marzo-aprile 2011

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Cilento, cravatte settepieghe interamente realizzate a mano ed esposte nella boutique “Cravatte Cilento” di via Medina a Napoli
LA CRAVATTA
Homo Elegans, viaggio attraverso quei mondi spesso
superficialmente indagati dell’abbigliarsi declinato
al maschile, fa tappa nel luogo della leggerezza,
dell’improvvisazione e dell’imponderabilità.
Di Francesco Antinolfi
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Brioni, cravatte su misura interamente fatte a mano
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Chiunque abbia avuto la pazienza di seguire con attenzione le cronache di
questo viaggio attraverso i mondi dell’eleganza maschile, potrà testimoniare
l’assoluta assenza nel suo succedersi di quella sempre deplorevole ed ormai
troppo diffusa tendenza ad emettere sentenze, a dare vita a formule tanto
acchittate di acutezza da rivelarsi inevitabilmente ed immediatamente vestite di
sola stereotipicità, a dare voce a leggi dal carattere tanto perentorio da sembrare
scolpite nell’argilla! Le uniche certezze raggiunte e condivise sono state quelle
secondo cui l’abbigliarsi, almeno e senza dubbi in epoca contemporanea, è
uno dei linguaggi più diffusi e meglio padroneggiati per esprimere se stessi nei
confronti dell’immediato circostante e, dal canto suo, l’eleganza è la lingua
che meglio di tutte riesce a farlo grazie alla sua unicità semantica, alla sua
armoniosità fonetica e ad un proprio equilibrio sintattico. Chi scrive, insomma,
spera di aver evitato l’atteggiamento insopportabile tipico di quei sommelier che
credono di dover giustificare la loro competenza e la loro abilità nell’individuare
un grande vino con metafore improbabili, descrizioni acrobatiche ed accezioni
a dir poco iperboliche. Spera di averlo fatto sin qui, durante le tappe dedicate
alla Camicia ed alla Giacca, e ancor di più di riuscire a farlo in questa, dedicata
alla Cravatta. Un omaggio al più inutile e, allo stesso tempo, significante lemma
appartenente alla lingua dell’Eleganza: «Un capo di vestiario utile, come il
gilet per esempio, proprio perché è utile è insignificante. L’uomo moderno ha
a disposizione un solo accessorio che gli permetta di rivelare la propria visione
del mondo, di segnalare la propria presenza: la cravatta».
Così disse Alberto Moravia, alla cui austera acutezza affido tutta la pregnanza e la
compiutezza del mio racconto. Il quale continuerà consapevolmente i suoi passi
proprio nel segno dell’imponderabilità, dell’improvvisazione e della leggerezza
provando grazie alla paratatticità di più o meno brevi istantanee, raccolte
secondo un ordine assolutamente casuale, a restituire la piena significanza
del soggetto raccontato. Una scelta narrativa che vuole semplicemente essere
metacomunicazione del carattere e dello spirito mai pienamente definibile
della cravatta stessa, connubio di razionalità ed irrazionalità, consapevolezza
ed inconsapevolezza, leggerezza e pregnanza. D’altronde se David Nieven,
uno dei più grandi volti della cinematografia americana del secolo scorso,
rispose a chi osava mettere in discussione le sue scelte «Ditemi che ho sbagliato
una battuta ma non che ho sbagliato cravatta», converrete con me che, per
l’umoralità e la soggettività che connotano ogni riflessione circa il tema in
oggetto, non poteva esserci approccio più azzeccato.
20 sterline. Sono in molti a sostenere che la cravatta discenda direttamente
dal pezzo di stoffa che i legionari romani utilizzavano già nel II secolo dopo
Cristo e di cui ci rimane una pregevole testimonianza in una raffigurazione
parte della Colonna di Traiano, eretta nel 113 d.C. per celebrare le vittorie
di Traiano sui Daci. In realtà, a mio avviso, è difficile delineare un diretto
collegamento fra la cravatta intesa nel senso moderno a questa sua versione
antesignana. I suoi veri precursori possono essere individuati nei fazzoletti
da collo che apparvero intorno al 1650. In quel periodo la cravatta a punta
era simbolo di immensa ricchezza. Basti pensare che il Re inglese Carlo II ne
indossava una costatagli oltre 20 sterline. Era il 1660, anno in cui una paga
annua di 2 sterline era considerata un introito di buon livello.
