La giustizia nell`Islam

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La giustizia nell`Islam
VASTI
Che cos’è umano?
Scuola di ricerca e critica delle antropologie
C/o EIS Via Monterone, 2 00186 Roma
La giustizia nell’Islam
Seminario di Adnane Mokrani
22 ottobre 2005 (prima parte)
Bianca Maria Scarcia Amoretti:
Quando abbiamo incontrato Adnane Mokrani gli abbiamo posto una serie di domande sulla
giustizia nell’Islam, e lui, che è una persona un po’ speciale, ci ha risposto parlandoci di sé e della
sua esperienza tra noi e del suo rapporto con noi. Questo ci ha permesso di porre in modo giusto la
questione, e credo che sia un grande regalo che ci fa di affrontare qui il problema della giustizia e
della democrazia proprio partendo da sé, dal suo punto di vista e dalla sua esperienza. Questa può
essere anche la cornice entro cui possono poi venire domande più specifiche e più tecniche; e qui
nella misura del possibile il nostro ospite potrà dare delle risposte e io potrò da esterna, soprattutto
da studiosa, eventualmente aggiungere qualcosa sia pure con quel pizzico di supponenza che spesso
abbiamo noi studiosi quando ci occupiamo di altre culture.
Prima di venire qui io, come spesso mi succede in queste situazioni, ho fatto un po’ di letture
coraniche: chiaramente la parola o le parole che indicano giustizia nel Corano, rinviano a due
livelli, la giustizia divina e la giustizia degli uomini tra gli uomini; e questa secondo me è una prima
cosa su cui possiamo riflettere insieme.
In secondo luogo mi pare che sia molto importante mettere insieme giustizia e democrazia
proprio in questo momento in cui l’Islam è sulla scena in maniera negativa e in cui si dà ad una
minoranza la funzione di rappresentare il tutto in maniera molto scorretta. Tutto questo è molto
legato al discorso della democrazia, della libertà, del libero arbitrio, del senso della violenza; quindi
il discorso che lega la giustizia e la democrazia potrebbe essere uno dei fili conduttori per tentare di
trovare un bandolo di lettura dell’Islam che sia più corretto, più plurale, e non solo dal punto di vista
teorico ma proprio nel vissuto. Quindi ringraziamo molto Adnane che abbia accettato questa
formula che è meno accademica ma molto più persuasiva proprio perché nasce all’interno di
un’esperienza.
Adnane Mokrani:
Il mio compito è un po’ difficile soprattutto dopo queste presentazioni, nelle quali è stato
letto anche il testo di Panikkar 1 sulla possibile violenza della domanda nel dialogo interculturale e
interreligioso. Il testo di Panikkar è molto importante. Panikkar per me è stato un maestro che mi
ha insegnato molto nella mia scoperta del cristianesimo; è vero che la domanda posta dall’interno di
una cultura a un’altra cultura può racchiudere un certo grado di violenza, ma poiché siamo
mediterranei abbiamo una base culturale comune; io sono anche musulmano, e l’Islam è una
religione abramitica, abbiamo dunque un patrimonio religioso comune; questo mi da forse la
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Il testo di Panikkar alla prima parte del quale qui si fa riferimento (“Giustizia, dharma e karma tra Occidente e
tradizioni indiane”) è quello inviato ai soci di Vasti in preparazione del seminario dello stesso Panikkar di lunedì 7
novembre 2005.
1
possibilità di affrontare le domande più facilmente. Anche se qualche volta è vero che, dopo la
lunga storia del cristianesimo e la lunga storia dell’Islam, studiare i testi è difficile perché c’è un
problema di ermeneutica, di culture. Comunque il mio discorso di oggi non è un discorso
sistematico: sono riflessioni generali sul tema della giustizia e della democrazia e cerco di
condividerle con voi. Sono temi esistenziali, temi essenziali per la religione e per la vita. Il mio
concetto stesso della religione è un concetto dinamico dove il dubbio è molto importante; c’è un
detto proprio del profeta Muhammad che dice: “il dubbio è la pura religione”. La religione è una
ricerca della risposta, non è uno stato fisso, rigido, se no diventa fondamentalismo, integralismo e
violenza. Dunque cerchiamo insieme le domande giuste che ci aprono alle strade giuste, ma le
risposte cambiano secondo il contesto, secondo l’epoca e secondo la nostra esperienza. Non ci sono
risposte definitive ma c’è un cammino che facciamo ponendoci delle domande giuste.
