marzo-aprile 2011
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marzo-aprile 2011
marzo-aprile 2011 .it Cilento, cravatte settepieghe interamente realizzate a mano ed esposte nella boutique “Cravatte Cilento” di via Medina a Napoli LA CRAVATTA Homo Elegans, viaggio attraverso quei mondi spesso superficialmente indagati dell’abbigliarsi declinato al maschile, fa tappa nel luogo della leggerezza, dell’improvvisazione e dell’imponderabilità. Di Francesco Antinolfi I.QUALITY • 152 I.QUALITY • 153 Brioni, cravatte su misura interamente fatte a mano I.QUALITY • 154 Chiunque abbia avuto la pazienza di seguire con attenzione le cronache di questo viaggio attraverso i mondi dell’eleganza maschile, potrà testimoniare l’assoluta assenza nel suo succedersi di quella sempre deplorevole ed ormai troppo diffusa tendenza ad emettere sentenze, a dare vita a formule tanto acchittate di acutezza da rivelarsi inevitabilmente ed immediatamente vestite di sola stereotipicità, a dare voce a leggi dal carattere tanto perentorio da sembrare scolpite nell’argilla! Le uniche certezze raggiunte e condivise sono state quelle secondo cui l’abbigliarsi, almeno e senza dubbi in epoca contemporanea, è uno dei linguaggi più diffusi e meglio padroneggiati per esprimere se stessi nei confronti dell’immediato circostante e, dal canto suo, l’eleganza è la lingua che meglio di tutte riesce a farlo grazie alla sua unicità semantica, alla sua armoniosità fonetica e ad un proprio equilibrio sintattico. Chi scrive, insomma, spera di aver evitato l’atteggiamento insopportabile tipico di quei sommelier che credono di dover giustificare la loro competenza e la loro abilità nell’individuare un grande vino con metafore improbabili, descrizioni acrobatiche ed accezioni a dir poco iperboliche. Spera di averlo fatto sin qui, durante le tappe dedicate alla Camicia ed alla Giacca, e ancor di più di riuscire a farlo in questa, dedicata alla Cravatta. Un omaggio al più inutile e, allo stesso tempo, significante lemma appartenente alla lingua dell’Eleganza: «Un capo di vestiario utile, come il gilet per esempio, proprio perché è utile è insignificante. L’uomo moderno ha a disposizione un solo accessorio che gli permetta di rivelare la propria visione del mondo, di segnalare la propria presenza: la cravatta». Così disse Alberto Moravia, alla cui austera acutezza affido tutta la pregnanza e la compiutezza del mio racconto. Il quale continuerà consapevolmente i suoi passi proprio nel segno dell’imponderabilità, dell’improvvisazione e della leggerezza provando grazie alla paratatticità di più o meno brevi istantanee, raccolte secondo un ordine assolutamente casuale, a restituire la piena significanza del soggetto raccontato. Una scelta narrativa che vuole semplicemente essere metacomunicazione del carattere e dello spirito mai pienamente definibile della cravatta stessa, connubio di razionalità ed irrazionalità, consapevolezza ed inconsapevolezza, leggerezza e pregnanza. D’altronde se David Nieven, uno dei più grandi volti della cinematografia americana del secolo scorso, rispose a chi osava mettere in discussione le sue scelte «Ditemi che ho sbagliato una battuta ma non che ho sbagliato cravatta», converrete con me che, per l’umoralità e la soggettività che connotano ogni riflessione circa il tema in oggetto, non poteva esserci approccio più azzeccato. 20 sterline. Sono in molti a sostenere che la cravatta discenda direttamente dal pezzo di stoffa che i legionari romani utilizzavano già nel II secolo dopo Cristo e di cui ci rimane una pregevole testimonianza in una raffigurazione parte della Colonna di Traiano, eretta nel 113 d.C. per celebrare le vittorie di Traiano sui Daci. In realtà, a mio avviso, è difficile delineare un diretto collegamento fra la cravatta intesa nel senso moderno a questa sua versione antesignana. I suoi veri precursori possono essere individuati nei fazzoletti da collo che apparvero intorno al 1650. In quel periodo la cravatta a punta era simbolo di immensa ricchezza. Basti pensare che il Re inglese Carlo II ne indossava una costatagli oltre 20 