Fides, Logos e Ethos nell`opera Fihi ma fihi di Jalal al-Din

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Fides, Logos e Ethos nell`opera Fihi ma fihi di Jalal al-Din
Milano, 12 Maggio 2014
Biblioteca Ambrosiana
Nuovi Classici per il Terzo Millennio
Fides, Logos e Ethos nell'opera Fihi ma fihi di Jalal al-Din Rumi
a cura di Yahya Pallavicini
Benvenuti alla lettura e alla scoperta di un nuovo classico, l'unico testo in prosa che raccoglie gli
insegnamenti di uno dei maestri spirituali musulmani più conosciuti nel mondo contemporaneo. Si
tratta del saggio Fihi ma fihi che, tradotto in lingua italiana, può avere il significato letterale di
“c'è ciò che c'è” oppure, seguendo una interpretazione meno letterale, è stato tradotto con il titolo
“L'essenza del reale” (Psiche, 1995) o “Il libro delle profondità interiori” (Luni, 2013). L'autore di
questa raccolta di settantuno capitoli è Jalal al-Din Rumi, poeta persiano vissuto e scomparso in
Turchia nel XIII secolo, il cui nome può essere a sua volta tradotto in Maestà della Religione, il
Romano o, meno letteralmente, l'Occidentale.
Per questo appuntamento, abbiamo cercato di selezionare alcune citazioni che possano aiutarci a
cogliere l'insegnamento sui tre temi di questo ciclo di incontri alla Biblioteca Ambrosiana: la Fede,
la Parola di Dio e l'Etica, ma vogliamo innanzitutto sensibilizzare i presenti sul metodo di lettura di
queste traduzioni che non può limitarsi solo ad un percorso linguistico, dal persiano all'italiano,
ma dovrebbe prendere in considerazione soprattutto uno sforzo intellettuale che permetta di
cogliere l'attualità di un linguaggio che risale a otto secoli fa e che questa sera si rinnova senza
entrare nelle categorie del pensiero culturale ordinario.
In altre parole, vi invito a cogliere “ciò che c'è” di straordinario anche in questo maestro, come
negli altri sapienti e santi cristiani ed ebrei ascoltati in questi mesi precedenti. Per entrare in
sintonia con i suoi contenuti bisogna saper riconoscere il significato non letterale ma universale
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della sua opera, saper cogliere “l'essenza del Reale” persino in questo terzo millennio così
apparentemente lontano da ciò che qualcuno crede sia addirittura incomprensibile.
LA FEDE
“Questo mio discorso è lingua siriaca! Guardati dal dire che hai capito, giacché più hai capito e
afferrato, più sei lontano dalla verità. Per comprendere è necessario non capire. Il dolore e le
delusioni derivano per te da questa errata comprensione: essa è per te un impedimento, un laccio cui
devi sfuggire.
Tu dici: «Ho riempito il mio otre in mare, e adesso il mare è contenuto nel mio otre». Ed è
un'assurdità completa, ma se dici: «Il mio otre è andato a fondo nel mare», è la verità e il nocciolo
della questione. La ragione è uno strumento efficace e prezioso, fin quando ti fa arrivare alla porta
del Re. Ma quando sei giunto là, devi separarti da essa: perché in quel momento diviene
un'infermità, un brigante di strada. Quando hai trovato il Re, abbandonati a Lui: non vi è alcuna
utilità nel come e nel dove.
Pensa di avere un tessuto non tagliato da cui vuoi ricavare un vestito o un mantello. La ragione ti
conduce ad un sarto: e fino a quel punto, per avergli portato il tessuto, essa è stata d'utilità. Da allora
però va respinta, e tu devi interamente abbandonarti all'opera del sarto. Così anche per il malato: la
ragione è efficace a condurlo dal medico, ma una volta là non serve più, e deve sottomettersi al
medico” (26).
