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TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, IDEE, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2010 - N°4 - EURO 6,00 Redazionale: L’ORA DELLA SVOLTA Intervista a: DARIO FO SU BRERA Patrimonio storico: LO STUDIO DI F. HAYEZ Maestri storici: EMILIO VEDOVA Docenti: GIANFRANCO NOTARGIACOMO FRANCESCO CORREGGIA FRANCESCA A. MIGLIETTI Progetti: il bello è il buono GUALTIERO MARCHESI NICOLA SALVATORE ALDO SPOLDI SULLA SCULTURA ACCADEMIA DI CATANZARO Ex studenti: ANNA LISA RIVA Fondazione Maimeri: SARANNO FAMOSI Studenti: LUCA BONANNO, PALERMO Sostieni Academy! con pubblicità e abbonamenti per il nuovo anno anche individuali, ognuno potrà ricevere la rivista comodamente a casa propria. contattaci scrivendo a: [email protected] o telefonando al: 02.87388250 / 3397880296 TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, IDEE, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2010 - N°4 - EURO 6,00 oppure bonifico bancario intestato a: Editrice L’Immagine srl UNICREDIT BANCA DI ROMA SPA - MOLFETTA IBAN: IT 36 Z 03002 41560 000010242187 TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, IDEE, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2009 - N°3 - EURO 5,00 versamento su c/c postale n°89424840 REDAZIONALE Distruggere l’Accademia di Brera Intervista a MICHELANGELO PISTOLETTO La sua esperienza all’Accademia di Vienna Intervista a DANILO ECCHER Direttore della GAM di Torino Intervista a ENZO INDACO Presidente dell’Accademia di Catania PREMIO NAZIONALE DELLE ARTI Accademia di Catania Intervista a MARTINA CORGNATI Docente all’Accademia Albertina di Torino Intervista a NICOLA MARIA MARTINO Artista e Direttore dell’Accademia di Sassari Intervista a ALESSANDRO GUERRIERO Designer e Presidente della NABA, Milano UNICREDIT & ART L’esperienza con l’Accademia Albertina Una mostra GIUSEPPE MARANIELLO Ex studenti MICHELE GIANGRANDE Sommario ragionato di Elisabetta Longari Siamo al primo numero del secondo anno, un risultato importante che comunque va rafforzato non solo da tutti i nostri attuali ma anche dai nostri potenziali lettori. La copertina dedicata a Emilio Vedova è la prima di una scelta redazionale che vuole ricordare grandi maestri contemporanei, tanto affermati nel mondo artistico quanto importanti per il ruolo didattico che hanno svolto. Questo numero focalizza l’attenzione principalmente su due accademie, quella di Catanzaro, che dimostra di vivere una stagione particolarmente fruttuosa, e quella di Brera, che sta attraversando un momento delicato, ricco di nuovi e stimolanti confronti, come le “visite ufficiali” di Saviano con Fò, di cui pubblichiamo un’intervista, e di Storaro, ma nel contempo afflitta dal problema della sede che si acuisce con il passare del tempo (il progetto “Grande Brera” firmato originariamente da Franco Russoli risale agli anni Settanta, ma con l’avvicinarsi della data dell’Expo ha subito un’improvvisa accelerazione dopo anni di torpore). Lo spazio abitualmente dedicato all’approfondimento della conoscenza di una figura di spicco nell’ambito teorico è in questo numero affidato a Francesca Alfano Miglietti, critico militante, curatore di mostre, docente e autore di diverse pubblicazioni nel corso delle quali rivolge il proprio sguardo appassionato alla materia incandescente della sensibilità contemporanea. FAM non si limita a raccontare un po’ di sé, della sua avventura nell’arte, segnala e propone anche il lavoro di Anna Lisa Riva, sua ex allieva. Un nuovo capitolo viene aperto dall’articolo di Francesca Valli sullo studio di Hayez; d’ora in poi Academy si occuperà anche di dare risalto al patrimonio storico delle singole istituzioni. Siamo cresciuti e speriamo di continuare a farlo. Iniziativa editoriale adottata come progetto dall’Accademia di Belle Arti di Brera A A DEMY OF FINE ARTS NUMERO 4 / Inverno 2010 SEDE Viale Stelvio, 66 20159 Milano tel. 02 87388250 fax 02 6072609 [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE Claudio Cugusi DIRETTORE Gaetano Grillo DIRETTORE MARKETING Marcella Renna SOMMARIO *Tutte le collaborazioni si intendono a titolo gratuito ACADEMY OF FINE ARTS Iscritto al Tribunale di Trani n.3/09 Fondato da Gaetano Grillo REDAZIONE Gaetano Grillo Elisabetta Longari Alessandro Gioiello GRAFICA E PUBBLICITÀ Marcella Renna 3397880296 EDITRICE L’IMMAGINE SRL Zona Industriale Lotto B/12 70056 Molfetta (Ba) Italy FOTOLITO E STAMPA L’IMMAGINE AZIENDA GRAFICA SRL Via Antichi Pastifici Lotto B/12 - Z.I. 70056 Molfetta (Ba) Italy tel. +39.0803381123 fax +39.0803381251 www.limmagine.net [email protected] 02 Editoriale, di Gaetano Grillo 04 Intervista a Dario Fo 10 Patrimonio storico: Hayez 14 Maestri storici: Emilio Vedova 22 Docenti: Gianfranco Notargiacomo 26 Docenti: Francesco Correggia 30 Progetti didattici: Il bello è il buono (Nicola Salvatore, Gualtiero Marchesi, Aldo Spoldi) 34 Docenti: Francesca Alfano Miglietti 37 Sulla Scultura 41 Accademia di Belle Arti di Catanzaro 46 Ex studenti: Annalisa Riva 48 Fondazione Maimeri: Saranno famosi 50 Studenti: Luca Bonanno, Accademia di Belle Arti di Palermo 52 Recensioni HANNO COLLABORATO* Alfano Miglietti Francesca Bonanno Luca Cerritelli Claudio Chielli Giancarlo Francone Serena Gazzarri Fabrizio Maimeri Gianni Pangaro Rocco Parmesani Loredana Tosi Barbara Valli Francesca In copertina: Emilio Vedova Foto di Graziano Arici L’UNICA RIVISTA PERIODICA RIVOLTA ALLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, AI DOCENTI, AGLI STUDENTI E A TUTTI GLI OPERATORI DEL SETTORE. L’ORA DELLA SVOLTA ! di Gaetano Grillo redazionale Come il Governo intende raggirare il riconoscimento giuridico ed economico dei docenti delle Accademie. Nel disegno di legge n.1693 del luglio scorso, presentato al Senato della Repubblica da ben diciannove senatori, si sollecita il completamento della piena attuazione della legge n. 508/99. Dal testo si evince a chiare lettere che il provvedimento si rende “improcrastinabile” perché richiesto dal Presidente della Commissione di Bruxelles, Marcin Libicki, in merito agli impegni sottoscritti al “Processo di Bologna” dai quarantasei Paesi che si sono impegnati a realizzare entro il 2010 un processo di riforma a carattere europeo dell’istruzione superiore. La scadenza imminente porrebbe l’Italia in una posizione di irregolarità se non completasse l’iter previsto poiché in tutti