Il Paradiso degli Alberti, ritrovi e ragionamenti del 1389, romanzo

Transcript

Il Paradiso degli Alberti, ritrovi e ragionamenti del 1389, romanzo
,
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1
IL
PARADISO
^EOLI ALBERTI
A\^V
;
IL
PARADISO
DEIiLI Al.KRHTI
RITROVI E RAGIONAMENTI DEL 1389
ROM^VNZO
idl,GIOV ANNIDA prato!
dai codice autoj^ratu e
auoaima
della liic-f-urdiaua
A CURA
_
DI
ALESSANDRO WESSELOFSKY
VoIuiTie T'erz^>
Tetto
— ne*—
I
I
.-
BOLOGNA'
PRliSSo
GAETANO
ItOMAGNliLl
MDCCCLX VI I.
^^<^
Edizione
di
soli
202 esemplari
ordinatamente numerati.
N".
\\>-^\:\
Ti|iMKriili:>
103
LIBRO IH
Pci'cliè
inimiciindo
luiii
s'
à
lìPocesso
in
sul
slvenie adivieiie che coi
piaceri aùli traili amici
meno
del
fatto,
consolazione nel
di
tempo che
con
ciò
si
sia
sia stato
cosa che
bene che più comune è, sanza
dubbio più divino si dimostra: onde,
o cordialissimi amici miei, di quanto
ndilo avete da tanti prcclarissimi pa(]uel
dri dello e ragionalo, a
me somma-
mente ingrato sulo essere mi parrebbe, si per la buona memoria di tanti
uomini
si
per avere
magninchi giocondi e maestrevoli esempli, avendo
sanza con voi comunicargli taciuto.
Il
perchè de vogliale, riguardando
spcilabili
,
voi ricreati de' loro
e
,
2
le predelle cose non secondo
mio non isquisilo islile, ma secondo il loro pronunziare e narrare,
lultc
il
giudicare.
(J
quanto è
potere discrivere
forte
laborioso
il
e
loro divino
gesto, l'argute sentenzie e talora a
piacevolissimi motti
colla
tempo
i
,
miracolosa pronunziazione, delli uomini di tanta autoriladc e gravezza!
Comprenda adunche
il
vostro divino
intelletto e suplisea a quello, clic
debile
ingegno mio non
buona
rciiu)
la
e
il
la
;
nostra matera.
Saputosi
come
il
le
e così faccendo
ferma speranza segui-
forze, averlo scusato
con
aule
à
per alcuno della
cosa era adivenuta
tornare
da' santissimi
spetabili cittadini, e
sì
città
si
per
luoghi
ancora per
tornata di Biagio e di Malio,
festa e sollazzo alla
,
gli
la
comune
cittade, e ripe-
quanto s'era detto e fallo a
Poppi, mise in animo ad alcuno volere ragunarc in qualche luogo più
piacevole e alto una compagnia di
tcndi)
sintrularissimi
famosi
e
cliiarissimi
3
uomini, quaulo per
do
si
fosse,
i
lu
tempo
quali nella nostra glo-
riosa città in quelli tempi
chi per
uno
fine e chi
uficiali
iMarsilio
altro.
Era
maestri
li
de nostro studio Maestro
da santa Sofia Padovano,
uomo
fisico di
trina,
non solamente
sua medicina,
rali
riirovaro
si
per un
slato chiamato e eletto per
e
mon-
al
mirabile s'cienza e dot-
ma
nella
prmcipale
in tutte l'arti
libe-
sanza dubbio meritevolmente glo-
Similemenle ancora
ci era maestro Biagio da Parma, universal filosofo e merioso
e famoso.
per simile
lamatico
età
modo
più
che altro
avesse. Eraci
si
il
che
divino
quella
intel-
famoso maestro Luigi, teologo sommo e predaletto del
rissimo
nostro
oratore
di
,
a
le
cui
laude di
mare della eloDemostane e Cicerone.
bisogno sarebbe
queiizia
tanto
lo
e famoso
maestro Grazia, non meno d'ingegno divino che
umano. Fioriva ancora in que' tempo
Francesco dalli Orfani musico tee-
Kraci
ancora
il
preclaro
leolago e metamatico
l
rico e piMlico
mostrò
minbil cosa
,
qnnsi
cieco
quale
il
tli
mostrava
proporzioni
solilissime
le
si
divino, che
tallio intellcllo
ogni parte più astratta
il)
a ridirp:
niitivilà
;i
de' suol
musicabili numeri, e quelle con tanta
organo
suo
dolcezza col
praticava
ciré cosa non credibile pure a udilla.
E non
questo ehi con ogni
istante
e filosofo ciò dispulando
artista
tanto della sua musica
l'arti liberali,
in
e
perchè
ma
,
in
non
tulle
di tulle quelle
buona parte erudito si n'era.
Fue adunche in questo l'elicissinio
grazioso anno la città molto di feste
e di letizia gioconda:
dini
i
l'amosi cilla-
governalori di tanta
republica
lietissimi e contenti nella jiace sicura;
I
ottimo temporale avje-
mercalanli
110
;
perchè
artefici
li
e
niiiiula
la
gente sanza spese o gravezza, sendo
convenevolmente l'anno abbondante,
MI
questa
tirri
dere
felicità si vedieiio, e
ciascheduno
SI
trovava
viti, inagnilìci
,
a
volon-
festeggiare e go-
facevasi molli con-
e spesso. In
fra' quali
pi;i(]iie
padre carissimo Coluceio
;il
cancellieri avere
iu(-;lro
Ilare
con
kilti
i
buona
seco
a disi-
e dimeslica
letizia
con più
sopradelti nomali
più medici e artisti e altri notabili
E venuto
tadini.'
il
e
cit-
di diputato,
ri-
ceùti lielissiinamente e in molta abon-
danza
di
splendide vivande
grande
pia
ciuido die
inoltissinic
il
cominciò
lieto
;iùlo
sonale e cantale
fi-
"Quanto
della
io v'alibia a
cortesia
e piacere
da voi, io né saprei uè potrei;
tanto ricordare
piacere
sia
vi
voglio che a voi
qui questa sera
cenare,
imperò che costumo fiorentino
in
,
desinare, Coluccio cosi
a dire:
ringraziare
in co-
lempo chiedeva, dopo
'I
crmonie da Francesco con
sua compaiinìa
nendo
e
preziosissimi vini, se-
di
si
èe
questi tempi cosi fare, e a noi con-
viene questo costume seguire e servare; imperò che buona consueludi-
nc e prescritta sia in luogo di fermissima Icggie <. Piaque a ciascuno
dovere fare, sperando quel
(jiiello
di con grandissima consolazione nas-
6
sare; e
dopo
mille belli ragionatncnli
lietissimi ciascuno a suo alloiiianieiilo
ne gio, l'accendo Goluccio lietissima
compagnia per buono spazio. Dapoi
da
loro
presa
licenza e verso
casa tornando, scontratosi
Antonio di Messer Xicolaio
il
in
sua
Messer
delli Alberti,
quale a dijìorto con sua compagnia
n'andava,
fattosi
debite
le
saluta-
Messer Antonio a
Bene dovete avere aùlo,
zioni cosi cominciò
parlare:
«
singularissimo padre, questa mattina
grandissimo piacere e consolazione,
sendo slato tra tanti notabili e sommi
apresso de' quali
e lìlosofi
punto non dubito che ogni parte
di filosofia si morale come naturale è
familiare e pronta. Ben v'ò grande
invidia: piacesse a dio che io avessi
(anta grazia che qualche di voi fossi
teologi
,
io
al
Paradiso, iinpeiX) che quivi più in
agio istaremo che dcntra alla ciltadc.
E voi sommamente priego che
di
tanto
operatore
co' loro lo facciale.
luogo allo e come
in
siate
insieme
Sapete quanto è
uno punto avere
e
che
possono
si
Coluccio,
liitli
clie
gli
agi
e
i)iaceri
"Mcs-
(Jicea, al cavalieri cosi riS|iuDSo:
ser,
io
proniello che mai
vi
».
voiontieri nilia (inalilo
simile
vegiendo u
uomini; ma
singolarmente piacere abiamo aùlo
di.'l maeslro Biagio da Parma, di sue
(ippinioni e conclusioni; imperò che
con sue pruove e demoslrazioni vuole
la
lede essere in magior parte
conforme colla filosofia naturale e
consolazione
udendo
non ebbi
,
valenli
lanli
metafisica, e à dato tanto di piacere
maestro Luigi che più a lui s'opoche à usato dire che mai tale
l'ebbe. Niente vi dico d^lli altri,
al
nea
si
,
pprcliè a
nulo
tutti
èe.
si
quasi
Ora
il
simile adive-
col iKuiie
dio
di
voi piacerà questa sera venire
a
a
cena
co' loro, e
quanto voi dite dell'essere
con voi
Paradiso iiigegnieremci di
fallo
».
al
.\
cui cosi
il
(;avaliere rispuo-
Bene non vuole la mia fortuna
che io possa venire imperò che (juese
:
"
sia sera più gentili uomini festegianli
cenano meco; ma bene voi priego che,
8
cenalo che voi avete,
a
l'are
collazione
vi
piaccia venire
insieme nel
tulli
nostro ujiardino, e quivi daremo l'orma
alla dilettevole
gita
del Paradisi!
».
Piaque
al
cancellieri
e cosi
si
partiron andando ciascuno
la
diliberazione;
suo viaggio. Venuto poi
il
vespro
uomini raunati, e gitone
al tempo a tavola con molli piaceri
faccendo Biagio ora uno
e sollazzi
giuoco ora un altro per si l'alta l'or-
al
e
i
valenti
,
ma
che
l'acea
maravigliare chi più
lo
conoscea, non che coloro che usi di ve-
non erano, ora contrafacendo
maestro Biagio, ora il maestro Mar-
dello
il
silio,
ora l'uno, ora l'altro ne' gesti,
nelle parole e talora nell' abito, clic
stupel'aili
e
attoniti
mirallo, parendo
lusione
di
slavono
loro più
spirili,
che
tulli
tosto
induslra
a
il-
o
ingegno umano. Et così tu la cena
tanto gioconda e piena di festa che
mai simile a quella si vide. Finita
in questi piaceri e le tavole levate,
piaque
al
cancellieri
alla
compagnia
così dire: «Voi sapete, reverendissimi
padri e
amici, quaiilo è stala
oltiiiii
1,'raziosa,
e onorata
iiiaiinitlea
famiglia delli
(Iella
larmente
la
Alberti
casa
la
e siiigu-
propia de! valoroso e per
bono essempo ragujrdevole e
ricordevole a ogni memoria cavaliere
Messer Nicolaio degli Alberti (1), qui
ogni
a
noi per l'arielro vicina, e
[)re
virtù
di
ralo. Al presente
figliuolo, ritenendo
me del
padre,
in
chiesto
che
nel
come sem-
anno onoMesser Antonio suo
uomini
gli
la
natura e costu-
singulare grazia ni'à
suo giardino
conduca, si che,
una sua lietissima
chi noi
io
vi
sa, apari
Il
perchè a
contentamento
clie noi 1' andiamo a vedere e non
sanza grandissima consolazione di
casa.
ine pare, sedi vostro
è
,
fia
ciascuno e cortesia e
giovane cavaliere ».
Non ebbe
parole
il
.
laiid'llaln
somma
al
tosto delle (picsle
cancellieri
ll)Abliinnin
Allici'li
si
letizia
e
dalla
ilslabililo
nel Codice
il
brigata
rasalo
:
di'lli
10
risposto che facesse quanto a
lui
|ii;i-
cesse, che Messere Antonio con ono-
revole compagnia
de' Peruzzi
sulla piazza
che
che col cancenato avieno. E uscendo, in-
uscissor di fuori
cellieri
i^ià in
era, aspettando
si
(juelli
nanzi egli facendosi con debite salutazioni quelli singulari maestri per
mano prendea diciendo:
alla
la
E' piacerà
»
a vedere una
maestro Luigi, che
vostra carità venire
nostra casa?
«
11
seco molta contezza
avea
mamente rispuose
«
:
sere, che incontro
ciamo per
prestissi-
,
Vedete, Mesnoi
a voi
ci
fac-
quanto a voi piacere
nella ricca
si fia ». Et lutti insieme
casa entrare; e passato per lo cortile,
dove a mano destra era una loggia
l'are
ricamente ornata
di
e splendidissimi
capolclli
tappeti, pancali
;
et oltre-
passando entrarono al giardino, dove
ins' uno pratello circumlato d'allissinìi
arcipressi
e abeti,
melagrani,
alori
aparecliialo
si
,
melaranci e
mortiui
e
ulivi,
era da sedere richissi-
inamenle, con una credenza da unn
,
Il
de' eanli
siivi
,
molle e varie
molte argentiere con
cont'ezzioiii
e
frulli
co' molli vasi di vetro pieni di
pre-
ziosissimi vini. Era in quell'ora nel
uno
giardino
piacevolissimo
rezzo
gioconda brigala rinfrescava. Posto a sedere
valenti uomini
Francesco, die lietissimo era,
chiese il suo organetto e cominciò si
dolcemente a sonare suoi amorosi
canti, che nessuno quivi si era che
per dolcezza della dolcissima ermoche
la
iultii
i
,
nia iiolli paresse, che '1 cuore per
soprabondanle letizia del petto uscire
gli volesse. E mentre che queste cose
si si facieno, uno in abito assai onesto
e quieto venne e domandò del maestro Marsilio e che perdioavea grande bisogna di parlare a lui per cosa
necessaria e di fretta. Fu detto al
maestro, e
elli
inanzi a lui
si
umanamente
facesse,
adimandale, buono uomo?»
rispuose:
»
Maestro,
rerò per essere
tosto
e
co'
dicea che
dicendo
io
A
:
Che
cui elli
non mi cu-
sentito, perchè
meno impaccio
più
fornirò
12
la
mia facceiula
venlura
quanto
"
,
come
e
—
-.
Or
«
pare
a voi
buona
colla
maestro dieea
il
—
».
dite
•
,
"
maestro, arci bisogno che voi mi
cessi qual cosa
migliore
è
lo,
di-
giltare
a
imperò eh' uno mio fraiello
bisogno grandissimo n' àe. » A cui
il
maestro soramente rispuose dandogli molli rimedi, a cui il buon uomo
non altremenli dicea: «Maestro, maestro non vai uè gotta >. Perchè il maela pietra,
stro sopragiunse ancora più e più
medi,
a
cui
il
buon uomo simile
sta a quella, clic
l'atta
ri-
rispo-
avea, taceva.
Il
perchè, avendo detti molti e molli e
infiniti
ripari
e
avere che dire,
rispondea
non
v;ilere
cedette e disse:
mi'
".
A
cui
il
ne
gotta.
El
Non ne so più
buono uomo sogiunse:
elli
«
e più non
buon uomo pure
rimedi
e'I
»
Volete voi, maeslro, che
io a voi
ne 'nsegni una migliore che di quante
delle n'avete, e no me lo negherete ?•
A cui preslissimamenle rispuose; A
me
lìa
perlo
".
singuhirissima
El
elli
grazia
sogiunse:
•
a
sa-
Sapiatc
13
admu'lio. iiiMcsIm
(enele
rli'
cIT è
per
e
iiiio,
certi)
polvere da bom-
l;i
che grande
vedere se ne
maestro die ancora non
tturd^i,
e
pniiive
Uitlu
|)i-oiiiellovi
i;ion)(j
imole I. Il
avea conosciuto Bia;;io di gemello,
il
(jnale era quelli che mutalo iibilo
e
forma
rai,'ion
dimandava, prestamente
il
rispuose:
«
Voi dite
il
vero ed avete
Ma, poi che Biagio
».
fu apa-
si
lesalo e lasciato l'abito che avea,
maestro slupetallo saziare non
di
lea
si
il
pe-
mirallo, e abbracciato slrelta-
menle disse: «Biagio mio, io voglio
essere omai de' tuoi discepoli in tulle
le
ma singularmenle
cose,
cina di pietre
».
dissime
e
risa
Fece
la
sollazzo
imperò che neuno ancora
che quello Biagio
m
festa
la
si
luccio
.Xiitonio
glia
fornita,
essere
la
di
questo,
s'era acorlo
fosse.
Et cosi
collazione splendissima-
mente aparechiala
niamente
medi-
in
brigata gran-
si
lue; e
parve
tempo
brigata
del T'aradiso,
v.
lielissi-
padre Coche messer
al
invitasse
cosi
lo
alla
fece per
u
questa maniera.
siri
carila
clic
Voi padri
avele
in'
in|ei
,
cortesia
tanta
fallo
e inac-
per vostra
voluta
questa vostra casa avele
vedere.
Piacesse
quale merita
dio
«
singuiarissimi
Dio
a
vostre virludi
le
sommamente
tale
fosse
;
per-
il
ne ringrazio,
voi
sperando di corto che vorrete vederne un'altra, la (juale qui di fuori
presso alla città voi avele. 11 tempo
nella vostra
sia ornai
tanto dire vi voglio,
inanzi che
di qui vi partiate, eleggerete
do
ma
elezione;
clic,
il
quan-
piaceràe. Tanta forza con
a voi
me ne pare, non
abilcmente potervi sì
vostra licenza usare
veggendo
io
unitamente acozzarvi
sente
1
si
siete
come
al
pre-
llislrinsonsi insieme
».
maestri, e finalmente comisono nel
cancellieri
la'
lezione di quel di che
dovessono gire
piacea
tutti
e
,
quello
concorrieno di
che a
fare.'
Itimaso adunche
la'
cancellieri, e
prestissimamente
spuose così
liere
:
"
elli
in
Perchè
lezione del di
nome
i
di tutti al
buoni
lui
—
al
ri-
cava-
e piacevoli
15
Messere Antonio, preslis-
pensieri,
simainenle
esecuzione
in
niellare
si
ileono, e per voi conlenlare, vi
ri-
spondo che domattina noi tulli insieme al Paradiso saremo: amai sanzu
altre eccezioni da noi l'alte questo empiere vedrete
".
Ringraziò
la
brigata
il
cavalieri; da poi partitosi con grazioso
commiato, ciascuno
loro magioni
a
tornaro, riniagnendo prima
sieme doversi trovare
lo
fresco
al
la
tutti
in-
mattina per
Paradiso come promesso
avieno.
Venuto da
vatosi
come
la
la
poi
brigata
la
mattina e Iro-
grazioso luogo,
al
sera dinanzi ordinato avieno,
Messer Antonio co' fratelli
con sua onorevole compagnia entraro(lj dentro al palagio, con grandissima letizia riceuti dove tutti insie-
e trovalo
e
,
me ne
girono
alla
cappella, e quivi
aparecliialo un [irete una
messa con
modesto modo si disse. E finita la
messa con molla giocondità nel giardino
(1
delli abeli
i;oil.
apresso
ondalo.
alla
fonte ne
Iti
j,'iro,dove;i|)arecliialo si era
da sedere
apresso
idii molli rielii paiicali, e ivi
ridi)
uno dirizzaloio
quale erano
in sul
molli vasi d' arienlo con
di
vino
[)rezio.sissim(i
peregrine
molti
confezioni
trulli
altri
eravi
;
ancora
soavi e freschi, ciriege
ottimi e rugiadosi lichi.
poi)i.uii,
niinciata
la
pieni
e di varie e
E
,
co-
collazione a (lucUi dolcis-
simi rezzi per molli e molti sergenti
die
puliti e
frescandosi
lietamente servieno
cantando per
simi
pini
numero
di
,
cime de
le
abeti
,
rin-
frigidissima aqua
colla
li
cipressi
e
d' uccellelli,
sì
,
odorosisinfinilo
che ciascuno
essere istimava nel più bel
loro
paradiso; da poi
falla la collazione e
veduto perla prateria diversi
animali,
sommamente
e strani
piacevoli e nia-
ravigliosi (a) quelli considerare e ve-
dere; fu ajiarcchiato e porlo a France-
sco
musico
il
suo
presolo cominciò
cailo e
si
organetto; e
dolcemente
elli
a loc-
con tanta dolcissima ermoiiia
sonando che ciascuno grande maracosi per laudcviglia
prcndea
e
,
;
\(ilc
spazili
soiiaiidn
tulli
d'niiiiiila
,
J7
inebriava. El mentre clic que-
iliili-ezza
ste cose si
al
larieno
si
,
venero deniro
i^iardino una lietissima e gioconda
(•om|)agnia
legiadre
di
e bellissime
tionnc, sendo dinanzi da loro molle
vezzose e angeliche pulcellclte e
in
compagnia di loro legiadrissiini giovenelli. E fatto reverente salutazione
prima
tanto famosi maestri
a'
seguentcniente
su-
e
ciascuno, da
a
loro
furon lietamente vedute e accettale,
parendo
obicllo
sì
tosi
più
una
dì
«
questa essere singula-
loro
grazia
rissima
ventura avere per
e
bellissime creature.
E
fat-
innanzi e apresso di loro
loro
cosi
cominciò
a
dire:
l{evercndi padri e maestri, da poi
a voi è piaciuto esser venuto a
vedere questa contrada, per la qual
che
cosa
a
noi
è singularissima grazia,
preghiamvi che
noi accettiate,
soinnia
ci>n
vostra pace voi
che possiamo
si
consolazione
voi
con
udire e
fi-
iialmeiile portarne utile e santissimo
ainaestramenlo.
>ti->>inH)
dire
i
»
Udito ipiesto one-
xalciili
maestri, piaqnc
18
loro t'omelcre
risposta
;
maestro
;il
così disse;
«
Biagio
il
nostra
sia a voi i^rave lo 'iidugio di
risposta,
imperò
clic elli è
qui
Biagio che pienamente
stro
la
maestro Luii;i
Onestissime cioime, noti
'perchè
il
mae-
vi
dirà
quale è nostro piacere e intenzione.
E prestamente
si
Biagio e disse:
«
volse
al
Maestro, voi avete
queste venerabili donne:
uilito
••
maestro
sta la risposta, fatela loro voi,
a
voi
come
Ixmtade e gentilezza >.
È mestieri adunche, amici caris-
merita tanta
la condizione più tritamente del
Maestro Biagio sapere, acciò che pienamente conipretidiate suoi costumi
e modi E il maestro Biagio uomo di
simi,
i
mirabil
scienza e dottrina,
come
in
parte di sopra udito avete, e non so-
lamente
ma
guto
in
in filosolìa
naturale e morale,
melamatica ardemostrativo e più oh' altro
ogni
|)arte di
secondo che la astuzia
argumenlazioni richiedo. Olire
reale, e solista
iieir
mea questo è sommo teolago, di
moria tenacissima e grande, eh' è
19
rn;nM\igli;i a
alla
luiiln
lollura
naturale
lìlosofia
avere
peusalla
,
,
zione improviso
si
e é lanlo abi-
singularmcnte di
che
ogni
innanzi
;
saiiza
libro
dillìcilissinia
le-
leggie, dilucida e
Vedale adunche quante sono le sue virludi. Per altra parte
non credo che trovare si potesse uomo che sano sia di celebro, di mi(lechiara.
nore inlenilimento di
lui
intorno alle
cose politiche o icononiichc e singu-
larmenle circa
la eloquenza. Il perchè
maestro Luigi con piacere
della compagnia dare al maestro Biagio la risposta alle graziose donne,
per prendere di lui piacere. Udirete
adunche come la fece e con quanto
piaque
al
leggiadra eloquenzia.
Veduto
maestro Biagio, dopo
il
molla rcpugnanza per non
fallo,
do-
vere rispondere, non altrimenti che
cosi disse:
terra
cosa
e
,
chiezza
bonae, o bonae, do-
«
minae meae!
"
sanza
sendo
il
inchinandosi quasi a
avere in capo alcuna
suo capo per vec-
quasi tutto calvo e picciolo:
20
il
perchè,
per essere ancora
sì
colo e sparuto di persona,
pic-
come per
lo tempo, uno mentecatto parea. Le
donne, die lui vedieno sì injjinocliiato a terra e sì dire nò altro
maravigliavansi. Ma una di quelle
con una buona e otiesla baldanza, il
,
nome
è Ginevra, figliuola del nopadre messer Nicolaio facendosi più innanzi il prese per mano
e su levòllo e in tal maniera parcui
tabile
lòe
di
:
,
Mollo
•
quanto
a
ringraziare v'abiamo
à risposto
ci
stro Biagio die
il
ci cliiaiiia
nostro maesue madon-
vogliamo essere sue buone
figliuole pur che meritiamo essere m
ne; noi
li
vostra compagnia «. Ralegròssi ciascuno del modo del maestro e com-
mendando
mcnto
di
buono
il
e presto acorgi-
della valorosissima giovane e
sua
risposta
piacere
di
tutti
;
e
prestamente con
e singularmente di
Francesco musico due f;iiiciullctle cominciarono una ballata a cantaro, te-
nendo
lo,
con
loro bonbìiie Biagio di
taiila
Semel
piacevolezza e con voci
sì
21
die non che
aiigeliclie,
mini e donne,
e
udì
pressi erano,
cauli
loro
caiilare,
queste
Or
SII
ma
cliiaramenle
iiceilelli
li
I.e
si
che su per
,
no-
gli ast;\nli
vide
li
ci-
più pressimani e
l'arsi
i
con più dolcezza e copia
parole della ballala son
:
e?), gcnlili
ad amar pronti.
spirti
Volete voi vedere
paradiso
il
?
Mirale d' està cosa suo bel viso.
Nelle sue sunti luci arde e sfavilla
Amor
vcttorioso, che
IVr dolcezza
Ma
I'
Piala
K
alma mia, fedelissima
non trova
nuli' altro
S:icra
Mercè
Tir
,
mercé
:
Finilo
vole
al
il
lei
ama
;
lampa
o disila.
tuo servo un po' spira
sol cliiartlo, sii
conquiso
;
morie m'abbia auciso.
calilo dell'angeliche pul-
sendo
già lenipo che lo tadesinare erano insieme coi
valletti aparcchiati, e
alle
mira
ancilla.
in questa cliiara
che
Iddea, al
fallo pria rlie
cellelie,
divampa
di gloria cliì la
preso
ijuivi l'aqua
mani, uscirono del giardino
e in
una sala terrena riccamente guernila
per mangiare
te
si
poiiieno. E
dopo mol-
splendide vivande, levalo
le
tavole
e cantato e sonalo più canti e suoni.
due
garzonelli
pigliòe con una isnella e leg-
giadrissinm
dro
due
con
pulceilelle
Maltio
di
ser
danza, dicendo AlessanLamberto quella al tulio
volere sonare
elli,
e colla sua chitarra
dolcemente sonòc, che non ch'altri, ma Francesco musico tulio ringioire Iacea. E cosi per buono spazio
di tempo I' ozio passaro con gioconsì
dissima
festa. Kra
nel luogo molle
reverende matrone e padri venerabili
per altorità,
loro figliuoli
quali
con somma dilezione raguardavano
parendo loro essendo in quei luogo
dovere ellino per singulare memoria
sempre doversene ricordare. K di
lauto molti di quelli che a vedere
slavano s'acorgeno. Finito la legiadra
i
i
,
ilanza e lutti rimasi in silenzio, e es-
sendo
già
il
tempo vicino
a girsi a
posare, messere Antonio cosi cominciò
a
maestri
a
parlare:
,
posarvi
tulli
«
quando
,
a
voi
Reverendi
a
padri e
voi piacesse gire
sta.
»
11
parve non essere ancora
perchè
il
a
Icinpo
53
né laudabile
dicendo con
voce il maestro Biagio: « lo non
debito
alta
,
voglio
posa
altra
mi'
E
».
cosi
fri
ragionando si parli più e più
clic quivi a vedere erano slati
si
l'ho
rlmaso le gentilissime donne e
venerabili padri a sedere, Alessandro
che bene considerava così cominciò
loro
,
,
dire
a
:
forse
lo
"
presuntuoso
saròe
a
parlare sanza espressa comessione di
voi, padri e maestri
condilà
si
ma
miei;
della vostra presenza
la
gio-
come
delle preziosissime vivanda con tanta
(I), die io né voglio né teposso d' uno dubbio che al
aùte
letizia
nere mi
presenic
m'é
di scoprire,
nella mente cadalo a voi
parendomi doverne esse-
re prestissimamente contento e cliia-,
E bene a me é sommo contentamento e piacere die, presente tanto
oneste matrone e di somma reverenza degne, quello si dichiari, imperò
rito.
(
iie
;
I
)
M;iii< a
il
coiiipleineiito diMlii piuposizici-
dovev:( per uvvenluia dirsi
;
è
lauta.
5i
che
loi'iM
oslanle
a luro
come
niio
piacere
il
;i
noi.
Ma non
nienle dirci
vosln grazia e pace io
non dicessi, aspellando che in vostra consolazione
a
me il coman-
che con
diale
«.
Udilo luUi così dire a Allessandro,
piacevolmenle
volea dicesso;
fu
dello, che quanto
onde preslissinianicnlo
così disse e propuose.
Porcile molto e molto conside-
«
rato
si
oè
,
mentre che
alle
vezzoso
donzelle co' giovanetti danzando so-
nava, quanto è l'amore e l'effezionc
de' genitori verso
per molli
essere
segni
molli
i
loro figlinoli
conoscendo
padri
e
madri,
io
e
;
e
(]ui
vog-
gendo li alTettuosi sembianti di ciascuno; m' à l'atto dubitare assai di
quello che prima sanza molta esami-
nazione aITcrmalivamcnte tenea; perquello, che al presente per me
chè
si
dubita, alla vostra reverenza pro-
pongo:
"Quale è magiorc amore, o quello
del padre o della madre nel loro ligliuolo
?
"
95
molto
l'iiiqiic
Uropiislii
ciasrlipduno
a
per Alessandro
l'alia,
e
hi
por
più consolazione, clnnre/.za o dollrina
(liliberarono, che, consideralo quella
era nialeria da udire
imperò
più,
come
clic
unmini
alli
argonier.lare
le
locava
per
,
ompenioiii di
si
alle
quella
parie
piacesse, liberamente potesse.
dissono e vollono
donne
donne,
che, chi volesse
clic si
a
E
lui
cosi
seguisse per
uomini, prima dicendo
iiiaestrol.uigi ad Allessandro che
il
(]iiello che a lui pareva più ragionevole si dicesse e cominciasse. E cosi
preslissimamente fece e disse:
le
Io
»
e
li
per vostro
comandamento
farò, come
quello che a voi piacerà
che
mie ragioni
le
falle si
sieno, sem-
pre piaccendo avermi scusalo parlare,
e
singularmente dispulando dinanzi
famosi dottori.
tanti
alla
vostra
Ma
1'
a
ubidienza
comanda e
adunche che io
magiorc amore quelniuovemi ((uesla ra-
paternità mei
slrigne di fallo. Pico
mi credo che
lo
sia
del padre, e
giono
:
la
sperienza delle cose è gran
pruova di
vegliamo
sanza
Noi
(juellii.
piccoli
i
lutti)
^'iorii.)
fanciulli
rimasi
padri dalle madri essere aban-
i
nuovo inarilo e
Questo gianiai si
uomo l'are perchè io inferimia oppinione, che l'amore
donali, e prendere
quasi
vide
sco
diinenlicalli.
a
:
la
del |)adre sia mai^iore che quello della
madre verso
i
tii;liuoli.
Ancora con-
sidero un'altra ragione, die l'uomo
per sua
natura
che non è
la
è
più perfella cosa
feniina:
sendo cosa più
perfetta, più perfettamente dee ama-
E così la ragione mi dimostra la
mia conclusidiic essere vera. Ben è
vero che me l'à fatto dubitare la tenerissima alFezione che io ò veduto
a queste madri avere e dimostrare a
re.
questi loro figliuoli.
«
Tacettedi poi .Vllessandro, e così
in silenzio
dicieno.
Il
ciascuno
perchè
verso
vollosi
le
si
stava, e niente
il
donne
maestro Luigi
così dicea:
Voi avete udito, priidentissime
quanto Alessandro à detto
donne
per la parte delli uomini arecando
«
,
,
^27
aqu;i
mulino;
-^ìm
ii
perà
e
farete
rugioni
bene
;i
liccio
die non avenga, die per nolle
nioslp.illi
vostri;
le
s:ipere difendere, elli ottenga.
Era nella
"
brigala una vene-
lieta
donna di grande incostumi molto gentile,
rabile e giovane
telletto
il
nome Cosa
cui
donne
di
e
era; a
si
tutte vogliose
cui le
dissono che
le
piacesse rispondere alle dette ragioni
di Alessandro.
nia
1.
E
ella, clic argutissi-
così dicea
era',
Gloriosi
:
padri
maestri,
e
sì
perchè queste mie magiori sirocche
pregalo me n' anno, e sì ancora per
piacervi
ubidirvi
e
strare
Alessandro
a
,
come
la
pinione
,
pare e
certissimamente
io
quello
dirò
p
-r
mo-
sua falsa op-
che a me
tengo, non
dubitando punto che la vostra sapienza determinerà e giudicherà la
mia sentenza esser vera: cioè mollo
più teneramente le madri amare eli' e
padri. Dico adunche, rispondendo allo
deboli ragioni d'Alessandro, e prima
quando dice che
la
spiM'ienza è gran-
pruovii e che
(lissim;i
madri ahandonarn
vede
si
figliuoli
i
ninllo
non
e
avenire ne' padri simile cosa. Debcsi
più clie non fa con buona considerazione questa ragione calculare e mo-
La sperienza cerlissimamenlc
pruova o ella proceda per
arie o per natura avegna che notrifigliuoli per natura procede,
carc
savi dissono, come voi
il
perchè
dificare.
è
gran
,
;
i
i
sapete, che
ciò
ragione naturale:
è
generalmente chiaro tanto
onde
si
figliuoli
vede, la cura del nolrire
pili rimanere nelle madri che ne' padri, e non solamente nella spezie umai
ma
na
ogni
in
uccelli
(Iclli
spezie d' animali
come
altri. Sì
delli
si
che
d' Alessandro molto
madri che perii padri.
K pure se dire volesse 1' uomini togliendo moglie non lasciano uè abanil
fondamento
più
fa
donano
per
i
io
non
couìc
figliuoli
,
ma
marito
a
bene conosco
togliendo
che
le
così
;
sì
cui
le
le
così
donne
dico,
donne essere
cosa perfetta regolarmente
r uomo per
sua
natura
,
il
'20
dee essere
l>crcliò capii di loro olii
quando
donna
la
si
iiiarila, ella
;
e
come
jl dee e a lui ne va
non adivicne sì delli
uomini. E non posscndo elleno abilfigliuoli seco menare né lenienle
nere, e perchè il sesso i'eniineo male
a
calili
idiidire
,
cosa
«jiial
la
i
puole slare sanza molla aversilà, sini;ularmetite in giovinezza sanza guar-
uomo; però le madri quasi
conviene loro per lo meglio
dia dell'
isforzale
Ma non
fare.
si
ostante
sempre elleno
e
come
mcnle
stra
è
dubbio,
sepcrazione
la
gli
ciie
da'
anno
non
figliuoli
nel!'
animo
cosa certissima loro ferma-
si
pace
tengono. E questo con vosi' alla
prima ragione dello
e risposto. All' altra ragione che dice
che
Iella
nomo per
sua natura è più per-
cosa che
(luei'.le
più
la
donna
d'amore
rispondo che a
non solamente
me
per conse-
e
àe; a cui io
si
pare
islia nella
clie
l'amare
perfezione,
Mia più loslo nella affezione,
come che
neir uno e
Prosupo-
giiamo
nell' altro
adunche che
stia.
1'
uomo
sia
più
no
perfetto
coni'
umana,
con più
figliuoli
i
sifTe-
é questo chiaro vej;solamente nella spezie
non
gianio
dice, non è penS
elli
che sia verso
zione
amore
;
quasi
n)a
spezie,
ogni
in
quaiilunque piccola o vilissima
sia e
pochissimo intelletto, amare con
di
una esfrennta effezione
non temendo
verso chi
i
la
loro figliuoli,
i
morie, anzi
infierire
loro figliuoli slimolasse
o perire volesse, che più non
trebbe fare per uomo o donna,
si
po-
lo
per
me
questi
certissima
giorni veduta
isperienza
in
n'òe; che, seiido uno
si
calalo e, preso uno pulcino,
portandone, la chioccia, che
questo vedea, con furia volando il
nibbio
quello
nibbio
si
quello
uccidea
prese
,
e
a
correndo, dubitando
lo lasciòe.
()
—
vostra
di
si
vi
no
quel
la
ce;
vostra oppi
ma con pace
ciascuno, quando a voi
tempo più convedirò uno miracoloso caso e
piaceràe, in altro
nevole
là
Omai adunche vedete
ingannala
e
tiratolo
ella di noi,
Alessandro, quanto
mone
terra
non che
se
nieiDoria
di
lenipo
la
iJignissiinu
è ;ivcnulo d'
clic
,
una donna
poco
t;io-
\ane, bella e di luogo mollo da lun-
morto il marito e rimaso figliuoli,
non solamente co' loro rimase a nuIricalli, ma, perchè promesso avea al
marito nuircndo dovclli ridulli alla
patria sua, ella, abandonato
parenti,
ga
:
i
e
Iralelli
sirochie,
piacevoli pos-
le
sessioni, e finalmente dmienticando
r
amore
della dolce sua patria, con
che
(pielle
sustanzie
potèo
e l'ossa del
cia
Poppi
a
abilmente
più
suo marito, di GreCasentino, patria del
in
suo marito, ne venne. Quale uomo
mai questo si fece? Questa non è fizione o
poetica: ancora vive
favola
valentissima
donna, per sua prudenza, virlule e onestade da dovere
la
lodata
essere
alle
.'Messandro, udito
nitate
quella
die mai
,
si
C.alillina
niuno
in
òe tanta inuma-
donna simile
a
vide: cioè che, per avere
Aurelia Oristilla,
buono
b(,'llcz/.:i,
Ancora, o
stelle.
sì
lo
fu
lodata
scclcrato di
la
lei
quale da
non per
scndo ina-
se
3-3
morali) nò
polemlo
,
i:liastro,
il
(iiiclla per sua sposa avere
lumeiido ella d'avere fi-
-
(^ililliiia
questo sapiendn
suo proprio figliuolo fece morire, e
così la casa sua vola de eredi rimase.
Che adunche direlc! De, vogliate con
più discrezione e migliore
giudicio,
che ai presente non fate, tenere e
giudicare il vero ». E così finio il
dire della gentilissima donna.
Parve
risposta
Cosa
la
essere di più gra-
mai pensato arìeno, e soinvalorosa giovane lodan<io
del modo di rispondere come delle
vezza
clic
niamente
si
valentissimi maestri
a'
di
buone
la
ragioni die dello avca
gio,
il
;
e sin-
maestro Biaquale crollando il capo cosi a
gularmente
fu lodata dal
maestri parlava: < Per nostra
donna, per nostra donna vergine Maria
che io non mi credea che le
donne liorenline tossono filosofe mouè che avessono la
rali e naturali
li
altri
,
,
retlorica e
la
loica cosi pronta, ciunc
mi pare eh' abl)ino ». .\ c\ii li valente giovane dolcemente nspuosc:
33
Maeslro,
"
gegiioiio
il
(loiinc fiorentine
le
fare e dire si,
di
non
loro potere, che
sia
s' in-
secondo
loro una
per un' aftra mostrala da chi ingannare le volesse. Ma voi che sapete
e certe ci rendiamo che 'ngannare non vorrete, ditene la verità,
acciò che ciascuno ne rimanga conIciili) ». Piaque a ciascuno che quanto
per la giovane si chiedea si facesse,
e tulli pregavano il maeslro Biagio
clic la valorosissima giovane ne coiitenlasse. Il perchè il maeslro prestisco'sa
,
simamente rispuosc
"
mici
,
Dapoi che
che
donna,
tosto
io
s'
e così disse:
voi piace, maestri
a
io contenti
farò
il
questa valorosa
come che
aparterrebbe
per molle cagioni
;
farlo
a
voi più
a
eli'
ma pure
me
ubidire
voglio, e cosi dico soccinlamente.
\
giovane donna
quella male rispon-
tocco singularmcnle
la
una ragione, che a
dere si puole per qiiantunclie grande
filosofo
te/za.
lo
Sa
p.irlo
e quella è della
cer-
donna adunche che
quel-
fosse:
la
che
|inrlato
;'i
,
e
suo,
3
ma
34
l'uomo, come die quello pnrlo creda
essere suo, non è cerio; che se cerio
ne fosse, meslieri non sarebbe il
credere. Il perchè snnza dubbio più
sua cerla che quella
s' ama la cosa
che cerla non è; et per tanto, sanza
scorrere
in
più ragioni
parendomi
,
questa assai polente e valida alla
sposta, jjiudico la valorosa donna
ri-
sa-
disfallo avere alle ra!j;ioni d'Alessandro e per questo ella avere molla più
E
tanto: se
ragione
di
altro
volesse dire, parmi che ella,
e
elli
lui.
bai;li
con ragioni morali
a
e naturali, e
con
storie altentiche e vere, e con novella
promessa novellamente avciiula,
a noi
sia atta e
copiosa a
lui
porre silenzo
da pienameiUe ris|)ondere. Tanto
voglio io dirle e pregalla che le |)iacche
cia, come il Icmpo più abile lìa
e
,
quella
novella
iiroinessa
dica
ci
,
si
che buono esenipro di suo i)arlare se
ne [lorti. » E cosi il maeslro chinandosi a terra taccile.