Ecco sintetizzato il rapporto tra fede e ragione dove quest'ultima, la ragione, è al servizio della
vera fede che, a sua volta, si distingue dalla ragione per una qualità di comunicazione spirituale
superiore. La ragione deve accompagnare il credente nella sua ricerca di una risposta al senso
della vita ma non può sostituirsi alla funzione, alla natura e alla conoscenza del mistero della
creazione divina. Pretendere di guarire se stessi o di costruirsi da soli un abito su misura con l'uso
della ragione, senza medico o sarto, è solo presunzione e ignoranza.
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“Qualcuno chiese: «Esiste qualcosa di più eccellente della preghiera?». A questa domanda era già
stata data risposta, ossia che l'anima della preghiera era migliore della preghiera recitata. Ma
un'altra risposta è: la fede è superiore alla preghiera.
La preghiera è obbligatoria in cinque momenti della giornata, ma la fede lo è sempre. La preghiera
può essere sospesa per un motivo legittimo, ed esiste il permesso di ritardarla. Qui vi è uno dei
caratteri di superiorità della fede: per nessun motivo essa può venire tralasciata, e non è mai
consentito rimandarla. Inoltre, mentre la fede anche senza preghiera non resta senza beneficio, la
preghiera compiuta senza la fede, come quella degli ipocriti, non è di beneficio alcuno. Poi vi è il
fatto che, all'interno di ciascuna religione, la preghiera è una realtà a sé, distinta, ma la fede non
muta nelle diverse religioni: i suoi stati, il suo orientamento e i caratteri restano uguali” (8).
L'importanza della preghiera non può degenerare in una ginnastica rituale dove il credente compie
alcuni atti in modo formalistico o meccanico senza avere la coscienza spirituale della
comunicazione e della comunione con la grazia divina. La preghiera avrà il suo valore se
accompagnata non solo da una opportuna purificazione ma se viene anticipata da una retta
intenzione che rinnova il carattere costante della fede dell'orante verso il proprio Signore. Il
maestro Jalal al-Din Rumi, da un lato, stigmatizza l'ipocrisia di coloro che pregano senza fede e,
parallelamente, riconosce nelle differenze rituali presenti nelle varie confessioni religiose la
sostanziale unità della fede in Dio a Cui i riti sono rivolti da ogni fedele osservante.
“Le parole che diciamo sono moneta vera: le parole degli altri sono solo falsi. L'imitazione è un
derivato della moneta autentica: e se questa è come il piede di un uomo, l'imitazione è come un
modello di legno, foggiato a forma di piede umano, copiato dall'originale e conformato alle
proporzioni. Se non fosse mai esistito al mondo un piede, come avrebbero potuto farne
un'imitazione?
Alcuni discorsi sono quindi moneta autentica, e altri moneta falsa. Si assomigliano fra loro, ed è
necessario qualcuno che sappia ben distinguere l'autentico dall'imitato. Tale discernimento è la fede:
l'infedeltà, invece, è l'incapacità a discriminare.
Prendi ad esempio la storia del Faraone. Ti accorgi che, quando divennero dei serpenti sia il bastone
di Mosè che i bastoni e le funi dei maghi, chi era privo di discernimento vedeva solo forme dello
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stesso tipo, senza fare distinzione, mentre chi ne possedeva poté riconoscere quel che era magia e
quel che era verità, e con questa discriminazione abbracciò la fede. Questo bisogna capire: la fede è
il discernimento” (39).
In questo capitolo, il maestro accomuna la fede al discernimento, qualità del credente virtuoso che
sa distinguere la Verità dall'errore e orientare la pratica della fede in mezzi utili alla propria
crescita spirituale. Egli ci richiama a prendere coscienza dell'opera di falsificazione di coloro che
forgiano imitazioni, generano ideali alternativi alla vera religione, creano idoli e suggestioni che
simulano la “moneta autentica”. Il potere della magia si dissolve di fronte agli strumenti e ai segni
della Profezia.