sterline. Era il 1660, anno in cui una paga annua di 2 sterline era considerata un introito di buon livello. Lord George Bryan Brummel. Ancora lui, sempre lui! All’inizio del XIX secolo introdusse una moda a dir poco innovativa. Tutto partiva dalla sua convinzione secondo cui l’eleganza non va a braccetto con ridicolaggini ed esagerazioni. Il suo stile personalissimo, per l’epoca, era caratterizzato dall’abbinamento inusuale di capi comuni: frac blu, gilet, pantaloni beige, stivali neri e, manco a dirlo, un impeccabile fazzoletto da collo bianco. Nel caso in cui dopo il primo tentativo il nodo risultasse di brutto effetto, il Lord era solito cambiare il fazzoletto perché stropicciato e non più utilizzabile. Inutile dire che ne possedesse una quantità impressionante! Ted Kennedy sceglie i tessuti per alcune cravatte personali presso l’atelier romano di Brioni I.QUALITY • 155 Asse Oxford-New York. Siamo nel 1880, anno in cui i membri dell’Exeter College di Oxford compirono, inconsapevolmente, un gesto fondamentale nella storia del costume, sfilandosi i nastri di seta che adornavano i propri cappelli per annodarseli al collo. Nacque proprio così la prima vera cravatta da club: il 25 giugno dello stesso anno ordinarono ad un sarto della cittadina di produrre dei nastri appositi con i colori del proprio club. Fu il via di una nuovissima moda che contagiò presto la maggior parte dei club e dei college inglesi. Tuttavia, il passo definitivo verso la cravatta così come la conosciamo oggi fu compiuto nel 1924 a New York da Jesse Langsdorf. Il quale ebbe l’intuizione di tagliare il tessuto con un angolo di 45° rispetto al drittofilo, impiegando tre strisce di seta da cucire successivamente. Modernità. La cravatta moderna nasce nei tessuti pesanti tinti in filo: jacquard, raps e rasi. Poiché queste lavorazioni consentivano una limitata variazione sui colori, si pensò di introdurre la stampa. Per molti anni questo procedimento fu un monopolio delle manifatture inglesi, tra cui spiccava il nome celeberrimo di David Evans. In epoca più recente, altre scuole hanno avuto la forza di imporre un proprio stile. Potremmo tentare di individuare per grandi linee tre tradizioni: quella inglese, quella francese e quella comasca. La cravatteria inglese ha sempre privilegiato la seta shappe, dalla mano a buccia di pesca, o comunque prodotti Tecnica. Fino agli anni Sessanta, la cravatta era caratterizzata da una costruzione piuttosto leggera dovuta ad un diffuso utilizzo di stampati foulard intorno alle 22 once o poco di più. Saglie e raps più pesanti erano abbinati ad interni molto leggeri che determinavano un nodo piccolo e teso. Dagli anni Sessanta agli Ottanta se ne preferì invece uno più importante, anche se i pesi dei tessuti non aumentarono subito di conseguenza. Alcuni impiegarono doppi interni molto pesanti dando forma ad un effetto a “panino imbottito” e disastrose ondulazioni. Le cravatte che provarono a mantenere interni adeguati al peso finivano per creare nodi più lunghi che larghi. Nell’armadio di molti sono probabilmente conservati alcuni esemplari cimeli di questo periodo. Dagli anni Novanta, i pesi delle sete per cravatte di prima qualità si sono attestati intorno alle 36 once, con interni che vanno dal medio al pesante, fino ad arrivare alle 40 once ed oltre. La costruzione può essere dritta o a bottiglia ma, poiché quest’ultima dà un nodo più piccolo, sono in molti a preferire il taglio della cravatta perfettamente dritto. Molto importanti, inoltre, sono la centratura dei disegni lungo tutta la gamba ed un taglio che sia perfettamente a 45 gradi. La cravatta fatta a mano offre maggiori garanzie di centratura, poiché realizzata tagliando singolarmente ogni square, mentre nella produzione seriale si utilizzano taglierine capaci di sagomare anche trecento pezzi alla volta. In queste condizioni un controllo su Tutte cravatte made in Cilento: da sinistra, sfoderata in lana fantasia; regimental sfoderata; papillon dalla finitura o tessitura che ne limiti la luminosità. I suoi disegni sono piccoli e geometrici, spesso definiti da