La giustizia e il problema del male
Questo tema lo si può trattare a due livelli: c’è il livello metafisico, filosofico e teologico; e
poi c’e il livello sociale e politico, pratico. Per il primo livello, il livello metafisico, il problema
della giustizia è legato al problema del male. C’è una domanda, una grande sfida, soprattutto per le
religioni abramitiche: questo Dio unico, onnipotente, forte, come può accettare l’ingiustizia e il
male nel mondo? È un Dio debole, o un Dio ingiusto? Le religioni iraniane hanno trovato una
risposta dualistica: c’è il Dio del bene e il Dio del male. Invece nell’ambito abramitico la risposta è
stata diversa. Io cerco di rispondere a questa domanda problematica secondo l’Islam. Nel Corano
Dio è unico, ma ha tanti nomi; sono i bei nomi di Dio. Tra questi nomi c’è un nome al-‘adl che si
può tradurre “il Giusto” oppure “la Giustizia”; la stessa parola significa giusto e giustizia, ma Dio si
può chiamare anche con un altro nome: “la Pace”: al-salam Dunque questi nomi divini
rappresentano valori, valori umani e divini.
Ma se questo Dio giusto è veramente giusto, come può accettare l’ingiustizia? Io qui sono
stato presentato come Sufi; è difficile definire una persona perché la persona è un mistero, ma certo
il sufismo mi interessa molto perché la sua risposta è più unitaria, cerca più l’unità. La teologia
islamica è stata in fondo dualistica, nel senso che la realtà è divisa in due, il creatore e il creato; c’è
una certa distanza tra questi due livelli della verità; i due ponti di dialogo tra queste due realtà, sono
costituiti dalla ragione e dalla rivelazione, che mettono in rapporto la realtà umana e la realtà divina
che è radicalmente diversa, radicalmente trascendente. Invece i Sufi hanno cercato di proporre una
visione più unitaria, e mi sembra che questa prospettiva sia utile per il nostro discorso. I Sufi hanno
diviso i nomi divini in due categorie: i nomi della Maestà e i nomi della Bellezza. È una teoria
religiosa simile a quella taoista, Yin e Yang che evidenzia l’aspetto maschile e l’aspetto femminile
di Dio. Allora tra i nomi della Maestà sono compresi tutti i nomi della forza, della giustizia, della
onnipotenza, e tra i nomi della Bellezza quelli della gentilezza, del perdono ecc.; ma non c’è una
separazione radicale tra queste due categorie; come non c‘è una separazione radicale tra la
trascendenza e l’immanenza perché c’è immanenza nella trascendenza e c’è trascendenza
nell’immanenza.
Forse questo modo permette di integrare il male nel divino, nel senso che il male non è
Satana (il simbolo del male), non è un piccolo Dio, o un altro Dio, separato, ribelle che fa quello
che vuole nel creato; in questa visione, nella visione sufi soprattutto, il male diventa un messaggero
di Dio. Il male ha un ruolo nel creato perché la vita stessa è la casa della prova; non è la casa della
giustizia ma la casa della lotta, della sofferenza, della resistenza, della morte; la casa della giustizia
e della pace nel senso assoluto è dopo questa vita terrena. Questo non per fuggire dalla domanda e
rimandarla dopo la morte, ma per dire che non c’è niente in questa vita, in questo mondo che può
sfuggire al dominio di Dio; tutto quello che succede, succede con il permesso di Dio. Dunque il
male può essere capito come una cosa voluta e permessa da Dio.