Nel racconto che segue e che conclude questa prima tappa dedicata alla selezione di passi sul tema
della fede, potrete gustare lo stile narrativo di Rumi così ricco di storie simboliche che aiutano i
lettori ad una meditazione profonda sulle corrispondenze del linguaggio delle parabole con la vita
di ognuno di noi. In questo caso, egli ci fa riflettere sulla dinamica della fede che richiede pazienza
e determinazione, sforzi e soccorsi, ma che può guidare ad una vicinanza dalla visione essenziale
della realtà dove il timore dell'ultima distanza da percorrere coincide con la paura di perdere se
stessi. I santi sanno realizzare anche questo ultimo passo e andare oltre, i credenti possono
arrivare, grazie alla fede, almeno fino a questa distanza.
“La fama di un leone si era sparsa ovunque nel mondo. Stupito da tanto rumore, un uomo partì da
molto lontano per giungere a quella radura e vedere il leone. Impiegò un anno intero a percorrere le
tappe, sopportando le fatiche del viaggio: ma quando arrivò alla radura e da lontano ebbe osservato
il leone, rimase impietrito e non ebbe la forza di farsi più vicino.
«Ebbene, che c'è?», gli chiesero. «Hai coperto tutta questa strada per vedere il leone coi tuoi occhi!
Questo leone ha una caratteristica: che se qualcuno avanza verso di lui senza avere paura e gli passa
con amore una mano sul capo, non gli fa del male.
Ma se ci si spaventa e si ha timore esso diviene furioso, e a volte attacca pensando che l'altro abbia
idee ostili. Per quella creatura hai penato in viaggio un anno intero: perché startene immobile,
adesso? Fai un passo in avanti!»
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Ma l'uomo non trovò il coraggio di avanzare e disse: «Fu facile percorrere distanze tanto lunghe,
eppure ora non riesco a fare un singolo passo».
L'intenzione del califfo ben guidato, la fede che cercava, era quel passo: muovere un passo in
direzione del leone. Quel passo è una cosa difficile e rara, ed è destinata solo agli eletti e agli intimi
di Dio. Questo è il vero procedere: tutto il resto, sono orme di passi. Questa fede è propria solo ai
Profeti, che si sono lavati le mani della propria esistenza” (26).
LA PAROLA
“Il Maestro disse: «Sono in partenza per Tuqat, che è una regione calda. Benché anche il clima
dell'Anatolia sia caldo, la maggior parte della popolazione è gente di Rum e non capisce la nostra
lingua. Vero è che, anche fra loro, vi sono persone che capiscono. Un giorno parlavo a un gruppo di
persone fra cui si trovavano dei non musulmani. Nel corso dei miei discorsi, versavano lacrime per
l'emozione e la passione».
Uno chiese: «Cosa capivano, e qual era la loro conoscenza? Solo un musulmano su mille
comprende questo tipo di discorsi. Cos'è che sentivano al punto di versare lacrime?»
«Non è necessario – riprese lui – che essi intendessero i discorsi in se stessi. Comprendevano
l'origine, comprendevano l'essenza. Al fondo di tutto vi è che ogni essere riconosce l'Unicità di Dio
e che Lui è il Creatore e il Sostentatore, che ogni cosa controlla e a cui tutto fa ritorno: che spettano
a Lui il castigo e il perdono. Quando qualcuno ascolta queste parole, che parlano di Lui e ne sono
un ricordo, sorge in tutti la nostalgia e il trasporto estatico, poiché sentono diffondersi il profumo
del loro Amato e della ricerca” (23).
In questo prima citazione sul secondo tema del Logos, la Parola di Dio, che troviamo nell'opera
“Fihi ma fihi”, possiamo riconoscere uno dei tanti passaggi dove il poeta musulmano fa un
esplicito riferimento al riconoscimento dell'Unicità di Dio da parte di tutti i credenti a prescindere
dalla loro appartenenza nazionale, linguistica o religiosa. La sensibilità spirituale del credente
dovrebbe infatti saper riconoscere “l'origine e l'essenza” del divino nel Suo Verbo e nella Sua
Parola senza limitarne la manifestazione esclusivamente alla propria grammatica o al livello di
comprensione personale.