questi dieci anni trascorsi non ha ancora risolto il problema del riconoscimento legale dei titoli di studio ma di conseguenza, se i titoli rilasciati dalle accademie fossero legalmente riconosciuti come simmetrici alle lauree ci dovrebbe essere anche il riconoscimento legale dello status giuridico delle fasce della docenza con il conseguente adeguamento economico. A riguardo era già stato presentato un altro disegno di legge (n.1451) nel quale, esattamente all’articolo 2 si chiedeva di risolvere questa problematica peraltro con una ragionevole progressione da completare in un decennio. Ebbene! Nella presentazione del testo del disegno di legge n. 1693 si dice testualmente: “L’attuale congiuntura di crisi economica, tuttavia, rende assai impervio il cammino di tale proposta, stante la difficoltà di assicurare un’idonea copertura finanziaria. Si ritiene dunque opportuno sottoporre al Senato una nuova proposta, priva del summenzionato articolo 2, volta a dare quanto meno immediata soluzione alle problematiche che non comportano spesa a carico del bilancio dello Stato”. Come dire:….Provvediamo al riconoscimento legale dei titoli di studio, accontentiamo gli studenti istituendo il CNSAC (Consiglio Nazionale Studenti Accademie e Conservatori), cose che non ci costano nulla e ci fanno rispettare il “Processo di Bologna”, per quanto riguarda i docenti invece, lasciamoli così come sono nel “ruolo ad esaurimento” in cui si trovano, con una retribuzione da professori di scuola secondaria perché non abbiamo alcuna volontà di retribuirli in maniera conforme a chi è abilitato alla formazione terziaria. Come il Senatore Asciutti accetta il compromesso. Così, anche il Senatore Asciutti che tutti noi abbiamo apprezzato per il suo interessamento alla nostra giusta causa, getta la spugna e accetta di stralciare dal disegno di legge proprio l’articolo n. 2 che ci riguarda come docenti “discriminati”. Questo provvedimento nei fatti, dopo aver riconosciuto la validità legale dei titoli di studio sgancerebbe definitivamente la questione dello status giuridico della docenza dal percorso legislativo più volte auspicato, abbandonando al proprio destino un’intera categoria a cui è, peraltro, affidata l’Alta Formazione Artistica di quel Paese con il più alto prestigio artistico al mondo. Grave! Molto grave, Senatore Asciutti! Come dire:….Avete ragione, io ci ho provato ma…qui non ne vogliono sapere dell’arte e poi…se foste stati solo voi, docenti delle Accademie forse avremmo trovato le risorse ma per tutto il Comparto AFAM…….! Come l’Onorevole Valentina Aprea evita di esporsi. Io stesso, certo di contribuire a sollecitare la definizione di questo passaggio ormai tardivo, ho contattato la Presidentessa della VII Commissione (Cultura e Istruzione) Onorevole Valentina Aprea, per rilasciare una sua intervista su questo numero di Academy. L’On. Aprea mi ha chiesto del tempo per documentarsi adeguatamente prima di rispondere alle mie domande circostanziate ma dopo circa due mesi mi ha telefonato il suo segretario particolare, dicendomi che l’Onorevole, dopo aver verificato lo stato delle cose, sarebbe stata molto imbarazzata nel rispondere chiaramente, pertanto ritrattava la sua disponibilità all’intervista chiedendomi di “capire” e di apprezzare la sua sincerità. Come dire….forse….Ho verificato che non c’è la volontà di affrontare questo provvedimento e non vorrei prendervi in giro dribblando con parole vuote e risposte dette e non dette. Per chiarezza riporto qui di seguito le domande che le ho avanzato durante il nostro incontro nel suo studio di Viale Monza a Milano. Come i sindacati non riescono a concludere un contratto adeguato alla nostra categoria. Come da anni neanche i ricorsi legali trovano ascolto. A questo quadretto tipico italiano, si aggiunge l’esaltante realtà della Giustizia. Dalle aule delle Accademie alle aule dei Tribunali dove ogni tanto arrivano ricorsi di schiere di docenti che rivendicano il loro diritto ad essere retribuiti e riconosciuti giuridicamente per la mansione che realmente svolgono. La magistratura, che dovrebbe far valere la Carta Costituzionale, la Legge ed i principi, sembra piegarsi ai velati veti incrociati della politica quando questa tende a far prevalere le Come noi docenti potremmo abbandonare le Accademie. Altro che chiara fama! La nostra categoria è trascurata, mortificata, mal pagata e incompresa. I professori vengono incalzati dalla burocrazia, il merito professionale viene superato dai bizantinismi di un sistema che si livella sempre più al basso. I laboratori, forza identitaria e trainante delle Accademie, sono resi impraticabili, i sapèri specialistici sono rintuzzati in nozionismo solo teorico. Gli artisti sono stati messi in minoranza e dalle assemblee prevalgono ormai logiche che con l’arte hanno sempre meno a che fare. L’aura è spenta, la quantità ha preso il sopravvento sulla qualità. Proviamo a trovare una sola ragione perché un artista debba ancora investire il suo tempo all’interno di una realtà simile. Gli studenti sono costretti ad inseguire frammenti di crediti e i corsi che elargiscono più compiacentemente alte votazioni agli esami. Persino la nostra passione, quell’energia che proviamo noi che nelle Accademie ci siamo formati, persino la passione, ripeto, ultima risorsa disponibile, inizia a vacillare sotto i colpi incalzanti di un sistema che sta cambiando ma non sta migliorando. Il cambiamento è arrivato tardi, è arrivato male ed è già ora di cambiarlo ancora. Se questa è la prospettiva, se non troviamo soluzioni, molti di noi si arrenderanno. Nel frattempo nulla sappiamo ancora sui criteri di reclutamento dei nuovi docenti mentre già possiamo fare dei calcoli sommari e prevedere che per i prossimi vent’anni sarà difficile il ricambio generazionale. Il sistema sarà sclerotizzato e irrigidito sugli errori del presente. Se non saremo capaci di reagire presto, entro pochi mesi, molti di noi scapperanno e torneranno in studio, delusi e demotivati, a recuperare almeno il tempo perduto e sottratto all’arte. A malincuore lasceremo un lavoro nel quale abbiamo creduto e investito forse fin troppo. Come molti di noi potrebbero abbandonare questo Paese. Tutto ciò, però, non è altro che la conferma di quanto l’Italia non abbia più fiducia nel suo storico talento, non ami più la bellezza, le lettere, le arti, la cultura in generale; il nostro