o donna, si po- lo per me questi certissima giorni veduta isperienza in n'òe; che, seiido uno si calalo e, preso uno pulcino, portandone, la chioccia, che questo vedea, con furia volando il nibbio quello nibbio si quello uccidea prese , e a correndo, dubitando lo lasciòe. () — vostra di si vi no quel la ce; vostra oppi ma con pace ciascuno, quando a voi tempo più convedirò uno miracoloso caso e piaceràe, in altro nevole là Omai adunche vedete ingannala e tiratolo ella di noi, Alessandro, quanto mone terra non che se nieiDoria di lenipo la iJignissiinu è ;ivcnulo d' clic , una donna poco t;io- \ane, bella e di luogo mollo da lun- morto il marito e rimaso figliuoli, non solamente co' loro rimase a nuIricalli, ma, perchè promesso avea al marito nuircndo dovclli ridulli alla patria sua, ella, abandonato parenti, ga : i e Iralelli sirochie, piacevoli pos- le sessioni, e finalmente dmienticando r amore della dolce sua patria, con che (pielle sustanzie potèo e l'ossa del cia Poppi a abilmente più suo marito, di GreCasentino, patria del in suo marito, ne venne. Quale uomo mai questo si fece? Questa non è fizione o poetica: ancora vive favola valentissima donna, per sua prudenza, virlule e onestade da dovere la lodata essere alle .'Messandro, udito nitate quella die mai , si C.alillina niuno in òe tanta inuma- donna simile a vide: cioè che, per avere Aurelia Oristilla, buono b(,'llcz/.:i, Ancora, o stelle. sì lo fu lodata scclcrato di la lei quale da non per scndo ina- se 3-3 morali) nò polemlo , i:liastro, il (iiiclla per sua sposa avere lumeiido ella d'avere fi- - (^ililliiia questo sapiendn suo proprio figliuolo fece morire, e così la casa sua vola de eredi rimase. Che adunche direlc! De, vogliate con più discrezione e migliore giudicio, che ai presente non fate, tenere e giudicare il vero ». E così finio il dire della gentilissima donna. Parve risposta Cosa la essere di più gra- mai pensato arìeno, e soinvalorosa giovane lodan<io del modo di rispondere come delle vezza clic niamente si valentissimi maestri a' di buone la ragioni die dello avca gio, il ; e sin- maestro Biaquale crollando il capo cosi a gularmente fu lodata dal maestri parlava: < Per nostra donna, per nostra donna vergine Maria che io non mi credea che le donne liorenline tossono filosofe mouè che avessono la rali e naturali li altri , , retlorica e la loica cosi pronta, ciunc mi pare eh' abl)ino ». .\ c\ii li valente giovane dolcemente nspuosc: 33 Maeslro, " gegiioiio il (loiinc fiorentine le fare e dire si, di non loro potere, che sia s' in- secondo loro una per un' aftra mostrala da chi ingannare le volesse. Ma voi che sapete e certe ci rendiamo che 'ngannare non vorrete, ditene la verità, acciò che ciascuno ne rimanga conIciili) ». Piaque a ciascuno che quanto per la giovane si chiedea si facesse, e tulli pregavano il maeslro Biagio clic la valorosissima giovane ne coiitenlasse. Il perchè il maeslro prestisco'sa , simamente rispuosc " mici , Dapoi che che donna, tosto io s' e così disse: voi piace, maestri a io contenti farò il questa valorosa come che aparterrebbe per molle cagioni ; farlo a voi più a eli' ma pure me ubidire voglio, e cosi dico soccinlamente. \ giovane donna quella male rispon- tocco singularmcnle la una ragione, che a dere si puole per qiiantunclie grande filosofo te/za. lo Sa p.irlo e quella è della cer- donna adunche che quel- fosse: la che |inrlato ;'i , e suo, 3 ma 34 l'uomo, come die quello pnrlo creda essere suo, non è cerio; che se cerio ne fosse, meslieri non sarebbe il credere. Il perchè snnza dubbio più sua cerla che quella s' ama la cosa che cerla non è; et per tanto, sanza scorrere in più ragioni parendomi , questa assai polente e valida alla sposta, jjiudico la valorosa donna ri- sa- disfallo avere alle ra!j;ioni d'Alessandro e per questo ella avere molla più E tanto: se ragione di altro volesse dire, parmi che ella, e elli lui. bai;li con ragioni morali a e naturali, e con storie altentiche e vere, e con novella promessa novellamente avciiula, a noi sia atta e copiosa a lui porre silenzo da pienameiUe ris|)ondere. Tanto voglio io dirle e pregalla che le |)iacche cia, come il Icmpo più abile lìa e , quella novella iiroinessa dica ci , si che buono esenipro di suo i)arlare se ne [lorti. » E cosi il maeslro chinandosi a terra taccile. Piaqiie a ciascuno /ione del maeslro la determina Hiagio e quella 35 lodarono e affermaro; peivliè la gentilissima giovane clolcemenle gli ringraziava e al maestro Biagio dicea: « Maestro mio e reverendo padre, quanto tempo che a posare per altempo n'andiate, e dopo il |)osare io ornai è- ubidirò comanderete sì come di quanto fia. 11 sima E dire la novella in piacere a voi compagnia andarsi mente che voi si cosi detto, piaque alla lietis- perchè già il sole alto a ricreare, ardentissima- suoi raggi a sfavilar comin- i itosene per ciava; e le quello a di le camere loro valorosissime donne, e similmente maestri eolla loro compagnia nelle camere a loro deputate, freschissime, gioconde e richissimamente ornate e guernile, dove molte gabbiette piene d' ucceletti si erano faccendo uno lei giadro cantare, che sì per la come per frescura orna- che quivi si mento capoletli e draperie parea di era 1' una più giocondissima primavera che 36 por mai fosse. veduta loro di :ilcuiio (I) maestro Marsilo sono disposto presto ul)idire;u oecorrciiii una Questo ; slese antica il il del trova si ma sì, « : line la seguente il mano questa É (1) 5ls. udito rispoiidea lio cosi Gi v. dol fui. notalo posteriore da una 7-2 quella che a lesto; alla quale pure paiono apparte- strale nel novelle traile rubiiclie delle nere varie romanzo. Abbiamo spiega 10 fosli, e si di Cosa leste la cosi mancanza promesso , e dei , inca- una lacuna di racconto del ragionamenti a cui dovette dar luogo e che forse continuarono a girar intorno alle quistionì d' anmre par provarlo qual più forte sia tù verso o naturale « novella la , 1' 1' che segue autore della vita overo notricatore e amacstratorc » ecc. tavano E certo che come la le società ; come intorno affezione verso il a padre morale in ogni vir- pagine mancanti consi era costituita, a meglio procedere nel discorrere e nel novellare, scegliendo un proposto con suo consiglio che ordinassero la faccenda. Almeno nelle pagine che seguono si vede queslo provvedimento già lucso ed in vigore. 37 una novella venula dubitazione con mia nella lenosa patria al tempo lempesla e furia della ve- dell' aspro sanguinoso tiranno Azolino (I) di Romano, signore di Padova Verona, Brescia e di molte altre terre della Marca Trevigiana e bestiale e , Lombardia il quale per prieghi un suo tesorieri, il ([iiale elli mollo amava, perdonava la pena della morte quali fare volea moa uno di due, rire, con questa condizione die elli di ; d' i chiedesse di colui lo elli era più obrigalo; e sti era era il e il padre naturale e V altro suo maestro overo notricatorc amacstratore molta scampo a cui 1' uno di quo in ogni virtù diligenza. Voi udirete il con caso notabile, e poi giudicherete quanto a VOI parrà sopra ciò. " Klli molto è perlucido quanto da Carrara (I) à In inarg e cosi più Velile. la nolo, chiaro e famiglia di quelli in ogni virlude (lolla slcssa mano: Eccerinut auto 38 uomini siiigulari , notabili e famosi, e spezialmente in essere a amici loro benefattori servidori e , quelli e sempre mantenuti e servati, oltre al (ostume di que' signori che tiranni dire possono; che, logorata l'età si del loro servidore, se alcuna cosa di possiede, (juelio infamando siistanza imprigionano r uccidono. Il e rubandolo lilialmente jiercliè questa famiglia, per natura, per abito, per usanza e costume, sempre, oltre all'altre molte virtù, di clemenzia, cortesia, magnificenza è notabilmente dotata. molto dire e mostrare, stata Io ne potrei ma al presente verremo a quello che promesso sì v' òe. (I) Fu in questa famiglia uno cavaliere nomato Messer Marsilio il Vec- io da chio virlude, somma Carrara amalo , e uomo prudenzia e valore; giovane peregrinando (I) t'»)(i. di Xnvrlla llulirica eli alla somma temuto per sua a il quale terra santa llesscr Marsilio dit marame di'll' f.'iir- oiiginalo. 3!) ;i visitare Schiavonia, per In e sepolcro, e pnssnmJo per il ponendo scandosi, certi galeotta lo golfo Ragugia a corsari in sun ancora facieno simile il navicando e quivi rinfre- una ; e buona parte proferieno (li loro cose a chi comperare le voIca. Fra le quali era uno fanciuiletto sceso à terra d' età d' anni tredici che eilino ven- dere volieno dicendo essere Valacco e loro schiavo. E vedutolo mes, scr Marsilio, e piacendogli parendogli tosse, e che di buona la vista, e stillcanza con esso parlalo, e dicendo eglino che più anni nel paese di qua tenuto r avieno il ; finalmonte da loro comperò, vegnendogliene una piata, E seco menandolo e faccendolo amaeslrare a uno suo compagno medico che con seco menava, dopo alcuno mese capitarono a ducati cinquanta. Famagosta scandosi il in (ulti cavaliere Cipri ; e quivi rinfre- quelli del navilio, fu molto mercataiite che Scrorigno (Jijolinu uno padovano onorato da grandissimo chiamare si 40 f;iec:K quale UsoliiiodoiiiaiKlaiuli) II Messer Marsilio clic fanciulli» quello luUo gli disse e come di elli era miracoloso ingegno elli era e latito ubidiente che era una maraviglia , : per la qual cosa farselo a figliuolo, se ben E diliberava dì elli elli seguitasse a come cominciato fare cosi qualità la avea. elli fanciullo del di- cendo, parve a messer Marsilio e a Ugolino, si per bene del fanciullo, come per fugire impaccio di uicdovello quivi lanallo fra terra , sciare: e cosi fece niandandolo effezione a cavaliere, raco- il Ugolino con quella come tenerezza e se suo propio stato fosse; dicendoli come credea soprastare per più tempo, imperò che sua intenzione era figliuolo volere tritamente Cristo usò e e in è in a là dove i dove segni girne Damasco girne in vedere monte Senai dove Damasco, Arabia e fece, e dapoi suoi miracoli vedere slette è di corpo di santa Kalerina, e poi Alesandria e quindi a vedere la il 41 del iniigni(icenza SoldaiKi ai Cairo co' ie maraviglie d'Egitlo, e finalmente andare Medie colle carovane si non vedea che non islesse almeno due anni. Per la qual cosa elli il pregava che lo facesse amae- clic alla : elli slrare in eloquenzia e 'n sapienzia, e, se caso avenisse che gi elli questi viag- morisse, volea che certa fiicccndo quantità delle sue suslanzie nesse, faccendo allenlico li rima teslamenlo quanto inlendea. E così ordinali fatti si partì di Famagosla, andando a suo viaggio, e il fanciullo lasciando con buona ventura con abondanza di quanto a lui bisognasse. Riniaso il fanciullo con Ugolino e elli di I suoi , trattandolo ainaeslrare come iii figliuolo, facendolo lingua Ialina come che buono prencipio lingua greca, n' avesse, elli divenne tempo eloquenlissinio molli linguaggi (I) (|llcs(ì Il Cod. viarìgitl. (1); e dapoi in pratico maraviglia lin(jtiiirirjin, l'onie più in poco in a cre- sn|ii;i : (lere iiuella età. a sendo avesse 1' isola es- di Cipri per , sì i'^illa uno maravigliare Iadopo due anni andando Ut^o- forma che cea; e lino E fiiialmenlc più pronto arilmclrieo che il oirni Nicosia a menando seco e il garzone che valacco Bonifazio nomato si era, come quelli che molte faccende aveva col re e ragioni vechie co' lui tutte il a per strigare lo perchè i' e finire ; quelle garzone preste vediensi: re vegendo tanta mara- viglia diliheròssi di torlo a Ugolino. e fece, dicendo Ugolino cosi l'avea e di cui era elli per contento quando piaciea , rendello a ,• alla come rimanendo sua maestà messer Marsilio nel suo tornare e che ad allra persona del mondo mai il concede ; rebbe. Avea i' re più figliuoli, fra' uno il cui nome fu Ugo conforme età con Bonifazio, il quali v' era di (piale era d'alto e mirabile mlelletto; e usando insieme i garzonelli e som- mamente auKHxlosi, |)erchè 1" uno r altro di medesimo esscrcizio e si , 43 (lilellnva, diveniiono l'uno per intencleiilissiiui in qiial la l'allri) ogni disciplina. Per cosa Bonifazio dal re snmnia- amalo si era; e così [ler più lampo stando in Cipro e aparando nienle i cosliimi de' Soriani linguagio Arabesco , e e ancora il altamente pa- rendo nato in quello che parlava con questo sendo molto magnanimo e magnifico secondo suo essere, era da tutti riputato, gradilo e amalo: intanto die, per doni che da' re avea riccvuli e ancora per alcuna sua in- dustria elli providigioni eh' avea colle trovò si , questo tempo avere in più migliaia di ducati. E così il gio- vanetto col re islando, e sue ragioni vegiendo e finiendo vecliie e multripicava con suo conspetlo ; e somma nuove, grazia nel mentre che così la cosa andava, Messer Marsilio avendo fatto I suoi viaggi e venutone in Ales- sandria con animo di ritornare al Cairo, diliberò mandare per Bonifazio, e cosi fé'. Bonifazio, dire A'olea, a' re che Ini ubi- chiese licenza, ino- , stranclojjli li come ubiilire li conveiiia :i suo buono iindre o .sìi,MiorR coniaiidava. Il re con grande dispia- quanto il non sapiendolo da sé partire, licenza li diede, promcllcndo Bonifazio (ornare secondo suo potere; cere, pure e a la con doni molti dal re e da' lìgliuoli lui donati, e singularmente da Ugo che lui più che se amava, di Cipri Alessandra, dove con questa richezza Messer Marsilio trovò; il quale riceulo da lui con si parti e gìnne in amore tenerissimo come figliuolo soprastare ne girono al Cairo; e qui, avendo Messer Marsilio sanza quivi singulare amicizia con giori amiragli eh' avesse uno de' il nia- Soldano, fu molto oin)rato, il perche elli v'ebbe buona e utile stanza. Bonifazio, clic ben sajiea il linguaggio, in pochi mesi fama di Messer Marsilio le commissioni di Genovesi, Veniziani e universalmente Cristiani; il perchè per la di lutti venne per quasi la avere tutte i stanza che qui due anni feciono, farcendo ancora tutte quelle del re di 45 Cipri e lìi divoimc mila messer Ugolino Scrovigna, per PcM'cliè, la grazia apresso alle genti, avea di' elii più di frenln di ricliissiiiio ducali. eili adivenne che finalmente gran parte delle faccende del Soldano, che con mercatanti tramava, perle sue mani aiiilavano. Et cosi stando a messer Marsilio piaque volerne di qua alla patria tornare, e vogendo che Bonifazio per molte l'accende eh' avea non SI |)olea cosi tosto isvilupparc, dihberò chè clli n in si di per- il che tanto lasciallo sviluppasse, dicendoli prima: Figliuola mio, io ò diliberato darti quanto tu voglia la mia nipote nata per padre di messer Filippo Dal Dente, la quale sai che amo di mia sorella come figliuola padre e madre e che rimanendo sanza ; s'è nolricala ora colla. mia donna. Il fallo, e colla fa e gra/.ia <li io, piaccia di svilupparti più presto vientene ili ti do- zia e perchè, o viva o muoia, io voglio che che puoi, fa mia con una sua dici anni in casa Dio a in Padova, dove I' aspetterò. » , 46 II in giovane colle lagrime per lenerozza sulli odii li rispuose: « Padre e signore mio e vi benefattore! lo laiilo ringrazio di quanto mi ogni cosa e né più piacere ornai né più qua che là sia dite, oliò me comandamento a , » e, voglio. SI clic ora fare comandale stro piacere. si a voi in e aempiuto vo- fìa Partissi sanza indugio Messer Marsilio e venne in Allessan- dra e d' Allcssandra in su una galea ne venne a Vinegia e da Vinegia a Padova, là ove trovò disposizione però clic tiranno I' clic la quando Azolino di terra in altra imaspro si |iartì Romano : avea presa e fattosene si- gnore con molto danno de' Padovani la qual cosa era molto in dispiacere di messer Marsilio. E parendogli quivi poco stare sicuro, perchè vedea il tiranno molto crudele e sospettoso e furioso, dilibcrò girsene in Inghil- tempo tanto che Iddio altro disponesse. E così fece t'accendo non meno piacere il partirsi a AzoliiKi che a se, imperò che mal- terra per alcuno , . 47 volentieri animo il grande conoscen. Dapoi l'anno seil vcdca pereliè di i|uente Bonifazio, spaccialo e (ìnilo le sue facende del , Cairo a e cosi fé', l'accendo la ponendo Faniagosla a imo Iscrovigna veduto e si e via per Cipri, a visitare Ugo- lietamente dal quale lue; e poi gitone a Nicosia visitato ricclii partì si venirne di qua; d'Allessandra attese la maestà reale, facendo doni re a' molti e e a Ugo suo compagno e signore e alli altri fratelli, sogiornò quivi due mesi con grande piacere de' re e universal- mente dogli di tutta sua corte. tempo di partirsi grazia e licenza da loro Poi, paren, si con buona parli rice- vendo grandissime cortesie, e in nave montando in brieve tempo con piacevole e graziosa ventura a Vinegia si venne; e quivi sapulo come Messer Marsilio nel paese non era, l'uUi mollo III disgrazia; e quasi diliberalo girne III liigliillerra prestamente il ritenne il volere jicrl'czionc al a lui, ubidire e pure dare malrimonio promesso; andandone e così le' da quelli (la va erano fu veduta la possibile donna il il in dove Pado- pensallo a e molto conleiilo. prestamente ne gì a visitare signore; e fatto le debite reverenze, signore volentieri grande piacere si Dapoi l'atto vide e co' il prese, moltissime cose di sadisl'acendolo e ; molto venire il donava, le (juali lui dimandando elli di lutto contentava. Bonifazio molti ricchi e preziosi gioielli, (juelli a si ; che d' età di qua- , tordici anni era, fu Dapoi che tanto lietamente vedu'o l'u (juanto a Padova, Carrara lui cose furono molto graziose e gradite da lui; e divenne finalmente tanta familiarità tra loro, che Bonifazio non polca stare una ora che non fosse da lui adimaiidalo, e dettogli suo sialo e sue remlile e spese, elli volle che elli governas- lilialmente se ogni sua entrala e uscita, e fccelo governatore e tesoriere di possedea. E elli, anzi che r anno compiuto avesse, lì acrebbe con onesti e laudabili modi la sua generale ciò che 49 cnlniUi, ])onen(lo l'orina a molle spese dannose; e disutili il perchè Azolino amava più che uomo che avesse. lui E così sendo Bonifazio questa in fe- matrimonio, nulla altra cosa disiderava se non d'essere co' nmsser Marsilio il perchè, vegiendo non potersi da Padova partire, diliberò mandallo a confore licità cunsummalo il ; tare che tornasse, e cosi fece assicu- randolo per molte e molte ragioni in tanto che saputo Messer Marsilio 1.1 cosa come era, con tutto che con : sospetto, pure diliberò tornare, stri- molto la volontà eh' avea vedere Bonifazio e così fece, e a Padova prestissimamente venne. L'nendolo di ; Venuto a visitare fu e Bonifazio Azolino il veduto, andò signore, dal quale veduto e riceuto con migliore volto che I' usato. E così stando cavalieri più e più mesi, la il ma valoroso il forte, sua residenza, era alla villa di Car- rara, e a Padova venia il meno che aconcianienle potea, per non dare né elli sospetto avere. E così stando, adi- 4 volino (tic signore ebbe il sentore li'alcuna conspir;izione Inda coiiIth lui ; no: |)ercliè il Chi « immaginando è ci atto il capo e a esser seguito a fare contra di ili tiran- me? è elli infra se slimando, Messer Marsilio e a lui le mani porre adosso fece e , imprii^ionatolo rire. il Bonifazio più doliesi altendea fallo a mo- vedea che qneslo fu uomo del mondo e sommamente seco medesimo, doloroso perchè li parea essere stato cagione del male di Messer Marsilio, perchè confortandolo d' Inghilterra latto I' avea tornare. E pensando e allo scampo suo, ne gì al a' riparo signore piangendo dirottamente e pregandolo die almeno la vila a messer Marsilio signore in dispiacere r udia e traverse risposte a lui Iacea, (lerdonasse. il guatandolo con ma non diritto occhio ; che di niente tcmca per hi elTezione eh' avea al suo buono paelli, drone, non restava però che sempre il signore non pregasse ccn una me con uno fervore che mai staitzia 51 simile si cose cosi iiioiilre clic queste aveiiiie clie sentì per Azzoiiiio esse- si che uno messere Maffeo Marchesi da San Bonifazio il gui- trultato, e de' dava, e il E guidaviiiio, si Verona ir. l'e vide. come volea farsene signore fattolo |iercliè pigliare e a ; Pado- va secretamente facciendolo venire e messolo insieme co' mesfalli morire; in jirigione, ser Marsilio pensava di ma prima bene volea esaminare la per essere bene avisato di chi li era nimico. Bonifazio che altro pensiero non aveva che dello scampo cosa (li Messer Marsilio prigione vicilava ; e ogni dì alla lui confortandolo e continuamente, uno dì andando a lui e trovò eh' elli si posava e dormia non vogliendolo destare cominciò ; Messer Maffeo marchese dicendoli che sperasse colpa, sue non perire, fatiche e , in a confortare, non avendo pazienzia le A cui il marIo non credo che infìlice uomo di portasse. chese cosi disse: « mai nascesse il più me per molte e molto cagioni. Io scudo lii'iiiia l'uncinilo [ìcrdei padre p madre, rimasi ricco, l'iiroiiii)i lolle molte mie suslniizie per l'eia lenera, presi donna e co' lei più anni stelli anzi che Ol,'1ìu()Iì di lei avessi. Sommaniente lei amava, .\venne che dafacendo uno fanciullo, in parlo mori, di che io grandissimo dolore si ebbi. Da|)oi eresciendo il fanciullo con buona istilicanza di età di dieci anni, cavalcando io verso Peschiera e meco sendo, mascalzoni m'assallaro poi, , e due miei famigli uccisono e me gravemente ferirò a morte e rubaron, e il mio f;inciullo se ne menaron e ; me cosi, mai e poi di mio figliuolo venti anni. più isvenlure, e gio per morto, scampai, non potei sapere da novelle del d' età lascialo vecchio al tanto prigione, niente di che sarebbe E dapoi più e presente mi veg- miseramente in buono sperando, non tosto morire. Ornai considera solamente una cosa un poco mi franca, e quella se come confortare mi posso p la mia innii(cn/,a ; Honifazio che come d' un sogno ramemorare d' alcuna ogni cosa notava, e cominciò si a cosa e a 'macinare die per cerio questo suo padre poteva essere, e però così li disse: « Messere, se voi vedessi vostro figliuolo, riconoscerevoi? stilo I. rispondea: s' io il " A cui elli prestissimo Non credo, ma bene, vedessi nudo, io per uno segno eh' elli à il conoscerei molto chiaro manca. » E Bonifazio disOr che è quello? » A cui rispondea n Una picciola machia quanto mi'unghia, |!| dove sono peli come di lepre, imperò che, sendo la madre nella spalla se: " : grossa, di lepre toccòsse secondo ebbe ci vizio e quivi disse. » Bonifazio che questo segno avea, udito quanto detto era per per certo cs.sere lo il marchese ebbe suo figliuolo; e , sendo levato da posare messer poi, Marsilio e vegendo Bonifazio, mollo si confortò; a cui Bonifazio dicea: ' Messer mio, avesti voi mai sentore ( I ) C()d. ; «11- ucliia. 54 A mio pndre fosse o donde? chi cui cavalieri disse il : .. Bonifazio, clic vuoi tu dire? Io ù te per figliuolo e le tenerissimamente amo, né altro padre credo che abbi die io conosca o sappia. i> Allora Bonifazio verso e « Questo è min mostrando il mar l'uno e l'altro disse: padre naturale chese ; e • presto , cavatosi sciano clie 'n sulla spalla i panni mostròe. Messer MafTeo, veduto 1,'no e udito il il manca avea il se- coni' era ito da fatto Messer Marsilio, ebbe tanta dolcezza tenerezza, (che) cagìendo e sostenuto da Bonifazio piùoresanza sentimento stette; perché, dubitando che morto non fosse, con aqua fresca, nel viso spruzandoglicla, risentire lo faceno: il quale .. subito queste parole dicea: glorioso Iddio , ornai se a le piace ch'io muoia, contento a le l'ani- ma rendo, dapoi che tanta grazia contu m'ài, ch'io ò ritrovato veduto il mio (Igliuolo tanto mira- ceduta coloso e gradito. E silio, a voi, messer Mar- grazia rendo alle stelle, che tanto 55 E guardandolo per dolcezza ciascheduno piangea. Dapoi sanza soprastare parve a bene hllo avele. lui a Bonifazio girne " signore al : e gillan- dosegli prima a piedi e piangendo di- iMttissiniamente sto vedea dicea: , forte signore che que- il maravigliava si e Bonifazio, che novelle sono • (jiieslc? A » cui cosi rispuose: Si- « mi potete fare il più lieto uomo che viva, imperò che cerio sono che io ò ritrovalo mio padre naturale. Il perchè, consideralo 1' uno io avere due padri per tanti gnor mio, voi oggi , benefici, l'altro per l'essere a (lue lanlo valorosi to, e che a voi piaccia quelli me da- cavalieri, largirmi , cioè messer Marsilio e mcsser Maffeo; pa rondo a me, questa grazia avendo, non potere avere magiore felicità e dono. » Volle Azolino ogni cosa puntalmenlc sapere e maravigliossi forte del caso della fortuna; poi a Bonifazio cosi spuose: '• re .eh' io Bonifazio, li elli ri- è tanto l'amo- porlo, che, con tutto che r uni) e l'altro di costoro menti cru- 50 (leiissimn morie, io in ();irte t.irù ooii- mia coscienza ppp farli a piacere. Ora va e prendili liberamenle l' imo di costoro, che io io libero: sì veraIra inenle clie tu prendi colui , il ijualc ragionevolemente dei secondo i' obrigo a che se' tenuto; e se ragionevolmente no '1 fai, io ti prometto che r uno e i' altro presente te morire farò. E più sotto pena della ini;) disParve grazia di ciò non mi parlare. questo a Bonifazio durissimo e molestare il jiartito; signore più non volea per paura di peggio, né nella mente sapea che ellegere di fare. Adunche cosi per più giorni stette anzi che di ciò a Azolino più ne parlasse. Ora dico a voi, venerabili padri e fratelli cordiali, e ancora a voi valorosissime donne: che consigliate? ponendo il caso che Bonifazio adomandasse con, siglio sopr' a ciò Udito quanto da voi. " maestro Marsilio (letto avea e conchiuso nella sua novella, si cominciò per ciascuno sopr 'a ciò Irilamenle a pensare, parendo loro il 57 dilcHevolea luJillo e con molla [lialade. Ma, perciiè non sanza molla disputazionc e controversie si potea isliire sopra di ciò, si diliil caso molto bello berò e più commodo tempo vegendo ancora l'ora della lascialla e a riserba^la, cena api'essarsi. perchè Il insieme ristrettosi consiglio il [)inqiie , che della doverne andare a eiecomandatala Ginevra, con determinazione del proposto e del suo lina novellella na e ; consiglio, a Biagio Sernelli , il quale con mille piacevolezze quella recusava dicendo: " Come are' io ardire dire di o novellare cosa dove lanla autorilà padri e niente di Tossono signori alcuna tanli ? là famosi Cerio io scusato voi m' arete dirò, e •; la dolce compariguardavano e, con uno onesto ralegramenlo sperando cosa udire di mollo sollazzo e piacere; e giuslissiniamenle gnia tutti finalmente .. il Ginevra Biagio, Biagio, comandalo, se flc' liioi lui quello dicendo: che l'è non vuoi penlerli tu peccati! a fa >, e sorriilendo la- r)8 rette. Biaiiio, ;i .. che vedca che iiuvell.ire conveiiia, così cominciò lui il dire Ileverendissiini padri, maestri e gnori che è tanto piaciuto la no- niesser Marsilio da Carrara di non posso io a essa; se m' e' , vella : si- altro pensare che perchè dire niente potrei, io non udissi quello che il prima adiveiine di quelli due pregiati cavalieri , padri lasciando valoroso Bonifazio, del stare quello volenienlc dovea re. " E poi al cosi dicea: " che ragione- campamaestro Marsilio rivolto Maestro, per certo belelegiere e è questo e ben da dima per ora vogliate dire sputano solamente ([uello che fu il fine di si caso lissimo , valorosi preneipi. De, vogliatene con- tentare ! 11 — Udito questo, Marsilio prestamente dicea maestro il : « Biagio, mi pare da fare quello che ciiiedi, imperò che la novella sanza conclusione espressa fa 1' ndilori rimanere lutti sospesi. K però dirò quanto operò in loro salute la buona l'orluna. e' F.lli adiveniie di' e Milanesi, .Nianto Milli con molli feciono vicini loro da Eccerino, mentre die. e due cavalieri erano in prigione; e facceiido questa lega e ragunala molla genie d' arme co' loro amislanzc il perchè Eccerino sentendolo preslissimanienle andò verso lega in dileiidersi , loro co' suoi e flnalmenlc essercili, una verretta sendo preso e rolla la sulla znfTa fu ferito d' in nel piede e ; sua genie mai mori più di LXX Padova 1' e tiranno anni. Per la perchè il prigioni liberali d' età di qual cosa che Icnea altre terre inasono libere, lieri volle curare, e cosi si lìerissimo il si ri- due cavafuro, né elei zione bisognò che Bonifazio facesse avendo glorioso , fine le loro fortune. Ornai, Biagio, vedi che io contentare r ò voluto la : piacciati adunche volere novella tua dire, acciò che giocondità sieno fine giornata. E de ! in le tue questa nostra piacciali, sanza molti esordii fare, venire a quanto imposto e comandato sì gio, che questo l' èe satisfare. udia , » Bia- ringraziò con parole ]ioclie così l'iò !a inaeslro, e poi coiiiin- il sua novella molto noto chi a a contare compagnia Lielissiina • , considera menle, questa nostra cìllà di- nell'umi- grandissima abondanza li, avere di singularissimi ingegni; de' quali aiìta è iliriila- ogni in come sciplina, così nelle alte il). ej^li al solamente comeniorandone uno e di lui novellando; nella sua arte nioito famoso, come clic da presente tacerò molli non il mestiere sia mollo difamalo, chiamandola arie ma più to- sto vitupero, isfacciati , colpa de' quella richiede, portunità di iscostumure (I) .