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“Allorché i pensieri lasciano la scena e la verità appare senza lo schermo della riflessione, è il
giorno della Resurrezione. Quando questo avviene, non rimane traccia di rimpianto. Quando è la
realtà ad attrarre, non vi è altro che la realtà. Ed è sempre quella realtà che ti ha attirato fin da
prima”. Il giorno in cui i segreti verranno messi alla prova (Corano: LXXXVI, 9).
Il giorno della Resurrezione corrisponde secondo la dottrina islamica al momento nel quale si
assisterà alla resa dei conti ma anche allo svelamento dei segreti e dei misteri della Parola di Dio.
Nel corso della storia il dibattito tra razionalisti e sapienti tradizionali ha espresso differenti
interpretazioni dove la prospettiva allegorica e quella convenzionale si sono spesso alternate. Rumi
prende decisamente le distanze dai razionalisti con l'intento di invitare i suoi discepoli a rispettare
il miracolo della Parola di Dio che, pur avendo un carattere di trasmissione spirituale e orale, non
è certo vincolata alla forma della lingua o della voce ma riesce ad esprimersi in ogni segno della
creazione. L'uomo dovrebbe imparare ad ascoltare la Parola di Dio in ogni istante e forma.
“Nel giorno della Resurrezione tutte le membra dell'uomo, in modo distinto una dall'altra, la mano e
il piede e le altre, prenderanno a parlare. I razionalisti danno a ciò una interpretazione allegorica,
sostenendo che va inteso col fatto che un segno o un sintomo appariranno sulla mano, un po' come
un ematoma o un graffio. Per questo dire che la mano 'parla' significa che rende noto così di essersi
ferita con un coltello, o di aver toccato l'unto della pentola.
Per i razionalisti è questo il modo di intendere tale 'parlare', nel caso della mano come della altre
membra. Al che le Genti della Sunna ribattono: «Dio non voglia! Assolutamente non è così: è vero
invece che questa mano, e questo piede sensibile parleranno come parla la lingua. Quel giorno
l'uomo negherà di avere rubato, e la sua mano dirà: 'Si, hai rubato: io ho preso', con parole chiare.
Quell'uomo dirà alla mano o al piede: 'Una volta eri muta: com'è che ora ti metti a parlare?'. E quelli
risponderanno: Ci fa parlare Dio, che ha dato la parola a tutte le cose (Corano: XLI, 18).
'Lui è a darmi la parola, come l'ha data a tutto: l'ha data alle porte e ai muri, alle pietre e alla terra, e
ora l'ha data a me'. La tua lingua ti permette di parlare: ma essa è un pezzo di carne come la mano, e
come lo è anche il discorso. La lingua è forse dotata di ragione? Potrebbe anche sembrarti così,
poiché sei abituato a sentirla parlare: ma in realtà essa è solo uno strumento per Dio e, quando Lui
ha deciso, ha parlato: quando Lui lo decide, ogni cosa parla.
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I discorsi sono proporzionati alla realizzazione dell'uomo. Le nostre parole sono come l'acqua che il
guardiano di una diga lascia fluire” (25).
“Le parole sono un pretesto. Non sono le parole ad attrarre un uomo verso un altro, ma l'elemento di
affinità. Se uno dovesse assistere a centomila miracoli ed esposizioni alla grazia divina, ma non
fosse presente in lui un elemento di affinità che lo lega a quel tale profeta, o a quel santo, questi
fenomeni rimarrebbero tutti senza vantaggio. È quel legame che genera la sete di ricerca e l'affanno.
Se nella paglia non ci fosse una parte di ambra, essa non si sposterebbe verso l'ambra. Una
comunanza di natura vi è fra le due: una comunanza celata, non manifesta” (2).