Lord George Bryan Brummel. Ancora lui, sempre lui! All’inizio del
XIX secolo introdusse una moda a dir poco innovativa. Tutto partiva dalla
sua convinzione secondo cui l’eleganza non va a braccetto con ridicolaggini
ed esagerazioni. Il suo stile personalissimo, per l’epoca, era caratterizzato
dall’abbinamento inusuale di capi comuni: frac blu, gilet, pantaloni beige,
stivali neri e, manco a dirlo, un impeccabile fazzoletto da collo bianco. Nel
caso in cui dopo il primo tentativo il nodo risultasse di brutto effetto, il Lord era
solito cambiare il fazzoletto perché stropicciato e non più utilizzabile. Inutile
dire che ne possedesse una quantità impressionante!
Ted Kennedy sceglie i tessuti per
alcune cravatte personali presso
l’atelier romano di Brioni
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Asse Oxford-New York. Siamo nel 1880, anno in cui i membri dell’Exeter College di Oxford compirono,
inconsapevolmente, un gesto fondamentale nella storia del costume, sfilandosi i nastri di seta che adornavano
i propri cappelli per annodarseli al collo. Nacque proprio così la prima vera cravatta da club: il 25 giugno
dello stesso anno ordinarono ad un sarto della cittadina di produrre dei nastri appositi con i colori del proprio
club. Fu il via di una nuovissima moda che contagiò presto la maggior parte dei club e dei college inglesi.
Tuttavia, il passo definitivo verso la cravatta così come la conosciamo oggi fu compiuto nel 1924 a New York
da Jesse Langsdorf. Il quale ebbe l’intuizione di tagliare il tessuto con un angolo di 45° rispetto al drittofilo,
impiegando tre strisce di seta da cucire successivamente.
Modernità. La cravatta moderna nasce nei tessuti pesanti tinti in filo: jacquard, raps e rasi. Poiché queste
lavorazioni consentivano una limitata variazione sui colori, si pensò di introdurre la stampa. Per molti anni
questo procedimento fu un monopolio delle manifatture inglesi, tra cui spiccava il nome celeberrimo di
David Evans. In epoca più recente, altre scuole hanno avuto la forza di imporre un proprio stile. Potremmo
tentare di individuare per grandi linee tre tradizioni: quella inglese, quella francese e quella comasca. La
cravatteria inglese ha sempre privilegiato la seta shappe, dalla mano a buccia di pesca, o comunque prodotti
Tecnica. Fino agli anni Sessanta, la cravatta era caratterizzata da una costruzione piuttosto leggera dovuta
ad un diffuso utilizzo di stampati foulard intorno alle 22 once o poco di più. Saglie e raps più pesanti erano
abbinati ad interni molto leggeri che determinavano un nodo piccolo e teso. Dagli anni Sessanta agli Ottanta
se ne preferì invece uno più importante, anche se i pesi dei tessuti non aumentarono subito di conseguenza.
Alcuni impiegarono doppi interni molto pesanti dando forma ad un effetto a “panino imbottito” e disastrose
ondulazioni. Le cravatte che provarono a mantenere interni adeguati al peso finivano per creare nodi più
lunghi che larghi. Nell’armadio di molti sono probabilmente conservati alcuni esemplari cimeli di questo
periodo. Dagli anni Novanta, i pesi delle sete per cravatte di prima qualità si sono attestati intorno alle 36
once, con interni che vanno dal medio al pesante, fino ad arrivare alle 40 once ed oltre. La costruzione può
essere dritta o a bottiglia ma, poiché quest’ultima dà un nodo più piccolo, sono in molti a preferire il taglio
della cravatta perfettamente dritto. Molto importanti, inoltre, sono la centratura dei disegni lungo tutta
la gamba ed un taglio che sia perfettamente a 45 gradi. La cravatta fatta a mano offre maggiori garanzie
di centratura, poiché realizzata tagliando singolarmente ogni square, mentre nella produzione seriale si
utilizzano taglierine capaci di sagomare anche trecento pezzi alla volta. In queste condizioni un controllo su
Tutte cravatte made in Cilento: da sinistra, sfoderata in lana fantasia; regimental sfoderata; papillon
dalla finitura o tessitura che ne limiti la luminosità. I suoi disegni sono piccoli e geometrici, spesso definiti
da un contorno nero. Tale tipo di cravatta è sempre meno diffuso ma proprio per questo probabilmente
ancora molto ammirato dai veri intenditori. I suoi più valorosi profeti in patria sono stati Drake’s, approccio
più creativo, e Holliday & Brown, classico per eccellenza. La scuola francese iniziò a trovare una sua piena
dignità negli anni Venti quando il talento ribelle di Paul Salgo, portoghese di nascita, giunse a Parigi. Un
nome che oggi dice poco ma che ebbe un ruolo determinante nell’esplorazione di nuove forme del gusto.