\ovrlla ISinijiu mordere di d' ogni costume; tosto Siniclli. che a più tosto con ime parole e gesti sce- esemplo in e isfacciato più quelli co- sollazzi gagliolTare, con lerali giudico e ma modo yer non con giocondità , artefici tristi iscostumali e ghiottoni che seguitono quella slumi , da esser .Vissi i- Rulirita doloroso i quali io lidVati Dohihiiie alla e dolio iiini;;ine. 61 iiiazieali (I iiccellati. vocabolo si e sleriiiinali, eli' essere uditi E costoro con più onesto ciie possono uomini di corte ma comunemente l'anno cliiamare, più propio bulloni nominati si sono. -- Va adunche uno nostro cittadino quale il virtù e astuzia d' assai , da tenera età iiifino i;uitare le corti, Dolcibene sere j^atta come , cui il ; dilettò di se si nome cavaliere molti dolorosi mes- fu non e di infami per una minestra veggiamo spessissimo farsi, ma da Carlo di Luzzindell' onore re de' Romani borgo fae e da lui delli' milizia ornato si , , brevilegiato e re fatto di tutti foni. Il buf- i quale essendo beilo di corpo, robusto, gagliardo e convenevole sico e ottimo di lento e mu- sonatore d'organetti, d'altri stormenti, udito fama e la felicità di messer Bernabò e messer Galeazzo Visconti di Melano e della loro molto onorata e la iiiagnifica corte, diliberò civanzarc sua vita p' fu là bone accollalo ; andarne per e così fc'. e Dove veduto per le (<} suo virtù, faccendo sue canzonelle in ridimi con parole mollo piacevoli e inlonanLlole con dolcissimi canli; per molli doni nccvea da uomini e signori, che in quelli tempi nella delta corte trola qual molti cosa gentili E cosi felicemente il piacevole messer Dolcibene in guadagno e sollazo vi.vea. Avenne che in quel medesimo anno capitò a Melano uno sivarsi. mile uomo mano di di corte, cavalieri per messer Ubertino da Carrara, signore di Padova, il cui nome era Messer Mellon dalla Ponlenara, uomo bello di corpo, lìero di faccia e gran- de e membruto, il quale con messer Dolcibene si cominciò a dimesticare; e aniessi fiiialmenle da cortigiani, si cominciorno a mordere e a detrarre r uno r altro, dicendo lìnalmenle Messer Mellon clic Messer Dolcibene avea viso di poltroii e che farebbe meglio a tornarsi a Firenze a manil giar le salaluzze e non parlare de' pregiati cavalieri. Messer Dolcibene, che idegiiiiso mollo era, e singularnienle , Gò (li)vc lo piilcM culi acoiicio modo iiio- « Messer Mellon, scoslumalamente e siete slrare, gli rispuo:>c: voi divellale un mocicon fede- se lo : eliè voi Pontenara , man- avete voi e che , tanto pescianie per avere giato alla pronietlo vi io punto ne dubitassi sì capo di visco, che voi siete dirittamente un bestion e uomo trijiieno il sto e cattivo, e questo ogni ora sarò arme in mano. » Messer Mellon, che non meno oppinione avea di lui, e amesso e inzi- alto a provallo coli' gato da molti cortigiani gentiluomini, diliberò di dilli la pruova la gola, e che l'ie e cliosi a d'ogni fé', che era presto e mostralli elli era uomo e tristizia presente ai a farne che mentia per di cian- cattivo; e due signori molti cavalieri e scudieri. che vedieno questi matti si I e signori, beslieleg- giare, n' aveono piacere, e dicendo loro trepidamente male di loro follia; ma ciascamo di loro allora più cca bello e galliardo; il si l'a- perchè Mes- ser Bernabò cominciò a dire: « Mes- C4 scr Uoleibeiie che voi volete tlapoi , mantenere vostro onore, di che io vi coinendo, io vi metterò in campo, arde né di spesa alcuna. ijueslo » Messer Galeazzo (juesto udendo a Messer Mellone il simile disse. Il perchè ciascuno incominciò più in parole a 'nfierirc, pregando loro e I' altra signoria che dovessono dare il campo e eziandio il di della giorE così fu fatto dando il campo nata. e fidandolo in nome di e col su piazza la (1) San Giorgio, che parca loro dovesse essere dì di Sa' il Miche- le a di 8 di Maggio, clic ispazio avie- no assai in dì 18 (2) che era innanzi a potersi ogni uno di loro fornirsi Dapoi ciascuno de' cavalieri si si brigava mettersi in punto; e esaminaiulo fra loro quello che di sua bisogna. (1) Punii (2) Api'iie , Riarno Ulicliele Sono festn nd .M*. Mi giorni dal propriiinienlc di S. Uioriiio rommenioralivo ArcanKi:lo. , di-lP all' 9."> S di Ma^xia, apparizione di S. 65 avieiio fallo cinscheduiio di loro si poco savio, dicendo Messer Dolcibene in fra se: « Do, Dolcibcne, i^iudicò clic ài fallo? lu dileggi e slrazi lullo '1 mondo e al co' molli e beffe e Iruffe, prcsenle dai cagione d' esser heflalo da ciascuno che questo vedrà, saprà e udirà. E pensa a (juanlo pericolo i)er la lua pazzia Tu l' ài messo ! pure che Messer Mellon e gagliardo robusto e animoso come lu e sai ancora che, con lutto clli non abbia ragione a combattere né an<'0 tu l'ai. Glie ne ptìlrà seguitare? che voi v' ociderete insieme, o elli conosci , , le lu lui; qual sia di questi è pe- ricoloso e in dubbio, e ciascheduno ne riderà solenne e belTerà, bestie , riputandovi due e questo aspettando con grandissimo sollazzo. Che dunche dirai, o isvenlurato, o seniprice, o sgocherello? Or tu caledì tulio il mondo e vedi che lu per tua pazzia caleffato da tutto il mondo se'. « E così in varii pensieri Messere Dolcibene in fra se si si dolca di suo poco 66 cosa plùs'aprcspiangendo del suo errore s'acorgea. Messer Mellone, che il simile a lui ancora avenia, e parendoli avere il più in pessima via e niente per non arrogere a danno dire voiea, giudicando Messer Dolcibene poderoso animoso e gagliardo, aspellava con grandissima paura il dì delia battaglia, come che ciascheduno loro si facesse di buona terra e (li mostrando lietamente alla zuffa venire. E venuto il dì della loro giornata, sendo lo slecato in sulla piazza e piena di grandissima moltitudine per vedere la ferocissima zutTa, Messer Doicibene armato ottimamente e acompagnato dalli cavalieri e scudieri di Messer Bernabò in sul campo si rapresenla, aspettando Messer Mellon, senno, sava , e, (inalilo tanto In più , e cordialmente pregando Iddio clic Messer .Mell(^i in gli dia grazia che sul campo non venga, e eh' elli visi- terà se questo (sarà la) terra santa. .Mentre che (|uesti boli ser Mellon e" facea, onorevolmente Mes- acompa- , 67 guato famiglia dalla Jcazzo in campo sul Messer Ga- di apreseiitò s' , armalo e oUimamenle in punto. E quivi, fatte certe ceremonie per due cavalieri che '1 campo guidavano e fatto per giurare ciascuno di loro che ragione conibattea, volieno la git- campo, come è di costume, si che e' cominciassono la zulTa. Ma Messer Doleibene con un tare il nel gu;iiito ]ire5lo aviso e riparo alla sua pazzia cosi disse: io « Pregiatissimi cavalieri, voglio dire parechi parole anzi che cominciare il combattere: perchè io non dubito punto che 1' uno di noi il mono morrà o amendui , me a pare per bene dell' anime nostre che mi debbia perdonare (sopra)vegnendo il caso della morte; e io il simile a baciandoci in bocca. lui il Dissono cavalieri ch'ellino ne prendessono loro contentamento. Allora Messer Dolcibene s' acoslò colla barbuta a quella farò, » i dell' aversaro, e alzato la visiera cosi dicea pianamente, non essendo udito da alcuno se non da lui : « E' mi GS pare che noi siamo due grandi vegnamo e a cosloro a ucciderci me me per io : dando ijeslie dilello ne pento penon vorrei meltcrmi a questo non so quello eh' a voi inricolo prestistervenga. " Messer Mellone e ; simo rispondea: adiviene a raveggiamo. 11 .. me, ma - tardi pare omai e ci Messer Dolcibene pre« Non mica tar- stissimamente dicea di, se voi vorrete. . simile « A : cui e' rispondea : per Dio, de su, per Dio, pievoglio, oscrvandovi ogni fede Io voglio, io - " Or col nome nissimamente. « faro », Dio voi farete quello che io Sì, Messer Dolcibene dicea; a cui: » E per certo « lietamente rispuose. in prestamente si baciarono in bocca, altro della luogo e segno 1' un all' silenzio la fede osservare. Stava con di , aspetanmoltitudine de' raguarJanti ,lo fiera /.ulfa la della bataglia, dall' in ; e, gittato il guanto Messer Dolcibene, sondo uno'iato del campo colla lancia trillare, e e quella raccendo alzandola la terra col ferro e mano, locato G9 un punto, h gillù da se a terra. Messer Mellon, questo veduto, il simile Iacea. Da poi, preso l'acetta e ([uella alcuna volta melandola e facendo viin sta d' asaltare, quella gittava e ; il si- mile presto Messer Mellon della sua Da taceva. poi, prendendo la spada e tacendo isquizzi e liellegiarla (1), ora tìngendo di trarre di punta, ora di ta- per buon tempo, glio, MoUon mente, mano più l'accendo giltale le alle daghe, , spade ; e linai- a terra, niisoii e, l'atto sanza assalti simile Messer il passaro l'uno all'altro toccarsi , facieno ciascheduno maravigliare, giudicando • Questi e dicendo messer Bernabò due malti vedi che si vogliono a petto : a petto e alle strette arecare. > E cosi per grande spazio trull'ando, delle da- ghe il alle Novelle simile fero di gitlalle, che fatto (1) Cosi II di codice: Giraldo il Cioiii Gir.ilili nel glossario spiega qiicsla manca ai vocabolarii, per muovere, rotare pomposamente la spada ( belllgiare la parola, die spada ). Il Scgr. G. Carducci propone di correg- ecre in belle iiiurde, hellr ciurla. 70 arme avieno; dell'altre ogni uno si denudale, con una percossono insieme magiori risa del mondo: quelle e grande forza facendo cosi tallo, adrielro e mostratosi posta, e vollosi l'anca e, scoslò tornandosi alla sua le le siche, per essere ellino grandi e pieni di carne, nel percuotersi le natiche non allremenli feciono uno scoppio — che se una bombarda istala fosse. Veduto la gente il trulVare di costoro, e singularmenle dicieno : « signori, a loro cosi i Si che voi ci avete cossi per certo voi ne sarete pa» Voi avete il torlo » Mesgati. » ser Dolcibene dicea, « imperò che noi paghiamo di nostra mercatanzia per beiTati , — se magior pagasiamo a fallo, pure facciate godere. » Messer BerMesser Galeazzo, parendo loro moneta mento vorrete, questa che ci nabò e ; e atti che 'I modo a loro pericolo fosse stato molto acorlo, voUoro sapere tritamente come la cosa sigui e chi di loro avea riparato alle pazzie da pri, ma prese per loro. A cui Messer Mei- 71 lon (litio del presto Ondo ilii'ea. inaravii,'liàrsi rimedio piacevole e Mescer Dolcibene roiio assai fra loro. dete, reverendi di e quello coiiiiiienda- — Adunche padri, con ve- quanto acorgimento il piacevole Messer Dolcibene seppe a' suoi pericoli riparare con piacevolezza e astuzia da nollo potere immaginare, non |irestissiino che fare, in simile caso. E • cosi la- cette. Finito Biagio piacevoli risa la il suo parlare, con brigala lodò, e si novellare, e si l'astuzia di Messer Dolcibene. E cosi ragioBiagio del nandone disse Alessandro: « Io vo- grado magiore o veramente la stoltizia di Messer Dolcibene d' ingaggiarsi per lentieri saper vorrei qual fu in , niente in sì pericolosa zuffi jironlo riparo che in tanto (ivo caso elli ebbe per la , o il stupefal- sua salute; uno tanto fuori d'acorginiento, clic uno semprice fanciulparendomi Icllo quello tro bastato 1' fallo mai arebbe, e 1' alsarebbe a ogni ingegno 72 sagacissimo e acorto. Che duiiclie di- remo ? Alle » mcnle il ni' elli è, quali parole presla- proposto rispuose: «Alessandro, io per me non vorrei clic Messer Doleibene cosi morto co, ci imperò che befasse per sue novelle, a me è dello che la cena punto, e già l'ora incomincia a è in valicare; il perchè noi lasceremo disputare e allenderemo sogna mente E ". detto cosi il niagior bi- a prestissima- (lue l'anciuUelte coniinciaro a cantare dolcissimamente, invitandoli alla in cena e tutti levali su ne giro ver l' altra parie del boschetto , dove aparechiate eran chissimainente ; e data le 1' tavole aqua ri- alle mani ne girono a tavola cenando con grandissimo piacere, avendo varie e splemlentissime vivande con diversi suoni e canti. E cosi Unirono con somma consolazione la giocondissima cena; e levale le tavole le pulcellctle e giovinetti cominciarono a fare \ino l);illo kmdo, cantando ora l'uno, ora l'altro leuiadri^sime can- 73 buono spazio al ilolce rezzo la giocdndissiina compagnia si stelle. Da i)ui veiuilo il lampo zonellc: e così per d'andarsi posare, a maestro Luigi il Voi avete veduto con quanta consolazione noi abianio questo giorno passato, si per lo novellare così dicea: » come per ragionamenti gioò avenuto jìcr avere auto ordine in noi mediante il quale sanza tedio o rincrescimenlo condi aliti li : altri e lutt(ì , abiamo consumalo. E per tanbrighiamo a prendere ordine per lo dì di domane: il perchè io dipongo ogni mia altorità, ornai renden- ([uollo to dola a voi e a cbi voi piacerà ch'io a concedi, ringraziandovi sommamente dell'onore a me l'atto in tulli la i vostri processi «. A cui tutti insie- me così rispondieno: voi sommamente ne la compagnia « Maestro, per in ogni consolazio- è stala condotta e guidata, e cosi speriamo sarà conti- nuamente: il perchè vi piaccia, mentre che a in stiamo, che voi iiucllo noi pare che questo luogo siate che la tjuicli e coiiJiulii , s|iiMMmlu saiiz:i alcuna mancanza soninianicnlc esser ne consolati ». A le (|uali parole il maestro Luigi così dicea: " lo per me che come le cose ci sono comuni, così mi pare che conninemente procedine e per tanto piacciavi eleggere e provedere alla bisogna ». A cui prestissimamente tulli dicieno, che ne disponesse come a lui piarea. Il perchè presto prendendo elli ima bacchetta e puosela in mano al maestro Marsilio, dicendo: " Vostro è r ulii'io |)er domane, e per intendo ; vostra compagnia qui a Nicolosa e al maestro Grazia piacerà d'essere ".Della qual cosa lutti si contenlaro, dicendo che per cerio buona elezione fatta si era; e ciò fatto parve alla dilettevole compagnia doversi ire a posare aspettando il di vegnente ogni uno di loro con grandissima festa. , LIBEO Già rilucea IV. luo si annuite, e Aurora hiniiila Im uscita delle braci-ia (lei suo dolcissi- gioconda Cilarea la aparia insieme di traverso col suo ruhicundo e ferocissimo Marte, quanvalorosi e do a' freschissimi rezzi i maestro Marsilio ne gieno. creali aipie e il Dove rinfrescati per spirili li e abondantissima nel giardino alla te insieme col maestro Biagio cittadini lircclarissimi le l'on- e ri- freschissime insieme con molta a ciascuno girne parlalo consolazione, piaque cappella nella (1) jlinale a udire la Mamilin, (ìin:ìa. .Mrnlosri iMW pcismic uli'lli' air messa; e : nota mar- iill'u-io. 7G npnrecliiato iinu (Mpiiollano, (Ìiv(ìiìsm- fiiamenlc ilicemiola iilcuuo (lucila , udirò. E IdPd poi loi'o uficio (liecuili> (li e (pielio dello, lulli insieme nel triarsi toruaro, dove il inaeslro Marsilio a' compagni lati parole dieea dino : poi che a voi è pi:.ciulo che io Da « oggi abbia 1' aminislrazione e magi- slralo, che dire vogliale? losonocon- me, considerala lenlo, la come che a dignità di ciascuno, più grazioso mi sarebbe che che a ciascheduno ubidire, alcuno comandare; ma, come disposto e ubi cosa si sia la a , comandare secondo che a voi piacerà, me sempre jtresto ubidendo trovare mi potrete. Ora voi vedete che ancora le donne non sono con tlire e noi per la ora lempcsliva; pare, se a voi me a che ellono penono nostra collazione teria utile e vole i)er lo diamo lerà i a sia il perchè, piace, mentre venire, che in la qualche ma- non solamenlc dilette- novellare; e pen'» pren- nostri luoghi e (lualche ina- utile SI pro|ionga , dando ijueslo 77 i-aricu proposta della maestro Grazia qui nostro al ». adunque a sedere e l'atto silenzo dando luogo al maestro Grazia a proporre, e elli cominciando Posti , cosi dieea « : Voi vedete e certo r uomo essere lo più animale che sia, per molle te- nobile nete e molte cagioni raguardanli allo intelletto; il perchè chi bene giudica e raguarda, i]uanl«nche ignaro d'ogni religione, dirà sanza dubbio parto in lui essere divina e immortale. Onde, a consolazione di chi non è si erudito in filolosofia come a tanta collazione s'apar- dicendo tiene, vi piacerà dirne, filosofi e teologi, si genera l'accia lui 1' come nomo razionale, e e e in che per che come e a voi modo via quando si in s'infonda l'anima intellettiva, e e in che modo ella rimanga come dopo la vita del corpo. E non dubito punto che, questo detto e ragionato per voi questi uditori rimarranno , i'(Ui buona e chiara dottrina e consolazione m lauta alta e somma gentile /6 malera,qi!iin(o mi pare clie sia apres- so ogni a sente religione nostra pre- maestro Grazia faiilo la ». Proposto alta e bella il inalerà, Inlli eomiiicia- ronoa riguardare l'uno l'altro, dicendo e afTermando ciascuno non meno parte teologica che filosofica o medicinale essere in essa, e concliiuden- do tutti (luelli dalli il prima essere cancellieri che, quanto n'à veduto o letto gentili sì filosofi come medici, ne dica. .\' quali cosi ris|)ondca: « lo non mi voglio punto scostare di ijuauto mi comandate, anzi voglio prestamente ubidire, come che voi, maestro Marsilio, tale matera dovete tanto familiare avere, che io dicendo temo non darvi, tedio e sì ancora a voi reverendissimi |)adri. Il se quanto avenisse nella mia lanlo altri perchè , risposta di tedio a voi, m'arde scu- vogliendo più tosto all'ubedien- sato, za servire .. che a altro mio giudicio •. lo più e più volte ò letto e con- siderato la l'orza clic si vede espressa 79 pro|)iirzione de' miineri; nella Vorse ieli'' tale calomiiala vdllii il per- oppinimie è alcuna ma aooiiciameDie , conforma colla nostra religione. Ora lasciamo per lo tempo passare e più convenevole riscrlìialla e si il , vegnamo nostra matera, alla dalla l'orza de' numeri non la quale parte. si Dico adunche che, secondo che vovostri fisici e singularmentc i;liono i il vostro divino Ipocratc dove tratta della natura del fanciullo, che, dapoi eh' è il sangue perfetto dall'uomo nel vaso naturale donna disceso, (1) della sangue la natura riserba per la generazione, prendendo la virtù informativa dal cuore del generante, il (jual dopo i sette di fa uno folliculo e cir- cundalo in modo d'un uov(j nella seconda settimana si generano certe gocciole di sangue nella superficie del folliculo, e nella terza settimana ; che sono di fuori, en- ipielle gocciole trano dentri! fi) Dalile a riir;:. esso -ili, umore Ili. di con- n;ilural vasello. so cezionc nella quarta ; restringe si il dello umore sendo quasi coagula e infra carne e sangue. Nella quinta in d'umore si compone umana, sendo di grandezza essa sustanzia la efigie d'uovo apena, sono designate ogni lineamenta e membra le tutto di brevità quella in tutte il e corpo. Et alcuna volta aviene che, tornita tutta membri, come mese s' alrolla se non nel nono mese sua perfezione. Da poi dopo selle di la composizione dei dello è, il parto nel settimo , ; ;'i i dal nascimento del bellico e incomincia al elli do|ìo lume getta le reliquie due volle sette del suo vedere muoversi; e dopo sette volte sette liberamente già le popille e tutta la faccia rivolge a vedere le cose. Dopo denti a nasette mesi cominciano scere e così, se bene e Irilamcnle considera si vedrà per questo si numero ogni nostra operazione naturale trascorrere, il perche io le lascio che troppo lungo sarebbe il mio sermone, llesla a dire come si i i : , , 81 animale ragionevole; imperò che ciò che dello io ò, è fallo da dio f;iecia niedianle inlUicnze de' cieli, delle le della nalura, ma niorlale; niezo clementi e dell' ordine delli (juiililà il quello , perchè è corrullibile e fa iddio sanza quello che è incorrullibile e ini- adunche l'anima la quale idio, quando la natura à fallo niorlale. Quella è l'iirticulare perfetto del nuovo ra, e di natura mente ; falla che Iruova in tira sola, la cerebro, spi- spirito sopra tanta arie e questa anima nuovada dio sanza mezzo ciò e vegetabile sustanza sua e e sensitivo diventa una quale vive e sente e conosce se essere animale ragionevole oltre d'ogni animale bruto, allo intelletto parlando largo. Dapoi che la seperadel corpo all'anima si fa, ri- zione mane l'anima incor|)orea, no intellettiva avendo in immortale e potenza l'uma- il perchè, congiungencorpo, quello arebbe in atto e'I divino; dosi al e in potenza. Per la qual condo che mi pare, che '1 cosa , se- oomentaG 8-2 buona loro senlisso in diede <listinzioiie sibile ponendo agonie, e pnrie, (luaiuli) trailo Inlcllello pos'nlel- lo lello possibile potere stare sanza or- gano, e per eonsequente quello diceva immortale: mostrando il maestro Aristotele quello dire e sentire e secondo dimostra certo, luoghi quello , mente dove mali volere della « natura in più singnlardelli ani- dicendo trattando scrive, COSI dell'uomo: e , dello intelletto possibile presente diremo, imperò che da eslrinsico viene, la qual cosa certamente è divina ". E non è maniente al raviglia, Tacendo gnendosi uno corolario, agiu- l'aninìa al corpo potere pati- puote corporalmente avere e pena diletto. E questo essendo, come ciliarissimamente per molti essempli re, e così })rovaresi puote, dobiamo in contusio- ne delli stolti e in esaltazione de' bene credenti aempiersi la divina giustizia, andando apostolo al dicendo e colla autorità dello vero e cattolico credere. credendo conlossarc e 83 110 mule iinpunilo e uoubeiK? irreiiuinenito. E questo mol- lo liane e arlificiosameiile cel dico ;itTerin;ire niuiio il nostro divino poeta Dante nella sua seconda dove - cantica così » : capitolo nel Sangue perfello '25 (I) ecc. » , per molli versetti infino: quindi piaijnamo, quindi ridiavi noi ecc. Ornai, con vostra pace e correzione se a pieno non avessi si detto, por fine intendo al mio dire . tulli Dopo tanto dire comendarono la (Ijllnoslro leslo pilolo •ìù «, li:i menile ludo del cancellieri chiara e buona sbadiilariuTile il ca- • ragionanienlo del cancelliere altro non è che una parafrasi della risposta di Stazio ai dubbii di Dante: si può tocca far ? » ; magro Là dove l'uopo risposta che si (Sangue perfetto che mai non sta 2i) è la cagion di si beve che hi ammiri Purg., della quale si «Come di nulrir non trova ai versi 37-108 cita nel ) — E que- del canto nostro testo un verso intiero (Quindi piagnamn, quindi rliam noi), comune diani ma con qualche ri- differenza dalla lezione (Quiiidi ixiiiianid r quindi ri- lini v. 10? I. 84 sentenza dicendo su;i, inverso silio' niacslro Mar- il parole colali lui : « lo mi credea che contento fossi solamente alla oratoria e poetica, ma io vegio, che non solamente a voi è famigliare la medicina e la scerò filosofia ornai meno cosi: io dico che in tempo non alcuno mente sadisfare matera alla impossibile bene che e perciiè a la la- questi magiori maestri e concliiuderò miei dire il rispondervi il ma naturale teologia; , e in 1' come e ornai chiaro arei detto è, poter veggio e conosco cdioma fiorentino copioso fonda pensalo con tanta brevità quello e perhicido, ; tanta profonda e me in jiarole in udi' tanto piena- che malora ogni si e sì rilimato astratta e pro- puote chiarissima- mente con esso dire, ragionarne e disputarne. Et bene omai voglio credere quello die io sento del vostro Dante poeta teolago, che tante alle elli ponghi velame della sua leggiadris- sentenze d'ogni disciplina sotto sima il invenzione. F. per certo, padri 85 miei, e' conviene clip io l'abbia per r avenire dimestico e familiare, dogiiendomi forte che per io ai'ieti'o non fatto e dimanda il l'abbia. piacevole se, a voi. grazioso sogiugnerò io una quale è questa: quale è la uomo? E quecompagnia con noi prenderemo altri pia- fine e la felicità dell' r sto detto, s' Ma è, altra agiungerà, e ceri e gioconditadi. Et sanza altra di- terminazione a voi, maestro Biagio, a me pare darvi questa risposta, im- però che conosciamo di essere filosofia liare a voi ogni parte domestica fami- e coltra a ogni altro italico pronta avella. Il perchè sanza dilatazione di tempo verrete alla ditcrminazione » E cosi detto il maestro tacettc, commendando ciascuno la dimanda e la commessione del maestro Marsilio. Udito questo vegendo rispuose: e' vi a « lui il maestro Biagio e convenire dire così , .Magistri e domini mei, piace che io dica del fine e della (ilicilà dell'uomo, e io ubedire voglio, premettendo non punto iscostarmi di 86 vuole q.uanlo innestro il Aristotele nelle sue Morali, parlando della mondana cità gendo (I) materia, e io e del come pone dell' Etica , nostra alla dico cosi: volloro primo feli- Ora, ve- fine. soccintaniente distinsono, nel suo filosofi i Aristotele tre vile , cioè Voluttuosa, Pulitica, et Contemplativa; im|)erò che ellino vidoro mezzo delle sere quelle di sopra alle cose 1' uomo É adunche sotto. es- sopra di e uomo 1' biestie colle quali per lo senso partieipa, veramente minore e alle angeli alti sustanze seperate, colle quali parlicijia per lo intelletto. E adunche mente come condamente in se ; da considerare prima- è partieipa colle bestie; se- pcrcir è alcuna cosa elli terzio e ultimo perchè e' par- (colle?) inlelligenzie se- tieipa razioni per(ale) da' (filosofi) Ire vi (par)licipa colle bestie avere volultu(osa); ,1) Idi'so : , vefinenrioy prese siuio (vite) politica venendny la vita dicono 87 avere, imperò allora e (1) civile cono avere chè colle la animale dello è acompagiievole e ;ilcuii(o?) ù elli clie lerzio, di- ; contemplativa per- vita seperale intelligenze par- Onde, come dice Aristotele nel o I' uomo è uomo, o elli la Politica è pegio che nomo, e allora è bestia o veramente è meglio che uomo, e allora è divino e mezzo iddio. (2) Et bene che queste Ire vite abbin poste, non ticipa. : ; è però eh' ellino abbino due altro che felicità, litica vita e nella contemplativa voluttuosa nel felicitade. tutto (1) Puosono adunche, quando La parlo siip^iioic del corrispondendo foglio, presenta peri) le vir- loglio cssi-ndo mancano alcune parole, come leva ancora dalla pap;. i|ualc nella : niegano essere politicamente vivea e secondo slracciala. posto fatto o cioè nella po- '.1(1 alla simili del si noslro lesto, rila seconda Tacciala del mancanze. Il coslrullo è abbastanza clilaro (2) et. Egidio nomano. Del Reqgimenin dt' Prìncipi {ci. Francesco Corazzini, Firenze. I.e Mounier IS.'jS ), lil). II. parte I, cap. I. 88 come ludi polilice, pnidenzia principnlnieiite la quale ( la una ragione da fare e è è diritta intorno alle cose magiore nello intel- dell' altre e sta letto sola; l'altre virludi date e modificate dire puote si uomo 1' da gui- lei sono): e allora sì uomo come vivere avere felicitade politica. Quando vive in contemplazione, speculando e per sapienza, allora vive più mo; imperò die da opera divina |)articipando , colle clic uo- parie alla sustaiizie seperate, e così à felicità conlemplaliva. Omai vedete e felicitade e il-suo fine, è ve(nu)to e però dell' E(ti)ca li solìcienle lieri io filicità la op(eran?)ti clusione sua eh' elli per line (è) : primo del- se; perfett(o) (e) b(ene). E in questa conò a correzione del cancel- considerato quanto vato e fisici poeti e , nel filo(so)fo il : la imperò suo perfetto be{ne) al dice pensate elli à ritro- nostri, ritroverrò per lo i suoi presente solamente uno n'adurrò, cioè Ovidio nel suo Mctamori'oseos : Aniinalia ccleni ter- 8i> rain, os homiiii suhlime dedil coelam- que lucri Une Udito piirhire. qiiaiilo « il poslo sivere voi,'lio F. (1;. mio al E così tncelle. maestro Biagio dello avea, da ciascuno fu coniendalo il suo dire, parendo loro che conclusivamente avesse sadisfatlo come filosafo e mentre che intorno a ciò ragionavano disse il maestro Luigi colali parole: « Maestro Biagio, il vostro dire è vero, e non è dubio che da ciascuno, che secondo ragione in; , tende tutto , confessare si stro Aristotele ritrovare , che al vo- non cale imperò che voi a teolagi nostri; i Ma dee. certo voi avete lauta elTezionc un poco in tal materia più avanle procedono, come a voi secondo mio credere notissimo felicità è, la e posta tia èe. Fu, uomo e cosi distinta (!) Ov. tosto dell' Melam. qiinsli lib. I, come detto da loro delta , non vv. Sl-ò. è 11 versi storpiali in questo però iioslio modo : Animalia celerà terra, Os linminum sublime drtlil, reliimqne ridere. 