Rumi introduce in questo passaggio la qualità dell'affinità come elemento di sintonia speciale tra
persone, aspetti e forme della creazione divina. Proprio in virtù di questa affinità i credenti, gli
uomini e le donne, gli anziani e i giovani, le civiltà e le culture, i linguaggi e le lingue, le teologie e
i riti, i simboli e i segni concorrono ad una specifica dinamica divina che si integra in un disegno
più ampio ma manifesta una caratteristica particolare. L'affinità con i santi o i profeti è qualcosa
che contraddistingue in tutte le epoche differenti popoli e credenti ma allo stesso tempo accomuna
trasversalmente tutti i discepoli e i maestri tra loro di ogni regione della terra. Parallelamente,
ogni discepolo o maestro esprime un grado specifico di affinità con l'essenza della santità o della
profezia ma l'effetto della loro azione e contemplazione si irradia ben oltre le giurisdizioni
specifiche della loro vita.
“Alcuni denigrano il fatto che il Corano fosse disceso su Muhammad – su di lui la pace – parola per
parola e non in capitoli interi. Il Profeta – su di lui la pace – esclamò allora: «Cosa van dicendo,
questi stupidi? Se il Corano fosse disceso su di me a pezzi interi, sarei stato annientato e disperso».
Così è. Chi possiede la vera conoscenza comprende in breve molto, capisce da una sola cosa una
quantità di cose, da una sola riga interi volumi, come il caso di una riunione di uomini che siano
seduti ad ascoltare un racconto. Fra essi qualcuno conosce l'intera vicenda, anzi vi ha anche preso
parte: egli, da un'allusione, ha già compreso ogni cosa. Diventa pallido e poi arrossisce: passa da
un'emozione all'altra. Gli altri non capiscono se non quel che viene loro raccontato, non essendo al
corrente di tutto. Ma chi lo è, da poche cose che ode afferra molto” (7).
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Questo periodo ci sembra particolarmente utile per chiarire il “peso” o il valore sacro che ha la
Parola di Dio rispetto alle parole degli uomini. Se il credente dovesse applicare alla Parola di Dio
un metodo di comunicazione o un parametro di giudizio simile a quello che è abituato a fare con il
linguaggio convenzionale rischierebbe di cadere in una inutile erudizione e in una grave
incomprensione della Realtà. La logica divina riesce ad essere “compresa” dal credente nella
misura della sua apertura del cuore e quando il suo intelletto si dispone ad una “affinità” con
l'Intelletto del suo Creatore. Quando ciò avviene, come diceva Gesù per i poveri di spirito, allora è
sufficiente anche una sola parola o un solo versetto della Rivelazione, per affinare la propria
interlocuzione , intelligenza e illuminazione alla sintesi integrale della Verità. Questo processo di
alchimia intellettuale è possibile, come fa intuire Rumi, solo quando si è dentro la narrazione,
quando si riconosce la Rivelazione che ci parla e che parla di noi, e non quando ci limitiamo ad
ascoltare con distacco, dal di fuori, per soddisfare una curiosità superficiale.
“Oltre il mondo di cui parliamo, esiste un altro universo per la nostra ricerca. Qui in basso non si
osservano che piaceri e animalità. Ma il vero principio dell'uomo è la sua essenza umana. Non è
forse detto che l'uomo è un 'animale che parla'? L'uomo ha due componenti: si nutre in questo
mondo come animale, ma, nella realtà profonda del suo essere, a nutrirlo sono il sapere, la
conoscenza e la visione del Signore. La sua animalità porta l'uomo a fuggire lontano da Dio: la sua
natura umana lo fa fuggire dal mondo inferiore” (12).