La sua influenza nella storia delle sete è stata tale da aver ancora oggi degli epigoni, ancorché inconsci,
dell’origine di una nuova libertà. Salgo fu il primo a sperimentare infatti accostamenti di colore non definiti
da contorni, giungendo così a nuove sfumature. Sfruttò ogni caratteristica della seta, prima fra tutte la
brillantezza. Lo stile francese, comunque, ha nella maison Hermes il suo ambasciatore più autorevole, le cui
esclusivissime sete tessute e stampate a Lione sono realmente inconfondibili. Approfondiremo. L’Italia, dal
conto suo, non è mai stata a guardare ed anzi ha stabilito a Como la nuova capitale contemporanea della
seteria, dove la ricerca inarrestabile e feconda ha portato a raggiungere livelli qualitativi altissimi. Proprio per
tale motivo non è così semplice parlare di uno stile comasco unitario, perché sui suoi molti telai qualunque
cosa è possibile. Manifatture come la grande Mantero o come le molte piccole aziende artigianali, capaci di
produrre tessuti pregevoli utilizzati dai più esclusivi fashion brand internazionali e dai più celebri laboratori
sartoriali italiani e non.
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ciascun capo è praticamente impossibile, con l’alto rischio di incappare nell’errore di un disegno fuori asse.
Stile. La tradizione suggerisce di indossare su abiti da sera o da cerimonia, in pettinati coperti, cioè non
perfettamente rasati, cravatte grisaille, in seta jacquard con presenza di tinte argentate, poco colore e forti
contrasti di chiaroscuro. Abiti spezzati da giorno e da lavoro si giovano della fantasia inesauribile degli
stampati, mentre una giacca da campagna si sposa perfettamente con le lane. Il blazer evoca le accezioni di
un club e per questo si abbina al meglio con i regimental. Anche lo stile dei capospalla può influire sulla scelta
della cravatta: la giacca napoletana, morbida e disinvolta, si troverà a proprio agio con una dalla costruzione
leggera, orlata a mano e senza cappuccio né fodera, come quelle che non a caso forgia da sempre la casa
partenopea Cilento. Approfondiremo. Una giacca sportiva migliorerà il suo aspetto confidenziale con un
nodo piuttosto piccolo, mentre un doppiopetto dagli ampi baveri potrebbe meglio integrarsi ad una cravatta
pesante con un nodo piuttosto muscoloso. Ma sarà poi vero tutto ciò? Non troppo direi o, almeno, non con il
tono perentorio impiegato e aborrito all’inizio di questa narrazione. Basti pensare come l’eleganza dei nodi
strettissimi sfoggiati da Carlo d’Inghilterra sotto i doppiopetto di Anderson & Shepard neghi in un lampo
l’ultima regola annotata!
Hermes. E’ il 1949: il direttore della boutique Hermès di Cannes, Bobby Breward, lancia l’idea della
cravatta Hermès per soddisfare la richiesta dei clienti che avevano bisogno della cravatta per entrare al vicino
casinò. Le prime cravatte vendute sono in seta liscia tinta unita. Dopo soli due anni, nascono le prime cravatte
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Cravatte Brioni
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Cravatte in seta Hermes
in seta stampata. I motivi utilizzati sono inizialmente disegnati dagli stessi
artigiani che realizzano i carrè. Anche le prime cravatte in seta stampata
così finiscono per essere decorate con i disegni tipici dei carré: la caccia,
l’equitazione, il mare. Nel 1960 sono prodotte le prime cravatte realizzate
dal disegnatore Henri d’Origny, storico designer della maison, che riesce
a conferire alla cravatta uno stile inconfondibile: nascono le decorazioni
con i ferri di cavallo e le catene. Ci vorranno circa trent’anni, siamo nel
1987, per apprezzare le prime cravatte a fantasia con gli animali. La prima
fantasia è la zebra, in seguito saranno proposti l’elefante indiano e le farfalle.