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Tuttavia queste due categorie non sono eguali, la categoria della bontà è prioritaria,
predominante, la misericordia di Dio prevale sulla sua ira, il perdono domina la giustizia; dunque
non sono eguali, ma questo male permesso che ha un ruolo nel creato ha una finalità buona nel
sistema, nell’insieme, nel tutto. Il ruolo di Satana è di mettere alla prova le persone; e così possono
essere più mature, più umane. La cosa è trattata nel Corano nel dialogo tra Dio e gli angeli prima
della creazione di Adamo. Il versetto coranico dice: “E quando il tuo Signore disse agli angeli:
porrò un vicario sulla terra, essi dissero: metterai tu in essa uno che vi spargerà la corruzione e vi
verserà il sangue, mentre noi ti glorifichiamo lodandoti e ti santifichiamo? Ed egli disse: in verità io
conosco quello che voi non conoscete”, Corano (2: 30-32). Dunque la storia umana sembra una
catena di guerre e di eventi sanguinosi; quando dall’esterno vediamo il film della storia umana
possiamo chiedere con gli angeli se Dio ha fatto bene a creare l’uomo (che il Corano chiama il
“vicario”, khalifa), dal momento che la nostra storia è piena di sangue.
Qui c’è un’ altra cosa che il misticismo a mio parere tratta bene e che la teologia non è
riuscita bene a studiare e ad approfondire, quello che si chiama l’”apparenza” e “il nascosto”: ci
sono due livelli della verità; Dio stesso si chiama l’Apparente, il Manifesto, l’Evidente, e anche il
Nascosto, quello che non si vede. Dunque l’apparenza di questo creato, di questo mondo, è
l’ingiustizia, il male, la guerra, la violenza; ma dove è Dio in tutto questo? La risposta di Dio qual
è? Che cosa ha detto Dio a quella domanda degli angeli che sono più vicini a Dio? Ha detto: “in
verità io conosco quello che voi non conoscete”. È una risposta misteriosa. Dio è saggio e la sua
saggezza è nascosta, è un mistero.
C’è un’altra storia nel Corano. Le storie dei profeti nel Corano sono molto importanti, una
gran parte del testo sacro, forse quasi la metà, è costituito da storie di profeti. C’è la storia di Mosè e
del servo giusto, il servo santo, di cui si parla nella Sura della caverna, che sta al centro del testo
coranico. Si tratta di un uomo misterioso, il cui nome non è menzionato nel Corano, nella tradizione
islamica si chiama al Khidhr. Mosè è il simbolo del profeta legislatore, è il profeta della To rah,
della legge, dunque della giustizia sociale, della giustizia nel senso apparente, la giustizia
dell’evidente. Ora Mosè si mette in viaggio per incontrare quest’uomo misterioso, per cercare un
altro livello di conoscenza. Quando Mosè dopo tante difficoltà incontra quest’uomo, si mette in
viaggio con lui; e quest’uomo, il servo giusto, commette tre atti ingiusti davanti a Mosè: ingiusti,
immorali, assurdi agli occhi del profeta legislatore. Prima di tutto apre una falla nella barca delle
persone che li trasportavano; erano stati aiutati da dei pescatori, che li avevano portati in questa
barca e, lui, il servo misterioso, rovina questa barca come ricompensa alla bontà ricevuta, ciò che
sembra assurdo a Mosè. Poi quest’uomo uccide un bambino innocente e alla fine restaura un muro
che stava per crollare nel villaggio che aveva rifiutato di ospitarli; insomma risponde con un male
alla bontà e con la bontà al male. E’ quello che vediamo ogni giorno. Dunque queste sono le
domande che l’uomo religioso o meno religioso si pone quando vede gente che fa il male e che sta
bene, mentre altri che fanno il bene stanno malissimo. Perché? Poi alla fine quest’uomo spiega a
Mosè perché ha fatto questo: per il battello perché apparteneva a povera gente che lavorava sul
mare: ho voluto guastarlo, dice, poiché dietro di noi veniva un re che prevaricando si impadroniva
di tutti i battelli; allora quest’uomo ha rovinato il battello per renderlo inservibile al despota, per
proteggere questa gente. Per quanto riguarda il ragazzo: i suoi genitori erano dei credenti e abbiamo
temuto – dice l’uomo - che egli avrebbe imposto loro ribellione e miscredenza; abbiamo voluto che
il Signore desse loro in cambio un altro figlio migliore per purezza d’animo e più vicino a loro per
affetto; quanto al muro, esso apparteneva a due orfani di quella città, sotto di esso c’era un tesoro
lasciato loro dal padre che era un uomo dabbene; il Signore ha voluto che entrambi raggiungessero
il pieno vigore perché essi stessi potessero estrarre il loro tesoro; dunque è stata la misericordia del
Signore a fare questo, dato che non l’ho fatto di mia iniziativa. Questi crimini commessi da questo
uomo giusto, spesso nella vita normale, quotidiana, sono commessi da criminali; il senso di ciò per
il credente, è che l’uomo giusto e il criminale, ambedue fanno la volontà di Dio, nulla succede sulla
terra senza il permesso di Dio, tutto è voluto da Dio; ma la differenza è la differenza di qualità, di
consapevolezza; il giusto fa la volontà di Dio consapevole di questa volontà, invece chi non è
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consapevole fa la volontà di Dio senza saperlo, come anche le pietre fanno la volontà di Dio senza
saperlo, come tutto il cosmo. Infatti ci sono due livelli di volontà divina, c’è il livello cosmico,
generale per cui questa volontà si realizza senza una partecipazione cosciente di chi la attua, e c’è
poi il livello morale, etico, della volontà divina che viene attuata in modo consapevole.