un contorno nero. Tale tipo di cravatta è sempre meno diffuso ma proprio per questo probabilmente ancora molto ammirato dai veri intenditori. I suoi più valorosi profeti in patria sono stati Drake’s, approccio più creativo, e Holliday & Brown, classico per eccellenza. La scuola francese iniziò a trovare una sua piena dignità negli anni Venti quando il talento ribelle di Paul Salgo, portoghese di nascita, giunse a Parigi. Un nome che oggi dice poco ma che ebbe un ruolo determinante nell’esplorazione di nuove forme del gusto. La sua influenza nella storia delle sete è stata tale da aver ancora oggi degli epigoni, ancorché inconsci, dell’origine di una nuova libertà. Salgo fu il primo a sperimentare infatti accostamenti di colore non definiti da contorni, giungendo così a nuove sfumature. Sfruttò ogni caratteristica della seta, prima fra tutte la brillantezza. Lo stile francese, comunque, ha nella maison Hermes il suo ambasciatore più autorevole, le cui esclusivissime sete tessute e stampate a Lione sono realmente inconfondibili. Approfondiremo. L’Italia, dal conto suo, non è mai stata a guardare ed anzi ha stabilito a Como la nuova capitale contemporanea della seteria, dove la ricerca inarrestabile e feconda ha portato a raggiungere livelli qualitativi altissimi. Proprio per tale motivo non è così semplice parlare di uno stile comasco unitario, perché sui suoi molti telai qualunque cosa è possibile. Manifatture come la grande Mantero o come le molte piccole aziende artigianali, capaci di produrre tessuti pregevoli utilizzati dai più esclusivi fashion brand internazionali e dai più celebri laboratori sartoriali italiani e non. I.QUALITY • 156 ciascun capo è praticamente impossibile, con l’alto rischio di incappare nell’errore di un disegno fuori asse. Stile. La tradizione suggerisce di indossare su abiti da sera o da cerimonia, in pettinati coperti, cioè non perfettamente rasati, cravatte grisaille, in seta jacquard con presenza di tinte argentate, poco colore e forti contrasti di chiaroscuro. Abiti spezzati da giorno e da lavoro si giovano della fantasia inesauribile degli stampati, mentre una giacca da campagna si sposa perfettamente con le lane. Il blazer evoca le accezioni di un club e per questo si abbina al meglio con i regimental. Anche lo stile dei capospalla può influire sulla scelta della cravatta: la giacca napoletana, morbida e disinvolta, si troverà a proprio agio con una dalla costruzione leggera, orlata a mano e senza cappuccio né fodera, come quelle che non a caso forgia da sempre la casa partenopea Cilento. Approfondiremo. Una giacca sportiva migliorerà il suo aspetto confidenziale con un nodo piuttosto piccolo, mentre un doppiopetto dagli ampi baveri potrebbe meglio integrarsi ad una cravatta pesante con un nodo piuttosto muscoloso. Ma sarà poi vero tutto ciò? Non troppo direi o, almeno, non con il tono perentorio impiegato e aborrito all’inizio di questa narrazione. Basti pensare come l’eleganza dei nodi strettissimi sfoggiati da Carlo d’Inghilterra sotto i doppiopetto di Anderson & Shepard neghi in un lampo l’ultima regola annotata! Hermes. E’ il 1949: il direttore della boutique Hermès di Cannes, Bobby Breward, lancia l’idea della cravatta Hermès per soddisfare la richiesta dei clienti che avevano bisogno della cravatta per entrare al vicino casinò. Le prime cravatte vendute sono in seta liscia tinta unita. Dopo soli due anni, nascono le prime cravatte I.QUALITY • 157 Cravatte Brioni I.QUALITY • 158 I.QUALITY • 159 Cravatte in seta Hermes in seta stampata. I motivi utilizzati sono inizialmente disegnati dagli stessi artigiani che realizzano i carrè. Anche le prime cravatte in seta stampata così finiscono per essere decorate con i disegni tipici dei carré: la caccia, l’equitazione, il mare. Nel 1960 sono prodotte le prime cravatte realizzate dal disegnatore Henri d’Origny, storico designer della maison, che riesce a conferire alla cravatta uno stile inconfondibile: nascono le decorazioni con i ferri di cavallo e le catene. Ci vorranno circa trent’anni, siamo nel 1987, per apprezzare le prime cravatte a