è ormai un Paese volgare, grossolano, sporco, inquinato. Le università sono allo sbando come l’intero sistema formativo, non compare nelle graduatorie mondiali se non in posizioni di classifica vergognanti e questo perché il Paese Italia pensa di risanare l’istruzione con i tagli di spesa e incrementando la formazione di “fondazioni” che per finanziarsi devono commercializzarsi, devono vendersi, devono avere clienti e clientele, devono offrirsi, devono fare...come dire... le puttane. Se andate in un qualsiasi ufficio delle Poste Italiane vedrete che cercheranno di vendervi una penna, un quaderno, un calendario, qualsiasi cosa che possa far apparire virtuoso l’impiegato perchè capace di vendere e di supportare l’azienda. E tutto dovrebbe funzionare così, in questa nostra “Azienda Italia”; fare “share” si dice, adescare, come la televisione, come la pubblicità. Una nazione che non investe sulla formazione è destinata ad implodere, non ha futuro. L’arte forse.....forse l’arte ancora......potrebbe farcela poichè è giovane per antonomasia perché non perde mai l’energia per ricominciare, per rinnovare, non perde mai la curiosità e la voglia di sperimentare, di inventare. L’arte è feconda e germina dove l’energia è giovane, dove c’è entusiasmo e voglia di credere, di investire e perché no, anche di sognare. Se non potremo più sognare, se non avremo più fiducia nel nostro Paese molti di noi potrebbero abbandonarlo. È giunta l’ora della svolta! redazionale Dopo cinquanta mesi di vacanza contrattuale, dopo aver espresso tutta la nostra disponibilità ad attuare la riforma senza aggravio per le finanze dello Stato, dopo aver lavorato tutti di più e con numerosissimi disagi, dopo aver consentito la lunghissima transizione dalla fase sperimentale all’applicazione ordinamentale del triennio e fra poco anche del biennio, dopo tutti i sacrifici fatti per rilasciare titoli equipollenti alle lauree, dopo aver permesso a molti studenti di altre università europee di laurearsi utilizzando anche i nostri crediti ed i nostri esami, ebbene, dopo tutto ciò e molto altro ancora, i sindacati si siedono al tavolo della contrattazione con l’ARAN, non per trattare una situazione del tutto straordinaria ma come se fosse un normale rinnovo del pubblico impiego della scuola secondaria. Da mesi vengono maltrattati e offesi con continui rinvii per cercare un accordo che ottimisticamente porterebbe circa cento euro di aumento, ovvero raccogliendo un risultato inferiore a quanto la secondaria ha ottenuto durante la stessa vacanza contrattuale. Allo stato attuale un professore del Liceo Artistico, con la massima anzianità, guadagna più di un professore d’Accademia con la stessa anzianità. Vi pare possibile che in questo Paese si debba continuare a vivere di simili paradossi? Per l’ARAN sarebbe come dire:….Scusate, ci dispiace, sappiamo che meritereste molto di più ma non riusciamo ad avere altre risorse però vi veniamo incontro diversamente diminuendo l’orario di lavoro, passando tutta la seconda fascia sulla prima in modo che nessuno più si sentirà inferiore e sarete felici e contenti. Gli ex assistenti non si sentiranno più frustrati e tutti avrete una accelerazione di carriera dopo tre anni anziché sei. Che capolavoro! Ma da che parte stanno i sindacati? Portano avanti le nostre istanze o gli interessi del Governo? Mentre loro siedono al tavolo tecnico e decidono i nostri destini nulla di ufficiale ci è dato sapere se non notizie indirette, talvolta telefoniche, il più delle volte dette e contraddette, a seconda delle alchimie e dei compromessi fra le varie sigle sindacali. I sindacati in questo modo non ci rappresentano, sono autoreferenziali, stanno troppo nelle stanze del potere e troppo poco nelle nostre aule. Pur stimando i nostri sindacalisti permane l’impossibilità degli stessi a risolvere una contraddizione paradossale: la permanenza nell’AFAM di una contrattazione unica per un corpo docente ormai universitario, insieme ad un altro da scuola secondaria, come quello che ancora permane nei Conservatori proprie ragioni su quelle del diritto. Così, la politica, entra nelle aule dei Tribunali e... forse... scoraggia, neanche tanto velatamente, gli stessi giudici ad emettere sentenze che possono comportare esborsi per l’economia dello Stato. Assemblea con Dario Fo nell’aula 10 dell’Accademia di Brera DARIO FO testimonianze Intervista al Premio Nobel, ex studente dell'Accademia di Brera “Cosa ti credi di essere? Uno di Brera?” Così si diceva ai miei tempi a noi allievi un pò boriosi! “Quelli di Brera” erano comunque una spanna più in su di tutti gli altri; uscire diplomati da quella Scuola antica e prestigiosa era un privilegio, un motivo di orgoglio! a cura di Serena Francone e Gaetano Grillo Serena Francone: Maestro ci racconta com’era l’Accademia di Brera quando lei era studente? Dario Fo: A quei tempi a Brera c’era anche il Liceo Artistico che io ho frequentato già da quando avevo quattordici anni. Brera era il centro focale della cultura non soltanto per Milano e non soltanto per tutta l’Italia, c’erano stranieri che venivano in ogni momento, pittori, scrittori, poeti, musicisti, l’Accademia era unita a tutte le scuole che esistevano a Milano, anche alle scuole di teatro, aquelle di mimo, l’Accademia era assolutamente collegata con la città e devo dire che se c’è stato un decalage a Brera è dovuto principalmente a questa interruzione del rapporto dell’istituzione con la città. E’ stato un errore anche spostare lo stesso Liceo Artistico di Brera. Finita la guerra bisognva subito provvedere a trovare nel quartiere dei palazzi importanti da destinare all’ampliamento dell’accademia. Mi da fastidio parlare facendo riferimento ai temp andrè, come cantava un’antica canzone Milanese, ma devo dire che non ho più ritrovato quel clima; molti miei amici e compagni di scuola hanno poi insegnato a Brera come Alik Cavaliere e tanti altri che ritrovavo anche in giro per il mondo e che ora sono ormai tutti morti, io sono uno dei pochi sopravissuti, vi raccomando di tenermi da conto (...ride!). Gaetano Grillo: Dario, benchè sia già molto nota a tanti di noi, vorrei che i nostri lettori sappiano quale è la tua posizione sul trasferimento dell’Accademia di Brera dalla sua sede storica, ce ne parli? Dario Fo: L’ho detto in svariate circostanze e non mi stanco di ribadirlo, oltre a resistere nella difesa della sede