Concludiamo queste riflessioni sul Logos con questo commento sulla doppia natura dell'uomo. Egli
può tendere verso il basso, facendo prevalere i suoi istinti legati alla natura animale, oppure può
aspirare a “parlare”, a dialogare con la propria essenza, a trovare una intimità con la presenza
del divino nel suo cuore. Si tratta di due universi sovrapposti che permettono all'uomo di gustare
l'esperienza di questo mondo e del mondo superiore ma la vocazione degli eletti è quella di
anticipare la visione del Signore sublimando ed elevando il piano dei due mondi.
L'ETICA
Ci avviamo adesso all'ultimo tema di questa selezione di passi del testo di Jalal al-Din Rumi. Il
tema dell'etica nell'opera del nostro maestro trova occasionalmente alcuni messaggi quando ci
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parla simbolicamente del ruolo dei governanti. In tutti i casi, il richiamo non si concentra su una
applicazione morale del buon comportamento ma sulla finalità della vita che viene intesa come
occasione di amore e saggezza.
La morale di Rumi si riferisce quindi alla coerenza nei confronti di chi segue una disciplina e che
di fatto si distingue da coloro che rinnegano la loro identità e negano l'obbedienza ad una
dimensione di fede esteriore e interiore. In questo contrasto vi è comunque una interessante
opportunità di conoscenza.
“Il credente e l'infedele proclamano entrambi le lodi di Dio. L'Altissimo dichiara infatti che chi
pratica l'integrità e segue il sentiero dritto, rispettando la legge sacra e l'esempio dei Profeti e dei
santi, otterrà in dono la felicità, l'illuminazione e il bene della vita: chi invece fa l'opposto, riceverà
altrettanto di tenebre, angoscia, oppressione e castigo. Poiché entrambi si comportano in maniera
coerente, e la promessa di Dio è destinata a realizzarsi in conformità perfetta, senza aggiunte o
diminuzioni, ne consegue che tutti e due proclamano le lodi di Dio: uno con una voce, l'altro con
un'altra. Che differenza, fra una e l'altra lode!” (55).
Una volta chiarita la differenza tra l'illusione dei non credenti e la coerenza dei credenti, Rumi
descrive la gerarchia di priorità e di ambiti che un quadro tradizionale deve riflettere. Si serve del
simbolo di un luogo di culto o di una moschea.
“Chi innalza un edificio per il culto, lo fa sempre con un intento particolare: uno vuole dispiegare la
sua generosità, un altro ottenere rinomanza, altri ricompensa nell'aldilà. Quanto al Vero, la sua
intenzione è di innalzare il rango dei santi e di far sì che le loro ceneri e le loro sepolture vengano
onorate.
Perciò tutti gli uomini stanno compiendo l'opera di Dio, per quanto restino ignari dei Suoi veri
intenti. Allah ha un obiettivo per loro: Egli esige che l'esistenza del mondo sia preservata. Così essi
si preoccupano dei loro desideri: soddisfano la loro passione con una donna per la sola ricerca del
piacere, ma questo porta alla nascita di un bambino. Si dedicano del pari alla ricerca del benessere e
della soddisfazione, ma anche ciò diviene un mezzo perché la stabilità del mondo permanga. Sono
intenti tutti in realtà al servizio di Dio: solo, non agiscono con tale intenzione. Costruiscono
moschee con grandi spese per le porte, le pareti e il tetto, ma è la qiblah (direzione, orientamento)
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che ha la vera autorità. La Qiblah è il vero scopo e l'oggetto dell'onore, e la celebrazione di essa
aumenta attraverso le spese per il resto della moschea, per quanto non fosse lo scopo da essi
cercato” (24).
La Qiblah, la nicchia vuota all'interno della quale l'imam si prosterna nella sua conduzione della
preghiera comunitaria e dove si può trovare sospesa una lampada ad olio fatta di cristalli che
riflette una luce speciale è il cuore dello spazio sacro, il vertice dell'asse che segna la direzione
della preghiera verso la Sacra Casa di Dio nella città santa di Makkah, La Mecca. Gli uomini
sembrano invece perdersi al giorno d'oggi nei dettagli e nella vanità delle decorazioni, nella
lunghezza o nell'altezza dei muri, nel colore o nella forma del tetto, nella presenza o meno del
minareto, nel numero delle porte o dei parcheggi, e così facendo disperdono le loro energie sui
dettagli secondari della realtà perdendo la visione d'insieme e il senso delle proporzioni.