Piaqiie a ciascuno
/ione
del
maeslro
la
determina
Hiagio
e
quella
35
lodarono e affermaro; peivliè la gentilissima giovane clolcemenle gli ringraziava e al maestro Biagio dicea:
« Maestro
mio e reverendo padre,
quanto
tempo che a posare per altempo n'andiate, e dopo il
|)osare
io
ornai
è-
ubidirò
comanderete sì
come di quanto
fia.
11
sima
E
dire
la
novella
in piacere
a voi
compagnia andarsi
mente
che voi
si
cosi detto, piaque alla lietis-
perchè già
il
sole alto
a ricreare,
ardentissima-
suoi raggi a sfavilar comin-
i
itosene per
ciava; e
le
quello
a
di
le
camere loro
valorosissime donne, e similmente
maestri eolla loro compagnia nelle
camere a loro deputate, freschissime,
gioconde e richissimamente ornate e
guernile, dove molte gabbiette piene
d' ucceletti si erano faccendo uno lei
giadro cantare, che
sì
per
la
come per
frescura
orna-
che quivi
si
mento
capoletli e draperie parea
di
era
1'
una più giocondissima primavera che
36
por
mai
fosse.
veduta
loro
di
:ilcuiio
(I)
maestro Marsilo sono disposto presto ul)idire;u oecorrciiii una
Questo
;
slese
antica
il
il
del
trova
si
ma
sì,
«
:
line
la
seguente
il
mano
questa
É
(1)
5ls.
udito
rispoiidea
lio cosi
Gi v. dol
fui.
notalo
posteriore
da una
7-2
quella che
a
lesto; alla quale pure paiono apparte-
strale nel
novelle
traile rubiiclie delle
nere varie
romanzo. Abbiamo
spiega
10
fosli, e si
di
Cosa leste
la
cosi
mancanza
promesso
,
e dei
,
inca-
una lacuna
di
racconto
del
ragionamenti a
cui dovette dar luogo e che forse continuarono
a girar
intorno alle quistionì d' anmre
par provarlo
qual
più forte
sia
tù
verso
o
naturale
«
novella
la
,
1'
1'
che
segue
autore
della
vita
overo notricatore e amacstratorc
»
ecc.
tavano
E certo che
come
la
le
società
;
come
intorno
affezione verso
il
a
padre
morale
in ogni vir-
pagine mancanti consi
era
costituita, a
meglio procedere nel discorrere e nel novellare,
scegliendo
un
proposto con suo consiglio che
ordinassero
la
faccenda. Almeno nelle pagine
che seguono
si
vede queslo provvedimento già
lucso ed in vigore.
37
una novella venula
dubitazione con
mia
nella
lenosa
patria
al
tempo
lempesla
e
furia
della ve-
dell'
aspro
sanguinoso tiranno Azolino (I) di Romano, signore di Padova Verona, Brescia e di molte
altre terre della Marca Trevigiana e
bestiale
e
,
Lombardia il quale per prieghi
un suo tesorieri, il ([iiale elli mollo
amava, perdonava la pena della morte
quali fare volea moa uno di due,
rire, con questa condizione die elli
di
;
d'
i
chiedesse di colui
lo
elli
era più obrigalo; e
sti
era
era
il
e
il
padre naturale e V altro
suo maestro overo notricatorc
amacstratore
molta
scampo a cui
1' uno di quo
in
ogni
virtù
diligenza. Voi udirete
il
con
caso
notabile, e poi giudicherete quanto a
VOI parrà sopra ciò.
"
Klli
molto
è
perlucido quanto
da
Carrara
(I)
à
In inarg
e cosi più Velile.
la
nolo,
chiaro
e
famiglia di quelli
in
ogni virlude
(lolla slcssa
mano: Eccerinut
auto
38
uomini
siiigulari
,
notabili e famosi,
e spezialmente in essere
a
amici
loro
benefattori
servidori
e
,
quelli
e
sempre mantenuti e servati, oltre al
(ostume di que' signori che tiranni
dire
possono; che, logorata l'età
si
del loro servidore, se alcuna cosa di
possiede, (juelio infamando
siistanza
imprigionano
r uccidono.
Il
e
rubandolo lilialmente
jiercliè
questa famiglia,
per natura, per abito, per usanza e
costume, sempre, oltre all'altre molte
virtù, di clemenzia, cortesia, magnificenza
è
notabilmente dotata.
molto dire e mostrare,
stata
Io ne potrei
ma
al presente verremo a quello che
promesso sì v' òe. (I)
Fu in questa famiglia uno cavaliere nomato Messer Marsilio il Vec-
io
da
chio
virlude,
somma
Carrara
amalo
,
e
uomo
prudenzia e valore;
giovane peregrinando
(I)
t'»)(i.
di
Xnvrlla
llulirica
eli
alla
somma
temuto per sua
a
il
quale
terra santa
llesscr Marsilio dit
marame
di'll'
f.'iir-
oiiginalo.
3!)
;i
visitare
Schiavonia, per
In
e
sepolcro, e pnssnmJo per
il
ponendo
scandosi, certi
galeotta
lo golfo
Ragugia
a
corsari
in
sun
ancora facieno
simile
il
navicando
e quivi rinfre-
una
;
e
buona parte proferieno
(li
loro cose a chi comperare le voIca. Fra le quali era uno fanciuiletto
sceso
à
terra
d' età d' anni tredici che eilino ven-
dere volieno dicendo essere Valacco e loro schiavo. E vedutolo mes,
scr Marsilio, e piacendogli
parendogli
tosse, e
che
di
buona
la
vista, e
stillcanza
con esso parlalo, e dicendo
eglino che più anni nel paese di qua
tenuto r avieno
il
;
finalmonte da loro
comperò, vegnendogliene una
piata,
E seco menandolo
e faccendolo amaeslrare a uno suo
compagno medico che con seco menava, dopo alcuno mese capitarono a
ducati cinquanta.
Famagosta
scandosi
il
in
(ulti
cavaliere
Cipri
;
e
quivi rinfre-
quelli del navilio, fu
molto
mercataiite
che
Scrorigno
(Jijolinu
uno
padovano
onorato da
grandissimo
chiamare
si
40
f;iec:K
quale UsoliiiodoiiiaiKlaiuli)
II
Messer Marsilio clic fanciulli» quello
luUo gli disse e come di
elli
era
miracoloso ingegno elli era e latito
ubidiente che era una maraviglia
,
:
per
la
qual
cosa
farselo a figliuolo, se
ben
E
diliberava dì
elli
elli
seguitasse a
come cominciato
fare
cosi
qualità
la
avea.
elli
fanciullo
del
di-
cendo, parve a messer Marsilio e a
Ugolino, si per bene del fanciullo,
come per fugire impaccio di uicdovello quivi lanallo fra terra
,
sciare: e cosi fece
niandandolo
effezione
a
cavaliere, raco-
il
Ugolino
con
quella
come
tenerezza
e
se
suo
propio stato fosse; dicendoli
come credea soprastare per più tempo, imperò che sua intenzione era
figliuolo
volere
tritamente
Cristo
usò e
e
in
è
in
a
là
dove
i
dove
segni
girne
Damasco girne in
vedere monte Senai dove
Damasco,
Arabia
e
fece, e dapoi
suoi
miracoli
vedere
slette
è
di
corpo di santa Kalerina, e poi
Alesandria e quindi a vedere la
il
41
del
iniigni(icenza
SoldaiKi
ai
Cairo
co' ie maraviglie d'Egitlo, e finalmente
andare
Medie colle carovane si
non vedea che non islesse
almeno due anni. Per la qual cosa
elli il
pregava che lo facesse amae-
clic
alla
:
elli
slrare in eloquenzia e 'n sapienzia, e,
se caso avenisse che
gi
elli
questi viag-
morisse, volea che certa
fiicccndo
quantità delle sue suslanzie
nesse, faccendo allenlico
li
rima
teslamenlo
quanto inlendea. E così ordinali
fatti si partì di Famagosla, andando a suo viaggio, e il fanciullo
lasciando con buona ventura
con
abondanza di quanto a lui bisognasse.
Riniaso il fanciullo con Ugolino e elli
di
I
suoi
,
trattandolo
ainaeslrare
come
iii
figliuolo,
facendolo
lingua Ialina
come che
buono prencipio
lingua
greca,
n' avesse,
elli
divenne
tempo eloquenlissinio
molli linguaggi
(I)
(|llcs(ì
Il
Cod.
viarìgitl.
(1);
e
dapoi
in
pratico
maraviglia
lin(jtiiirirjin,
l'onie
più
in
poco
in
a cre-
sn|ii;i
:
(lere
iiuella età.
a
sendo
avesse
1'
isola
es-
di Cipri
per
,
sì
i'^illa
uno maravigliare Iadopo due anni andando Ut^o-
forma che
cea; e
lino
E fiiialmenlc
più pronto arilmclrieo che
il
oirni
Nicosia
a
menando seco
e
il
garzone che valacco Bonifazio nomato
si
era, come quelli che molte faccende aveva col re e ragioni vechie
co' lui
tutte
il
a
per
strigare
lo
perchè
i'
e
finire
;
quelle
garzone preste vediensi:
re
vegendo
tanta mara-
viglia diliheròssi di torlo a Ugolino.
e
fece, dicendo Ugolino
cosi
l'avea e di cui
era
elli
per contento quando
piaciea
,
rendello
a
,•
alla
come
rimanendo
sua maestà
messer Marsilio
nel suo tornare
e
che ad allra
persona del mondo mai il concede
;
rebbe. Avea
i'
re
più figliuoli, fra'
uno il cui nome fu Ugo
conforme età con Bonifazio, il
quali v' era
di
(piale era d'alto e mirabile mlelletto;
e
usando insieme
i
garzonelli e som-
mamente auKHxlosi, |)erchè 1" uno
r altro di medesimo esscrcizio
e
si
,
43
(lilellnva,
diveniiono l'uno per
intencleiilissiiui in
qiial
la
l'allri)
ogni disciplina. Per
cosa Bonifazio dal re snmnia-
amalo si era; e così [ler più
lampo stando in Cipro e aparando
nienle
i
cosliimi
de' Soriani
linguagio Arabesco
,
e
e
ancora
il
altamente pa-
rendo nato in quello che parlava
con questo sendo molto magnanimo
e magnifico secondo suo essere, era
da tutti riputato, gradilo e amalo:
intanto die, per doni che da' re avea
riccvuli e ancora per alcuna sua in-
dustria
elli
providigioni eh' avea
colle
trovò
si
,
questo tempo avere
in
più migliaia di ducati.
E
così
il
gio-
vanetto col re islando, e sue ragioni
vegiendo
e finiendo vecliie e
multripicava
con
suo conspetlo
;
e
somma
nuove,
grazia nel
mentre che
così
la
cosa andava, Messer Marsilio avendo
fatto
I
suoi viaggi e venutone in Ales-
sandria
con
animo
di
ritornare
al
Cairo, diliberò mandare per Bonifazio, e cosi fé'. Bonifazio,
dire A'olea,
a' re
che
Ini
ubi-
chiese licenza, ino-
,
stranclojjli
li
come
ubiilire
li
conveiiia
:i
suo buono iindre o .sìi,MiorR
coniaiidava. Il re con grande dispia-
quanto
il
non sapiendolo da sé partire,
licenza li diede, promcllcndo
Bonifazio (ornare secondo suo potere;
cere,
pure
e
a
la
con doni molti dal re e da' lìgliuoli
lui donati, e singularmente da Ugo
che
lui
più che se
amava,
di Cipri
Alessandra, dove
con questa richezza Messer Marsilio
trovò; il quale riceulo da lui con
si
parti e
gìnne
in
amore tenerissimo
come
figliuolo
soprastare ne girono al
Cairo; e qui, avendo Messer Marsilio
sanza
quivi
singulare amicizia con
giori amiragli eh' avesse
uno de'
il
nia-
Soldano,
fu molto oin)rato, il perche elli v'ebbe buona e utile stanza. Bonifazio, clic
ben sajiea il linguaggio, in pochi mesi
fama di Messer Marsilio
le commissioni di
Genovesi, Veniziani e universalmente
Cristiani; il perchè per la
di lutti
venne per
quasi
la
avere tutte
i
stanza che qui due anni feciono, farcendo ancora tutte quelle del re di
45
Cipri e
lìi
divoimc
mila
messer Ugolino Scrovigna,
per
PcM'cliè,
la
grazia
apresso alle genti,
avea
di' elii
più di frenln
di
ricliissiiiio
ducali.
eili
adivenne che finalmente gran parte
delle faccende del Soldano, che con
mercatanti tramava, perle sue mani
aiiilavano. Et cosi stando a messer
Marsilio piaque volerne di qua alla
patria tornare, e vogendo che Bonifazio per molte l'accende eh' avea non
SI
|)olea cosi tosto isvilupparc,
dihberò
chè
clli
n
in
si
di
per-
il
che
tanto
lasciallo
sviluppasse, dicendoli prima:
Figliuola mio, io ò diliberato darti
quanto tu voglia
la
mia nipote nata
per padre di messer
Filippo Dal Dente, la quale sai che amo
di
mia sorella
come
figliuola
padre
e
madre
e
che rimanendo sanza
;
s'è nolricala ora
colla.
mia donna.
Il
fallo,
e
colla
fa
e
gra/.ia
<li
io,
piaccia di
svilupparti più presto
vientene
ili
ti
do-
zia e
perchè, o viva
o muoia, io voglio che
che puoi,
fa
mia con una sua
dici anni in casa
Dio
a
in
Padova, dove
I'
aspetterò.
»
,
46
II
in
giovane colle lagrime per lenerozza
sulli odii li rispuose: « Padre e
signore mio e
vi
benefattore! lo
laiilo
ringrazio di quanto mi
ogni cosa
e né più
piacere
ornai
né più qua che
là
sia
dite, oliò
me comandamento
a
,
»
e,
voglio. SI clic ora
fare
comandale
stro piacere.
si
a voi in
e
aempiuto vo-
fìa
Partissi sanza indugio
Messer Marsilio e venne
in
Allessan-
dra e d' Allcssandra in su una galea
ne venne a Vinegia e da Vinegia a
Padova,
là
ove trovò
disposizione
però
clic
tiranno
I'
clic
la
quando
Azolino di
terra in altra
imaspro
si |iartì
Romano
:
avea presa e fattosene
si-
gnore con molto danno de' Padovani
la qual cosa era molto in dispiacere
di messer Marsilio. E parendogli quivi
poco stare sicuro, perchè vedea il
tiranno molto crudele e sospettoso e
furioso,
dilibcrò
girsene
in
Inghil-
tempo tanto che
Iddio altro disponesse. E così fece
t'accendo non meno piacere il partirsi
a AzoliiKi che a se, imperò che mal-
terra
per
alcuno
,
.
47
volentieri
animo
il
grande
conoscen. Dapoi l'anno seil
vcdca pereliè
di
i|uente Bonifazio, spaccialo e (ìnilo le
sue
facende
del
,
Cairo
a
e cosi fé', l'accendo
la
ponendo
Faniagosla
a
imo Iscrovigna
veduto
e
si
e
via per Cipri,
a visitare
Ugo-
lietamente
dal quale
lue; e poi gitone a Nicosia
visitato
ricclii
partì
si
venirne di qua;
d'Allessandra attese
la
maestà reale,
facendo
doni
re
a'
molti
e
e
a
Ugo
suo compagno e signore e alli altri
fratelli, sogiornò quivi due mesi con
grande piacere de' re e universal-
mente
dogli
di tutta sua corte.
tempo
di
partirsi
grazia e licenza da loro
Poi, paren,
si
con buona
parli rice-
vendo grandissime cortesie, e in nave
montando in brieve tempo con piacevole e graziosa ventura
a
Vinegia
si
venne; e quivi sapulo come Messer
Marsilio nel paese non era, l'uUi mollo
III
disgrazia; e quasi diliberalo girne
III
liigliillerra
prestamente
il
ritenne
il
volere
jicrl'czionc
al
a lui,
ubidire
e
pure
dare
malrimonio promesso;
andandone
e così le'
da
quelli
(la
va erano
fu
veduta
la
possibile
donna
il
il
in
dove
Pado-
pensallo
a
e
molto conleiilo.
prestamente ne
gì a
visitare
signore; e fatto le debite reverenze,
signore volentieri
grande piacere
si
Dapoi
l'atto
vide e co'
il
prese,
moltissime cose
di
sadisl'acendolo
e
;
molto
venire
il
donava,
le (juali
lui
dimandando
elli
di lutto
contentava.
Bonifazio
molti
ricchi e preziosi gioielli, (juelli a
si
;
che d' età di qua-
,
tordici anni era, fu
Dapoi
che
tanto lietamente vedu'o
l'u
(juanto
a Padova,
Carrara
lui
cose furono molto
graziose e gradite da lui; e divenne
finalmente tanta familiarità tra loro,
che Bonifazio non polca stare una ora
che non fosse da lui adimaiidalo, e dettogli
suo sialo e sue remlile e spese,
elli volle che elli governas-
lilialmente
se ogni sua entrala e uscita, e fccelo
governatore e tesoriere di
possedea. E elli, anzi che
r anno compiuto avesse, lì acrebbe
con onesti e laudabili modi la sua
generale
ciò
che
49
cnlniUi, ])onen(lo l'orina a molle spese
dannose;
e
disutili
il
perchè Azolino
amava più che uomo che avesse.
lui
E così sendo Bonifazio
questa
in
fe-
matrimonio,
nulla altra cosa disiderava se non
d'essere co' nmsser Marsilio il perchè, vegiendo non potersi da Padova
partire, diliberò mandallo a confore
licità
cunsummalo
il
;
tare che tornasse, e cosi
fece assicu-
randolo per molte e molte ragioni
in tanto che saputo Messer Marsilio
1.1
cosa come era, con tutto che con
:
sospetto, pure diliberò tornare, stri-
molto la volontà eh' avea
vedere Bonifazio e così fece, e a
Padova prestissimamente venne.
L'nendolo
di
;
Venuto
a visitare
fu
e Bonifazio
Azolino
il
veduto, andò
signore, dal quale
veduto e riceuto con migliore volto
che
I'
usato.
E
così stando
cavalieri più e più mesi,
la
il
ma
valoroso
il
forte,
sua residenza, era alla villa di Car-
rara, e
a
Padova venia
il
meno
che
aconcianienle potea, per non dare né
elli
sospetto avere.
E
così stando, adi-
4
volino
(tic
signore ebbe
il
sentore
li'alcuna conspir;izione Inda coiiIth
lui
;
no:
|)ercliè
il
Chi
«
immaginando
è
ci
atto
il
capo e
a esser
seguito a fare contra di
ili
tiran-
me?
è
elli
infra se slimando,
Messer Marsilio
e a lui le mani porre adosso fece e
,
imprii^ionatolo
rire.
il
Bonifazio
più
doliesi
altendea
fallo
a
mo-
vedea
che qneslo
fu
uomo del mondo e
sommamente seco medesimo,
doloroso
perchè li parea essere stato cagione
del male di Messer Marsilio, perchè confortandolo d' Inghilterra latto
I'
avea tornare. E pensando
e allo
scampo suo, ne
gì al
a'
riparo
signore
piangendo dirottamente e pregandolo
die almeno la vila a messer Marsilio
signore
in
dispiacere
r udia e traverse risposte
a lui Iacea,
(lerdonasse.
il
guatandolo con
ma
non
diritto occhio
;
che di niente tcmca per hi
elTezione eh' avea al suo buono paelli,
drone, non restava però che sempre
il
signore non pregasse ccn una me con uno fervore che mai
staitzia
51
simile
si
cose cosi
iiioiilre
clic
queste
aveiiiie
clie
sentì per Azzoiiiio esse-
si
che uno messere Maffeo
Marchesi da San Bonifazio il gui-
trultato, e
de'
dava, e
il
E
guidaviiiio,
si
Verona
ir.
l'e
vide.
come
volea farsene signore
fattolo
|iercliè
pigliare e a
;
Pado-
va secretamente facciendolo venire e
messolo
insieme co' mesfalli morire;
in jirigione,
ser Marsilio pensava di
ma prima bene
volea esaminare
la
per essere bene avisato di chi
li era nimico. Bonifazio che altro pensiero non aveva che dello scampo
cosa
(li
Messer Marsilio
prigione
vicilava
;
e
ogni dì alla
lui
confortandolo
e
continuamente, uno dì andando a lui
e
trovò eh' elli si posava e dormia
non vogliendolo destare cominciò
;
Messer Maffeo marchese
dicendoli che sperasse
colpa,
sue
non perire,
fatiche
e
,
in
a
confortare,
non avendo
pazienzia
le
A cui il marIo non credo che
infìlice uomo di
portasse.
chese cosi disse:
«
mai nascesse il più
me per molte e molto cagioni.
Io
scudo
lii'iiiia
l'uncinilo [ìcrdei
padre
p
madre, rimasi ricco, l'iiroiiii)i lolle
molte mie suslniizie per l'eia lenera,
presi donna e co' lei più anni stelli
anzi che Ol,'1ìu()Iì di lei avessi. Sommaniente lei amava, .\venne che dafacendo uno fanciullo, in parlo
mori, di che io grandissimo dolore si
ebbi. Da|)oi
eresciendo il fanciullo
con buona istilicanza di età di dieci
anni, cavalcando io verso Peschiera
e meco sendo, mascalzoni m'assallaro
poi,
,
e due miei famigli uccisono e me
gravemente ferirò a morte e rubaron,
e il mio f;inciullo se ne menaron e
;
me
cosi,
mai
e
poi
di
mio
figliuolo
venti anni.
più isvenlure, e
gio
per morto, scampai,
non potei sapere da
novelle
del
d' età
lascialo
vecchio
al
tanto
prigione, niente di
che
sarebbe
E dapoi più
e
presente mi veg-
miseramente
in
buono sperando,
non tosto morire. Ornai considera
solamente
una cosa un poco mi franca, e quella
se
come confortare mi posso
p
la
mia innii(cn/,a
;
Honifazio che
come d' un sogno
ramemorare d' alcuna
ogni cosa notava, e
cominciò
si
a
cosa e a 'macinare die per cerio
questo suo padre poteva essere, e
però così li disse: « Messere, se voi
vedessi vostro figliuolo, riconoscerevoi?
stilo
I.
rispondea:
s'
io
il
"
A cui elli prestissimo
Non credo, ma bene,
vedessi nudo, io
per uno segno eh'
elli à
il
conoscerei
molto chiaro
manca. » E Bonifazio disOr che è quello? » A cui rispondea n Una picciola machia quanto mi'unghia, |!| dove sono peli come
di lepre, imperò che, sendo la madre
nella spalla
se:
"
:
grossa, di
lepre
toccòsse secondo
ebbe
ci
vizio e quivi
disse.
»
Bonifazio
che questo segno avea, udito quanto detto era per
per certo cs.sere
lo
il
marchese
ebbe
suo figliuolo; e
,
sendo levato da posare messer
poi,
Marsilio e vegendo Bonifazio, mollo
si
confortò; a cui Bonifazio dicea:
'
Messer mio, avesti voi mai sentore
(
I
)
C()d.
;
«11- ucliia.
54
A
mio pndre fosse o donde?
chi
cui
cavalieri disse
il
:
..
Bonifazio, clic
vuoi tu dire? Io ù te per figliuolo e
le tenerissimamente amo, né altro
padre credo che abbi die io conosca
o sappia.
i>
Allora Bonifazio verso e
« Questo è min
mostrando il mar
l'uno e l'altro disse:
padre naturale
chese
;
e
•
presto
,
cavatosi
sciano clie 'n sulla spalla
i
panni
mostròe. Messer MafTeo, veduto
1,'no
e udito
il
il
manca avea
il
se-
coni' era ito da
fatto
Messer Marsilio, ebbe tanta dolcezza
tenerezza, (che) cagìendo
e
sostenuto
da Bonifazio piùoresanza sentimento
stette; perché, dubitando che morto
non fosse, con aqua fresca, nel viso
spruzandoglicla, risentire lo faceno:
il
quale
..
subito queste parole dicea:
glorioso
Iddio
,
ornai
se
a
le
piace ch'io muoia, contento a le l'ani-
ma
rendo, dapoi che tanta grazia contu m'ài, ch'io ò ritrovato
veduto il mio (Igliuolo tanto mira-
ceduta
coloso e gradito. E
silio,
a voi,
messer Mar-
grazia rendo alle stelle, che tanto
55
E guardandolo per dolcezza ciascheduno piangea. Dapoi sanza soprastare parve a
bene
hllo avele.
lui
a
Bonifazio girne
"
signore
al
:
e gillan-
dosegli prima a piedi e piangendo di-
iMttissiniamente
sto
vedea
dicea:
,
forte
signore che que-
il
maravigliava
si
e
Bonifazio, che novelle sono
•
(jiieslc?
A
»
cui cosi rispuose:
Si-
«
mi potete fare
il più lieto uomo che viva, imperò che
cerio sono che io ò ritrovalo mio
padre naturale. Il perchè, consideralo
1' uno
io avere due padri
per tanti
gnor mio,
voi
oggi
,
benefici, l'altro per l'essere a
(lue
lanlo
valorosi
to,
e
che
a voi piaccia quelli
me
da-
cavalieri,
largirmi
,
cioè
messer Marsilio e mcsser Maffeo; pa
rondo a me, questa grazia avendo, non
potere avere magiore felicità e dono. »
Volle Azolino ogni cosa puntalmenlc
sapere e maravigliossi forte del caso
della fortuna; poi a Bonifazio cosi
spuose:
'•
re .eh' io
Bonifazio,
li
elli
ri-
è tanto l'amo-
porlo, che, con tutto che
r uni) e l'altro di costoro menti cru-
50
(leiissimn morie, io in
();irte t.irù ooii-
mia coscienza ppp farli a piacere.
Ora va e prendili liberamenle l' imo
di costoro, che io io libero: sì veraIra
inenle
clie tu
prendi colui
,
il
ijualc
ragionevolemente dei secondo i' obrigo a che se' tenuto; e se ragionevolmente no '1 fai, io ti prometto che
r uno e i' altro presente te morire
farò. E più sotto pena della ini;) disParve
grazia di ciò non mi parlare.
questo a Bonifazio durissimo
e molestare
il
jiartito;
signore più non volea
per paura di peggio, né nella mente
sapea che ellegere di fare. Adunche
cosi per più giorni stette anzi che di
ciò
a
Azolino
più
ne parlasse. Ora
dico a voi, venerabili padri e
fratelli
cordiali, e ancora a voi valorosissime
donne: che consigliate? ponendo il
caso che Bonifazio adomandasse con,
siglio sopr' a ciò
Udito quanto
da
voi.
"
maestro Marsilio
(letto avea e conchiuso nella sua novella, si cominciò per ciascuno sopr 'a
ciò Irilamenle a pensare, parendo loro
il
57
dilcHevolea luJillo
e con molla [lialade. Ma, perciiè non
sanza molla disputazionc e controversie si potea isliire sopra di ciò, si diliil
caso molto bello
berò
e
più commodo tempo
vegendo ancora l'ora della
lascialla e a
riserba^la,
cena api'essarsi.
perchè
Il
insieme ristrettosi
consiglio
il
[)inqiie
,
che della
doverne andare a eiecomandatala Ginevra, con determinazione del proposto e del suo
lina
novellella
na
e
;
consiglio, a Biagio Sernelli
,
il
quale
con mille piacevolezze quella recusava dicendo: " Come are' io ardire
dire
di
o
novellare cosa
dove lanla autorilà
padri
e
niente
di
Tossono
signori
alcuna
tanli
?
là
famosi
Cerio
io
scusato voi m' arete
dirò, e
•; la dolce compariguardavano e, con uno
onesto ralegramenlo sperando cosa
udire di mollo sollazzo e piacere; e
giuslissiniamenle
gnia
tutti
finalmente
..
il
Ginevra
Biagio, Biagio,
comandalo, se
flc'
liioi
lui
quello
dicendo:
che l'è
non vuoi penlerli
tu
peccati!
a
fa
>,
e
sorriilendo
la-
r)8
rette. Biaiiio,
;i
..
che vedca che
iiuvell.ire
conveiiia, così cominciò
lui
il
dire
Ileverendissiini padri, maestri e
gnori
che
è
tanto piaciuto
la
no-
niesser Marsilio da Carrara
di
non posso
io
a essa;
se
m'
e'
,
vella
:
si-
altro pensare che
perchè dire niente potrei,
io non udissi quello che
il
prima
adiveiine di quelli due pregiati cavalieri
,
padri
lasciando
valoroso Bonifazio,
del
stare
quello
volenienlc dovea
re.
"
E poi
al
cosi dicea:
"
che
ragione-
campamaestro Marsilio rivolto
Maestro, per certo belelegiere
e
è questo e ben da dima per ora vogliate dire
sputano
solamente ([uello che fu il fine di si
caso
lissimo
,
valorosi preneipi. De, vogliatene con-
tentare
!
11
— Udito
questo,
Marsilio prestamente dicea
maestro
il
:
«
Biagio,
mi pare da fare quello che ciiiedi,
imperò che la novella sanza conclusione espressa fa 1' ndilori rimanere
lutti sospesi. K però dirò quanto operò in loro salute la buona l'orluna.
e'
F.lli
adiveniie
di' e Milanesi,
.Nianto
Milli
con molli
feciono
vicini
loro
da Eccerino, mentre die. e due cavalieri erano in prigione; e facceiido questa lega e ragunala molla genie d' arme co' loro
amislanzc
il
perchè Eccerino sentendolo preslissimanienle andò verso
lega in dileiidersi
,
loro
co' suoi
e flnalmenlc
essercili,
una verretta
sendo preso e rolla la
sulla znfTa fu ferito d'
in
nel piede
e
;
sua genie mai
mori
più
di
LXX
Padova
1'
e
tiranno
anni. Per
la
perchè
il
prigioni liberali
d' età di
qual cosa
che Icnea
altre terre
inasono libere,
lieri
volle curare, e cosi
si
lìerissimo
il
si
ri-
due cavafuro, né elei
zione bisognò che Bonifazio facesse
avendo glorioso
,
fine le loro fortune.
Ornai, Biagio, vedi che io contentare
r ò voluto
la
:
piacciati
adunche volere
novella tua dire, acciò che
giocondità sieno fine
giornata.
E de
!
in
le
tue
questa nostra
piacciali, sanza molti
esordii fare, venire a quanto imposto
e
comandato
sì
gio, che questo
l'
èe satisfare.
udia
,
»
Bia-
ringraziò
con
parole
]ioclie
così
l'iò
!a
inaeslro, e poi coiiiin-
il
sua novella
molto
noto
chi
a
a
contare
compagnia
Lielissiina
•
,
considera
menle, questa nostra
cìllà
di-
nell'umi-
grandissima abondanza
li,
avere
di
singularissimi ingegni; de' quali
aiìta
è
iliriila-
ogni
in
come
sciplina, così nelle alte
il).
ej^li
al
solamente comeniorandone uno e di lui novellando; nella
sua arte nioito famoso, come clic da
presente tacerò
molli
non
il mestiere
sia mollo difamalo,
chiamandola arie ma più to-
sto vitupero,
isfacciati
,
colpa de'
quella richiede,
portunità
di
iscostumure
(I) .\ovrlla
ISinijiu
mordere
di
d' ogni
costume;
tosto
Siniclli.
che
a
più tosto con ime
parole e gesti sce-
esemplo
in
e isfacciato
più
quelli co-
sollazzi
gagliolTare,
con
lerali
giudico
e
ma
modo
yer
non con
giocondità
,
artefici
tristi
iscostumali e ghiottoni che
seguitono
quella
slumi
,
da esser
.Vissi
i-
Rulirita
doloroso
i
quali io
lidVati
Dohihiiie
alla
e
dolio
iiini;;ine.
61
iiiazieali
(I
iiccellati.
vocabolo
si
e sleriiiinali,
eli'
essere uditi
E costoro con più onesto
ciie
possono uomini
di corte
ma comunemente
l'anno cliiamare,
più propio bulloni nominati si sono.
-- Va adunche uno nostro cittadino
quale
il
virtù e astuzia
d' assai
,
da tenera età
iiifino
i;uitare le corti,
Dolcibene
sere
j^atta
come
,
cui
il
;
dilettò di se
si
nome
cavaliere
molti dolorosi
mes-
fu
non
e
di
infami
per una minestra veggiamo spessissimo farsi, ma da Carlo di Luzzindell' onore
re de' Romani
borgo
fae e da lui
delli' milizia ornato si
,
,
brevilegiato e re fatto di tutti
foni.
Il
buf-
i
quale essendo beilo di corpo,
robusto, gagliardo e convenevole
sico e ottimo
di
lento
e
mu-
sonatore d'organetti,
d'altri stormenti, udito
fama e la felicità di messer Bernabò e messer Galeazzo Visconti di
Melano e della loro molto onorata e
la
iiiagnifica
corte, diliberò
civanzarc sua vita
p'
fu
là
bone accollalo
;
andarne per
e così fc'.
e
Dove
veduto per
le
(<}
suo virtù, faccendo sue canzonelle in
ridimi con parole mollo piacevoli e
inlonanLlole con dolcissimi canli; per
molli doni nccvea da
uomini e signori, che
in quelli tempi nella delta corte trola
qual
molti
cosa
gentili
E cosi felicemente il piacevole
messer Dolcibene in guadagno e sollazo vi.vea. Avenne che in quel medesimo anno capitò a Melano uno sivarsi.
mile
uomo
mano
di
di
corte,
cavalieri
per
messer Ubertino da Carrara,
signore di Padova, il cui nome era
Messer Mellon dalla Ponlenara, uomo
bello di corpo, lìero di faccia e gran-
de e membruto, il quale con messer
Dolcibene si cominciò a dimesticare;
e aniessi
fiiialmenle da cortigiani,
si
cominciorno a mordere e a detrarre
r uno r altro, dicendo lìnalmenle
Messer Mellon clic Messer Dolcibene
avea viso di poltroii e che farebbe
meglio a tornarsi a Firenze a manil
giar le salaluzze e non parlare de' pregiati cavalieri. Messer Dolcibene, che
idegiiiiso mollo era, e singularnienle
,
Gò
(li)vc
lo
piilcM culi acoiicio
modo
iiio-
« Messer Mellon,
scoslumalamente e siete
slrare, gli rispuo:>c:
voi divellale
un mocicon
fede- se
lo
:
eliè
voi
Pontenara
,
man-
avete
voi
e
che
,
tanto pescianie
per avere
giato
alla
pronietlo
vi
io
punto ne dubitassi
sì
capo di visco, che voi siete
dirittamente un bestion e uomo trijiieno
il
sto e cattivo, e questo ogni ora sarò
arme in mano. »
Messer Mellon, che non meno oppinione avea di lui, e amesso e inzi-
alto a provallo coli'
gato da molti cortigiani gentiluomini,
diliberò di
dilli
la
pruova
la
gola, e che
l'ie
e
cliosi
a
d'ogni
fé',
che era presto
e mostralli
elli
era
uomo
e
tristizia
presente
ai
a
farne
che mentia per
di cian-
cattivo; e
due signori
molti cavalieri e scudieri.
che vedieno questi matti
si
I
e
signori,
beslieleg-
giare, n' aveono piacere, e dicendo
loro trepidamente male di loro follia;
ma
ciascamo di loro allora più
cca bello e galliardo;
il
si l'a-
perchè Mes-
ser Bernabò cominciò a dire:
«
Mes-
C4
scr Uoleibeiie
che voi volete
tlapoi
,
mantenere vostro onore, di che io vi
coinendo, io vi metterò in campo,
arde
né
di
spesa alcuna.
ijueslo
»
Messer Galeazzo (juesto udendo a
Messer Mellone il simile disse. Il
perchè ciascuno incominciò più in
parole a 'nfierirc, pregando loro e
I' altra
signoria che dovessono dare
il
campo e eziandio il di della giorE così fu fatto dando il campo
nata.
e fidandolo
in
nome
di
e col
su
piazza
la
(1)
San Giorgio, che parca
loro dovesse essere
dì di Sa'
il
Miche-
le a
di 8 di Maggio, clic ispazio avie-
no
assai in dì 18 (2) che era innanzi
a
potersi
ogni
uno
di loro fornirsi
Dapoi ciascuno de' cavalieri si si brigava mettersi in punto; e esaminaiulo fra loro quello che
di sua bisogna.
(1) Punii
(2)
Api'iie
,
Riarno
Ulicliele
Sono
festn
nd
.M*.
Mi giorni dal
propriiinienlc
di
S.
Uioriiio
rommenioralivo
ArcanKi:lo.
,
di-lP
all'
9.">
S di Ma^xia,
apparizione di S.
65
avieiio
fallo
cinscheduiio
di
loro
si
poco savio, dicendo Messer
Dolcibene in fra se: « Do, Dolcibcne,
i^iudicò
clic ài
fallo? lu dileggi e slrazi lullo
'1
mondo
e
al
co' molli e beffe e Iruffe,
prcsenle dai
cagione d' esser
heflalo da ciascuno che questo vedrà,
saprà e udirà. E pensa a (juanlo pericolo i)er la lua pazzia
Tu
l' ài
messo
!
pure che Messer Mellon
e gagliardo robusto e animoso come
lu
e sai ancora che, con lutto clli
non abbia ragione a combattere né
an<'0 tu l'ai. Glie ne ptìlrà seguitare?
che voi v' ociderete insieme, o elli
conosci
,
,
le
lu lui; qual sia di questi è pe-
ricoloso e in dubbio, e ciascheduno
ne riderà
solenne
e belTerà,
bestie
,
riputandovi due
e questo aspettando
con grandissimo sollazzo. Che dunche dirai, o isvenlurato, o seniprice,
o sgocherello? Or tu caledì tulio il
mondo e vedi che lu per tua pazzia
caleffato da tutto il mondo se'. « E
così in varii pensieri Messere Dolcibene in fra se si si dolca di suo poco
66
cosa plùs'aprcspiangendo del suo
errore s'acorgea. Messer Mellone, che
il
simile a lui ancora avenia, e parendoli avere il più in pessima via
e
niente per non arrogere a danno
dire voiea, giudicando Messer Dolcibene poderoso animoso e gagliardo,
aspellava con grandissima paura il dì
delia battaglia, come che ciascheduno
loro si facesse di buona terra e
(li
mostrando lietamente alla zuffa venire. E venuto il dì della loro giornata, sendo lo slecato in sulla piazza
e piena di grandissima moltitudine
per vedere la ferocissima zutTa, Messer Doicibene armato ottimamente e
acompagnato dalli cavalieri e scudieri
di Messer Bernabò in sul campo si
rapresenla, aspettando Messer Mellon,
senno,
sava
,
e, (inalilo
tanto
In
più
,
e
cordialmente
pregando Iddio clic
Messer .Mell(^i in
gli
dia grazia che
sul
campo non venga,
e eh'
elli
visi-
terà se questo (sarà la) terra santa.
.Mentre che (|uesti boli
ser
Mellon
e" facea,
onorevolmente
Mes-
acompa-
,
67
guato
famiglia
dalla
Jcazzo
in
campo
sul
Messer Ga-
di
apreseiitò
s'
,
armalo e oUimamenle in punto. E
quivi, fatte certe ceremonie per due
cavalieri che '1 campo guidavano
e fatto
per
giurare ciascuno di loro che
ragione conibattea, volieno
la
git-
campo, come è di
costume, si che e' cominciassono la
zulTa. Ma Messer Doleibene con un
tare
il
nel
gu;iiito
]ire5lo aviso e riparo alla sua pazzia
cosi disse:
io
«
Pregiatissimi
cavalieri,
voglio dire parechi parole anzi che
cominciare il combattere: perchè io
non dubito punto che 1' uno di noi
il
mono morrà
o
amendui
,
me
a
pare
per bene dell' anime nostre che mi
debbia perdonare (sopra)vegnendo il
caso della morte; e io
il
simile a
baciandoci in bocca.
lui
il
Dissono
cavalieri ch'ellino ne prendessono loro
contentamento. Allora Messer Dolcibene s' acoslò colla barbuta a quella
farò,
»
i
dell' aversaro, e alzato la visiera cosi
dicea pianamente, non essendo udito
da
alcuno
se
non da
lui
:
«
E'
mi
GS
pare che noi siamo due grandi
vegnamo
e
a cosloro
a ucciderci
me me
per
io
:
dando
ijeslie
dilello
ne pento
penon vorrei meltcrmi a questo
non so quello eh' a voi inricolo
prestistervenga. " Messer Mellone
e
;
simo rispondea:
adiviene
a
raveggiamo.
11
..
me, ma
-
tardi
pare
omai
e
ci
Messer Dolcibene pre« Non mica tar-
stissimamente dicea
di, se voi vorrete.
.
simile
«
A
:
cui e' rispondea
:
per Dio, de su, per Dio,
pievoglio, oscrvandovi ogni fede
Io voglio,
io
-
" Or col nome
nissimamente. «
faro »,
Dio voi farete quello che io
Sì,
Messer Dolcibene dicea; a cui: »
E
per certo « lietamente rispuose.
in
prestamente si baciarono in bocca,
altro della
luogo e segno 1' un all'
silenzio la
fede osservare. Stava con
di
,
aspetanmoltitudine de' raguarJanti
,lo
fiera /.ulfa
la
della bataglia,
dall'
in
;
e, gittato
il
guanto
Messer Dolcibene, sondo
uno'iato del campo colla lancia
trillare, e
e quella raccendo
alzandola
la terra col ferro e
mano,
locato
G9
un punto, h gillù da se a terra.