90 che la a pieno ellino putessouo allignere Avegna die verilade. soiio che l'osse da Irovare dicessoiio politica, non , feliL'ilà la meno di quale la ellino ilices- xoluduosa non vila nella vero e , della vila teologi vila attiva i dicono, e simile della vila contemplativa non in tulio il vero sentirò: si imperò che sanza se più ellino i sse ciascuno altro ajulo ogni peccalo schifare (1) e vivere secondo vita attiva o conteniplalivu. La qual cosa è falsissima imi)erò che , a perleltainenle volere necessità che ogni bene che quale del in noi è o celestiale, sanza nostra fia, la di viene grazia niente per noi operare potrebbe. Adunche la è divina grazia avere; adun- la dal padre vivere nostro il felicità è in colui, line il si e quale di niente ogni cosa produsse, al quale per le due templativa (I) vie di politica e di con- si Voggasi viene, la come ollimaniente noia I a pa;; i}\ nioslrandole è sluto dello e ilelerniin;ilo da voi. • Menlre die questi ragioiiamciili erano, essendo già l'onestissime donne uscite delle loro camere e divotissim?mente udita la messa e entrate nel giardino, fu sentito venire alcuno valletto lazzi» e picliiare la domandare per e porta del paparte di Mes ser Bartolomeo della Aniella e di Mes- Giovanni de' Ricci, se Messer Antonio v'era: dicendo che volentieri vedrebbono il luogo e singularmente una fonte nuovamente fatta nel giardino delli abeti, dove si dice essere aqua viva condotta in grandissima abondanza. Messer Antonio che questo udia sendo a caso qui venuto, prestissimamente fece la porta aprire; sere • e fattosi incontra a' preclari cittadini, e da e ismontati lui in dicea: tuna, ellino de' loro cavalli , furono lietissima niente riceuti, grandissima " letizia a loro così Mollo ò da ringraziare la for- singularissimi padri miei, che voi à in (juoslo lempo ijiii condotli , 9"1 considerato compagnia conlornie la die alla vostra paternilà s' aparechia, il perchè non (iiibito che prenderete consolazione inistimabile. Ora colla buona ventura andialla a vedere. > A cui " famosi i cittadini così dicieno: Messere, noi vegnanio questa matti- na dall' Anlelia per la frescura, e ragionando delle aque e come e quanto inir.icolosameiile a' credere il maestro le ritrovava, giudicava, e certissimamente predicea, non altremenli di quelle faccende che uno astro- Bitonavere logo nella parte motina (1) giudicasse surgere e coricare le stelle di ciie : grande amirazione si era; e come del profondissimo pozzo per tutta Italia (1) Cioè " qìii o loules les (Brunello pari. ciulo siellato, lormiie esloiles Laliiii l.i i;l il (irmaiin-iilo enviionc le de cileni cn occidenl llvres dou licsor, . monde liv. •. I. MI, cliap. CVIII). ilolina. o, sarebbe for- malo come lai. il louzjors mud. il frane, miilin (da initelf, iHoii/H, luovitiniif? J. iiiritle, Pazolalko mio (l;a una spanna la vena e di parte in parte dicendo che e quale lerreiio si verebbe, e cosi realissimamente venne, le simile come del mio, di molli e molli dire si puote (la pre- disse pre- singularmente molto notabile di Montelìasconi) re una e voi udire ; cosi nia , di quello (il abondantissima fontana tro- adi- avefatta venire nel vostro giardino, deliberamo, prima che nella città entrare, vedella ; siamo venuti, pregando e però non prendiate sconcio andatene alla vostra né per noi soprastiate. « V voi che per noi alcuno, anzi brigala giovane cavalieri, questo udito per la Il mano prendendo, o l'ozzolalico con chiesa prioria ( piviere dell' Imprunula nel secolo XIII giiispadronalo : di la contiada , prima del questa erano patroni vescovi di Firenze (piindi i passò nicnle nella casa PoKgìolalic» S. Slefano), e loro sanza altro nei parrorcliiani e il final- Ricci che coslà possedeva una <;randiosa villa con vasta tenuta e cascina. Repelli Diz. geoRiaf. ti) Starcbbo lune ndilo. 94 dire denlro dal giardino li menava: onorevole compagnia Iròvaro e da loro con molla festa riceiìli, facendosi ciascuno incontra di loro, lietissimamente dicieno: « Questo è a noi sonmio piacere, che voi la buona fortuna fatto sì v'abbia venire, sperando con voi il giocondissimo tempo là dove la passallo e godello. dando « E eilino raguar- parendo loro quesla raunanza di tanti valorosi e famosissimi uomini quasi uno impossibile, così dicieno; A noi non è questo sanza singulae •' rissima grazia, ritrovarci in lanto collegio, parie dove noi non sapiamo potersi radunare tali in alcuna nò tanti venerabili e preclarissimi padri, rjuinli al presente per la veggiamo qui ritrovare; qual cosa noi pensiamo che per eletto diporto fatto l'abbiale, che certo altro luogo più commodo, più dilette- vole e grazioso trovare (non) si po- trebbe che questo, per molle e molle anzi infinite ragioni. Il perchè, non vogliendo impedire piacerà lasciarci ire i vostri piaceri, vi a nostro viaggio , !3r> e (Jiirci liceiiz;!. prestissimo rispoiulL'ii comando che » : sedere per a Miirsilio ii);icslro Il Io voglio e lo presente voi vi pognate, e dapoi di voi dispor- remo quanto grado a ci (ìa né ma- ; raviglia abbiate che così vi dica, im- padri e io n'ò dentro mura, datami da questi miei fratelli. Il perchè omai aleii- dele ubidire però che piena autoritate a queste a e cosa che a noi a repugnare altremenli faccende poco di loda porlare ne potresti. « E così lacetle il maestro. Rispuosono prestamente due famosi cittadini eh' eron pronti piaccia (non) volere : i , e quivi e ogn' altro luogo in ubidire; e ponendosi a tavano che altro comandato già concependo t'accendo la ciascuno porre Biagio e Mallio co' loro la compagnia in n)ollo si come cosa loro sedere aspet- a fosse, era. E sedere molli tutta sollazzo tenic- no, faccende) di giorno in giorno più maravigliare chi conosciuti prima ro imi) avicno. Il lo- perchè, sperando udire qualche piacevole e sollazzevole iKivellclla, fu comandalo a Mallio die preslamente una ne dicesse. Mallio sopra di se elle dire li convenia stando così rispondea " Io ubedirò , , i : comandamenti, protestando che, se il dire mio tedio generasse, che ne imperò che io volea essere scusato nel dire non sarò dotto altrementi che che nella mia novella si fosse quelli con uno grande signore si facesse. Per la qual cosa io con più sicurtà vostri ; , la novella comincio. « nostro vane vole, (1 ) E' fu in questi tempi il quale ancora (-2) (li mondo fiorentino in vita, capitò speziale; e si uno gio- piace- assai chiama iVo/'r» andando per lo più parti civanzando sua Osteriehi nella in Magna una terra che si chiama Vienna e (jui sogiornando alcuno di, avea vaghezza di vedere il duca, imperò che a I' ; avea molto sentito nominare a Vie a Padova. E sendogli detto neqia (I) .Xovelln (ì) iti PunO mi Maino. Nola codirr. ;iUa niaiginc è 97 dall'oste suo va in domane duomo, ; Se « tu vuoi vedere il danialtina a udire messa vedrai, imperò eh' e lui suo costume dì delle feste stare in il chiesa all'uficio divino onde pre- »: stamente andatovi la mattina vegnente e essendo già in coro il duca solo su alto, e Nofri che lui non conosciea (imperò che elli avea per suo vestire mattina quella uno frusone sanza alcuno segno di cavaliere o di signore, quasi come se volesse caval- care, detto r uficio), a lui s'acoslava compacominciò cosi a dire: « gnone, quando verrà il duca? non è ornai 1' ora del suo venire che elli e , è cominciata la messa? A » cui il duca così dicea, riguardandolo in viso e parendogli italiano: « Perchè ne domandale voi , gentile uomo ? ", lombardo, che assai convenevolmente pratico n'era. Nofri udendo parlarlo in tal forma più prese di sicurtà, stimando (juelli essere lomjtarlando bardo, e vaghezza cosi li innanzi rispuose: che io " mi lo arei partissi 7 98 però ve ne duca dicea vedrete prestamente, e se e' di questa terra vedello, e domandava. f Voi v' è il A >' ? A ^ velle io ò , e voglioniene ma prima Firenze, No- disse cui sono fiorentino né lo » : novella alcuna e che an- faccende fri: il piacere, ditemi donde siete in e se avete date cui essere no- altre tornare a Vinegia a comperare certe niercatanzie del Ora colla buona mio mesliero. » ventura », dicea il duca « e che me e -i è stieri « speziale è stieri questo vostro? » A cui presto riCompagnone, il mio me- il spuose: venga allo verrà a eh' l' ma ; lasciamo stare quando credi , ite tu missa è : uficio di chiesa istufa a' vinazzarsi , mi e' debba avere poco elli che costui uficio? Io credo che elli forse il pare capo al- elli è con qualche sua in fe- perchè tu vedi comunemente inina che questi tedeschi non vogliono altro ; fare che chè io tare. " bombare credo eh' Il io e lusuriare. il per- potrò troppo aspet- (luca questo udendo cominciò 99 a sorridere e dilli: « Gentile uomo, non puole per certo fallire che voi non lo veggiate imperò mai manca < quando, o quando sua venuta. » per certo delle due cose è aerai r una: o elli è un dolce puchiozzo, o olii de' essere ebro coni' un torci- e' , — ! feccio più » Nofri , diri. altri a I lui rispondea con che questo famigli vcdieno forte si maravigliavano, imperò che di costume non era del duca così ragionare all'uficio; e immagiiiavansi vegendo lui ralegrare e cosi l>iaccvolmente parlare, che Nofri fosse un grande maestro e lui fiso raguar(hindolo e ragionandone insieme, Nosi maravigliava questo veggendo fri " Chi sono coloro e al duca dicea ; : colà ? scioni o , e' deono essere che pare che mai i dolci pe- vedessono persona crederebbono ellino che noi mettesimo corna? de vedi ve', che non fanno altro che borbottare. Son eglino de' famigli del duca? ; 100 (I) " credito, à ci scopatori non se chi dalli è perchè noi siamo adiesa da chi, che non sono altro che gabbadei che pure ieri malina fu trailo uficiale di graIro, il ; e dio il , scia a un trailo e capitano della compagnia d' Orlo Santo Michele Lapo della Croce oliandolo, che pure ieri vendea come ne panico. le frittelle al tosto Or pensa stiamo, Berlo mio, andian-. noi Ungerla in a starci co' re e lasciamo qui questi vituperi. " udendo More lui sentendo da Berto che paese era grasso, e non avendo di che vivere qui mollo, diliberù fare e il ciò che a faticoso dere .. More gli piacesse, avenga che fosse il diliberarsi per- campanile di veduta. E disse: il More, dapoi che tu diliberi d' an- dare a Giovanni tuo in Ungerla, io sono contento di venire teco ma pure ; (I) parie Manca della Snnaglina foglio. ; la line segui-'nli! il della clic vii-n novella cil lacconlata una d;il Ms. difclla evidenlcmenlc d' un 101 come ni ragionarmi un poco, vorrei leco io vi e' mo (li vive. si presente, ma Non fliciamo più desinalo die noi are- parlerenne apieno, che saremo migliore voglia e inlendereinci sieme. " Or " mi piace il rosi finendo sono a su », tuo consiglio'da i in- disse More, fallo. e' « E loro ragionamenti giun- Monbellozza fuori della porta al Prato, e quivi fallosi fare il cavo- ebbono la cipolletta, e prima mangiando uno pezzo d' erbato col marobio desinarono con buona consolazione, avendo continuamente del suo buono vino. E mangiato che ebbono se ne andarono un poco al soIcllo e lizio e cominciarono a ragionare da senno d' Ungheria, e più e più cose dicendo di non meno aviso che farsi grandi maestri. Berto un poco caidetto cominciò a millantare e a dire: " More, de, andiamo più tosto che possiamo, eh' noi in i' fo bolo a Dio, che se vegnamo là a salvamento, che tu poco tempo mi vedrai uno grande maestro: io mi lascerò crescere la 10-2 barba e sempre porterò meco arco. Andiaiine tosto. A cui More rispoiidea « E' iiii piace quanto di'; egli 1' : buono èe due modo rortzini truovano, per in bor^o ai Caval- faremo motto e lina che truovi mo andiamo ciie noi San Lorenzo, , noi abiani ciie che migliori i in (Ino a Bologna. > si Ber- to subito rispondea: « Or qunndo vogliamo noi andare? non sarebbe me- glio a to' gli da Agnolo, che avere " Do , bestia t'intendi » Firenze il More dicea queste di che sappi che procaccino , '1 cose; suole li migliori? andiamo a lui. • — tu no <• , voglio io Cavallina è fuori del migliore cavalcatore di andare a Agnolo che pare uno gabbadeo. De lasciati governare a'feci (1), e siamo mossi il di dopo a Santa Maria Candelaia, ch'c e tu vuoi , ! martedì. (I) Il • II Berlo li senlimento ó: lasciali governare a somiglianza coli' usala rispuose di me questo die r • maniera ,.,li,.. di 167). (?j di din^ enunciare un i7 fu (Cloni. Novelle di Giraldo pag. Orsù, « feci. Ila ino ta (Irfunlo colla parola fu, dicendo dre oc. : modo mio paGiraldi . 103 facciamo quello che vuoi che tu t' ; mi pare e' meglio di intenda queste E partirnsi da Moiibellozza, beendo prima un trailo dopo queste parole, e venoro in borgo, e dal Cavallina acattarono due roncose me. di • zini per io di deputato e messosi in punto ciascuno di loro il meglio potè o seppe, portando ciascuno di loro solamente uno caraiuolo, dentrovi la sua capellina di notte con non molta pecunui, e saliti a cavallo preson il camino verso Bologna e giunti finalmente ono a riposarsi dicendo .... (I) e acozzandosi insieme con More e Berto e ciascuno le sue fatiche dicendo finalmente il vettu; , , , diliberò co' lloro rale gheria. E ragione sono ri[)osatosi coli' oste, cammino; in la la e girne in mattina si in , Giara assai felicemente, no preslamente prendere (I) Il foglio è mi- ultimamenle giu- gnendo a Vincgia montarono uno legno che ponea a Giara. E a Un- notte, fatto la il su giunti brigaro- cammino slraccialo in fondo. 104 verso Buda, e cosi l'ero. Giunti a Buda furono lietamente riceuti ila Giovanni nipote di More, e ragionando di molte cose e di noviladi che avieno vedute co' lui e con altri fiorentini che quivi erano, disse Berto: « Che dire? giova a non io arci mai cre- duto, se io no l'avessi veduto, grande il Che mai fatto più si d'un vedesse, non oso dire per maraviDissono que' fiorentini « De, Berto, qui ci cape ogni cosa. • quale glia. » : dillo, Berto, che si rispondea « ciulli consumava Io Dapoi volete. samo : il il in qua ciie mare, noi abiamo piccolini di dillo, così poiché dirò noi voi pas- trovali fan- cinque anni sei e che l'avellono ungheri, che a chi gì' inuna gioia, e nostrali di tende è i tempo non sanno apena parlare al nostro modo. E' deono avere trojipo buona memoria che io per me mai non credo aparallo che traile barbe e quello mi pare la festa de' magi. » More prestamente non aspettando ch'altri dicesse così sogiiinse: quel , ; lor. « dice Elli vero, il me mai per io r arci credulo. Io mi credea che la Cosina mia cosi linguacuila fosse pure buona memoria, ma ella non sa none parlare noslraie e punto di Giovanni, che udia questo non sa. di se » cosi dire, si maravigliava della loro ignoranza e sempricitade e guatavagli sanza altro dire. Berto, paren- fiso dogli non essere creduto, dicia: corpo d' iddio che lo vanni mio, nolli » Per è così, Gio- elli a' tu sentiti ? « Quelli fioren ti ni (che) v'era no,(com incelarono a (ri)dere e trarre piacere del ragio- e non volieno turbalii cosi da prima come meritalo arieno. Onde nare loro, dando sollazzo . vegnendo sonno, andarono dapoi suo: mo la " di mattina disse More Giovanni mio, noi vedere i' re de , ; — veggiamo or dove Giovanni presto diceva il 1' al ci « parente struggia- fa ista : ora del Venuto posarsi. a che noi egli Voi ? « noi potete cosi tosto vedere, imperò che elli « è all'Isola e Che è 1' Isola? non > è in Buda. diceva Berlo; <• .. — or )0(j tu? De motteggi non moUegiare di che portino, ch'io ti ricordo eh' io sono qui venuto per vedello. cose Non sai tu che noi I' abianio dipinto De, che potremo noi dire tornando a Firenze che hoi non avessimo veduto il re né vegnendo qua, che saremo (te)nuli Firenze in da tutta la in mille talora? vicinanza belli moccico- "? sog(iugne?)ndo ni v(clturalc?) il mio, ben sapete che Berlo favella fra nuove ginee disse o .. troverovvi uno b I r Isola volse si tu tu me dicendo: velurale come uno favelli nali si al se vuoi a sciocco casa che re è questo, eh' rebbe in gliaia di campo Non 1) Punii elli A Non cui tor- pen- mette- più di sessanta cavalli? buono uomo? ; j De, eh' io per , voglio pure vedere. il tu « mi- è ci vero, o il re nspuosc clic corri^ponllollt) :illo avvertilo nella nota preoedeiile ; : stracci') e pare inoltre Ual conlcslo cke vi inanelli un intero faglio. 107 bene nel suo reame. - E così ragionando di molle e molle cose, slando il re co' molto piacere, valicarono dell'ore cinque, inlanlo eh' e' baroni tornarono da Buda, cli'avieuo desinalo; e giugnendo alla Elli • poeta gli del à giardino vandola serrala , picliiarono, tro- perchè i paggi si uno sportellino che nella porta era e dissono come non poteno aprire, imperò eh' era stalo loro comandato. L' arcivescovo fé' domanfecero dare a chi era col re ; lugli risposto credeano che tossono Ialini. Onde, alquanto sopraslando e vegendo che non s' apria l'arcivescovo disse eli' aprissono. ch'almeno vedessono chi col re era. I pagi apersono un poco, e caccialo dentro il cada' pagi che , po vidoro il re ritto con coloro e andarono più avanti. Il vetturale, che vedea l'arcivescovo, cominciò a dire: " Berto, guarda, guarda al corpo d' iddio, che quel trugliardo di dianzi' è tornalo arielro a », e cominciò forte ridere. Berto, raguardalo, il simile 108 11 re, che vide donino al giar1' ebbe dino baroni forte a male, parendogli dovere perdere il suo piacere ma, facendosi più apresso a lui l'arcivescovo. More disse: « che gente è questa? Or noi gli vedemo pure poco è andare a Buda. Che vanno faccendo e vengono a voi ? Vo- facea. i . ; gliono ellino sapere novelle del re? E mentre con altri li renze sì parlava, baroni 1' •> arcivescovo faceno le debite, inginocchiandosi revealla presenza del re e a salutallo. A cui il re rispuose: « Voi m'avete tolto la magiore consolazione eh' io avessi mai, parlando con questi miei fiorentini, e dapoi sono suto amici. le » che voi co' loro More e' vi partisti qui come con buoni compagni vegiendo reverenze fare si maravigliaro, e che prima cominciarono a vergognarsi, parendo loro d'essere stali scostumatamente, immaginando quello il re dovere essere o quasi isbalordili non sapieno che dire. .\' recatosi apoggiali ritti in stavano piede, , ; 100 quali re cosi diceii il Buone per- « : sone, andate con questo paggio collazione ora. dicoa che li a fare e fate die , veggia. Ora vi io buona .in paggio il desinare eh' avete (lesinato andate a e » li E cinamalo menasse a Luca da Firenze e facesse loro onore. EUino isbalordili n' andarono col pagio domandando pagio Il se quelli era che nolli , loro in unghero: nite! »; e « ellino pensavano eh' elli intendea il , re. dicea Or su venite, venoUo intendendo bestemmiasse, e temendo giunsono a Luca il quale gli avea per buona parte del tempo veduti e cominciò loro a dire: forte " , Do, pazzi ismeniorati che voi or non avete siete, vergogna d' avere quello clic avete, villani, bestia- l'atto lacci voi ? Or chi pensavate voi che fosse, vi pareva essere, quando zampettando parlavate col re? Che per buona fé' io ebbi voglia di fare ima grande pazzia, che sarebbe stato uno grande bene di torre uno bastone e mazzicatovi a modo d' asini. Andate or con chi no colla mala veiilura mane che isvergognato ! Or non chi diavole vale voi che fosse? A da voi non : fiorentino oijni ri- sia creda- De, ditemelo. » More rispondea u Vedi, Luca, noi nollo avremo mai creduto che fosse stato il re, im|)erò che non cui : avea né à ci la corona pensavamo che in fosse ma capo, noi prete suo. il » Luca, che questo semplice udia, non potè tenere eh' un poco non ridesse. De, tornatevi Poi disse: il andate attorno. « Firenze a potete, e non più presto che voi Poi menò li e fé' aparechiarc loro da mangiare; e mangiato ch'elli ebono, diliberarono tor- narsi a Buda prestamente; ma Luca al re come elli volle che tornassono avea detto loro, amaeslrandoli della reverenza che dovessono che citino no il al re, e ragionare co' baroni passo loro innanzi vegnate fare, come dimenlicassono. Tornaroelli vegendoli venire lasciò la , chinandosi fiorentini a , e fecesi dicendo miei ! •> Icrrn co' molta : .. un Ben Ellino verno Ili cominciò More a dire: « Messere perdonaleei ciiè per buona fé' noi non snpavanio clie voi l'ossi il re ohe se noi l'avessimo saputo, noi non are.mo fatto con voi sì dimesticamente. » A' quali il re dicea « Io voglio che voi facciate co meco come voi faciavate. » Berlo sogiunse « Messere, non piaccia a Dio, né voglia noi vi vogliamo per re e \)ev magiore, che noi |)ensavanio allora che voi glia, , ; : : ; fossi » • prete. » Il re rise e disse loro: Non vi partite, istatevi meco. » Or che direbbe Giovanni mio , pote, rispuose " More, tornassi istasera a casa rebbe. volta Ma e noi ci se « ? Elli io — ni- non s'adire- torneremo un'altra staremoci tutto di con voi ; vogliate per questa volta che noi ce n'andiamo. « Il re disse ch'era conlento, con questo che tornassono altra volta; e così dal re si partirò e tor- narsi a Buda. La novella fu prima a Buda (li furono mollo ripresi modi, ma citino altra scusa avieno se non dire " Buono. di loro, e quelli non : 112 buono! o die non tiene elli la corona in capo, e sarà conosciuto? « Vedete adunche quanta simplicità fu in quecapocchi sti giori. h)dare fie, onorevoli , demenzia la che riprendere padri e nia- pare non perchè mi 11 tanto di la meno princi- slolzia de' tre compagni poco intendenti e pratichi. • E così fillio il Sunaglino la sua — novella con molle risa di chi quella udia. Dopo questo novellare, sendo già montato e cominciando a riscaldare, standosi alle dolcissime omcantando mille bre la compagnia il sole , ugellelti verzicanti frondi traile comandalo , fu Francesco che toccasse un poco r organetto per vedere se il cantare a dell' ucellelli per crescesse lo menomasse prestissimamente facca, dissima maraviglia mincialo il suono uccelli tacere, e di che gran- che covidono molti seguìo: si quasi come allonili dapresso per grande udcri<lo passaro; dapoi ripreso faccendosi spa/ii) o suo sonare. E cosi più 113 il Idi- ciiiilo, l'adoppiandolo, mostra- vano inistimabile vaghezza, e siiigualcuno l'usignuolo, intanto clic apresso u uno braccio so|)ra il capo di Francesco e dell'organetto larineiile veniva, uon)ini li perchè, ragionando insieme, valenti i propuose per si al- cuno uno jirobema finito il dolcissimo sonare di Francesco, in questa forma e maniera « Se uno animale più cir un altro avesse d'arte o d'ingegno considerato che quello rusignuolo più parea intendere la dolcezza e 1' armonia di Francesco che , : , altro uccello che in quel luogo fosse. quale j.a proposta » fu lodata da cia- scuno, più tosto perchè dava malera al ragionamento, che per dubiosa che a quelli che ciascuna parte di fosse filosofìa e teologia che la sapieno. Fatta adun- detta proposta, fu detto per lo proposto che volea che ciascuno elli dicesse quanto a lui coman- parca. E dato che dicessono, venne lo dir pri- mo clic ;i .Vlessandro secondo 1' prenderò, .\lcssandro, che ordine in 8 gran 114 pitrle dubitava di questo, parendogli finalmente l'iie si considerando duslria delie formiche, de^ii solerzia l' asino e nuto la e la cane colla uttusità del- del toni, così la 'n *api delle pecore e de' monrispondea • A me è ve: sorte, o preclarissimi padri, maestri e signori sente dimanda io , che sopra abbia a la pre- dire innanzi a tanta sapienza, scienza ed eloquen- za; e così farò per ubidire dine per voi me si a' vostri non rompere i' ordipulato. Ben so che per comandamenti e dirà cosa che forse darà della mia ignoranza sollazzo, la qual cosa non in tulio mi dispiacerà, vegendo voi alcuno diletto pigliarne. E così dico credo che arte e ingegno è molto più in uno animale che in uno altro; e questo si dimostra per elTetto e e esperienza. Non vegiamo noi di mi- intendimento il cavallo che l'asino, il cane che la gatta o che 'I bue? Or non vegiamo ancora lo 'ngegno che è nelle rondine a fare il nido che '1 fanno al coperto, che gliore 115 nella lodola, quaglia e molti animali che fanno per '1 fiumane dico di questi molti li sulla in campi e lungo le E come io terra ? cosi vi potrei dire di , molti animali. Chi potrebbe e considerare 'ndusljia la delli lapi a mele ubidendo al loro magiorc e quello seguendo? E simile delle formiche. 11 perché, esaminando bene tutte queste cose, io afermo, che più arte e più ingegno è in uno animale che in uno altro tutta volla fare loro il , stando contento nazione. alla vostra determi- » Udito dire d' Alessandro molti il e lodarono, ma pure determinazione della oppinione de' maestri rimanieno in silenzo. E determinato che altri di- il comendarono aspettando prima che terminalla cesse il la dire al Sonaglino, il , fu dato quale ubidendo cosi disse: A me " che certissimo Alessandro à vero. Or non pure dell" uccelli si detto pare quello tutto esser vede tutto giorno d' una medesima 116 spezie aparare meglio una cosa cbe uno come non farà celli così do' cani e d' altri animali!' altro, e delii uc- da credere quanto è detto non potrei mai credere il contrario; imperò die io l'ò provalo in questi giorni in due corbi che io ò a casa, che 1' uno parla chiaramente e r altro ancora non vi d' un mes' adatta, e furono tratti desimo nido a uno medesimo tempo. Che si puole adunche dire, se non essere certissimo quanto à detto Alessandro? " E così puo?e sileiizo al suo Dunche essere è vero, e dire. Biagio, che s'era fatto innanzi e riguardava moli» fiso il ?onaglino come grande vdonlà avesse sponde'gli, cominciò lare come se il capo di ri- a crol- beffare ne volesse ; e questo vegendo il proposto, li comandò che dicesse quello che a lui ne il perchè ubidendu così prestamente dicea: a Io ò mollo pensato a quanto è stalo detto pc' due, e come che uo- pareva, 117 meni inlendoiitissimi sente mi pare pratica. E clie , al pre- sieno di pochissima a dir così ma una ragioni, sieno mi muove molte me dire ne piace: anno conchiuso, sarebbe del certo con più arte e con più ingegno uno ape, una formica, uno ragnoio, ciascuno di che, se vero fosse quanto questi nella sua opera, clie qualunclie migliore uomo o artista si potesse mondo, inducendo uno trovare al esempio assai chiaro a mio proposito; e detto quello line intendo fare. Noi sapiamo quanta è ia fama di Giotto diremo noi ch'una lumaca l'avanzi nell'arte, che dipigne al buio, e Giotto non saprebbe menare pennello sanza lume? De, nell' arte della pittura ; andate, che voi avete troppo del ton» E isghignando puose al suo arguire. Udito quanto Biagio aveva parlato molli ne risono, imperò che quello che dicea il pronunziava con do avere cosi detto. a fine cosi , uno modo molto dillercnle da suo uso; e nò più oltre slimando, altri 118 consideravano 1' elTello assai chiaro, alili del suo dire sollazzo prendieno, parendo loro in buona parie dovere essere vero (jucllo che Biagio dicea. Il perchè aspeltavano zione da' n)aeslri e il la delermina- filosofi che quivi principato lenieno. Consideralo adunche il proposto suo consiglio la cosa non doversi coniandaro al cancelpiù discutere lieri sanza altra eccezzione che dovescol , se determinare quello clie la verità perchè cominciò cosi a dire: » Perchè a ubidire io sono disposto onorevoli miei maggiori, io era e volea. 11 , si dirò, sta conoscendo ciiiaranienle quedovere essere discussa materia da dottissimo filosofo più tosto che da me. Ma pure a correzzione di ciascuno cosi a me pare prima considerare alcuni principii, poi venire alla spressa matera. Dico adunche cosi potenze dell'anima da molli : le filosofi sono distinte; alcune polenzie sono naturali, alcune sono sensitive, alcune sono appetitive e altre sono 119 Le naturali sono quelle iiiteletlive. colle quali noi coniunidiianio co' vegetabili e colle piante tenza nutritiva , come è la po- aumentativa; e le potenze anno gli alberi: e per avere l'uomo ben questa, non è però (juali buono uomo. Le lodalo per sensitive , cioè per come vedere, udire, gustare e simili, comunichiamo noi colle ([uali jiotenze sensi operanti, li colli similemente per queste avere l'uomo non è però lo dato per buono o virtuoso. Le pò tenze appetitive si dividono m due imperò ch'egli è alcuno appetito nel animali l'uomo bruti nel quale animali bruti, seguita e ; non comunica come intelletto; e lo coli che è l'appetito questa .è la potenza intellettiva; altro appetito è quello nel quale comunica mali bruii ; e (juello seguente tito il sì colli ani chiamo appe senso, e puossi cliia mare appetito sensuale overo sensua lità e non à volontà in appetito in , Icllettivo; e queste (il^e Ora veduto chianìano appe si e inteso queste . 