Raniero La Valle: questa dottrina secondo la quale anche il male realizza la volontà divina,
è dottrina comune nell’Islam, oppure è una dottrina a cui se ne contrappongono altre? Lo chiedo
perché anche nel cristianesimo ci sono molti che dicono questo, dicono “non si muove foglia che
Dio non voglia”, tutto dipende da Dio, anche il male; il Papa Wojtyla ha detto che perfino il
nazismo in qualche modo era stato permesso da Dio; però questa è una dottrina molto contestata nel
cristianesimo e anche qui abbiamo sentito Carlo Molari che diceva come questa teologia sia
assolutamente inaccettabile nel cristianesimo. Invece è tutto l’Islam che la pensa così? Mi scusi per
la “violenza” della domanda.
Bianca Maria Scarcia Amoretti: Per come io la vedo da studiosa credo si possa dire che
Dio crea, crea tutto; evidentemente crea anche il male, anche se il male è sotto un altro nome. Però
c’è un meccanismo che l’Islam nella sua stragrande maggioranza fa suo ed è che l’uomo è libero e
dunque responsabile di accettare, di prendere le azioni buone o di prendere le azioni cattive;
tornando al discorso sul modo di porre la domanda: c’è la giustizia e c’è l’equità; il concetto di
giustizia a sua volta si distingue in qualche maniera in qualcosa di astratto e in qualche cosa di
concreto; nel concetto di equità sta anche il libero arbitrio perché il Corano più volte ci dice che
ognuno è responsabile dell’azione che fa, Dio non imporrà un peso superiore alle forze dell’uomo;
quindi Dio mette l’uomo nella situazione di una scelta libera, che tutti sono egualmente in grado di
fare; però quando ci sarà il giudizio finale, quando verranno esplicitate le azioni dell’uno e le azioni
dell’altro e il modo di misurare quelle azioni, gli uomini pagheranno o avranno la ricompensa in
base a quello che hanno fatto. Questo è quello che la grande maggioranza dei musulmani dice. Il
che poi è assolutamente funzionale al fatto che l’Islam assegna un grande centralità alla legge, cosa
che i Sufi fanno soltanto in maniera minore; e naturalmente la legge è per così dire la via, lo
strumento attraverso cui tutti, uno per uno, e le comunità e i popoli nel loro complesso, possono
adottare un’equità che cerca di avvicinarsi alla giustizia. Questa è l’interpretazione maggioritaria;
però è molto importante che Mokrani ci dia la sua.
Adnane Mokrani: E’ vero che il sufismo è stato accusato da alcuni movimenti riformisti di
essere fatalista: i sufi accettano tutto, amano tutto, tutto è Dio, tutto è divino, tutto è buono, anche il
male è alla fine buono, Satana è un messaggero di Dio, alla fine comunque sarà perdonato. È vero
questo, ma ci sono anche questi due livelli, l’evidente e il nascosto, quello che vediamo e il mistero,
la realtà e la saggezza nascosta, la legge e la verità, la profezia e la santità; nessuna parte nega
l’altra, c’è una complementarietà tra questi due poli della vita, come anche tra i nomi di Dio, tra la
Maestà e la Bellezza. Non c’è contraddizione tra giustizia e perdono; dunque il compito dell’essere
umano, del musulmano è di lottare, resistere, cercare di realizzare il livello etico della volontà di
Dio con consapevolezza. Ma questo cammino, questa lotta, questa resistenza, questo sforzo è anche
un atto divino. Questa risposta è un tentativo, perché le domande ci sono sempre, per contenere il
male, per spiegare il male, per spiegare l’assurdo e anche, tra virgolette, per proteggere la sovranità
di Dio.