storica si può prendere in considerazione l’ipotesi di un parziale trasferimento Serena Francone: Per quanto riguarda il Palazzo Brera, visto che parlavamo di mancanza di comunicazione con l’esterno, è evidente la macanza di comunicazione tra le realtà interne a questo palazzo, così da non valorizzare ciò che lo rende unico, ovvero di essere un polo multiculturale. Secondo lei da cosa dipende? Dario Fo: Il problema non è isolato a Brera, ma è della città. Milano in questi vent’anni che c’è la destra ha perduto la linfa, la gioia d’inventare e di produrre, di essere. Perfino la scuola del Piccolo Teatro resiste a denti stretti, ma tu vedi che tutte le scuole d’arte “sono finite in vacca”, scusa il termine triviale. La Paolo Grassi è diventata una gnacchera rispetto a quello che era prima... la chiave è quando mi chiamano per tenere le lezioni vuol dire che non sono solo, ci sono anche tutti gli altri attori, gli altri registi... c’è una voglia di comunicare. Il fatto stesso che non ci sia uno scambio continuo con l’esterno è già un significato negativo. A Brera avete una scuola di Scenografia, ho coinvolto la scuola facendola lavorare per un progetto, così come ho fatto in altre occasioni, ad esempio ho coinvolto i pittori per fare questo o quell’altro lavoro ecc... Serena Francone: Per gli stendardi sulle stragi? Dario Fo: ...No non solo quello, ho fatto la mostra di Mantegna e in quell’occasione ho fatto restaurare dei dipinti che non verranno mai in Italia, e insomma, ho fatto dei falsi, però hanno avuto un grande successo perché nessuno li aveva mai visti a quella dimensione, perché sono impressionanti. Me li sono accollati io, li ho fatti io e li ho messi a disposizione, poi li ho ritirati e ce li ho qua. E’ un dono che vorrei fare a Brera se avesse gli spazi sufficienti. E li han fatti gli allievi di Brera. testimonianze purchè si trovi un’adeguata sistemazione per rilanciarla, in caso contrario significherebbe distruggere tutta la storia di Brera e in gran parte anche quella della Milano otto-novecentesca. Se poi si pensa di trovare una sede adeguata lontano dal luogo dove Brera è nata e dove si è sedimentata la sua storia sarebbe un disastro. Se si va troppo lontano è ancora peggio, perché se ci si toglie dal nostro spazio vitale, di nascita e di sviluppo, sarebbe un gravissimo errore. Allora la soluzione che bisognerebbe mettere in atto è quella che si sono inventati i francesi per l’Accademia di Belle Arti a Parigi e in altre città della Provenza: l’hanno spostata, però sempre dentro il centro, e pian piano sono andati in periferia, dove si poteva trovare una situazione più consona ai loro bisogni, per non parlare degli spazi straordinari di dimensione e di luce, dove sono stato perfino a mettere in piedi uno spettacolo. Questo può essere accettato solo quando si costruisce uno spazio apposta, non è che si adatta uno spazio come han fatto ad esempio nel caso della nuova sede del Politecnico in Bovisa, che è un posto orrendo... hanno utilizzato una fabbrica che produceva pneumatici, la Pirelli, con corridoi senza luce e opprimenti e reparti di montaggio enormi che davano angoscia solo nel transitare, non parliamo nel viverci… che spazi può avere una fabbrica? Io oltretutto ho frequentato anche Architettura per quattro anni, e ogni volta che mi ritrovo ad andare lì per tenere delle lezioni, delle conferenze ecc., mi sento sempre oppresso, a disagio. Allora non basta dire “Vi portiamo fuori”. Infatti quelle che sono state le soluzioni ventilate per una probabile nuova Brera alla fine si traducono in vere e proprie truffe. “Cosa ti credi di essere? Uno di Brera?” Così si diceva ai miei tempi a noi allievi un pò boriosi! “Quelli di Brera” erano comunque una spanna più in su di tutti gli altri; uscire diplomati da quella Scuola antica e prestigiosa era un privilegio, un motivo di orgoglio! Gaetano Grillo: Il progetto originario del Palazzo di Brera, come sai bene, rispondeva all’idea illuminista che riuniva in sè le arti, le lettere, le scienze. La convivenza di tutte queste realtà ancora oggi mantiene quella identità che in qualche modo verrebbe completamente sconvolta portando via l’Accademia e la sua funzione formativa... la museificazione di questo palazzo senza la vitalità degli studenti vorrebbe dire stravolgere il suo assetto storico in favore delle solite caffetterie e book-shop per vendere gadgets e idiozie per turisti... Dario Fo: Sì, ma vedi che loro per la vivacità pensano di fare dei caffè, dei bar, dei ristoranti... questa cosa bisognerebbe dirla nell’articolo che verrà scritto in risposta alla “superdonna” (Sandrina Bandera, ndr) che è di un’antipatia terribile. Però almeno un po’ di casino lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo. Gaetano Grillo: Sì, però la cosa grave è che l’intelligentia di Milano non segue più, non è sensibilizzata per niente. Tu sei la sola persona che tiene a cuore la nostra realtà. Dario Fo: Non segue più nulla, è vero! Non è che non segue più Brera, non segue più nulla in assoluto. La gente è sensibile solo agli inviti del sindaco per le feste, si danno spintoni per poter accedere alla prima della Scala, scantonano per tutti gli appuntamenti riservati ai vip e alla mondanità, ma niente altro ancora. Io avevo come compagni di scuola alcuni di coloro che sono diventati grandi architetti che ritrovo in tutte le parti del mondo, tutti fuggono ma nessuno di loro riesce a lavorare per questa città, puoi immaginare perchè? Adesso farò un giro in Svezia e in Scandinavia e so già che li rincontrerò da qualche parte. Ci sono italiani bravissimi che sono apprezzati soltanto fuori dell’Italia mentre qui fanno quelle vaccate di torri, architetture mediocri che stanno distruggendo Milano. Io ora sto cercando di aiutare gli abitanti di due zone di Milano perché gli stanno costruendo addosso dei grattacieli. Contemporaneamente stanno lasciando morire la Scuola di Musica del Conservatorio, la Scuola d’arte Drammatica che porta il nome di uno dei grandi operatori culturali del dopoguerra, Paolo Grassi. E’ come se questa città sia mossa dalla follia masochistica di estirpare la “mala erba” che sono sempre stati e sempre saranno, gli artisti nella loro mentalità. G. Grillo: Torniamo ora alla nostra Accademia di Brera. testimonianze Serena Francone: Stavamo dicendo comunque che in passato l’ambiente di Brera era molto diverso da