1-20 polenze dciriiniina, dico cosi: coiisilo ingegno islare nelle potenze inlellellive e nessuna jiodenild l'arie e , tenza inlellelliva è se none nell'uo- adunche concliiudo che l'uomo solamente à arte e ingegno: dunque nesuno animale bruto à arte o nio , ingegno. perchè Il falsa cosa è a dire, uno animale bruto abbia più arte ingegno 1' uno che 1' altro. Ora ciie o ornai resta a rispondere alle ragioni chi dice che e' di si vede nelli lapi e nelle formiche loro opere mirabili e sì ancora simi che nelli uccielli e in A animali. altri niollis- che rispondo: di questi colali animali alla sua spezie essere dato alcuna proprietà e secondo spezie è mantenere quella a data bisogna la , il tale perchè si che, essendo formiche animali che sanza munigione per lo verno perircbbono, viva e multiprichi i ; lapi e ;"i dato la natura quella solerzia del provedersi colle maniere che chiare veggono e questa tale potenza d'anima si puote chiamare in |pro si : l'i?! ;ippelilivii (licemlo ferenzia come ; e cos'i spezie dell! ani- le quando dice che dif- si vede nelle spezie propie. due corvi allora dico che si di , appetiliva pote'nza in inlellelliva tulle (li Aiii'ora, mali. la non (! uno che uno in à più valore e questo altro , punte aveiiire per la diversità e compressione dell'organo, si che l'uno è più atto alla potenzia appetitiva che •l'altro. giorno ma K più valli e , il latrabile mordace tulio animali essere grandissi- differenza sarà vcgiamo questo in iieir clie perchè , uno cane veloce, più l'altro, e così d'ogni altro. Il più de' ca- perchè chi dubitalo n'avesse conchiuda, che né arte né ingegno è in loro; e a questo per essempro mostrare mi piace dirne uno, come die molti indurre ne potrei. Raguardisi le rondine, le quali sanza maestri fanno i loro nidi, e cosi di molti uccelli, a una forma e a uno modo seguitando loro la natura sanza arte o ingegno. La qual cosa non si vede dove sia arte o in- 19-2 gegno; imperò seiile mille prendemlo clie, al pre- innniiii e ('accendi) a cia- scuno di lineili l'are una casa e che l'uno non sapesse dell' altro, fatte tulle le case, quelle si vedrebono isva, riate l'una dall'altra; e rebbo si diversa ciiè , vedrebbe questo aver- arte e ingegno ciascuno di loro. in Il perchè saiiza più dire voglio conchiudere, che Biagio s'è più acoslalo al vero che altri che dello abbia ". E così il cancellieri (ìnlo il suo parlare. Penilo il suo dire il cancellieri con contentamento di ciascuno e somma loda, piaque al proposto che, innanzi che il desinare si facesse, si dovesse dire una novella e cosi fu comandalo con delerminazione del ; che consiglio, dovesse. Per togliele , cominciò « i' lo Allcssandro dire la qual cosa, comanda- la sanza conlradizione alcuna a parlare ubidirò considerato la , : e se bene avessi novella che m'acorre, certamente sarei suto sanza dubbio lt!3 sono nella opinione, che al presente jier elle dire lo del nostro cancellieri: animali bruti è natura, co- nelli muncmeiile parlando, e non v' è arte né ingegno. Cimai voi udirete, solvendo il mio debito non con molta lunghezza (1). Fu, non molto tempo è, sta in que- nostra gloriosa città una bellissi- ma giovane donna non meno che di bellezza dotata, madonna Rie e iarda la ; cui il di virtù nome fu quale dal pa- dre maritala a uno bellissimo giovane molto virtuoso e ricco, il cui nome fu Michele Pileslri il ; quale, di avendo due fanciulli piccoli e una ancor.i giovifemmina magioretta ne morendo vedova la lasciò. La quale lei , giovaiie co' e pudicizia la prudenza laldabile fine condurla; e singular- come prudentissima somma menle (1) onestà sua famiglia allevando, niente altro pensando se non ([nella a molla Xofclla d' Alessancirii ciarda; nil)iica allei iiiaigini'. ili ììinilnnnii Hi- I -24 cura aveva (lola alla sua figliuola, mai quella lasciando lazzi lei a o fe:ìlc lu- sol- a alcuna parie andiire sanza in sua compagnia. da tei;iicii- slrolla e co' molta guardia, pen'lié Il mollo rilemula si la la fanciulla era e di lei con grandissimo timore stava. Final- mente, essendo Tela bene aempiuta doversi maritare, la valorosissima giovane donna con consiglio e opera di;' suoi parenti a uno giovane assai a bello e grazioso chissima, si il cui d'una famiglia nome Lippozzo lue, quella sì maritò. lempo mare fare di il le anti- Greci E venuto il nozze e consum- matrimonio, sendo la fan- ciulla più e più volle amaeslrala dalla madre che altro pensasse o ella non volesse che fare, dire o pensare cosa che a Lippozzo piacesse, e che da sua volontà giamai si partisse; e cosi amaeslrala, si diede compimento nozze. E essendo nella camera vane colla sua sposa, lei il alle gio- cominciò baciare e abracciarla, e ella ubidiente e chela nulla resistenza l'acca ; e romandalole inente marito ch'ella il entrasse nel gliasse e lo fece, il lellD , si spo- presla- perchè siibitamenle aniendui nel letto furo, e si parendo giovane questo una maraviglia, cominciò "a sospettare cir ella disonesta non fosse; e lìnalmendo scudo nel lelìo, egli dicendole ch'ella l'abrac- al ciasse e baciasse, sanza altro dire lo fece; sogiugnendo a lei: « Or abbi piacere de quello che io fo, e sanza fa eh' io me n' aveggia >. E strettola e dato opera al consumare il matrimonio, la fanciulla, che malurissima era, cominciò a gustare la dolcezza; il perchè veggendosi sol- più dirti lecitare al piacere, ella co' mille pia- non altrementi faccende si faccia una passera o cutrellola quando sono in amore, slrignendo con una effecevoli modi, della sua zione il persona che manto come più anni islata . se co' lui parca Lippozzo che<)llr'a si modo fosse struggesse. sospettoso M era, parendogli questi alti più tosto di femiiia disonesta che di pulcella, 126 subito isliinò costei vita disonestis- sima dovere avere tenuta e malcontento diliberò quella non più toc, care, né inai co' lei più racozzarsi ; da parte, sanza parlarne il aspettava. E venuto il di prestis- e tiratosi di simamente s" usci si levò, sanza e , camera e della alcuna dire cosa molto maniconoso stava. E cosi tutto il giorno passando vegnendo la sera e andandosi a dormire in uno , medesimo Il perchè gliava, ietto, a la ma pure per do non ora e la , E venuto parlava. Lippozzo a fanciulla ancora, e collazione, cora usanza di fare a la maravi- fanciulla tornava, ricevuta come si fue dove , falla al come casa la la buona levato tempo buona festa si onestà e temen- cosa ch'ai marito spia- far cesse, niente mattina niente dicea. lei fanciulla forte è an- madre co' molla quivi più di costume richiede. E dapoi, vegnendo il lenyio che 'I marito rimandare per lei dovca e non stando, facrendolo, il madonna Ricciarda gran- i-:!7 dissima aniirazione ne prendea nalmente la Irilamente figliuola e maniera, e la dicendo, comprese ella fi- esaminando e più volle |)ìù e ; d' ogni figliuola a 1' lei atto lutto oppenione che Filippozzo avea, conoscendo ancora in buona parte che sospetlolissimo era in sua condizione. Et presone sopra di ciò un pronto e buono a viso, e deliberò andarne colla figliuola a una sua possessione che fuori della porla a San Friano si era per non molle miglia distante, che Carcherelli chiama. si soprastata , E parendole quivi alcun il tempo a di suo mandò a dire a Lippozzo che dovesse piacere per buona bisogna venire a desinare co' lei la mattina seguente. Alita la 'mbasciata Lippozzo, come che duro li paresse, diliberò andarvi imperò che in molta reverenza avea madonna Ricciarda per aviso, li , la sua somma scndo giunto a virtude; e cosi fatto, Carcherelli da madon- na Ricciarda fu riceulo con grandis- sima festa, e ragionato co' lui di molte l'38 cose, fiiialinciile menava vaUirosa iloiina la una finestra per la quale e tulio il luogo raguardare si pelea quivi essendo aniendue e ragionando lo a ; delle piacevolezze del luogo e siiigu- larmeiite di bellissimi e larghi fossi che circundavano, vene una fante- '1 sca e disse; sapete son pure mondo? Madonna, <• che la i)iù A « anetrini gli un poco qua, fante madonna elle noi « li presta andata ca|i|)ellina gli Ricciar- Va, recagli veggiamo ». una sua in arecava; e moslralogli loro, cominciarono a ragionare dire tura, a la non nali e dolce cosellina del cui da prestamente disse: La o voi son donna col e a giovine della na- quante belle cose fucea, e come ciascuna cosa dava sua propietadi e cosi dicendo, avendo donna Ricciarda in : mano ma- gli anitrini, nel fosso Lippozzo, che questo vemaravigliò e disse: « Madonna, gli gitlava. dea, SI or che fate? voi volete che muoino! de, non eli disse fate! " » La donna ridendo N'edrà'lo leste: > e giunto 129 nel fosso 1' alie a anilrini gli menare e cominciarono aiutarsi neil'aqua, per maniera clic infino alla proda nolarono sanza neuna noia o impe(limeiilo. Della qual cosa il giovane co' molla maraviglia sopra se stava, parendogli uno impossibile quelloche veduto aveva, dicendo inverso la donna: « Per certo, questo mai credulo arei s'io nollo avessi veduto, e per certo è gran fallo a pensare quanto natura la cui n ci aniaestra e insegna madonna Ricciarda Lippoz/o , io ti parlerò così ". A dicea : come con caro e buono figliuolo facessi, e priegoti che vogli di il mio dire udire come tenera madre, e non avere a male se teco con molla baldanza che altro non Do fia dirò, i' che tuo bene, utile quanta è la tua oppinione fuori di ragione e stolta ra- e onore. , ! guardando bene la cosa com'ella istà, non vedi tu il tuo onore e '1 mio e della donna tua con quanta istoltizia (u abbatti? Or non vedi tu quantu (uo bene con somma vergogna di te 9 130 e di me na semplicissiiiia , con vitupero della tua don- e i'aiiciiilla, tu lasci? Or non vedi tu (inaluienle il tuo vivere e mio e suo dolorosissimamente per tue apareclii ni? Tu mia, a te lire la ti l'alsissime oppinio- maravigli se la fanciulla sposa pura e d'età da senà auto forza che dà la natura , piacere di fare cosa che a te e a Or non diletti. vedi lei essa natura tu quanta forza ella à in ogni animale e spezialmente intorno alla generazione? Or non sono nati l'uomini e le l'emine per natura prontissimi a generare, dandoci piacere e di corpo e d' animo ravigli che ? la li mamia che mai Do', istolto, e tu figliuola né udì né vide cosa altro che onesta, sendo da me sommamente amaeslrata che a te piacesse in tutte le cose, purissimamente incitala dalla natura facesse cosa che piacere ti credesse con diletto di desteli e lascia chierie, e pensa che, se figliuola lei. istaro le Ora mai lue capo- disonesta mia fosse vivida, la che con 131 molla arie arelìbe (li nioslrarc essere pura leco a noscere purità e jieiisare e la ubedienza e si Or tu se' oiiiai debbi co- Ut questo che csistiinare? ài Or non fallo. tale eia siuiplicilà e fanciulla della va e penleti di quanti) fallo e vegli colla tua sposa come im conviene stare e conversare ; però che, come vedi, le cose naiurali male si possono tòr via, imperò che sanza maestro o disciplina quelle fanno. Chi insegnò agli anitrini tare o a uccelli fare altri li i si no- nidi , loro pulcini, l'uova, e nolricare altro che la natura? Or va, che io li giuro per la croce d'Iddio che tu m'ài data tanta maninconia per la tua sciocchezza che sono credula moriri ne; e se non buono amore mi io fosse il disordinalo eh' io li porlo, io non terrei apagata se colle non ti strozzassi , e e mie mani seguitasscnc quello che volesse dapjjoi. Ma io non posso altro che somamenle amare si per oltre a ogni altra creatura ti , rispetto di te e sì ancora per ri- i;V2 spello che tu se' e dei essere capo, guida e pcrfcltissiin.t regola alia mia cara figliuola e tua legittima sposa E qui parole die sue alle fine. •. Lip- pozzo che questo udia con vergogna niente dicea, anzi considerato un poco la prudenza della dunna prese grandissima maraviglia, e desiosi del SUD errore nulla altro rispuose se non: "Madonna, voi avete ragione, ma per la e non mi posso scusare grazia d'iddio io credo fare si da quinci innanzi che io ristorerò a quello clie per me erralo si èe, e a quanto dircle e comanderete prontissimo sempre \ibidire pregando voi clic del mio fallire perdonare mi dobbiate ». Udito la donna si dire, chiamò la fanciulla e disse che facesse mollo e cosi le' con mollo piaa Lippozzo , , , , cere di ciascuno. E apparcchialo dipoi da mangiare, con iiiiilli il desinare molte risa e liuiro , andando meriggiare colla sposa per grandissimo spazio con grandissima consolazione, piacere e festa di I.ippo/.zo poi a 133 ciascuno, e spezialmente delia valorosissima donna. K così fu t'aito iscredente l'errore di Lippozzo lauto pru- dentemente donna con e modo slimabile piacevole e ini- prudenlissima dalla n. Novellato che ebbe Alessandro e lodalo ciascuno la prudenza della vadonna, cominciò punlaldire Messer Bartolomeo: lorossima menle a Cerio la piacevole novella d' Alessandro à fallo più cose la prima, moI : quanto fu la prudenza della giovane donna con tanto bello e argulissimo modo; ancora à fallo bello esemplo alla controversia di sopra Iraltata mostrando quanta forza à la strare , virtù dell' uomini e la (Ili terza non , anima appetitiva nelli animali forse sa la ; e nelli ancora à fallo non considerala da nazione o veramente di madonna Ricciarda. Et che voi sappiale io dire ve lo'nlendo, non ostante che qui inesser Giovanni lo sappia meglio di me, orrigine acciò imperò ch'ella fu figliuola di Kug- 13» Vccliio de' figliuoli di Riccio gicri il suoi anticessori. che Alessandro perchè Il à veiielc voluto placare, che, se ragionalo fu pel Sona!;lino d' uno semplicissimo di suo sangue qufsli d' una prudenlissima di quel mede, simo à mendare voluto a cosa rada e memoria narrarci da co- ». Mentre che questi ragionamenti facensi, venia Rellino famiglio a Mes- ser vi Antonio e dicea : « Messere , se piace volere mangiare, ogni cosa è in punto. e con • A cui di si fu risposto, consentimento della compagnia levatosi la brigata da sedere, uscendo liei giardino ne girono al desinare, e con molti motti e sollazzi desinato che ebbe ciascuno, standosi al fresco, piaque al proposto non passare quel tempo sanza qualche ragionamento; e lilialmente concliiudcndo che Messer Giovanni una novella dicesse, dapoi che di due sue cose novellato si era, e cosi lì fu comandato per chi r autoritade teneva, (inde egli vogliendo ubidire cominciò a dire: 135 non debbo altro fare se non ([uanlo mi comandale; e scndo ragionato d' una pudica e savissima donna, m'ocorre una novella d' una ardila e non onesla giovane e d' uno giovan-e ancora ardilissimo. Voi udi' lo caso, e per passare determinare cbi di loro, computato bene ogni cosa, fosse rete il uditolo, l'ozio, vi piacerà di j)iù fierezza e aitlacia. — (1) In Napoli, delle città più graziose d'Italia, ricca e da nobili abitata, fu una giovane bellissima, Caìellina nomala , maritala a uno valoroso giovane, Il il cui quale nome avea fu Filippello Barile. uno tra gli altri suoi compagnoni e amici il quale molto amava e co' lui quasi tutto il lempo usando di dì e di notte, sì che a lui non parca sanza la sua compagnia po, tere vivere, nò poteva; e me Aniello Stramazzafìyli lissimo (I) e grazioso Xovetla Carile. Nola al di di suo noera; bel- corpo (pianto Cateilinn v marsine. il si ili Filippelio 136 altro giovane ancora assai amichevole. Il napoletano, ma virtuoso sovra tutto mollo quale con trementi ramente , Aniello non al- Catellina facea e libe- in casa Filippello e in ogni come sua sirochia fosse slata, sanza pensare o immagi- altro nare luogo, che altro che costumatezza e tutta onestade. Adivenne adunque non molto tempo passando questa tanto in larga dimestichezza, che Catellma, ve- gendo e considerando le gaie e legia- dre bellezze d' Aniello, di morò lui si ina- ardentissimamente né altro piacere prendea se non lui raguardare e considerare. E continuamente di giorno in giorno crescendo l'amore. Catellina cominciò grandissima passione a averne, e per alcuna maniera non ardiv* volere questo suo amore scoprire parendole Aniello tanto amore a Filippello avere che con poca utilità e co' mollo pericolo laccendolo giudicava, e per questo con grandissima maninconia vivea. Come che alcuna volta somma e aITctuosa , , , 137 Ipnerezza ma gli inos(r;ivn; il giovane puro e fedele nulla altro pensava che puro e buono amore la movesse perchè ella ancora più tiepida ad alcuna cosa scoprire si facea. E cosi di giorno in giorno con poca speranza, multipricando e agiugnendo nianinconia a maninconia, vivea. Per la qua! cosa ella palida e magrissima divenia, e fatta solitaria, quasi se a spirito data volte ralegrare prima gaia e si vedea si come fosse, radissime essendo , per sua na- lietissima tura, parlante e iiiotlegevole oltre a perchè chi lei conoscea grande amirazione ne prendea. Avenne uno giorno che, giovane ogni standosi sola lamentandosi napoletana. in fra Il sua camera e medesima in si- una se lenzio né le lagrime ritenere do, la balia che dola sì allattata 1' avea ; e vegien- lagrimosa e cordialmente so- spirare, a lei figliuola mia, li polen- sopragiunse improviso una sua volere cotali parole dicea: or che per questa ài « tu? de. non maniera ucci 138 derti £;uaslando , insieme colla la iiiovinezzii Ina tua bellcz.za. porta bene Filippello ? Or non me a si pare del che non abbia altro bene die parmi clie grande maninconia abbia di questi tuoi modi- Or certo le e olii dimeio quello che ài nò da me li guardare, imperò che e' non è cosa che io non faccia, o da me o da altri che tu abbia bisogno e sia come o quale si vuole o piccola o grande. , , De, non volere tenermi nascose ! Tu non debbi non le voglie tue cosi fare. Or me, di chi ti fifigliuola mia benedetta? Or derai non sai tu, che altro bene clic le io se tu ti fidi di , non ò ? Or su, dò, vogli tosto <llrmelo. » Udito questo elTettuoso parlare Catenina, e parendole di lei pò tersi liberamente fidare, soprastata e alquanto con profondissimi sospiri così cominciò rissima a dire: madre mia, io singula- » mi muoio e morire, perchè io il merito, imperò eh' io sono inamorata del più voglio d'udele e inavertcnic uomo che viva. 130 pure e così, e non posso vivere non ami né die a lui io E la consolazione che io di lui spero si è come essere inamorala d' una stella del cielo, che non che io non pensi. lui ne puoti avere altra consolazione che me; vcdella. E chè ò diliberato volere io così incontra a più non vivere. E pere. " sto facendosi , Né tacette. La figliuola mia, e balia udito que- sua faccia aldace, e cominciando a veresli per- altro vogliale sa- nella capo, così dicea: il morire " or che islolta di' tu';' pure sapere che piii crollare a il e dolce Tu do- ogni cosa rimedio eccetto eh' alla morte. Or diresti tu se una mia amica il farà più lui di le innamorare che tu di lui non se"? pure che tu gli possa dare a mangiare alcuna cosa. Dimmi à che adunche chi costui è che ti dà tanta pena ? " Gatellina che questo udia cominciò un poco di speranza a avere e disscic: « lo vel dirò, né cosa che sia me vi debbo occultare , che io per più non ispero e vogliomi morire. liO Sappiale clii io sono si è Aniello Stramazzali£?li, ama quale quelli di lite inip;izzala lauto Filippello e olii il lui quanto voi sapete. La qual cosa troppo m'è noiosa, imperò clie per questo io non potrò mai avere cousolizione di lui. Onde oramai, madre mia, vedete come io sto. » Udito questo, la balia prestamente le dicca: « Figliuola, non ti sgomentare anzi li conforta, imperò die io li menerò domane madonna Fiondina da Poz, zuolo bene che ella farà ciò vorremo; e sappi ciie e' non grande odio tra due che in meno tanto noi clic è quale è tanto mia amica e (t), la vuoimi si d' otto con dì zioni eh' ella namorare 1' dell'altro. E Non ti sue medicine e ora- noi levi via e facci in- uno ardentissimamente vuo' lo tu bene vedere? ricorda die Bo/fiUo Caraccio non volea nò vedere uè udire Damiana sua donna? anzi le dava tanto mala 1 vita 11 clie Coli.: era una croce, e sai l'i^zzuolu. l'il cir è quiiiili) g;iia né in Nilo à simile oggidì Bortillo non lei, e à paura che (1) ù' li non o Gapovana e altro bene ciie fresca die e ; uccelli dell'aria non gliel tolghino e è si geloso che mai non si parte da casa. E questa medicina non fece se non solamente con una orazione e uno cuore di E sappi che in cotali cose ella à le più benedette mani che creatura talpa. che viva; e come di costei fé', di molte e molte ti potrei dire eh' ell'à fallo, ma queste cose non si sanno perdi' elle si fanno sacrete ; e tu non ne dicessi nulla a persona di questo, falli tuoi e imperò che guasteresti lei faresti danno e onta. Or su, a figliuola mia benedetta, confortali, ch'io ti promello alla croce d'Iddio i che e' non passerà otto dì che Aniello impazzerà di te e arai il più bello (!) cliiesa Codice: Xiilo, La slnula Saul' Angelo Napoli; e la nosciuta per (la Majaiin. a Nilo Milo p. la csislooo lìnora a porla Capitanti (Cnpovana) è coi bassiriliovi allnlmili a riiulinnn 142 tempo poi avesse mai persona. eli' partitosi la minando ogni minciò lei balia , » Da Calelliua esa- loro ragionamento co- avere tanta speranza, che a parca ogni ora uno anno che a soprastava venire con maVenuto dappoi il dì seguente, con grande sollecitudine la balia menava come promesso avea a donna la balia l'iondina. Catenina madonna Fiondina da cui ella fu con una buona e lietissima cera , riceuta soprastato alquanto, e ; mamente la balia donna Fiondina, la quale intorno in cosi dicea: ulti« Ma- voi udirete Catellina, voi à somma sua bisogna; speranza, priego per suo e per mio amore ch'ella vi alla io vi raccomandala, imperò che grande bisogno ella n' ù. • Udito questo madonna Fiondina colali parole dicca rivolgendo il parlare verso Catellina " Figliuola mia, non temere e contortati, die io li prometto che tu prestamente arai grande consolazione di quello che tu disideri, imperò che Damiata tua balia m' à detto come sia : i4n imianioiMtii tu gelalo sia clli se' amore verso sanza e le. Aniello e che tli Or dilellcvole adunche fa se , lu vuoi ch'elii sia passionato ai pari mangiare di te, di dalli io cose che le dirò uno venerdì. Abbi uno cuo- ti uno di scimmia e uomini e due foglie di morlina, e fanne quello mangiare che ti parrà più abile, dicendo a ogni una re di talpa viva e due bellichi d' queste cose tre volle questa ora- di che io V ò iscritta in questa E datogliele a mangiare, fa che non ti veggia per ispazio d' ore zione carta. elli dodici, e poi dalo ti manifesta a guar- lui e immanlaneiilc salutalo e ; tremolo allisandoti dirà parole che t' asicurrà niente parlargli: dicesse, tu ti pure elli la se lo vedrai cam- per opera di te infiammato. che le elli mo- sua passione; e finalmente non potrà vivere dimostri elli e bialo e sospirare fortissimamcnle, strando elli cose e Or non ti non sia d'avere adun- eh' eh' fa s|)acc.iali, questi tormenti scampare. elli elli se » vuoi di Galellina, ogni cosa avea bene notalo e clic ceùla cora , ri- orazione in nna caria di peraccendo collazione insieme e 1' ragionando inlorno alla nialera continuamente per grande ora, rimagnenJo ultimamente sola pensava d'avere tutte le cose delle; e quello che più faticoso a lei parca era l' uomini. i bellichi del- Ma essendo venuto, di il dinanzi a questi ragionamenti; che mastro giuslizieri avea ne e giustizia di strada, e Calellina il fallo esecuzio- qualro ladroni di avendogli veduti andare alle l'orche, pensò eh' ellino potessono fornire la faccenda; e non fidandosi di persona alcuna, prese ultimamente partilo d' andare ella per quelli bellichi, e cosi prestissimamente diede ordine a fallo. E la notte gnente, scndo Filippello Barile veito a sue possessioni di lunga, ella usci di casa e ginne verso il luogo della giustizia, nella lo il qual luogo è in sulla marina stremila inlorno del mare. della eccetto città e che dalla muraparte Entrala dentro dal luogo, 145 montata su cominciò a tagliare i! bellico a uno; e tagliato e ripostolo in una borsa che avea andò all' altro e mentre che ciò facea, avenne che la luna si scoperse e dove prima era la notte scurissima, parca dapoi per lo tempo purissimo che di fosse, il perchè ogni cosa da lunga assai si scorgea. Adivenne fortuitamente che uno gentile omo giovane e galliardo, tornando da fare sue faccende di notte per lo fresco da uno suo casale a Napoli solo in su uno poderoso corsieri, capitò scndovi scala, Catellina la , presso al ; luogo della iustizia, e come sovente adiviene li ochi si dirizzarono inverso le cose spaventevoli e ve; veduto una forma che viva li parea ebbe grandissima amirazione, pensando come o chi si fosse quelli che 1' impiccali tentennasse o movesse. E fatcrescendo la voglia più tosi innanzi duto 1' impiccati e , , vedere, come che alcuno arricciamento di capelli in lui fosse pure dicendo infra se: « Per certo del , 10 146 questi mo ; elli se elli il fine; dere dimonio, o elli è uodemonio, io voglio vese elli è uomo, per cerio è è vedrò quale io fare terribili si o diletto utile cose come il lira è questa, andare la notte fra li 'inpiccali ": e cosi dicendo in fra se spronava il suo cavallo. La giovane donna ciie tutto senlia e vcdea, temendo non essere scoperta, diliberò prestamente d' im- paurino, e scesa della scala e scapigliatasi e in modo d'una furia infer- ne già verso l' entrala che dovea potere fare i' giovane che voglioso spronando il cavallo venia. nale si , E ella più presso da terribili voli, ora lui con islrida insieme con urla spavente- gìttandosi ora saltando per che il cavallo impiccati, e si si 1' per per quasi aria lo li , in terra, tanto facea spavento delli modi della fieri donna non volea più avanti andare, anzi sinistrando indietro si rivolgea. prendendo velocissimo corso giovane ballendolo ; ma il delli sproni e ri- volgendolo più e più volle verso la , 147 giovane donna co' molla falica, non possendo più il cavallo resistere, si fece avanti, e gnendosi la preso uno salto, poal petto, verso la bocca donna n'andava; e la marina duto verso questo ve- ella fuggia, e gitta- dentro, diliberando d' afogarsi tosi giovane pur seguendola nell'andare ella sotto dell' aqua la prese e il , per li capelli. A cui la donna con dolorosissima voce dicea « Troppo : de, lasciami annegare per piata e per amore di chi più il giovane che questo udia ami. rispuoso: » Per certo io debbo sa- m' ingiurii , •' pere chi parere fandosi, do non parc : tu »; e « li se', e poi ne fa il tuo tirandola su e ella attuf- dicea finalmente, veg^ien- potere Dapi)oi delle sue che mani sca- tu vuoti sapere io sono, io tei dirò con questa condizione che tu mi prometta sopra chi la tua fé niente A cui il mai dire ad alcuno. giovane pienamente il » prò- 1/iS mise, e saramenlo fallo qucslo tenina non fé' si 1). Ca- su e lirossi dove aqua era, e asseltalasi capelli colali 1 Ora sappi se la mi conosci. » Allisalala e bene riguardatala, prestamente il giovine la conobbe e forte maravigliatosi così le parole dicea: dicea: i Or die vuole " madonna dire questo, Calellina? quali nccessitadi o voglie v' inno qui condotta o per- chè? A che me me niate se io io per pare sognare; me mai voi qui essere. 1' amore a fare mente io vi pricgo ancora mi perdov'ò troppo molestala, che lo diciate e e arci potuto — «; pensare Efrenio mio, " non odio m' questo ella » à condotto narratoli e ogni cosa , Efremo final- forte maravigliava dei feroce proponimento della donna, e per cagione che si singulare amico era del marito: « |>restamente montatemi in groppa, che io rimenare vi voglio a casa >, dicea, ( I) Qu:ilcosa siirampiilii. manca : n se no forse fililo avrebbe da ili <]iicslo. di a 149 « riccio die ninle iiituppo voi non danno e vergogna.» montava, e preso la via verso la terra, sendo la giovane grande e bella e in una cotta di seta, e le sue carni lattate per sì fatta maniera che vincieno le tenebre della notte, apparea una miracolosa cosa a vedere. E essendo giovani per la via per prendere la frescura, veggiendo Efremo con questa giovane in groppa, lui subito conoboro, e con certi fischi, e elli a loro rispondendo, non ardirono al nobile giovane altro dire o fare, come che grandissima voglia avcssono di sapere chi la giovane «vessi, ricevendo Onde ella presta era, parendo loro eh' ella fosse olir' modo E passando a' e sendo presso a casa la giovane, e scesa da cavallo, s' entrò a sua magione. E venuto la mattina seguente sendo fatti bellissima. loro ciascuno così ne già ; , alcuna festa per denominato tutti i lo re dolio gentili Carlo Secondo ordinata uomini dove , e giovanaglia nel luogo d'essa festa radunata si era; l'ìO iiilPii' essendovi (inali il valoroso gio- essendo co' molle parole e ardeiitissinii prieglii da chi lui avea la nollc veduto stimolato ch'clli vane Efrenio, dicesse loro h che e clii notte era tanto bella dama, passala in groppa avea afermando che mai più dama tile negando gabbava: di quella si bella e gen- vide ; e elli con gravezza la dimanda il re sopragiugncndo improviso domandò: «Che controversa e voi ? » Fu risposto per uno Monsignore, noi non abbiamo controversia alcuna, né altro volevamo da El'remo se non che elli ci dica chi era una dama delle più belle che mai avete : " si vedesse che elli ijuesla nolle in groppa avea, e elli dire no'i col vuo, le. " re, Il che e volentieri di lieto era di sua natura donne udU» , a lui si E perchè noi di"? Dubiti tu ch'ella non li sia lolla, sendo lu bello come se'? Io non voglio che eie lo disdica. A cui Efremo rivolse: " spuose: il » Monsignore, ellino dicono vero; e per certo ella è bella crea- 151 è, ma sacramentato e dato mia fede ò io volentieri direi chi ella e (lira niente dire; e certo, se non rompendo fede resli il potessi io dillo , voi udi- più fiero caso e strano che mai si facesse. " Udito il re questo, cominciò averne ardentissima voglia, e per la mano preso Efremo e tiratolo da parte cosi dicea: » Tu dei sapere che tu non puoi né dei a mie ragioni derogare per tue promesse e per tanto io tei comando che a me lo dichi e questo iustamente fare , , tu puoi. Adunche gio. giovane, veggendosi .stretto « Il dillo sanza indu- per lo comandamento dello re, diliberò dillo, come che ancora volontà grandissima n'avesse; e cosi fé' puntalmente quanto avenulo era e come la cosa ebbe principio, e il consiglio e I' aiuto di madonna Fiondina. qual cosa grande amirazione il Della re ne prendea; e parendogli che male fosse a lasciare vivere si fatta malifica, fé' col suo giustizieri che dina sanza madonna Fion- vituperio di Catellina fu 152 E arsa. cosi finirò le fatture per lei delle e ordinate. Oniai " avete voi udito caso il Efremo; piacciavi dire qua! di costoro ebbe magiore audacia, considerato bene ogni cosa: e pongo siienzo al mio dire con buona grazia e di voi, venerabile donne, di Catenina e e di voi, di singularissimi padri e fra- « telli. novella di messer Giogrande maraviglia chi giudicava per la giovane donna e chi per lo giovane, e cosi per grande spazio stando, ora dimostrandosi quanto più è fragile il sesso feminino che '1 maseulino e per consequente era più amiralivo 1' atto della donna Udita vanni la con , ; diceno che elli era vero, ma la donna sapea quello che la inducea amore a fare; ma il giovane uomo, altri a cui era il fine dubbioso e voglien- chiarire per vedere il vero solamente conoscere, tanta franchigia d' animo mostrando, ciie per certo avanzava. E cosi la cosa in mollo dosi 153 proceden litigio 1' convenevole per la calura a camere, fu diliberalo per ora girsi perchè, sondo già il ; alle non disputarne quella ora più ciascheduno darsi fatto si a posare : e an- e così lue. Venuto dappoi il tempo del fugnemico gire lo tanto