Gli ignoranti costruiscono le case sulla sabbia mentre i saggi insegnano a costruire gli spazi sacri
sulla roccia. L'insegnamento del maestro è quello di fare il deserto del nostro egoismo, evitando di
strumentalizzare persino le moschee per un'affermazione individuale, politica o territoriale, e di
costruire piuttosto la propria vita e il proprio culto sulla roccia del sacrificio. L'autorità di un
luogo di culto è caratterizzata dalla sua direzione: se la direzione è corrotta, quello spazio
produrrà disordine, se la direzione è virtuosa, lo stesso spazio produrrà sapienza. Proprio come la
luce nella lampada di cristallo sospesa sulla nicchia: se il cristallo è trasparente, l'olio benedetto e
il fuoco acceso, la luce illuminerà e si irradierà, se il cristallo è opaco, l'olio sintetico o il fuoco
spento, l'oscurità si diffonderà tra i passanti.
“Niente monachesimo nell'Islam. La comunità è una misericordia. Muhammad – su di lui la pace –
ha fatto enormi sforzi per rafforzare la solidarietà fra i credenti: poiché la riunione delle anime è
cosa grande ed efficace, e ottiene ciò che la solitudine e l'isolamento non raggiungono.
Le moschee vengono costruite perché gli abitanti del quartiere vi si ritrovino, e la misericordia e i
benefici si accrescano: mentre le case isolate sono destinate alla separazione, e il loro scopo è
nascondere i rapporti privati. Le grandi moschee vengono erette perché tutti gli abitanti della città si
riuniscano, ed è stato istituito come obbligo il pellegrinaggio alla Ka'aba perché la maggior parte
delle persone del mondo, da tutte le città e tutte le parti, possa là incontrarsi” (15).
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Concludiamo questo nostro itinerario a tre tappe sull'opera di questo santo musulmano con questa
ultima immagine dove apparentemente Jalal al-Din Rumi descrive tre livelli o grandezze di spazi
sacri: la moschea di quartiere, il tempio maggiore della città e il centro del pellegrinaggio per
l'umanità. Si tratta di tre dimensioni simboliche dove vengono progressivamente raccolti e riuniti i
credenti del quartiere, della città e del mondo e dove spariscono gli isolamenti, le separazioni, gli
individualismi. Non si tratta certo di un invito al sincretismo o alla confusione delle forme
tradizionali ma di una interpretazione spirituale che può ispirare la coesione sociale, la fratellanza
dei credenti e l'armonia universale. Questa immagine è del resto comune alla dottrina del giorno
del giudizio di ebrei, cristiani e musulmani.
In questo terzo millennio nel quale viviamo abbiamo l'impressione che sia meglio preservare centri
di approfondimento intellettuale come questa Biblioteca Ambrosiana dove le parole e gli
insegnamenti dei santi e dei maestri ancora risuonano per il beneficio di tutti e soprattutto di
coloro che hanno una sensibilità per la tradizione e la voce dello Spirito. Come imam della
moschea al-Wahid nel quartiere Ticinese di Milano e tesoriere della Grande Moschea di Roma ho
la sensazione che sia più saggio, in termini di economia spirituale e di sostenibilità di una autentica
direzione, custodire e ritrasmettere la luce in luoghi di maggiore raccoglimento e concentrazione,
ben gestiti e distribuiti nel territorio comunale, che non inseguire progetti faraonici che rischiano
di farci tornare schiavi e lontani da una terra veramente santa. Ma Dio è più Sapiente.
Imam Yahya Pallavicini
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