Le cravatte Hermès seguono i ritmi delle stagioni, essendo realizzate due
collezioni l’anno, una in febbraio l’altra in luglio. Si classificano in due
macro categorie: quelle in twill di seta e quelle in seta lourde o seta jacquard.
La cravatta in twill di seta è per eccellenza la cravatta Hermès. Realizzata
in seta stampata o seta twill, è larga 9 cm per una lunghezza di 148 cm. La
fodera, anch’essa in seta twill, riprende il colore di fondo delle decorazioni
stampate sulla cravatta stessa. Ogni collezione in seta twill è composta da
trenta decorazioni diverse e ogni disegno è a sua volta proposto tra le 12 e
le 16 colorazioni. Ogni pezzo è contrassegnato da un codice stampato sul
retro del lembo più piccolo. Le cifre corrispondono al codice di riferimento
del disegno. Nelle cravatte in seta jacquard, i disegni non sono più ottenuti
tramite stampa ma grazie all’intreccio di fili di colori differenti. Tutte
caratterizzate da un filo lucido cangiante che dà il riflesso alla seta. L’anima
di queste cravatte, in un tessuto di seta leggero, è sempre decorata con
piccole H tono su tono. Ogni collezione comprende 20 disegni differenti
proposti a loro volta tra le otto e le dodici colorazioni. Neanche a dirlo, la
cravatta Hermès è fabbricata completamente a mano secondo la tradizione
decennale propria della maison francese. La tessitura avviene a Grenoble
ed in seguito le cravatte sono stampate a Lione. L’incredibile qualità della
seta utilizzata per la cravatta e della sua anima conferiscono una sensazione
unica al tatto. A differenza della maggior parte delle cravatte composte da
tre parti unite tra di loro, le cravatte in twill di Hermès sono composte da
due, il grande lembo e il piccolo lembo. Questo taglio particolare permettere
si stampare sullo stesso pezzo di seta sia i due lembi che la rispettiva anima.
I due lembi e la fodera vengono in seguito assemblati e l’anima viene posta
all’interno e cucita con un metodo specifico di Hermès, che mantiene la
cravatta straordinariamente gonfia. La cucitura longitudinale è realizzata
con un unico filo che assicura la tenuta della cucitura. L’etichetta è cucita
con quattro punti. Le cravatte in seta jacquard sono fabbricate con lo stesso
metodo, con l’unica differenza che sono realizzate con l’unione di tre pezzi grande lembo, piccolo lembo e collo - e hanno due fodere anziché un’unica.
Le cravatte Hermès sono tutte cravatte a 5 pieghe e hanno una varietà di
colorazioni incredibili. Nella cucina della seta sono state create circa 75.000
gradazioni.
Brioni. Alcuni numeri che raccontano una profonda cultura di prodotto:
circa 200 disegni per ben 8 varianti di colore, un totale di circa 1600
varianti a stagione tra stampato e tinto in filo. Caratteristiche distintive: ogni
variante è esclusiva sia come peso sia come filato e presenta due loghi, uno
sulla fodera della pala grande, l’altro sul passante in seta della pala grande.
Il su-misura consente personalizzazioni che danno vita ad un profilo di
unicità e personalizzazione assoluta: circa 70 varianti totali, possibilità di
richiedere lunghezza, larghezza e iniziali sulla pala piccola. Per non parlare
della lavorazione, denominata “baciata”, che richiede circa il doppio del
tempo di una piegatura normale. I tessuti di fattura prevalentemente
italiana, raccontano di seta che copre quattro stagioni ed è senza tempo
e senza confini, di cachemire in inverno e garze di seta in estate. Notevole
sia dal punto di vista stilistico che dal punto di vista tecnico sono i bowtie da annodare per cerimonia, serate black-tie e per i gentiluomini da
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L’ultima nata in casa Brioni: una cravatta
caratterizzata da tessuti esclusivi che
racchiudono in un unico capo i disegni di
5 cravatte differenti, i quali compongono
un delicato effetto di gradatum a V
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Cilento, fase manuale di ricamo del travetto
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papillon anche di giorno. Ultima nata in casa Brioni, esclusiva mondiale
di sapienza artigiana e innovazione stilistica, è nuova tipologia di cravatta,
che affianca la già vasta e profonda cravatteria di decennale tradizione.