a nostra natura e velenoso ozio, padri clarissimi e camere tutti finalmente nel delle e valentissimi e pre- i maestri insieme si giardino alle ombre ne gièno; schissime uscendo trovaro, là fre- dove con molta consolazione e motti piacevolissimi e laudabili sollazzi stando cosi alcuno della compagnia a dire cominciava: » reverendissimi padri voi vedete che le donne e maestri , , ancora nelle loro camere stanno, il perchè, considerato che di rado adi- viene che in singularissimi sì , piccolo numero tanto espettabili , famosi e preclarissimi in ogni dificullà uomini insieme trovare si vede, e ciascuno per lo tempo frutto fare si dee a , me |)arc, con consiglio sempre e buona 154 piice (li chi il principato voi fra insieme di ciascheduno a me reverendo e maggiore, che a voi piac- (iene e cia non tanto ma utile e particulare: o del vere dell' intorno lo dilettevole e comune, ben vi- nomeni secondo virtude allo esercizio de' beni esle- della nostra republica intor- rfori, no al governamento cittadinesco o veramente pollitico qualche buona, utile e laudabile regola Sospesi tulli pel buono si dia. » — dire, e Biagio fiso riguardando con alcuno gesto molto amirativo chi detto avea fé' un poco muovere alegrezza il maestro Luigi col cancellieri, conoscendo più la sua condizione e maniera; e prestamente a lui dicieno: « Biagio, noi chiaro veggiamo che tu gusti questo consiglio bene coni' altri che qui sia; adunche con buona licenza del pro, posto piacciati dire quale li pare più meglio nel nostro ragionamento dovere disputare e terminare. • 11 maestro Marsilio, che piacere utile e grande ave' d" udire Biagio , sanza 155 indugio così dicea: udito quello che dice e Bingio " , tu ài maestro Luigi, il però prestanieiilc io voglio e comauche tu risponda si che tempo (lolelo non perda. si mandamento Udito Biagio " il co- non sappiendo che dire, pure pensò che ogni cosa eh' avea, e parca che pretendesse danari, li un poco pensalo e sopracominciò cosi a dire: « 1' ò e alla fine slato , molte volle considerato che a bene e particulare è pure bisogno danari sieno per soprire (I) a che comune i molle bisogne, che sanza essi male fare si potrebbe e ancora veggio che ciascuno gli disidera e vuoine ; secondo suo potere. E però mando, quanti modi sono laudabilemenle aquistarc I' usura cosi è dalla nostra (1) Cosi il lede Cod. , biasimala , : e io vi a do- volclli e perchè e vietala universalmente supjK 156 da ogni religione tacelle, si proposto il udendo " E dello niaeslri domandare, parve domanda la quelli COI) dire e si loro ciie e setl;i. (!) fosse di più gra- vezza che mai slimato arieno; e in- sieme un poco ragionalo, parve al proposto e al suo consiglio dovere questa risposta commettere a messer Bartolomeo, imperò che la dimanda era tutta politica, e insieme nell' timo lui comandatogliele, ul- mescolata; e a cattolica colla tutti stavano in silenzo. messer Udito a lui dire a parlare: fessione e non che Bartolomeo convenia, così cominciò li « Come lulta sia in tutto che la mia pro- slata ecclesiastica politica , come voi, reverendi e fratelli cordialissimi, molto meglio di me sapete, non padri di meno per ( I) ubidire Quali sono i mnili per nari s'aquisla laudabileiiii-nle ra è proibita, e e contentare ti ijiin' perchè ^iola doli" aiiloro al li I' in- usu- margine. i:)7 risponderò sempre con buona correzione di ciascuno. E cosi mi pare dovere fondamento fare alla nostra risposta in questa maniera: vuole nel lìlosol'o tutte 'le primo della comutazioni il Politica che quasi tre a prima si è cosa con cosa come alcuno abondi di grano e manchi di vino, e altri per lo conlradio, fanno comulazìone l'uno coir altro ne' loro bisogni corgeneri si riducliino. Et la : E come porali. di questa una, trebbe dire di molte e molte si po- L'al- comutare cose a danari, o cose come vegiamo dare cose e prender danari, e dare danari e prendere cose. La terza e ultima si è comutare danari a danari, sicome cambiare uno fiorino a uno ducalo cambiano a grossi d' argento o a moneta di rame come tutto giorno adiviene. Et però notare si dee che a bene essere e comodo vivere delle città, province ecc. fa di necessità trovare la moneta, imperò che più tra si è danari a , , abile a portare di luogo in luogo, 158 per quale la s' anno le sarie, che quello che per potesse di cosa si cose neces- cambio a cosa. più olire che quanto detto — fare Ancora- io ò, per buono principio alla dubitazione o veramente domanda, è di necessità vedere, cioè quante sono le spezie dello esercizio della pecunia tratlìcare Dobiamo adunche sapere e aquislare. come filosofo il IV nel sua della pone quatro spezie pecuniarie e così le conuniera: la prima naturale, la seconda chiama cansoria, la terza la obolostìca quarta chiama calros Politica , cioè parto. è Vengo alla prima, perchè naturale o quasi, imperò come clie per vendere cose che dalla natura produtte sono, e così prende suo principio: come avendo molto ella si fa grano, vino, olio e simile e vendendole, pecunia s'aquista; sto aquislo rali finisce e pecunia. la sì che quecomincia dalle cose natu- nelle Adunche natura pon fine, onde (]ucsto artificiali, vc.ijiamo che 1' aquislo cioè dove arte comincia, quasi naliirale 109 si dimoslra. La seconda come cansoria, e questa, sofo nel primo chiama si dice filo- il della Politica, impri- mamente l'orse a caso trovata si ma dapoi per esperienza è già tue, fatta Et questo adiviene quando moneta è d' una città strana e in altra non à corso secondo suo valore; perchè altri avendola dove secondo suo valore aprezata non fosse, e portandola dove il suo pregio si corre, questo tale guadagnandone la cambia artificiale. la per la seconda spezie, cioè cansoria. La terza spezie obolosiica, cioè eccessiva di peso, forse trovata questa via; come sì noi si fu per vegiamo che de la massa del metallo se ne fa moneta, e alcuna volta adiviene che della moneta si fa massa fondendola; imperò che, vegnendo in pregio ma- giore per caso sopravegnente l'arienaltro to metallo , per cagione d' avere a cando vene donde |)er altre le fare guerre cagioni o , molti vasi si , o o man- tragono, o per pestilenzie o per gli uomeni pesono le monele e quelle che fondono zo dono , V eccedono il prezche non ecce- allre prezzo lasciano stare: onde il noi volgarmente diciamo isbolzonare. E in si dice. questa maniera — La e terza ispezie d'Aristotile calros cioè par- è detta to, la quarta e ultima spezie questa vulgarnienle diciamo usura. Chiamasi adunche parto , im- però che ella si vede quasi partorire e generare danari. Dobianio adunche considerare che neuna cosa cresce né genera per se medesimo, ma per lo parto sì per generazione. Prendiamne uno comune esemplo se : l'uomo ara X vacche, X cavalle, que- potranno mutripicare e partorire, in capo dell' anno potranno essere X.X; ma, se tu arai X fiorini e vorrà' ne avere a tempo dodici o quindici come possono questi partorire? Adunche dirittamente l'usura e detta parto di danari. Ancora è da vedere, che, considerato che 1' ususte e così , raio nuli vuole tare partorire quello che pillile per natura. Aristotile nel , 161 primo della sua Politica meritevolemente dice elio l'usura è corilra alla natura, imperò che partorire e generare mali puole noi mai : che e si'mili Adunche fare se non vide panni si , ani- li vasi , ar- mutripicare o partorire. chi vuole che danaio, che é cosa artificiale non naturale e , fac- danaio, è usuraio. E però bene è conchiuso l' usura essere cosa abominevole e centra natura. cia Ancora dire si puole e ragionare sopra questo vocabolo usura. Questo viene da uso, quasi usura mal uso — fare e usurpare. Debcsi adunche pen- sare che altro è la cosa e altro è l'uso d'essa cosa, come altro è la e essa. Se tu adunche concedi l'uso e rilienti è usare d' abitare in casa altro il 1' dominio della sustanza cioè della cosa, puoi d'esso uso pren- derne prezo o \eramente pigione, sanza alcuno peccato o infamia d' usura. Ma se tu prendi prezo 1' nio cosa d' essa d'uso di uso concedi col domi- cosa che tu , di questo II pren- IG-2 alcuno (lei)d(iiic jiiccolo usura , prczo qiuintinu'lie e; imperò si co- clic come il cianaio non puole nmlipricare comedi sopra dello si è. E si ancora, come a te die pre- sa arlilìciale sti e di quello dominio quello che non E stasti. a quando desti se dicessi che il le pre- fosse obli- li simili a quelli, conccdolo, a' quelli frullare tuo? imperò che è dominio ne ogni gaio che presti concedi come puole , non sono; onde ([ucllo ciie ma non è non puole frullo fare, imperò che 'I danaio è trovato per commutarsi, e andare insieme il dominio col- l'uso. (1) Non sua meno di (juanto dice il Politica: è da considerare (ìlosofo nel primo della che di ciascuna quasi — 1' uno è V uso non propio. L' uso propio del danaio è esso commutare cosa in due è propio (l) .iiiir 1113. É e il articolo par. II. 1' modi altro nolo ilcir raziocinio usura (Illesi. 7X. : di voggasi S. Tommaso la sua Sum- 1G3 o spendere o veranieiite alienare ; r uso non propio è a aparere e mostrare a pompa Cosi ancora acciò che paino richi. puole dire della casa si : l'uso propio della casa è essa abitare, vendere e commugià e vegiamo che fanno la casa più tosto a vendere clie per abitare. D' ogni uso propio non propio certamente si può prendere pigione, se quello uso si puote concedere sanza il concedere la suonde chiaro si vede stanza d' esso che dell' uso propio de' danari non si puote fruito pigliare sanza usura, imperò che tale uso non si puote concedere sanza concedere la sustanzia. Ma dello uso non propio se ne puote prendere prezzo sancome se uno che fosse za usura per fallire volesse moneta accattanon a spendere né alienare, re non propio Alcuni tare. è essa vedemo ; : , ma a aparere ricco e di quella fare (mostrai?) quella chi per essere credulo, medesima rendesse accalata a colui l'avesse: dico e da che chi 164 ne presta la puolc preiulprc prezzo sanza essere usura, imperò che presta 1' uso non propio e rimangli il dominio appare delia sustanza. Ornai cliiaro quale è usura e non usura. adunche V usura É da essere vi- dannala per ciascuno e spezialmente da uomo cattolico e che vogli buona leggio avere e usare: che vedete finalmente quanto il filosofo tuperata e r à e solamente lodando in abbominio zie, cioè quella nella sua Politica la prima spe- quasi naturale d'aqui- stare danari per vendere le cose condotte dalla natura e anche dall' arte laudabilemcnte imperò che il danaio fine. Ma qualunchc ora il principio e la fine è pur del danaio, quantunclie non si commetta usura, non è laudabile a cssercitare è fatto a ; (piello e generosi animi. a alti Veduto che abiamo come cunia proibita dere e trafiica e si e perchè 1' la pe- usura è abominevole, resta a ve- rispondere a Biagio alla prima sua dimanda, cioò quanti sono a 165 i modi faremo s' aquista ; n nostro dire. fine a Pone mo pecunia in clie Arislolile nel line del pri- libro della sua Politica la distin- zione in diversi membri per li quali pecuna s'aquisla, e mostralo quasi per cmque vie; de le quali la prima è delh possessoria, e questa è quando la l'uomo le è ricco di possessioni e quel- governa e provede coltivale e fruttifere essere animali che su coli bene bene s' usa prendendone bono frutto vendendolo n' aquista pecunia. tenere e a essere per quello e ; quanto è questa via laudabile, o quan- gloriosa, o quanto dilettevole! to è questa sola fra stelle da e naturali da , arti l' filosofi, mecanice è alle da poeti, da morali attivi e contemplativi uomo che à iningegno, lodata, e al postutto da ogni arte in teltelto e esaltata e gloriata dolcezze e che vegiono ; in ! Io lascio stare le questa si truovono lascio stare le conso- io lazioni innumerabili colia coscienzia pura chiara , e sincera che questa , ICG esercitando s'aqiiislonu; il io lascio slare frullo laudabile e solalivo e onesto che questa produce. Chi questo esercizio elegge, o quanto b\iona e perelezione fetta si prende! (t) Elli si sepera dalla ignoranza del vulgo; fugge la lurbazione de' popoli; schifa r angoscie comportabili , della elli elli noie e fatiche in- comunione delle perverse, ritrose e strane condizioni delle genti essa al , della madre cuna volta freschi dandosi alcuna volta in ozio, ricreando per isludio filosofia e teologia cantando colle muse rezzi , al- fra del sacro alloro. Ornai più di questo dire non intendo, che mollo meglio è non dire che poco dirne; e torniamo e basti nostra a malera questo avere dello della prima cioè possessoria, e vegliamo più avanti. — La seconda è detta mercanzia, e questo ancora è lauldahilc e utile (I) Cod.: chi eleggo , preiirìc. quanto i|uesti( buona e pscnuin si iirenrio pcrreKa elezione si e 167 a ogni repubrica e pulizia; s' escrcila e questa aducere o portare per cose di paese in secondo necesilà e bisogno mare paese in per terra e ne'IuoLtbi, e eziandio clii quella stante vende e compera. E per questa seconda via ancora s' aquista pecula nia. — Per la ancora stare terza via pecunia si et , puole aquiquesta chiama mercenarjtt overo condona vegiamo tutto giorno mercenai i sera condotti pagali. — La e es- l'opera, essere e, l'atto (juarta si ; via è delta spe- rimentale, e questa è circa alle cose l)arliculari , come avere intorno alle cose buono aviso e arbitrare per lo fui uro per maniera che facci gno. Intorno guada- questa spezie recita a Aristotele due cose parliculari essere stalo falle, per le quali fu aquist(ala) pecunia; e diciamo solamente quello che fé' Taletc Mileto, uno de' sello prima cominciorno a filosofare. Essondo egli jìovero fu da molli ripreso e detto: n A che t' Imona la tua filosofia con ciò sia savi i quali , 16S cosa Elli di daniu'i, sempre in nicistalc ? » non come cupido viva clic In udendo (lueslo, ma per mostrare vol cosa sarebbe intorno se a al tali filosofo che agearichire avesse sua cose cura, vide per astrologia che 1' anno vegnente dovea essere grande. abondanza d'olio', onde elli, comperando e dando arra quanl' paese r anno avere no pregio; n'avca, e cava, e suo e E olio quelli del in quel- e per buo- assai ancora perchè altri elli molti e molti solo man- pogncndo il pregio quasi a vendendolo potè ari- piacere chire. olio ricogliessono, venne , così lece espresso ricredente quelli che di lui mormorato avieno. Questa via è più laudabile d'aquislare per isperimenlo insieme colla prima che possessoria è detta e spezialmente a li animi nobili e alti uo, meni richi e potenti; l'altre certo La quinta via a no sono cosi. — aquistare pecunia è detta (lì%ome denti 1' in ar/i/ìc(7, (!) questo, co>i nei casi prece- autore notava in margine le cinque ma- 169 come che licrunia. Et militare sia cina sia ste per sua arte aquisla alcuno (jiiando fine dell'arie 'I vciloria e della medi- la santa, non di la con tulle meno que- altre arti a aquistare 1' pecunia quasi ordinate sono; imperò 1' operazione dell' arte, at- die, falla iendono alla pecunia, come chiaramente in ogni artefice vedere si puote. Oniai line impongo al mio dire, credendomi in huiHia parie avere sadisfnllo alle dimande di Biagio, mo- come strandogli e' puote arrichirò se queste vie saprà seguitare; e se pure fallo no' e tali, l'avessi, voi siete qui tanti che pienamente tento della ta. » E cosi mancanza il farete con- s'ella ci è sla- tacetle. Fu da ciascuno comendato il dire messer Bartolomeo, e singularmenle dalli maestri e filosofi, |)arendo di nioie per lo quali dine stesso come la si pecunia s' aquisla, nell'or- presentavano al suo esame: Possessoria, i[crcatan:ia, Mcrcpnaria, Speri- meutale, Artifìca. ITO lori) olie sla, ma non come scniulice come più tosto cinoiii- speculativo, morale e teolago avesse risposto. E mentre die queste cose cosi si dicono, già le donne veniano nel giardino e la brigata ciava. E tutta proposto che si sollazzare a poslasi comin- sedere parve al dovesse qualche maa , driale cantare per musichi e pelle li donzelle che quivi si erano, e loro a dicendo che di quelli falli a Padova per frale lìarloUno sì famoso musico fue cantare dovessono. E così fatto cantalo e sonalo per grandissimo spazio: e veduto danzare le donzelle co' giovanotti, sopragiunse uno gio, colare quivi d' in('redibile veggendo clevole e piacevole mò di fare destrezza , e lanla nobile, raguar- brigata s' quante destrezze chi elli potesse e sapesse, per lungo spazio , infiame giuo- sondo slato innanzi che dalla compagnia fosse conosciuto, considerando a riguardare le destrezze di Matteo, di quelle elli il sentì mollo commendare e singularmcnlc di fare 171 più tomi l'uno l'altro, con neuno fallo cagioni il innanzi e conliiiuando scliiavoncsehi tutto n' avesse. Per che quivi le quali destrissimo forestieri si ilicea « : Io si fu' mi credo, no- bilissimi e proclarissimi signori miei, essere il più destro uomo del mon- do e qui si dice che ci è chi fa a uno continuo molti tomi ischiavonesrlii e io dict> che a me non pare possibile, imperò eh' cssend' io destro coni' io mi riputo, quando fatto n'arò uno per infino in due, m'ara paruto fare una singulare cosa. Ma elli farà forse per questa maniera »? E dello cosi e' fé' più tomi con tanta velocità e prestezza che non che e' , ; vedesse che terra toccasse, ma elli parve uno baleno che per 1' aiere ba- si lenasse, rimanendo ritto sanza quasi spirare, presente tutta gata. Allora maravigliati tulli la bri- lieta e ra- guardandolo fisamente, non essendo conosciuto, così gli fu detto per messer Antonio: » Valente uomo, noi aremo vagheza di sapere chi voi siete 172 e come siute in piacere: singulare per buona grazia semlovi arrivalo, qui cliè la le' e' ci bene avete mostrato esser vero vostra credenza d' essere stro uomo più il mondo, avendo del è vostra venuta, e la defatto quanto avete. » A cui così il giocolare rispondea: « Pregiato cavalieri, come che isconosciulo per alcuno rispello io vada, vegendo udendo e vostra nobiltà e gentilezza tacerò né disdirò. Io mi di niente vi chiamo Pe- legrino cavalieri nuovamenle per lo luslrissimo rè Ladizlao fallo , e il- sono napoletano conosciuto. E subito giunto in Fiorenza sentendo di questa , vostra compagnia mi dilibcrai volerla vedere; baldanza in piacere per altra ca- perchè, né il gione, qui a vostra casa con venuto sono , a me ; buona e se a voi è è singulare grazia potere fare cose che a grado vi sieno e a questa vosira compagnia tanto graziosa e gentile. Sentito nome e già " messer Antonio il suo avendolo udito nominare 173 più volte, prestamenle gli fecie una buona faccia e vedutolo in abito d' uno famiglio, sanza indugio fé' venire una delle robe sue e cosi li disse: « Messer Pelegrino, perchè noi abiamo udito di vostra virtù e , deslreza , alla brigata è una singula- rissinia grazia che voi qui arivato sia- vediamvi con grande piacere; te, e ma acciò che '1 vostro abito del fri- gione che indosso avete più non e' inganni ne occulti il grado della cavalleria che voi avete, vi piacerà mettervi questa palandra, fecendoci singulare questa prendere lielamenle e per nostro amore |)orlalla. > Messere Pelegrino costumatamente il cavaliere grazia ringraziava, e quella presa subito in mise, stando ciascuno a paguardallo per maraviglia: e così ragionando di molti signori e molte dosso la piacevole si novelle fu , chiato per Io siniscalco abondanlissima, lieta dapoi la apare- collazione e ricca; e finita la collazione messer Pelegrino in pie si levò, e cavatasi la palandra rimase 17i giubbcUo di sela isiiello e grazioso, non ailremeiiti die falcone pclegrino in si facesse iscappcllalo dal suo Siromaestro. E falle venire tavole zicri e e' su cominciò ciascuno delie si sue ossa rendo, che a fare cose che per giudicava, non allrementi elli fare lorcelle pa- delii suoi come spesso d'una nervi facesse, adalla e forte ri- con certe collella 0. spade fra loro volgendo il corpo e le reni per si falla forma e maniera che chi raguardava, giudicava lui palorla si fae; dapoi , rere impossibile questo fare sanza ope- razione di che ebbe diabolica infiniti illusione. Fallo giuochi, ciascheduno comandamento stupefatto per del pro- puose a sedere, parendo loro che anzi la cena qualche novella utile e piacievole dire si dovesse; e rislrclosi insieme chi 1' autorità avea di comandare, diliberarono che Franceposto sco si Musico considerato avea. la sua ancora novella dicesse, niente novellalo 175 Francesco che a lui novellare convenia, alquanto sopra di se L'dilo poi istelle, e .' co' lieto debbo Percir io volto dicea: voglio ubidire, e con tutto che volentieri udire mi giova più-che novellare apresso a tanti prcclarissinii dottori occorrendomi , per cagione di messer Pelegrino, del reame di Cicilia qui venuto, una novella quale la , e tita, io forse mancando à sen- cosa, perchè volentieri dirò. » E cosi cominciava. (1) Quanto l'osse la velenosa e pe- quella correggierà: la 1' di là in alcuna il stifera rabbia tra guelfi ne' tempi jtassati rare, cidi imperò che , parte slorsioni all' altra e , e ghibellini non bisogna nar- delli incendii, [omi- ruberie e dall' altra dall' all' una una ancora infino nel presente dì per Italia apariscono le vestigie e lulla reliquie , cacciando e sterminando # umanità r uno r altro sanza pietà (1) Xovclla di Franccfco 7misicu nifiuio l'bcrti. : di Bo- 170 alcuna. i Adivcnnc adunque die sendo guelfi di Firenze e uiiiversalmenk' di tutta Toscana di lor patria cacciali, valorosissimamente Carlo e seguito primo re di Cicilia" contro a Manl'edri regno teneva, e da lui in campo morto, e con altorità della chiesa quello aquislato e tegncndo guelfi ritornarono con gran veltoria in lor terre e cacciaronne ghibellini con grande sterminio di loro e di lor cose. Tra' quali cacciati fu un giovinetto delti Uberti, virtuoso assai per che il ; i i sua età che di sedici anni era, e tra l'altre virtù, che singulare avea, ora d'arte di musica apresso a ogni gran- de maestro dottissimo, e quasi ogni strumento musicale dolcissimamente sonare sapea, maraviglia a vedere e udire. E tra dalla natura, più altre grazie ch'avea eradi bclleza di corpo sommamente dotato, che non altremenli apifrca che uno nuovo GanimeNarcisso. Il quale per più e più de anni andando per lo mondo, final- mente capitò a Palermo in Cicilia e 177 uno speziale che lìorcnlino era, chiamalo Lioiiardo, legiiendo co' lui parentado. E andando veggiendo il giovane, ciie Bonifa(juivi ridiicea con si nomava la terra per suo diuna bellissima giovane a una finestra e raguardandola con sommo piacere, di lei ardentissima- zio si , porto,- vide ; mente s'inamorò. E continuando l'amore e di giorno in giorno infiammandosi oltre a modo, intanto che chi volea lui turna e a ogni quasi diurna apresso ora not- sua della rimala trovare lo polca, e cosi sando alcui» tempo notte quivi con suo a sonare pas- una cominciò Bonifazio , leuto e a somissa voce cantare suoi dolcissimi versi, ne' quali insie- me ma col leuto piatii e mesericordia con somdolceza chiamava tanto che per maraviglia la ; in- gentil gio- vine essendo col marito alla frescura e udendolo, e fattosi ciascuno di loro più avanti si che udire meglio il potieno, per grande spazio quello, non , sanza somma consolazione di ciascu12 178 non sapicndo clii questi grande niaravi;jlia di lanla melodia prendieno. Adivenne, mentre die così il tempo passava che il re no si di loro, fosse, , Piero, per la diporto calura a suo essendo in certi cortili apresso l;i dove Bonifazio cantando sonava, udì e perchè eli! la dolcissima armonia era grandissimo musico, sommo piae maravigliandosi cere ne prendea ; ; chi costui essere potesse mamente per uno suo , prestissi- cortigiano so- sommo mandava, il nominava [ìenuccio d'Arczo. Venuto adunque l'Aretino e udendo il piacevole sonare e cantare, lo mosse uno grande fervore prestamente a lui natore e musico quale si per simile modo e dolceza rispondere. E preso il lento che con seco lenea cominciandolo a toccare e con voce dolcissima e sommessa sonan, do , chi cli'elli il fosse tanto dicesse fedele amante pregava. Bonifazio che ogni cosa udia di si piacevole, lutto artificiosa e pronta dimanda , stupefatto, per nulla maniera Imma- 179 ginare chi polea né sapea fosse ; e sonare fosse nella casa dove veduta la gentilissima donna avea, sopra se sanza farce dire parendogli che un poco il ristette. Dapoi, non udendo rispondere con ermonia che prima e con parole molto piatose dicendo che pe- più oltre, deliberò altra , regrino era e che molti anni pere- grinato avea e cerco tutta l'Europa, né mai veduto più bella, ma s' nonché donna che questa era per lui simile in tanta dolcissima patria, a cui lutto dato si era; e pregava, conside- lui rato che quella dolcezza fare non era animo e d'amore, che per lui vo- possibile sanza gentilissimo infiamato lesse pregare, che alare lo polea, eh' avesse piatade di tanto fedelissimo servo. E cosi l'Aretino ripigliava suo sonare e cantare con simile più ore della sì che più e notte passaro facendo e seguitando per simile forma musichi con tanto il tuono, i piacere del re e di singularmenlc della chi loro udia, e bella giovane 180 donna per cui tutto era fatto non si potrebbe stimare. Volle clic , il re innamorato era, e mandò segretamente uno suo cameriera; il quale saputolo tutto al re referia, dicendo ch'era uno fio al tutto sapere chi lo Tentino cacciato Firenze di cii^ si tornava con Lionardo speziale e Bo- chiamar nifazio liberti nuto dapoi nardo per eh' elli i Ve- facea. comandamento a lui e Uberti e così fu fallo. ; il , re E mae- reale per ciascuno di loro reverenze re del seco menasse due dinanzi dalla stà, falle bite si mattina, fu detto a Lio- andasse Bonifazio sulo la le de- co' lietissimo volto ciascuno vedea e per le mani li prendea, e poi si rivolse a Leonardo, Leonardo, io arci creduto dicendo : <• stato più desto alle mie bisogne che tu non se' •. \ cui Leonardo cosi rispondea « Monsignore, che tu fossi : ignoranza errare, se non malizia e vostra maestà , se a errore mostrarmi ni' à i'ò: piaccia errato , grado è , acciò eh' io fatto alla mio vegna il 181 alla anicndiì regga to il e per Paveiiire mi cor- Il re, che con lietissimo volguatava, così li dicea: « Or ». non ti pare avere errato, avendo tu nuovamente in casa Bonifazio Liberti e de' miei fiorentini cacciali, secondo che detto il quale, giovane dottissimo e pratico e di molle condizioni nolo che il primo dì che in Palermo fu, che lu a me noi menasti? che sai come volentieri odo noni' è, è , velle e singularmente del regno e di Toscana». A cui Leonardo reverente- mente dicea: « Monsignore, nulla scusa ò, eccetto solamente la inavcrtenza: perdonarmi, promettendo che più desto perl'avenire mi vedrete ». 