Messer Mellon, questo veduto, il simile
Iacea. Da poi, preso l'acetta e ([uella
alcuna volta melandola e facendo viin
sta d' asaltare, quella gittava
e
;
il
si-
mile presto Messer Mellon della sua
Da
taceva.
poi,
prendendo
la
spada
e
tacendo isquizzi e liellegiarla (1), ora
tìngendo di trarre di punta, ora di ta-
per buon tempo,
glio,
MoUon
mente,
mano
più
l'accendo
giltale le
alle
daghe,
,
spade
;
e
linai-
a terra, niisoii
e, l'atto
sanza
assalti
simile Messer
il
passaro
l'uno all'altro
toccarsi
,
facieno
ciascheduno maravigliare, giudicando
• Questi
e dicendo messer Bernabò
due malti vedi che si vogliono a petto
:
a
petto e alle strette arecare.
>
E cosi
per grande spazio trull'ando, delle da-
ghe
il
alle
Novelle
simile fero di gitlalle, che fatto
(1) Cosi
II
di
codice:
Giraldo
il
Cioiii
Gir.ilili
nel
glossario
spiega qiicsla
manca ai vocabolarii, per muovere,
rotare pomposamente la spada ( belllgiare la
parola, die
spada
).
Il
Scgr. G. Carducci propone di correg-
ecre in belle iiiurde, hellr ciurla.
70
arme avieno;
dell'altre
ogni uno
si
denudale, con una
percossono insieme
magiori risa del mondo:
quelle
e
grande forza
facendo
cosi tallo,
adrielro e mostratosi
posta, e vollosi
l'anca
e,
scoslò tornandosi alla sua
le
le
siche, per essere ellino grandi e pieni
di
carne, nel percuotersi
le
natiche
non allremenli
feciono uno scoppio
—
che se una bombarda istala fosse.
Veduto la gente il trulVare di costoro,
e singularmenle
dicieno
:
«
signori, a loro cosi
i
Si che
voi
ci
avete
cossi
per certo voi ne sarete pa» Voi
avete il torlo » Mesgati. »
ser Dolcibene dicea, « imperò che noi
paghiamo di nostra mercatanzia per
beiTati
,
—
se magior pagasiamo a fallo, pure
facciate godere. » Messer BerMesser Galeazzo, parendo loro
moneta
mento vorrete,
questa
che
ci
nabò
e
;
e
atti
che 'I modo a loro pericolo fosse stato
molto acorlo, voUoro sapere tritamente come la cosa sigui e chi di
loro avea riparato alle pazzie da pri,
ma
prese per loro.
A
cui
Messer Mei-
71
lon
(litio
del
presto
Ondo
ilii'ea.
inaravii,'liàrsi
rimedio
piacevole
e
Mescer Dolcibene
roiio assai fra loro.
dete, reverendi
di
e quello coiiiiiienda-
—
Adunche
padri,
con
ve-
quanto
acorgimento il piacevole
Messer Dolcibene seppe a' suoi pericoli riparare con piacevolezza e astuzia da nollo potere immaginare, non
|irestissiino
che fare,
in simile caso.
E
•
cosi la-
cette.
Finito Biagio
piacevoli risa
la
il
suo parlare, con
brigala
lodò, e
si
novellare, e si l'astuzia
di Messer Dolcibene. E cosi ragioBiagio
del
nandone disse Alessandro:
«
Io vo-
grado
magiore o veramente la stoltizia di
Messer Dolcibene d' ingaggiarsi per
lentieri saper vorrei qual fu in
,
niente
in
sì
pericolosa
zuffi
jironlo riparo che in tanto
(ivo caso
elli
ebbe per
la
,
o
il
stupefal-
sua salute;
uno tanto fuori d'acorginiento, clic uno semprice fanciulparendomi
Icllo quello
tro
bastato
1'
fallo mai arebbe, e 1' alsarebbe a ogni ingegno
72
sagacissimo e acorto. Che duiiclie di-
remo
?
Alle
»
mcnle
il
ni' elli
è,
quali
parole
presla-
proposto rispuose: «Alessandro, io per me non vorrei clic
Messer Doleibene
cosi morto co,
ci
imperò che
befasse per sue novelle,
a
me
è dello
che
la
cena
punto, e già l'ora incomincia a
è in
valicare;
il
perchè noi lasceremo
disputare e allenderemo
sogna
mente
E
".
detto
cosi
il
niagior bi-
a
prestissima-
(lue l'anciuUelte coniinciaro
a
cantare dolcissimamente, invitandoli
alla
in
cena e tutti levali su ne giro
ver l' altra parie del boschetto
,
dove aparechiate eran
chissimainente
;
e
data
le
1'
tavole
aqua
ri-
alle
mani
ne girono a tavola cenando
con grandissimo piacere, avendo varie e splemlentissime vivande con
diversi suoni e canti. E cosi Unirono
con somma consolazione la giocondissima cena; e levale le tavole le
pulcellctle e giovinetti cominciarono
a fare \ino l);illo kmdo, cantando ora
l'uno, ora l'altro leuiadri^sime can-
73
buono spazio al
ilolce rezzo la giocdndissiina compagnia si stelle. Da i)ui veiuilo il lampo
zonellc: e così per
d'andarsi
posare,
a
maestro Luigi
il
Voi avete veduto con
quanta consolazione noi abianio questo giorno passato, si per lo novellare
così dicea:
»
come per
ragionamenti gioò avenuto jìcr
avere auto ordine in noi mediante
il
quale sanza tedio o rincrescimenlo
condi
aliti
li
:
altri
e
lutt(ì
,
abiamo consumalo. E per tanbrighiamo a prendere ordine per
lo dì di domane: il perchè io dipongo ogni mia altorità, ornai renden-
([uollo
to
dola
a
voi e a cbi
voi piacerà ch'io
a
concedi, ringraziandovi sommamente dell'onore a me l'atto in tulli
la
i
vostri processi
«.
A
cui tutti insie-
me
così rispondieno:
voi
sommamente
ne
la
compagnia
«
Maestro, per
in
ogni consolazio-
è
stala
condotta e
guidata, e cosi speriamo sarà conti-
nuamente: il perchè
vi piaccia, mentre che
a
in
stiamo, che voi iiucllo
noi pare che
questo luogo
siate
che
la
tjuicli
e
coiiJiulii
,
s|iiMMmlu
saiiz:i
alcuna mancanza soninianicnlc esser
ne consolati ». A le (|uali parole il
maestro Luigi così dicea: " lo per me
che come le cose ci sono
comuni, così mi pare che conninemente procedine e per tanto piacciavi eleggere e provedere alla bisogna ». A cui prestissimamente tulli
dicieno, che ne disponesse come a
lui piarea. Il perchè presto prendendo elli ima bacchetta e puosela in
mano al maestro Marsilio, dicendo:
" Vostro è r ulii'io |)er domane, e per
intendo
;
vostra compagnia qui a Nicolosa e al
maestro Grazia piacerà d'essere ".Della
qual cosa lutti si contenlaro, dicendo
che per cerio buona elezione fatta si
era; e ciò fatto parve alla dilettevole
compagnia doversi ire a posare
aspettando il di vegnente ogni uno
di loro con grandissima festa.
,
LIBEO
Già
rilucea
IV.
luo
si
annuite, e
Aurora
hiniiila
Im
uscita delle braci-ia
(lei
suo dolcissi-
gioconda Cilarea
la
aparia insieme di traverso col suo
ruhicundo e ferocissimo Marte, quanvalorosi e
do a' freschissimi rezzi
i
maestro Marsilio
ne
gieno.
creali
aipie
e
il
Dove
rinfrescati
per
spirili
li
e
abondantissima
nel giardino alla
te
insieme col
maestro Biagio
cittadini
lircclarissimi
le
l'on-
e
ri-
freschissime
insieme con molta
a ciascuno girne
parlalo
consolazione, piaque
cappella
nella
(1)
jlinale
a
udire
la
Mamilin, (ìin:ìa. .Mrnlosri
iMW
pcismic
uli'lli'
air
messa; e
:
nota mar-
iill'u-io.
7G
npnrecliiato iinu (Mpiiollano, (Ìiv(ìiìsm-
fiiamenlc ilicemiola
iilcuuo
(lucila
,
udirò. E
IdPd poi loi'o uficio (liecuili>
(li
e (pielio dello, lulli insieme nel triarsi toruaro, dove il inaeslro Marsilio a' compagni lati parole dieea
dino
:
poi che a voi è pi:.ciulo che io
Da
«
oggi abbia
1'
aminislrazione e magi-
slralo, che dire vogliale?
losonocon-
me,
considerala
lenlo,
la
come che
a
dignità di ciascuno, più grazioso
mi sarebbe
che
che
a
ciascheduno ubidire,
alcuno comandare; ma, come
disposto e ubi
cosa si sia
la
a
,
comandare secondo che a voi
piacerà, me sempre jtresto ubidendo
trovare mi potrete. Ora voi vedete
che ancora le donne non sono con
tlire e
noi per
la
ora lempcsliva;
pare,
se a voi
me
a
che ellono penono
nostra collazione
teria utile e
vole
i)er lo
diamo
lerà
i
a
sia
il
perchè,
piace, mentre
venire, che
in
la
qualche ma-
non solamenlc
dilette-
novellare; e pen'» pren-
nostri luoghi e (lualche ina-
utile
SI
pro|ionga
,
dando
ijueslo
77
i-aricu
proposta
della
maestro Grazia
qui
nostro
al
».
adunque a sedere e l'atto
silenzo
dando luogo al maestro
Grazia a proporre, e elli cominciando
Posti
,
cosi dieea
«
:
Voi vedete
e certo
r uomo essere lo più
animale che sia, per molle
te-
nobile
nete
e
molte
cagioni raguardanli allo intelletto;
il
perchè chi bene giudica e raguarda,
i]uanl«nche ignaro d'ogni religione,
dirà sanza dubbio parto in lui essere
divina e immortale. Onde, a consolazione di chi non è si erudito in filolosofia
come
a tanta
collazione s'apar-
dicendo
tiene, vi piacerà dirne,
filosofi e teologi,
si
genera
l'accia
lui
1'
come
nomo
razionale, e
e
e in
che
per che
come
e
a voi
modo
via
quando
si
in
s'infonda l'anima intellettiva, e
e in che modo ella rimanga
come
dopo
la vita del corpo. E non dubito
punto che, questo detto e ragionato
per voi
questi uditori rimarranno
,
i'(Ui
buona
e chiara dottrina e
consolazione
m
lauta
alta
e
somma
gentile
/6
malera,qi!iin(o mi pare clie sia apres-
so
ogni
a
sente
religione
nostra
pre-
maestro Grazia
faiilo
la
».
Proposto
alta e bella
il
inalerà,
Inlli
eomiiicia-
ronoa riguardare l'uno l'altro, dicendo e afTermando ciascuno non meno
parte teologica che filosofica o medicinale essere in essa, e concliiuden-
do
tutti
(luelli
dalli
il
prima essere
cancellieri
che, quanto n'à veduto o letto
gentili sì filosofi come medici,
ne dica. .\' quali cosi ris|)ondca: « lo
non mi voglio punto scostare di ijuauto mi comandate, anzi voglio prestamente ubidire, come che voi, maestro Marsilio, tale matera dovete tanto
familiare avere, che io dicendo temo
non darvi,
tedio
e
sì
ancora
a
voi
reverendissimi |)adri. Il
se quanto avenisse nella mia
lanlo
altri
perchè
,
risposta di tedio a voi,
m'arde
scu-
vogliendo più tosto all'ubedien-
sato,
za servire
..
che
a
altro
mio giudicio
•.
lo più e più volte ò letto e con-
siderato
la
l'orza clic si
vede espressa
79
pro|)iirzione de' miineri;
nella
Vorse
ieli''
tale
calomiiala
vdllii
il
per-
oppinimie è alcuna
ma aooiiciameDie
,
conforma colla nostra religione.
Ora lasciamo per lo tempo passare
e
più convenevole riscrlìialla
e
si
il
,
vegnamo
nostra matera,
alla
dalla l'orza de'
numeri non
la
quale
parte.
si
Dico adunche che, secondo che vovostri fisici e singularmentc
i;liono
i
il
vostro divino Ipocratc dove tratta
della natura del fanciullo, che, dapoi
eh' è
il
sangue perfetto dall'uomo nel
vaso naturale
donna disceso,
(1) della
sangue la natura riserba per
la generazione, prendendo
la virtù
informativa dal cuore del generante,
il
(jual
dopo
i
sette di fa
uno
folliculo e cir-
cundalo in modo d'un uov(j nella
seconda settimana si generano certe
gocciole di sangue nella superficie
del folliculo, e nella terza settimana
;
che sono di fuori, en-
ipielle gocciole
trano
dentri!
fi) Dalile
a
riir;:.
esso
-ili,
umore
Ili.
di con-
n;ilural vasello.
so
cezionc
nella quarta
;
restringe
si
il
dello
umore
sendo quasi
coagula
e
infra carne e sangue. Nella quinta in
d'umore si compone
umana, sendo di grandezza
essa sustanzia
la
efigie
d'uovo apena,
sono designate
ogni lineamenta
e
membra
le
tutto
di
brevità
quella
in
tutte
il
e
corpo. Et
alcuna volta aviene che, tornita tutta
membri, come
mese
s' alrolla
se non
nel nono mese
sua perfezione. Da poi dopo selle di
la
composizione dei
dello è,
il
parto
nel settimo
,
;
;'i
i
dal
nascimento
del
bellico
e
incomincia
al
elli
do|ìo
lume
getta le
reliquie
due volle sette
del suo vedere
muoversi; e dopo sette volte sette liberamente già le popille e tutta la
faccia rivolge a vedere le cose. Dopo
denti a nasette mesi cominciano
scere
e così, se bene e Irilamcnle
considera
si
vedrà per questo
si
numero ogni nostra operazione naturale trascorrere, il perche io le lascio
che troppo lungo sarebbe il
mio sermone, llesla a dire come si
i
i
:
,
,
81
animale ragionevole; imperò
che ciò che dello io ò, è fallo da dio
f;iecia
niedianle
inlUicnze de' cieli, delle
le
della nalura,
ma
niorlale;
niezo
clementi e dell' ordine
delli
(juiililà
il
quello
,
perchè è corrullibile e
fa iddio sanza
quello che
è
incorrullibile e
ini-
adunche l'anima la
quale idio, quando la natura à fallo
niorlale. Quella è
l'iirticulare perfetto del
nuovo
ra, e
di
natura
mente
;
falla
che Iruova
in
tira
sola,
la
cerebro, spi-
spirito sopra tanta arie
e questa anima nuovada dio sanza mezzo ciò
e vegetabile
sustanza
sua
e
e
sensitivo
diventa una
quale vive e sente e conosce
se essere
animale ragionevole oltre
d'ogni animale bruto,
allo intelletto
parlando largo. Dapoi che la seperadel corpo all'anima si fa, ri-
zione
mane l'anima
incor|)orea,
no
intellettiva
avendo
in
immortale
e
potenza l'uma-
il perchè, congiungencorpo, quello arebbe in atto
e'I divino;
dosi
al
e in
potenza. Per
la
qual
condo che mi pare, che
'1
cosa
,
se-
oomentaG
8-2
buona
loro senlisso in
diede
<listinzioiie
sibile
ponendo
agonie,
e
pnrie, (luaiuli)
trailo Inlcllello pos'nlel-
lo
lello possibile potere stare sanza or-
gano, e per eonsequente quello diceva immortale: mostrando il maestro Aristotele quello dire e sentire
e
secondo dimostra
certo,
luoghi
quello
,
mente dove
mali
volere
della
«
natura
in
più
singnlardelli
ani-
dicendo trattando
scrive, COSI
dell'uomo:
e
,
dello intelletto possibile
presente diremo, imperò
che da eslrinsico viene, la qual cosa
certamente è divina ". E non è maniente
al
raviglia, Tacendo
gnendosi
uno corolario, agiu-
l'aninìa al
corpo potere
pati-
puote corporalmente avere
e pena diletto. E questo essendo, come
ciliarissimamente per molti essempli
re, e così
})rovaresi puote,
dobiamo
in
contusio-
ne delli stolti e in esaltazione de' bene credenti aempiersi la divina giustizia,
andando
apostolo
al
dicendo
e
colla
autorità dello
vero e cattolico credere.
credendo conlossarc e
83
110
mule iinpunilo e uoubeiK? irreiiuinenito. E questo mol-
lo
liane e arlificiosameiile cel dico
;itTerin;ire niuiio
il
nostro divino poeta Dante nella sua
seconda
dove
-
cantica
così
»
:
capitolo
nel
Sangue
perfello
'25
(I)
ecc.
»
,
per molli versetti infino: quindi piaijnamo, quindi ridiavi noi ecc. Ornai,
con vostra pace e correzione se a
pieno non avessi si detto, por fine
intendo al mio dire .
tulli
Dopo tanto dire
comendarono la
(Ijllnoslro leslo
pilolo
•ìù
«,
li:i
menile ludo
del cancellieri
chiara e buona
sbadiilariuTile
il
ca-
•
ragionanienlo del
cancelliere altro non è che una parafrasi della
risposta di Stazio ai dubbii di Dante:
si
può
tocca
far
?
»
;
magro Là dove l'uopo
risposta che
si
(Sangue perfetto che mai non
sta
2i)
è
la
cagion
di
si
beve
che hi ammiri
Purg., della quale
si
«Come
di nulrir
non
trova ai versi 37-108
cita
nel
)
—
E que-
del canto
nostro testo
un verso intiero (Quindi piagnamn, quindi
rliam noi),
comune
diani
ma con
qualche
ri-
differenza dalla
lezione (Quiiidi ixiiiianid r quindi ri-
lini
v.
10?
I.
84
sentenza
dicendo
su;i,
inverso
silio'
niacslro Mar-
il
parole
colali
lui
:
«
lo
mi credea che contento fossi solamente alla oratoria e poetica, ma io
vegio, che non solamente a voi è famigliare
la
medicina
e la
scerò
filosofia
ornai
meno
cosi: io dico che in
tempo non
alcuno
mente sadisfare
matera
alla
impossibile
bene
che
e
perciiè
a
la
la-
questi
magiori maestri e concliiuderò
miei
dire
il
rispondervi
il
ma
naturale
teologia;
,
e
in
1'
come
e ornai chiaro
arei
detto è, poter
veggio e conosco
cdioma fiorentino
copioso
fonda
pensalo
con tanta brevità quello
e perhicido,
;
tanta profonda e
me
in
jiarole in
udi' tanto piena-
che
malora
ogni
si
e sì rilimato
astratta
e pro-
puote chiarissima-
mente con esso dire, ragionarne e
disputarne. Et bene omai voglio credere quello die io sento del vostro
Dante poeta teolago, che tante alle
elli ponghi
velame della sua leggiadris-
sentenze d'ogni disciplina
sotto
sima
il
invenzione.
F.
per certo, padri
85
miei, e' conviene clip io l'abbia per
r avenire dimestico e familiare, dogiiendomi forte che per io ai'ieti'o
non
fatto
e
dimanda
il
l'abbia.
piacevole
se, a voi.
grazioso
sogiugnerò
io
una
quale è questa: quale è
la
uomo? E quecompagnia con noi
prenderemo altri pia-
fine e la felicità dell'
r
sto detto,
s'
Ma
è,
altra
agiungerà, e
ceri e gioconditadi. Et sanza altra di-
terminazione a voi, maestro Biagio,
a
me
pare darvi questa risposta, im-
però che conosciamo
di
essere
filosofia
liare
a voi
ogni parte
domestica
fami-
e
coltra a ogni altro italico pronta
avella.
Il
perchè sanza dilatazione di
tempo verrete alla ditcrminazione »
E cosi detto il maestro tacettc, commendando ciascuno la dimanda e la
commessione del maestro Marsilio.
Udito questo
vegendo
rispuose:
e' vi
a
«
lui
il
maestro Biagio e
convenire dire così
,
.Magistri
e
domini mei,
piace che io dica del fine e della
(ilicilà
dell'uomo, e
io
ubedire voglio,
premettendo non punto iscostarmi
di
86
vuole
q.uanlo
innestro
il
Aristotele
nelle sue Morali, parlando della
mondana
cità
gendo
(I)
materia,
e
io
e del
come pone
dell' Etica
,
nostra
alla
dico cosi: volloro
primo
feli-
Ora, ve-
fine.
soccintaniente
distinsono,
nel
suo
filosofi
i
Aristotele
tre vile
,
cioè
Voluttuosa, Pulitica, et Contemplativa;
im|)erò che ellino vidoro
mezzo delle
sere
quelle
di
sopra
alle
cose
1'
uomo
É adunche
sotto.
es-
sopra
di
e
uomo
1'
biestie colle quali per lo
senso partieipa,
veramente
minore
e
alle
angeli
alti
sustanze seperate,
colle quali parlicijia per lo intelletto.
E adunche
mente come
condamente
in
se
;
da considerare prima-
è
partieipa colle bestie; se-
pcrcir
è alcuna cosa
elli
terzio e ultimo perchè e' par-
(colle?) inlelligenzie se-
tieipa
razioni
per(ale)
da' (filosofi) Ire
vi
(par)licipa colle bestie avere
volultu(osa);
,1)
Idi'so
:
,
vefinenrioy
prese
siuio
(vite)
politica
venendny
la
vita
dicono
87
avere, imperò
allora
e
(1)
civile
cono avere
chè colle
la
animale
dello
è
acompagiievole
e
;ilcuii(o?)
ù
elli
clie
lerzio, di-
;
contemplativa per-
vita
seperale
intelligenze
par-
Onde, come dice Aristotele nel
o I' uomo è uomo, o elli
la Politica
è pegio che nomo, e allora è bestia o
veramente è meglio che uomo, e allora è divino e mezzo iddio. (2) Et bene
che queste Ire vite abbin poste, non
ticipa.
:
;
è
però eh' ellino abbino
due
altro che
felicità,
litica vita e
nella contemplativa
voluttuosa
nel
felicitade.
tutto
(1)
Puosono adunche, quando
La parlo
siip^iioic del
corrispondendo
foglio, presenta
peri)
le vir-
loglio cssi-ndo
mancano alcune parole, come
leva ancora dalla pap;.
i|ualc
nella
:
niegano essere
politicamente vivea e secondo
slracciala.
posto
fatto o
cioè nella po-
'.1(1
alla
simili
del
si
noslro lesto,
rila
seconda Tacciala del
mancanze.
Il
coslrullo
è abbastanza clilaro
(2) et.
Egidio
nomano. Del
Reqgimenin
dt' Prìncipi {ci. Francesco Corazzini, Firenze.
I.e
Mounier
IS.'jS ),
lil).
II.
parte
I,
cap.
I.
88
come
ludi polilice,
pnidenzia
principnlnieiite la
quale
( la
una ragione
da fare e è
è
diritta intorno alle cose
magiore
nello intel-
dell' altre e sta
letto sola; l'altre virludi
date e modificate
dire
puote
si
uomo
1'
da
gui-
lei
sono): e allora
sì
uomo
come
vivere
avere felicitade politica. Quando vive in contemplazione, speculando
e
per sapienza, allora vive più
mo; imperò die da opera
divina
|)articipando
,
colle
clic
uo-
parie
alla
sustaiizie
seperate, e così à felicità conlemplaliva.
Omai vedete
e
felicitade e il-suo fine,
è
ve(nu)to
e
però
dell' E(ti)ca
li
solìcienle
lieri
io
filicità
la
op(eran?)ti
clusione
sua
eh'
elli
per
line
(è)
:
primo
del-
se; perfett(o) (e)
b(ene). E in questa conò a correzione del cancel-
considerato quanto
vato e
fisici
poeti
e
,
nel
filo(so)fo
il
:
la
imperò
suo perfetto be{ne)
al
dice
pensate
elli
à ritro-
nostri, ritroverrò
per
lo
i
suoi
presente solamente
uno n'adurrò, cioè Ovidio nel suo
Mctamori'oseos
:
Aniinalia
ccleni
ter-
8i>
rain, os homiiii suhlime dedil coelam-
que lucri
Une
Udito
piirhire.
qiiaiilo
«
il
poslo
sivere
voi,'lio
F.
(1;.
mio
al
E così tncelle.
maestro Biagio
dello avea, da ciascuno fu coniendalo
il
suo dire, parendo loro che conclusivamente avesse sadisfatlo come filosafo
e mentre che intorno a ciò
ragionavano disse il maestro Luigi
colali parole: « Maestro Biagio, il vostro dire è vero, e non è dubio che
da ciascuno, che secondo ragione in;
,
tende
tutto
,
confessare
si
stro Aristotele
ritrovare
,
che
al
vo-
non cale
imperò che
voi
a
teolagi nostri;
i
Ma
dee.
certo voi avete lauta elTezionc
un poco in tal materia più avanle
procedono, come a voi secondo mio
credere notissimo
felicità
è, la
e
posta
tia
èe.
Fu,
uomo
e cosi distinta
(!) Ov.
tosto
dell'
Melam.
qiinsli
lib.
I,
come
detto
da loro delta
,
non
vv. Sl-ò.
è
11
versi storpiali in questo
però
iioslio
modo
:
Animalia celerà terra, Os linminum sublime
drtlil,
reliimqne ridere.
90
che
la
a
pieno ellino putessouo allignere
Avegna die
verilade.
soiio
che
l'osse
da
Irovare
dicessoiio
politica,
non
,
feliL'ilà
la
meno
di
quale
la
ellino ilices-
xoluduosa non
vila
nella
vero
e
,
della vila
teologi vila attiva
i
dicono, e simile della vila contemplativa non in tulio il vero sentirò:
si
imperò che
sanza
se più
ellino
i
sse ciascuno
altro ajulo
ogni peccalo schifare
(1) e
vivere
secondo vita attiva o conteniplalivu.
La qual cosa è falsissima imi)erò che
,
a
perleltainenle
volere
necessità
che ogni bene che
quale
del
in noi è o
celestiale, sanza
nostra
fia,
la
di
viene
grazia
niente per noi operare
potrebbe. Adunche
la
è
divina grazia avere; adun-
la
dal padre
vivere
nostro
il
felicità è
in
colui,
line
il
si
e
quale
di niente ogni cosa produsse, al quale
per
le
due
templativa
(I)
vie di politica e di con-
si
Voggasi
viene,
la
come ollimaniente
noia
I
a
pa;;
i}\
nioslrandole è sluto dello e ilelerniin;ilo
da
voi.
•
Menlre die questi ragioiiamciili
erano, essendo già l'onestissime donne uscite delle loro camere e divotissim?mente udita la messa e entrate
nel giardino, fu sentito venire alcuno
valletto
lazzi»
e
picliiare
la
domandare per
e
porta del paparte di
Mes
ser Bartolomeo della Aniella e di Mes-
Giovanni de' Ricci, se Messer
Antonio v'era: dicendo che volentieri vedrebbono il luogo e singularmente una fonte nuovamente fatta nel
giardino delli abeti, dove si dice essere aqua viva condotta in grandissima abondanza. Messer Antonio che
questo udia sendo a caso qui venuto,
prestissimamente fece la porta aprire;
sere
•
e fattosi incontra a' preclari cittadini,
e
da
e
ismontati
lui
in
dicea:
tuna,
ellino
de' loro
cavalli
,
furono lietissima niente riceuti,
grandissima
"
letizia
a
loro così
Mollo ò da ringraziare
la for-
singularissimi padri miei, che
voi à in (juoslo
lempo
ijiii
condotli
,
9"1
considerato
compagnia
conlornie
la
die alla vostra paternilà s' aparechia,
il
perchè non (iiibito che prenderete
consolazione inistimabile. Ora colla
buona ventura andialla a vedere. > A
cui
"
famosi
i
cittadini
così dicieno:
Messere, noi vegnanio questa matti-
na dall' Anlelia per la frescura, e ragionando delle aque e come e quanto
inir.icolosameiile a' credere il maestro
le ritrovava, giudicava, e
certissimamente predicea, non altremenli di quelle faccende che uno astro-
Bitonavere
logo nella parte motina (1) giudicasse
surgere e coricare le stelle di ciie
:
grande amirazione si
era; e come del profondissimo pozzo
per tutta
Italia
(1) Cioè
"
qìii
o loules
les
(Brunello
pari.
ciulo
siellato,
lormiie
esloiles
Laliiii
l.i
i;l
il
(irmaiin-iilo
enviionc
le
de cileni cn occidenl
llvres
dou licsor,
.
monde
liv.
•.
I.
MI, cliap. CVIII). ilolina. o, sarebbe for-
malo come
lai.
il
louzjors
mud.
il
frane, miilin (da initelf,
iHoii/H,
luovitiniif? J.
iiiritle,
Pazolalko mio (l;a una spanna
la vena e di parte in parte
dicendo che e quale lerreiio si
verebbe, e cosi realissimamente
venne, le simile come del mio,
di molli e molli dire si puote
(la
pre-
disse
pre-
singularmente molto notabile
di
Montelìasconi)
re una
e voi udire
;
cosi
nia
,
di quello
(il
abondantissima
fontana
tro-
adi-
avefatta
venire nel vostro giardino, deliberamo, prima che nella città entrare, vedella
;
siamo venuti, pregando
e però
non prendiate sconcio
andatene alla vostra
né per noi soprastiate. « V
voi che per noi
alcuno,
anzi
brigala
giovane cavalieri, questo udito
per
la
Il
mano prendendo,
o
l'ozzolalico
con chiesa prioria
(
piviere dell' Imprunula
nel
secolo
XIII
giiispadronalo
:
di
la
contiada
,
prima del
questa erano patroni
vescovi di Firenze (piindi
i
passò
nicnle nella casa
PoKgìolalic»
S. Slefano),
e loro
sanza altro
nei
parrorcliiani
e
il
final-
Ricci che coslà possedeva
una
<;randiosa villa con vasta tenuta e cascina. Repelli
Diz. geoRiaf.
ti)
Starcbbo lune ndilo.
94
dire denlro dal giardino
li
menava:
onorevole compagnia Iròvaro e da loro con molla festa riceiìli,
facendosi ciascuno incontra di loro,
lietissimamente dicieno: « Questo è
a noi sonmio piacere, che voi la buona
fortuna fatto sì v'abbia venire, sperando con voi il giocondissimo tempo
là
dove
la
passallo e godello.
dando
«
E
eilino raguar-
parendo loro quesla raunanza
di tanti valorosi e famosissimi uomini
quasi uno impossibile, così dicieno;
A noi non è questo sanza singulae
•'
rissima grazia, ritrovarci in lanto collegio,
parie
dove noi non sapiamo
potersi
radunare
tali
in
alcuna
nò tanti
venerabili e preclarissimi padri, rjuinli
al
presente
per
la
veggiamo qui ritrovare;
qual cosa noi pensiamo che per
eletto diporto fatto l'abbiale, che certo
altro luogo più
commodo,
più dilette-
vole e grazioso trovare (non)
si
po-
trebbe che questo, per molle e molle
anzi infinite ragioni. Il perchè, non
vogliendo impedire
piacerà lasciarci ire
i
vostri piaceri, vi
a
nostro viaggio
,
!3r>
e
(Jiirci
liceiiz;!.
prestissimo
rispoiulL'ii
comando che
»
:
sedere per
a
Miirsilio
ii);icslro
Il
Io
voglio e
lo
presente
voi vi pognate, e dapoi di voi dispor-
remo quanto
grado
a
ci
(ìa
né ma-
;
raviglia abbiate che così vi dica, im-
padri e
io n'ò dentro
mura, datami da questi miei
fratelli. Il perchè omai aleii-
dele
ubidire
però che piena autoritate
a queste
a
e
cosa che
a
noi
a
repugnare altremenli faccende poco di loda porlare ne potresti. « E così lacetle il
maestro. Rispuosono prestamente
due famosi cittadini eh' eron pronti
piaccia
(non)
volere
:
i
,
e
quivi
e
ogn' altro luogo
in
ubidire; e ponendosi
a
tavano che altro comandato
già
concependo
t'accendo
la
ciascuno
porre
Biagio e Mallio co' loro
la
compagnia
in n)ollo
si
come
cosa
loro
sedere aspet-
a
fosse,
era.
E
sedere
molli
tutta
sollazzo tenic-
no, faccende) di giorno in giorno più
maravigliare chi conosciuti prima
ro imi)
avicno.
Il
lo-
perchè, sperando
udire qualche piacevole e sollazzevole
iKivellclla, fu
comandalo
a Mallio
die
preslamente una ne dicesse. Mallio
sopra di se
elle dire li convenia
stando così rispondea " Io ubedirò
,
,
i
:
comandamenti, protestando che,
se il dire mio tedio generasse, che ne
imperò che io
volea essere scusato
nel dire non sarò dotto altrementi che
che nella mia novella
si fosse quelli
con uno grande signore si facesse.
Per la qual cosa io con più sicurtà
vostri
;
,
la
novella comincio.
«
nostro
vane
vole,
(1
)
E' fu in questi tempi
il
quale ancora
(-2)
(li
mondo
fiorentino
in
vita, capitò
speziale; e
si
uno
gio-
piace-
assai
chiama
iVo/'r»
andando per
lo
più parti civanzando sua
Osteriehi nella
in
Magna
una terra che si chiama Vienna e
(jui sogiornando alcuno di, avea vaghezza di vedere il duca, imperò che
a
I'
;
avea molto sentito nominare a Vie a Padova. E sendogli detto
neqia
(I) .Xovelln
(ì)
iti
PunO mi
Maino. Nola
codirr.
;iUa niaiginc
è
97
dall'oste suo
va
in
domane
duomo,
;
Se
«
tu
vuoi vedere
il
danialtina a udire messa
vedrai, imperò eh'
e lui
suo costume
dì delle feste stare in
il
chiesa all'uficio divino
onde pre-
»:
stamente andatovi la mattina vegnente e essendo già in coro il duca solo
su alto, e Nofri che lui non conosciea (imperò che elli avea per suo
vestire
mattina
quella
uno frusone
sanza alcuno segno di cavaliere o di
signore, quasi
come
se volesse caval-
care, detto r uficio), a lui s'acoslava
compacominciò cosi a dire: «
gnone, quando verrà il duca? non è
ornai 1' ora del suo venire
che
elli
e
,
è
cominciata
la
messa?
A
»
cui
il
duca così dicea, riguardandolo in viso
e parendogli italiano: « Perchè ne
domandale
voi
,
gentile
uomo
?
",
lombardo, che assai convenevolmente pratico n'era. Nofri udendo parlarlo in tal forma più prese di
sicurtà, stimando (juelli essere lomjtarlando
bardo,
e
vaghezza
cosi
li
innanzi
rispuose:
che
io
"
mi
lo arei
partissi
7
98
però ve ne
duca dicea
vedrete prestamente, e se e'
di questa terra vedello, e
domandava.
f
Voi
v' è
il
A
>'
?
A
^
velle io ò
,
e
voglioniene
ma prima
Firenze,
No-
disse
cui
sono fiorentino né
lo
»
:
novella alcuna e che an-
faccende
fri:
il
piacere, ditemi donde siete
in
e se avete
date
cui
essere
no-
altre
tornare
a
Vinegia
a
comperare certe niercatanzie del
Ora colla buona
mio mesliero. »
ventura », dicea il duca « e che me
e
-i
è
stieri
«
speziale
è
stieri
questo
vostro? » A cui presto riCompagnone, il mio me-
il
spuose:
venga
allo
verrà
a
eh'
l'
ma
;
lasciamo stare
quando credi
,
ite
tu
missa
è
:
uficio
di
chiesa
istufa a' vinazzarsi
,
mi
e'
debba avere poco
elli
che costui
uficio? Io credo che elli
forse
il
pare
capo al-
elli
è
con qualche sua
in
fe-
perchè tu vedi comunemente
inina
che questi tedeschi non vogliono altro
;
fare che
chè
io
tare.
"
bombare
credo eh'
Il
io
e lusuriare.
il
per-
potrò troppo aspet-
(luca questo
udendo cominciò
99
a
sorridere e dilli:
«
Gentile
uomo,
non puole per certo fallire che voi
non lo veggiate imperò mai manca
<
quando, o quando
sua venuta. »
per certo delle due cose è
aerai
r una: o elli è un dolce puchiozzo,
o olii de' essere ebro coni' un torci-
e'
,
—
!
feccio
più
»
Nofri
,
diri.
altri
a
I
lui
rispondea con
che questo
famigli
vcdieno forte si maravigliavano, imperò che di costume non era del duca
così ragionare all'uficio; e immagiiiavansi
vegendo
lui
ralegrare e cosi
l>iaccvolmente parlare, che Nofri fosse
un grande maestro e lui fiso raguar(hindolo e ragionandone insieme, Nosi maravigliava questo veggendo
fri
" Chi sono coloro
e al duca dicea
;
:
colà
?
scioni
o
,
e'
deono essere
che pare che mai
i
dolci pe-
vedessono
persona crederebbono ellino che noi
mettesimo corna? de vedi ve', che
non fanno altro che borbottare. Son
eglino de' famigli del duca?
;
100
(I)
"
credito,
à
ci
scopatori
non
se
chi
dalli
è
perchè noi siamo adiesa da chi, che non
sono altro che gabbadei che pure
ieri malina fu trailo uficiale di graIro,
il
;
e dio
il
,
scia a un trailo e capitano della compagnia d' Orlo Santo Michele Lapo
della Croce oliandolo, che pure ieri
vendea
come
ne
panico.
le frittelle al
tosto
Or pensa
stiamo, Berlo mio, andian-.
noi
Ungerla
in
a
starci co' re
e lasciamo qui questi vituperi.
"
udendo More
lui
sentendo da
Berto
che
paese era grasso, e non avendo di
che vivere qui mollo, diliberù fare
e
il
ciò che a
faticoso
dere
..
More
gli
piacesse, avenga che
fosse
il
diliberarsi per-
campanile di veduta. E disse:
il
More, dapoi che
tu diliberi d' an-
dare a Giovanni tuo in Ungerla, io sono contento di venire teco ma pure
;
(I)
parie
Manca
della
Snnaglina
foglio.
;
la
line
segui-'nli!
il
della
clic
vii-n
novella
cil
lacconlata
una
d;il
Ms. difclla evidenlcmenlc d' un
101
come
ni
ragionarmi un poco,
vorrei leco
io
vi
e'
mo
(li
vive.
si
presente,
ma
Non
fliciamo più
desinalo die noi are-
parlerenne
apieno, che
saremo
migliore voglia e inlendereinci
sieme.
"
Or
"
mi piace
il
rosi finendo
sono
a
su
»,
tuo consiglio'da
i
in-
disse More,
fallo.
e'
«
E
loro ragionamenti giun-
Monbellozza fuori della porta
al Prato, e quivi fallosi fare
il
cavo-
ebbono la cipolletta, e prima
mangiando uno pezzo d' erbato col
marobio desinarono con buona consolazione, avendo continuamente del
suo buono vino. E mangiato che ebbono se ne andarono un poco al soIcllo e
lizio e cominciarono a ragionare da
senno d' Ungheria, e più e più cose
dicendo di non meno aviso che farsi
grandi maestri. Berto un poco caidetto cominciò a millantare e a dire:
" More, de, andiamo
più tosto che
possiamo, eh'
noi
in
i'
fo
bolo
a
Dio, che se
vegnamo là a salvamento, che tu
poco tempo mi vedrai uno grande
maestro:
io
mi
lascerò
crescere
la
10-2
barba e sempre porterò meco arco.
Andiaiine tosto.
A cui More rispoiidea « E' iiii piace quanto di'; egli
1'
:
buono
èe
due
modo
rortzini
truovano, per
in
bor^o
ai
Caval-
faremo motto
e
lina che truovi
mo
andiamo
ciie noi
San Lorenzo,
,
noi abiani
ciie
che
migliori
i
in (Ino a
Bologna.
>
si
Ber-
to subito rispondea: « Or qunndo vogliamo noi andare? non sarebbe me-
glio a to' gli da Agnolo, che
avere
"
Do
,
bestia
t'intendi
»
Firenze
il
More dicea
queste
di
che sappi che
procaccino
,
'1
cose;
suole
li
migliori? andiamo a
lui. •
—
tu
no
<•
,
voglio
io
Cavallina è fuori del
migliore cavalcatore di
andare a Agnolo
che pare uno gabbadeo. De lasciati
governare a'feci (1), e siamo mossi il
di dopo a Santa Maria Candelaia, ch'c
e tu vuoi
,
!
martedì.
(I)
Il
•
II
Berlo
li
senlimento
ó: lasciali governare a
somiglianza
coli' usala
rispuose
di
me
questo
die
r
•
maniera
,.,li,..
di
167).
(?j
di din^
enunciare un
i7
fu
(Cloni. Novelle di Giraldo
pag.
Orsù,
«
feci. Ila ino ta
(Irfunlo colla parola fu, dicendo
dre oc.
:
modo
mio paGiraldi
.
103
facciamo quello che vuoi
che
tu
t'
;
mi pare
e'
meglio di
intenda
queste
E partirnsi da Moiibellozza, beendo prima un trailo dopo queste parole, e venoro in borgo,
e dal Cavallina acattarono due roncose
me.
di
•
zini per io di deputato
e messosi in
punto ciascuno di loro il meglio potè
o seppe, portando ciascuno di loro
solamente uno caraiuolo, dentrovi la
sua capellina di notte con non molta
pecunui, e saliti a cavallo preson il camino verso Bologna e giunti finalmente
ono a riposarsi dicendo ....
(I) e acozzandosi insieme con
More e Berto e ciascuno le sue fatiche dicendo
finalmente il vettu;
,
,
,
diliberò co' lloro
rale
gheria.
E
ragione
sono
ri[)osatosi
coli' oste,
cammino;
in
la
la
e
girne in
mattina
si
in
,
Giara
assai
felicemente,
no preslamente prendere
(I)
Il
foglio è
mi-
ultimamenle giu-
gnendo a Vincgia montarono
uno legno che ponea a Giara. E
a
Un-
notte, fatto la
il
su
giunti
brigaro-
cammino
slraccialo in fondo.