fantasia con gli animali. La prima fantasia è la zebra, in seguito saranno proposti l’elefante indiano e le farfalle. Le cravatte Hermès seguono i ritmi delle stagioni, essendo realizzate due collezioni l’anno, una in febbraio l’altra in luglio. Si classificano in due macro categorie: quelle in twill di seta e quelle in seta lourde o seta jacquard. La cravatta in twill di seta è per eccellenza la cravatta Hermès. Realizzata in seta stampata o seta twill, è larga 9 cm per una lunghezza di 148 cm. La fodera, anch’essa in seta twill, riprende il colore di fondo delle decorazioni stampate sulla cravatta stessa. Ogni collezione in seta twill è composta da trenta decorazioni diverse e ogni disegno è a sua volta proposto tra le 12 e le 16 colorazioni. Ogni pezzo è contrassegnato da un codice stampato sul retro del lembo più piccolo. Le cifre corrispondono al codice di riferimento del disegno. Nelle cravatte in seta jacquard, i disegni non sono più ottenuti tramite stampa ma grazie all’intreccio di fili di colori differenti. Tutte caratterizzate da un filo lucido cangiante che dà il riflesso alla seta. L’anima di queste cravatte, in un tessuto di seta leggero, è sempre decorata con piccole H tono su tono. Ogni collezione comprende 20 disegni differenti proposti a loro volta tra le otto e le dodici colorazioni. Neanche a dirlo, la cravatta Hermès è fabbricata completamente a mano secondo la tradizione decennale propria della maison francese. La tessitura avviene a Grenoble ed in seguito le cravatte sono stampate a Lione. L’incredibile qualità della seta utilizzata per la cravatta e della sua anima conferiscono una sensazione unica al tatto. A differenza della maggior parte delle cravatte composte da tre parti unite tra di loro, le cravatte in twill di Hermès sono composte da due, il grande lembo e il piccolo lembo. Questo taglio particolare permettere si stampare sullo stesso pezzo di seta sia i due lembi che la rispettiva anima. I due lembi e la fodera vengono in seguito assemblati e l’anima viene posta all’interno e cucita con un metodo specifico di Hermès, che mantiene la cravatta straordinariamente gonfia. La cucitura longitudinale è realizzata con un unico filo che assicura la tenuta della cucitura. L’etichetta è cucita con quattro punti. Le cravatte in seta jacquard sono fabbricate con lo stesso metodo, con l’unica differenza che sono realizzate con l’unione di tre pezzi grande lembo, piccolo lembo e collo - e hanno due fodere anziché un’unica. Le cravatte Hermès sono tutte cravatte a 5 pieghe e hanno una varietà di colorazioni incredibili. Nella cucina della seta sono state create circa 75.000 gradazioni. Brioni. Alcuni numeri che raccontano una profonda cultura di prodotto: circa 200 disegni per ben 8 varianti di colore, un totale di circa 1600 varianti a stagione tra stampato e tinto in filo. Caratteristiche distintive: ogni variante è esclusiva sia come peso sia come filato e presenta due loghi, uno sulla fodera della pala grande, l’altro sul passante in seta della pala grande. Il su-misura consente personalizzazioni che danno vita ad un profilo di unicità e personalizzazione assoluta: circa 70 varianti totali, possibilità di richiedere lunghezza, larghezza e iniziali sulla pala piccola. Per non parlare della lavorazione, denominata “baciata”, che richiede circa il doppio del tempo di una piegatura normale. I tessuti di fattura prevalentemente italiana, raccontano di seta che copre quattro stagioni ed è senza tempo e senza confini, di cachemire in inverno e garze di seta in estate. Notevole sia dal punto di vista stilistico che dal punto di vista tecnico sono i bowtie da annodare per cerimonia, serate black-tie e per i gentiluomini da I.QUALITY • 160 L’ultima nata in casa Brioni: una cravatta caratterizzata da tessuti esclusivi che racchiudono in un unico capo i disegni di 5 cravatte differenti, i quali compongono un delicato effetto di gradatum a V I.QUALITY • 161 Cilento, fase manuale di ricamo del travetto I.QUALITY • 162 papillon anche di giorno. Ultima nata in casa Brioni, esclusiva mondiale di sapienza artigiana