11 re ne rise e poi così « Io dicea piaciavi : ti perdonare, singularmente voglio per amore di Bonifazio eh' (juale le amico per tosi a è qui, il come I' uno de' fare ». E rivoldomandalo di più lue scuse farà l'altro Bonifazio e cose e parendogli il giovane acorlo, desto e prudente, con piacevole eloquenza e gesto trovando in lui moke 182 virili, li per e [ìuose grandissima ell'ezioiie; tempo lo allora lor dato licen- che za, a Ronil'azio dicea tornasse lui come vederlo. Tornato, a comodo il vide, Bonifazio alla presenza del re, sendo veduto da lui volentieri e ragionando di molte e molte cose e si delle condizioni di Lombardia come di Toscana e delle maniere di , molti signori e de' lor governi, alla fine re il li dicea che, se a avea caro che non ostello e che glia. si fosse elli piaceva, lui partisse da suo di sua fami- Bonifazio, che questo desidera- umilmente rispose: « Monsignore, non potrei né avere né pensare d'avere magior grazia che fare alla va, io vostra maestà graziosa il guardò credo, ma e cosa ». con mollo dicea: io ne fo accetto Tancia Tagliaria tanto da « Il Io re il madonna amata te ; e presto presolo e baciatolo in fronte disse : « Bonifazio noi bene arai i ragionamenti il're a dalli , fa bene , che da tempo Cominciò dapoi commcssioni assai, le « ; e così (ìniro. per lo is;5 Bonifazio con moli;» qiioli diligenza adempieva; e tanto venne il giovane proulo, destro e acorto alle faccende commesse, che il re cominciò a farne grandissima slima e ne' suoi consigli più ardui con Bonifazio con singulare fede volentieri ragionava, commeltca e determinava; sì die tempo adivenne che pochi in poco della corte erano nel grado di lui. Il perchè, per doni che avea riceùti da' re e per sua altri guadagni richissimo diveli , nuto si era: onde tuna ottima a lui per tutto si la for- mostrava, sola- in una cosa a lui aversa si imperò che in quelli tempi apresso a' re era uno suo atenente per linea feminina, giovane di grande animo e mollo isdegnoso il cui nome iiienle era; , Alfonso tanta che e si era, invidia elli il quale portava a Bonifazio tanto odio, vivea con grandissima fatica dispetto della sua amore che vedea che ma pure non liilto e volea mostrare. Elli buona grazia il il re li e portava, suo animo in era di pari età KS4 di lui e acorlo e di desio in- e bello tendimento e con tutto che questo fosse, non polendo né sapiendo il suo animo, che contro a Bonifazio ; avea, sì celare (tanta era la invidia ) che Bonifazio ciiiaro non conoscesse che fosse. sempre per renon credere cosa Adivenne, mentre che la cosa così procedea, che, per certe e vedesse, fìngendo verenza eh' avea bisogne che a' re bisognava essere a Trapani aparechiate, e conoscendo OdiiifMzio alto, a lui le comisc. più Andò fJonifazio sogna fornire prestamente alla bisanzii mollo sopraslare ogni cosa adempiea. Ma, mentre clli stelle a Trapani, alcuno dì prese diporto a uccellare, di che molto piae cere ne prendea; e vegendo tra tre cose, a lui molto l'al- di maraviglia, uno sparviere tanto rapace e gentile, che francolini, pernici, fagiani con tanta maestria volava e pigliava, che cUi veggendolo credere nollo potea e finalmente corbo ; uno giorno vide uno co' lui acapigliarc, che ciascuno 185 che liensò e sparvieri lo mentre che si dubilavano, insieme (erra vidersi cadere, ili rendolo isvenalo dove socor- trovò slrozieri io perisse; iic corbo il non aitrementi che , si fac- smerlo a uccello che gerniire tenere non possa: onde Bonifazio gran disidero avea avere questo sparma, però che vedea che chi vieri r avea gran piacere ne prendea, par- cia io ; vegli non esser cortesia quello adimandare. E tornatosi a Palermo al re (juanto avea fatto referia , onde contentissimo ne rimase, domandandolo dapoi della piacevole stanza. Bonifazio sommamente cendo a l' sollazo uccellare e la la lodava, e di- piacerò aiito del- il bontà dello sparvieri contava. Di che il re li dicea Punte questo esser? " E elli afTermando di si « De, perchè nollo areli : H : cavi ? « — " Volentieri fatto 1' Bonifazio dicea, sogiungcndo: lania ad grande coni' io. fare cosa altri " Il re « arci ma «, vil- mi parca chiedere della quale si diletti tacctte, e sapulo chi Io sparvieri avea, a lui dò, sì 1' si che in per o^so pochi stiorni ebbe. AiUoio, coniinciù lano; per qual cosa la iiiaii- Bonifazio uccel- a vedea ogni si giorno pruove di quello clie ciascuno maravigliar facea ne allro si ragionava tra li uccellatori che della virtù di ijneslo sparvieri. E sendo Alfonso un di a cerchio e udendo le maravi, glie dell'uccellare di Bonifazio, a lui vene voglia d'avere lo gialo; e non volendo ne gì a sparvieri preelli chiedcllo, uno amico suo "grandissimo di Bonifazio, che Giovanni Picolini chiamava mercatante di Messina e giovane di loro età. A cui così Alfonso'dicea: « Giovanni, io vorrei da le uno servigio, né voglio che me lo si , disdica, e questo Bonifazio Uberti si è: che io^o che ara vageza di ogni a piacere e cosa che tu dessi, certissimo il ga lo farà: onde io li farti chie- mi rendo che presto voglio che tu lì chie- suo sparvieri. Credi tu che le dia? « A cui Giovanni liberamente il rispuose : « Signor mio, io credcrca 187 da altro avere pensa di presto avello perchè il uno sparvieri, eh' lui < Rispuose Alfonso: «Fa d'avello, ma guarda che niente diehi che tu il vogli per me. » Veduto e udito Giovanni la voglia d' Alfonso, e da lui partendosi per trovare Bonifazio a intenzione d' aempiere la domanda a andò che chiesta, tanto Ini E salutatolo cosi io t' che dicea: li « trovò. lo Bonifazio, ò cerco per grande ora: sappi io voglio da le una cosa, la quale non voglio mi nieghi e questa si è il tuo sparvieri buono, che credo che : quello che sìa gno. " al presente in pu- ài sommamente Bonifazio, che Giovanni amava, cosi rispuose: » me, Giovanni mio, credi tu che cosa che io abbia che ciò che e portogli tali e in parole: fama di animo questo è, io io lo « disdicessi ti ù è al ? Tello, tuo piacere » ; sparvieri sogiunse coIo non so se (juesto sparvieri la ti bontà mette di dilettarti d' uccllare: se contentissimo ne sono se tu per altri il volessi, ben ti ; ma voglio 188 che pregare In me :•. noi lolga per dallo a altri, che mi rendo cerio clie a ciascheduno il torresli per con- me. Non di meno cUi è imperò che il Ino volere voglio che mio sia. » Udite Giovanni queste parole, prestissimamente Io sparvieri li rendea e così disse: " Io farei grande villania a cedello a tuo, fanne tua voglia, tollo a te con Dio. vole', e » elli tro dire si ogni cosa li il dicea: per dallo a altri , e fatti Bonifazio pure dare gliel ricusando da partia ; lui sanza al- e ritrovato Alfonso li contava, e finalmente cosi » Signor mio, consideralo piacere che Bonifazio à dello spar- vieri, a me pare fare troppa grande non villania toglie' le; e gnor mio, che dirti. » so altro, si- Di tanto Alfonso grandissimo sdegno presone conlra Bonifazio, andandogli nuovi concelti per lo capo e prestamente da lui parsanza altro dire, se non la teun poco erolando, e gitone dove trovare Bonifazio pensava, e vagendolo che in pugno lo sparvieri titosi sta 189 preslainciile ;ivea, preso e sparvieri lo slrapandogliele s'acoslò; lui a sogliele per lo viso piedi pelli mano di più e perco- e volle, met- tendo poi mano a una coltellessa alcuna ferita in sul braccio gli dava, come credendogli la testa colpire che quella un poco inlaccasse, con pa, brutte role Ma sommamente e da isvilupparsi a villane. Bonifazio niente dicendo fé' andandone romore uno e dell' altro, così l' fu e lui a attese partirsi , suo ostello. e Il grande de' famigli del- stamente a coni' era seguitata li intanto che pre- oreclii del re ogni cosa pervenne qual cosa molto turbato della : comandò che Alfonso menato fosse da. lui ma fare non si potè per ragione che, connesso ; prestissimamente fuggenin mare, in sun una saettia verso Roma isconosciuto in abito di pelegrino se ne già. Il re il malificio, do e intralo turbalo per più e più di olir' a mo- do ne slette, e come Bonifazio domandalo slava i medici e saputo che , 190 sanza pericolo era, ralemperù un poco il suo turbare: e passato alcuno giorno, veduto Bonifazio le sue pla- dare molla doglia né essere gile nolli di periglio, diiiberò girne dalla pre- senza del faccia, con quello re , e così con quella fé' modo e gesto che per r arietro usato si era non parendo avere auto né danno né onta. Fu molto pregialo da' savi di tanlo , Bonifazio, non maraviglia di sanza ciascuno che questo vedea gularmenle tanto dicendo: » Come cui così a' re sta', rispuose sin- Bonifazio? • A Maestà Sacra » : ma ; molto piaque, bene, vegendo voi bene stare. • Il re li fece molte careze e prestamente lo mise nelle sue faccende sanza al- domandano E cosi si passò tempo, sondo più Bonifazio in tro di' gli. o. mai per grazia dello re che 1' arie- tro fosse, .\divenne che passato più d' uno anno e procacciaron che certi bironi trattarono il re ricevesse nella grazia Alfonso e che a lui per- donasse; la qual cosa con molla falicu fu iinpelralu e oltenul;i ; perchè perdonò dopo molle pregiare, lusinghe e somniessioni. E così tornò Alfonso in quella maniera che prima si stava. Passavasi la cosa alla fine il re li con più onestà che odio fingendo ciascheduno di loro mai quistione avere aùta, e singularmenle per lieta e buona faccia, dove la presenza del , re si era, Bonifazio appariva. Et così in tempo passando e pensando Bonifazio a sua abilità, adivenne un caso molto a lui atto e questo fu che il re ordinò una grandissima caccia là dove volle clie ciascuno gisse. E perchè Bonifazio sentì che di tempo ; Alfonso alla caccia per alcuna fac- cenda sopravenutagli non jìotè ire de' primi, aspettando, fatta la sua faccienda , poi alla caccia gire vegli che abile care le tempo sue onte a cavallo ; ; par- fosse a vendi- e presto montato cogli altri che collo re era- no e mostratosi per uno luogo sondo dapoi per una via lìorli, e andatone a tutti, istrelto, atraverso da lor si VJ-2 quasi da neuiio coperto montò una ili Dapoi luzo. in secreto entrava fonso stalla al is- pa- palazo per certo uscio e ; «postando clie delle scale passasse, quivi riposto era. Adivenne che, uscito ra sua Alfonso e giù scendendo , per lo le si came- scale solo fare ; e subilo sanza al- Bonifazio, dalli clie petto d' uno trafieri, Mortolo si per dalla avenne dove Bonifazio sacrelo aspettava tro dire Al- canto un poco buio certo in veduto, dirietro ucise. 1' e tiratolo nel canto al buio, ritornò per la via che fatta avca dove montalo a cavallo si compagnia che lasciala avea alla stalla, tornò alla apresso del re; e cosi secreta la cosa seguendo, mentre che la eaccia si fece tutto il giorno mostrandosi continuamente nella presenza del re Bonifazio, e preso il giorno grande piacere ciascuno, sendo la caccia mollo e fifelice e abondante di preda niendo il giorno e la caccia compiuta, a Palermo tornaro. E enlrnndo dentro , al palazo la molta gente, finalmculc 193 cadendo uno adosso a Alfonso dove morto si era, maravigliossi e disse: a Chi se' tu? Per cerio io il saprò » presolo e ; per tirava al lume. E veduto non sapieno isluppfalti che Finalmente tulio olir' a il o jìariendo. re fu narrato; di al modo gamba che dire mente fare, fuori di lor che la chi era, lutti turbato, in varii e ma nuovi concetti entrava, fuori nel tulio del suo pensiero era che Boni- imperò che fosse, slato fazio nuanienle li veduto. perchè non tro 11 parca sapere, diliberò conti- caccia averlo alla potendo si il editto che chi apalesasse al- re fare certo comellilori i dell' omicidio, avesse trecento oncie, e chi chi il desse morto, cinquecento, e vivo, n'avesse mille. Dapoi cosa s' per aquelò lo la tenipo sanza più d'Alfonso parlare. Adivenne che passalo più e più mesi che Bonifazio gravemente amalo, per mità che da e elli nientc tutti i grave sentendosi a Dio si si falla infer- medici fu isfidalo ; divotissima- botò, che se grazia 13 194 a facesse farlo sano, lui sepolcro visiterebbe. elli il santo E con questo concetto Bonifazio a mcgliorare cominciò, intanto che in tutto libero della grave infermità si vedea. Dilibero adunche il suo bolo impiere, volendo e chieggiendo licenza non ottenea d' avella, perchè mal volentieri il re da se il partiva. Alla fine pure chiegendola e dicendo « Monsignore piacciavi darmela, che per buona fé' a me pare non potere ben capitare se io il voto mio non emil re graziosamente gliel conpio " : , , cedette; e datogli certe conimessioui, brigava Bonifazio presto andare divozione. E deliberato a sua anzi eh' an- dasse aconciarsi dell' anima, confessarsi e comunicarsi, e sapìendo che Palermo era uno abate molto famoso di santa vita e buona dottrina, a lui n' andò; e a lui ogni suo peccato confessato, eccetto il nuilificio commesso in Alfonso, 1' asoluzione aula, in Bonifazio storcendosi fortemente e la- grime con cordiale dolore sos|)irando, 11)5 mollo l'abate fé' che tanto questo a dicea lui dire? a tradio che alli maravigliare, te : « in Che vuole adiviene il con- suole divenire; altri qui per certo giace altro. Se altro c'è, me no lo ceinrc, imperò che se nella confessione alcuna cosa tacessi, niente il varrebbe, e indarno sarebbe cos'i tuo voto volere aempiere: imperò che puramente confesso e contrito adunche 'se altro restasse che dello tu non avessi. « Bonifazio pur sospirando e piagnendo da lui partire si volea, e elli non lal'are si vuole. Di' sciandolo e , effeUuosamenle pregan- dolo presso a se il tenea. A cui Bonifazio così parlava: » Reverendo pa- dre carissimo, quale io dello io ò uno peccato, il non v'ò, né per certo mai deggio dire a uomo che viva; il perchè lasciatemi aiubirc. » A cui l'abate con grande riprensione li dicea: la " Figliuolo, io ti fò assapere che confessione è di necessità e è uno de' sacramenti e debbesi liberamante con contrizione fare , e quando non 196 morendo l'uomo f:icesse, si l'anim.i perde. E dicoti cosi, che ciò sua si ctie tu a me Dio di', a all'uomo, perchè lo di' e non tengo luogo d' Idlenendo questo luogo, tu 'I dei dio; e, io lil)eramenle dillo, imperò che ingannalo mai da Dio saresti. Oramai prendi buona confessione e contrie puoi E zione, e dillo a Dio.» allre dolcissime dillo. dosi così con molle parole della a a dirlo che eredea nello santità abate, e da lui indotto e confortato essendo, ddiberò fare quello che messer l'abbate volca talo ct)si a dir « inducea lo Bonifazio pur finalmente fidan- Da cominciò poi che voi dite, padre, che questo io a ; e confor- : reverendo Dio dico, e io confidandomi in lui e nella vostra santità, che mai quanto per me si dirà, ila persona che viva saputo a Vivine si lia. " certo e sicuro, che cosi sarà », messer l'abate riil farò — spuose. n)i Dio A cui confesso a vivo e Bonifazio dicea: te, " Io Cristo, figliuolo di vero, che io Alfonso 197 che cordialmente mi pento e dicone mia colpa e mia massima coluccisi, di ])a e così prego che perdonare e rimettere per salvare l'anima mia mi dobiale il pecato, e voi, padre, umil; mente vi priego, non secondo la colpa per la quale ogni male meriterei, ma secondo la vostra altorità e sapienza, penitenza la a me dare la vogliale. « Detto così tacelte. Messer l'abate forte il a ben tutto sua al suo signore l'amava. Dapoi confortatolo fare e datogli la l'asolvctte; e da partita [ìenitenza, ili saputo la lui certamente del gnente, partissi lietissimo da nifazio. l)er lo a' ma omicidio, a fare lo conturbare e misl'are clic tanta al quanto era riprese, mostrandogli non solamente Il diavolo cominciò capo a messer 1' a dì ve- lui Bo- entrare abate questo re |)alesare e lo tesoro toccare; e così fé': che la mattina vegnente in ne già, e parcon alcuno cubiculario, dicea che sul dì al palazo del re lalo cose di necessità della corona in contentamento solamente avea a' re a 198 parlare. ra le perchè presto nella came- Il dove messo re era fu il e fatto ; debile reverenze e veduto dal re volentieri, quanto di Bonif-izio aùlo avea li disse ramenlando , once promesse chi vivo a mille le il desse. re di tanto si turbò e maravigliò, rispondendo: » Puoi' essere questo? ". A cui rispondea: « Monsignor, sì certamente. " «Ora in buona ventura, messer 1' abate, state di costà dirietro a queste cortine - e mandalo per Bonifazio, elli presto vcgncndo, cosi « Tu se' per andare al seli dicea: polcro: fa che tu mi diclii anzi che Il ; quinci ti parti chi uccise , subrino .Mfonso. » E mio con- tosto Bonifazio mente questo udito olir' a modo, prima un poco , nella spalla ristringendosi, turbato nelle mostrando più dolore nel viso che spavento , a' re Monsignore, che dite voi? credete voi die se tanto avessi saputo sapessi che a voi prestarispondea : • , mente noto non fosse niente ne so re ». Il stalo? Ma io guardandolo con 199 piglio terribile gola; or dillo negandolo e 'per hi dicea. Bonifazio pure «, re dicendo; il uomo, gio Tu menti » : «Malva- tu fosti quello! »; e elli pure fermo con faccia dicea ferma non esser vero. '< Or no l'a' tu fessato a altri e detto ogni cosa? tera fu « rispuose. Veduto Bonifazio pertinacia sua, e così dicea: stui quanto « noi la re l'abate chiamava il Messere, dite a codicesti. " L'abbate me a voltosi a Bonifazio fazio, cliiedi cato », il Giamai da me tal maragionala -, pure con ferma re sogiugnea. faccia con- parlava; « Boni- misericordia del tuo pec- e non negallo, cliè sai che tu puoi, imperò che quanto a me monsignore non volere negare dicesti nella confessione, lo a re lui fallo il sa. quello che li è noto e chiaro; per tua onestà e non tardare. " Bonifazio, e « Si che all' abate rivolto conturba fierissima faccia, così Messcr presenza abate, se io l' della mostrerrei reale li non rispondea: fossi nella maestà come falsamente , io vi voi da 200 ogni vi partile, verili'i che sapele che mai a voi di simil malera parlai. L'abate umilmente a lui rispoudea " Figliuolo, de, non volere cotesti : modi tenere, anzi confessa come cato liarti e a me io (tanta è la clemenzia di che tu la umia chi non dubito, monsignor lo troverrai, e pur stando pertinace e duro inverso tuo pec- chieder misericordia dei; e cosi faccendo re), il facesti e vogli a dire, te infierire. il potrai fare Si che, figliuolo mio, non volere negare con danno quello che lu con utile celare non puoi. l' » Bonifazio che ipocrito le parole del- tutte stimava, e vegendo dilibcrò e negare non polca e voltosi al re cosi elesse morire dicea: " Monsignore, io d'ogni mate son degno e non merito misericordia da voi uè piatadc con tulio che io ve la chieggia. Troppa onta e isdegno che , ; , mi condusse a fare quanto ò né mai ne parlai confida' mi ; fallo, nella fama, nelle persuasioni e lusinghe di questo traditore, mostrandomi che 201 ciò che in confessione dicea Dio lo dicea, e io così a , a Dio lo dissi; à- mi iiigannato e tradito niisfacendo a ogni ragione umana e divina; e que- sono delle trame de' cherici. Piacciavi adunche falli ragione e justizia, dandogli quello che guadagnare pretende, e me peccatore degno d' ogni suplicio mi confesso. » Prestissimo per comandamento del re ste Bonifazio alla prigione strettissima fu menato; e soprastato alquanto in se, il suo tesorieri chiamare, venuto li comandò che mille once desse all'abate come promesso era; e così latto fu. Auto l'abate il tesoro, fece il re e il re così gli disse: quanto a » Messer 1' abate, voi piace fate del vostro te- mio sadisfatto, ove vi imperò che ò bisogno che con noi un poco soprastiate. > E mandato per l'arcivescovo e pel suo giustizieri, così dicea: « Andate e prendete qui messer l'abbate e abiate da lui quanto a me à detto; e fateli soro, e, debito piace datelo, ragione e giustizia per infino domane 202 a questa ora, notificandovi die se noi fate, a voi fare la l'arò. L'arcive- > scovo, questo udito, ebbe da lui a saputolo pieno ogni cosa e linalmente formatogli 1' si il abbate e seppe: e processo e mani digradatolo, nelle mise, mostrandoli e dicendo che quello liberamente giudicasse secondo che la ragione richiedea. il giustizieri, veduto e saputo del giustizieri lo ogni cosa, bricamente il in giudicò che fosse pusulla piaza di arostito; e cosi presente lutto di ferro in carboni 'I populo, in una rocca mezzo accesi Palermo mattina vegnente, la in Ira arostito due monti si fue. di Sep- pubricamente la cagione e biasimandol ciascuno dello inorme peccato avendosene poca pialade, ma con forte dubitando di Bonifazio grandissima piata aspettava la sua morte, considerato esser elli stalo chi Alfonso morto avea. Udilo ogni pesi , , madonna Tancia Tagliavia tanto da Bonifazio amala subilo la prese cosa , un cordiale dolore , dubitando della 203 Bonifazio, clie per grand e spa- sai lite di zio quasi Iramorlita stette. Il marito, che nicsserL(p;jo era chiamalo, buono savissimo cavaliere, non sappiendo e donde questo la venisse, dubitando del- sua vita e fattola stropiciare e con- meglio che prestamente poli medici che vedessono il riparo, grande dolore e maniconia ne prendea, imperò clic lei sommamente P amava. Dapoi in fortare tè, il mandando per se tornata la donna, rimanendo in forma che ralegrare non poliesi e confortata e domandala da messer Lippo che questo volesse dire slimolandola mollo, ella a parlare così cominciò: «Signore mio, perchè sempre con pura e ferma fede amato io v'ò sopr'a ogni creatura, come il de, , bito e la ragione vuole, e così ò ve- me avete fallo: io non mio concetto né mia passione. Piacciavi pigliarla con quella pura fede, con quello buono e laucon quella efi'czionc dabile amore duto che vi in lacerò , cordiale come voi da me l'avete, né -204 turbarvi di quanto dire intendo, cliè forse inconsiderato biasimare po- tresti: che, che più di .rete e non dubito tanto mi glorierete e ameauto la verità, esalterete. Io che, sentito cir ebbi vi il di Bonifazio Uberti, legrare e il venni in eflizione di cuore assapere fo doloroso caso mai mi potè' tanto come ra- dolore e E vedesti. questo maraviglia non paia, considerato che somma onestà, somma gentilezza, io Io somma coslumaleza e boutade senta tanto malvagiamente perire. chiamo per testimonio la somma verità, eh' elli è luiiai sei anni che io il conobbi, e che elli mente amala , me à somma- che mai né opera e né parole nò eziandio minimo alto o sembiante non laudabile verso di me à detto fatto, e non che fatto, ma certissima mi rendo che immaginalo non àe uè pensilo. frutto di tanto Il perchè io il amore li quale amore lauldabile rendea lui amando; il per mia onestà a lui mostrare la gione non lasciava. Né altro o ra- in 205 occulto jìalesc in da me ebbe, e di quello non dubito punto che in forse ne slava, veggendonii verso di lui r ultinno di come il primo portare. Ora, signor mio, io mi dilibero con ogni potere e sapere mostra' gli ch'io l'amo, in volervi slrignerc, per quello debito puro e sincero amore che due uno essere ci fa che vi piaccia vo, lervi afaticare nella sua salute, ricor- dandovi quanto a lui siete obrigato: imperò che nelle vostre bisogne onorevoli lauldabili e utili à fatto e sol- operato, molto più che mai aresti né di questo altro testimonio non aduco lecitamente voi medesimo che la vostra che (Quando fatto conscienza le ; e le parole faccende acorrieno a me diciavale. Vedete ornai dolcissimo mio signore, come me conten, tare potete, il vostro debito in be- neficio di Bonifazio operando. » E cosi Udito questo messer Lippo, maravigliandosi forte di quello che la taccile. donna detto avea e non meno della sua aldacia, conoscendo finalmente lei 206 essere onestissima e di grande ani- mo, diliberò non zi voiella turbare, an- modo che conforlalla e con più bel potesse traile del capo tanto ellìcace concetto. E cosi a lei dicea: « Co- stanza, quanto m'ùi dello delle virtù conosco molto più die non di' esser vero; e piacesse a Dio che io potessi di e onestà di Fazio, io chiaro tanto pericolo trarlo, che a grado a me non meno sarebbe che a te. Ma come lui per qual forma poss' io per operare considerato quanto era , r amore che monsignore io re al consobrino suo Alfonso portava? e Fazio pure l'à morto. Pensa adunche con che faccia parlare si può per sua salute? Io per me credo che, se ne parlassi, con pericolo di me e dis- grazia grande della corona, io sare' reprcso forle e cacciato. Omai adunvogli pensare il pericolo mio que tanto operando, e per Bonifazio forse più e mollo dannoso; non isloglicndo però, se tu altra via vedessi più laudabile e sicura, di farlo: che io per 207 me nulla vego. ci " Udito la donna quanto messer Lii)po dicea, e con- fortatasi molto della benigna risposta, una via a lui' in mio poter per Fazio ojìcrare di mente nella io , jiresta le tal vi guisa venne, e quella « Signor dicea: ringrazio sommamente della vostra benignità dimostrala ver- me in tanto avermi benigna- mente udita; e quanto dite di voi, so di giudico essere pericoloso, né altro ne dileggio che quello che voi stimo dite diliberiate. A me adunque pare, vogliendo più sicuramente procedere, che io in mio capo ne vada a ma- dama la reina, la quale non dubito che volentieri m' udirà e co' lei e per suo mezo mi gitterò a piò di , monsignor tanta che io re e per certo io ò speranza nella sua clemenzia, io ; credo gran dimanda jiarle della mia ottenere. Piacciavi adunque, dolcissimo signor mio, volermi ijue- concedere « Quando il cavaliere ebbe la donna udita e bene tritamente pensato e parendogli che sta via , 208 quella fosse la più laiid;ibile via meglio salvare altra in diliberando la conteiilarla clic fama di lei, così le ri- Donna mia, da poi eli' io spuose veggio che tu al tutto questa impresa " : vuoi pigliare, e glio assentire io liberamente lodo per tanto e sata ; fa lei vo- che ài pen- quanto l' è in la via piacere, pregando le quanto più stret- tamente posso, che tenghi maniera sì grave e prudente, che sia aconciamento del fatto e non guastainento della tua buona fama. " Ottenuto la donna dal marito licenza e aspettato tempo per girne a macompagnia di due damigelle con due oneste mapiù il dama abile reina, e preso la trone, dinanzi a sue piedi prestamente ne gìo madama somma e fatte le debite reverenze, la vedeva e « ; , reina volentieri conoscendola virtude, e presto 1' udiva donna le di dicea : Or che va caendo madonna Tancia Avete voi buone novelle ? Queè grande apiacerc che ci vcgnate a vedere. » A cui Tancia cosi mia ? sto m' '209 Madama, io non posso avere altro die buone novelle concedendomi la mia buona ventura clie io nelle mie adimande mi (movi a pie diceva: « , di tanta reina a chiedere quello eh' io intendo, e di quello che in niente du- per eerto tengo bito, anzi che altro contenta : si da' vostri è che piedi non mi deggio partire. » La reina per mano, e fattola istare prese piedi, e volle cui ella dicea sapere : = più avanti. la in A Madonna, quanto meriti grazia e misericordia la virtù, fermo amore auto alla real maestà d' un valoroso uomo npresso a clemente e benigno signore, dire non intendo; imperò che molto dicendo poco direi. Quanto ancora la malvagia fortuna s' atraversi, e sì per casi inoppinati come per cagione delle perverse e malvagie la fede, il perfetto e condizioni dell'uomini che tutto gior- no apariscono, non è mestiero di contare. Io vengo con grandissima fede a vostri piedi ferventemente esorando, che vi piaccia volermi consi14 210 glio per aiuto e la dare a polore operare salute di Fazio Uberli, la più fedele creatura che mai avesse o potesse avere la corona. Esaminisi l'ope- non come giovanetto ma come maturo e perfetto d' intendimento e re , , elli à fatte con quello ardore e eficacia come mai far si potesse per qualunque vivente. Esami- d' età, eh' nisi suoi costumi, i minisi al postutto la i suoi gesti; esa- sua gentilezza, sua in ogni cosa laudabile la vita, gra- amore, umanitade e piacevoleza a ogni persona; e vedrassi tanto uomo dovere essere amato, grazia, apresso dito e conservato. Onde acciò che non perisca, qui mi conduco, parendomi non meno essere tanta bontà obrigala alla sua onestà e al suo lau- temere di non perder la fama della mia pudicizia, la quale in essere e in nominanza ogni valorosa donna dee conservare. Sapete ancora madama, quanto anno forza li sdegni e l'onte, quanto anno forza le ingiurie e le violenze dabile e perfetto amore, che al 211 in fare mutare non che ma ardenti giovani lati gli animi de' canuti e amor- dunche diremo, vechi. Gilè delli se non die debbo il clementissimo prencipe ogni cosa considerare e non debbe per uno errore, fatto per espressa ca- gione d' onta, volere perire tanta virlude e laudabili operazioni? Ora ornai vedete, madama, quanto di bene operare potete per quello virtuoso, che conoscete essere tanto fedele creatura maestade. Io per alla reale di za vostra ciemenzia della mando. , cosi fìnìo. si reina valore E » lagrime la me piena lagrime e con grandissima speran- il vel raco- suo dire con molle Maravigliossi molto questo udito, pensando della scendola di giovane donna somma il conoonestade, parvele , d'animo di prudentissimo e magnanimo uomo che di coragiosa donna. Dapoi così le dicea « Madonna Tancia, io conosco quanto eh' avesse più : dite lutto esser vero perverso sono: in ; e del caso tanto fino all'anima doluta è materia mi che male parlare se 212 né puote, ma fede clic io vi porlo io giuro per la buona corona, che alla io dappoi che io udi' la cosa com'era proceduta, e non ci vedea via alcuna a potere per Bonifazio parlare. Ora, sendo voi per questa bisogna qui al presente venula, e io volentieri udendovi, e acciò che veggiale che io il vostro contentamento disidero, insieme prendendo forma e modo, piacemi che a monsignor lo re se n« parli. Onde confortatevi, che per certo sanza grazia dalla reale maestà noi mai ci partiremo. » Mentre che tali parole dicieno, sono stala In pensiero, madonna sopragiugnìa Lionardo speziale, di ma la reina Lisa, figliuola la quale mada- sommamente amava e si- milcmentc il re, e bene in molte cose l'amore l'avieno dimostrato, ma singularmente d' avella maritata a uno gran gentile uomo, barone del re, e fattole dota di tando ve : il più terre; e più por- re per sua divisa (juesto brie- Pietro cavaliere di Lisa. do madama , a' piò a lei E vegen- si gittava, 213 dicendo: " M;id:iiii;i udito clie ebbi doloroso caso di Bonifnzio sendo il alle mie castella, sono venuta sanza , indugio dinanzi alla vostra presenza per volervi il valoroso giovane e mio parente racomandare, sì che non fi- tanto dolorosamente sua vita; nisca che sapete quanta fede sempre à portato alla reale maestade e singular- mente reina sì a voi, madama. dall'una e » dolcemente pregare, lei tenera dolceza nel cuore, allo scampo Udendosi di Bonifazio mosse una clic altro io e che pensare non potea; e a loro così parlava: pare per più la dall'altra giovane « A me avere, che prima utilità Tancia ne giamo a sapere quanto avere possiamo da monsignore lo re, e quello accetteremo; e se alcuna co- mancasse, voi. Lisa, quella poi > E questo consiglio parve a ciascuna essere utile e buono; e ne giro dinanzi presa comoda ora e fatte le debite alla reale maeslàe reverenze, il re con lietissima faccia le vide, dicendo: < Or che va caendo sa chiederete. , ; 214 madama la reina con Tancia, non meno valorosa che bella? « A cui prima » Monsignore, la piala la reina dlcea di Tancia e non d'altri dinanzi a' pie vostri ci mena, sperando con fermissima fede elle contente ci partiremo. Piaccia alla vostra clemenza volere Tancia consolalla di sua caritativa dimanda »; e voltasi a lei dicendo: « Or dite quello che da monsignore io re volete. » Il re, che con sommo piacere raguordava la giovane donna, : a lei così dicea: " Tancia, è bisogno torre mczana madama la me tra elli di e voi reina? dite quello che a la buona fé volencompiaceremo. » Udito questa voi piace, che per tieri larga vi e graziosa crebbe speranza proferta e più , a Tancia ardire, e così cominciò « La gloriosa vostra eiemcnzia colla somma