104
verso Buda, e cosi l'ero. Giunti a Buda
furono lietamente riceuti ila Giovanni nipote di More, e ragionando
di molte cose e di noviladi che avieno
vedute co' lui e con altri fiorentini
che quivi erano, disse Berto: « Che
dire?
giova a
non
io
arci
mai cre-
duto, se io no l'avessi veduto,
grande
il
Che mai
fatto più
si
d'un
vedesse,
non oso dire per maraviDissono que' fiorentini « De,
Berto, qui ci cape ogni cosa. •
quale
glia.
»
:
dillo,
Berto, che
si
rispondea
«
ciulli
consumava
Io
Dapoi
volete.
samo
:
il
il
in
qua
ciie
mare, noi abiamo
piccolini
di
dillo, così
poiché
dirò
noi
voi
pas-
trovali fan-
cinque anni
sei e
che l'avellono ungheri, che a chi gì' inuna gioia, e
nostrali di
tende è
i
tempo non sanno apena parlare
al nostro modo. E' deono avere trojipo
buona memoria che io per me mai
non credo aparallo che traile barbe
e quello mi pare la festa de' magi. » More prestamente non aspettando ch'altri dicesse così sogiiinse:
quel
,
;
lor.
«
dice
Elli
vero,
il
me mai
per
io
r arci credulo. Io mi credea che la
Cosina mia cosi linguacuila fosse pure
buona memoria, ma ella non sa
none parlare noslraie e punto di
Giovanni, che udia
questo non sa.
di
se
»
cosi dire,
si
maravigliava della loro
ignoranza e sempricitade e guatavagli
sanza altro dire. Berto, paren-
fiso
dogli non essere creduto, dicia:
corpo d' iddio che
lo
vanni mio, nolli
»
Per
è così, Gio-
elli
a' tu sentiti ?
«
Quelli
fioren ti ni (che) v'era no,(com incelarono
a
(ri)dere e trarre piacere del ragio-
e non volieno turbalii cosi
da prima come meritalo arieno. Onde
nare loro,
dando
sollazzo
.
vegnendo
sonno, andarono
dapoi
suo:
mo
la
"
di
mattina disse More
Giovanni mio, noi
vedere i' re de
,
;
—
veggiamo
or dove
Giovanni presto diceva
il
1'
al
ci
«
parente
struggia-
fa
ista
:
ora del
Venuto
posarsi.
a
che noi
egli
Voi
?
«
noi
potete cosi tosto vedere, imperò che
elli
«
è all'Isola e
Che
è
1'
Isola?
non
>
è in
Buda.
diceva Berlo;
<•
..
—
or
)0(j
tu? De
motteggi
non moUegiare
di
che portino, ch'io ti ricordo
eh' io sono qui venuto per vedello.
cose
Non
sai tu
che noi
I'
abianio dipinto
De, che
potremo noi dire tornando a Firenze
che hoi non avessimo veduto il re
né vegnendo qua, che saremo (te)nuli
Firenze
in
da
tutta
la
in
mille
talora?
vicinanza belli moccico-
"? sog(iugne?)ndo
ni
v(clturalc?)
il
mio, ben sapete che Berlo favella
fra nuove ginee disse
o ..
troverovvi uno b
I
r Isola
volse
si
tu
tu
me
dicendo:
velurale
come uno
favelli
nali
si
al
se
vuoi
a
sciocco
casa
che re è questo, eh'
rebbe
in
gliaia
di
campo
Non
1)
Punii
elli
A
Non
cui
tor-
pen-
mette-
più di sessanta
cavalli?
buono uomo?
;
j
De,
eh' io per
,
voglio pure vedere.
il
tu
«
mi-
è ci vero, o
il
re
nspuosc
clic corri^ponllollt) :illo
avvertilo nella nota preoedeiile
;
:
stracci')
e pare inoltre
Ual conlcslo cke vi inanelli un intero faglio.
107
bene nel suo reame. - E
così ragionando di molle e molle
cose, slando il re co' molto piacere,
valicarono dell'ore cinque, inlanlo
eh' e' baroni tornarono da Buda,
cli'avieuo desinalo; e giugnendo alla
Elli
•
poeta
gli
del
à
giardino
vandola serrala
,
picliiarono, tro-
perchè
i
paggi
si
uno sportellino che nella
porta era e dissono come non poteno
aprire, imperò eh' era stalo loro comandato. L' arcivescovo fé' domanfecero
dare
a
chi
era
col
re
;
lugli risposto
credeano che tossono
Ialini. Onde, alquanto sopraslando e
vegendo che non s' apria l'arcivescovo disse eli' aprissono. ch'almeno
vedessono chi col re era. I pagi apersono un poco, e caccialo dentro il cada' pagi
che
,
po vidoro il re ritto con coloro e
andarono più avanti. Il vetturale, che
vedea l'arcivescovo, cominciò a dire:
"
Berto, guarda, guarda al corpo
d' iddio, che quel trugliardo di dianzi'
è tornalo arielro
a
»,
e
cominciò forte
ridere. Berto, raguardalo,
il
simile
108
11
re, che vide donino al giar1' ebbe
dino
baroni
forte a male,
parendogli dovere perdere il suo piacere ma, facendosi più apresso a lui
l'arcivescovo. More disse: «
che
gente è questa? Or noi gli vedemo
pure poco è andare a Buda. Che vanno faccendo e vengono a voi ? Vo-
facea.
i
.
;
gliono ellino sapere novelle del re?
E mentre
con
altri
li
renze
sì
parlava,
baroni
1'
•>
arcivescovo
faceno
le
debite, inginocchiandosi
revealla
presenza del re e a salutallo. A cui
il
re rispuose: « Voi m'avete tolto
la
magiore consolazione
eh' io avessi
mai, parlando con questi miei fiorentini,
e dapoi
sono suto
amici.
le
»
che voi
co' loro
More
e'
vi
partisti qui
come con buoni
compagni vegiendo
reverenze fare
si
maravigliaro, e
che prima
cominciarono a
vergognarsi, parendo loro d'essere
stali scostumatamente, immaginando
quello il re dovere essere
o quasi
isbalordili non sapieno che dire. .\'
recatosi
apoggiali
ritti
in
stavano
piede,
,
;
100
quali
re cosi diceii
il
Buone per-
«
:
sone, andate con questo paggio
collazione
ora.
dicoa che
li
a fare
e fate die
,
veggia. Ora
vi
io
buona
.in
paggio
il
desinare
eh' avete
(lesinato
andate
a
e
»
li
E cinamalo
menasse a
Luca da Firenze e facesse loro onore.
EUino isbalordili n' andarono col pagio
domandando
pagio
Il
se quelli era
che nolli
,
loro in unghero:
nite!
»;
e
«
ellino
pensavano eh'
elli
intendea
il
,
re.
dicea
Or su venite, venoUo intendendo
bestemmiasse,
e
temendo giunsono a Luca il
quale gli avea per buona parte del
tempo veduti e cominciò loro a dire:
forte
"
,
Do, pazzi ismeniorati che voi
or
non avete
siete,
vergogna d' avere
quello clic avete, villani, bestia-
l'atto
lacci
voi
?
Or
chi pensavate voi che fosse,
vi pareva essere, quando
zampettando parlavate col re? Che per
buona fé' io ebbi voglia di fare ima
grande pazzia, che sarebbe stato uno
grande bene di torre uno bastone e
mazzicatovi a modo d' asini. Andate
or con chi
no
colla
mala
veiilura
mane che
isvergognato
!
Or
non
chi diavole
vale voi che fosse?
A
da voi non
:
fiorentino
oijni
ri-
sia
creda-
De, ditemelo.
»
More rispondea u Vedi, Luca,
noi nollo avremo mai creduto che
fosse stato il re, im|)erò che non
cui
:
avea né à
ci
la
corona
pensavamo che
in
fosse
ma
capo,
noi
prete suo.
il
»
Luca, che questo semplice udia, non
potè tenere eh' un poco non ridesse.
De, tornatevi
Poi disse:
il
andate
attorno.
«
Firenze
a
potete, e non
più presto che voi
Poi
menò
li
e fé'
aparechiarc loro da mangiare; e mangiato ch'elli ebono, diliberarono tor-
narsi a
Buda prestamente; ma Luca
al re come elli
volle che tornassono
avea detto loro, amaeslrandoli della
reverenza che dovessono
che citino
no
il
al re, e
ragionare co' baroni
passo
loro innanzi
vegnate
fare,
come
dimenlicassono. Tornaroelli vegendoli venire lasciò
la
,
chinandosi
fiorentini
a
,
e
fecesi
dicendo
miei
!
•>
Icrrn co' molta
:
..
un
Ben
Ellino
verno
Ili
cominciò More a dire: « Messere
perdonaleei ciiè per buona fé' noi
non snpavanio clie voi l'ossi il re
ohe se noi l'avessimo saputo, noi
non are.mo fatto con voi sì dimesticamente. » A' quali il re dicea « Io
voglio che voi facciate co meco come
voi faciavate. » Berlo sogiunse « Messere, non piaccia a Dio, né voglia
noi vi vogliamo per re e \)ev magiore, che noi |)ensavanio allora che voi
glia,
,
;
:
:
;
fossi
»
•
prete.
»
Il
re rise e disse loro:
Non vi partite, istatevi meco. »
Or che direbbe Giovanni mio
,
pote,
rispuose
"
More,
tornassi istasera a casa
rebbe.
volta
Ma
e
noi
ci
se
«
?
Elli
io
—
ni-
non
s'adire-
torneremo un'altra
staremoci tutto di con voi
;
vogliate per questa volta che noi ce
n'andiamo. « Il re disse ch'era conlento, con questo che tornassono altra
volta; e così dal re
si
partirò e tor-
narsi a Buda. La novella fu prima a
Buda
(li
furono mollo ripresi
modi, ma citino altra scusa
avieno se non dire
"
Buono.
di
loro, e
quelli
non
:
112
buono! o die non tiene elli la corona
in capo, e sarà conosciuto? « Vedete
adunche quanta simplicità fu in quecapocchi
sti
giori.
h)dare
fie,
onorevoli
,
demenzia
la
che riprendere
padri e nia-
pare non
perchè mi
11
tanto
di
la
meno
princi-
slolzia de' tre
compagni poco intendenti e pratichi. •
E così fillio il Sunaglino la sua
—
novella con molle risa di chi quella
udia.
Dopo questo
novellare, sendo già
montato e cominciando a riscaldare, standosi alle dolcissime omcantando mille
bre la compagnia
il
sole
,
ugellelti
verzicanti frondi
traile
comandalo
,
fu
Francesco che toccasse
un poco r organetto per vedere se il
cantare
a
dell' ucellelli
per
crescesse
lo
menomasse
prestissimamente facca,
dissima
maraviglia
mincialo
il
suono
uccelli tacere, e
di
che gran-
che covidono molti
seguìo:
si
quasi
come
allonili
dapresso per grande
udcri<lo passaro; dapoi ripreso
faccendosi
spa/ii)
o
suo sonare. E cosi
più
113
il
Idi-
ciiiilo,
l'adoppiandolo, mostra-
vano inistimabile vaghezza, e siiigualcuno l'usignuolo, intanto
clic apresso u uno braccio so|)ra il
capo di Francesco e dell'organetto
larineiile
veniva,
uon)ini
li
perchè, ragionando
insieme,
valenti
i
propuose per
si
al-
cuno uno jirobema finito il dolcissimo sonare di Francesco, in questa
forma e maniera « Se uno animale
più cir un altro avesse d'arte o d'ingegno considerato che quello rusignuolo più parea intendere la dolcezza e 1' armonia di Francesco che
,
:
,
altro uccello che in quel luogo fosse.
quale
j.a
proposta
»
fu lodata da cia-
scuno, più tosto perchè dava malera
al
ragionamento, che per dubiosa che
a quelli che ciascuna parte di
fosse
filosofìa e teologia
che
la
sapieno. Fatta adun-
detta proposta, fu detto per lo
proposto che
volea che ciascuno
elli
dicesse quanto a
lui
coman-
parca. E
dato che dicessono, venne lo dir pri-
mo
clic
;i
.Vlessandro
secondo
1'
prenderò, .\lcssandro, che
ordine
in
8
gran
114
pitrle
dubitava di questo, parendogli
finalmente
l'iie
si
considerando
duslria delie formiche, de^ii
solerzia
l'
asino
e
nuto
la
e
la
cane colla uttusità del-
del
toni, così
la 'n
*api
delle pecore e de' monrispondea • A me è ve:
sorte, o preclarissimi padri,
maestri e signori
sente dimanda
io
,
che sopra
abbia
a
la
pre-
dire innanzi
a tanta sapienza, scienza ed eloquen-
za; e così farò per ubidire
dine per voi
me
si
a'
vostri
non rompere i' ordipulato. Ben so che per
comandamenti
e
dirà cosa che forse darà della
mia ignoranza sollazzo, la qual cosa
non in tulio mi dispiacerà, vegendo
voi alcuno diletto pigliarne.
E
così dico
credo che arte e ingegno è molto
più in uno animale che in uno altro;
e questo si dimostra per elTetto e
e
esperienza.
Non vegiamo
noi di mi-
intendimento il cavallo che
l'asino, il cane che la gatta o che 'I
bue? Or non vegiamo ancora lo 'ngegno che è nelle rondine a fare il
nido che '1 fanno al coperto, che
gliore
115
nella lodola, quaglia e molti animali
che
fanno per
'1
fiumane
dico di questi
molti
li
sulla
in
campi e lungo
le
E come
io
terra
?
cosi vi potrei dire di
,
molti animali. Chi potrebbe
e
considerare
'ndusljia
la
delli
lapi
a
mele ubidendo al loro
magiorc e quello seguendo? E simile
delle formiche. 11 perché, esaminando
bene tutte queste cose, io afermo, che
più arte e più ingegno è in uno animale che in uno altro tutta volla
fare
loro
il
,
stando contento
nazione.
alla vostra
determi-
»
Udito
dire d' Alessandro molti
il
e lodarono, ma pure
determinazione della
oppinione de' maestri rimanieno in
silenzo. E determinato che altri di-
il
comendarono
aspettando
prima che terminalla
cesse
il
la
dire
al
Sonaglino,
il
,
fu
dato
quale ubidendo
cosi disse:
A me
"
che
certissimo
Alessandro
à
vero.
Or non
pure
dell" uccelli
si
detto
pare quello
tutto
esser
vede tutto giorno
d' una medesima
116
spezie
aparare meglio una cosa cbe
uno
come
non
farà
celli
così do' cani e d' altri animali!'
altro, e
delii uc-
da credere quanto è detto
non potrei mai credere il contrario; imperò die io l'ò
provalo in questi giorni in due corbi
che io ò a casa, che 1' uno parla chiaramente e r altro ancora non vi
d' un mes' adatta, e furono tratti
desimo nido a uno medesimo tempo.
Che si puole adunche dire, se non
essere certissimo quanto à detto Alessandro? " E così puo?e sileiizo al suo
Dunche
essere
è
vero, e
dire.
Biagio, che s'era fatto innanzi e
riguardava
moli»
fiso
il
?onaglino
come grande vdonlà avesse
sponde'gli, cominciò
lare
come
se
il
capo
di
ri-
a crol-
beffare ne volesse
;
e
questo vegendo il proposto, li comandò che dicesse quello che a lui ne
il
perchè ubidendu così prestamente dicea:
a Io ò mollo pensato a quanto è
stalo detto pc' due, e come che uo-
pareva,
117
meni
inlendoiitissimi
sente mi pare
pratica.
E
clie
,
al
pre-
sieno di pochissima
a dir così
ma una
ragioni,
sieno
mi muove molte
me
dire
ne piace:
anno conchiuso, sarebbe del certo con più
arte e con più ingegno uno ape, una
formica, uno ragnoio, ciascuno di
che, se vero fosse quanto
questi nella sua opera, clie qualunclie
migliore
uomo o artista si potesse
mondo, inducendo uno
trovare
al
esempio
assai chiaro a
mio proposito;
e detto quello line intendo fare. Noi
sapiamo quanta
è
ia
fama di Giotto
diremo noi
ch'una lumaca l'avanzi nell'arte, che
dipigne al buio, e Giotto non saprebbe menare pennello sanza lume? De,
nell' arte
della
pittura
;
andate, che voi avete troppo del ton» E isghignando
puose al suo arguire.
Udito quanto Biagio aveva parlato
molli ne risono, imperò che
quello che dicea il pronunziava con
do
avere cosi detto.
a
fine cosi
,
uno modo molto dillercnle da suo
uso; e nò più oltre slimando, altri
118
consideravano 1' elTello assai chiaro,
alili del suo dire sollazzo prendieno,
parendo loro
in
buona parie dovere
essere vero (jucllo che Biagio dicea.
Il
perchè aspeltavano
zione da' n)aeslri e
il
la
delermina-
filosofi
che quivi
principato lenieno.
Consideralo adunche il proposto
suo consiglio la cosa non doversi
coniandaro al cancelpiù discutere
lieri sanza altra eccezzione che dovescol
,
se determinare
quello clie
la
verità
perchè cominciò cosi
a dire: » Perchè a ubidire io sono disposto onorevoli miei maggiori, io
era e volea.
11
,
si
dirò,
sta
conoscendo ciiiaranienle quedovere essere discussa
materia
da dottissimo filosofo più tosto che
da me. Ma pure a correzzione di ciascuno cosi a me pare prima considerare alcuni principii, poi venire alla
spressa matera. Dico adunche cosi
potenze dell'anima da molli
:
le
filosofi
sono distinte; alcune polenzie sono
naturali, alcune sono sensitive, alcune sono appetitive e altre sono
119
Le naturali sono quelle
iiiteletlive.
colle quali noi coniunidiianio co' vegetabili e colle piante
tenza
nutritiva
,
come
è la po-
aumentativa;
e
le
potenze anno gli alberi: e per
avere l'uomo ben questa, non è però
(juali
buono uomo. Le
lodalo per
sensitive
,
cioè per
come vedere,
udire, gustare e simili,
comunichiamo
noi
colle ([uali
jiotenze
sensi operanti,
li
colli
similemente per
queste avere l'uomo non è però lo
dato per buono o virtuoso. Le pò
tenze appetitive si dividono m due
imperò ch'egli è alcuno appetito nel
animali
l'uomo
bruti
nel quale
animali bruti,
seguita
e
;
non comunica
come
intelletto; e
lo
coli
che
è l'appetito
questa
.è
la
potenza intellettiva; altro appetito è
quello nel quale comunica
mali bruii
;
e (juello
seguente
tito
il
sì
colli
ani
chiamo appe
senso, e puossi
cliia
mare appetito sensuale overo sensua
lità
e non à volontà in appetito in
,
Icllettivo; e queste
(il^e
Ora
veduto
chianìano appe
si
e
inteso queste
.
1-20
polenze dciriiniina, dico cosi: coiisilo ingegno islare nelle
potenze inlellellive e nessuna jiodenild l'arie e
,
tenza inlellelliva è se
none
nell'uo-
adunche concliiudo che l'uomo
solamente à arte e ingegno: dunque nesuno animale bruto à arte o
nio
,
ingegno.
perchè
Il
falsa cosa è a dire,
uno animale bruto abbia più arte
ingegno 1' uno che 1' altro. Ora
ciie
o
ornai resta a rispondere alle ragioni
chi dice che e'
di
si
vede
nelli lapi
e nelle formiche loro opere mirabili
e
sì
ancora
simi
che
nelli uccielli e in
A
animali.
altri
niollis-
che rispondo:
di questi colali animali alla sua
spezie essere dato alcuna proprietà
e
secondo
spezie
è
mantenere quella
a
data
bisogna
la
,
il
tale
perchè
si che, essendo
formiche animali che sanza munigione per lo verno perircbbono,
viva e multiprichi
i
;
lapi e
;"i
dato
la
natura
quella
solerzia
del
provedersi colle maniere che chiare
veggono e questa tale potenza
d'anima si puote chiamare in |pro
si
:
l'i?!
;ippelilivii
(licemlo
ferenzia
come
;
e
cos'i
spezie dell! ani-
le
quando
dice che dif-
si
vede nelle spezie propie.
due corvi allora dico che
si
di
,
appetiliva
pote'nza
in
inlellelliva
tulle
(li
Aiii'ora,
mali.
la
non
(!
uno che
uno
in
à
più
valore
e
questo
altro
,
punte aveiiire per la diversità e compressione dell'organo, si che l'uno
è più atto alla potenzia appetitiva che
•l'altro.
giorno
ma
K
più
valli
e
,
il
latrabile
mordace
tulio
animali essere grandissi-
differenza
sarà
vcgiamo
questo
in
iieir
clie
perchè
,
uno cane
veloce,
più
l'altro, e così
d'ogni
altro.
Il
più
de' ca-
perchè chi
dubitalo n'avesse conchiuda, che né
arte né ingegno è in loro; e a questo
per essempro mostrare mi piace dirne uno, come die molti indurre ne
potrei. Raguardisi le rondine, le quali
sanza
maestri
fanno
i
loro
nidi, e
cosi di molti uccelli, a una forma e
a
uno modo seguitando
loro
la
natura
sanza arte o ingegno. La qual
cosa non
si
vede dove
sia arte o in-
19-2
gegno; imperò
seiile mille
prendemlo
clie,
al
pre-
innniiii e ('accendi) a cia-
scuno di lineili l'are una casa e che
l'uno non sapesse dell' altro, fatte
tulle le case, quelle si vedrebono isva,
riate l'una dall'altra; e
rebbo
si
diversa
ciiè
,
vedrebbe
questo aver-
arte
e
ingegno
ciascuno di loro.
in
Il
perchè saiiza più dire voglio conchiudere, che Biagio s'è più acoslalo
al vero che altri che dello abbia ".
E così il cancellieri (ìnlo il suo parlare.
Penilo il suo dire il cancellieri
con contentamento di ciascuno e somma loda, piaque al proposto che, innanzi che il desinare si facesse, si dovesse dire una novella
e cosi fu
comandalo con delerminazione del
;
che
consiglio,
dovesse. Per
togliele
,
cominciò
«
i'
lo
Allcssandro
dire
la
qual cosa, comanda-
la
sanza conlradizione alcuna
a
parlare
ubidirò
considerato
la
,
:
e
se
bene avessi
novella che m'acorre,
certamente sarei
suto
sanza dubbio
lt!3
sono
nella opinione, che al presente
jier
elle
dire
lo
del
nostro cancellieri:
animali bruti è natura, co-
nelli
muncmeiile parlando, e non v' è arte
né ingegno. Cimai voi udirete, solvendo il mio debito non con molta
lunghezza
(1).
Fu, non molto tempo è,
sta
in
que-
nostra gloriosa città una bellissi-
ma giovane donna non meno
che di bellezza dotata,
madonna Rie e iarda
la
;
cui
il
di virtù
nome
fu
quale dal pa-
dre maritala a uno bellissimo giovane molto virtuoso e ricco, il cui
nome
fu
Michele Pileslri
il
;
quale, di
avendo due fanciulli piccoli e una
ancor.i giovifemmina magioretta
ne morendo vedova la lasciò. La quale
lei
,
giovaiie
co'
e pudicizia la
prudenza
laldabile fine condurla;
e singular-
come prudentissima somma
menle
(1)
onestà
sua famiglia allevando,
niente altro pensando se non
([nella
a
molla
Xofclla d' Alessancirii
ciarda;
nil)iica
allei
iiiaigini'.
ili
ììinilnnnii Hi-
I
-24
cura aveva
(lola
alla
sua figliuola,
mai quella lasciando
lazzi
lei
a
o
fe:ìlc
lu-
sol-
a
alcuna parie andiire sanza
in
sua compagnia.
da
tei;iicii-
slrolla e co' molta guardia,
pen'lié
Il
mollo rilemula
si
la
la
fanciulla
era e di
lei
con grandissimo timore stava. Final-
mente, essendo Tela bene aempiuta
doversi maritare, la valorosissima
giovane donna con consiglio e opera
di;' suoi parenti a uno giovane assai
a
bello e grazioso
chissima,
si
il
cui
d'una famiglia
nome Lippozzo
lue, quella sì maritò.
lempo
mare
fare
di
il
le
anti-
Greci
E venuto
il
nozze e consum-
matrimonio, sendo
la
fan-
ciulla più e più volle
amaeslrala dalla
madre che
altro pensasse o
ella
non
volesse che fare, dire o pensare cosa
che a Lippozzo piacesse, e che da
sua volontà giamai si partisse; e cosi
amaeslrala,
si
diede compimento
nozze. E essendo nella camera
vane
colla
sua
sposa,
lei
il
alle
gio-
cominciò
baciare e abracciarla, e ella ubidiente
e
chela
nulla
resistenza
l'acca
;
e
romandalole
inente
marito ch'ella
il
entrasse nel
gliasse e
lo fece,
il
lellD
,
si
spo-
presla-
perchè siibitamenle
aniendui nel letto
furo, e
si
parendo
giovane questo una maraviglia, cominciò "a sospettare cir ella disonesta
non fosse; e lìnalmendo scudo nel
lelìo, egli dicendole ch'ella l'abrac-
al
ciasse e baciasse, sanza altro dire lo
fece;
sogiugnendo
a
lei:
«
Or abbi
piacere de quello che io fo, e sanza
fa eh' io me n' aveggia >.
E strettola e dato opera al consumare
il
matrimonio, la fanciulla, che malurissima era, cominciò a gustare la
dolcezza; il perchè veggendosi sol-
più dirti
lecitare
al
piacere, ella co' mille pia-
non altrementi faccende
si faccia una
passera o cutrellola quando sono
in amore, slrignendo con una effecevoli modi,
della
sua
zione
il
persona che
manto come
più anni islata
.
se co' lui
parca
Lippozzo che<)llr'a
si
modo
fosse
struggesse.
sospettoso
M
era, parendogli questi alti più tosto
di
femiiia disonesta che di pulcella,
126
subito
isliinò costei
vita disonestis-
sima
dovere avere tenuta
e malcontento diliberò quella non più toc,
care, né inai co'
lei
più
racozzarsi
;
da parte, sanza parlarne il
aspettava. E venuto il di prestis-
e tiratosi
di
simamente
s"
usci
si
levò,
sanza
e
,
camera
e della
alcuna
dire
cosa
molto maniconoso stava. E cosi tutto il giorno passando
vegnendo la
sera e andandosi a dormire in uno
,
medesimo
Il
perchè
gliava,
ietto, a
la
ma pure per
do non
ora e
la
,
E venuto
parlava.
Lippozzo a
fanciulla ancora, e
collazione,
cora usanza di fare a
la
maravi-
fanciulla tornava,
ricevuta
come
si
fue
dove
,
falla al
come
casa
la
la
buona
levato
tempo buona
festa
si
onestà e temen-
cosa ch'ai marito spia-
far
cesse, niente
mattina
niente dicea.
lei
fanciulla forte
è an-
madre
co' molla
quivi più
di
costume richiede. E
dapoi, vegnendo il lenyio che 'I marito rimandare per lei dovca e non
stando,
facrendolo,
il
madonna Ricciarda
gran-
i-:!7
dissima aniirazione ne prendea
nalmente
la
Irilamente
figliuola
e maniera, e
la
dicendo,
comprese
ella
fi-
esaminando
e più volle
|)ìù
e
;
d' ogni
figliuola a
1'
lei
atto
lutto
oppenione
che Filippozzo avea, conoscendo ancora in buona parte che sospetlolissimo era in sua condizione. Et presone sopra di ciò un pronto e buono
a viso, e deliberò andarne colla figliuola a
una sua possessione che fuori
della porla a San Friano si era per
non molle miglia distante, che Carcherelli
chiama.
si
soprastata
,
E
parendole
quivi alcun
il
tempo
a
di
suo
mandò a dire a Lippozzo che
dovesse piacere per buona bisogna
venire a desinare co' lei la mattina
seguente. Alita la 'mbasciata Lippozzo, come che duro li paresse, diliberò andarvi
imperò che in molta
reverenza avea madonna Ricciarda per
aviso,
li
,
la
sua
somma
scndo giunto
a
virtude; e cosi fatto,
Carcherelli da
madon-
na Ricciarda fu riceulo con grandis-
sima
festa, e
ragionato co'
lui di
molte
l'38
cose,
fiiialinciile
menava
vaUirosa iloiina
la
una finestra per la quale
e
tulio il luogo raguardare si pelea
quivi essendo aniendue e ragionando
lo
a
;
delle piacevolezze del luogo e siiigu-
larmeiite di bellissimi e larghi fossi
che
circundavano, vene una fante-
'1
sca e disse;
sapete
son
pure
mondo?
Madonna,
<•
che
la
i)iù
A
«
anetrini
gli
un poco qua,
fante
madonna
elle noi
«
li
presta andata
ca|i|)ellina gli
Ricciar-
Va, recagli
veggiamo ».
una sua
in
arecava; e moslralogli
loro, cominciarono a ragionare
dire
tura,
a
la
non
nali e
dolce cosellina del
cui
da prestamente disse:
La
o voi
son
donna
col
e
a
giovine della na-
quante belle cose fucea, e come
ciascuna cosa dava sua propietadi
e cosi
dicendo, avendo
donna Ricciarda
in
:
mano ma-
gli anitrini,
nel fosso
Lippozzo, che questo vemaravigliò e disse: « Madonna,
gli gitlava.
dea,
SI
or che fate? voi volete che muoino!
de, non
eli
disse
fate!
"
»
La
donna ridendo
N'edrà'lo leste:
>
e giunto
129
nel fosso
1'
alie a
anilrini
gli
menare
e
cominciarono
aiutarsi neil'aqua,
per maniera clic infino alla proda
nolarono sanza neuna noia o impe(limeiilo. Della qual cosa il giovane
co' molla maraviglia sopra se stava,
parendogli uno impossibile quelloche
veduto aveva, dicendo inverso la donna: « Per certo, questo mai credulo
arei s'io nollo avessi veduto, e per
certo è gran fallo a pensare quanto
natura
la
cui
n
ci
aniaestra e insegna
madonna Ricciarda
Lippoz/o
,
io
ti
parlerò
così
".
A
dicea
:
come con
caro e buono figliuolo facessi, e priegoti che vogli
di
il
mio dire udire come
tenera madre, e non avere a male
se teco con molla baldanza
che altro non
Do
fia
dirò,
i'
che tuo bene,
utile
quanta è la tua oppinione fuori di ragione e stolta ra-
e onore.
,
!
guardando bene la cosa com'ella istà,
non vedi tu il tuo onore e '1 mio e
della donna tua con quanta istoltizia
(u abbatti? Or non vedi tu quantu
(uo bene con somma vergogna di te
9
130
e di
me
na
semplicissiiiia
,
con vitupero della tua don-
e
i'aiiciiilla,
tu lasci?
Or non vedi tu (inaluienle il tuo vivere e mio e suo dolorosissimamente
per tue
apareclii
ni?
Tu
mia,
a te
lire la
ti
l'alsissime oppinio-
maravigli
se
la
fanciulla
sposa pura e d'età da senà auto
forza che dà la natura
,
piacere di fare cosa che a te e a
Or non
diletti.
vedi
lei
essa natura
tu
quanta forza ella à in ogni animale
e spezialmente intorno alla generazione? Or non sono nati l'uomini e
le l'emine per natura prontissimi a
generare, dandoci piacere e di corpo
e d'
animo
ravigli che
?
la
li mamia che mai
Do', istolto, e tu
figliuola
né udì né vide cosa altro che onesta,
sendo da me sommamente amaeslrata
che a
te
piacesse
in
tutte le
cose, purissimamente incitala dalla
natura facesse cosa che piacere ti
credesse con diletto di
desteli
e lascia
chierie, e pensa che, se
figliuola
lei.
istaro le
Ora mai
lue
capo-
disonesta
mia fosse vivida,
la
che con
131
molla arie
arelìbe
(li
nioslrarc essere pura leco
a
noscere
purità
e jieiisare e la
ubedienza
e
si
Or
tu
se'
oiiiai
debbi co-
Ut questo
che
csistiinare?
ài
Or non
fallo.
tale eia
siuiplicilà e
fanciulla
della
va e penleti di quanti)
fallo e vegli colla tua sposa come
im
conviene stare e conversare
;
però che, come vedi, le cose naiurali
male si possono tòr via, imperò che
sanza maestro o disciplina quelle
fanno. Chi insegnò agli anitrini
tare o a
uccelli fare
altri
li
i
si
no-
nidi
,
loro pulcini,
l'uova, e nolricare
altro che la natura? Or va, che io li
giuro per la croce d'Iddio che tu m'ài
data tanta maninconia per la tua
sciocchezza che sono credula moriri
ne; e se non
buono amore
mi
io
fosse
il
disordinalo
eh' io
li
porlo, io non
terrei apagata se colle
non
ti
strozzassi
,
e
e
mie mani
seguitasscnc
quello che volesse dapjjoi.
Ma
io
non
posso altro che somamenle amare
si per
oltre a ogni altra creatura
ti
,
rispetto
di
te
e
sì
ancora
per
ri-
i;V2
spello che tu se' e dei essere capo,
guida e
pcrfcltissiin.t regola
alia
mia
cara figliuola e tua legittima sposa
E qui
parole die
sue
alle
fine.
•.
Lip-
pozzo che questo udia con vergogna
niente dicea, anzi considerato un
poco la prudenza della dunna prese
grandissima maraviglia, e desiosi del
SUD errore nulla altro rispuose se
non: "Madonna, voi avete ragione,
ma per la
e non mi posso scusare
grazia d'iddio io credo fare si da
quinci innanzi
che io ristorerò a
quello clie per me erralo si èe, e a
quanto dircle e comanderete prontissimo sempre \ibidire pregando voi
clic del mio fallire perdonare mi dobbiate ». Udito la donna si dire, chiamò
la fanciulla e disse che facesse mollo
e cosi le' con mollo piaa Lippozzo
,
,
,
,
cere di ciascuno. E apparcchialo dipoi
da mangiare, con
iiiiilli
il
desinare
molte risa e
liuiro
,
andando
meriggiare colla sposa
per grandissimo spazio con grandissima consolazione, piacere e festa di
I.ippo/.zo poi a
133
ciascuno, e spezialmente delia valorosissima donna. K così fu t'aito iscredente l'errore di Lippozzo lauto pru-
dentemente
donna
con
e
modo
slimabile
piacevole
e
ini-
prudenlissima
dalla
n.
Novellato che ebbe Alessandro e
lodalo ciascuno
la prudenza della vadonna, cominciò punlaldire Messer Bartolomeo:
lorossima
menle
a
Cerio la piacevole novella d' Alessandro à fallo più cose la prima, moI
:
quanto fu la prudenza della
giovane donna con tanto bello e argulissimo modo; ancora à fallo bello
esemplo alla controversia di sopra
Iraltata
mostrando quanta forza à la
strare
,
virtù
dell'
uomini e
la
(Ili
terza
non
,
anima appetitiva
nelli
animali
forse
sa
la
;
e
nelli
ancora à fallo
non considerala da
nazione o veramente
di madonna Ricciarda. Et
che voi sappiale io dire ve
lo'nlendo, non ostante che qui inesser Giovanni lo sappia meglio di me,
orrigine
acciò
imperò
ch'ella fu figliuola di
Kug-
13»
Vccliio de' figliuoli di Riccio
gicri
il
suoi
anticessori.
che Alessandro
perchè
Il
à
veiielc
voluto placare, che,
se ragionalo fu pel Sona!;lino d'
uno
semplicissimo di suo sangue qufsli
d' una prudenlissima di quel mede,
simo
à
mendare
voluto
a
cosa
rada e
memoria
narrarci
da
co-
».
Mentre che questi ragionamenti
facensi, venia Rellino famiglio a Mes-
ser
vi
Antonio e dicea
:
«
Messere
,
se
piace volere mangiare, ogni cosa
è in punto.
e con
•
A
cui di
si
fu risposto,
consentimento della compagnia
levatosi la brigata da sedere, uscendo
liei
giardino ne girono al desinare,
e con molti motti e sollazzi desinato
che ebbe ciascuno, standosi al fresco,
piaque al proposto non passare quel
tempo sanza qualche ragionamento;
e lilialmente concliiudcndo che Messer Giovanni una novella dicesse,
dapoi che di due sue cose novellato
si
era, e cosi lì fu comandato per
chi r autoritade teneva, (inde egli
vogliendo ubidire cominciò a dire:
135
non debbo altro fare se non
([uanlo mi comandale; e scndo ragionato d' una pudica e savissima
donna, m'ocorre una novella d' una
ardila e non onesla giovane e d' uno
giovan-e ancora ardilissimo. Voi udi'
lo
caso, e
per passare
determinare cbi di
loro, computato bene ogni cosa, fosse
rete
il
uditolo,
l'ozio, vi piacerà
di j)iù fierezza e aitlacia.
—
(1)
In Napoli, delle città più graziose
d'Italia, ricca e da nobili abitata, fu
una giovane bellissima, Caìellina nomala , maritala a uno valoroso giovane,
Il
il
cui
quale
nome
avea
fu Filippello Barile.
uno
tra gli altri suoi
compagnoni e amici il quale molto
amava e co' lui quasi tutto il lempo
usando di dì e di notte, sì che a lui
non parca sanza la sua compagnia po,
tere vivere, nò poteva; e
me
Aniello Stramazzafìyli
lissimo
(I)
e
grazioso
Xovetla
Carile. Nola
al
di
di
suo noera; bel-
corpo (pianto
Cateilinn v
marsine.
il
si
ili
Filippelio
136
altro
giovane
ancora assai
amichevole.
Il
napoletano,
ma
virtuoso
sovra tutto mollo
quale
con
trementi
ramente
,
Aniello non
al-
Catellina facea e libe-
in casa
Filippello e in ogni
come sua
sirochia
fosse slata, sanza pensare o
immagi-
altro
nare
luogo, che
altro
che
costumatezza e
tutta
onestade. Adivenne adunque non molto
tempo passando
questa tanto
in
larga dimestichezza, che Catellma, ve-
gendo
e
considerando
le
gaie e legia-
dre bellezze d' Aniello, di
morò
lui
si
ina-
ardentissimamente
né altro
piacere prendea se non lui raguardare
e considerare. E continuamente di
giorno in giorno crescendo l'amore.
Catellina cominciò grandissima passione a averne, e per alcuna maniera
non ardiv* volere questo suo amore
scoprire
parendole Aniello tanto
amore a Filippello avere che con poca utilità e co' mollo pericolo laccendolo giudicava, e per questo con
grandissima maninconia vivea. Come
che alcuna volta somma e aITctuosa
,
,
,
137
Ipnerezza
ma
gli inos(r;ivn;
il
giovane
puro e fedele nulla altro pensava che
puro e buono amore la movesse
perchè ella ancora più tiepida ad alcuna cosa scoprire si facea. E cosi
di giorno in giorno con poca speranza, multipricando e agiugnendo nianinconia a maninconia, vivea. Per la
qua! cosa ella palida e magrissima
divenia, e fatta solitaria, quasi
se a spirito data
volte
ralegrare
prima gaia
e
si
vedea
si
come
fosse, radissime
essendo
,
per sua na-
lietissima
tura, parlante e iiiotlegevole oltre
a
perchè
chi lei conoscea grande amirazione
ne prendea. Avenne uno giorno che,
giovane
ogni
standosi
sola
lamentandosi
napoletana.
in
fra
Il
sua camera e
medesima in si-
una
se
lenzio né le lagrime ritenere
do,
la
balia che
dola
sì
allattata
1'
avea
;
e
vegien-
lagrimosa e cordialmente so-
spirare, a
lei
figliuola mia,
li
polen-
sopragiunse improviso una sua
volere
cotali parole dicea:
or che
per questa
ài
«
tu? de. non
maniera
ucci
138
derti
£;uaslando
,
insieme
colla
la
iiiovinezzii
Ina
tua bellcz.za.
porta bene Filippello
?
Or non
me
a
si
pare del
che non abbia altro bene die
parmi clie grande maninconia
abbia di questi tuoi modi- Or
certo
le
e
olii
dimeio quello che ài nò da me li
guardare, imperò che e' non è cosa
che io non faccia, o da me o da altri
che tu abbia bisogno e sia come o
quale si vuole o piccola o grande.
,
,
De, non volere tenermi
nascose
!
Tu non debbi
non
le
voglie tue
cosi fare.
Or
me, di chi ti fifigliuola mia benedetta? Or
derai
non sai tu, che altro bene clic le io
se tu
ti
fidi
di
,
non ò ? Or su, dò, vogli tosto <llrmelo. » Udito questo elTettuoso parlare Catenina, e parendole di lei pò
tersi liberamente fidare, soprastata e
alquanto con profondissimi sospiri
così
cominciò
rissima
a
dire:
madre mia,
io
singula-
»
mi muoio
e
morire, perchè io il merito,
imperò eh' io sono inamorata del più
voglio
d'udele e inavertcnic
uomo
che viva.
130
pure e così, e non
posso vivere
non ami né die a lui io
E la consolazione che io
di lui spero si è come essere inamorala d' una stella del cielo, che non
che
io
non
pensi.
lui
ne puoti avere altra consolazione che
me;
vcdella.
E
chè
ò diliberato volere
io
così incontra a
più non vivere.
E
pere.
"
sto
facendosi
,
Né
tacette.