Io personalmente ho usato termini tecnici sufi come lo sono queste due categorie di evidente
e nascosto; forse nella teologia islamica si usa un'altra terminologia, comunque nella teologia
islamica si è insistito molto sulla libertà umana, l’uomo è il creatore dei suoi atti; c’è una scuola
teologica che si chiama “la giustizia e unicità di Dio”, ahl al-adl wa al-tawhid, i mu‘taziliti, hanno
messo la parola giustizia prima dell’unicità di Dio, e invece un’altra scuola piuttosto tardiva, lo
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Ash‘arismo ha cercato di fare un compromesso; in verità lo Ash‘arismo ha cercato di integrare
un po’ il sufismo, con la teoria di iktisab acquisizione, l’uomo è proprietario, non creatore dei suoi
stessi atti.
Bianca Maria Scarcia Amoretti: è quello che dicevo prima, che l’uomo in qualche modo si
appropria dell’azione; e bisogna dire che lo Ash‘arismo è quello che è praticato dalla maggioranza
dei musulmani. La parola ‘adl, nella dicitura della scuola mu‘tazilita, (che è una scuola che viene
adesso rivalutata dai riformisti, cioè dalla parte che si contrappone frontalmente sul piano teologico
ai fondamentalisti), significa che Dio non può non essere giusto in maniera che all’uomo sia
comprensibile; e di qui nasce poi il discorso del libero arbitrio, cioè Dio è sufficientemente giusto
perché l’uomo capisca; non è la sua una giustizia totalmente altra, al contrario di quanto pensano
altre scuole (non soltanto lo Ash‘arismo) ancora più nette, esattamente come era nel cristianesimo
prima di una grande revisione. La differenza tra il cristianesimo e l’Islam è che nell’Islam
permangono le differenze nel tempo, non si arriva ad una situazione universalmente omogenea,
nell’Islam non c’è un’autorità, come può essere il Papa, per cui le differenze, la differenziazione, il
rimanere di fermenti ma anche di scuole vere e proprie continuano nell’Islam. Però direi che lo
Ash‘arismo è quello su cui la maggioranza si basa e che sviluppa questo discorso secondo cui Dio
crea le azioni e l’uomo ha la possibilità di acquisirle, di acquisire quelle buone, di acquisire quelle
cattive e in base a questo verrà giudicato; dopodiché il perdono finale di Dio, l’atto di misericordia
finale di Dio, questo è un punto interrogativo, perché dipenderà dalla libertà divina.
Adnane Mokrani: Comunque lo Ash‘arismo ha cercato un compromesso con il sufismo, e
questa idea dell’uomo che decide dentro di sé, sceglie, ma Dio crea, e l’uomo è responsabile per la
sua scelta, ma non è creatore dei suoi atti, qualche volta sembra un dibattito molto formale di
terminologia. Comunque lo Ash‘arismo è diventato la scuola della maggioranza dei sunniti, del
sunnismo tradizionale, anche se oggi la teologia grosso modo è diventata molto debole.