pialadc, illustrissimo principe, dà piena baldanza a me, umile e semplicissima creatura, con ferma e reverente faccia a parlare e tanta reale e inaudita mansuetudine pregare e umilmente esortare, : 215 sperando non partirmi da' piedi delia vostra niaestade se non sommamente contenta. Il perchè se io, fedelissima serva, troppa licenza prendessi, piac- per la somma vostra benignità con vostra pace a me perdonare. ciavi e Monsignore lo re, io ò sempre udito che nulla virtù è tanto graziosa et lauldabile nella reale maestà e uni- quanto mansuetudine e piatate. E questo bene merito imperò che r una rafrena l'impeto e lo 'nceiido del sangue intorno al cuore, perchè dall' ira 1' uomo si diparte e può allora dirittamente con ogni benignità versalmente è la in ogni giudicio, divina , giudicare; l'altra, cioè ogni nostra pensare, stizia fa si la piatate, fa umanità considerare e che ogni rigidezza di giu- fuggire e partire; conside- rando ancora l'onte, la violenza e ingiurie 1' animo generoso avere riceùte, e come la nostra umanità puote quella sanza vendetta passare, cono- scendo quella figliuola della giustizia: perchè piatate nel buono e giusto 216 giudice secondo sommamente scriUa la laudata, leggie è ma mollo ma- giormenle ne' prencipi che sono sopra le leggi e danno le leggi. Grande adunche, anzi grandissima isperanza, gloriosissimo prencipe, mi tira e muove, consideralo nella vostra real maestà tutte queste cose per natura, arte, uso e abito sono: si che impossibile sarebbe per voi iudicio dare se non con somma mansuetudine e pialate. Omai tutto questo conoscendo, buona io ò vita al l'accia meno ardire chiedervi la del vostro tanto fedele corona Bonifazio Uberli, per lo potuto credere arci che mossa avesse a fare quanto ve- alla qua! giamai me dete, ma per cagione debita e neceset questo saria a fare son costretta: si è che, sommamente male parendo che tanta leza, tanta onestà a me virtù, tanta genti, jiiacevoleza e co- stume, tanta al postutto fede sincera alla reale maestà, vedessi sì malamente perire più tosto per cagione delle perverse condizioni d'altri che 217 sua, mi sono mossa non il a quanto vedete, sospetto del parlare delle genti la mia buona e sinmio signore e marito porto temendo o curando. Il per- ignoranti contro cera fede che io dio, al gloriosissimo prencipe, piaccia t) alla vostra clemenzia piacere a madama medesimo desidera fedelissima stra Bonifazio di te uno in la com- eh' io, e alla vo- anelila , atto reina, che quel con della gloria saluinisti- mabile e per etterno della vostra reale maestà sadisfaccendo a ogni ragione umana e divina. > E così finito il suo dire piedi a gnendo: » del re si gitlò sogiu- Mai partire non mi deggio di quinci sanza ripigliando evidentissima grazia, graziose le parole dalla vostra altezza a noi dette, che volen». Udito quegrandissima maraviglia del parlare della giovane donna, parendo a lui non meno miracoloso tieri sto il il volavate piacerci re, prese suo gesto con tanta gravità, umiltà e piata, che'l suo prudentissimo dire; e mosso da somma mansuetudine 218 quanto la giovane domandava volerlo fare. Poi cosi le diesa » Dama, mai arei pensalo potere esser slato rivolto di mio partilo clic diliberò : pensato Ora avea di Bonifazio prometto per io vi rona, che tanla disporre. nostra co- vostro parlare è stato di il virlude efficacia e avendo rispetto posso, la eh' io , non vostra alla piatade e valore, che a Bonifazio perdoni oltre nulli vita determinazione a pensiero. e la ogni mia Sì che ornai state su e per certo abbiate che della alla vita fia ragione il salvo, e per altra via suo luogo daremo. la giovane donna e clemenza del re rin- Rizossi in piede umilmente graziava mente da dama la la grazia della tanta lui riceùta. sì larga- Dapoi con ma- reina partita, dove Lisa al- trovaro; e ragio- tcndea, tutte e tre si nato, parve reina che per loro si alla sapesse quello che il re di Boni- fazio diliberava di fare, e saputolo, a quello la provedere reina in quel ; e cosi lo medesimo seppe dì da chi 519 col re diliberalo l'avca. Erasi dilibc- rato Bonifazio l'altro giorno fallo aba- cinare e lenello dapoi in prigione in un foncjo di torre con islenlo grande suo misero vivere. Gostanza e Lisa da madama questo udito, parendo nel quasi niente aver fatto, diliberaro in- sieme prestamente colla reina a' piedi di monsignore gittarsi lo re, che e Lisa chiedesse che questo non si fa- E così opera dierono sanza intervallo. Il re, vedendo costoro e 'maginando apresso a quello che era, anzi che prima alcuna cosa Lisa dicesse. cesse, cosi parlava : cramento per questa Io giuro e sa- « testa, che Boni- fia. Ora mai dichi Lisa e Tancia quanto a lop pare. > Lisa prestamente sendo a' suoi piedi cosi dicea: « Sacra maestà, con vostra pace io debbo pure apresso della vostra clemenza (jualche grazia portarne; io vi chieggio solamente fazio da noi giamai libero che Bonifazio d' alcun corpo diminuto non membro sia , e o di che da prigione oscura e terribile liberare lo 2-20 Questo piaccia concedermi vogliate. vostra pialade, però che conico a alla sacramento non vostro il suo dire finlo. amava, cosi le dicea troppo m' avete col isforzato , voi non vogliate più lare. » E » così : « Ora su, Lisa, vostro parlare madama Gostanza e conceduto sievi eè. re che Lisa mollo Il quanto di (ale chiedete malcr.i par- madama Udito questo ; e la reina, parve dovere potere Bonifazio liberare di tutto con una prudente a lei dimanda; e così al re cominciò a par« Monsignore lare lo re la vostra , : clemcnzia donne queste valorose a tutta graziosa e benigna, e cia- scheduna si stata è parte ; di e loro di grazia conlenta così ancora debbe a me divenire. Io grazia chieder vorrei, non a sacramento fatto per con vostra pace a me conceder volete; che altremenli essendo, niente direi. » Il re, raguardando be- misfaccendo voi, se nignamente la reina, non islimaiido quello volesse dire, così t Madama , chiedete , che le parlava : volentieri Allora faremo. il cosi ella dicea : voi volete Bonifazio Monsignore non essere liberato, e io ancora il piacciavi almeno tansimile voglio to di fare, che per servo col suo ave« , ; re a quale di (lueste dame più a voi pare, volerlo donare. E mie promesse dimaude da porròe. flnc cosi alle voi lietamente Udito « re il il brieve e arguto dire della reina, ebbe maraviglia; e soprastalo sopra se per tempo, esaminando seco ogni cosa, una mansuetudine lo strignea benigna- mente rispondere, parendogli male clie da se non contenta la Onde per questo rispondea: « Madama, io to vi la cui a a di voi tre più glio che a lui istia, si non piglia tutte me non elezione di concedersi se lei vo' fare quan- piace, eccetto clie, considerato quanto Bonifazio v' è obligalo, che io per sco reina par- grazioso a tisse. : a Ire cono- il perchè servo vo- veramente, che quella a cui secondo ragione dee per essere più obligato, die la grazia a voi conceduta non si 222 intenda esser data. > E cosi pose One suo dire. Udito questo madama la reina e Tancia e Lisa che 1' elegere convenia fare a Bonifazio con tal condi- a! , zione, tutte e tre insieme si ristret- cominciò così a parlare « Voi udite quanto monsignore lo re dice; e per tanto, acciò che non ci sia turbata la grazia a voi conceduta, mi pare da fare che prima io con sot lenne contratto vogli donare ogni mia ragione dove a voi piace, e così faccia la seconda, e ordinare che Bonifazio tutto si doni per servo alia terza, a cui queste ragioni concedute e questo fatto, non si potrà si fieno per alcuna maniera gavillare la grazia a voi, madama, con condizione conceduta donandosi a quella. « Parve questo consiglio buono, utile e sicuro, e così fero, determinando che dama Tancia fosse quella ch'avesse a pieno tero. Lisa : ; , ogni ragione dell'altre, e a cui Bonifazio donare si dovesse. 223 Venuto gli dap|)oi Bonifazio e eletto- da uno conte Jacomo tutto rone de' presente re, tre le e ba- dame, come la grazia conceduta era a madama la reina con condizione come e a lui slava la elezione d'elegersi per patrona et servo pa- resse esser avisandolo clii gli più obrigato delle tre a pieno a scuna operato nifazio, di farsi si quanto per di era stupefatto Bo- : raguardando ciascheduna lagrime, non ; cia- co' sapea che dire; e pa- rendogli sognare che dove morte là dolorosa aspettava, vedersi per quesalvare sta via ristrigncndosi nelle , sommamente spalle, Iddio ringrazian- do, e diliberazione fare non Madonna cosi sopraslava. la sapea e reina que- sto vegendocosl lì dicea: » Prendi sicuramente qui madonna Tancia e non errerai » sapere e cea: » ; e cosi fé'. Il crollando la re tulio volle testa cosi di- Veghisi di ragione se migliore elezione fare si dama sogiunse: sta elezione " polca. » Allora ma- Monsignore, niente si di que- dubita che non 224 ragionevole più ch'altra sia giusta e et tratto fuori i >; contratti delle ragioni donate per loro a dama Tancia , di Veduto questo il re, dello presto aviso delle donne grande amlrazione prendea, pensando non da loro ma da altri il provedimento tanto buono e suliito fosse venuto. Il perchè il volle sapere domandandone la reina, a cui ella come la tutto il cosa ita avisòe. re era, e chi presto pienamente dato avea , molto da lui consiglio disse. Fu pregiato lo ingegno su- dama bito di il gli Lisa, e poi così a loro Troppa t'orza à auto il vostro perfetto e buono amore collo ingegno e arte, che in me usalo avete. Ora rimanete in pace e da me con- dicea : « tentate d'ogni grazia che a sta avete. fazio E i> servo suo avere fu alla me richie- così liberamente Boni- conceduto con tutto gentile, vertudiosa e dama Tancia, andandone finalmente co' lei a sua magione, dove da messer Lippo con grande tenerezza e amore riceùto si lue. bella 225 Ora a cui da voi sapere vorrei ornai di queste tre donne Bonifazio è più obliguto, veduto e calcuiafo l'effezione, prudenzia la di tulle. " Udito questa novella, come che lunga' non paresse per la sua piacevoleza, ciascheduno in se s'arrecò a considerare conclusione che Fran- la cesco fatto aveva, domandando tre dame obligalo più; e considerando mo grado zione di a chi fosse quelle Bonifazio di e la il mansuetudine madama la reina , som- e affe- conside- rando il laudabile valore e perielio amore di dama Tancia, esaminando e islimando la sollecitudine e presto accorgimento di dama Lisa, non volieno così prestamente determinare; ma più tosto ripelieno prudenza, Bonifazio dando alle 1' uno ora l'altro donne il valore, la laudabile amore che a ora delle il portalo avieno , stelle ciascuna. commenE mentre che cosi slavano, Biagio che quello dì la cura avea dello aparechiare a tempi, cominciò così a parlare: 15 « \\e 22G verciuli iiudri e maestri, io considero che molle cose sono che ci avisano naturalmente di quello che dee avenirc, e non solamente a una cosa ma a più e a più. Mostranci le mulachie, quando la e eilono mattina sendo tempo bello, spenechiono e isvolazono, si de' piovere; insieme colie gra- che cidanti rano'diie, facendo ciascheduna di queste i segni evidenti per biso- lor mantenersi. gno del udire potete omai lo E ancora voi schiamazìo delti uccelli che in su questi alberi alber- gano, chiamando l'uno l'altro al tempo ordinalo come se aslrolaghi fossoro, non mancando d' ora, quanlun- turbo o chiaro tempo si faccia. che Il perchè a voi, maestro Riagio, singularmente dico, perchè astrologo e sommo filosol'o siete, che vi piaccia volere nelle operazioni per pelli uccelli non la lo tempo provcderc,chc nostra fama diminuita correndo necessarie, si eleggendo ellino le loro bisogne al tempo, e noi (pielle passare: perchè tempo è omai, che 1' aparcchio sia ; m cena in punto polrele vedere. E così il suo parlare finìo. (Iella » Parve a ciascuno, udito Biagio, dovere andarne a cena; ma prima (lilibcrò il proposto col suo consiglio dovere provedere per lo dì inloriio airaminest(r)agione vegnente il), e auto maestro Marsilio una la diede al Canbacchetta in mano cellieri così dicendo: « A noi piace che per la giornata di domane voi finalmente il , siate il proposto, e determinato i abiamo vostri consiglieri sia Angelica; e con tutto che giovinetta ella sia, noi speriamo che da lei altro che buono giudicio voi in lei non avere(te), imperò che vedete tanta buona istificanza, che ci dà sommo e buono giudicio dovere avere d'ogni cosa futura che per lei fare si potrà; e considerato compagnia che 'nsieme co' lei vi diamo, che è qui il nostro maestro Biagio. » E detto questo, leancora vati 1' altra su e dato loro l'acqua (I) Cod.: amineslagionc. alle mani. 228 e t;iloiie ;i cena al piacevole rezo apres- so alla fonte fu sanza intervallo, con- tinuaniente cantando sieme fatto la chi ne e le pulcelletle in- co" legiadrissinii garzonelli ; e cena con molti e molli giuosollazi, ciascuno a posare se già, e così felicemente fìniendo piacevole giorno. cr-^^a.^'O il LIBRO V. Dopo la venieno nolle requie i della dolcissimi passala rezi ; il perchè già tulle le freschissime frondi risonavano per li dolcissimi canti d'infiniti ugellelli e già si vedea , isfavillare il richissimo carro del co- glorioso niato e lascialo le compagnia Appollo. camere, alla la perchè Il preclarissima IVescliissinia e abon- e rinfrescalo e danle fonte ne già con divozione ne ricrealo ciascuno ; , girono alla cappella e quivi lemenlc la reveren- messa udieno. Da poi piacevole frescura lutti insieme alla pia- 230 tornare loro ijiie sedere e di molte in là , dove posti a ragionando cose esaltazione della tanto nostra glo- riosa cittade, finalmente domandando maestro Marsilio della sua orrigine, e dicendo die molto caro arebbe il di sapere donde l'orrigine de' Fio- venisse o discendesse, e se rentini realmente discese come da Romani comnnemente da ogni fiorentino sì alTermando mai scrittura di memoria o d'altorità degna averne vedala o sentita che quello dicesse il perchè sospettoso sì gli era, pensando questo essere stato fiuto per si dice, : nobilitare la patria e esaltare; di- cendo ancora avere veduto alcuna molle cronica fiorentina nella quale cose vane e non vere letto avea , il perchè mollo sospetto sigli era quello essere sialo: e questo così dello si volse al proposto dirizando a parlare e in ciavi , tal guisa dicendo: se grazioso si èe, luì •> il Piac- quanto è da dare fede volere dire, o far diro di tale malora, però che carissimo som- ?31 in;iincnlo ine a lin. » K cosi il suo parlare finio. Udito questo cendogli la proposto, e pia- il dimanda del maestro Mar- col suo consimatera da essere recitata più toslo dal maestro Luigi che da altri pcrcliè a lui si come silio, riiirigiipiidosi glio e parendogli la , , a buono li comandò die quanto ne storico e a perfetto oratore sentisse sperando che elli ne con tenterebbe ciascheduno pienamente Auto il comandamento il niae stro Luigi cosi a dire cominciò: (1) dicesse, 11 miei Padri reverendi, io ubi- derò a' vostri comandamenti, come che volentieri n' udirei più tosto che dirne, per molte cagioni, ma singularmente perchè non abbiamo storie altentiche che di ciò dichino. E certo se non ci fosse alcuna congettura io me ne assai evidente e chiara , tacerei e confesserei di largo niente saperne. (1) Ma , \)cr (che) chiaro essere nella iiriipne di l-irrn:c. 23-:) a me rorrigine fiorellini;! da Romani volentieri ne pare che stata sia , dirò. Parmi aduneiie venga al che anzi , io prencipio, connunierare più cose anlicliissime di che n'abiamoin inagior parte le reliquie quali (I); le cose non furono fabricate se non per grande [lotenzia e grandissimo spen- dio. E prineipaiemente dirò che tutto mase, di queilo ancora è ci dedicato e nomalo; cattolici gnendo ri- per li quale il fiorentini cristiani alla sincera nome nel si temjiio di Marte, cosi gentili da intero , ve- fede, fu sacralo del nostro protettore san Giovanni Batista (-.'). Vedesi questo tempio di singulare bcllcza e in for- ma di fabrica anticiiissiina al modo romano; e al mente raguardato e il costume quale pensato, Irilasi dicherà per ciascuno non che in ma tutta cristianità in essere giuItalia opera (I) Cod. releliquic. {•}) ili: ile' Del tempio di santo Giovanni, al tem- gentili tempio di Marte. 233 più iiotabilissinia e siiigulare. llaguardisi le colonne dentro clic sono vi uniforme, colli architravi di finissimi marmi soslenOnti con grandissima arte e ingegno tanta graveza tulle quanto sce e legiadro. pavimento più ampio il Raguardisi pareli sostenenti infra disi 1' il i pilastri colle una volta dentro 1' e altra. arciiiteltura Raguar- utile , lettevole e perpetua e soluta e in fetta ogni glorioso e , fabricati di fuori tritamente, e giudicherassi sopra volta di la egregiamente anditi colli sotto apari- è la volta, die di rendendo e di- per- felicissimo secolo. Ancora più olirà dicendo pure intorno alle cose magnifiche briche, non veggiamo noi e la chi le e pu- vestigia grandeza del teatro, dove giuoinsieme colle represenlazioni i i nostri anticlii cieno? (1) ferenzia nel gentilizio si fa- Cerio di sì, e di circunamplissima ciii questo ve: dere vuole, raguardi (1) Dei lenirò i niufjioie palagi de'Pe- ili l'iieiuc. 234 ruzi per infiiio a c;\s;i stendendosi quasi di Sanla Croce il alla pinza vedere si suo diametro dal pozo alt' An; puole Tolosini, di- i infino guillaia (juasi rlie si piaza alla itifino pre- non fondamenti detta durare. Ancora simileinente iiparisco'io i niai^nindii dello sjìettacolo stri dove giuochi eque- i faoènsi, che ancora fino al presente dì si luogo il dice il in- guar- dingo (1)? Questo eradi lungitudine Sacchetti per infino a san da casa i Piero Scheraggio vegonsi : mura- le ancora dove è ogi ilpadi mirabile lazo della mercatanzia Che diremo delle vestigia spendio. del Campidoglio (2), che ancora tutto glie e volte , — giorno si diniostrono mirabili fondamenti? Che diremo de'conihitti oltr'a modo maguifichi, fontane di i tutte le vive (juali monte Morello ricevìeno e su per archi co' molta magnificenza di muraglia ( I j (i) per ispazio di circa a Del guaiilimjo lettilo. Del canipìdnglio tla mercain reccliio. •235 otto miglia r aquii alla Che diremo dello ismalto (I) cièno.^ coiidii- cillà che ornava e puliva tutta la citade in belleza e in inundizia? (2) Di tutte, conchiudeiido dire non si predette le . cora appariscono cose an- riliquie le puote che , perchè dalli antichis- simi e ricchissimi fatte non Tossono e fabricale e edificate. Io lascio stare le si cose particulari di che tutto giorno vede 1' orrigine, e sopra ciò non distendo; ma bene considero la potenza di Toscana quanto ab antico ini fu inanzi che Roma edificata E come che molte sime fossero, delle quali di dodici ci nominanza è spressa , edificii né si alcuna di quelle vi si tanti stigie (1) (2) che quale è di- quale è no, ancora in |)iede, sfatta e né fosse. potentis- cittadi che mai vi magnidchi in né vevede , fossouo , Dell' aquidotlo dì Capaccio Dftto smalli) tielhi citili. eccetto , 23G che in Gliiusi (1) apiiriscono certe fa si reliquie del ancora che laberinlo, di per antichi autori memoria. Che, diremo diinche, verisimile ? (non) Certo altro dire più puotc, se non si Firenze essere stala principiata da ricchi e magnifici uomini e di potenza grandissima in tesoro, in t;iie persone e arme; slato, cosi che e vegnamo alle autori famosi più che ialina, e questo pruove aliltia (-21 sia delti lingua che vidoro ne' loro dì tanta gloriosa città essere posta e edificala. Mostra Saluslio, storico famosissimo, nel suo Catilinario come Siila dittatore puose coloni apresso di l'iesole, e come Mallio, uno molti sollecitava di quelli coloni contrada della di Toscana, imperò che disipato ogni desideravano novità. Aloro bene dunche chiaro essere dee, come coloni romani, disfatto I^iesole per la , (1) Sopra la riga, forse vini : di lii Val di Chiana. {}) Salvini supplisce : /» mano ilei Sal- 237 guerra sociale molle , per disfalle cillà vegnendo dipoi , colonie delli mani ne' furo, e sopra- immed ale campi fesulani ricchissimi, fecioro i ; , ollr'a modo divenire, e le molle dove sendo mirabili edifici, ponendo la ciltà gloriosa Arno intanto che per d' balla- le Roma per Jlario e ollenendo Siila, puose ollimi e forlissimi Ro- glie cilladinesche a e per Siila si guerra (jualc la in sul lilo edificare e facendo, parea loro beali sì ancora gloriandosi per possessioni e grande apa- ralo in convili e famiglia abondante: intanto che avendo dissipato le loro nuove prede, sustanze, desideravano convenia provocare e a volelli salvare Siila dallo inferno acciò eh' un altra li ricclii facesse. Di costoro gran parte seguitarono Calillina sperando nelle nuove rapine; e che quanto dello io v'ò buona e alieutica pruova ne faccia leghisi la seconda orazione di M. Tullio Cicerone con- volta , tro a Calillina, nella quale a cavalieri parlando romani, raconlundo le gc- , 238 nepazioni delle genti che segiiiUivano Calillina e che^^coiiiincia lerza ge- la nerazione, raconla quasi quanto di sopra detto ò, e molte altre condizioni. Il perchè concludendo, si vede essere da polenti spresso Florenze ricchi , ottimi e forti cittadini romani essere stala fondala, murat;i e ornata mirabili di e magnificili come che croniche sieno, li due ma edificii; e non altentiche ci per quanto dello ò per allori contemporani alla edi- ficazione e tanto famosi apresso a' la- pruova fermissima e chiara. Ora ornai io credo che basti a avere sad istallo a quanto lini , de' parervi questa comandalo m' è stato; tanto Jire vo- glio che piacesse a Dio che di Tito Livio, dove dee, non fossino specialmente parlare 1' opere di ciò in tutto perduto, e l'ultime deche, conìe mi credo; imperò che vegendosi, si legerebbe compiutamente ogni cosa. E questo a voi dello aver voglio in riprensione de' Latini, che tante opere più tosto divine che umane abin la- , sendo qiuisi sciiilt) in;iiicare dati al innrcido ozio e alla impasta e avarizia coiitaL^iosa traendo lulli , , iscernendo E studio e virtudc. , de- laudabile ogni bell'alido e cosi tacette. Udito quanto detto stalo era, ciascheduno lodava il dire verisimile molte truffe poco e apiovato, e belTando le e balure da alcuni pratichi e dotti anzi , cose (jaestc di crunicliisli ignorantissimi mostrando per , le non avere letteratura aùta, nò cognizione per conseqnente d'opere altentiche e notabili il perchè vennero a dire molte cose frivole e loro opere ; vane, foriiKindo voli da e suoi sogni deride- largamente bell'are. Ma nienlro che di vano, il ciò in tal maestro Biagio a dire cominmaniera Reverendo mae- materia ragiona- tal : .. stro, a (]uanto detto avete è da dare lede certamente per molte ma singularmente per l' cagioni aulloritade famosi e tanto preclari autori di si il perchè maso ne ; molto bene contento risono. Vero è che vau'czza 240 arei d' udire come questo nome rentia cominciò e venne, a me pare tanto il nome Flo- imperò che propio all'ef- grande maraviglia ne prendo e questo si è, che di quante città neuna ne giudico io mai vedessi tanto amena e fiorente averne veduta, non che questa avanzare. » cosi il maestro Biagio detto, tacette. A cui il maestro Luigi sanza intervallo ri< Maestro io lascerò slare spuose molte cose che si dicono intorno a ciò, non parendomi delle da alientiné eziandio parte di quelle vechi fetto, ctie : , I'^ , : , risimili da dotti mostrarsi cora perchè da è Plinio ciò , altore nella ; si an- sua Cosmografia non Flurenlia, ma Fluenlia mina. La qual cosa, tempo che Plinio e famosissimo, la no- considerando lì'ori, il quale fu il al leinpo di Traiano, il po molto bene pos- (1), sibile che per difetto sia stato ( lì è corrotto il Punii nel codice. quale delli fu do- scrittori vocabolo di I-'"io- •>4l renza dello Fluentia; e (iiicslo pensare mi la e arbitrare, che dopo lui Tolomeo, diiigentissimo in (ulte l'opere sue apresso ai greci e a' latini, e singularmcnte accurato nella sua geoglofia, ne' nomi e ne' siti, Fiorenza e non Fluenlia la nomina. E avendo Tolomeo trovato Plinio nomalla, Fluene essere tanto nitore tia, so a' rebbe. che il famoso apres- Latini, Flucntia nominata 1' a- Onde concludendo, a me pare nome usisitalo e cosi longevo dee essere dal principio imposto; e non una , ma molte ragioni a tanto credere mi tira, imperò che pochissime cittadi, vuoi dire politie, sono l'atte nella maniera di Fiorenza. Se l'uomo bene considera il principio dell' altre, si vedrà di chiaro da piccolo principio avere cominciato, e se pure da forza, non v'è suto il tesoro, state come in questa; onde se si viene bene esaminando, Fiorenza in suo principio fu di grandissima potenza d'uomini e d'a vere scorso -_ la sua posta, e furono lauti in brieve tran- magnificili ' ediIti 242 come ficii, E da chi tissimi dello ù disopra, edificali. da romani ? cilladini nelle , ballaglie , citimi e for- ricliissimi e da civili Siila onde d'animo grande tatore: valore, fecioro gloriosa principiando cillade, falli dite di tanto avendo per esem- cose romane, e quelle per loro gloria vogliendo avanzare. plo le II loro perchè gnendo mirabile e sì gloriosa ve- pochissimo tempo, fu possibile il caso dare nome alla potente cillade, il perchè Fiorenza della si èe, quasi posta a (1) prestissimamente in oltre a ogni fiorire natura di cosa. Puossi ancora arbitrare avere tratto il nome imperò per eh' la olii condizione del sito, è mollo ahondante e ubertoso di (lori e singularmente di gigli; il perchè, sendo in sulla ri- viera d' danza , Arno di possibile ciò è ipiindi essere nato, e (U Coil. f grande abonnome ancora l^'iorcn/a nomi- il 243 tempo dire non per sopra ciò nato avella. Altro ni' disfalto alle vostre ocorre lo se ; domande sa- io v'ò, molto contento ne sono; se no, imputisene la mancanza, delli scrittori e la ignoranza e almeno in parte, negligenza non che de' nostri passati, ma lingua latina. tutta di fine al presente Piaque verisimile a E pongo ». ciascuno dire del il piacevole e maestro Luigi, quello mollo commendando; e mentre ciie ciò facèno, cominciò a dire messer Giovanni in tale maniera: « Maestro quanto detto voi avete m' è mollo piaciuto, e non mi pare e , avere udito sogni come loro ignoranza scritto è verisimile (juanto detto stra la e è. si chiaro Ma una molti co' anno; anzi e autentico cosa con vo- pace da voi sapere vorrei: desolazione di Fiorenza fu se fatta da Attila o da chi, o se Attila' si piper Totile, o come? Imperò che istrane oppinioni io n' ò giìi udite. glia Piaciavi volerne vostra credenza nar- 244 rarne, elio (ìa di non dubito ciascuno udirne. maestro così piacere •> A graziosissiino ilea FINE cui ne il rispon- SPOGLIO F. MODI DI DIUF: ni NOTFAOLl NEL TESTO t la prima corrisponde Abilità [l, tempo 101. n Bonifazio denota il ( (') volume; alla pagina, e — 12 le delle arabe, seguenti alle idoneilà, opportunilà, circostanza idonea: a pensando a caso molto a sua ahilità lui , adivenne un alto *• (•) Per non allungar di troppo lo spoglio, abbiamo creduto far bene a non ammettervi quei multi idiotismi di pronunzia, quali senza arjci il dizionario non presentano di particolare che un lieve cambiamento di lettera, caratteristico del dialetto o della grafia propria delP autore; se non sono, come le più volte accade, chire una storpiatnra, o l'effetto di un lasso Pe^ci^ non ren-istriamo forme come p. metrica (I, 99, IH, 22} — di e., mano. aric- — aritmetica; mtffamaiico matematico; geoglofia, micoco(I, 99, 20) geografia, microcoBimoy probema I, 5, 3J £Ìmo, problema; cremente ( 1 , 105, 1 ) isprendienti 34, 5-6 ), mutripicarr ( 1 , 99, 9 ), miitiprìcare., ( 1 , ( — . 246 Accetto 11, 1S2, 20. > Bonifazio, che queslo desiderava, uinilmentc risposo: « Mon- signore , io non potrei né avere né pensare d' avere magior grazia che fare alla vostra maestà graziosa cosa n. rfcìeazione (I, 31, ult. ), — Il isetrntndo (II, 239,3) (I, 116, 21) clemente, ìsplendenti, moltiplicare, recreazionc, ischernendo, gruogo; grttoco modasta (I, 4, 18), sagreti , edioma {I, ermonia { 1 , 30, 1 e più volte 1, effeziont tralo (I, 2, 3], , fere- 120, 2; 153, 3), impilo (I, 112, 20), modesta, sepone (I, 112, 16-11; 121, 22) — armonia, affezione, faretraimpeto, siepone (aument. di siepe, Stor. stromente strumento; moAiolf. ; ( I, 6*7, 14 ) indulesta (I, 110, n) —molestia; indiis/ro segreti, idioma, to, — ) stria ; stanti — rifuggo (1, 113, 14) in (I, 18", 15-16) — — — rifugio; t» uno uno stante; n»» non ostante; dounque ( I, 37, ) dovunque; rietro (I, 203, ult. ), dirittro (1,201, 18-19), «riefio (per T arietro I, 164, 9; 174, 18; 191, 4; II, 9, 8; 85, 3 ecc.) e istante (lì, 4, 9 2) — adirielo (I, 192, 7). Ogni volta che il campamento o F omissione non mutava sostanzialmente la forma dì lettera della parola, e che quella rimaneva riconoscibile sotto la veste del dialetto, noi l'abbiamo lasciato senza spiegazione: ammettendo nello spoglio quelle le quali presentavano alcuna , formazione, o di senso speciale e voci soltanto difficoltà di non avvertito finora, o di modo dì dire insolito; quelle infine non registrate dai let^sicografi o , di uso piuttosto raro. , 247 re guai dò il ma credo, il con mollo dicca: e ne io Achìnea — 21 19-3, l, frane Io madonna accetlo fo Tancia Tagliavia tanto da n amala le acchinca », cliinea, , spagn. porlog liaquonce, ani. : facanea, spagn. moderno: liacanea. Acnorrere 122 pcnult.: II, m' acorre avvenire. » Accorrere «. Vili. .Malt. 2, La novella che — occorrere, 61 « Tarlendo dalle batlaglie falle per gì' Italiani nelli male strani paesi, ci accorre l'intestino dell' Isola di Cicilia 205, 18 (accorrere Accompagnato labili «. — \. ancora 11 occorrere). " con innumeaccompagnala •. 