La
figliuola mia,
e
balia udito que-
sua
faccia
aldace, e cominciando a
veresli
per-
altro vogliale sa-
nella
capo, così dicea:
il
morire
"
or che
islolta
di'
tu';'
pure sapere che
piii
crollare
a
il
e dolce
Tu
do-
ogni cosa
rimedio eccetto eh' alla morte. Or
diresti tu se una mia amica il
farà più lui di le innamorare che tu
di lui non se"? pure che tu gli possa
dare a mangiare alcuna cosa. Dimmi
à
che
adunche chi costui è che ti dà tanta
pena ? " Gatellina che questo udia cominciò un poco di speranza a avere
e disscic: « lo vel dirò, né cosa che
sia
me
vi
debbo occultare
,
che
io
per
più non ispero e vogliomi morire.
liO
Sappiale
clii
io
sono
si
è Aniello Stramazzali£?li,
ama
quale
quelli di
lite
inip;izzala
lauto Filippello e
olii
il
lui
quanto voi sapete. La qual cosa troppo m'è noiosa, imperò clie per questo io non potrò mai avere cousolizione di lui. Onde oramai, madre
mia, vedete come io sto. » Udito questo, la balia prestamente le dicca:
« Figliuola, non ti sgomentare
anzi
li
conforta, imperò die io li menerò
domane madonna Fiondina da Poz,
zuolo
bene che ella farà ciò
vorremo; e sappi ciie e' non
grande odio tra due che in meno
tanto
noi
clic
è
quale è tanto mia amica e
(t), la
vuoimi
si
d' otto
con
dì
zioni eh' ella
namorare
1'
dell'altro.
E
Non
ti
sue medicine e ora-
noi levi via e facci in-
uno ardentissimamente
vuo' lo tu bene vedere?
ricorda die Bo/fiUo Caraccio
non volea nò vedere uè udire Damiana sua donna? anzi le dava tanto
mala
1
vita
11
clie
Coli.:
era una croce, e sai
l'i^zzuolu.
l'il
cir è
quiiiili)
g;iia
né in Nilo
à simile
oggidì Bortillo non
lei,
e à paura che
(1)
ù'
li
non
o Gapovana e
altro bene ciie
fresca die
e
;
uccelli dell'aria
non gliel tolghino e è si geloso che
mai non si parte da casa. E questa
medicina non fece se non solamente
con una orazione e uno cuore di
E
sappi che in cotali cose ella
à le più
benedette mani che creatura
talpa.
che viva; e come di costei fé', di
molte e molte ti potrei dire eh' ell'à fallo, ma queste cose non si sanno
perdi' elle
si
fanno sacrete
;
e tu
non
ne dicessi nulla a persona di questo,
falli tuoi e
imperò che guasteresti
lei
faresti danno e onta. Or su,
a
figliuola mia benedetta, confortali,
ch'io ti promello alla croce d'Iddio
i
che e' non passerà otto dì che Aniello
impazzerà di te e arai il più bello
(!)
cliiesa
Codice: Xiilo, La slnula
Saul' Angelo
Napoli; e
la
nosciuta per
(la
Majaiin.
a Nilo
Milo
p.
la
csislooo lìnora a
porla Capitanti (Cnpovana) è coi
bassiriliovi
allnlmili a riiulinnn
142
tempo
poi
avesse mai persona.
eli'
partitosi
la
minando ogni
minciò
lei
balia
,
»
Da
Calelliua esa-
loro ragionamento co-
avere tanta speranza, che a
parca ogni ora uno anno che
a
soprastava
venire con maVenuto dappoi il dì
seguente, con grande sollecitudine la
balia menava come promesso avea a
donna
la
balia
l'iondina.
Catenina madonna Fiondina da cui
ella fu con una buona e lietissima cera
,
riceuta
soprastato alquanto,
e
;
mamente
la
balia
donna Fiondina,
la
quale
intorno
in
cosi dicea:
ulti«
Ma-
voi udirete Catellina,
voi à
somma
sua bisogna;
speranza,
priego
per suo e per mio amore ch'ella vi
alla
io vi
raccomandala, imperò che grande
bisogno ella n' ù. • Udito questo madonna Fiondina colali parole dicca
rivolgendo il parlare verso Catellina
"
Figliuola mia, non temere e contortati, die io li prometto che tu prestamente arai grande consolazione di
quello che tu disideri, imperò che
Damiata tua balia m' à detto come
sia
:
i4n
imianioiMtii
tu
gelalo
sia
clli
se'
amore verso
sanza
e
le.
Aniello e che
tli
Or
dilellcvole
adunche
fa
se
,
lu vuoi ch'elii sia passionato ai pari
mangiare
di te, di dalli
io
cose che
le
dirò uno venerdì. Abbi uno cuo-
ti
uno di scimmia e
uomini e due foglie di
morlina, e fanne quello mangiare che
ti parrà più abile, dicendo a ogni una
re di talpa viva e
due
bellichi d'
queste cose tre volle questa ora-
di
che io V ò iscritta in questa
E datogliele a mangiare, fa che
non ti veggia per ispazio d' ore
zione
carta.
elli
dodici, e poi
dalo
ti
manifesta a
guar-
lui e
immanlaneiilc
salutalo
e
;
tremolo allisandoti dirà parole che
t'
asicurrà
niente
parlargli:
dicesse, tu
ti
pure
elli
la
se
lo
vedrai cam-
per opera
di te infiammato.
che
le
elli
mo-
sua passione; e finalmente
non potrà vivere
dimostri
elli
e
bialo e sospirare fortissimamcnle,
strando
elli
cose e
Or
non ti
non sia
d'avere adun-
eh'
eh'
fa
s|)acc.iali,
questi tormenti scampare.
elli
elli
se
»
vuoi di
Galellina,
ogni cosa avea bene notalo e
clic
ceùla
cora
,
ri-
orazione in nna caria di peraccendo collazione insieme e
1'
ragionando inlorno alla nialera continuamente per grande ora, rimagnenJo ultimamente sola pensava d'avere
tutte le cose delle; e quello che più
faticoso a lei parca era
l'
uomini.
i
bellichi del-
Ma essendo venuto,
di
il
dinanzi a questi ragionamenti; che
mastro giuslizieri avea
ne
e
giustizia
di
strada, e Calellina
il
fallo esecuzio-
qualro ladroni di
avendogli veduti
andare alle l'orche, pensò eh' ellino
potessono fornire la faccenda; e non
fidandosi di persona alcuna, prese ultimamente partilo d' andare ella per
quelli bellichi, e cosi prestissimamente
diede ordine
a
fallo.
E
la
notte
gnente, scndo Filippello Barile
veito
a
sue possessioni di lunga, ella usci di
casa e ginne verso il luogo della giustizia,
nella
lo
il
qual luogo è in sulla marina
stremila
inlorno
del mare.
della
eccetto
città
e
che dalla
muraparte
Entrala dentro dal luogo,
145
montata su
cominciò a tagliare i! bellico a uno;
e tagliato e ripostolo in una borsa
che avea andò all' altro e mentre
che ciò facea, avenne che la luna si
scoperse e dove prima era la notte
scurissima, parca dapoi per lo tempo
purissimo che di fosse, il perchè ogni
cosa da lunga assai si scorgea. Adivenne fortuitamente che uno gentile
omo giovane e galliardo, tornando da
fare sue faccende di notte per lo fresco da uno suo casale a Napoli solo
in su uno poderoso corsieri, capitò
scndovi
scala, Catellina
la
,
presso
al
;
luogo della
iustizia, e
come
sovente adiviene li ochi si dirizzarono
inverso le cose spaventevoli
e ve;
veduto una forma che viva li parea ebbe grandissima amirazione, pensando come
o chi si fosse quelli che 1' impiccali tentennasse o movesse. E fatcrescendo la voglia più
tosi innanzi
duto
1'
impiccati e
,
,
vedere, come che alcuno arricciamento di capelli in lui fosse
pure dicendo infra se: « Per certo
del
,
10
146
questi
mo
;
elli
se
elli
il
fine;
dere
dimonio, o elli è uodemonio, io voglio vese elli è uomo, per cerio
è
è
vedrò quale
io
fare
terribili
si
o diletto
utile
cose
come
il
lira
è questa,
andare la notte fra li 'inpiccali ": e cosi
dicendo in fra se spronava il suo
cavallo. La giovane donna ciie tutto
senlia e vcdea, temendo non essere
scoperta, diliberò prestamente d' im-
paurino, e scesa della scala e scapigliatasi e in
modo d'una
furia infer-
ne già verso l' entrala che
dovea potere fare i' giovane
che
voglioso spronando il cavallo venia.
nale
si
,
E
ella
più presso da
terribili
voli, ora
lui con islrida
insieme con urla spavente-
gìttandosi
ora saltando per
che
il
cavallo
impiccati, e
si
si
1'
per
per
quasi
aria
lo
li
,
in terra,
tanto facea
spavento
delli
modi
della
fieri
donna non volea più avanti andare,
anzi sinistrando indietro
si
rivolgea.
prendendo velocissimo corso
giovane ballendolo
;
ma
il
delli sproni e ri-
volgendolo più e più volle verso
la
,
147
giovane donna co' molla falica, non
possendo più il cavallo resistere, si
fece avanti, e
gnendosi
la
preso uno salto, poal petto, verso la
bocca
donna n'andava; e
la marina
duto verso
questo ve-
ella
fuggia, e gitta-
dentro, diliberando d' afogarsi
tosi
giovane pur seguendola nell'andare ella sotto dell' aqua la prese
e
il
,
per li capelli. A cui la donna con
dolorosissima voce dicea « Troppo
:
de, lasciami annegare
per piata e per amore di chi più
il
giovane che questo udia
ami.
rispuoso: » Per certo io debbo sa-
m'
ingiurii
,
•'
pere chi
parere
fandosi,
do non
parc
:
tu
»; e
«
li
se',
e
poi ne
fa
il
tuo
tirandola su e ella attuf-
dicea finalmente, veg^ien-
potere
Dapi)oi
delle sue
che
mani
sca-
tu vuoti sapere
io sono, io tei dirò con questa
condizione che tu mi prometta sopra
chi
la
tua fé niente
A
cui
il
mai dire ad alcuno.
giovane pienamente
il
»
prò-
1/iS
mise, e saramenlo fallo qucslo
tenina
non
fé'
si
1).
Ca-
su e lirossi dove aqua
era, e asseltalasi
capelli colali
1
Ora sappi se la mi
conosci. » Allisalala e bene riguardatala, prestamente il giovine la conobbe e forte maravigliatosi così le
parole dicea:
dicea:
i
Or die vuole
"
madonna
dire questo,
Calellina? quali nccessitadi
o voglie v' inno qui condotta o per-
chè? A
che
me
me
niate se io
io
per
pare sognare;
me
mai
voi qui essere.
1'
amore
a
fare
mente
io vi
pricgo
ancora mi perdov'ò troppo molestala, che
lo diciate e
e
arci potuto
—
«;
pensare
Efrenio mio,
"
non odio m'
questo
ella
»
à
condotto
narratoli
e
ogni cosa
,
Efremo
final-
forte
maravigliava dei feroce proponimento della donna, e per cagione che
si
singulare amico era del marito: « |>restamente montatemi in groppa, che io
rimenare vi voglio a casa >, dicea,
(
I)
Qu:ilcosa
siirampiilii.
manca
:
n se no
forse
fililo
avrebbe da
ili
<]iicslo.
di
a
149
«
riccio
die
ninle
iiituppo
voi
non
danno e vergogna.»
montava, e preso la
via verso la terra, sendo la giovane
grande e bella e in una cotta di seta, e
le sue carni lattate per sì fatta maniera
che vincieno le tenebre della notte,
apparea una miracolosa cosa a vedere. E essendo giovani per la via
per prendere la frescura, veggiendo
Efremo con questa giovane in groppa, lui subito conoboro, e con certi
fischi, e elli a loro rispondendo, non
ardirono al nobile giovane altro dire
o fare, come che grandissima voglia
avcssono di sapere chi la giovane
«vessi, ricevendo
Onde
ella presta
era, parendo loro eh' ella fosse olir'
modo
E
passando a'
e sendo
presso a casa la giovane, e scesa da
cavallo, s' entrò a sua magione. E
venuto la mattina seguente sendo
fatti
bellissima.
loro
ciascuno
così
ne già
;
,
alcuna festa per
denominato
tutti
i
lo re
dolio
gentili
Carlo Secondo
ordinata
uomini
dove
,
e giovanaglia
nel luogo d'essa festa radunata
si
era;
l'ìO
iiilPii'
essendovi
(inali
il
valoroso gio-
essendo co' molle parole e ardeiitissinii prieglii da chi lui
avea la nollc veduto stimolato ch'clli
vane Efrenio,
dicesse loro
h
che
e
clii
notte
era tanto bella dama,
passala in groppa avea
afermando che mai più
dama
tile
negando
gabbava:
di
quella
si
bella e gen-
vide
;
e elli
con gravezza la dimanda
il
re sopragiugncndo improviso domandò: «Che controversa
e
voi ? » Fu risposto per uno
Monsignore, noi non abbiamo controversia alcuna, né altro volevamo
da El'remo se non che elli ci dica chi
era una dama delle più belle che mai
avete
:
"
si
vedesse che elli ijuesla nolle in
groppa avea, e elli dire no'i col vuo,
le.
"
re,
Il
che
e volentieri di
lieto era di
sua natura
donne udU»
,
a
lui
si
E perchè noi di"? Dubiti tu
ch'ella non li sia lolla, sendo lu
bello come se'? Io non voglio che
eie lo disdica.
A cui Efremo rivolse:
"
spuose:
il
»
Monsignore, ellino dicono
vero; e per certo ella è bella crea-
151
è,
ma
sacramentato e dato mia fede
ò
io
volentieri direi chi ella
e
(lira
niente
dire; e
certo, se
non rompendo fede
resli
il
potessi
io
dillo
,
voi udi-
più fiero caso e strano che
mai si facesse. " Udito il re questo,
cominciò averne ardentissima voglia,
e per la mano preso Efremo e tiratolo da parte cosi dicea: » Tu dei
sapere che tu non puoi né dei a mie
ragioni derogare per tue promesse
e per tanto io tei comando che a me
lo dichi
e questo iustamente fare
,
,
tu puoi.
Adunche
gio.
giovane, veggendosi .stretto
«
Il
dillo
sanza indu-
per lo comandamento dello re, diliberò dillo, come che ancora volontà
grandissima n'avesse; e cosi fé' puntalmente quanto avenulo era e come
la cosa ebbe principio, e il consiglio
e
I'
aiuto di
madonna Fiondina.
qual cosa grande amirazione
il
Della
re ne
prendea; e parendogli che male fosse
a lasciare vivere si fatta malifica, fé'
col suo giustizieri che
dina
sanza
madonna
Fion-
vituperio di Catellina fu
152
E
arsa.
cosi finirò le
fatture per
lei
delle e ordinate.
Oniai
"
avete
voi
udito
caso
il
Efremo; piacciavi
dire qua! di costoro ebbe magiore
audacia, considerato bene ogni cosa:
e pongo siienzo al mio dire con buona grazia e di voi, venerabile donne,
di
Catenina e
e di voi,
di
singularissimi padri e fra-
«
telli.
novella di messer Giogrande maraviglia
chi
giudicava per la giovane donna e chi
per lo giovane, e cosi per grande spazio stando, ora dimostrandosi
quanto più è fragile il sesso feminino
che '1 maseulino e per consequente
era più amiralivo 1' atto della donna
Udita
vanni
la
con
,
;
diceno che elli era vero, ma la
donna sapea quello che la inducea
amore a fare; ma il giovane uomo,
altri
a cui era
il
fine
dubbioso e voglien-
chiarire per vedere
il
vero solamente conoscere, tanta franchigia
d' animo mostrando, ciie per certo
avanzava. E cosi la cosa in mollo
dosi
153
proceden
litigio
1'
convenevole per la calura a
camere, fu diliberalo per
ora
girsi
perchè, sondo già
il
;
alle
non disputarne
quella ora più
ciascheduno
darsi
fatto
si
a
posare
:
e an-
e così
lue.
Venuto dappoi
il
tempo del fugnemico
gire lo tanto a nostra natura
e velenoso ozio,
padri
clarissimi
e
camere
tutti
finalmente
nel
delle
e
valentissimi e pre-
i
maestri
insieme
si
giardino alle
ombre ne gièno;
schissime
uscendo
trovaro,
là
fre-
dove
con molta consolazione e motti piacevolissimi e laudabili sollazzi stando
cosi
alcuno della compagnia a dire
cominciava: »
reverendissimi padri
voi vedete che le donne
e maestri
,
,
ancora
nelle
loro
camere stanno,
il
perchè, considerato che di rado adi-
viene che in
singularissimi
sì
,
piccolo
numero tanto
espettabili
,
famosi e
preclarissimi in ogni dificullà uomini
insieme trovare si vede, e ciascuno
per lo tempo frutto fare si dee a
,
me
|)arc,
con consiglio sempre e buona
154
piice
(li
chi
il
principato
voi
fra
insieme di ciascheduno a me
reverendo e maggiore, che a voi piac-
(iene e
cia
non tanto
ma
utile e particulare: o del
vere
dell'
intorno
lo dilettevole e
comune,
ben vi-
nomeni secondo virtude
allo
esercizio
de' beni esle-
della nostra republica intor-
rfori,
no al governamento cittadinesco o
veramente pollitico qualche buona,
utile
e laudabile regola
Sospesi
tulli pel
buono
si
dia.
»
—
dire, e Biagio
fiso riguardando con alcuno gesto
molto amirativo chi detto avea fé'
un poco muovere alegrezza il maestro Luigi col cancellieri, conoscendo
più la sua condizione e maniera; e
prestamente a lui dicieno: « Biagio, noi
chiaro veggiamo che tu gusti questo
consiglio bene coni' altri che qui sia;
adunche con buona licenza del pro,
posto piacciati dire quale
li pare più
meglio nel nostro ragionamento dovere disputare e terminare. • 11 maestro Marsilio, che piacere
utile
e
grande
ave'
d" udire
Biagio
,
sanza
155
indugio
così
dicea:
udito quello che dice
e
Bingio
"
,
tu
ài
maestro Luigi,
il
però prestanieiilc io voglio e comauche tu risponda si che tempo
(lolelo
non
perda.
si
mandamento
Udito Biagio
"
il
co-
non sappiendo che dire, pure pensò che ogni
cosa
eh' avea, e
parca che pretendesse danari,
li
un poco pensalo e sopracominciò cosi a dire: « 1' ò
e alla fine
slato
,
molte volle considerato che a bene
e particulare è pure bisogno
danari sieno per soprire (I) a
che
comune
i
molle bisogne, che sanza essi male
fare si potrebbe
e ancora veggio
che ciascuno gli disidera e vuoine
;
secondo suo potere. E però
mando, quanti modi sono
laudabilemenle
aquistarc
I'
usura
cosi
è
dalla nostra
(1) Cosi
il
lede
Cod.
,
biasimala
,
:
e
io vi
a
do-
volclli
e
perchè
e
vietala
universalmente
supjK
156
da ogni religione
tacelle,
si
proposto
il
udendo
"
E dello
niaeslri
domandare, parve
domanda
la
quelli
COI)
dire e
si
loro ciie
e setl;i.
(!)
fosse di più gra-
vezza che mai slimato arieno; e in-
sieme un poco ragionalo, parve al
proposto e al suo consiglio dovere
questa risposta commettere a messer
Bartolomeo, imperò che la dimanda
era tutta politica, e insieme nell'
timo
lui
comandatogliele,
ul-
mescolata; e a
cattolica
colla
tutti
stavano
in
silenzo.
messer
Udito
a lui dire
a
parlare:
fessione
e
non
che
Bartolomeo
convenia, così cominciò
li
«
Come
lulta
sia
in tutto
che
la
mia pro-
slata ecclesiastica
politica
,
come
voi,
reverendi e fratelli cordialissimi, molto meglio di me sapete, non
padri
di
meno per
(
I)
ubidire
Quali sono
i
mnili per
nari s'aquisla laudabileiiii-nle
ra
è proibita,
e
e
contentare
ti ijiin'
perchè
^iola doli" aiiloro al
li
I'
in-
usu-
margine.
i:)7
risponderò sempre con buona correzione di ciascuno. E cosi mi pare
dovere fondamento
fare
alla
nostra
risposta in questa maniera: vuole
nel
lìlosol'o
tutte
'le
primo della
comutazioni
il
Politica che
quasi
tre
a
prima si è
cosa con cosa come alcuno abondi
di grano e manchi di vino, e altri
per lo conlradio, fanno comulazìone
l'uno coir altro ne' loro bisogni corgeneri
si
riducliino. Et
la
:
E come
porali.
di questa una,
trebbe dire di molte e molte
si
po-
L'al-
comutare cose a danari, o
cose come vegiamo dare
cose e prender danari, e dare danari
e prendere cose. La terza e ultima si
è comutare danari a danari, sicome
cambiare uno fiorino a uno ducalo
cambiano a grossi d' argento o a
moneta di rame come tutto giorno
adiviene. Et però notare si dee che
a bene essere e comodo vivere delle
città, province ecc. fa di necessità
trovare la moneta, imperò che più
tra
si
è
danari
a
,
,
abile
a
portare
di
luogo in luogo,
158
per
quale
la
s'
anno
le
sarie, che quello che per
potesse di cosa
si
cose neces-
cambio
a cosa.
più olire che quanto detto
—
fare
Ancora-
io ò,
per
buono principio alla dubitazione o
veramente domanda, è di necessità
vedere, cioè quante
sono
le
spezie
dello esercizio della pecunia tratlìcare
Dobiamo adunche sapere
e aquislare.
come
filosofo
il
IV
nel
sua
della
pone quatro spezie pecuniarie
e così le conuniera: la prima naturale,
la seconda chiama cansoria, la terza
la
obolostìca
quarta chiama calros
Politica
,
cioè parto.
è
Vengo
alla
prima, perchè
naturale o quasi, imperò
come
clie
per vendere cose che dalla
natura produtte sono, e così prende
suo principio: come avendo molto
ella si
fa
grano, vino, olio e simile e vendendole, pecunia s'aquista;
sto aquislo
rali
finisce
e
pecunia.
la
sì che quecomincia dalle cose natu-
nelle
Adunche
natura pon fine,
onde
(]ucsto
artificiali,
vc.ijiamo che
1'
aquislo
cioè
dove
arte comincia,
quasi naliirale
109
si
dimoslra. La
seconda
come
cansoria, e questa,
sofo nel
primo
chiama
si
dice
filo-
il
della Politica, impri-
mamente l'orse a caso trovata si
ma dapoi per esperienza è già
tue,
fatta
Et questo adiviene quando
moneta è d' una città strana e in
altra non à corso secondo suo valore;
perchè altri avendola dove secondo
suo valore aprezata non fosse, e portandola dove il suo pregio si corre,
questo tale guadagnandone la cambia
artificiale.
la
per la seconda spezie, cioè cansoria.
La terza spezie obolosiica, cioè eccessiva di peso, forse trovata
questa via;
come
sì
noi
si
fu
per
vegiamo che
de la massa del metallo se ne fa
moneta, e alcuna volta adiviene che
della moneta si fa massa fondendola;
imperò che, vegnendo
in
pregio ma-
giore per caso sopravegnente l'arienaltro
to
metallo
,
per cagione
d' avere
a
cando
vene donde
|)er
altre
le
fare
guerre
cagioni
o
,
molti vasi
si
,
o
o
man-
tragono, o
per pestilenzie o per
gli
uomeni pesono
le
monele
e quelle che
fondono
zo
dono
,
V
eccedono il prezche non ecce-
allre
prezzo lasciano stare: onde
il
noi volgarmente diciamo isbolzonare.
E
in
si
dice.
questa maniera
— La
e
terza ispezie
d'Aristotile calros cioè par-
è detta
to,
la
quarta e ultima spezie
questa
vulgarnienle
diciamo
usura. Chiamasi adunche parto
,
im-
però che ella si vede quasi partorire
e generare danari. Dobianio adunche
considerare che neuna cosa cresce né
genera per se medesimo, ma per lo
parto sì
per generazione. Prendiamne uno comune esemplo
se
:
l'uomo ara
X
vacche,
X
cavalle, que-
potranno mutripicare e partorire,
in capo dell' anno potranno
essere X.X; ma, se tu arai X fiorini
e vorrà' ne avere a tempo dodici o
quindici come possono questi partorire? Adunche dirittamente l'usura
e detta parto di danari. Ancora è
da vedere, che, considerato che 1' ususte
e
così
,
raio
nuli
vuole tare partorire quello che
pillile
per natura. Aristotile nel
,
161
primo della sua Politica meritevolemente dice elio l'usura è corilra alla
natura, imperò che partorire e generare
mali
puole
noi
mai
:
che e
si'mili
Adunche
fare
se
non
vide panni
si
,
ani-
li
vasi
,
ar-
mutripicare o partorire.
chi vuole che danaio, che é
cosa artificiale
non naturale
e
,
fac-
danaio, è usuraio. E però bene
è conchiuso l' usura essere cosa abominevole e centra natura.
cia
Ancora dire
si
puole e ragionare
sopra questo vocabolo usura. Questo
viene da uso, quasi usura
mal uso
—
fare e usurpare. Debcsi
adunche pen-
sare che altro è la cosa e altro è
l'uso d'essa cosa, come altro è la
e
essa.
Se tu adunche concedi l'uso e
rilienti
è
usare d' abitare in
casa
altro
il
1'
dominio
della
sustanza
cioè della cosa, puoi d'esso uso pren-
derne prezo o \eramente pigione,
sanza alcuno peccato o infamia d' usura.
Ma
se tu prendi prezo
1'
nio
cosa
d' essa
d'uso
di
uso concedi col domi-
cosa che tu
,
di
questo
II
pren-
IG-2
alcuno
(lei)d(iiic
jiiccolo
usura
,
prczo
qiuintinu'lie
e; imperò
si
co-
clic
come il cianaio non
puole nmlipricare comedi sopra dello
si è. E si ancora, come a te die pre-
sa
arlilìciale
sti
e
di quello
dominio
quello che non
E
stasti.
a
quando
desti
se dicessi che
il
le
pre-
fosse obli-
li
simili a quelli, conccdolo,
a'
quelli
frullare
tuo? imperò che
è
dominio ne
ogni
gaio
che presti concedi
come puole
,
non sono; onde
([ucllo ciie
ma
non
è non puole frullo fare, imperò che 'I
danaio è trovato per commutarsi,
e andare insieme il dominio col-
l'uso. (1)
Non
sua
meno
di
(juanto dice
il
Politica:
è
da considerare
(ìlosofo nel
primo della
che
di ciascuna
quasi
—
1' uno
è V uso
non propio. L' uso
propio del danaio è esso commutare
cosa in due
è
propio
(l)
.iiiir
1113.
É
e
il
articolo
par.
II.
1'
modi
altro
nolo
ilcir
raziocinio
usura
(Illesi.
7X.
:
di
voggasi
S.
Tommaso
la
sua
Sum-
1G3
o
spendere o
veranieiite
alienare
;
r uso non propio è a aparere e mostrare a
pompa
Cosi ancora
acciò che paino richi.
puole dire della casa
si
:
l'uso propio della casa è essa abitare,
vendere e commugià e vegiamo
che fanno la casa più tosto a vendere
clie per abitare. D' ogni uso propio
non propio certamente si può prendere pigione, se quello uso si puote
concedere sanza il concedere la suonde chiaro si vede
stanza d' esso
che dell' uso propio de' danari non
si puote fruito pigliare sanza usura,
imperò che tale uso non si puote
concedere sanza concedere la sustanzia. Ma dello uso non propio
se ne puote prendere prezzo sancome se uno che fosse
za usura
per fallire volesse moneta accattanon a spendere né alienare,
re
non propio
Alcuni
tare.
è essa
vedemo
;
:
,
ma
a
aparere ricco e di quella fare
(mostrai?)
quella
chi
per
essere
credulo,
medesima rendesse
accalata
a colui
l'avesse: dico
e
da
che chi
164
ne
presta
la
puolc preiulprc prezzo
sanza essere usura, imperò che presta 1' uso non propio e rimangli il
dominio
appare
delia sustanza. Ornai cliiaro
quale
è
usura e non usura.
adunche V usura
É
da
essere
vi-
dannala per ciascuno e
spezialmente da uomo cattolico e che
vogli buona leggio avere e usare: che
vedete finalmente quanto il filosofo
tuperata
e
r
à
e
solamente lodando
in
abbominio
zie, cioè quella
nella sua Politica
la
prima spe-
quasi naturale d'aqui-
stare danari per vendere le cose condotte dalla natura e anche dall' arte
laudabilemcnte
imperò che il danaio
fine. Ma qualunchc
ora il principio e la fine è pur del
danaio, quantunclie non si commetta
usura, non è laudabile a cssercitare
è fatto a
;
(piello
e generosi animi.
a alti
Veduto che abiamo come
cunia
proibita
dere e
trafiica e
si
e
perchè
1'
la
pe-
usura è
abominevole, resta
a ve-
rispondere a Biagio alla
prima sua dimanda, cioò quanti sono
a
165
i
modi
faremo
s'
aquista
;
n
nostro dire.
fine a
Pone
mo
pecunia
in clie
Arislolile nel
line del pri-
libro della sua Politica la distin-
zione in diversi
membri per
li
quali
pecuna s'aquisla, e mostralo quasi
per cmque vie; de le quali la prima
è delh possessoria, e questa è quando
la
l'uomo
le
è ricco di possessioni e quel-
governa e provede
coltivale
e
fruttifere
essere
animali che su
coli
bene
bene
s'
usa
prendendone bono frutto
vendendolo n' aquista pecunia.
tenere
e
a essere
per quello
e
;
quanto
è questa via laudabile, o
quan-
gloriosa, o quanto dilettevole!
to è
questa sola fra
stelle
da
e naturali
da
,
arti
l'
filosofi,
mecanice
è alle
da poeti, da morali
attivi
e contemplativi
uomo che à iningegno, lodata,
e al postutto da ogni
arte
in
teltelto
e
esaltata e gloriata
dolcezze
e
che
vegiono
;
in
!
Io lascio stare le
questa
si
truovono
lascio stare le conso-
io
lazioni
innumerabili colia coscienzia
pura
chiara
,
e
sincera
che
questa
,
ICG
esercitando s'aqiiislonu;
il
io lascio slare
frullo laudabile e solalivo e onesto
che questa produce. Chi questo esercizio elegge, o quanto b\iona e perelezione
fetta
si
prende!
(t) Elli si
sepera dalla ignoranza del vulgo;
fugge la lurbazione de' popoli;
schifa r angoscie
comportabili
,
della
elli
elli
noie e fatiche in-
comunione
delle
perverse, ritrose e strane condizioni
delle genti
essa
al
,
della
madre
cuna
volta
freschi
dandosi alcuna volta
in
ozio, ricreando per isludio
filosofia e
teologia
cantando colle muse
rezzi
,
al-
fra
del sacro alloro. Ornai
più di questo dire non intendo, che
mollo meglio
è
non dire che poco
dirne; e torniamo
e basti
nostra
a
malera
questo avere dello della prima
cioè possessoria, e vegliamo più avanti.
—
La seconda è detta mercanzia,
e questo ancora è lauldahilc e utile
(I) Cod.: chi
eleggo
,
preiirìc.
quanto
i|uesti(
buona
e
pscnuin
si
iirenrio
pcrreKa elezione
si
e
167
a
ogni repubrica e pulizia;
s'
escrcila
e
questa
aducere o portare per
cose di paese in
secondo necesilà e bisogno
mare
paese
in
per terra
e
ne'IuoLtbi, e eziandio
clii
quella stante
vende e compera. E per questa
seconda via ancora s' aquista pecula
nia.
— Per
la
ancora
stare
terza via
pecunia
si
et
,
puole aquiquesta
chiama mercenarjtt overo condona
vegiamo tutto giorno
mercenai
i
sera condotti
pagali.
—
La
e
es-
l'opera, essere
e, l'atto
(juarta
si
;
via è delta spe-
rimentale,
e questa è circa alle cose
l)arliculari
,
come avere intorno
alle
cose buono aviso e arbitrare per lo
fui
uro per maniera che facci
gno. Intorno
guada-
questa spezie recita
a
Aristotele due cose parliculari essere
stalo falle, per le quali fu aquist(ala)
pecunia; e diciamo solamente quello
che
fé'
Taletc
Mileto,
uno de'
sello
prima cominciorno a filosofare. Essondo egli jìovero fu da
molli ripreso e detto: n A che t'
Imona la tua filosofia con ciò sia
savi
i
quali
,
16S
cosa
Elli
di daniu'i,
sempre in nicistalc ? »
non come cupido
viva
clic In
udendo
(lueslo,
ma per mostrare
vol cosa sarebbe
intorno
se
a
al
tali
filosofo
che agearichire
avesse sua
cose
cura, vide per astrologia che 1' anno
vegnente dovea essere grande. abondanza d'olio', onde elli, comperando
e
dando arra quanl'
paese
r anno avere
no pregio;
n'avca, e
cava, e
suo
e
E
olio
quelli del
in quel-
e per buo-
assai
ancora perchè
altri
elli
molti e molti
solo
man-
pogncndo il pregio quasi a
vendendolo potè ari-
piacere
chire.
olio
ricogliessono, venne
,
così lece espresso ricredente
quelli che di lui mormorato avieno.
Questa via è più laudabile d'aquislare
per isperimenlo insieme colla prima
che possessoria è detta e spezialmente a li animi nobili e alti uo,
meni richi e potenti; l'altre certo
La quinta via a
no sono cosi.
—
aquistare pecunia è detta
(lì%ome
denti
1'
in
ar/i/ìc(7, (!)
questo, co>i nei casi prece-
autore notava in margine
le
cinque ma-
169
come che
licrunia. Et
militare sia
cina sia
ste
per sua arte aquisla
alcuno
(jiiando
fine dell'arie
'I
vciloria e della medi-
la
santa, non di
la
con tulle
meno
que-
altre arti a aquistare
1'
pecunia quasi ordinate sono; imperò
1' operazione dell' arte,
at-
die, falla
iendono alla pecunia, come chiaramente in ogni artefice vedere si puote. Oniai line impongo al mio dire,
credendomi in huiHia parie avere
sadisfnllo alle dimande di Biagio, mo-
come
strandogli
e'
puote arrichirò se
queste vie saprà seguitare; e se pure
fallo no'
e
tali,
l'avessi, voi siete qui tanti
che pienamente
tento della
ta.
»
E cosi
mancanza
il
farete con-
s'ella
ci
è sla-
tacetle.
Fu da ciascuno comendato
il
dire
messer Bartolomeo, e singularmenle dalli maestri e filosofi, |)arendo
di
nioie per lo quali
dine stesso
come
la
si
pecunia
s'
aquisla, nell'or-
presentavano
al
suo esame:
Possessoria, i[crcatan:ia, Mcrcpnaria, Speri-
meutale, Artifìca.
ITO
lori)
olie
sla,
ma
non come scniulice
come
più tosto
cinoiii-
speculativo,
morale e teolago avesse risposto. E
mentre die queste cose cosi si dicono,
già le donne veniano nel giardino e
la
brigata
ciava.
E
tutta
proposto che
si
sollazzare
a
poslasi
comin-
sedere parve al
dovesse qualche maa
,
driale cantare per
musichi e pelle
li
donzelle che quivi
si
erano, e
loro
a
dicendo che di quelli falli a Padova
per frale lìarloUno sì famoso musico
fue
cantare dovessono. E così fatto
cantalo e sonalo per grandissimo spazio: e veduto danzare le donzelle
co' giovanotti, sopragiunse uno gio,
colare
quivi
d'
in('redibile
veggendo
clevole e piacevole
mò
di fare
destrezza
,
e
lanla nobile, raguar-
brigata
s'
quante destrezze
chi elli potesse e sapesse,
per lungo spazio
,
infiame giuo-
sondo
slato
innanzi che dalla
compagnia fosse conosciuto, considerando a riguardare le destrezze di
Matteo,
di quelle elli il sentì mollo
commendare
e
singularmcnlc di fare
171
più tomi
l'uno l'altro, con
neuno
fallo
cagioni
il
innanzi e
conliiiuando
scliiavoncsehi
tutto
n' avesse.
Per
che
quivi
le
quali
destrissimo forestieri
si
ilicea
«
:
Io
si fu'
mi credo, no-
bilissimi e proclarissimi signori miei,
essere
il
più destro
uomo
del
mon-
do e qui si dice che ci è chi fa a
uno continuo molti tomi ischiavonesrlii
e io dict> che a me non pare
possibile, imperò eh' cssend' io destro coni' io mi riputo, quando fatto
n'arò uno per infino in due, m'ara
paruto fare una singulare cosa. Ma
elli farà forse per questa maniera »?
E dello cosi e' fé' più tomi con tanta
velocità e prestezza che non che e'
,
;
vedesse che terra toccasse, ma elli
parve uno baleno che per 1' aiere ba-
si
lenasse,
rimanendo
ritto
sanza quasi
spirare, presente
tutta
gata. Allora
maravigliati
tulli
la
bri-
lieta
e
ra-
guardandolo fisamente, non essendo
conosciuto, così gli fu detto per messer Antonio: » Valente uomo, noi
aremo vagheza
di
sapere chi voi siete
172
e
come
siute
in piacere:
singulare
per buona
grazia
semlovi
arrivalo,
qui
cliè
la
le' e'
ci
bene avete mostrato esser vero
vostra credenza d' essere
stro
uomo
più
il
mondo, avendo
del
è
vostra venuta, e
la
defatto
quanto avete. » A cui così il giocolare rispondea: « Pregiato cavalieri,
come che isconosciulo per alcuno rispello io vada,
vegendo
udendo
e
vostra nobiltà e gentilezza
tacerò né disdirò. Io mi
di
niente vi
chiamo Pe-
legrino cavalieri nuovamenle per lo
luslrissimo rè Ladizlao fallo
,
e
il-
sono
napoletano conosciuto. E subito giunto in Fiorenza
sentendo di questa
,
vostra compagnia mi dilibcrai volerla
vedere;
baldanza
in piacere
per altra ca-
perchè, né
il
gione, qui a vostra
casa con
venuto sono
,
a
me
;
buona
e se a voi è
è singulare
grazia
potere fare cose che a grado vi sieno
e a questa vosira compagnia tanto graziosa e gentile.
Sentito
nome
e già
"
messer Antonio il suo
avendolo udito nominare
173
più volte, prestamenle
gli
fecie
una
buona faccia
e vedutolo in abito
d' uno famiglio, sanza indugio fé' venire una delle robe sue e cosi li
disse: « Messer Pelegrino, perchè
noi abiamo udito di vostra virtù e
,
deslreza
,
alla
brigata è una singula-
rissinia grazia che voi qui arivato sia-
vediamvi con grande piacere;
te,
e
ma
acciò che
'1
vostro abito del
fri-
gione che indosso avete più non e' inganni ne occulti il grado della cavalleria
che voi avete,
vi
piacerà mettervi
questa palandra, fecendoci singulare
questa prendere lielamenle e
per nostro amore |)orlalla. > Messere
Pelegrino costumatamente il cavaliere
grazia
ringraziava, e quella presa
subito in
mise, stando ciascuno a
paguardallo per maraviglia: e così ragionando di molti signori e molte
dosso
la
piacevole
si
novelle
fu
,
chiato per Io siniscalco
abondanlissima,
lieta
dapoi
la
apare-
collazione
e ricca; e finita
la
collazione messer Pelegrino in pie
si
levò, e cavatasi
la
palandra rimase
17i
giubbcUo di sela isiiello e grazioso,
non ailremeiiti die falcone pclegrino
in
si
facesse
iscappcllalo dal suo Siromaestro. E falle venire tavole
zicri e
e'
su
cominciò
ciascuno
delie
si
sue
ossa
rendo, che
a
fare cose che
per
giudicava, non allrementi
elli
fare lorcelle pa-
delii suoi
come spesso d'una
nervi
facesse,
adalla e forte
ri-
con certe collella
0.
spade fra loro volgendo il corpo e
le reni
per si falla forma e maniera
che chi raguardava, giudicava lui palorla si fae; dapoi
,
rere impossibile questo fare sanza ope-
razione di
che ebbe
diabolica
infiniti
illusione. Fallo
giuochi, ciascheduno
comandamento
stupefatto per
del pro-
puose a sedere, parendo loro
che anzi la cena qualche novella utile
e piacievole dire si dovesse; e rislrclosi insieme chi 1' autorità avea di
comandare, diliberarono che Franceposto
sco
si
Musico
considerato
avea.
la
sua
ancora
novella dicesse,
niente
novellalo
175
Francesco che a lui novellare convenia, alquanto sopra di se
L'dilo
poi
istelle, e
.'
co' lieto
debbo
Percir io
volto dicea:
voglio ubidire,
e
con tutto che volentieri udire mi giova più-che novellare apresso a tanti
prcclarissinii
dottori
occorrendomi
,
per cagione di messer Pelegrino, del
reame di Cicilia qui venuto, una novella
quale
la
,
e
tita,
io
forse
mancando
à sen-
cosa,
perchè volentieri
dirò. » E cosi cominciava. (1)
Quanto l'osse la velenosa e pe-
quella correggierà:
la
1'
di là
in alcuna
il
stifera rabbia tra guelfi
ne' tempi jtassati
rare,
cidi
imperò che
,
parte
slorsioni
all'
altra
e
,
e
ghibellini
non bisogna
nar-
delli incendii, [omi-
ruberie
e dall' altra
dall'
all'
una
una
ancora infino nel presente dì per
Italia apariscono le vestigie
e
lulla
reliquie
,
cacciando
e
sterminando
# umanità
r uno r altro sanza pietà
(1)
Xovclla di Franccfco 7misicu
nifiuio l'bcrti.