e innovazione stilistica, è nuova tipologia di cravatta, che affianca la già vasta e profonda cravatteria di decennale tradizione. Un esempio unico nel suo genere, sia per ideazione sia per tecnica: tessuti esclusivi che raccolgono in un articolo i disegni di cinque cravatte differenti, visibili ad occhio nudo osservando il delicato gradatum a V che si forma verticalmente e termina con precisione millimetrica sulla punta della cravatta. Il disegno primario è decomposto fino ad arrivare in maniera progressiva al singolo elemento che lo ordina in una sorta di scultura a cui si eliminano gli elementi per completare l’opera. “Less is more” suggeriva Mies van der Rohe: un esercizio di assoluta maestria e precisione che dona all’accessorio maschile per eccellenza uno stile al tempo stesso rigoroso e ludico. I disegni così composti permettono, infatti, una geometria sinuosa con effetti di cromatismo cangiante e dinamismo grafico. La razionalità del segno geometrico ripetuto grazie al nuovo concept creativo ottiene una morbida gradualità dando vita ad un optical silenzioso ed elegante. M. Cilento. La celebre tradizione artigianale della cravatteria partenopea prende corpo in un luogo dello spirito. Dove il bello sa ancora di ben fatto, o meglio, di fatto a regola d’arte. Un luogo dove l’elaborazione stilistica si accompagna indissolubilmente a quella emozionale. Dove passione, competenza, maestria e gusto si mescolano in un connubio che racconta di un’armonia esclusiva delle forme e delle sostanze. Dal 1780, da ben otto generazioni, la Sartoria M.Cilento è lì in via Medina a Napoli, ancor oggi caratterizzata dal profumo del legno che si mescola a quello del cuoio e della seta, dal silenzio laborioso dei sarti all’opera che pervade gli ambienti raffinati. Alla base di tutto c’è la profonda conoscenza delle materie prime, la ricerca costante dell’eccellenza: già nel lontano 1831 i fratelli Cilento impiantarono due filande a Salerno. L’introduzione della filatura e tessitura delle fibre naturali, come il cotone, il lino e la canapa, contribuì in maniera determinante allo sviluppo economico del Regno delle Due Sicilie di cui l’azienda non a caso fu indiscusso arbiter elegantiarum. L’atelier di Via Medina è difatti un vero e proprio museo dell’alta sartoria napoletana narrata da strumenti e accessori che hanno segnato le tappe di una tradizione che ha fatto e continua a fare scuola. I banconi, le vetrine, gli espositori, gli arredi, i dipinti, le stampe e gli orologi del negozio raccontano duecento anni di storia: ci sono oggetti ormai dimenticati e introvabili come il trousers-press, l’antico stira calzoni, e lo stira cravatte degli anni Trenta. E poi una collezione di abiti, scarpe e stivali del Sette e dell’Ottocento che dialogano con le nuove collezioni della maison. Radici solide e ben nutrite, a cui oggi Ugo Cilento – rappresentante dell’ottava generazione di famiglia - ha saputo mettere le ali, dando slancio a una ricerca che sa rinnovarsi pur sempre nel solco di un’eleganza esclusiva, senza tempo. E’ in questo contesto che la cravatta assume il ruolo di oggetto iconico, capo simbolo. Non a caso, da più di un anno, accanto alla storica sartoria, Ugo Cilento ha ideato e dato vita ad un santuario ad essa dedicato: la boutique “Cravatte Cilento”. Uno spazio consacrato esclusivamente all’amore per gli accessori. Qui si indugia alla ricerca di gemelli di ogni foggia e finitura, di orologi e profumi, ma ovviamente e sopra ogni altra cosa delle celebri cravatte della casa. Da sempre, infatti, Cilento è sinonimo di cravatte di grandissima qualità, realizzate a mano e su misura con lavorazione “sette pieghe”, tessite e stampate, sia incappucciate che sfoderate. Senza paragoni queste ultime. Le fantasie sono tutte disegnate personalmente proprio da Ugo Cilento che con passione e dedizione seleziona i tessuti più pregiati: dalla seta al cachemire, dal tweed alla vicugna. Eccezionali per fattura e raffinatezza le cravatte a farfalla. Cilento: in alto, cravatta sfoderata in lana fantasia; in basso, cravatte settepieghe I.QUALITY • 163