59, 24-5 I, donzelle Accompagnevole 11 S7 , , — ó sociabile. .Manca a" Vocab. Accorto, aggiunto a ventura: corta ventura Acquistare I, 8, 11-1-2 ali acquistando del Sacchelli nov. più olire Agliana Adietro « II, il — ID, 7. « ac- avanzar viaggio, ed attiva. in sign. nculr. remi facemmo 1, ». Inf. 90 al folle volo, lato « De' Sempre mancino »; fr. Ma per acquistare cammino verso il ponte 17: « ». 100, Z-i. Nota modo noi siamo adiciro e Dio il insolito: sa da chi » -24S — noi siamo lasciali adiclio da superali Adempiuta 12i, S: II. malura. 021. li, copia lOi, 17: « grandissima I, amonlali cavalli di — » 182. 19 per giuncalo. Bocc. I, Inlrod. 47, Filoc. Amontato : bene aeinpiula eli • a doversi inarilare Agiuncato i^cc. oUrepassati. , adobbali e ornali ricliissiirianiorilc , — • riunili accal- , cali?. Amortato 2-5, epil. di vecchio. II, 211, Manuz. regisira un solo esempio di senlac. so figuralo- Fr. » E 'n Ape, lape st.ni. II, <U, Il, Il ?• turalmenlc I, — Apropiare 9-10: nella è mele fare lo Apresentare "0 i qiianlo II, lapi; « Come na- lo studio di assegnare. 51, lauto vezzoso apropriaro «. in I, bene e gencrosissipoeti divini notava dedicare. I: lapa i 115, 6 delli per apprcsenlarsi. 5, luogo a Venere Salvini II. «. Sii, allribuirc, mamcnlc am- api: delli 120, 21 12 nelli lapi; Bui. Pur;;. XVIll, lapi 7, 1, 32: « 117. 7 uno ape; 120, Tod. s'è annegalo Desiderio le niorlato. margine del A. .M. coti. : . 2iU Argentiera II. 11. genloria ? J. vaso d' nrgrnlo (ai- 1 ÌUanuz. icgislia argentiera significazione di miniera o cava nella d' argenlo. Aspettabile II, . I, Ki^ 20 '2G, 2-i , — 7i, ; Il espeltaljilo ; insigne; riguardoviile, cmnc Boccaccio, Filoc. usa: spellalìile, pure noslro auiore In due II romanzo II. Attenente II. 19 2, t, uomini «spettabili spelabili cittadini <r I2S. I, l.ì passi del 7; 18.", II, Mancano congiunto. — 17 esempi o ». parente, del tre- cento. Attr;iversarsi la Wd, II, malvagia Attraversarsi verso , 19-20: quanto ancora fortuna — allraiersi s' reslare, essere avverso (V, lo a • tia- spoglio alla pa- rola: traverso); opporsi. Avenire !, !i, 9 • non credette che tanta terra Jlinos in sì picciolo tempo mai avenire potesse tanto devastata e diserta » (— divenire). vcdcsi tosto al miserabile B (— dalla divenire). 11, Itiu, Melissa 21-22: si ée. " » 9: uscito e giù per le avcnne dove Bo- nifazio sacrelo appellava I, » fine avenire 192. camera sua Alfonso scale solo scendendo, 1G8, 4: I, » ( - venire). Ma, perché una sola non piiole avenire a ì:>q conlenlaie ligio 11. Aviluppato Balura, 150, I, 559, II, conti ciascuno 9. presente del — avvenire ( li- che contenti). 14: epiteto di onde. Manca — Baìure a' Vocal). balia? (la Barba. Traile barbe llU, II, 25: noi i trovali fanciulli piccolini di sci aliiaiiio e cinque anni die favcllono unglieri,.. e i apena parlare avere troppo al buona memoria me mai non per barbe traile Bellegiare a . tempo non sanno nostro modo. E' deono nostrali di quel li, (i9, 8. Manca Bellegiare la spada BeBtialaccio gistra II, , a' io clic Vocab. Cioni : muoverla, vale pomposamente rotarla clic , credo aparallo ». ». 109, 19-20 Vocab. II re- besliaccia. : Bestieleggiare 11, 65,-21-2-2 - Bestialeggiare. Manca a' Vocab. Cioni: » É chiara la significazione di questo verbo, che sia per far cosa bestiale •. Bombare 2i: a 24, 98, II, voce fanciullesca Pataff. della vernaccia, ce alla testa quella — 5; Nov. ant. 9. tot. Buonaccorso ha vola la botte bevere. si di per far , bagnuoli messer Giovanni bombava •. : sanza -251 Caleffare II, 22 tì.'i, Uurlarc, beffare, 2t e conliaffare alcuno. Capocchio II, 112, i —scimunito, balordo, Mancano esempi usasi anche sostantivo. del trecento. Capochieria — ISO, 24-5 II, cosa da capocchio atto scimuni- , (aggine. Filic. Leti. Capellina 103, II, cappello, (di notte), dimin. 11 specie Saccliet. nov. 98: di Frane. berretta. di Va cercando d'un » fodero di cappellina vecchio bianco ». — 128, 15 Il, — cappuccio, o simile ornamento donnesco. Capo II, 207, 15: » in mio capo prio nome Frane. Sacchetti, nov. 1 detto, maestro in suo — 10 105, II, se li capo « » « Es- sopra ù ». lasca. Comperò un e legandogli stretti , mise nel carnajuolo ». Chiaragione Coltellessa di fogli di carniere, Frane. Saccb. nov. 165: quaderno a pro- 01 e 102: sendo Bonamico. del quale Carnejulo — i> a proprio conto. e carico, 11, I, 178, 189, 5 l'istesso collello 1 — che coltella «. Coltella più grande lama larga; coKellaccio. chiarigione. .Manca a' Vocab. Ctoni sorte degli d'arme ordinari : — , a a guisa di , Combattimento 100, 30 I, angoscin fìgiir. affanno. Comunicare 119. II, Hi e 20, con 10, -2. qualcliednno o qualche — cosa avere in coiciine, di coiiiune, esser psriccipe. a'Vocab. Leon .Manca in questo senso Ralt. .\ll)ci'(l. ogni Della Famil.: S'c'si dcl)ba ogni pensiero, forluna colf (uà cosa, ogni amico comunicare. Conclusivameate SO, II, T av* 6-7. .Manca verb. a' Vocab. Convenire (I I, Nola IO, tS-19. costruzione: la colle molle pirramide clic. convengon venire tutte cenere . vece di: »; in conviene che vengano. Copioso :H, II, 17: parali die ella • sia alla e copiosa a lui porre silenzo e da pienaraenlc rispondere Cripeato iri7, I, a .Minerva. ri! , — aggiunto clipeato, Manca elipcnio a' diziona- quali registrano faretrato i Son. 2i-25 u. (Pclr. 118 ecc.). clic è pure della desima formazione. Sari una di me- quelle parole, dircllamente allintc dal Ialino, come periisseijiie equo ed altre, nostro autore mento classico. . esoio le quali l' , esiimlare denotano influenza del , nel rinasci- 253 Cronichista esompi buon del Mancano cionisla. Manuz. socolo. cila IJorgliini. il Crudo — 9 'i.">Si, II, aggiunto a acquf 5 lljii I, dissime e crude aquo verno, ili ville slagione frìgi- « : Crucio epilelo » tempo o simili, , maggior rigoic del verno, della il slagione ecc. , tempo slagione , ecc. IVeddissima. CutrettoU liS. 11. gi-nere d" uccello, -ìO dello vnlgainicnle liiiUoiiiu. lai. mo- lacilla. Delirato manca Demostrativo sone Deridevole 11, (i'J, I. questo senso a' acccllazionc a" di ». per- Manca Vocab. 239, 16-17 manca — 'i Vocab. IS, 22, parlando a' Vocab. assemblea, convegno, col- lazione, lagionamenlo. del — digene- algido e demostrativo " : in II. in qiiesla Dieta 11, agg. a Ibiza Ibi, I, ralo, Mancano esempi Ircceiilo Dilatazione 11, ."<;. I(i nere, piolungare. - il iIKTerirc. Iratle- Manca a' Vocab. que- sto senso del soslanlivo. Vedi dilalare. Dilibero II. 101, n-6 —diliberalo. Vedi Manuz. Dilucidamente incnlc. I, 74, 22; l'.M, 7 — diiara- .Mancano esempi del Irecenlo , 254 Dilucido Dirizzatolo - lucido. ll-l'2 185, I, Ifi, ó: 11, dirizzalnio u e apresso ritto uno ivi sul in vasi d'aricnlo con quale erano molli Jlanca a' Voc — colui Divoto modo ant. 10, ult.). (Il, questa accettazione. in — 195, 4; 2-20, 19 II, avvenire. al quale si lia divozione I, io", Id: " invocando e ciascuno eleggendo divolo suo il propio iddio per avocalo »; « divolissimo »; De; 151, 1, 65, Il, tu, 110, Gir. — lóO, ri; Equo 1, • 13; effi'llo, 1, 109, 226,2 — <•. cffetlualmenle, 11 vocabolario Ma vivanda o torta erba; nel qual senso vi fani: erbata Ut. acquus. del trecento. per adicll. di erba sto luo^o vale _ me 129, 20: 17; — 101, 12. Cloni: « lo porla luogo veramente. Manca. 160, 4 e più volle 11, • Vedi Vit. S. •. Do, lasso a Iti. Mancano esempi Erbato 174, 13: e Ili, 8. I, Ilo. 14: 102, Effettuosamente con I, dell'eremo divotissimo Do prezio- allri pieni di sissimo vino B Credenza? Divenire ani. Riiil. 90. Giiilt. — manca vivanda o in que- fatta •. con Fan- torta fatta con erba. Vedi erbolato, crbolatuzzo. lai. I, 152, 18: 11209, pcnull. exorarc. Fanfani: « lai voce non ha Esorare — 255 cseinpj classici, ma avendoli r auloiilà suo da accell.irsi an- liRiivalo esovahile, è che il del Patrizi la clic scris-o ». Esondare IO, 7 - I, 'né esondare potesse racolosa eilladc come anche pxundare: lai. nessuna csundazionc ». di quello • die guastare luoghi della mi- i Manca Yocah. a' : Esundazione. Vedi esundare. Falcia 158, 9, idiotismo per falce. Manuz,: I, per forza di rima Morg. 27, falcia, " 06 K par che : tagli dell' Da ogni parie menando Feci II. ina, IO r.ioni di : sentimento Il ' falcia la di parola ecc. di ». modo me che questo molla somiglianza Ila maniera «. governare a'/ec! dire è: lasciati governare a feci. Filosofa o Lasciali erba del prato. coli' usala enunziare un defunto colla dicendo fu, il fu mio padre (?) II. .'iS, 22. .Mancano esempi del buon scroio. Forma I, Noliaino 12.'), i 10: u segucnli forma modi di dire: alla battaglia pren- diamo»; 125, 2,H-2G:'pralicand(r la /br«i« della animosa zuffa n; 100, 11:0 dierono fotyiia e modo che 'I grande >• , 250 glorioso escicilo si parlissc »; (urina a e quivi daiciiio vole glia del Paradiso rimanendo poliesi >; modo Forte (ii po- donna ralegrare non clic forma (prendere) Il " E cosi slando il ma cavalieri più e più mesi, la I: « disutili e la e ". 59, 22: 11, forma 21-2, dilclle- »; 49, nendo fortiia a molle spese dannose »; 2113, la-lS- 8, 5: 11, alla valoroso il forle, sua residenza, era alla villa di Car- rara ". Francare 11, li2, penull. -- assicurare : • sola- mente una cosa un poco mi Tranca, quella è la mia innocenza ». Franchigia P.ell. 11. 11)2,21 — e ardimento. Cuidoll- 5ì: "Di questo tale uomo fermo, coloro che sono grandi e gentili, hanno misericordia e pietà, e maggiormente vedono che per la elio per altra miseria che dica franchigia Frequentare I, 72, 17-18 — in lui ». spesseggiare, tornar spesso alle medesime operazioni. i\ov. ani. ICO, Hi; S. Giov. Crisosl. tS7. Frigione 11. I7ri. 10-11: fnifoii,- .Manca a" Vocali, (ioni prabito di confidenza : .. .• II, 97, 10. Trusonc, so- . 257 Gaglioffare GO 11, Manca IO. , verbo il a' Dizionarii Gatta. 10-11: CI, Il, galla non cavaliere a come molli , di e infami dolorosi per una minestra veggiamo spessissimo per conladino, farsi (?) a Cf. gallo lano; cervel di galla senno. non 134, I, 3, — genlile. genie — uomo di vil- poco « cavaliere superi, dell'ani, slaiiipa: gola -. ili Gentissimo Cloni Il (Guill. d'Arezzo, Danlc Maian., Frane. Barb., M. Gin.). — Gerbino I, 192, 8 nome di venlo mezzo Ginee II, dal punto di soffia ponenle e mezzodì. Ira 106, 11, Giornata Garbino, Libeccio, che 1-2: fra « nuove ginee 13-U - 66, battaglia: « (?) il di levare i! . della loro giornata Gittare la mal a' Gotta pietra II, di pietra. 12, — H-6 Manca 11 modo 12, 11, 1): a non vai né Modo nuovo, lombardismo? Zenone, il di dire Vocnb. ferro Piel. : » che Che può lnccarlo, né gotta che Fonte: » ( il golia Cf. «. però diamante ma non far Lami: ncgotla). Vale tanto né una gocciola, nulla. 17 258 Guernigione (V. 194, 14 — gucrnimcnlo guarni8: guernimenli ) I, l'J7, I, ; zione. Impasto 200, 2 11, 18, 17S. Imputare per. 221, 21 I, noD impuiandolo s : mia virlù, anzi per larghezza V. ». Ariosi. Fur. digiuno. - per suo dono e 223, I, impu- 11: tare a. Inavertente quale non bada, non cor- il non ri.'iponde, Incedere 101, I, parlando dell'a- 138 ult., II. — nianle atlcnzione. fa mancano esempi ull. del trecento. Infusione a" 28, I, — 20 . Manca inQuenza. Vocab. Ingaggiarsi 71, II, uienlo in si s' engager. a' Vocab. Intrigabile l, 19: ( ingaggiarsi pericolosa zuffa .Manca 162, 13 in per •, frane: questo senso — ìncslrieabile, in- clic non trigato. .Manca. Irremeabile sare, I, 9, da cui S — si per cui non può ripassi può tor- nare indietro, l'oliziano, Fav. Orf. 19. Isbulzonare .Ielle II, IGO, i — monete. Giov. guastare Vili. il conio 12, 96, I. 25.9 Iscappellato l'i, 11, maeslro Iscnrato I Termine ». 12; iO, , »; parile, D. Giov. Celi. leu. 25 nascere a eia vita sole il già scurala , Isgremito 12, ull. I, 1 — mire di caccia. 25, 17: I, virlule iscuratl . pelc- Talcone • iscappcllalo dal suo slrozieri grino e 3: « di loro scurare. di (.Sa): Comin- » della cristiana ». — isghermilo, da rilasciare, slaccare, sglier- conlrar. di ghermire. Ispezie 1, 'il, 21 delle cose mine Com. di ISS, ; 4: idea, immagine impresse nella menle; terfilosofla scolastica. Inf. — S. I, Vedi Oli. 13i, 22: ispezie — forma, apparenza, sembianza. Isquizzo 69, 8: far II, — isquìzzi zare, entrare a stento, 6. 55. — Sguizzare — presi i ; — lai. illabi, pesci di mano per similitudine Io Guizzare loro per difE- scappare che a ehi si — è l'acqua, penne o sira 1' tiene gli dice d! qua- lunque cosa che scappi o schizzi per sguiz- ingredi. Vedi Sen. ben. Varch. cililer fanno spada eolla vibrare la spada. Squizzire via. andar che fanno i — pesci prodotto dall'urto delle alette contro di essa; scuotersi, dimenarsi, vibrare e in questi significati si usa anche : a . mollo — Iransilivi. lìc' volili sguizzo a'Vocab. isquizzti Manca il ; Cioni invece di squizzi legge squilli e spicca K Vocab. non ha questa voce. 11 bensì Slreg. gli per squillare scagliare. : Ila Lasca Aveva una delta che squillava ' aguti cinquecento braccia discosta «. dunque Par che fare squilli debba intendersi per far finta di ferire •. Istare I, i'i 7: , l'uno isime per l'altro » - morte della V. Lasc. Gel. Iitorno 41, I. Istozzieri I, — (3 Si, l'2 mallevadore. istar IG: "J, Varch. Stor. i, Ambr. islormo, stormo. — corrotto da strozziere: concia quegli che custodisce e che rapina, di celli Cof. K, C; li. servono gli per ucla caccia. Largo. .Noliaino • i modi parlando largo rale II. ; di dire: — t 23: -2òl, largo niente saperne Latamente di I, pp- Latrabile II, 23-2Ì, Manca lato. 121, I, 159, liiurcalo. luito. is 81, 19 confesserei di • • r. 2G-I, avverb. Vocab. U- Coni. Par. i3, Laurato a' li. nel senso gene- atto a l.ilrare. Oli. fi!)i. , epiteto di pollo — Vedi Clivato, cripcato, tere- 261 Luitrato lol, I, Marobbio IS, 101, II, aggiunlo a virtmle. — l.i manibbio, l&t. ma- lubbiuin, specie d'erba. Ministero — 54, 18 I, mistero. Vedi Giovanni Gherardo, Trallalo ecc. ed di misleri .dei drammatttl nome il indubitabil- , mcnlc derivato da minislerium. Morto ull.: i't'ó. 1, liinangnn nioiti Motina, 92, II, noslri tulli e liligii s. finiti li: parte niofino del cielo quanto vale « il mento. Leggasi stellato, cielo firma- a proposito la nota al respetlivo passo del lesto. .Manca a'Vo- cab. un questa parola, termine clic noi crediamo Molino astrologico. ammutinamento senso di , nel ribellione , s'incontia nel Cinuzzi, scrittore sanese del secolo XVI. Mollare a' — 173, 21 1, molleggiare. Manca Vccab. Mulachia II, 226, 'J — lai. monedula. Otl. Par. 21, 474. Coni Munigione II, 21-22 120, provvisione, ciò che è — muniziono, necessario per vivere. Musicabile ((•r. II, 4, G: lalrabilo). « musicabili numeri Manca. » . 26-2 Notato Vedi 15. 29, I, usato Notato come Ovid. « attivo, É manifesta la delle notafe acque, qua- come una si senso nel 179: Pisi. mia usata via errata-corrige. la qui da molti calcata strada ».^ carri Odorìssliso simo, 1 20 31, , di odorosis- invece per isbaglio od inavver- forse scriveva un altro tenza di colui elle passo (I, 76, 18) l'autore adoperava una — Ottenere in ; terza forma: olorissimi Cori. termine in guerra vale di ambedue i enunzialo : senza che casi 2", i II, » ( cioè la vittoria l7/>, 11, — (1 ottenga « elli ) — , in obietto sia 1' fcioè la vittoria); II, 257, 5, do acqui- Si trova due volle dal nostro autore usato Palandra : combattendo, conquistare. stare " • ottenen- prevalendo. palandrana, palan- drane, gabbano. Togli.imo dal Fanfani seguente esempio: « Ks. L'hai visto il Uelli il che po' di oggi che è festa ? Pari i, 40, palio che '1 12 Al pari di tanta a' I, Vocab. l;i2 a è messa, paragone: al pari , s' » uno leggiadria, bellezza e ciclo mostra iscurato Pedissequa palandra • — di quello si " 5. latinismo. Manca 2G3 Perire TiO, 11, 11; 'Jl sarebbe qucsli nave la Perlucidare ? — 1,7; in signilic. attiv. far pelile. Fr. Giord. l'rcd. S. mallo, Or non o va a perir clic ». tSb, 13 I, — Manca dichiar,;re. a' Vocali. PerliTcido 57 ponuU. II, Pesciame Si, ; Manca. 15. Gn, G, furmato di pesce, II, come pollame — quanlilà di polli, genlame ile. Manca a'Vocab. Cioni: » cibo qualunque ordinario Peicione dolci pescioni » i e grossolano 19-20: » 99, II, Pestiferamente I, Modo • (?). deano essere e' di dire faceto. 75, 5. Manca a'Vocab. r avverbio. Petto 11, 17-18: CO, pedo ed fronte ; alle petto n dire: a — petto combattere (Giov. Piede II, Vili i pctlo a modi di a fronte a chccvhessia a 7. , fronte per 27. 7). 255, 18. rssere o stare in piede, non — il in piede il castello di quale era mollo forte città, verii . essere, intiero, Giov. Vili. i. 55. dislrullo. Essendo buoni, Polizia — stare vale ritrovarsi nel suo (I Cf. » petto pigliare a petto a stare a arrecarsi « slrollc repubblica, Manca in modo 1 Monleo. del go- tulle queste accetta- 564 nostro lesto: il è Vocnb. Ecco jU esempi a' zioiii dà '224, d'uno, o quello quello 9 clic ci • Quale zia più? •: di 13 i guastatore di reale poli- 2-2S, I, I, migliore regimcnto d'una polizia, il li; 1G7, II, • I lauldabilc e utile a ogni repiibrica e puli:ia »; 21 pochissime « II, 2il, citladi o vuoi dire politic t. Slanuz. cila Plutarco Opusc. morali il volgarizz. da iMarcello Giovane, i, 283. e spiega col quale si governa una amministrate Pollare 7, 2 ; Dillam. Portare Vedi Predotto 1, città, e comuni bisogne — 7-8 7, I, le Adriani < ordine : iscaturire. Bui. sono >. Inf. 20. S, Seguire. uS, 18 — dotto. Manca. Premettere I, 67, 22 — ( — preordinare): « la somma e prima cagione clic lutto istabile e fermo muove e discerne, causando e premeiiendo ogni opera de' mortali per universale bene e orna- mento nel della mondo »; sua giustizi» nel cielo e I, li5, 7: o quale ra- » gione mai questo prcmisse? » (~ sup- ponesse? qui evidentemente usalo nel senso I, di premessa, termine loico); 150, 12: I premellesse nesse; II. 85, ult : .1 e' vi - —antepo- piace che ii> •265 lìiCM (lei liiip e deliri iscoslarmi maesdo quanlo di ecc Aiislolile Pretendere ) — de' mortali li; a quel fine , pensò One ult. lui pretendeva fosse si era »; ogni cosa elle in ciascun per nulla in- > : si a bene pre- di come per purissimo caso avenulo fortuito « !13 I, iH, 5-6: I, uno a che 'n duslra avere in mira, tendere, animo, aspirare. tenda il invece di promct- per isbaglio tendo ? vuole (se non piut- » premettendo come tosto sia da spiegarsi scritto . uomo, premettendo non e io ubfdlre voglio, punto dell' filicilii II, 155, 8: parca li pre- tendesse danari ». Prevedimento Agost. Primieramente I, Il, n'.t. siiigularmenic — 19-2n 27, I, CD. 8 — piima , prevedere. il 15. principalmente, di tulio, prima- riamente. Procaccino II, IO dimun. di procaccio, 102, tabellarius. lai. Puchiozzo II, pucliiozzo 99, >< . 6: Modo « o citi Punga I, e un dolce di dire familiare e faceto. .Manca la parola a' Vocab. 170, 2i, differisce da battaglia: punga della ballaglia ' . « la Racozzarsi Reale — congiungursi, colie. — schietto, sincero, verace. 126, i II, 25 18, II, Tecbr. g. 2S, n. 2. Recato 108, 21 II. 191. recatosi « ; piede ritti in > Nola modo di dire. Reverenza 17i, 22: 1, e perchè • grandissima reverenza di grande come per Reza 1, la della era sua sua laudabile e santa la vita ». Vedi (livofo chi fama meritevole e scienza, citi per si nel senso di uno a ha divozione. si — 2 2-22, rezzo Si legge nel lesto ? oposlo a frescura. Ribugliare I, — 20 21 12, ributtare? cono adunche. Saturno avere solamente quattro esserne iscam- luì; pali, Ridotto ribugliandoli ecc «.^Jlanca. 20.5, I, 15: non ridotte a Ridurre ti 5, 1, nuove biade ancora i' terra Nola modo. >' 15: (ragioni) — addurre Ristorare a II, da II, lei 15: me i2i, 6: « mollo si più potesse •. ). 152. quello che per Ritemuto efficaci .. che altro per allri(ridurrt' ( Di- lìglluoli e tulli diviirall essere islali nìli da • aiili infl- il « ristorerò io errato si perchè riicmula si ùe h >. la (^nciulla era e di lei 367 con jiramlissirno slava (liiioic — « tementi' ? Accettazione insolila e senza esempi. allri Sacransentare — far 151,2; 219, 15-16 Mancano esempi a' Voc. II, giuianienlo. Saldissimo Scocca, IM, I, po ammiruzione. 67, 5-6 agg. a I, Raro nel senso flgur. — 21 sue sentilo spia: do- dapoi, » ". scocche o spie Manca. Scopatore lOn, II, d'uomini cie ritiramento, Ti divozione alla quali i una spe- dissero si : dal! al e disciplinavano e si percolevano con delle scope per mortilicarsi. Seguire lóH, 6: I, seguire sto • cosi , autore del — quanto " in usare prò bene potete Come casi suole allri in que- nostro il verbo semplice invece il composto: viene di conseguire. p. I, e. convietie 107 penult. seguendo (ove, per maggior chiarezza, abbiamo aggiunto nel lesto la preposi- il Salvini, zione die 22-3 20: in « e al venuta n si clie al cammino 2: • verbo mancava); « » — presente -- e« !, divenuta; ci 1, 149, 189, viene essere conviene ; Il , 106, De, non motteggiare di cose che portino • - importino. Vedi Cloni : » :c8 non moUcgiare Opposto a esempi di cose il' uso questo poesie nelle Gheraido, è quello composlo ove imporlanza. die , Giovanni di adoperar di il » molti iia di verbo >emplice avrebbe ba- il Vedi lo spoglio alia parola pre- stalo. tendere Seguito SO, 11, S: ad conlro seguilo Tare 23: cavallo) « sini- alcuno. Sinistrare H6, 11, strando indietro furiare (il si rivolgea nov. 12: Come u •. giunse, là Vale in- Frane. imperversare. , il Sacli. ronzino cominciò a tirare addietro ecc. Al- si berto accennandogli cotale alla trista, non lo polco mai andare; far ma comin- ciandosi a sinistrure. e Alberto aven- done grandissima paura, per lo migliore discese in terra ». Solativo IG6. 2: II, • io lascio slare sta Solitlo produce. II, « l' istesso al sole, cf. (ed. » Manca tot. ltì-17. L. I?att. guarda a" il Vocab. Cloni: luogo esposto , mezzogiorno • Fam. 5. Alberti. Dell. Booucci, voi. volere fruito a' Vocali. Manca che solatìo che il onesto che que- laudabile e solativo e 2., p. buono vino bisogna lib. 279): la « a costa r . « golitifi il , ove leggasi noia hi dul- r edilorc. Soluto 14 aggiunio a ar-chilelliira. -ióó, II, Soprastare - indugiare, (0: ' I, moria . -ilO, 7-.S; na, It; 7^; 20; li2, 215, 211; 1 :i — ») 18 40, II, 12 (sopraslalo Il Alcuna volla si alquanto sopra di se lido co' 4-5: poco Soramente volto risletle — 8 genuamente. Modo 7: » Sospirare e 179, II, o un dire scioccamenle insolilo. Vedi in- , I, 112, 194, 26: sospirare lagrime. 11 . 226-7 degli uccelli, del temporale si — spennacchiare, quando all'arrivo puliscono ed assellano penne. le Spunto 175, soro sparvieri. II, Spenechiarsi detto quale • 12, II, fare il la II, istelte, dicoa u; sopra se sanza et sopra trova usalo reggo un pronome personale: poi , sopraslalo in se); ( verbo diviso dalla preposizione, 2-?): « 44, ; 15; 138 1-27, •. 12; 155, 9-10; 184, 142, 21; 221, 201, lì'ì, impersonal.); us. ( I, sondo guari so- « » 107, 6; 201, 15-16; se dimiirare. lo spaivierc), I praslalo 1 , 85 , 25 : opposto a vale smunlo. Manuz. spunto smorto. pienissimo — , squallido , 270 Stretto — preciso. 19 2-2, I, La quale uini- » nitade e clemcnzia è utilissima mollo e laudabile alla vila poliiica principal- per la quale cosa a lui la fa menle madre (cioè Venere-, non polendo più pienamente ne più stretta cosa a lui , — dire che quella • 69, 18 " Alle strette: II, Questi due malli vedi che arecare i.Vedi quest'altro modo essere o mettersi alle strette stretta — esser ridotto , di dire: avere la gran peri- in air estremità, essere oppresso. colo, Strigare si a petto e alle slrelle vogliono a petto II, — 42, 10 lai. sviluppare. Vedi dar exiricare, sesto a cosa imbrogliala , aggiustarla srjVìijj/jrtisf II, 15, 12, 14 e 24. Stupefattivo 11,71, 21-22. Volg. gliono — di Templare (1, I, II, buon ora. IO)' ora tcnipeitira « temprare, « temperare tendo ricchissime raggi del sole e rompere «. Notiamo GS, li " .llanca. - 31, ó I.S2, e teniplare 1, 10: 7G, porpuree per Tempo. Vo- ecc. col sale Tempestivo Jless. u slupefatlivc, le fregagioni cose ló-U: seguenti i " modi per tempii » di dire: — solle- 27i preslamenle, cilameiile, (Peli', loslo 175); o: a buon ora, di buon ora son. (Bocc. nov, 65, 9); o tempo — » II, talora; 2, 6-7 5, II, una compagnia nare ra/ora <t : i ragu- " : di singularis- simi, famosi e chiarissimi uomini, quan. tempo mondo to per in questo tempo, allora; lo a! dovuto, come per (1 paria Fanf.'; prefisso. lo tempo al 20, 2-3: Il, tempo uno mentecatto 153, pcnu!!.: II, »; e 9,: « S, — pilone al tempo a tavola s — fosse n si II, e ciascuno « tempo frutto fare si dee II, )82, per tempo, sollecilamontc ? ragio» 24 e così per lo tempo per lo : ; i : naraenli finito (per 2(1 — » per allora tempo); 221, lo ; 193, (per 11 tempo). Tentennare II, U5, 22: nel senso attivo — dimenare, agitare. Terra II, 66, II: mostrarsi veramenle. farsi di Intona terra " animoso più .Manca. .Manuzzi è Non dice di persona soda, e da non la- sciarsi indurre concorrere Manca dire. a' a far negli cosi di leggieri — • ; — s' da por vigne, essere terra, o terreno si non che , l'altrui altrui e senza Vocab. voglie, senlimenli, molla ragione. questo modo di 272 Tomo IVI, II, tomi scliiavoncsclii « 1: » — capitomboli a uso di Scliiavonia. Torcifeocio II 99 , 7-8 , sliumcnlo preme Torto di « ; cbro com' un modo. Torcifcccio loicifoccio ». Nola panno lino col quale , si feccia. la 123, 12 aggiunto a luce: « a (orla I. luce guardava « .— bieco, slorlo, travolto.' Trafficare II, tare: >i pecunia . — 161, «3 Veduto si niancRgiarc che , trat- come abiamo la IratTìca. » Cavale, frutt. ling meno per cagione Niente di : di traOì- care della pecunia, percliè era dispensatole del Signore, cadde si laidamente, che per pecunia tradì Cristo i. Trarre di punta e di taglio 11, 09, 9-in: termine di sclierma. Trasvalicamento — Traverso I. 8, '2 (« onde bili I, 3, ()oi;er'se, •); I, • l.ì ): 11, ( • traverse SO, 20 (• Ira- lui facca i). 157, ult.; IGG, 21 - tremoto, tremolante. Tremolo : contradie e terri- 150, I, eaviluppate onde verse risposte a Tremolato — travalicamenlo. Il avvei-so, aspro, incomportabile aggiunto a signorie I, 25, li. 273 Trillare (1 penult. (la lancia). Cioni: 68, 11, V sia per iscuoter asla brandirla , (Soder. Coli. 78). Fanfani: i. « Muovere. dimenare un corpo qualunque con grandissima velocilà Trottiero, a zoppe Frigia a' l'achinee » di Manca e trolliere «. Vocah. Trugliardo — 24 107, 11, truUare di i. 192, 22-23: I, trullardo ? da Trullo, vale persona sciocca e poco senno; trullerie — gini, scliioccberic. — minchionag- Manca. Venire Vedi Seguire. Ventillare ic col nome n Itirn ; 41 , colla 91, 15 < il ; buona venfanciullo buona ventura sciando con 11-12: «; I, di Intona ventura Or 11 II, Manca. 90, I, buona ventura nome 1-2 12, Ventare. di dire: di 12-13 « nel II, — 186, 19 1, Ventura. Nola modi »; II, la. 47, 19-20 » con piacevole e graziosa ven- tura i> ; II, 98, 11-12 • Ora colla buona ventura »; II, 110, li andate mala ventura •; 198, 10. co//a Villico Soslant. manca a' abitacoli pio I, 1G9, 14; 171, 4; l'adjett. Vocab.: • ; 155, I, 137, 2 : " 12: « villici villico tem- n. 18 274 Viiio 53, 11, 16: « sendo la madre grossa, di lepre ebbe vizio. » Nota Ulivato I, IG9 3; cpitelo modo. di Slincrva. Vrdi cripealo, fereirato e laurato. Zufolone 1, t86, li — rischio, lai sibilus qui parlando dol vento che soffia. NOTA »-"HE sr LEGGONO PER ENTRO A QUCST" OPERA Ximella dei Maestro Scotto, Vol.'ì." Pag. 180 — di Messer Marsilio rara, — — — Voi. 3.» da Car. . " . 60 n 96 » lOll ....> 123 . . di Multio del Sonaglino . . . — d'Alessandro; di — di Catenina e di Filippello — di Rice iarda 38 » di Messer Dolcibene Madoana Barile " 135 « 175 Francesco Musico; di Bonifazio Uberli . . OI^TJSOOLI PROSSIMA PUBBLICASIONE DI -^s \tacloTiiia XIV Il , Lionessa, a^jgivintovi C'autai-e inedito del una Novella T^-iracliso degli Alberti, Ritrovi naiueiiti del UT t?sto 1389 di e Ragio- Giovanni da Prato. (Parte ). Libro degli Ordinamenti di S. Sec. Pecorone. del Maria del Carmino de la Compagnia scritto nel -€8§^ 1280. >lVVI80 Il sottoscritto egli abbia testé si fa un pregio ili avvertire, come una nuova collezione in- impresa Biblioteca economica per uso della studiosa gioventù; nella quile avranno titolata: luogo costautcraonte Opere ogni secolo. di classici scrittori di L' edizione, commujue economica, sarà nitida e convenevole e a discretissiuiu prezzo ogni volume potrà acquistarsi separatamente. È di già pubblicato per primo la Storia Kio; reutina di Hìcordano e GiucJicfto 3Inlcspìiii, cu- rata dal prof, t'rescentino Uiaiiiiini. L. 2. GAETANO ROMAGNOLI I novellieri italiani in versi indicati e da Gioambattista Passano. - Questa importante Bibliografia è in corso di stampa quasi nelr egual carta forma e caratteri dei Novcìlin-i in prosa dello stesso autore. Se ne tireranno non molti esemplari, perciò chi descritti , , desidera associarsi si diriga al sottoscritto libraio editore. GAETANO ROMAGNOLI ^- \Y-"-'i^ j f^fjj :^ ^ - University of Toronto Library DO NOT REMOVE THE CARD FROM THIS POCKET Acme Library Card Pocket Under Pat. "Rcf. Index File" Made by LIBRARY BUREAU ^%' m ^: '^\^ >^