:
di Bo-
170
alcuna.
i
Adivcnnc adunque die sendo
guelfi di Firenze e uiiiversalmenk'
di tutta
Toscana di lor patria cacciali,
valorosissimamente Carlo
e seguito
primo
re di Cicilia" contro a Manl'edri
regno teneva, e da lui in campo morto, e con altorità della chiesa
quello aquislato e tegncndo
guelfi
ritornarono con gran veltoria in lor
terre e cacciaronne
ghibellini con
grande sterminio di loro e di lor cose. Tra' quali cacciati fu un giovinetto delti Uberti, virtuoso assai per
che
il
;
i
i
sua età che di sedici anni era, e tra
l'altre virtù, che singulare avea, ora
d'arte di musica apresso a ogni gran-
de maestro dottissimo, e quasi ogni
strumento musicale dolcissimamente
sonare sapea, maraviglia a vedere e
udire.
E
tra
dalla natura,
più altre grazie ch'avea
eradi bclleza di corpo
sommamente
dotato, che non altremenli apifrca che uno nuovo GanimeNarcisso. Il quale per più e più
de
anni andando per lo mondo, final-
mente capitò
a
Palermo
in Cicilia e
177
uno speziale che
lìorcnlino era, chiamalo Lioiiardo,
legiiendo co' lui parentado. E andando veggiendo il giovane, ciie Bonifa(juivi
ridiicea con
si
nomava
la terra per suo diuna bellissima giovane
a una finestra
e raguardandola con
sommo piacere, di lei ardentissima-
zio
si
,
porto,- vide
;
mente s'inamorò. E continuando l'amore e di giorno in giorno infiammandosi oltre a modo, intanto che
chi
volea
lui
turna
e
a ogni
quasi
diurna
apresso
ora not-
sua
della
rimala trovare lo polca, e cosi
sando
alcui»
tempo
notte quivi con suo
a
sonare
pas-
una
cominciò
Bonifazio
,
leuto
e a somissa
voce cantare
suoi dolcissimi versi, ne' quali insie-
me
ma
col leuto
piatii
e
mesericordia con somdolceza
chiamava
tanto che per maraviglia
la
;
in-
gentil gio-
vine essendo col marito alla frescura
e udendolo, e fattosi ciascuno di loro
più avanti si che udire meglio il potieno, per grande spazio quello, non
,
sanza
somma
consolazione di ciascu12
178
non sapicndo clii questi
grande niaravi;jlia di lanla
melodia prendieno. Adivenne, mentre
die così il tempo passava che il re
no
si
di loro,
fosse,
,
Piero, per
la
diporto
calura a suo
essendo in certi cortili apresso l;i
dove Bonifazio cantando sonava, udì
e perchè eli!
la dolcissima armonia
era grandissimo musico, sommo piae maravigliandosi
cere ne prendea
;
;
chi costui essere
potesse
mamente per uno suo
,
prestissi-
cortigiano so-
sommo mandava, il
nominava [ìenuccio d'Arczo.
Venuto adunque l'Aretino e udendo
il piacevole sonare e cantare, lo mosse
uno grande fervore prestamente a lui
natore e musico
quale
si
per simile modo e dolceza rispondere. E preso il lento che con seco lenea cominciandolo a toccare e con
voce dolcissima e sommessa sonan,
do
,
chi
cli'elli
il
fosse
tanto
dicesse
fedele
amante
pregava. Bonifazio
che ogni cosa udia di si piacevole,
lutto
artificiosa e pronta dimanda
,
stupefatto, per nulla maniera
Imma-
179
ginare chi
polea né sapea
fosse
;
e
sonare fosse nella
casa dove veduta la gentilissima donna avea, sopra se sanza farce dire
parendogli che
un poco
il
ristette.
Dapoi, non udendo
rispondere con
ermonia che prima e con parole molto piatose dicendo che pe-
più
oltre, deliberò
altra
,
regrino era
e
che molti anni pere-
grinato avea e cerco tutta l'Europa,
né mai veduto
più bella,
ma
s'
nonché
donna che questa
era per lui
simile
in tanta dolcissima patria, a cui lutto
dato
si
era; e
pregava, conside-
lui
rato che quella dolcezza fare non era
animo e
d'amore, che per lui vo-
possibile sanza gentilissimo
infiamato
lesse
pregare, che
alare lo
polea,
eh' avesse piatade di tanto fedelissimo servo. E cosi l'Aretino ripigliava
suo sonare e cantare con simile
più ore della
sì che più e
notte passaro facendo e seguitando
per simile forma musichi con tanto
il
tuono,
i
piacere del re e di
singularmenlc
della
chi loro udia, e
bella
giovane
180
donna per cui tutto era fatto
non si potrebbe stimare. Volle
clic
,
il
re
innamorato era,
e mandò segretamente uno suo cameriera; il quale saputolo tutto al
re referia, dicendo ch'era uno fio
al
tutto sapere chi lo
Tentino
cacciato
Firenze
di
cii^
si
tornava con Lionardo speziale e Bo-
chiamar
nifazio liberti
nuto dapoi
nardo per
eh'
elli
i
Ve-
facea.
comandamento
a lui e
Uberti
e così fu fallo.
;
il
,
re
E
mae-
reale
per ciascuno di loro
reverenze
re
del
seco menasse
due dinanzi dalla
stà, falle
bite
si
mattina, fu detto a Lio-
andasse
Bonifazio
sulo
la
le
de-
co' lietissimo
volto ciascuno vedea e per le mani li
prendea, e poi si rivolse a Leonardo,
Leonardo, io arci creduto
dicendo
:
<•
stato più desto alle mie
bisogne che tu non se' •. \ cui Leonardo cosi rispondea « Monsignore,
che tu
fossi
:
ignoranza
errare,
se
non malizia
e
vostra maestà
,
se a
errore mostrarmi
ni' à
i'ò: piaccia
errato
,
grado è
,
acciò eh' io
fatto
alla
mio
vegna
il
181
alla anicndiì
regga
to
il
e
per Paveiiire mi cor-
Il re, che con lietissimo volguatava, così li dicea: « Or
».
non ti pare avere errato, avendo tu
nuovamente in casa Bonifazio Liberti
e de' miei fiorentini cacciali,
secondo che detto
il
quale,
giovane
dottissimo e pratico e di molle condizioni nolo che il primo dì che in
Palermo fu, che lu a me noi menasti? che sai come volentieri odo noni' è,
è
,
velle e singularmente del regno e di
Toscana». A cui Leonardo reverente-
mente
dicea:
«
Monsignore, nulla scusa
ò, eccetto solamente
la
inavcrtenza:
perdonarmi, promettendo che
più desto perl'avenire mi vedrete ».
11 re ne rise e poi così
« Io
dicea
piaciavi
:
ti
perdonare, singularmente
voglio
per amore di Bonifazio eh'
(juale
le
amico per
tosi a
è qui,
il
come I' uno
de' fare ». E rivoldomandalo di più
lue scuse farà
l'altro
Bonifazio e
cose e parendogli
il
giovane acorlo,
desto e prudente, con piacevole eloquenza e gesto trovando in lui moke
182
virili,
li
per
e
[ìuose grandissima ell'ezioiie;
tempo
lo
allora lor dato licen-
che
za, a Ronil'azio dicea
tornasse
lui
come
vederlo. Tornato,
a
comodo
il
vide, Bonifazio alla presenza del re,
sendo veduto da lui volentieri e ragionando di molte e molte cose e
si delle condizioni di Lombardia come di Toscana e delle maniere di
,
molti signori e de' lor governi, alla
fine
re
il
li
dicea che, se a
avea caro che non
ostello e che
glia.
si
fosse
elli
piaceva,
lui
partisse da suo
di sua fami-
Bonifazio, che questo desidera-
umilmente rispose: « Monsignore,
non potrei né avere né pensare
d'avere magior grazia che fare alla
va,
io
vostra maestà graziosa
il
guardò
credo,
ma
e
cosa
».
con mollo dicea:
io
ne
fo
accetto
Tancia Tagliaria tanto da
«
Il
Io
re
il
madonna
amata
te
;
e presto presolo e baciatolo in fronte
disse
:
«
Bonifazio
noi bene arai
i
ragionamenti
il're
a
dalli
,
fa
bene
,
che da
tempo
Cominciò dapoi
commcssioni assai, le
«
;
e così
(ìniro.
per
lo
is;5
Bonifazio con moli;»
qiioli
diligenza
adempieva; e tanto venne il giovane
proulo, destro e acorto alle faccende
commesse, che il re cominciò a farne
grandissima slima e ne' suoi consigli più ardui con Bonifazio con singulare fede volentieri ragionava, commeltca
e
determinava;
sì
die
tempo adivenne che pochi
in
poco
della corte
erano nel grado
di lui. Il perchè, per
doni che avea riceùti da' re e per
sua altri guadagni
richissimo diveli
,
nuto
si
era: onde
tuna ottima
a
lui
per tutto
si
la
for-
mostrava, sola-
in una cosa a lui aversa si
imperò che in quelli tempi apresso a' re era uno suo atenente per linea feminina, giovane di grande animo e mollo isdegnoso il cui nome
iiienle
era;
,
Alfonso
tanta
che
e
si
era,
invidia
elli
il
quale
portava
a
Bonifazio
tanto odio,
vivea con grandissima fatica
dispetto
della sua
amore che vedea che
ma pure non
liilto
e
volea
mostrare.
Elli
buona grazia
il
il
re
li
e
portava,
suo animo in
era
di
pari età
KS4
di
lui
e acorlo e di desio in-
e bello
tendimento e con tutto che questo
fosse, non polendo né sapiendo il
suo animo, che contro a Bonifazio
;
avea,
sì
celare (tanta era
la
invidia
)
che Bonifazio ciiiaro non conoscesse
che
fosse.
sempre per renon credere cosa
Adivenne, mentre che la
cosa
così
procedea, che, per certe
e vedesse, fìngendo
verenza
eh' avea
bisogne che a' re bisognava essere a
Trapani aparechiate, e conoscendo
OdiiifMzio
alto, a lui le comisc.
più
Andò
fJonifazio
sogna
fornire
prestamente alla bisanzii mollo sopraslare ogni cosa adempiea. Ma, mentre
clli stelle a Trapani, alcuno dì prese
diporto a uccellare, di che molto piae
cere ne prendea; e vegendo tra
tre cose, a
lui
molto
l'al-
di maraviglia,
uno sparviere tanto rapace
e gentile,
che francolini, pernici, fagiani con
tanta maestria volava e pigliava, che
cUi veggendolo credere nollo potea
e
finalmente
corbo
;
uno giorno vide uno
co' lui acapigliarc, che ciascuno
185
che
liensò
e
sparvieri
lo
mentre che
si
dubilavano, insieme
(erra vidersi cadere,
ili
rendolo
isvenalo
dove socor-
trovò
slrozieri
io
perisse;
iic
corbo
il
non aitrementi che
,
si
fac-
smerlo a uccello che gerniire
tenere non possa: onde Bonifazio
gran disidero avea avere questo sparma, però che vedea che chi
vieri
r avea gran piacere ne prendea, par-
cia
io
;
vegli non esser cortesia quello adimandare. E tornatosi a Palermo al
re
(juanto
avea
fatto
referia
,
onde
contentissimo ne rimase, domandandolo dapoi della piacevole stanza. Bonifazio
sommamente
cendo
a
l'
sollazo
uccellare e
la
la
lodava, e di-
piacerò aiito del-
il
bontà dello sparvieri
contava. Di
che il re li dicea
Punte questo esser? " E elli afTermando di si « De, perchè nollo areli
:
H
:
cavi
?
«
—
"
Volentieri fatto
1'
Bonifazio dicea, sogiungcndo:
lania
ad
grande
coni' io.
fare
cosa
altri
"
Il
re
«
arci
ma
«,
vil-
mi parca chiedere
della
quale
si
diletti
tacctte, e sapulo chi
Io sparvieri avea, a lui
dò,
sì
1'
si
che
in
per o^so
pochi stiorni
ebbe. AiUoio, coniinciù
lano; per
qual cosa
la
iiiaii-
Bonifazio
uccel-
a
vedea ogni
si
giorno pruove di quello clie ciascuno
maravigliar facea
ne allro si ragionava tra li uccellatori che della virtù
di ijneslo sparvieri. E sendo Alfonso
un di a cerchio e udendo le maravi,
glie dell'uccellare di Bonifazio, a lui
vene voglia d'avere
lo
gialo; e non volendo
ne
gì a
sparvieri preelli
chiedcllo,
uno amico suo "grandissimo
di Bonifazio,
che Giovanni Picolini
chiamava mercatante di Messina
e giovane di loro età. A cui così Alfonso'dicea: « Giovanni, io vorrei da
le uno servigio, né voglio che me lo
si
,
disdica, e questo
Bonifazio
Uberti
si
è: che
io^o che
ara vageza di
ogni a piacere e cosa che tu
dessi, certissimo
il
ga
lo
farà:
onde
io
li
farti
chie-
mi rendo che presto
voglio che tu
lì
chie-
suo sparvieri. Credi tu che le
dia? « A cui Giovanni liberamente
il
rispuose
:
«
Signor mio,
io
credcrca
187
da
altro avere
pensa di presto avello
perchè
il
uno sparvieri,
eh'
lui
<
Rispuose Alfonso: «Fa d'avello, ma
guarda che niente diehi che tu il vogli per me. » Veduto e udito Giovanni la voglia d' Alfonso, e da lui
partendosi per trovare Bonifazio a intenzione d' aempiere la domanda a
andò che
chiesta, tanto
Ini
E
salutatolo cosi
io
t'
che
dicea:
li
«
trovò.
lo
Bonifazio,
ò cerco per grande ora: sappi
io
voglio da le una cosa,
la
quale
non voglio mi nieghi e questa si è
il
tuo sparvieri buono, che credo che
:
quello che
sìa
gno.
"
al
presente
in pu-
ài
sommamente
Bonifazio, che
Giovanni amava, cosi rispuose: »
me, Giovanni mio, credi tu che cosa
che
io
abbia
che ciò che
e
portogli
tali
e
in
parole:
fama
di
animo
questo
è,
io
io
lo
«
disdicessi
ti
ù è
al
?
Tello,
tuo piacere
»
;
sparvieri sogiunse coIo
non so se
(juesto sparvieri
la
ti
bontà
mette
di dilettarti d' uccllare: se
contentissimo ne sono
se tu per altri
il
volessi,
ben
ti
;
ma
voglio
188
che
pregare
In
me
:•.
noi
lolga
per dallo a altri, che mi rendo cerio
clie a ciascheduno il torresli per con-
me. Non di meno cUi è
imperò che il
Ino volere voglio che mio sia. » Udite
Giovanni queste parole, prestissimamente Io sparvieri li rendea e così
disse: " Io farei grande villania a
cedello a
tuo, fanne tua voglia,
tollo
a
te
con Dio.
vole', e
»
elli
tro dire
si
ogni cosa
li
il
dicea:
per dallo
a altri
,
e fatti
Bonifazio pure dare gliel
ricusando da
partia
;
lui
sanza
al-
e ritrovato Alfonso
li
contava, e finalmente cosi
»
Signor mio, consideralo
piacere che Bonifazio à dello spar-
vieri,
a
me
pare fare troppa grande
non
villania toglie' le; e
gnor mio, che
dirti.
»
so altro,
si-
Di tanto Alfonso
grandissimo sdegno presone conlra
Bonifazio, andandogli nuovi concelti
per lo capo e prestamente da lui parsanza altro dire, se non la teun poco erolando, e gitone dove trovare Bonifazio pensava, e vagendolo che in pugno lo sparvieri
titosi
sta
189
preslainciile
;ivea,
preso
e
sparvieri
lo
slrapandogliele
s'acoslò;
lui
a
sogliele per lo viso
piedi
pelli
mano
di
più
e
perco-
e
volle, met-
tendo poi mano a una coltellessa alcuna ferita in sul braccio gli dava,
come
credendogli la testa colpire
che quella un poco inlaccasse, con pa,
brutte
role
Ma
sommamente
e
da
isvilupparsi
a
villane.
Bonifazio niente dicendo
fé'
andandone
romore
uno e
dell' altro,
così
l'
fu
e
lui
a
attese
partirsi
,
suo ostello.
e
Il
grande de' famigli del-
stamente
a
coni' era
seguitata
li
intanto che pre-
oreclii del re
ogni cosa
pervenne
qual cosa molto turbato
della
:
comandò che
Alfonso menato fosse da. lui ma fare
non si potè per ragione che, connesso
;
prestissimamente fuggenin mare, in sun una
saettia verso Roma isconosciuto in
abito di pelegrino se ne già. Il re
il
malificio,
do
e
intralo
turbalo per più e più di olir' a mo-
do ne
slette, e
come
Bonifazio
domandalo
slava
i
medici
e saputo
che
,
190
sanza pericolo era, ralemperù un poco il suo turbare: e passato alcuno
giorno, veduto Bonifazio le sue pla-
dare molla doglia né essere
gile nolli
di periglio, diiiberò girne dalla pre-
senza
del
faccia,
con quello
re
,
e così
con quella
fé'
modo
e gesto che
per r arietro usato si era non parendo avere auto né danno né onta.
Fu molto pregialo da' savi di tanlo
,
Bonifazio, non
maraviglia di
sanza
ciascuno che questo vedea
gularmenle tanto
dicendo: » Come
cui
così
a' re
sta',
rispuose
sin-
Bonifazio?
•
A
Maestà
Sacra
»
:
ma
;
molto piaque,
bene, vegendo voi bene stare. • Il
re li fece molte careze e prestamente
lo mise nelle sue faccende sanza al-
domandano
E
cosi
si
passò tempo, sondo più Bonifazio
in
tro
di' gli.
o.
mai per
grazia dello re che
1'
arie-
tro fosse, .\divenne che passato più
d'
uno anno
e
procacciaron che
certi
bironi trattarono
il
re
ricevesse
nella grazia Alfonso e che a lui per-
donasse;
la
qual
cosa
con
molla
falicu
fu iinpelralu e oltenul;i
;
perchè
perdonò dopo molle
pregiare, lusinghe e somniessioni. E
così tornò Alfonso in quella maniera
che prima si stava. Passavasi la cosa
alla
fine
il
re
li
con più onestà che odio fingendo
ciascheduno di loro mai quistione
avere aùta, e singularmenle per lieta
e buona faccia, dove la presenza del
,
re
si
era, Bonifazio appariva. Et così
in tempo passando e pensando Bonifazio a sua abilità, adivenne un caso molto a lui atto e questo
fu che il re ordinò una grandissima
caccia là dove volle clie ciascuno
gisse. E perchè Bonifazio sentì che
di
tempo
;
Alfonso
alla
caccia
per alcuna
fac-
cenda sopravenutagli non jìotè ire
de' primi, aspettando, fatta la sua
faccienda
,
poi alla caccia gire
vegli che abile
care
le
tempo
sue onte
a cavallo
;
;
par-
fosse a vendi-
e presto
montato
cogli altri che collo re era-
no e mostratosi
per uno luogo
sondo dapoi
per una via
lìorli, e andatone
a tutti,
istrelto,
atraverso da lor
si
VJ-2
quasi da neuiio
coperto
montò
una
ili
Dapoi
luzo.
in
secreto entrava
fonso
stalla
al
is-
pa-
palazo per certo uscio
e
;
«postando
clie
delle scale passasse, quivi riposto
era.
Adivenne che, uscito
ra sua Alfonso e giù
scendendo
,
per
lo
le
si
came-
scale solo
fare
;
e subilo sanza al-
Bonifazio,
dalli
clie
petto d' uno trafieri,
Mortolo
si
per
dalla
avenne dove Bonifazio
sacrelo aspettava
tro dire
Al-
canto un poco buio
certo
in
veduto,
dirietro
ucise.
1'
e tiratolo nel canto al buio,
ritornò per
la
via che fatta avca
dove montalo a cavallo si
compagnia che lasciala avea
alla stalla,
tornò
alla
apresso del re; e cosi secreta
la
cosa
seguendo, mentre che la eaccia si fece tutto il giorno mostrandosi continuamente nella presenza del re Bonifazio, e preso il giorno grande piacere ciascuno, sendo la caccia mollo
e fifelice e abondante di preda
niendo il giorno e la caccia compiuta,
a Palermo tornaro. E enlrnndo dentro
,
al
palazo
la
molta gente, finalmculc
193
cadendo uno adosso a Alfonso dove morto si era, maravigliossi e
disse: a Chi se' tu? Per cerio io il
saprò
»
presolo
e
;
per
tirava al lume.
E veduto
non
sapieno
isluppfalti
che
Finalmente tulio
olir' a
il
o
jìariendo.
re fu narrato; di
al
modo
gamba
che dire
mente
fare, fuori di lor
che
la
chi era, lutti
turbato, in varii e
ma
nuovi concetti entrava,
fuori
nel
tulio del suo pensiero era che Boni-
imperò che
fosse,
slato
fazio
nuanienle
li
veduto.
perchè non
tro
11
parca
sapere, diliberò
conti-
caccia averlo
alla
potendo
si
il
editto che chi apalesasse
al-
re fare certo
comellilori
i
dell' omicidio, avesse trecento oncie,
e chi
chi
il
desse morto, cinquecento, e
vivo, n'avesse mille. Dapoi
cosa
s'
per
aquelò
lo
la
tenipo sanza
più d'Alfonso parlare. Adivenne che
passalo più e più mesi che Bonifazio
gravemente amalo, per
mità che da
e elli
nientc
tutti
i
grave sentendosi
a
Dio
si
si
falla infer-
medici fu isfidalo
;
divotissima-
botò, che se grazia
13
194
a
facesse farlo sano,
lui
sepolcro
visiterebbe.
elli
il
santo
E con questo
concetto
Bonifazio a mcgliorare cominciò, intanto che in tutto libero
della grave infermità si vedea. Dilibero adunche il suo bolo impiere,
volendo e chieggiendo licenza non
ottenea d' avella, perchè mal volentieri il re da se il partiva. Alla fine
pure chiegendola e dicendo « Monsignore piacciavi darmela, che per
buona fé' a me pare non potere ben
capitare se io il voto mio non emil re graziosamente gliel conpio "
:
,
,
cedette; e datogli certe conimessioui,
brigava Bonifazio presto andare
divozione.
E
deliberato
a
sua
anzi eh' an-
dasse aconciarsi dell' anima, confessarsi e comunicarsi, e
sapìendo che
Palermo era uno abate molto famoso di santa vita e buona dottrina, a
lui n' andò; e a lui ogni suo peccato
confessato, eccetto il nuilificio commesso in Alfonso, 1' asoluzione aula,
in
Bonifazio storcendosi fortemente e
la-
grime con cordiale dolore sos|)irando,
11)5
mollo
l'abate
fé'
che
tanto
questo
a
dicea
lui
dire? a
tradio che
alli
maravigliare,
te
:
«
in
Che vuole
adiviene
il
con-
suole divenire;
altri
qui per certo giace altro. Se altro c'è,
me
no
lo
ceinrc,
imperò che se nella
confessione alcuna cosa tacessi, niente
il
varrebbe, e
indarno sarebbe
cos'i
tuo voto volere aempiere: imperò
che puramente confesso
e
contrito
adunche 'se altro
restasse che dello tu non avessi. «
Bonifazio pur sospirando e piagnendo
da lui partire si volea, e elli non lal'are
si
vuole. Di'
sciandolo
e
,
effeUuosamenle pregan-
dolo presso a se il tenea. A cui Bonifazio così parlava: » Reverendo pa-
dre carissimo,
quale
io
dello
io ò uno peccato, il
non v'ò, né per certo
mai deggio dire a uomo che viva; il
perchè lasciatemi aiubirc. » A cui
l'abate con grande riprensione li dicea:
la
"
Figliuolo, io
ti
fò
assapere che
confessione è di necessità e è uno
de' sacramenti e debbesi liberamante
con contrizione fare
,
e
quando non
196
morendo l'uomo
f:icesse,
si
l'anim.i
perde. E dicoti cosi, che ciò
sua
si
ctie
tu a
me
Dio
di', a
all'uomo, perchè
lo di' e
non
tengo luogo d' Idlenendo questo luogo, tu 'I dei
dio; e,
io
lil)eramenle dillo, imperò che
ingannalo mai da Dio saresti. Oramai
prendi buona confessione e contrie puoi
E
zione, e dillo a Dio.»
allre dolcissime
dillo.
dosi
così con molle
parole
della
a
a dirlo
che eredea nello
santità
abate, e da
lui
indotto e confortato
essendo, ddiberò fare quello
che messer l'abbate volca
talo ct)si a dir
«
inducea
lo
Bonifazio pur finalmente fidan-
Da
cominciò
poi che voi dite,
padre, che
questo
io
a
;
e confor-
:
reverendo
Dio dico, e
io
confidandomi in lui e nella vostra santità, che mai quanto per me
si dirà, ila persona che viva saputo
a Vivine
si lia. "
certo e sicuro,
che cosi sarà », messer l'abate riil
farò
—
spuose.
n)i
Dio
A
cui
confesso a
vivo
e
Bonifazio dicea:
te,
"
Io
Cristo, figliuolo di
vero,
che
io
Alfonso
197
che cordialmente mi pento e
dicone mia colpa e mia massima coluccisi, di
])a
e così prego che perdonare e rimettere per salvare l'anima mia mi
dobiale il pecato, e voi, padre, umil;
mente vi priego, non secondo la colpa
per la quale ogni male meriterei, ma
secondo la vostra altorità e sapienza,
penitenza
la
a
me
dare
la
vogliale.
«
Detto così tacelte. Messer l'abate forte
il
a
ben
tutto
sua
al
suo signore
l'amava. Dapoi confortatolo
fare e datogli
la
l'asolvctte; e da
partita
[ìenitenza,
ili
saputo
la
lui
certamente del
gnente, partissi lietissimo da
nifazio.
l)er lo
a'
ma
omicidio,
a fare lo
conturbare e misl'are
clic tanta
al
quanto era
riprese, mostrandogli
non solamente
Il
diavolo cominciò
capo
a
messer
1'
a
dì
ve-
lui
Bo-
entrare
abate questo
re |)alesare e lo tesoro toccare; e
così
fé':
che
la
mattina vegnente in
ne già, e parcon alcuno cubiculario, dicea che
sul dì al palazo del re
lalo
cose di necessità
della corona
in contentamento
solamente avea a' re a
198
parlare.
ra
le
perchè presto nella came-
Il
dove
messo
re era fu
il
e fatto
;
debile reverenze e veduto dal re
volentieri, quanto di Bonif-izio aùlo
avea
li
disse
ramenlando
,
once promesse
chi vivo
a
mille
le
il
desse.
re di tanto si turbò e maravigliò,
rispondendo: » Puoi' essere questo? ".
A cui rispondea: « Monsignor, sì
certamente. " «Ora in buona ventura,
messer 1' abate, state di costà dirietro a queste cortine - e mandalo per
Bonifazio, elli presto vcgncndo, cosi
« Tu se' per andare al seli dicea:
polcro: fa che tu mi diclii anzi che
Il
;
quinci
ti
parti
chi uccise
,
subrino .Mfonso.
»
E
mio con-
tosto Bonifazio
mente
questo
udito
olir' a
modo, prima un poco
,
nella
spalla ristringendosi,
turbato
nelle
mostrando più
dolore nel viso che spavento
,
a'
re
Monsignore, che dite
voi? credete voi die se tanto avessi
saputo
sapessi
che a voi prestarispondea
:
•
,
mente noto non
fosse
niente ne so
re
». Il
stalo?
Ma
io
guardandolo con
199
piglio
terribile
gola; or dillo
negandolo
e
'per hi
dicea. Bonifazio pure
«,
re dicendo;
il
uomo,
gio
Tu menti
»
:
«Malva-
tu fosti quello! »; e elli
pure fermo con
faccia dicea
ferma
non esser vero.
'<
Or no
l'a' tu
fessato a altri e detto ogni cosa?
tera fu
«
rispuose. Veduto
Bonifazio
pertinacia sua,
e così dicea:
stui
quanto
«
noi
la
re l'abate chiamava
il
Messere, dite a codicesti. " L'abbate
me
a
voltosi a Bonifazio
fazio, cliiedi
cato
», il
Giamai da me tal maragionala -, pure con ferma
re sogiugnea.
faccia
con-
parlava;
«
Boni-
misericordia del tuo pec-
e non negallo, cliè sai che tu
puoi, imperò che quanto a me
monsignore
non volere negare
dicesti nella confessione,
lo
a
re
lui
fallo
il
sa.
quello che li è noto e chiaro;
per tua onestà e non tardare. "
Bonifazio,
e
«
Si che
all'
abate rivolto conturba
fierissima faccia, così
Messcr
presenza
abate, se io
l'
della
mostrerrei
reale
li
non
rispondea:
fossi nella
maestà
come falsamente
,
io
vi
voi da
200
ogni
vi partile,
verili'i
che sapele che
mai a voi di simil malera parlai.
L'abate umilmente a lui rispoudea
" Figliuolo,
de, non volere cotesti
:
modi
tenere, anzi confessa
come
cato
liarti
e
a
me
io
(tanta è la clemenzia di
che tu
la
umia
chi
non dubito,
monsignor lo
troverrai, e pur stando
pertinace e duro
inverso
tuo pec-
chieder misericordia
dei; e cosi faccendo
re),
il
facesti e vogli
a dire,
te infierire.
il
potrai fare
Si che, figliuolo
mio, non volere negare con danno
quello che lu con utile celare non
puoi.
l'
»
Bonifazio che
ipocrito
le
parole del-
tutte stimava, e
vegendo
dilibcrò e
negare non polca
e voltosi al re cosi
elesse morire
dicea: " Monsignore, io d'ogni mate
son degno e non merito misericordia
da voi uè piatadc con tulio che io
ve la chieggia. Troppa onta e isdegno
che
,
;
,
mi condusse a fare quanto ò
né mai ne parlai confida' mi
;
fallo,
nella
fama, nelle persuasioni e lusinghe di
questo traditore, mostrandomi che
201
ciò che in confessione
dicea
Dio
lo dicea, e io così a
,
a
Dio
lo dissi; à-
mi iiigannato
e tradito niisfacendo a
ogni ragione
umana
e divina; e que-
sono delle trame de' cherici.
Piacciavi adunche falli ragione e justizia, dandogli quello che guadagnare pretende, e me peccatore degno
d' ogni suplicio mi confesso. » Prestissimo per comandamento del re
ste
Bonifazio alla prigione strettissima fu
menato;
e soprastato alquanto in se,
il
suo tesorieri chiamare,
venuto li comandò che mille once
desse all'abate come promesso era;
e così latto fu. Auto l'abate il tesoro,
fece
il
re
e
il
re così gli disse:
quanto
a
»
Messer
1'
abate,
voi piace fate del vostro te-
mio sadisfatto, ove vi
imperò che ò bisogno
che con noi un poco soprastiate. > E
mandato per l'arcivescovo e pel suo
giustizieri, così dicea: « Andate e
prendete qui messer l'abbate e abiate
da lui quanto a me à detto; e fateli
soro, e, debito
piace
datelo,
ragione e giustizia per infino
domane
202
a questa ora, notificandovi die se noi
fate, a
voi fare la
l'arò.
L'arcive-
>
scovo, questo udito, ebbe
da
lui a
saputolo
pieno ogni cosa
e
linalmente
formatogli
1'
si
il
abbate e
seppe: e
processo e
mani
digradatolo, nelle
mise, mostrandoli
e dicendo che quello liberamente giudicasse secondo che la ragione richiedea. il giustizieri, veduto e saputo
del
giustizieri lo
ogni
cosa,
bricamente
il
in
giudicò che fosse pusulla piaza di
arostito; e cosi
presente lutto
di ferro in
carboni
'I
populo, in una rocca
mezzo
accesi
Palermo
mattina vegnente,
la
in Ira
arostito
due monti
si
fue.
di
Sep-
pubricamente la cagione e biasimandol ciascuno dello inorme peccato
avendosene poca pialade, ma
con
forte dubitando di Bonifazio
grandissima piata aspettava la sua
morte, considerato esser elli stalo
chi Alfonso morto avea. Udilo ogni
pesi
,
,
madonna Tancia Tagliavia tanto
da Bonifazio amala subilo la prese
cosa
,
un cordiale dolore
,
dubitando della
203
Bonifazio, clie per grand e spa-
sai lite di
zio quasi Iramorlita stette.
Il
marito,
che nicsserL(p;jo era chiamalo, buono
savissimo cavaliere, non sappiendo
e
donde questo
la
venisse, dubitando del-
sua vita e fattola stropiciare e con-
meglio che prestamente poli
medici che vedessono il riparo, grande dolore e
maniconia ne prendea, imperò clic
lei sommamente P amava. Dapoi in
fortare
tè,
il
mandando per
se tornata la donna, rimanendo in
forma che ralegrare non poliesi e
confortata e domandala da messer
Lippo che questo volesse dire slimolandola mollo, ella a parlare così
cominciò: «Signore mio, perchè sempre con pura e ferma fede amato io
v'ò sopr'a ogni creatura, come il de,
,
bito e
la
ragione vuole, e così ò ve-
me avete fallo: io non
mio concetto né mia passione. Piacciavi pigliarla con quella
pura fede, con quello buono e laucon quella efi'czionc
dabile amore
duto che
vi
in
lacerò
,
cordiale
come
voi da
me
l'avete, né
-204
turbarvi di quanto dire intendo,
cliè
forse inconsiderato biasimare
po-
tresti: che,
che più di
.rete
e
non dubito
tanto mi glorierete e ameauto
la
verità,
esalterete. Io
che, sentito cir ebbi
vi
il
di Bonifazio Uberti,
legrare e
il
venni
in
eflizione di cuore
assapere
fo
doloroso caso
mai mi potè'
tanto
come
ra-
dolore
e
E
vedesti.
questo maraviglia non paia, considerato che somma onestà, somma gentilezza,
io
Io
somma
coslumaleza e boutade
senta tanto malvagiamente perire.
chiamo per testimonio
la
somma
verità, eh' elli è luiiai sei anni che io
il
conobbi,
e che elli
mente amala
,
me
à
somma-
che mai né opera
e
né parole nò eziandio minimo alto o
sembiante non laudabile verso di me
à detto
fatto,
e
non che
fatto,
ma
certissima mi rendo che immaginalo
non àe uè pensilo.
frutto
di
tanto
Il
perchè
io
il
amore li
quale amore
lauldabile
rendea lui amando; il
per mia onestà a lui mostrare la
gione non lasciava. Né altro o
ra-
in
205
occulto
jìalesc
in
da
me
ebbe, e di
quello non dubito punto che in forse ne slava, veggendonii verso di lui
r ultinno di come
il
primo portare.
Ora, signor mio, io mi dilibero con
ogni potere e sapere mostra'
gli
ch'io
l'amo, in volervi slrignerc, per quello
debito puro e sincero amore che due
uno essere ci fa che vi piaccia vo,
lervi afaticare nella sua salute, ricor-
dandovi quanto a lui siete obrigato:
imperò che nelle vostre bisogne onorevoli
lauldabili e utili à fatto e sol-
operato, molto
più che
mai aresti né di
questo altro testimonio non aduco
lecitamente
voi
medesimo
che
la
vostra
che (Quando
fatto
conscienza
le
;
e
le
parole
faccende acorrieno a
me diciavale. Vedete ornai dolcissimo mio signore, come me conten,
tare
potete,
il
vostro debito in be-
neficio di Bonifazio operando.
»
E
cosi
Udito questo messer Lippo,
maravigliandosi forte di quello che la
taccile.
donna detto avea e non meno della
sua aldacia, conoscendo finalmente lei
206
essere onestissima e di grande ani-
mo, diliberò non
zi
voiella turbare, an-
modo che
conforlalla e con più bel
potesse traile del capo tanto ellìcace
concetto.
E
cosi
a
lei
dicea:
«
Co-
stanza, quanto m'ùi dello delle virtù
conosco
molto più die non di' esser vero;
e piacesse a Dio che io potessi di
e onestà di Fazio, io chiaro
tanto pericolo trarlo, che
a
grado
a
me
non meno
sarebbe che
a
te.
Ma
come
lui
per qual forma poss' io per
operare considerato quanto era
,
r amore che monsignore io re al
consobrino suo Alfonso portava? e
Fazio pure l'à morto. Pensa adunche
con che faccia parlare si può per sua
salute? Io per me credo che, se ne
parlassi,
con
pericolo di
me
e dis-
grazia grande della corona, io sare'
reprcso forle e cacciato. Omai adunvogli pensare il pericolo mio
que
tanto operando, e per Bonifazio forse
più e mollo dannoso; non isloglicndo
però, se tu altra via vedessi più laudabile
e
sicura, di
farlo:
che io per
207
me
nulla
vego.
ci
"
Udito
la
donna
quanto
messer Lii)po dicea, e con-
fortatasi
molto della benigna risposta,
una
via
a
lui' in
mio
poter per Fazio ojìcrare
di
mente
nella
io
,
jiresta le
tal
vi
guisa
venne, e quella
«
Signor
dicea:
ringrazio
sommamente
della vostra benignità dimostrala ver-
me
in
tanto avermi benigna-
mente udita;
e quanto dite di voi,
so
di
giudico essere pericoloso, né altro ne
dileggio che quello che voi
stimo
dite
diliberiate.
A me adunque
pare,
vogliendo più sicuramente procedere,
che io in mio capo ne vada a ma-
dama la reina, la quale non dubito
che volentieri m' udirà e co' lei e
per suo mezo mi gitterò a piò di
,
monsignor
tanta
che
io re
e per certo io ò
speranza nella sua clemenzia,
io
;
credo gran
dimanda
jiarle della
mia
ottenere. Piacciavi adunque,
dolcissimo signor mio, volermi
ijue-
concedere « Quando il cavaliere ebbe la donna udita e bene tritamente pensato
e parendogli che
sta via
,
208
quella fosse
la
più laiid;ibile via
meglio salvare
altra in
diliberando
la
conteiilarla
clic
fama
di lei,
così
le
ri-
Donna mia, da poi eli' io
spuose
veggio che tu al tutto questa impresa
"
:
vuoi pigliare, e
glio assentire
io
liberamente
lodo
per tanto
e
sata
;
fa
lei
vo-
che
ài
pen-
quanto
l'
è in
la via
piacere, pregando le quanto più stret-
tamente posso, che tenghi maniera sì
grave e prudente, che sia aconciamento del fatto e non guastainento
della tua buona fama. " Ottenuto la
donna
dal marito licenza e aspettato
tempo per girne a macompagnia di
due damigelle con due oneste mapiù
il
dama
abile
reina, e preso
la
trone, dinanzi a sue piedi prestamente
ne gìo
madama
somma
e fatte le debite reverenze,
la
vedeva
e
«
;
,
reina
volentieri
conoscendola
virtude, e
presto
1'
udiva
donna
le
di
dicea
:
Or che va caendo madonna Tancia
Avete voi buone novelle ? Queè grande apiacerc che ci vcgnate a vedere. » A cui Tancia cosi
mia
?
sto
m'
'209
Madama, io non posso avere
altro die buone novelle
concedendomi la mia buona ventura clie io
nelle mie adimande mi (movi a pie
diceva:
«
,
di tanta reina a chiedere quello eh' io
intendo, e di quello che in niente du-
per eerto tengo
bito, anzi
che
altro
contenta
:
si
da' vostri
è
che
piedi
non mi deggio partire. » La reina
per mano, e fattola istare
prese
piedi, e volle
cui
ella dicea
sapere
:
=
più
avanti.
la
in
A
Madonna, quanto
meriti grazia e misericordia
la
virtù,
fermo amore
auto alla real maestà d' un valoroso
uomo npresso a clemente e benigno
signore, dire non intendo; imperò
che molto dicendo poco direi. Quanto
ancora la malvagia fortuna s' atraversi, e sì per casi inoppinati come per
cagione delle perverse e malvagie
la
fede,
il
perfetto
e
condizioni dell'uomini che tutto gior-
no apariscono, non è mestiero di
contare. Io vengo con grandissima
fede a vostri piedi ferventemente esorando, che vi piaccia volermi consi14
210
glio
per
aiuto
e
la
dare a polore operare
salute di Fazio Uberli,
la
più
fedele creatura che mai avesse o potesse avere la corona. Esaminisi l'ope-
non come giovanetto ma come
maturo e perfetto d' intendimento e
re
,
,
elli à fatte con quello ardore e eficacia come mai far si potesse per qualunque vivente. Esami-
d' età, eh'
nisi
suoi costumi,
i
minisi
al
postutto
la
i
suoi gesti; esa-
sua gentilezza,
sua in ogni cosa laudabile
la
vita, gra-
amore, umanitade e piacevoleza
a ogni persona; e vedrassi
tanto uomo dovere essere amato, grazia,
apresso
dito
e
conservato.
Onde
acciò
che
non perisca, qui mi conduco, parendomi non meno essere
tanta bontà
obrigala alla sua onestà e
al
suo
lau-
temere
di non perder la fama della mia pudicizia, la quale in essere e in nominanza ogni valorosa donna dee conservare. Sapete ancora madama, quanto
anno forza li sdegni e l'onte, quanto
anno forza le ingiurie e le violenze
dabile e perfetto amore, che
al
211
in fare
mutare non che
ma
ardenti giovani
lati
gli
animi
de' canuti e amor-
dunche diremo,
vechi. Gilè
delli
se
non
die debbo il clementissimo prencipe
ogni cosa considerare e non debbe
per uno errore, fatto per espressa ca-
gione d' onta, volere perire tanta virlude e laudabili operazioni? Ora ornai
vedete, madama, quanto di bene operare potete per quello virtuoso, che
conoscete essere tanto fedele creatura
maestade. Io per
alla reale
di
za
vostra ciemenzia
della
mando.