ora. Dario Fo: Senti una cosa. Tanto per far capire cosa è accaduto…. Era appena finita la guerra, si tornava alla pace, il fascismo era stato tirato via, c’era la democrazia. Era la prima volta che conoscevamo un’aspetto sociale così diverso come la democrazia. Lo sapevamo in teoria, leggendo i testi dei tedeschi e dei francesi prima della guerra, romanzi, saggi etc etc... quando finì la guerra successe un fatto straordinario: si ruppero le frontiere e allora, allo stesso modo, a Brera c’era una forma nuova di apertura e democrazia, chi faceva lezione di scenografia, per esempio, seguiva anche le lezioni di ornato o scultura; io per esempio che ero interessato al teatro, spesso anche per due settimane di seguito andavo a lezione di teatro e mi davo reperibile solo in quel luogo; andavo anche a seguire delle straordinarie lezioni di storia dell’arte tenute da Guido Ballo. Poi c’era una continuità sorprendente di manifestazioni. Per esempio, uno dei posti abbastanza vicini che aveva rapporti continui con Brera era la chiesa di S. Francesco, un’altra quella di S. Marco, spazi a noi aperti...e poi nel pomeriggio c’erano i concerti, c’erano teatri dove si facevano spettacoli, andavamo magari in piedi a vederli, c’era una nostra partecipazione entusiasta, bisogna ritrovarla! Serena Francone: In un articolo del Corriere della Sera di un po’ di tempo fa lei parlava del cortile centrale di Brera come luogo di ritrovo degli studenti, di intellettuali, artisti ecc... Dario Fo: Ti dirò di più. Anche quei ristoranti che ora sono diventati un po’ chiusi e up to date erano spazi allora carichi di energia, il mangiare era pessimo ma alle volte mi ritrovavo a fianco di grandi artisti, scienziati, architetti, studiosi di varie facoltà, professori, dalla Francia o dalla Germania... questo non era determinato da impegni, da grandi organizzazioni culturali che si muovevano, si muoveva tutto così, e le gallerie che si aprivano erano importanti, si facevano delle mostre di grossi pittori come Picasso. Insomma, oggi chi vedi che fa una mostra di Picasso. Il Milione, per esempio, che era lì davanti faceva mostre stupende, c’era una vivacità straordinaria a cui si potrebbe anche in qualche modo tornare, se non ci fossero al Comune amministratori di un livello culturale così basso. Vorrei prendere qualsiasi assessore e fargli delle domande di cultura generale o anche soltanto sulla storia di Milano. Per esempio, questo spettacolo che ho appena fatto su S.Ambrogio, ha visto una partecipazione straordinaria, il teatro era pieno ed ogni sera c’erano almeno duecento persone che seguivano in piedi senza avere il posto a sedere. Cosa mai vista prima. Una cosa così, di tale successo, se l’avessi fatta cinquant’anni fa mi avrebbero chiesto sicuramente di ripeterla nel teatro dell’Accademia di Brera. Brera non perdeva mai un’occasione. Attualmente, la bellissima Sala Napoleonica non viene neanche utilizzata, dicono che non ci sia una buona acustica ma non è mica vero. L’ho vista aperta l’ultima volta per i funerali di Alik Cavaliere e anche di Emilio Tadini. Serena Francone: Questo disinteresse collettivo nei confronti dell’Accademia di Belle Arti e dell’arte in generale da che cosa è causato? Dario Fo: E’ tutta la città che sta franando. Finita la Guerra a Milano ci furono cinque-sei grandi mostre, per la prima volta si videro Michelangelo e Caravaggio insieme, c’era la fila di un chilometro per strada per vedere le opere di questi grandi pittori. Non avevamo mai visto prima tanta gente e tanto interesse per l’arte. Noi, ad esempio, abbiamo dei grandi pittori del Quattrocento Lombardo, come il Foppa, ma non si è mai organizzata una loro mostra a Milano. Dario Fo: Quello che dici è vero ma è la conseguenza di chi ci governa, per esempio, questo Bondi è un povero deficiente, basta vedere quello che fa. Non lo farebbe neanche un bambino ritardato, ma che dico un bambino, semplicemente un ritardato. E quella maestrina stupida che ha in mano tutta l’istruzione cosa vuoi che capisca, basterebbe farle quattro-cinque domande, ma non difficili, facili, per vedere cosa risponderebbe. Serena Francone: Lei quando è venuto da noi a Brera ha invitato tutti gli studenti ad informarsi e questo mi ha fatto molto riflettere perchè in effetti pur vivendo in un’epoca che ci offre moltissime occasioni e mezzi tecnologici per essere informati non lo siamo abbastanza. Gaetano Grillo: Brera nell’idea di Maria Teresa d’Austria era concepita come un luogo dinamico che ospitava una realtà poliedrica della cultura, la convivenza fra lettere, scienze ed arti era testimoniata dalla presenza dell’Istituto Lombardo delle Lettere, dall’Osservatorio Astronomico, dall’Orto Botanico, dalla Biblioteca Braidense, dal Liceo Artistico e dall’Accademia e da quest’ultima successivamente si è formata la Pinacoteca per consentire agli studenti lo studio e la copia dal vero dei capolavori del passato. Si trattava di un progetto assolutamente innovativo che fa tutt’oggi di Brera una realtà unica. La miopia dell’attuale progetto di museificazione è proprio la volontà di smembrare l’identità culturale che fa del Palazzo di Brera una realtà unica . Serena Francone: La funzione dell’Accademia era anche quella di spostare l’istruzione dagli studi privati al giudizio pubblico. testimonianze Gaetano Grillo: Il disinteresse che notiamo a Milano è diffuso in tutto il nostro Paese è come se ci fosse un effetto domino che conseguentemente abbatte tutte le istituzioni culturali italiane. Lo smantellamento delle Accademie storiche dale loro sedi originarie per trasformarle in luoghi di museificazione statica e allo stesso tempo la mortificazione delle istituzioni delegate alla formazione artistica che dovrebbero invece essere il fiore all’occhiello di un Paese come il nostro, noto al mondo proprio per la sua creatività e per la sua indole artistica. Dario Fo: Non è una disinformazione casuale ma pianificata, si organizza la disinformazione. Per esempio, è vero che gli studenti visitano poco la Pinacoteca ma questa è una responsabilità dei vari Maestri che non obbligano gli studenti a studiare visivamente anche I modelli del passato. Per esempio, sulla composizione di Piero della Francesca, sulla sua idea metafisica dello spazio c’è uno studio enorme da fare. Ho avuto la fortuna di stare un mese a contatto con I ragazzi e mentre si dipingeva naturalmente si parlava