Un esempio unico nel suo genere, sia per ideazione sia per tecnica: tessuti
esclusivi che raccolgono in un articolo i disegni di cinque cravatte differenti,
visibili ad occhio nudo osservando il delicato gradatum a V che si forma
verticalmente e termina con precisione millimetrica sulla punta della
cravatta. Il disegno primario è decomposto fino ad arrivare in maniera
progressiva al singolo elemento che lo ordina in una sorta di scultura a cui
si eliminano gli elementi per completare l’opera. “Less is more” suggeriva
Mies van der Rohe: un esercizio di assoluta maestria e precisione che dona
all’accessorio maschile per eccellenza uno stile al tempo stesso rigoroso e
ludico. I disegni così composti permettono, infatti, una geometria sinuosa
con effetti di cromatismo cangiante e dinamismo grafico. La razionalità
del segno geometrico ripetuto grazie al nuovo concept creativo ottiene una
morbida gradualità dando vita ad un optical silenzioso ed elegante.
M. Cilento. La celebre tradizione artigianale della cravatteria partenopea
prende corpo in un luogo dello spirito. Dove il bello sa ancora di ben fatto,
o meglio, di fatto a regola d’arte. Un luogo dove l’elaborazione stilistica
si accompagna indissolubilmente a quella emozionale. Dove passione,
competenza, maestria e gusto si mescolano in un connubio che racconta
di un’armonia esclusiva delle forme e delle sostanze. Dal 1780, da ben
otto generazioni, la Sartoria M.Cilento è lì in via Medina a Napoli, ancor
oggi caratterizzata dal profumo del legno che si mescola a quello del
cuoio e della seta, dal silenzio laborioso dei sarti all’opera che pervade
gli ambienti raffinati. Alla base di tutto c’è la profonda conoscenza delle
materie prime, la ricerca costante dell’eccellenza: già nel lontano 1831 i
fratelli Cilento impiantarono due filande a Salerno. L’introduzione della
filatura e tessitura delle fibre naturali, come il cotone, il lino e la canapa,
contribuì in maniera determinante allo sviluppo economico del Regno delle
Due Sicilie di cui l’azienda non a caso fu indiscusso arbiter elegantiarum.
L’atelier di Via Medina è difatti un vero e proprio museo dell’alta sartoria
napoletana narrata da strumenti e accessori che hanno segnato le tappe di
una tradizione che ha fatto e continua a fare scuola. I banconi, le vetrine, gli
espositori, gli arredi, i dipinti, le stampe e gli orologi del negozio raccontano
duecento anni di storia: ci sono oggetti ormai dimenticati e introvabili come
il trousers-press, l’antico stira calzoni, e lo stira cravatte degli anni Trenta.
E poi una collezione di abiti, scarpe e stivali del Sette e dell’Ottocento che
dialogano con le nuove collezioni della maison. Radici solide e ben nutrite,
a cui oggi Ugo Cilento – rappresentante dell’ottava generazione di famiglia
- ha saputo mettere le ali, dando slancio a una ricerca che sa rinnovarsi
pur sempre nel solco di un’eleganza esclusiva, senza tempo. E’ in questo
contesto che la cravatta assume il ruolo di oggetto iconico, capo simbolo.
Non a caso, da più di un anno, accanto alla storica sartoria, Ugo Cilento ha
ideato e dato vita ad un santuario ad essa dedicato: la boutique “Cravatte
Cilento”. Uno spazio consacrato esclusivamente all’amore per gli accessori.
Qui si indugia alla ricerca di gemelli di ogni foggia e finitura, di orologi e
profumi, ma ovviamente e sopra ogni altra cosa delle celebri cravatte della
casa. Da sempre, infatti, Cilento è sinonimo di cravatte di grandissima
qualità, realizzate a mano e su misura con lavorazione “sette pieghe”, tessite
e stampate, sia incappucciate che sfoderate. Senza paragoni queste ultime.
Le fantasie sono tutte disegnate personalmente proprio da Ugo Cilento
che con passione e dedizione seleziona i tessuti più pregiati: dalla seta al
cachemire, dal tweed alla vicugna. Eccezionali per fattura e raffinatezza le
cravatte a farfalla.
Cilento: in alto, cravatta sfoderata
in lana fantasia; in basso,
cravatte settepieghe
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