,
cosi
fìnìo.
si
reina
valore
E
»
lagrime
la
me
piena
lagrime e con grandissima speran-
il
vel raco-
suo dire con molle
Maravigliossi molto
questo udito, pensando
della
scendola di
giovane donna
somma
il
conoonestade, parvele
,
d'animo di prudentissimo e magnanimo uomo che di coragiosa donna. Dapoi così le dicea
« Madonna Tancia, io conosco quanto
eh' avesse più
:
dite lutto esser vero
perverso
sono:
in
;
e del caso tanto
fino all'anima doluta
è materia
mi
che male parlare se
212
né puote, ma
fede
clic
io vi
porlo
io
giuro per
la
buona
corona, che
alla
io
dappoi che io
udi' la cosa com'era proceduta, e non
ci vedea via alcuna a potere per Bonifazio parlare. Ora, sendo voi per
questa bisogna qui al presente venula,
e io volentieri udendovi, e acciò che
veggiale che io il vostro contentamento disidero, insieme prendendo
forma e modo, piacemi che a monsignor lo re se n« parli. Onde confortatevi, che per certo sanza grazia
dalla reale maestà noi mai ci partiremo. » Mentre che tali parole dicieno,
sono
stala In pensiero,
madonna
sopragiugnìa
Lionardo speziale,
di
ma
la
reina
Lisa, figliuola
la
quale mada-
sommamente amava
e si-
milcmentc il re, e bene in molte cose
l'amore l'avieno dimostrato, ma singularmente d' avella maritata a uno
gran gentile uomo, barone del re, e
fattole dota di
tando
ve
:
il
più terre; e più por-
re per sua divisa (juesto brie-
Pietro cavaliere di Lisa.
do madama
,
a'
piò a
lei
E vegen-
si
gittava,
213
dicendo: " M;id:iiii;i udito clie ebbi
doloroso caso di Bonifnzio sendo
il
alle mie castella, sono venuta sanza
,
indugio dinanzi alla vostra presenza
per volervi il valoroso giovane e mio
parente racomandare,
sì
che non
fi-
tanto dolorosamente sua vita;
nisca
che sapete quanta fede sempre à portato alla reale maestade e singular-
mente
reina
sì
a
voi,
madama.
dall'una
e
»
dolcemente pregare,
lei
tenera dolceza nel cuore,
allo
scampo
Udendosi
di Bonifazio
mosse una
clic altro
io e
che
pensare non
potea; e a loro così parlava:
pare per più
la
dall'altra giovane
«
A me
avere, che prima
utilità
Tancia ne giamo a sapere quanto
avere possiamo da monsignore lo re,
e quello accetteremo; e se alcuna co-
mancasse, voi. Lisa, quella poi
> E questo consiglio parve
a ciascuna essere utile e buono; e
ne giro dinanzi
presa comoda ora
e fatte le debite
alla reale maeslàe
reverenze, il re con lietissima faccia
le vide, dicendo: < Or che va caendo
sa
chiederete.
,
;
214
madama
la reina con Tancia, non meno valorosa che bella? « A cui prima
» Monsignore, la piala
la reina dlcea
di Tancia e non d'altri dinanzi a' pie
vostri ci mena, sperando con fermissima fede elle contente ci partiremo.
Piaccia alla vostra clemenza volere
Tancia consolalla di sua caritativa
dimanda »; e voltasi a lei dicendo:
« Or dite quello che da
monsignore
io re volete. » Il re, che con sommo
piacere raguordava la giovane donna,
:
a
lei
così dicea:
"
Tancia, è
bisogno torre mczana
madama
la
me
tra
elli
di
e voi
reina? dite quello che a
la buona fé volencompiaceremo. » Udito questa
voi piace, che per
tieri
larga
vi
e
graziosa
crebbe speranza
proferta
e più
,
a
Tancia
ardire, e così
cominciò « La gloriosa vostra eiemcnzia colla somma pialadc, illustrissimo principe, dà piena baldanza a
me, umile e semplicissima creatura,
con ferma e reverente faccia a parlare e tanta reale e inaudita mansuetudine pregare e umilmente esortare,
:
215
sperando non partirmi da' piedi delia
vostra niaestade se non sommamente
contenta. Il perchè se io, fedelissima
serva, troppa licenza prendessi, piac-
per la somma vostra benignità
con vostra pace a me perdonare.
ciavi
e
Monsignore
lo re, io ò
sempre udito
che nulla virtù è tanto graziosa et
lauldabile
nella
reale maestà e uni-
quanto
mansuetudine e piatate.
E questo bene merito imperò che
r una rafrena l'impeto e lo 'nceiido
del sangue intorno al cuore, perchè
dall' ira 1' uomo si diparte e può allora dirittamente con ogni benignità
versalmente
è
la
in ogni giudicio,
divina
,
giudicare; l'altra, cioè
ogni
nostra
pensare,
stizia
fa
si
la
piatate, fa
umanità considerare
e
che ogni rigidezza di giu-
fuggire e partire; conside-
rando ancora l'onte, la violenza e
ingiurie 1' animo generoso avere riceùte, e come la nostra umanità puote
quella sanza vendetta passare, cono-
scendo quella figliuola della giustizia:
perchè piatate nel buono e giusto
216
giudice
secondo
sommamente
scriUa
la
laudata,
leggie
è
ma mollo ma-
giormenle ne' prencipi che sono sopra
le leggi e
danno
le leggi.
Grande
adunche, anzi grandissima isperanza,
gloriosissimo prencipe, mi tira e
muove, consideralo
nella vostra real
maestà tutte queste cose per natura,
arte, uso e abito sono: si che impossibile sarebbe per voi iudicio dare se
non con somma mansuetudine e pialate. Omai tutto questo conoscendo,
buona
io ò
vita al
l'accia
meno
ardire chiedervi
la
del vostro tanto fedele
corona Bonifazio Uberli, per lo
potuto credere arci che
mossa avesse a fare quanto ve-
alla
qua! giamai
me
dete,
ma
per cagione debita e neceset questo
saria a fare son costretta:
si
è
che,
sommamente male
parendo che tanta
leza, tanta
onestà
a
me
virtù, tanta genti,
jiiacevoleza e co-
stume, tanta al postutto fede sincera
alla reale maestà, vedessi sì malamente perire più tosto per cagione
delle perverse condizioni d'altri che
217
sua,
mi sono mossa
non
il
a
quanto vedete,
sospetto del parlare delle genti
la mia buona e sinmio signore e marito
porto temendo o curando. Il per-
ignoranti contro
cera fede che
io
dio,
al
gloriosissimo prencipe, piaccia
t)
alla vostra
clemenzia
piacere a
madama
medesimo desidera
fedelissima
stra
Bonifazio
di
te
uno
in
la
com-
eh' io, e alla vo-
anelila
,
atto
reina, che quel
con
della
gloria
saluinisti-
mabile e per etterno della vostra reale
maestà sadisfaccendo a ogni ragione
umana e divina. > E così finito il suo
dire
piedi
a
gnendo:
»
del
re
si
gitlò sogiu-
Mai partire non mi deggio
di quinci sanza
ripigliando
evidentissima grazia,
graziose
le
parole dalla
vostra altezza a noi dette, che volen».
Udito quegrandissima maraviglia del parlare della giovane donna,
parendo a lui non meno miracoloso
tieri
sto
il
il
volavate
piacerci
re, prese
suo gesto con tanta gravità, umiltà
e piata, che'l suo prudentissimo dire;
e
mosso da
somma mansuetudine
218
quanto la giovane domandava volerlo fare. Poi cosi le diesa » Dama, mai arei pensalo potere
esser slato rivolto di mio partilo clic
diliberò
:
pensato
Ora
avea di Bonifazio
prometto per
io vi
rona, che
tanla
disporre.
nostra co-
vostro parlare è stato di
il
virlude
efficacia e
avendo rispetto
posso,
la
eh' io
,
non
vostra
alla
piatade e valore, che a Bonifazio
perdoni oltre
nulli
vita
determinazione
a
pensiero.
e
la
ogni mia
Sì
che
ornai state su e per certo abbiate che
della
alla
vita
fia
ragione
il
salvo, e per altra via
suo luogo daremo.
la giovane donna e
clemenza del re rin-
Rizossi in piede
umilmente
graziava
mente da
dama
la
la
grazia
della
tanta
lui
riceùta.
sì
larga-
Dapoi con ma-
reina partita, dove Lisa
al-
trovaro; e ragio-
tcndea, tutte e tre
si
nato, parve
reina che per loro
si
alla
sapesse quello che
il
re di
Boni-
fazio diliberava di fare, e saputolo,
a quello
la
provedere
reina in quel
;
e cosi lo
medesimo
seppe
dì da chi
519
col re diliberalo l'avca. Erasi dilibc-
rato Bonifazio l'altro giorno fallo aba-
cinare e lenello dapoi in prigione in
un foncjo di torre con islenlo grande
suo misero vivere. Gostanza e
Lisa da madama questo udito, parendo
nel
quasi niente aver fatto, diliberaro in-
sieme prestamente colla reina
a'
piedi di
monsignore
gittarsi
lo re,
che
e
Lisa chiedesse che questo non
si
fa-
E così opera dierono sanza
intervallo. Il re, vedendo costoro e
'maginando apresso a quello che era,
anzi che prima alcuna cosa Lisa dicesse.
cesse, cosi parlava
:
cramento per questa
Io giuro e sa-
«
testa,
che Boni-
fia. Ora
mai dichi Lisa e Tancia quanto a lop
pare. > Lisa prestamente sendo a' suoi
piedi cosi dicea: « Sacra maestà, con
vostra pace io debbo pure apresso
della vostra clemenza (jualche grazia
portarne; io vi chieggio solamente
fazio
da
noi
giamai
libero
che Bonifazio d' alcun
corpo diminuto
non
membro
sia
,
e
o di
che da
prigione oscura e terribile liberare
lo
2-20
Questo piaccia concedermi
vogliate.
vostra pialade, però che conico a
alla
sacramento non
vostro
il
suo dire
finlo.
amava, cosi le dicea
troppo m' avete col
isforzato
,
voi
non vogliate più
lare.
»
E
»
così
:
«
Ora
su, Lisa,
vostro
parlare
madama Gostanza
e
conceduto
sievi
eè.
re che Lisa mollo
Il
quanto
di
(ale
chiedete
malcr.i par-
madama
Udito questo
;
e
la
reina,
parve dovere potere Bonifazio
liberare di tutto con una prudente
a lei
dimanda; e così al re cominciò a par« Monsignore
lare
lo re
la vostra
,
:
clemcnzia
donne
queste valorose
a
tutta graziosa e benigna, e cia-
scheduna
si
stata
è
parte
;
di
e
loro di grazia conlenta
così
ancora debbe a
me
divenire. Io grazia chieder vorrei, non
a sacramento fatto per
con vostra pace a me conceder volete; che altremenli essendo,
niente direi. » Il re, raguardando be-
misfaccendo
voi, se
nignamente
la
reina, non islimaiido
quello volesse dire, così
t
Madama
,
chiedete
,
che
le
parlava
:
volentieri
Allora
faremo.
il
cosi
ella
dicea
:
voi volete Bonifazio
Monsignore
non essere liberato, e io ancora il
piacciavi almeno tansimile voglio
to di fare, che per servo col suo ave«
,
;
re a quale di (lueste
dame
più a voi
pare, volerlo donare.
E
mie
promesse
dimaude da
porròe.
flnc
cosi alle
voi lietamente
Udito
«
re
il
il
brieve e
arguto dire della reina, ebbe maraviglia; e soprastalo sopra se per tempo, esaminando seco ogni cosa, una
mansuetudine
lo
strignea
benigna-
mente rispondere, parendogli male
clie
da se non contenta
la
Onde per questo
rispondea: « Madama, io
to vi
la
cui
a
a
di voi tre più
glio che a lui istia, si
non
piglia
tutte
me non
elezione di concedersi
se
lei
vo' fare quan-
piace, eccetto clie, considerato
quanto Bonifazio v' è
obligalo, che io per
sco
reina par-
grazioso a
tisse.
:
a
Ire
cono-
il
perchè
servo vo-
veramente, che
quella a cui secondo
ragione dee per essere più obligato,
die
la
grazia
a
voi conceduta
non
si
222
intenda esser data.
>
E
cosi pose
One
suo dire.
Udito questo madama la reina e
Tancia e Lisa che 1' elegere convenia fare a Bonifazio con tal condi-
a!
,
zione, tutte e tre insieme
si
ristret-
cominciò così a parlare
« Voi udite quanto monsignore lo re
dice; e per tanto, acciò che non ci
sia turbata la grazia a voi conceduta,
mi pare da fare che prima io con sot
lenne contratto vogli donare ogni
mia ragione dove a voi piace, e così
faccia la seconda, e ordinare che Bonifazio tutto si doni per servo alia
terza, a cui queste ragioni concedute
e questo fatto, non si potrà
si fieno
per alcuna maniera gavillare la grazia
a voi, madama, con condizione conceduta donandosi a quella. « Parve
questo consiglio buono, utile e sicuro,
e così fero, determinando che dama
Tancia fosse quella ch'avesse a pieno
tero. Lisa
:
;
,
ogni ragione dell'altre, e a cui Bonifazio donare si dovesse.
223
Venuto
gli
dap|)oi Bonifazio e eletto-
da uno conte Jacomo
tutto
rone de'
presente
re,
tre
le
e ba-
dame,
come la grazia conceduta era a madama la reina con condizione come
e
a lui slava la elezione d'elegersi
per
patrona et servo
pa-
resse esser
avisandolo
clii
gli
più obrigato delle tre
a
pieno
a
scuna operato
nifazio,
di
farsi
si
quanto per
di
era
stupefatto Bo-
:
raguardando ciascheduna
lagrime, non
;
cia-
co'
sapea che dire; e pa-
rendogli sognare che
dove morte
là
dolorosa aspettava, vedersi per quesalvare
sta via
ristrigncndosi nelle
,
sommamente
spalle, Iddio
ringrazian-
do, e diliberazione fare non
Madonna
cosi sopraslava.
la
sapea e
reina que-
sto vegendocosl lì dicea: » Prendi sicuramente qui madonna Tancia e non
errerai
»
sapere
e
cea:
»
;
e cosi fé'.
Il
crollando
la
re tulio volle
testa cosi di-
Veghisi di ragione se migliore
elezione
fare
si
dama sogiunse:
sta elezione
"
polca.
»
Allora ma-
Monsignore,
niente
si
di que-
dubita che non
224
ragionevole più ch'altra
sia giusta e
et tratto fuori
i
>;
contratti delle ragioni
donate per loro
a
dama Tancia
,
di
Veduto questo il
re, dello presto aviso delle donne
grande amlrazione prendea, pensando
non da loro ma da altri il provedimento tanto buono e suliito fosse venuto. Il perchè il volle sapere domandandone la reina, a cui ella come la
tutto
il
cosa
ita
avisòe.
re
era, e chi presto
pienamente
dato avea
,
molto da
lui
consiglio
disse.
Fu
pregiato lo ingegno su-
dama
bito di
il
gli
Lisa, e poi così a
loro
Troppa t'orza à auto il vostro
perfetto e buono amore collo ingegno e arte, che in me usalo avete.
Ora rimanete in pace e da me con-
dicea
:
«
tentate d'ogni grazia che a
sta avete.
fazio
E
i>
servo
suo avere
fu
alla
me
richie-
così liberamente Boni-
conceduto con
tutto
gentile, vertudiosa e
dama Tancia, andandone finalmente co' lei a sua magione, dove da
messer Lippo con grande tenerezza
e amore riceùto si lue.
bella
225
Ora
a cui
da voi sapere vorrei
ornai
di queste tre
donne Bonifazio
è più obliguto, veduto e calcuiafo l'effezione,
prudenzia
la
di tulle.
"
Udito questa novella, come che
lunga' non paresse per la sua piacevoleza, ciascheduno in se s'arrecò a
considerare
conclusione che Fran-
la
cesco fatto aveva,
domandando
tre dame
obligalo più; e considerando
mo
grado
zione di
a chi
fosse
quelle
Bonifazio di
e
la
il
mansuetudine
madama
la
reina
,
som-
e affe-
conside-
rando
il
laudabile valore e perielio
amore
di
dama Tancia, esaminando
e islimando
la
sollecitudine e presto
accorgimento di dama Lisa, non volieno così prestamente determinare;
ma
più tosto
ripelieno
prudenza,
Bonifazio
dando
alle
1' uno ora
l'altro
donne il valore, la
laudabile amore che a
ora
delle
il
portalo
avieno
,
stelle ciascuna.
commenE mentre
che cosi slavano, Biagio che quello
dì la cura avea dello aparechiare a
tempi, cominciò così
a
parlare:
15
«
\\e
22G
verciuli iiudri e maestri, io considero
che molle cose sono che ci avisano
naturalmente di quello che dee avenirc, e non solamente a una cosa ma
a più e a più. Mostranci le mulachie,
quando
la
e eilono
mattina sendo tempo bello,
spenechiono e isvolazono,
si
de' piovere; insieme colie gra-
che
cidanti rano'diie, facendo ciascheduna
di
queste
i
segni
evidenti per biso-
lor mantenersi.
gno del
udire potete omai
lo
E ancora
voi
schiamazìo delti
uccelli che in su questi alberi alber-
gano, chiamando l'uno l'altro al tempo ordinalo come se aslrolaghi fossoro, non mancando d' ora, quanlun-
turbo o chiaro tempo si faccia.
che
Il perchè a voi, maestro Riagio, singularmente dico, perchè astrologo e
sommo
filosol'o
siete, che vi piaccia
volere nelle operazioni per
pelli uccelli
non
la
lo
tempo
provcderc,chc
nostra fama diminuita
correndo necessarie,
si
eleggendo ellino le loro bisogne al tempo, e noi (pielle passare:
perchè tempo è omai, che 1' aparcchio
sia
;
m
cena in punto polrele vedere.
E così il suo parlare finìo.
(Iella
»
Parve a ciascuno, udito Biagio,
dovere andarne a cena; ma prima
(lilibcrò
il
proposto col suo consiglio
dovere provedere per
lo dì
inloriio airaminest(r)agione
vegnente
il), e
auto
maestro Marsilio una
la diede al Canbacchetta in mano
cellieri così dicendo: « A noi piace
che per la giornata di domane voi
finalmente
il
,
siate
il
proposto, e
determinato
i
abiamo
vostri consiglieri
sia
Angelica; e
con tutto che giovinetta ella sia, noi
speriamo che da lei altro che buono
giudicio voi
in
lei
non
avere(te),
imperò che
vedete tanta buona istificanza,
che ci dà sommo e buono giudicio
dovere avere d'ogni cosa futura che
per
lei
fare
si
potrà; e
considerato
compagnia che 'nsieme
co' lei vi diamo, che è qui il nostro
maestro Biagio. » E detto questo, leancora
vati
1'
altra
su e dato loro l'acqua
(I) Cod.:
amineslagionc.
alle
mani.
228
e t;iloiie
;i
cena
al
piacevole rezo apres-
so alla fonte fu sanza intervallo, con-
tinuaniente cantando
sieme
fatto la
chi
ne
e
le pulcelletle in-
co" legiadrissinii garzonelli
;
e
cena con molti e molli giuosollazi, ciascuno a posare se
già, e così
felicemente fìniendo
piacevole giorno.
cr-^^a.^'O
il
LIBRO V.
Dopo
la
venieno
nolle
requie
i
della
dolcissimi
passala
rezi
;
il
perchè già tulle le freschissime frondi
risonavano per li dolcissimi canti
d'infiniti ugellelli
e già si vedea
,
isfavillare
il
richissimo carro del co-
glorioso
niato e
lascialo
le
compagnia
Appollo.
camere,
alla
la
perchè
Il
preclarissima
IVescliissinia e
abon-
e rinfrescalo e
danle fonte ne già
con divozione ne
ricrealo ciascuno
;
,
girono
alla cappella e quivi
lemenlc
la
reveren-
messa udieno. Da poi
piacevole frescura
lutti
insieme
alla
pia-
230
tornare
loro
ijiie
sedere e di molte
in
là
,
dove posti a
ragionando
cose
esaltazione della tanto nostra glo-
riosa cittade, finalmente
domandando
maestro Marsilio della sua orrigine, e dicendo die molto caro arebbe
il
di
sapere
donde
l'orrigine de' Fio-
venisse o discendesse, e se
rentini
realmente discese come
da Romani
comnnemente da ogni
fiorentino
sì
alTermando mai scrittura di
memoria o d'altorità degna averne
vedala o sentita che quello dicesse
il perchè sospettoso sì gli
era, pensando questo essere stato fiuto per
si
dice,
:
nobilitare
la
patria
e
esaltare; di-
cendo ancora avere veduto alcuna
molle
cronica fiorentina nella quale
cose vane e non vere letto avea
,
il
perchè mollo sospetto sigli era quello
essere sialo: e questo così dello si
volse
al
proposto dirizando a
parlare e in
ciavi
,
tal
guisa dicendo:
se grazioso
si
èe,
luì
•>
il
Piac-
quanto è da
dare fede volere dire, o far diro di
tale malora, però che carissimo som-
?31
in;iincnlo
ine
a
lin.
»
K cosi
il
suo
parlare finio.
Udito questo
cendogli
la
proposto, e pia-
il
dimanda
del maestro Mar-
col suo consimatera da essere
recitata più toslo dal maestro Luigi
che da altri
pcrcliè a lui
si come
silio,
riiirigiipiidosi
glio e parendogli
la
,
,
a
buono
li
comandò die quanto ne
storico e a perfetto oratore
sentisse
sperando che elli ne con
tenterebbe ciascheduno pienamente
Auto il comandamento il niae
stro Luigi cosi a dire cominciò: (1)
dicesse,
11
miei
Padri
reverendi, io ubi-
derò a' vostri comandamenti, come
che volentieri n' udirei più tosto che
dirne, per molte cagioni, ma singularmente perchè non abbiamo storie
altentiche che di ciò dichino. E certo
se non ci fosse alcuna congettura
io me ne
assai evidente e chiara
,
tacerei e confesserei di largo niente
saperne.
(1)
Ma
,
\)cr (che)
chiaro essere
nella iiriipne di l-irrn:c.
23-:)
a
me
rorrigine fiorellini;!
da Romani
volentieri ne
pare che
stata
sia
,
dirò.
Parmi aduneiie
venga
al
che
anzi
,
io
prencipio, connunierare più
cose anlicliissime di che n'abiamoin
inagior parte
le
reliquie
quali
(I); le
cose non furono fabricate se non per
grande
[lotenzia e
grandissimo spen-
dio.
E prineipaiemente dirò
che
tutto
mase,
di queilo
ancora
è
ci
dedicato e nomalo;
cattolici
gnendo
ri-
per
li
quale
il
fiorentini
cristiani
alla sincera
nome
nel
si
temjiio di Marte, cosi
gentili
da
intero
,
ve-
fede, fu sacralo
del nostro protettore
san
Giovanni Batista (-.'). Vedesi questo
tempio di singulare bcllcza e in for-
ma
di fabrica anticiiissiina al
modo romano;
e al
mente raguardato
e
il
costume
quale
pensato,
Irilasi
dicherà per ciascuno non che in
ma
tutta cristianità
in
essere
giuItalia
opera
(I) Cod. releliquic.
{•})
ili:
ile'
Del tempio di santo Giovanni, al tem-
gentili tempio di Marte.
233
più iiotabilissinia e siiigulare. llaguardisi
le
colonne
dentro
clic
sono
vi
uniforme, colli architravi di finissimi marmi soslenOnti con grandissima arte e ingegno tanta graveza
tulle
quanto
sce
e legiadro.
pavimento più ampio
il
Raguardisi
pareli sostenenti
infra
disi
1'
il
i
pilastri colle
una volta
dentro
1'
e
altra.
arciiiteltura
Raguar-
utile
,
lettevole e perpetua e soluta e
in
fetta
ogni
glorioso e
,
fabricati
di fuori tritamente,
e
giudicherassi
sopra
volta di
la
egregiamente
anditi
colli
sotto apari-
è la volta, die di
rendendo
e
di-
per-
felicissimo
secolo. Ancora più olirà dicendo pure
intorno
alle
cose
magnifiche
briche, non veggiamo noi
e
la
chi
le
e
pu-
vestigia
grandeza del teatro, dove giuoinsieme colle represenlazioni i
i
nostri
anticlii
cieno?
(1)
ferenzia
nel
gentilizio
si
fa-
Cerio di sì, e di circunamplissima
ciii questo ve:
dere vuole, raguardi
(1) Dei lenirò
i
niufjioie
palagi de'Pe-
ili
l'iieiuc.
234
ruzi per
infiiio a c;\s;i
stendendosi quasi
di
Sanla Croce
il
alla
pinza
vedere si
suo diametro dal pozo alt' An;
puole
Tolosini, di-
i
infino
guillaia (juasi
rlie
si
piaza
alla
itifino
pre-
non
fondamenti
detta durare. Ancora simileinente
iiparisco'io
i
niai^nindii
dello sjìettacolo
stri
dove
giuochi eque-
i
faoènsi, che ancora
fino al
presente dì
si
luogo
il
dice
il
in-
guar-
dingo (1)? Questo eradi lungitudine
Sacchetti per infino a san
da casa
i
Piero Scheraggio
vegonsi
:
mura-
le
ancora dove è ogi ilpadi mirabile
lazo della mercatanzia
Che diremo delle vestigia
spendio.
del Campidoglio (2), che ancora tutto
glie e volte
,
—
giorno si diniostrono mirabili fondamenti? Che diremo de'conihitti oltr'a
modo
maguifichi,
fontane
di
i
tutte le vive
(juali
monte Morello ricevìeno
e su per archi co' molta magnificenza
di
muraglia
(
I
j
(i)
per
ispazio
di
circa a
Del guaiilimjo lettilo.
Del canipìdnglio
tla
mercain
reccliio.
•235
otto miglia r aquii alla
Che diremo dello ismalto
(I)
cièno.^
coiidii-
cillà
che ornava e
puliva
tutta
la
citade
in belleza e in inundizia? (2) Di tutte,
conchiudeiido
dire non
si
predette
le
.
cora appariscono
cose an-
riliquie
le
puote che
,
perchè
dalli antichis-
simi e ricchissimi fatte non Tossono
e fabricale e edificate. Io lascio stare
le
si
cose particulari di che tutto giorno
vede 1' orrigine, e sopra ciò non
distendo; ma bene considero la
potenza di Toscana quanto ab antico
ini
fu inanzi
che
Roma
edificata
E come che molte
sime
fossero, delle quali di dodici
ci
nominanza
è spressa
,
edificii
né
si
alcuna di quelle
vi
si
tanti
stigie
(1)
(2)
che quale
è di-
quale è no, ancora in |)iede,
sfatta e
né
fosse.
potentis-
cittadi
che
mai
vi
magnidchi in
né vevede
,
fossouo
,
Dell' aquidotlo dì Capaccio
Dftto smalli) tielhi
citili.
eccetto
,
23G
che
in Gliiusi (1) apiiriscono
certe
fa
si
reliquie del
ancora
che
laberinlo, di
per antichi autori memoria. Che,
diremo
diinche,
verisimile
?
(non)
Certo altro dire più
puotc, se non
si
Firenze essere stala principiata
da ricchi e magnifici uomini e di
potenza grandissima in tesoro, in
t;iie
persone e arme;
slato, cosi
che
e
vegnamo
alle
autori famosi più che
ialina, e
questo
pruove
aliltia
(-21
sia
delti
lingua
che vidoro ne' loro dì tanta
gloriosa città essere posta e edificala.
Mostra Saluslio, storico famosissimo,
nel suo Catilinario come Siila dittatore puose coloni apresso di l'iesole,
e
come
Mallio,
uno
molti
sollecitava
di quelli coloni
contrada
della
di
Toscana, imperò che disipato ogni
desideravano novità. Aloro bene
dunche chiaro essere dee, come coloni romani, disfatto I^iesole per la
,
(1) Sopra la riga, forse
vini
:
di
lii
Val di Chiana.
{}) Salvini supplisce
:
/»
mano
ilei
Sal-
237
guerra sociale
molle
,
per
disfalle
cillà
vegnendo dipoi
,
colonie delli
mani
ne'
furo, e sopra-
immed
ale
campi fesulani
ricchissimi, fecioro
i
;
,
ollr'a
modo
divenire, e
le
molle
dove sendo
mirabili edifici,
ponendo la ciltà gloriosa
Arno intanto che per
d'
balla-
le
Roma
per Jlario
e ollenendo Siila, puose
ollimi e forlissimi Ro-
glie cilladinesche a
e per Siila
si
guerra
(jualc
la
in
sul lilo
edificare e
facendo, parea loro beali
sì
ancora gloriandosi per
possessioni e grande
apa-
ralo in convili e famiglia abondante:
intanto che
avendo dissipato le loro
nuove prede,
sustanze, desideravano
convenia provocare
e a volelli salvare
Siila dallo
inferno acciò eh' un altra
li
ricclii
facesse. Di costoro
gran parte seguitarono Calillina sperando nelle nuove rapine; e che
quanto dello io v'ò buona e alieutica
pruova ne faccia leghisi la seconda
orazione di M. Tullio Cicerone con-
volta
,
tro a Calillina, nella quale
a cavalieri
parlando
romani, raconlundo
le gc-
,
238
nepazioni delle genti che segiiiUivano
Calillina e che^^coiiiincia
lerza ge-
la
nerazione, raconla quasi quanto di
sopra detto ò, e molte altre condizioni.
Il
perchè concludendo, si vede
essere da polenti
spresso Florenze
ricchi
,
ottimi e forti cittadini
romani
essere stala fondala, murat;i e ornata
mirabili
di
e
magnificili
come che croniche
sieno,
li
due
ma
edificii; e
non
altentiche
ci
per quanto dello ò per
allori
contemporani
alla edi-
ficazione e tanto famosi apresso
a' la-
pruova fermissima e chiara. Ora ornai io credo
che basti a avere sad istallo a quanto
lini
,
de' parervi questa
comandalo m'
è stato; tanto Jire vo-
glio che piacesse a Dio che
di Tito
Livio, dove
dee, non fossino
specialmente
parlare
1'
opere
di
ciò
in tutto perduto, e
l'ultime
deche, conìe
mi credo; imperò che vegendosi, si
legerebbe compiutamente ogni cosa.
E questo a voi dello aver voglio in
riprensione de' Latini, che tante opere
più tosto divine che umane abin la-
,
sendo
qiuisi
sciiilt)
in;iiicare
dati al
innrcido ozio e alla impasta e
avarizia
coiitaL^iosa
traendo
lulli
,
,
iscernendo
E
studio e virtudc.
,
de-
laudabile
ogni
bell'alido
e
cosi tacette.
Udito quanto detto stalo era, ciascheduno lodava il dire verisimile
molte truffe
poco
e apiovato, e belTando le
e
balure da alcuni
pratichi e dotti
anzi
,
cose
(jaestc
di
crunicliisli
ignorantissimi
mostrando per
,
le
non avere letteratura aùta,
nò cognizione per conseqnente d'opere altentiche e notabili
il
perchè
vennero a dire molte cose frivole e
loro opere
;
vane, foriiKindo
voli
da
e
suoi
sogni deride-
largamente
bell'are.
Ma
nienlro
che di
vano,
il
ciò in
tal
maestro Biagio a dire cominmaniera
Reverendo mae-
materia ragiona-
tal
:
..
stro, a (]uanto detto avete
è da dare
lede
certamente
per molte
ma singularmente
per
l'
cagioni
aulloritade
famosi e tanto preclari autori
di
si
il
perchè
maso ne
;
molto bene contento risono. Vero è che vau'czza
240
arei d' udire
come questo nome
rentia cominciò e venne,
a
me
pare tanto
il
nome
Flo-
imperò che
propio
all'ef-
grande maraviglia ne prendo e questo si è, che di quante città
neuna ne giudico
io mai vedessi
tanto amena e fiorente averne veduta,
non che questa avanzare. »
cosi il
maestro Biagio detto, tacette. A cui
il
maestro Luigi sanza intervallo ri< Maestro
io lascerò slare
spuose
molte cose che si dicono intorno a
ciò, non parendomi delle da alientiné eziandio parte di quelle vechi
fetto, ctie
:
,
I'^
,
:
,
risimili da dotti mostrarsi
cora perchè da
è Plinio
ciò
,
altore
nella
;
si
an-
sua Cosmografia
non Flurenlia, ma Fluenlia
mina. La qual cosa,
tempo che Plinio
e
famosissimo,
la
no-
considerando
lì'ori,
il
quale fu
il
al
leinpo di Traiano,
il
po
molto bene pos-
(1),
sibile
che per difetto
sia stato
(
lì
è
corrotto
il
Punii nel codice.
quale
delli
fu
do-
scrittori
vocabolo di
I-'"io-
•>4l
renza dello Fluentia; e
(iiicslo
pensare
mi la e arbitrare, che dopo lui Tolomeo, diiigentissimo in (ulte l'opere
sue apresso ai greci e a' latini, e singularmcnte accurato nella sua geoglofia, ne' nomi e ne' siti, Fiorenza e
non Fluenlia la nomina. E avendo Tolomeo trovato Plinio nomalla, Fluene essere tanto nitore
tia,
so
a'
rebbe.
che
il
famoso apres-
Latini, Flucntia nominata
1'
a-
Onde concludendo, a me pare
nome usisitalo e cosi longevo
dee essere dal principio imposto; e
non una , ma molte ragioni a tanto
credere mi tira, imperò che pochissime cittadi,
vuoi dire politie, sono
l'atte nella
maniera di Fiorenza.
Se l'uomo bene considera il principio
dell' altre, si vedrà di chiaro da piccolo principio avere cominciato, e se
pure da forza, non v'è suto il tesoro,
state
come
in questa; onde se si viene bene
esaminando, Fiorenza in suo principio
fu di grandissima potenza d'uomini e
d'a vere
scorso
-_
la
sua posta, e
furono
lauti
in
brieve tran-
magnificili
'
ediIti
242
come
ficii,
E da
chi
tissimi
dello ù disopra, edificali.
da romani
?
cilladini
nelle
,
ballaglie
,
citimi e for-
ricliissimi
e
da
civili
Siila
onde d'animo grande
tatore:
valore,
fecioro
gloriosa
principiando
cillade,
falli
dite
di
tanto
avendo per esem-
cose romane, e quelle
per loro gloria vogliendo avanzare.
plo le
II
loro
perchè
gnendo
mirabile e
sì
gloriosa ve-
pochissimo tempo, fu possibile il caso dare nome alla potente
cillade, il perchè Fiorenza della si
èe, quasi posta a (1) prestissimamente
in
oltre a ogni
fiorire
natura
di cosa.
Puossi ancora arbitrare avere tratto
il
nome
imperò
per
eh'
la
olii
condizione del sito,
è mollo
ahondante e
ubertoso di (lori e singularmente di
gigli; il perchè, sendo in sulla ri-
viera d'
danza
,
Arno
di
possibile
ciò
è
ipiindi essere nato, e
(U
Coil.
f
grande abonnome ancora
l^'iorcn/a nomi-
il
243
tempo dire non
per
sopra ciò
nato avella. Altro
ni'
disfalto alle vostre
ocorre
lo
se
;
domande
sa-
io v'ò,
molto contento ne
sono; se no, imputisene la mancanza, delli scrittori e la ignoranza e
almeno
in parte,
negligenza non che de' nostri passati,
ma
lingua latina.
tutta
di
fine al
presente
Piaque
verisimile
a
E
pongo
».
ciascuno
dire del
il
piacevole e
maestro Luigi,
quello mollo
commendando; e
mentre ciie ciò facèno, cominciò a
dire messer Giovanni in tale maniera: « Maestro quanto detto voi avete
m' è mollo piaciuto, e non mi pare
e
,
avere
udito
sogni
come
loro ignoranza scritto
è
verisimile
(juanto detto
stra
la
e
è.
si
chiaro
Ma una
molti
co'
anno; anzi
e
autentico
cosa con vo-
pace da voi sapere vorrei:
desolazione
di
Fiorenza fu
se
fatta
da Attila o da chi, o se Attila' si piper Totile, o come? Imperò che
istrane oppinioni io n' ò giìi udite.
glia
Piaciavi volerne vostra credenza nar-
244
rarne, elio
(ìa
di
non
dubito
ciascuno udirne.
maestro così
piacere
•>
A
graziosissiino
ilea
FINE
cui
ne
il
rispon-
SPOGLIO
F.
MODI
DI DIUF:
ni NOTFAOLl
NEL TESTO
t
la
prima corrisponde
Abilità
[l,
tempo
101.
n
Bonifazio
denota
il
(
(')
volume;
alla pagina, e
—
12
le
delle arabe,
seguenti alle
idoneilà, opportunilà,
circostanza idonea: a pensando
a
caso molto a
sua ahilità
lui
,
adivenne un
alto *•
(•) Per non allungar di troppo lo spoglio,
abbiamo creduto far bene a non ammettervi quei
multi idiotismi di pronunzia,
quali senza arjci
il dizionario non presentano di particolare
che un lieve cambiamento di lettera, caratteristico del dialetto o della grafia propria delP autore; se non sono, come le più volte accade,
chire
una storpiatnra, o l'effetto di un lasso
Pe^ci^ non ren-istriamo forme come p.
metrica (I, 99, IH, 22}
—
di
e.,
mano.
aric-
— aritmetica; mtffamaiico
matematico; geoglofia, micoco(I, 99, 20)
geografia, microcoBimoy probema I, 5, 3J
£Ìmo, problema; cremente ( 1 , 105, 1 ) isprendienti
34, 5-6 ), mutripicarr ( 1 , 99, 9 ), miitiprìcare.,
( 1 ,
(
—
.
246
Accetto
11,
1S2, 20. > Bonifazio, che queslo
desiderava, uinilmentc risposo: « Mon-
signore
,
io
non potrei né avere
né
pensare d' avere magior grazia che fare
alla
vostra maestà graziosa cosa n.
rfcìeazione (I, 31, ult.
),
—
Il
isetrntndo (II, 239,3)
(I, 116, 21)
clemente, ìsplendenti,
moltiplicare, recreazionc, ischernendo, gruogo;
grttoco
modasta (I, 4, 18), sagreti , edioma {I,
ermonia { 1 , 30, 1 e più volte 1, effeziont
tralo (I,
2, 3],
,
fere-
120, 2; 153, 3), impilo (I, 112, 20),
modesta,
sepone (I, 112, 16-11; 121, 22)
—
armonia, affezione, faretraimpeto, siepone (aument. di siepe, Stor.
stromente
strumento; moAiolf. ;
( I, 6*7, 14 )
indulesta (I, 110, n) —molestia; indiis/ro
segreti, idioma,
to,
—
)
stria
;
stanti
—
rifuggo (1, 113, 14)
in
(I, 18", 15-16)
—
—
—
rifugio; t» uno
uno stante; n»»
non ostante; dounque ( I, 37,
)
dovunque; rietro (I, 203, ult. ), dirittro
(1,201, 18-19), «riefio (per T arietro I, 164,
9; 174, 18; 191, 4; II, 9, 8; 85, 3 ecc.) e
istante (lì, 4, 9
2)
—
adirielo (I, 192, 7).
Ogni volta che il campamento o F omissione
non mutava sostanzialmente la forma
dì lettera
della parola, e che quella rimaneva riconoscibile
sotto la veste del dialetto, noi l'abbiamo lasciato
senza spiegazione: ammettendo nello spoglio quelle
le quali presentavano alcuna
,
formazione, o di senso speciale e
voci soltanto
difficoltà
di
non avvertito finora, o di modo dì dire insolito;
quelle infine non registrate dai let^sicografi o
,
di
uso piuttosto raro.
,
247
re
guai dò
il
ma
credo,
il
con mollo dicca:
e
ne
io
Achìnea
—
21
19-3,
l,
frane
Io
madonna
accetlo
fo
Tancia Tagliavia tanto da
n
amala
le
acchinca
»,
cliinea,
,
spagn. porlog
liaquonce, ani.
:
facanea, spagn. moderno: liacanea.
Acnorrere
122 pcnult.:
II,
m' acorre
avvenire.
»
Accorrere
«.
Vili.
.Malt.
2,
La novella che
—
occorrere,
61
«
Tarlendo
dalle batlaglie falle per gì' Italiani nelli
male
strani paesi, ci accorre l'intestino
dell' Isola
di
Cicilia
205, 18 (accorrere
Accompagnato
labili
«.
—
\. ancora
11
occorrere).
"
con innumeaccompagnala •.
59, 24-5
I,
donzelle
Accompagnevole
11
S7
,
,
—
ó
sociabile.
.Manca a" Vocab.
Accorto, aggiunto
a ventura:
corta ventura
Acquistare
I,
8,
11-1-2
ali
acquistando del
Sacchelli nov.
più
olire
Agliana
Adietro
«
II,
il
—
ID, 7.
«
ac-
avanzar viaggio,
ed attiva.
in sign. nculr.
remi facemmo
1,
».
Inf.
90
al folle volo,
lato
«
De'
Sempre
mancino »;
fr.
Ma per acquistare
cammino verso il ponte
17:
«
».
100,
Z-i.
Nota modo
noi siamo adiciro e Dio
il
insolito:
sa da chi »
-24S
—
noi siamo lasciali adiclio da
superali
Adempiuta
12i, S:
II.
malura.
021.
li,
copia
lOi, 17: « grandissima
I,
amonlali
cavalli
di
—
»
182. 19 per giuncalo. Bocc.