di tante cose ma ho anche avvertito che ci sono dei vuoti di conoscenza terribili. La responsabilità è di alcuni professori che quando diventano direttori finiscono di fare I professori e restano incastrati negli aspetti burocratici della didattica. De Filippi ad esempio era un burocrate. Io ho polemizzato con lui più volte per la sua tendenza a tener buoni tutti e di muoversi in funzione dei clientelismi. testimonianze Dario Fo: Questa è stata la rivoluzione di Maria Teresa. Perchè prima dell’Accademia esistevano soltanto le botteghe e i grandi pittori avevano le loro scuole dove i ragazzi apprendevano il mestiere ma allo stesso tempo i maestri sfruttavano il lavoro dei propri allievi. Mantegna già all’età di dieci anni fu mandato in una scuola di Padova e vi rimase fino a diciassette anni sfruttato dal pittore che aveva nella sua bottega circa cento bambini che vi lavoravano e naturalmente lui era ricchissimo. Il pittore dava ai ragazzi solamente da mangiare e dormire, venivano trattati quasi come degli schiavi, benchè ogni tanto fra loro venivano fuori anche dei maestri come ad esempio Cosmè Tura. Serena Francone: A noi giovani manca un po’ di lavoro “di bottega” ovvero la possibilità di fare eseprienza diretta: per esempio, da noi, nella scuola di restauro dell’Accademia di Brera, ci sono circa duecento studenti iscritti ma a nessuno di noi viene data l’opportunità di fare delle esperienze dirette e anche ai più bravi la sovrintendenza vieta di intervenire persino sugli stessi gessi che fanno parte del patrimonio dell’Accademia. Qualsiasi restauro viene affidato esclusivamente all’esterno a dei privati oppure all’Istituto centrale di restauro o all’Opificio delle pietre dure di Firenze. ma soprattutto per l’Accademia perchè è quest’ultima a vivacizzare e dare identità oltrechè storia e fascino al quartiere che porta questo nome. L’Accademia può espandersi presso I due palazzi attigui, Cusani e Citterio ma manca la volontà politica di adottare questa soluzione preferendo sbarazzarsi dell’Accademia e ridurre tutto il palazzo di Brera esclusivamente a scopo museale mummificando l’intera area e distruggendo l’identità e il senso stesso che porta I turisti a frequentare questo luogo. Dario Fo: Io sono assolutamente con voi in questa battaglia. È necessario allargarsi e non restringersi. La forza identitaria di Brera era quella di essere un luogo all’interno del quale confluivano stimoli culturali diversi. Lo stesso Alik Cavaliere era una figura eclettica: faceva lo scultore, dipingeva, faceva ricerche, scriveva, si occupava di teatro, in qualche modo condensava nel suo stile di vita l’attitudine stessa di questa Accademia e la sua indole verso l’apertura. ������������������������������������������� Ripeto, io sono al vostro fianco in questa battaglia. Dario Fo: Ritengo assurdo tutto ciò perchè bisognerebbe preferire la competenza interna dell’Accademia almeno per quanto riguarda le opere del proprio patrimonio. Gaetano Grillo: Ci stiamo battendo affinchè Brera si espanda ma all’interno del suo luogo originario. Il concetto di “Brera in Brera” non può essere valido solo per la Pinacoteca * Serena Francone è studentessa di Brera iscritta al terzo anno della Scuola di Restauro "Non è il Nobel che fa l’uomo, semmai il contrario" Non è il Nobel che fa l’uomo, semmai il contrario. E di Dario Fo tutto si può dire (ed è stato detto…) tranne che non abbia tendenzialmente ragione. Ha ragione, ad esempio, quando plana sul tema del delicato rapporto tra arte e pubblica amministrazione per denunciare l’inadeguatezza, tendenziale appunto, di chi ci amministra. E amministrando le città, le Regioni, lo Stato finisce anche per amministrare l’arte e gli artisti. Nella lunga intervista che pubblichiamo in questo numero non mancano gli spunti polemici di Fo: ci mancherebbe. Sarebbe come uno spaghetto senza sale. Ma sono tutti spunti intelligenti, creativi, che si sfilano dall’amarcord per Brera, una Brera che non c’è più, e vanno a denuciare lo stato delle nostre città. Svilite dalle palazzine e dai palazzinari, private della umanità e della socialità che pure sono state per decenni un segno distintivo della civilissima, democratica, multiculturale Milano. E’ grazie a queste aperture alle persone, alle storie che la capitale lombarda è stata per anni l’epicentro della sperimentazione culturale italiana e cardine per l’Europa. Come Berlino, come Londra, come Barcellona oggi. Ecco uno dei sensi di questa intervista, di questo sfogo raccolto dal nostro giornale. Che è poi uno degli obiettivi dell’arte: testimoniare, denunciare e quando è necessario anche schierarsi e militare. Non per forza in un partito ma con le idee, con i valori di fondo. L’esempio di Fo, prima ancora della sua carriera artistica e dei riconoscimenti internazionali che ha avuto, è il migliore degli esempi per chi sceglie la faticosa e gioiosa strada dell’arte. Claudio Cugusi Manifestazione degli studenti dell’Accademia di Brera in Piazza della Scala, all’ingresso di Palazzo Marino testimonianze lo studio di Francesco HAYEZ un nucleo prezioso del patrimonio storico dell’Accademia di Brera 10 Autoritratto a cinquantasette anni, 1848, olio su tela, 124 x 94 patrimoni storici di Francesca Valli Entro la vicenda tormentata di un patrimonio storico così vasto come quello di Brera, per la separazione di Accademia e Pinacoteca e per la scomposizione conseguente dei materiali, sono rimasti a tutt’oggi nascosti alcuni fondi collezionistici importanti: dimenticati, quasi invisibili ai più, e solo di recente identificati e ricomposti. Non è la semplice logica delle pertinenze amministrative o delle provenienze che li tiene insieme, ma il legame profondo con la storia dell’istituzione, nuovamente ripercorsa e indagata. Lo rende chiaro il caso dello studio di Francesco Hayez di cui ancora si riconosce la localizzazione originaria, sul lato sinistro del corridoio che costeggia la chiesa di Santa Maria di Brera. E’ l’ultima testimonianza dell’atelier di un artista romantico, all’interno di un’accademia di belle arti, dei materiali didattici e di lavoro di un maestro. Lo rivelano le carte d’archivio, gli inventari del luogo e i documenti dei vari lasciti che Hayez per primo, quindi i suoi eredi, hanno destinato all’Accademia nell’arco di circa settant’anni, dal 1861 al 1934. Lo raccontano ancora i materiali sopravvissuti. Nel 1883 