La giustizia e il problema della storia
Comunque questa è la parte metafisica. La seconda parte è la parte terrena, la parte
dell’apparenza, della legge, del sociale. Ma prima di passare per questo ponte c’è un detto del
profeta Muhammad. Il profeta a Medina era anche un giudice, un capo di stato; dopo un processo
disse: “forse uno di voi ha parlato bene, ha saputo difendersi, è stato più eloquente; se dunque ho
dato ad uno di voi quello che non merita veramente, gli ho dato un pezzo dell’inferno”. Il profeta
aveva pronunciato il giudizio, ma non era sicuro al cento per cento; ha detto: ho sentito tutte le
persone, forse uno di voi sapeva parlare più degli altri e sapeva difendersi, gli altri no e io ho dato
ragione a lui, ma se ha cercato di nascondere la verità, gli do un pezzo dell’inferno, lui è
responsabile davanti alla giustizia divina. Questo testo è molto importante perché se anche del
profeta, dell’uomo perfetto secondo la tradizione islamica, si dice che il suo giudizio è relativo,
questo significa che anche per noi, per gli altri musulmani che non sono del livello del profeta si dà
che i loro giudizi sono relativi, molto relativi. Dunque il testo coranico è inserito in un contesto
storico; la presenza della storia nel testo è ovvia, perché il testo ha accompagnato per ventitré anni
la carriera profetica di Muhammad, la storia della prima comunità islamica; certo, ci sono principi
generali: la giustizia è un principio generale. Ma come si può concretizzare la giustizia nella storia,
come il profeta Muhammad ha potuto essere giusto nel suo contesto storico? Questa è una domanda
molto importante. Nel Corano troviamo tanti princìpi che devono essere concretizzati in modi
diversi, dipende dal contesto; quello che poteva essere giusto in una certa epoca può diventare meno
giusto o ingiustizia in altra epoca. Dunque questo è il problema della forma e del principio, è lo
stesso problema dell’apparente e del nascosto. L’apparenza cambia, l’apparenza della persona
cambia, ma la realtà qual è, qual è la realtà della persona? Dunque questo è un problema molto
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serio per i musulmani di oggi. Prendiamo un esempio: la schiavitù. Il Corano, e con esso l’Islam,
non ha cancellato la schiavitù, perché faceva parte del sistema sociale dell’epoca; ha cercato di
migliorare la situazione degli schiavi, per esempio ha cancellato tante porte d’ingresso della
schiavitù ed ha aperto tante porte d’uscita; si è lasciato come unico modo legale per fare gli schiavi
quello di prendere i prigionieri di guerra che non avevano potuto essere scambiati con altri
prigionieri; nello stesso tempo, per chiedere il perdono si lasciano gli schiavi: per esempio uno che
ha mangiato nel mese di Ramadan può liberare alcuni schiavi come richiesta di perdono; uno che ha
ucciso qualcuno per sbaglio, può anche liberare schiavi per chiedere il perdono di Dio. Ma la
schiavitù è rimasta; oggi non possiamo accettare la schiavitù, perché il nostro concetto della
giustizia è diverso, ma nel Corano troviamo un versetto che dice “una schiava credente è meglio di
una politeista (e libera)”, Corano (2: 221). A che cosa serve questo versetto per me oggi? Non c’è
più oggi grazie a Dio la schiavitù, c’è la forma storica di questo versetto, oggi lo leggo nel senso
che la posizione dell’essere umano non dipende dalla sua appartenenza sociale, dipende dal suo
valore umano, dipende da quello che porta nel suo cuore; dunque è questo messaggio che può
essere significativo per me oggi. La sfida per la giustizia, per la democrazia nell’Islam di oggi è
appunto in questo; l’esperienza storica della prima comunità o delle prime ge nerazioni è diventata
un’esperienza assoluta, le forme hanno avuto più importanza dei principi e invece la lettura
moderna cerca di liberarsi da questa prigione della storia e cerca le indicazioni, la direzione, perché
c’è un certo dinamismo dei principi coranici. Do un altro esempio: la posizione della donna, la
situazione della donna musulmana. Il Corano è stato liberatore della donna araba nel settimo secolo;
per esempio la poligamia era incondizionata; è diventata condizionata a quattro mogli, con la
condizione per il marito di essere giusto con loro; questo è un passo molto importante; la donna ha
avuto il diritto all’eredità; dunque questo è un passo storico molto importante all’epoca. La stessa
cosa per la schiavitù, per la forma del governo: c’è il principio coranico della consultazione, il
dovere di consultare i compagni; però il Corano non dice niente di come si può fare questo; dei
primi califfi dopo la morte del profeta Muhammad, ognuno è stato scelto in modo diverso, dunque
non c’era una modalità unica per governare; è questa la sfida attuale per la giustizia. Questo quello
che volevo dire, poi nel dibattito possiamo approfondire altri punti.
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