I,
Inlrod. 47, Filoc.
Amontato
:
bene aeinpiula
eli
•
a doversi inarilare
Agiuncato
i^cc.
oUrepassati.
,
adobbali e ornali
ricliissiirianiorilc
,
—
•
riunili
accal-
,
cali?.
Amortato
2-5, epil. di vecchio.
II, 211,
Manuz. regisira un solo esempio di senlac.
so figuralo- Fr.
»
E 'n
Ape, lape
st.ni.
II,
<U,
Il,
Il
?•
turalmenlc
I,
—
Apropiare
9-10:
nella
è
mele
fare lo
Apresentare
"0
i
qiianlo
II,
lapi;
«
Come
na-
lo studio di
assegnare.
51,
lauto vezzoso
apropriaro «.
in
I,
bene e gencrosissipoeti
divini
notava
dedicare.
I:
lapa
i
115, 6 delli
per apprcsenlarsi.
5,
luogo a Venere
Salvini
II.
«.
Sii,
allribuirc,
mamcnlc
am-
api:
delli
120, 21
12 nelli lapi;
Bui. Pur;;. XVIll,
lapi
7, 1, 32:
«
117. 7 uno ape;
120,
Tod.
s'è annegalo Desiderio
le
niorlato.
margine del
A.
.M.
coti.
:
.
2iU
Argentiera
II.
11.
genloria
? J.
vaso d' nrgrnlo (ai-
1
ÌUanuz. icgislia argentiera
significazione di miniera o cava
nella
d' argenlo.
Aspettabile
II,
.
I,
Ki^
20
'2G,
2-i
,
—
7i,
;
Il
espeltaljilo
;
insigne;
riguardoviile,
cmnc
Boccaccio, Filoc. usa: spellalìile,
pure
noslro auiore In due
II
romanzo
II.
Attenente
II.
19
2,
t,
uomini
«spettabili
spelabili cittadini
<r
I2S.
I,
l.ì
passi del
7;
18.",
II,
Mancano
congiunto.
—
17
esempi
o
».
parente,
del
tre-
cento.
Attr;iversarsi
la
Wd,
II,
malvagia
Attraversarsi
verso
,
19-20: quanto ancora
fortuna
—
allraiersi
s'
reslare, essere
avverso (V,
lo
a
•
tia-
spoglio alla pa-
rola: traverso); opporsi.
Avenire
!,
!i,
9
•
non credette
che tanta terra
Jlinos
in sì picciolo
tempo
mai avenire potesse tanto devastata e
diserta
»
(—
divenire).
vcdcsi tosto al miserabile
B
(—
dalla
divenire).
11,
Itiu,
Melissa
21-22:
si
ée.
"
»
9:
uscito
e giù per le
avcnne dove Bo-
nifazio sacrelo appellava
I,
»
fine avenire
192.
camera sua Alfonso
scale solo scendendo,
1G8, 4:
I,
»
(
-
venire).
Ma, perché una sola
non
piiole
avenire
a
ì:>q
conlenlaie
ligio
11.
Aviluppato
Balura,
150,
I,
559,
II,
conti
ciascuno
9.
presente
del
— avvenire
(
li-
che contenti).
14: epiteto di onde.
Manca
—
Baìure
a' Vocal).
balia?
(la
Barba. Traile barbe
llU,
II,
25:
noi
i
trovali fanciulli piccolini di sci
aliiaiiio
e
cinque anni die favcllono unglieri,..
e
i
apena parlare
avere
troppo
al
buona memoria
me mai non
per
barbe
traile
Bellegiare
a
.
tempo non sanno
nostro modo. E' deono
nostrali di quel
li,
(i9,
8.
Manca
Bellegiare la spada
BeBtialaccio
gistra
II,
,
a'
io
clic
Vocab. Cioni
:
muoverla,
vale
pomposamente
rotarla
clic
,
credo aparallo
».
».
109, 19-20
Vocab.
II
re-
besliaccia.
:
Bestieleggiare 11, 65,-21-2-2 - Bestialeggiare.
Manca a' Vocab. Cioni: » É chiara la
significazione di questo verbo, che sia
per far cosa bestiale •.
Bombare
2i:
a
24,
98,
II,
voce fanciullesca
Pataff.
della vernaccia, ce
alla
testa
quella
—
5; Nov. ant. 9. tot.
Buonaccorso ha vola la botte
bevere.
si
di
per far
,
bagnuoli
messer Giovanni
bombava
•.
:
sanza
-251
Caleffare
II,
22
tì.'i,
Uurlarc, beffare,
2t
e
conliaffare alcuno.
Capocchio
II,
112, i —scimunito, balordo,
Mancano esempi
usasi anche sostantivo.
del trecento. Capochieria
—
ISO, 24-5
II,
cosa da capocchio
atto
scimuni-
,
(aggine. Filic. Leti.
Capellina
103,
II,
cappello,
(di notte), dimin.
11
specie
Saccliet. nov.
98:
di
Frane.
berretta.
di
Va cercando d'un
»
fodero di cappellina vecchio bianco ».
—
128, 15
Il,
— cappuccio,
o simile
ornamento donnesco.
Capo
II,
207, 15: » in mio capo
prio
nome
Frane. Sacchetti, nov.
1
detto, maestro in suo
—
10
105,
II,
se
li
capo
«
»
«
Es-
sopra ù
».
lasca.
Comperò un
e legandogli stretti
,
mise nel carnajuolo ».
Chiaragione
Coltellessa
di fogli
di
carniere,
Frane. Saccb. nov. 165:
quaderno
a pro-
01 e 102:
sendo Bonamico. del quale
Carnejulo
—
i>
a proprio conto.
e carico,
11,
I,
178,
189, 5
l'istesso
collello
1
—
che
coltella «. Coltella
più grande
lama larga;
coKellaccio.
chiarigione.
.Manca a' Vocab. Ctoni
sorte
degli
d'arme
ordinari
:
—
,
a
a guisa di
,
Combattimento
100, 30
I,
angoscin
fìgiir.
affanno.
Comunicare
119.
II,
Hi e 20, con
10,
-2.
qualcliednno o qualche
—
cosa
avere
in coiciine, di coiiiune, esser psriccipe.
a'Vocab. Leon
.Manca in questo senso
Ralt.
.\ll)ci'(l.
ogni
Della Famil.: S'c'si dcl)ba
ogni
pensiero,
forluna colf
(uà
cosa,
ogni
amico comunicare.
Conclusivameate
SO,
II,
T av*
6-7. .Manca
verb. a' Vocab.
Convenire
(I
I,
Nola
IO, tS-19.
costruzione:
la
colle molle pirramide clic.
convengon venire
tutte
cenere
.
vece di:
»; in
conviene che vengano.
Copioso
:H,
II,
17:
parali die ella
•
sia
alla e copiosa a lui porre silenzo e da
pienaraenlc rispondere
Cripeato
iri7,
I,
a
.Minerva.
ri!
,
—
aggiunto
clipeato,
Manca elipcnio
a'
diziona-
quali registrano faretrato
i
Son.
2i-25
u.
(Pclr.
118 ecc.). clic è pure della
desima formazione. Sari una
di
me-
quelle
parole, dircllamente allintc dal Ialino,
come
periisseijiie
equo ed altre,
nostro
autore
mento
classico.
.
esoio
le quali
l'
,
esiimlare
denotano
influenza
del
,
nel
rinasci-
253
Cronichista
esompi
buon
del
Mancano
cionisla.
Manuz.
socolo.
cila
IJorgliini.
il
Crudo
—
9
'i.">Si,
II,
aggiunto a acquf
5
lljii
I,
dissime e crude aquo
verno,
ili
ville
slagione
frìgi-
«
:
Crucio epilelo
»
tempo o simili,
,
maggior rigoic del verno, della
il
slagione
ecc.
,
tempo
slagione
,
ecc.
IVeddissima.
CutrettoU
liS.
11.
gi-nere d" uccello,
-ìO
dello vnlgainicnle liiiUoiiiu.
lai.
mo-
lacilla.
Delirato
manca
Demostrativo
sone
Deridevole
11,
(i'J,
I.
questo senso
a'
acccllazionc
a"
di
».
per-
Manca
Vocab.
239, 16-17 manca
—
'i
Vocab.
IS, 22, parlando
a'
Vocab.
assemblea, convegno, col-
lazione, lagionamenlo.
del
— digene-
algido e demostrativo
"
:
in
II.
in qiiesla
Dieta
11, agg. a Ibiza
Ibi,
I,
ralo,
Mancano esempi
Ircceiilo
Dilatazione
11,
."<;.
I(i
nere, piolungare.
-
il
iIKTerirc. Iratle-
Manca
a'
Vocab. que-
sto senso del soslanlivo. Vedi dilalare.
Dilibero
II.
101, n-6 —diliberalo. Vedi Manuz.
Dilucidamente
incnlc.
I,
74, 22;
l'.M,
7
—
diiara-
.Mancano esempi del Irecenlo
,
254
Dilucido
Dirizzatolo
- lucido.
ll-l'2
185,
I,
Ifi, ó:
11,
dirizzalnio
u e
apresso ritto uno
ivi
sul
in
vasi d'aricnlo con
quale erano molli
Jlanca a' Voc
—
colui
Divoto
modo ant.
10, ult.).
(Il,
questa accettazione.
in
—
195, 4; 2-20, 19
II,
avvenire.
al
quale
si
lia
divozione
I,
io",
Id:
"
invocando e
ciascuno
eleggendo
divolo
suo
il
propio iddio per avocalo »;
« divolissimo »;
De;
151,
1,
65,
Il,
tu,
110,
Gir.
—
lóO,
ri;
Equo
1,
•
13;
effi'llo,
1,
109,
226,2
—
<•.
cffetlualmenle,
11
vocabolario
Ma
vivanda o torta
erba; nel qual senso vi
fani: erbata
Ut. acquus.
del trecento.
per adicll. di erba
sto luo^o vale
_
me
129, 20:
17;
—
101, 12. Cloni: «
lo porla
luogo
veramente. Manca.
160, 4 e più volle
11,
•
Vedi Vit. S.
•.
Do, lasso a
Iti.
Mancano esempi
Erbato
174, 13:
e
Ili, 8.
I,
Ilo.
14:
102,
Effettuosamente
con
I,
dell'eremo
divotissimo
Do
prezio-
allri pieni di
sissimo vino B Credenza?
Divenire
ani.
Riiil.
90.
Giiilt.
—
manca
vivanda o
in
que-
fatta
•.
con
Fan-
torta fatta
con erba. Vedi erbolato, crbolatuzzo.
lai.
I, 152, 18: 11209, pcnull.
exorarc. Fanfani: « lai voce non ha
Esorare
—
255
cseinpj
classici,
ma
avendoli
r auloiilà
suo
da accell.irsi an-
liRiivalo esovahile, è
che
il
del
Patrizi
la
clic
scris-o ».
Esondare
IO, 7 -
I,
'né esondare potesse
racolosa
eilladc
come anche
pxundare:
lai.
nessuna csundazionc
».
di quello
•
die
guastare
luoghi della mi-
i
Manca
Yocah.
a'
:
Esundazione. Vedi esundare.
Falcia
158, 9, idiotismo per falce. Manuz,:
I,
per forza di rima Morg. 27,
falcia,
"
06
K par che
:
tagli dell'
Da ogni parie menando
Feci
II.
ina, IO
r.ioni
di
:
sentimento
Il
'
falcia
la
di
parola
ecc.
di
».
modo
me che
questo
molla somiglianza
Ila
maniera
«.
governare a'/ec!
dire è: lasciati governare a
feci.
Filosofa
o Lasciali
erba del prato.
coli' usala
enunziare un defunto colla
dicendo
fu,
il
fu mio padre
(?)
II.
.'iS,
22. .Mancano esempi del
buon
scroio.
Forma
I,
Noliaino
12.'),
i
10: u
segucnli
forma
modi
di
dire:
alla battaglia pren-
diamo»; 125, 2,H-2G:'pralicand(r la /br«i« della animosa zuffa n; 100, 11:0 dierono
fotyiia
e
modo
che
'I
grande
>•
,
250
glorioso escicilo
si
parlissc »;
(urina
a e quivi daiciiio
vole glia del Paradiso
rimanendo
poliesi >;
modo
Forte
(ii
po-
donna
ralegrare non
clic
forma
(prendere)
Il
"
E
cosi slando
il
ma
cavalieri più e più mesi,
la
I: «
disutili e
la
e
".
59, 22:
11,
forma
21-2,
dilclle-
»; 49,
nendo fortiia a molle spese
dannose »; 2113, la-lS-
8, 5:
11,
alla
valoroso
il
forle,
sua residenza, era alla villa di Car-
rara
".
Francare
11, li2,
penull. -- assicurare
:
•
sola-
mente una cosa un poco mi Tranca,
quella è la mia innocenza ».
Franchigia
P.ell.
11.
11)2,21
—
e
ardimento. Cuidoll-
5ì: "Di questo tale
uomo
fermo,
coloro che sono grandi e gentili, hanno
misericordia e pietà,
e
maggiormente
vedono
che
per
la
elio
per altra miseria che dica
franchigia
Frequentare
I, 72,
17-18
—
in
lui
».
spesseggiare,
tornar spesso alle medesime operazioni.
i\ov.
ani.
ICO, Hi;
S. Giov. Crisosl.
tS7.
Frigione
11.
I7ri.
10-11: fnifoii,-
.Manca a" Vocali, (ioni
prabito di confidenza
:
..
.•
II,
97, 10.
Trusonc, so-
.
257
Gaglioffare
GO
11,
Manca
IO.
,
verbo
il
a' Dizionarii
Gatta.
10-11:
CI,
Il,
galla
non
cavaliere
a
come molli
,
di
e infami
dolorosi
per una minestra veggiamo spessissimo
per conladino,
farsi (?) a Cf. gallo
lano; cervel di galla
senno.
non
134,
I,
3,
— genlile.
genie
— uomo
di
vil-
poco
«
cavaliere
superi,
dell'ani,
slaiiipa:
gola -.
ili
Gentissimo
Cloni
Il
(Guill. d'Arezzo,
Danlc
Maian., Frane. Barb., M. Gin.).
—
Gerbino I, 192, 8
nome di venlo
mezzo
Ginee
II,
dal punto di
soffia
ponenle e mezzodì.
Ira
106,
11,
Giornata
Garbino, Libeccio,
che
1-2:
fra
«
nuove ginee
13-U -
66,
battaglia:
« (?)
il
di
levare
i!
.
della loro giornata
Gittare la
mal
a'
Gotta
pietra
II,
di pietra.
12,
—
H-6
Manca
11
modo
12,
11,
1):
a
non vai né
Modo nuovo, lombardismo?
Zenone,
il
di dire
Vocnb.
ferro
Piel.
:
»
che
Che può lnccarlo,
né gotta
che
Fonte:
»
(
il
golia
Cf.
«.
però
diamante
ma non
far
Lami: ncgotla). Vale tanto
né una gocciola, nulla.
17
258
Guernigione
(V.
194, 14 — gucrnimcnlo
guarni8: guernimenli )
I,
l'J7,
I,
;
zione.
Impasto
200, 2
11,
18,
17S.
Imputare
per.
221, 21
I,
noD impuiandolo
s
:
mia virlù, anzi
per
larghezza
V.
».
Ariosi. Fur.
digiuno.
-
per suo dono e
223,
I,
impu-
11:
tare a.
Inavertente
quale non bada, non cor-
il
non
ri.'iponde,
Incedere
101,
I,
parlando dell'a-
138 ult.,
II.
—
nianle
atlcnzione.
fa
mancano esempi
ull.
del
trecento.
Infusione
a"
28,
I,
—
20
.
Manca
inQuenza.
Vocab.
Ingaggiarsi
71,
II,
uienlo in
si
s'
engager.
a'
Vocab.
Intrigabile
l,
19: ( ingaggiarsi
pericolosa zuffa
.Manca
162, 13
in
per
•, frane:
questo
senso
—
ìncslrieabile, in-
clic
non
trigato. .Manca.
Irremeabile
sare,
I,
9,
da cui
S
—
si
per cui non
può ripassi
può
tor-
nare indietro, l'oliziano, Fav. Orf. 19.
Isbulzonare
.Ielle
II,
IGO, i
—
monete. Giov.
guastare
Vili.
il
conio
12, 96,
I.
25.9
Iscappellato
l'i,
11,
maeslro
Iscnrato
I
Termine
».
12;
iO,
,
»; parile,
D. Giov. Celi. leu. 25
nascere
a
eia
vita
sole
il
già scurala
,
Isgremito
12, ull.
I, 1
—
mire
di caccia.
25, 17:
I,
virlule iscuratl
.
pelc-
Talcone
•
iscappcllalo dal suo slrozieri
grino
e
3:
«
di loro
scurare.
di
(.Sa):
Comin-
»
della
cristiana
».
— isghermilo, da
rilasciare,
slaccare,
sglier-
conlrar.
di ghermire.
Ispezie
1,
'il,
21
delle cose
mine
Com.
di
ISS,
;
4: idea, immagine
impresse nella menle; terfilosofla scolastica.
Inf.
—
S.
I,
Vedi Oli.
13i, 22: ispezie
—
forma, apparenza, sembianza.
Isquizzo
69, 8: far
II,
—
isquìzzi
zare, entrare a stento,
6.
55. — Sguizzare —
presi
i
;
—
lai. illabi,
pesci di
mano
per similitudine
Io
Guizzare
loro
per
difE-
scappare che
a ehi
si
—
è
l'acqua,
penne o
sira
1'
tiene
gli
dice d! qua-
lunque cosa che scappi o schizzi
per
sguiz-
ingredi. Vedi Sen. ben. Varch.
cililer
fanno
spada
eolla
vibrare la spada. Squizzire
via.
andar che fanno
i
—
pesci
prodotto dall'urto delle
alette
contro
di
essa;
scuotersi, dimenarsi, vibrare
e in questi significati
si
usa anche
:
a
.
mollo
—
Iransilivi.
lìc' volili
sguizzo a'Vocab.
isquizzti
Manca
il
;
Cioni
invece di squizzi legge squilli e spicca
K
Vocab. non ha questa voce.
11
bensì
Slreg.
gli
per
squillare
scagliare.
:
Ila
Lasca
Aveva una delta che squillava
'
aguti cinquecento braccia discosta «.
dunque
Par
che
fare
squilli
debba
intendersi per far finta di ferire •.
Istare
I,
i'i
7:
,
l'uno isime per l'altro
»
-
morte
della
V. Lasc. Gel.
Iitorno
41,
I.
Istozzieri
I,
—
(3
Si,
l'2
mallevadore.
istar
IG:
"J,
Varch. Stor. i,
Ambr.
islormo, stormo.
—
corrotto da strozziere:
concia
quegli che custodisce e
che
rapina,
di
celli
Cof. K, C;
li.
servono
gli
per
ucla
caccia.
Largo.
.Noliaino
•
i
modi
parlando largo
rale
II.
;
di dire:
—
t
23:
-2òl,
largo niente saperne
Latamente
di
I,
pp-
Latrabile
II,
23-2Ì,
Manca
lato.
121,
I,
159,
liiurcalo.
luito.
is
81,
19
confesserei di
•
•
r.
2G-I,
avverb.
Vocab.
U-
Coni. Par. i3,
Laurato
a'
li.
nel senso gene-
atto a l.ilrare. Oli.
fi!)i.
,
epiteto
di
pollo
—
Vedi Clivato, cripcato, tere-
261
Luitrato
lol,
I,
Marobbio
IS,
101,
II,
aggiunlo a virtmle.
—
l.i
manibbio,
l&t.
ma-
lubbiuin, specie d'erba.
Ministero
—
54, 18
I,
mistero. Vedi Giovanni
Gherardo, Trallalo ecc. ed
di
misleri
.dei
drammatttl
nome
il
indubitabil-
,
mcnlc derivato da minislerium.
Morto
ull.:
i't'ó.
1,
liinangnn nioiti
Motina,
92,
II,
noslri
tulli
e
liligii
s.
finiti
li: parte niofino del cielo
quanto
vale
«
il
mento. Leggasi
stellato,
cielo
firma-
a proposito la nota
al
respetlivo passo del lesto. .Manca a'Vo-
cab.
un
questa parola,
termine
clic
noi crediamo
Molino
astrologico.
ammutinamento
senso di
,
nel
ribellione
,
s'incontia nel Cinuzzi, scrittore sanese
del secolo XVI.
Mollare
a'
—
173, 21
1,
molleggiare.
Manca
Vccab.
Mulachia
II,
226,
'J
—
lai.
monedula. Otl.
Par. 21, 474.
Coni
Munigione
II,
21-22
120,
provvisione, ciò che
è
—
muniziono,
necessario
per
vivere.
Musicabile
((•r.
II,
4,
G:
lalrabilo).
«
musicabili numeri
Manca.
»
.
26-2
Notato
Vedi
15.
29,
I,
usato
Notato
come Ovid.
«
attivo,
É manifesta
la
delle notafe acque, qua-
come una
si
senso
nel
179:
Pisi.
mia usata via
errata-corrige.
la
qui
da molti
calcata
strada
».^
carri
Odorìssliso
simo,
1
20
31,
,
di odorosis-
invece
per isbaglio od inavver-
forse
scriveva
un altro
tenza di colui
elle
passo (I, 76,
18) l'autore adoperava
una
—
Ottenere
in
;
terza forma: olorissimi Cori.
termine
in
guerra vale
di
ambedue
i
enunzialo
:
senza che
casi
2", i
II,
»
(
cioè la vittoria
l7/>,
11,
—
(1
ottenga
« elli
)
—
,
in
obietto sia
1'
fcioè la vittoria); II, 257, 5,
do
acqui-
Si trova
due volle dal nostro autore
usato
Palandra
:
combattendo, conquistare.
stare
"
•
ottenen-
prevalendo.
palandrana, palan-
drane, gabbano. Togli.imo dal Fanfani
seguente esempio: « Ks. L'hai visto
il
Uelli
il
che po'
di
oggi che è festa ?
Pari
i,
40,
palio
che
'1
12
Al pari
di
tanta
a'
I,
Vocab.
l;i2
a
è messa,
paragone:
al pari
,
s'
»
uno
leggiadria,
bellezza e
ciclo
mostra iscurato
Pedissequa
palandra
•
—
di
quello
si
"
5. latinismo.
Manca
2G3
Perire
TiO,
11,
11;
'Jl
sarebbe qucsli
nave
la
Perlucidare
?
—
1,7; in signilic. attiv.
far pelile. Fr. Giord.
l'rcd. S.
mallo,
Or non
o
va a perir
clic
».
tSb, 13
I,
—
Manca
dichiar,;re.
a' Vocali.
PerliTcido
57 ponuU.
II,
Pesciame
Si,
;
Manca.
15.
Gn, G, furmato di pesce,
II,
come
pollame — quanlilà di polli, genlame
ile. Manca a'Vocab. Cioni:
»
cibo
qualunque ordinario
Peicione
dolci pescioni »
i
e grossolano
19-20: »
99,
II,
Pestiferamente
I,
Modo
•
(?).
deano essere
e'
di dire faceto.
75, 5. Manca a'Vocab.
r avverbio.
Petto
11,
17-18:
CO,
pedo ed
fronte
;
alle
petto
n
dire:
a
—
petto
combattere (Giov.
Piede
II,
Vili
i
pctlo
a
modi
di
a fronte a
chccvhessia
a
7.
,
fronte per
27. 7).
255, 18. rssere o stare in piede,
non
—
il
in piede
il
castello di
quale era mollo forte
città,
verii .
essere, intiero,
Giov. Vili. i. 55.
dislrullo.
Essendo
buoni,
Polizia
—
stare
vale ritrovarsi nel suo
(I
Cf.
»
petto
pigliare a petto
a
stare
a
arrecarsi
«
slrollc
repubblica,
Manca
in
modo
1
Monleo.
del go-
tulle queste accetta-
564
nostro lesto:
il
è
Vocnb. Ecco jU esempi
a'
zioiii
dà
'224,
d'uno, o quello
quello
9
clic ci
•
Quale
zia
più? •:
di
13 i guastatore di reale poli-
2-2S,
I,
I,
migliore regimcnto d'una polizia,
il
li;
1G7,
II,
•
I
lauldabilc e utile
a ogni repiibrica e puli:ia »;
21
pochissime
«
II,
2il,
citladi o vuoi dire
politic t. Slanuz. cila Plutarco Opusc.
morali
il
volgarizz. da iMarcello
Giovane, i, 283. e spiega
col quale
si
governa una
amministrate
Pollare
7,
2
;
Dillam.
Portare Vedi
Predotto
1,
città, e
comuni bisogne
—
7-8
7,
I,
le
Adriani
< ordine
:
iscaturire.
Bui.
sono
>.
Inf.
20.
S,
Seguire.
uS,
18
—
dotto. Manca.
Premettere I, 67, 22 — ( — preordinare):
« la somma e prima cagione clic lutto
istabile e fermo
muove e discerne,
causando
e
premeiiendo ogni opera
de' mortali per universale bene e orna-
mento
nel
della
mondo
»;
sua giustizi» nel cielo e
I,
li5, 7:
o quale ra-
»
gione mai questo prcmisse?
»
(~
sup-
ponesse? qui evidentemente usalo nel
senso
I,
di
premessa, termine loico);
150, 12: I premellesse
nesse;
II.
85, ult
:
.1
e' vi
-
—antepo-
piace che
ii>
•265
lìiCM
(lei
liiip
e deliri
iscoslarmi
maesdo
quanlo
di
ecc
Aiislolile
Pretendere
)
—
de' mortali
li;
a quel fine
,
pensò
One
ult.
lui
pretendeva
fosse
si
era »;
ogni cosa
elle
in
ciascun
per nulla in-
>
:
si
a
bene pre-
di
come per purissimo caso
avenulo
fortuito
«
!13
I,
iH, 5-6:
I,
uno
a
che 'n
duslra
avere in mira,
tendere,
animo, aspirare.
tenda
il
invece di promct-
per isbaglio
tendo ?
vuole
(se non piut-
»
premettendo come
tosto sia da spiegarsi
scritto
.
uomo,
premettendo non
e io ubfdlre voglio,
punto
dell'
filicilii
II,
155, 8:
parca
li
pre-
tendesse danari ».
Prevedimento
Agost.
Primieramente
I,
Il,
n'.t.
siiigularmenic
—
19-2n
27,
I,
CD.
8
—
piima
,
prevedere.
il
15.
principalmente,
di
tulio, prima-
riamente.
Procaccino
II,
IO dimun. di procaccio,
102,
tabellarius.
lai.
Puchiozzo
II,
pucliiozzo
99,
><
.
6:
Modo
«
o
citi
Punga
I,
e
un dolce
di dire familiare e
faceto. .Manca la parola a'
Vocab.
170, 2i, differisce da battaglia:
punga
della ballaglia
'
.
«
la
Racozzarsi
Reale
— congiungursi, colie.
— schietto, sincero, verace.
126, i
II,
25
18,
II,
Tecbr. g. 2S, n. 2.
Recato
108, 21
II.
191.
recatosi
«
;
piede
ritti in
>
Nola modo di dire.
Reverenza
17i, 22:
1,
e perchè
•
grandissima reverenza
di
grande
come per
Reza
1,
la
della
era
sua
sua
laudabile e santa
la
vita ». Vedi (livofo
chi
fama
meritevole
e
scienza,
citi
per
si
nel senso di
uno a
ha divozione.
si
—
2
2-22,
rezzo
Si legge nel lesto
?
oposlo a frescura.
Ribugliare
I,
—
20 21
12,
ributtare?
cono adunche. Saturno avere
solamente quattro esserne iscam-
luì;
pali,
Ridotto
ribugliandoli ecc «.^Jlanca.
20.5,
I,
15:
non ridotte a
Ridurre
ti 5,
1,
nuove biade ancora
i'
terra
Nola modo.
>'
15: (ragioni)
—
addurre
Ristorare a
II,
da
II,
lei
15:
me
i2i, 6: «
mollo
si
più
potesse •.
).
152.
quello che per
Ritemuto
efficaci
..
che altro per allri(ridurrt'
(
Di-
lìglluoli e tulli diviirall essere islali
nìli
da
•
aiili infl-
il
«
ristorerò
io
errato
si
perchè
riicmula
si
ùe
h
>.
la (^nciulla
era e di
lei
367
con
jiramlissirno
slava
(liiioic
—
«
tementi' ? Accettazione insolila e senza
esempi.
allri
Sacransentare
—
far
151,2; 219, 15-16
Mancano esempi a' Voc.
II,
giuianienlo.
Saldissimo
Scocca,
IM,
I,
po
ammiruzione.
67, 5-6 agg. a
I,
Raro nel senso
flgur.
—
21
sue
sentilo
spia:
do-
dapoi,
»
".
scocche
o
spie
Manca.
Scopatore
lOn,
II,
d'uomini
cie
ritiramento,
Ti
divozione
alla
quali
i
una spe-
dissero
si
:
dal!
al
e
disciplinavano e
si
percolevano con delle scope per mortilicarsi.
Seguire
lóH, 6:
I,
seguire
sto
•
cosi
,
autore
del
—
quanto
"
in
usare
prò
bene potete
Come
casi suole
allri
in
que-
nostro
il
verbo semplice invece
il
composto:
viene
di
conseguire.
p.
I,
e.
convietie
107
penult.
seguendo
(ove,
per
maggior chiarezza,
abbiamo aggiunto
nel lesto la preposi-
il
Salvini,
zione die
22-3
20:
in
«
e
al
venuta
n si clie al
cammino
2: •
verbo mancava);
«
»
—
presente
--
e«
!,
divenuta;
ci
1,
149,
189,
viene essere
conviene
;
Il
,
106,
De, non motteggiare di cose che
portino
•
-
importino. Vedi Cloni
:
»
:c8
non moUcgiare
Opposto a
esempi
di cose
il'
uso
questo
poesie
nelle
Gheraido, è quello
composlo ove
imporlanza.
die
,
Giovanni
di
adoperar
di
il
»
molti
iia
di
verbo
>emplice avrebbe ba-
il
Vedi lo spoglio alia parola pre-
stalo.
tendere
Seguito
SO,
11,
S:
ad
conlro
seguilo
Tare
23:
cavallo) « sini-
alcuno.
Sinistrare
H6,
11,
strando indietro
furiare
(il
si
rivolgea
nov. 12:
Come
u
•.
giunse,
là
Vale in-
Frane.
imperversare.
,
il
Sacli.
ronzino
cominciò a tirare addietro ecc. Al-
si
berto accennandogli cotale alla trista,
non
lo polco
mai
andare;
far
ma comin-
ciandosi a sinistrure. e Alberto aven-
done grandissima paura, per
lo
migliore
discese in terra ».
Solativo
IG6. 2:
II,
•
io
lascio slare
sta
Solitlo
produce.
II,
«
l'
istesso
al sole,
cf.
(ed.
»
Manca
tot. ltì-17.
L.
I?att.
guarda
a"
il
Vocab. Cloni:
luogo esposto
,
mezzogiorno
•
Fam.
5.
Alberti. Dell.
Booucci, voi.
volere
fruito
a' Vocali.
Manca
che solatìo
che
il
onesto che que-
laudabile e solativo e
2.,
p.
buono vino bisogna
lib.
279):
la
«
a
costa r
.
«
golitifi
il
,
ove leggasi
noia
hi
dul-
r edilorc.
Soluto
14 aggiunio a ar-chilelliira.
-ióó,
II,
Soprastare - indugiare,
(0:
'
I,
moria
.
-ilO, 7-.S;
na,
It;
7^;
20; li2,
215,
211;
1 :i
—
»)
18
40,
II,
12
(sopraslalo
Il
Alcuna volla
si
alquanto sopra di se
lido
co'
4-5:
poco
Soramente
volto
risletle
—
8
genuamente. Modo
7:
»
Sospirare
e
179,
II,
o
un
dire
scioccamenle
insolilo.
Vedi
in-
,
I,
112,
194, 26: sospirare lagrime.
11
.
226-7
degli uccelli,
del temporale
si
—
spennacchiare,
quando all'arrivo
puliscono ed assellano
penne.
le
Spunto
175,
soro sparvieri.
II,
Spenechiarsi
detto
quale
•
12,
II,
fare
il
la
II,
istelte,
dicoa u;
sopra se sanza
et
sopra
trova usalo
reggo un pronome personale:
poi
,
sopraslalo in se);
(
verbo diviso dalla preposizione,
2-?): «
44,
;
15; 138
1-27,
•.
12; 155, 9-10; 184,
142,
21; 221,
201,
lì'ì,
impersonal.);
us.
(
I,
sondo guari so-
«
»
107,
6;
201,
15-16;
se
dimiirare.
lo spaivierc),
I
praslalo
1
,
85
,
25
:
opposto
a
vale smunlo. Manuz. spunto
smorto.
pienissimo
—
,
squallido
,
270
Stretto
— preciso.
19
2-2,
I,
La quale uini-
»
nitade e clemcnzia è utilissima mollo
e laudabile alla vila poliiica principal-
per la quale cosa a lui la fa
menle
madre (cioè Venere-, non polendo più
pienamente ne più stretta cosa a lui
,
—
dire che quella •
69, 18
"
Alle strette: II,
Questi due malli vedi che
arecare i.Vedi quest'altro
modo
essere o mettersi alle strette
stretta
—
esser
ridotto
,
di dire:
avere
la
gran peri-
in
air estremità, essere oppresso.
colo,
Strigare
si
a petto e alle slrelle
vogliono a petto
II,
—
42, 10
lai.
sviluppare. Vedi
dar
exiricare,
sesto a cosa imbrogliala
,
aggiustarla
srjVìijj/jrtisf
II,
15, 12,
14 e 24.
Stupefattivo 11,71, 21-22. Volg.
gliono
—
di
Templare
(1,
I,
II,
buon ora.
IO)'
ora tcnipeitira
«
temprare,
«
temperare
tendo ricchissime
raggi del sole
e
rompere
«.
Notiamo
GS,
li
"
.llanca.
-
31, ó
I.S2,
e teniplare
1,
10:
7G,
porpuree per
Tempo.
Vo-
ecc.
col sale
Tempestivo
Jless. u
slupefatlivc, le fregagioni
cose
ló-U:
seguenti
i
"
modi
per tempii
»
di dire:
—
solle-
27i
preslamenle,
cilameiile,
(Peli',
loslo
175); o: a buon ora, di buon ora
son.
(Bocc. nov, 65, 9);
o tempo
—
»
II,
talora;
2, 6-7
5,
II,
una compagnia
nare
ra/ora
<t
:
i
ragu-
"
:
di singularis-
simi, famosi e chiarissimi uomini, quan.
tempo
mondo
to
per
in
questo tempo, allora;
lo
a!
dovuto,
come per
(1
paria
Fanf.';
prefisso.
lo
tempo
al
20, 2-3:
Il,
tempo uno mentecatto
153, pcnu!!.:
II,
»;
e
9,: «
S,
—
pilone al tempo a tavola s
—
fosse n
si
II,
e ciascuno
«
tempo frutto fare si dee
II,
)82,
per tempo, sollecilamontc ?
ragio»
24
e così per lo tempo
per
lo
:
;
i
:
naraenli
finito
(per
2(1
—
»
per
allora
tempo); 221,
lo
;
193,
(per
11
tempo).
Tentennare
II,
U5,
22: nel senso attivo
—
dimenare, agitare.
Terra
II,
66,
II:
mostrarsi
veramenle.
farsi di Intona terra
"
animoso
più
.Manca.
.Manuzzi
è
Non
dice di persona soda, e da non la-
sciarsi indurre
concorrere
Manca
dire.
a'
a
far
negli
cosi di leggieri
—
•
;
—
s'
da por vigne,
essere terra, o terreno
si
non
che
,
l'altrui
altrui
e senza
Vocab.
voglie,
senlimenli,
molla ragione.
questo
modo
di
272
Tomo
IVI,
II,
tomi scliiavoncsclii
«
1:
»
—
capitomboli a uso di Scliiavonia.
Torcifeocio
II
99
,
7-8
,
sliumcnlo
preme
Torto
di
«
;
cbro com' un
modo. Torcifcccio
loicifoccio ». Nola
panno
lino
col quale
,
si
feccia.
la
123, 12 aggiunto a luce: « a (orla
I.
luce guardava « .— bieco, slorlo, travolto.'
Trafficare
II,
tare:
>i
pecunia
.
—
161, «3
Veduto
si
niancRgiarc
che
,
trat-
come
abiamo
la
IratTìca. » Cavale, frutt. ling
meno per cagione
Niente di
:
di traOì-
care della pecunia, percliè era dispensatole del Signore, cadde
si
laidamente,
che per pecunia tradì Cristo i.
Trarre di punta e di taglio
11,
09, 9-in:
termine di sclierma.
Trasvalicamento
—
Traverso
I.
8,
'2
(«
onde
bili
I,
3,
()oi;er'se,
•);
I,
•
l.ì
): 11,
( •
traverse
SO, 20 (• Ira-
lui facca i).
157, ult.;
IGG, 21
-
tremoto,
tremolante.
Tremolo
:
contradie e terri-
150,
I,
eaviluppate onde
verse risposte a
Tremolato
— travalicamenlo.
Il
avvei-so, aspro, incomportabile
aggiunto a signorie
I,
25,
li.
273
Trillare
(1
penult. (la lancia). Cioni:
68,
11,
V
sia per iscuoter
asla
brandirla
,
(Soder. Coli. 78). Fanfani:
i.
«
Muovere.
dimenare un corpo qualunque con grandissima velocilà
Trottiero, a
zoppe
Frigia
a'
l'achinee
»
di
Manca
e trolliere «.
Vocah.
Trugliardo
—
24
107,
11,
truUare
di
i.
192, 22-23:
I,
trullardo ? da
Trullo, vale persona sciocca e
poco senno; trullerie
—
gini, scliioccberic.
—
minchionag-
Manca.
Venire Vedi Seguire.
Ventillare
ic
col
nome
n
Itirn
;
41
,
colla
91,
15 <
il
;
buona venfanciullo
buona ventura
sciando con
11-12:
«; I,
di Intona ventura
Or
11
II,
Manca.
90,
I,
buona ventura
nome
1-2
12,
Ventare.
di dire:
di
12-13 « nel
II,
—
186, 19
1,
Ventura. Nola modi
»;
II,
la.
47,
19-20 » con piacevole e graziosa ven-
tura
i>
;
II,
98, 11-12
•
Ora
colla
buona ventura »; II, 110, li andate
mala ventura •; 198, 10.
co//a
Villico Soslant.
manca
a'
abitacoli
pio
I,
1G9, 14; 171, 4; l'adjett.
Vocab.:
•
;
155,
I,
137,
2
:
"
12: « villici
villico
tem-
n.
18
274
Viiio
53,
11,
16:
«
sendo
la
madre grossa,
di lepre ebbe vizio. » Nota
Ulivato
I,
IG9 3;
cpitelo
modo.
di Slincrva.
Vrdi
cripealo, fereirato e laurato.
Zufolone
1,
t86, li
—
rischio, lai
sibilus
qui parlando dol vento che soffia.
NOTA
»-"HE sr
LEGGONO PER ENTRO
A QUCST" OPERA
Ximella dei Maestro Scotto, Vol.'ì." Pag. 180
—
di Messer Marsilio
rara,
—
—
—
Voi.
3.»
da Car.
.
"
.
60
n
96
»
lOll
....>
123
.
.
di Multio
del Sonaglino
.
.
.
—
d'Alessandro; di
—
di Catenina e di Filippello
—
di
Rice iarda
38
»
di Messer Dolcibene
Madoana
Barile
"
135
«
175
Francesco Musico; di
Bonifazio Uberli
.
.
OI^TJSOOLI
PROSSIMA PUBBLICASIONE
DI
-^s
\tacloTiiia
XIV
Il
,
Lionessa,
a^jgivintovi
C'autai-e inedito del
una Novella
T^-iracliso degli Alberti, Ritrovi
naiueiiti del
UT
t?sto
1389
di
e
Ragio-
Giovanni da Prato. (Parte
).
Libro degli Ordinamenti
di S.
Sec.
Pecorone.
del
Maria del Carmino
de
la
Compagnia
scritto nel
-€8§^
1280.
>lVVI80
Il
sottoscritto
egli abbia testé
si fa
un pregio ili avvertire, come
una nuova collezione in-
impresa
Biblioteca economica per uso
della studiosa gioventù; nella quile avranno
titolata:
luogo costautcraonte Opere
ogni secolo.
di
classici
scrittori
di
L' edizione, commujue economica, sarà nitida e
convenevole e a discretissiuiu prezzo ogni volume
potrà acquistarsi separatamente.
È di già pubblicato per primo la Storia Kio;
reutina
di
Hìcordano
e GiucJicfto 3Inlcspìiii, cu-
rata dal prof, t'rescentino
Uiaiiiiini.
L. 2.
GAETANO ROMAGNOLI
I novellieri italiani in versi indicati e
da Gioambattista Passano. - Questa importante Bibliografia è in corso di stampa quasi nelr egual carta forma e caratteri dei Novcìlin-i in
prosa dello stesso autore.
Se ne tireranno non molti esemplari, perciò chi
descritti
,
,
desidera
associarsi
si
diriga al
sottoscritto
libraio
editore.
GAETANO ROMAGNOLI
^- \Y-"-'i^
j
f^fjj
:^
^
-
University of Toronto
Library
DO NOT
REMOVE
THE
CARD
FROM
THIS
POCKET
Acme
Library Card Pocket
Under Pat. "Rcf. Index File"
Made by LIBRARY BUREAU
^%'
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^: '^\^
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