Angiolina Hayez, figlia adottiva del pittore, in occasione della sua mostra monografica, fa dono all’Accademia di alcuni dipinti, disegni di grande formato, stampe, fotografie, libri, medaglie, suppellettile: tutto quanto, alla morte del padre, risultava custodito nello studiolo attiguo alla vecchia Sala dei Gessi, con il vincolo che “quel santuario dell’arte” sia mantenuto “ nello stato in cui si trova” in “esposizione permanente”. E così verrà conservato fino all’ultima guerra quando, in seguito allo scoppio di una granata, lo studio verrà smantellato e non più riallestito. Vi si trovavano tre quadri storici non finiti, Pietro Rossi (l’abbozzo del più famoso), Giulio Cesare in Senato, S. Ambrogio respinge l’imperatore Teodosio, la Maddalena penitente, alcuni Nudi femminili, autoritratti, due cartoni – La sete dei crociati e il Sansone -, un d’après ad acquerello dell’Alberico da Romano, litografie eseguite da Hayez – il ciclo di Ivanhoe - . Ma anche l’attrezzeria d’uso: camera ottica, dormeuse, seggioloni a braccioli, specchi, costumi, armature, drappi, la stessa veste di studio dell’artista con il berretto di velluto che si vede nel suo autoritratto. Erano oggetti laboratoriali presenti da tempo in Accademia, funzionali all’insegnamento della Pittura che Hayez aveva esercitato dal 1850, esempi di fasi distinte ma complementari del lavoro, appesi alle pareti, a confronto: campioni di generi differenziati, storie –romane e medievali -, autoritratti di età varie, nudi - stanti o distesi - animali, fiori, ecc. E anche modelli di tipologie tecniche diversificate, oli – su tela e su tavola-, disegni - su cartone e su carta-, stampe – bulini e litografie -. Già nel 1861, a dieci anni dal suo incarico, l’artista aveva infatti deciso di concludere la lunga stagione delle grandi ‘macchine’ compositive che l’avevano reso famoso alle esposizioni di Brera e di passare il testimone, donando all’Accademia tutto il “corredo artistico” del suo studio privato, l’armamentario di pittore storico, a cominciare dalla ricca biblioteca: volumi di storia italiana, specie quella medievale, iconografia di viaggio e di costume, “storia figurata”, insieme a quella “poetica”, poemi, romanzi e tragedie storiche. Si aggiungeranno dopo la sua morte, attraverso i ripetuti legati delle nipoti Giuseppina e Bina Hayez, oltre a nuovi dipinti, bozzetti e studi di teste, a grandezza del vero, fotografie – le carte salate di Luigi Sacchi - , ma soprattutto taccuini e fogli sciolti disegnati in gran numero – l’intero corpus -. Pervenuti fino a noi quasi integri, con l’eccezione della suppellettile, restaurati negli ultimi anni con la collaborazione dell’Opificio delle Pietre Dure e catalogati in gran parte, questi materiali costituiscono un sistema organico unico dell’invenzione e dell’educazione alla pittura, ma anche rappresentano significativamente il carattere genetico del patrimonio storico dell’Accademia di Brera, nella sua variegata, peculiare, articolazione. 11 patrimoni storici Nudo di donna stante, 1859, olio su tela, 105 x 70 12 Maddalena penitente, 1833, olio su tavola, 120 x 152 patrimoni storici Testa di tigre, 1826, olio su tela, 67 x 57 Studi di animali, dal taccuino 13 Sant’Ambrogio che respinge Teodosio, 1839, olio su tela, 85 x 118 La sete dei crociati sotto Gerusalemme, 1838-1850, cartonetto, acquerello, 77 x 120 patrimoni storici 14 EMILIO VEDOVA maestri storici Dal racconto di Fabrizio Gazzarri, che è stato allievo di Emilio Vedova in Accademia, suo Assistente e ora Direttore della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova a Venezia. …Era il 1975. Avevo deciso di frequentare i suoi corsi all’Accademia di Venezia, come fece più di una generazione di giovani artisti in quegli anni, attratto da quel punto di riferimento incredibile e quasi obbligato che Vedova, con grande sapienza e disponibilità, sollecitava con incontri, dibattiti, seminari e quanto considerava utile agli studenti per una crescita culturale di alto livello. In quel luogo, infatti, invitava le personalità più significative di quello che oggi viene chiamato “il Sistema dell’Arte”, lasciando testimonianze e contributi fondamentali. Il suo prestigio, la sua autorevolezza come artista e il fascino a volte travolgente con il quale sosteneva le sue idee sul mondo e quindi sull’Arte lo hanno visto sempre protagonista forte e generoso nel difendere l’autonomia dell’esperienza artistica e, insieme, il valore che l’esistenza di ognuno di noi porta con sé, l’intolleranza verso qualsiasi forma di sopraffazione e di violenza con l’assurdo ricorso alle guerre. Ma anche il rigore con il quale la vita merita di essere vissuta. Emilio Vedova sapeva accarezzare con amore il Mondo…sapeva cogliere la fragile e precaria nostra condizione nel dinamismo del reale. Era ancora fortissima l’eco delle sue mitiche lezioni (incontri/scontri) alla Sommerakademie di Salisburgo nei difficili ed esplosivi anni sessanta, dove era stato chiamato a raccogliere l’eredità di Oskar Kokoschka, fondatore di quella celebre Accademia, ormai anziano. Insieme ad Annabianca, inseparabile compagna di vita, coltivavano con grande cura e determinazione le relazioni più ampie, assolutamente convinti che il dialogo e la disponibilità comune aiutino popoli, culture e religioni più diverse a raggiungere insieme nuovi orizzonti di pace. Come non ricordare l’opera geometrica realizzata nel 1950 che si intitola Europa oppure la sua presenza per due anni a Berlino subito dopo la costruzione del muro a realizzare i Plurimi dell’Assurdo Diario di Berlino. Negli stessi anni Joseph Beuys, che a sua volta ci ha lasciato tracce indelebili, parlava ai giovani di alternative di vita possibili, indicava differenti strade verso nuove sensibilità, incitava la liberazione di una società stretta nella morsa tra comunismo e capitalismo in ansiosi intervalli sospesi tra apocalittiche possibilità. Emilio Vedova era un artista molto colto, per citare un’affermazione del suo amico Giulio Carlo Argan, molto preciso, molto attento e molto esigente. La sua intelligente regia nell’intrecciare e provocare sollecitazioni tra gli studenti, dava immediate aperture e rivelazioni emozionanti, in quel flusso di libera ricerca che sapeva condurre e mantenere in tensione vitale…tra sogno e fallimento. Era sorprendente la sua capacità di dialogare secondo i loro stessi codici, su di un piano di riflessione comune e orizzontale, 15 Aula Vedova all’Accademia di Belle Arti di Venezia Emilio Vedova ritratto da Graziano Arici maestri storici alimentando il farsi di una coscienza critica insieme ad una necessaria responsabilità di scelta. L’Aula Vedova, che non esiste più ma che resterà sempre nella memoria di tutti noi, assomigliava molto a tanti suoi fantastici e grandi studi nei quali la profonda anima veneziana si concretizzava fisicamente in un concerto di luci filtranti, a disegnare quinte di spazi ambigui e infiniti…di travature/sbarramenti, scalette, lucernari, cataste di bricole consumate dal tempo e dall’acqua in un’atmosfera tesa e di estrema concentrazione spaziale…insomma la grande pittura veneziana. Era un contenitore nero un po’ piranesiano, strutturata con pannelli e tubi innocenti che si arrampicavano a soppalchi dentro a quel grande e bellissimo spazio nelle attuali Gallerie dell’Accademia. Funi di acciaio sospese, forme specchianti in movimento, proiezioni/luce/plurime, la sua voce tonante a indicare rotte quasi impossibili…poteva ricordare un veliero nel vento, aperto sul ponte dell’Accademia da un grande finestrone, da dove la luce tagliava continui cambi di direzione, di ascolto visivo…quasi un segnale a risvegliare, sempre, lo sguardo sul mondo, per sentire il suo respiro, il suo bisogno e il suo calore. Emilio Vedova sosteneva con lealtà l’importanza, per lui, del rapporto quotidiano con i giovani, in una sorta di scambio generazionale di sensibilità e informazioni, penso non abbia mai riflettuto abbastanza, invece, su quanto ha saputo darci. maestri storici 16 Scuola - Emilio Vedova, Salisburgo 1965 17 Scuola - Emilio Vedova, Salisburgo 1965 -2 maestri storici Sulla didattica, programma di Emilio Vedova alla Internationale Sommerakademie für Bildende Kunst di Salisburgo nel 1965 maestri storici In un‘epoca dove solitudini, integrazioni, stordimenti/ mass media, persuasioni occulte, dicono di un mondo sempre più spinto a un‘incoscienza collettiva, insegnare pittura è cosa ardua. Quello che io penso dovrebbe essere che una scuola non può esaurirsi in un mese d‘incontro - però questo mese può essere di provocazione ed avvio. Un‘intensa ginnastica. Spazio, segno, colore, collage, materie, dinamica/luce - ma è subito importante una coscienza precisa di scelta. Incontro-scontro con i materiali, intesi non come fatti estetici, ma subito adoperati quali mezzi di un dire. La scuola, un laboratorio. Rompere le timidezze, rompere i tabù. Dare coscienza che qualsiasi materiale è espressivo, che non esistono più gerarchie di materie. Un lavoro tecnico, un fare insieme. Fare dell‘allievo non un fatto passivo, ma promuovere in lui relazioni, critica. Fornirlo di più dati di confrontazione, di opposti, metterlo nella condizione vigile. Insegnare dunque non una fredda disamina, con sistemi legati ad un tempo e a un fare scaduti, come avviene in molte accademie, ma una palestra umana dove ancora prima di far pittura si fa esame delle esigenze che spingono al fare. Non dunque lezioni fissate in schemi aprioristici, inamovibili, ma un‘osmosi viva che tenga conto della vita tutta, in un perenne libero farsi. Per quanto possibile prendere il contatto con coscienza attuale della pittura cercando d‘identificare 18 18 condizioni storico-sociali-scientifiche che in complesse articolazioni volta a volta si sono identificate in quelle espressioni. Un‘informazione aperta, un portarsi fisicamente nelle atmosfere anche ideologiche che hanno promosso quel fare. Inserendosi in questo complesso meccanismo arrivare al nostro tempo - da questo trarre gli argomenti del nostro dibattito. Approfondire il dramma del linguaggio contemporaneo, le aperture, l‘urgenza di nuovi mezzi per comunicare. Non rigidi meccanismi gestaltici, dottrinali ottimismi integrazionisti, non teoriche elucubrazioni, ma indagini aperte, caricate volta a volta di nuovi apporti, dove l‘esperienza di ognuno interviene, può aggiungere riferimenti. Contributo di individui, di personali ricerche. Ecco perché l‘intensità del corso, d‘insegnamento e di applicazione. Ogni allievo da un farsi diverso, con strutture, resistenze, ecc. Tutto il mio lavoro nell‘incontro-scontro con l‘allievo è nel fortificare i «quanti» di scelta, di responsabilità, il grado di presa. «Liberare» l‘allievo, mettere il suo spirito in stato di emergenza: «perché lavoro così e non così» - stimolarlo, dargli coscienza della sua «arena» . . . Ma anche capire che il più delle volte il giovane arriva disar mato .... o con un bagaglio di inutili preconcetti accademici che più imbrogliano la vita prima che il lavoro. Aprire, provocare scelte su un orizzonte più ampio, una respirazione totale e un cosciente totale coraggio. Questo il mio intento, per quanto posso. Per fare una scuola oltre che conoscere mestiere, tecniche, bisogna avere delle idee. Che cosa posso insegnare, dire se non la mia espe rienza? Lo stesso mettermi in discussione - avere il coraggio di fare ciò - in un subito dialogo, in una relazione fuori della «cattedra», dei miti. In un immergermi, inserirmi nel dibattito, porre domande, impegnare le mie idee, scontrarle. Non a caso il bisogno sempre latente in me di comunicare la mia esperienza pittura, vagliarla, verificarla nel farsi del vivere. «Pittura oggi», significa vita oggi, dibattito dei problemi oggi. 19 maestri storici Fondazione Emilio e Annabianca Vedova - Magazzino del sale - Venezia, 2009 20 accademia maestri di storici catania Fondazione Emilio e Annabianca Vedova - Magazzino del sale - Venezia, 2009 21 maestri storici docenti 22 GIANFRANCO NOTARGIACOMO di Barbara Tosi “Si può affermare con certezza che Gianfranco Notargiacomo è l’unico tra i docenti delle Accademie di Belle Arti in Italia al quale la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ha chiesto di esporre la replica della sua prima personale, svoltasi a Roma nel 1971 presso la storica galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis.” 23 Si può affermare con certezza che Gianfranco Notargiacomo è l’unico tra i docenti delle Accademie di Belle Arti in Italia al quale la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ha chiesto di esporre la replica della sua prima personale, svoltasi a Roma nel 1971 presso la storica galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis. La richiesta da parte della Galleria Nazionale è particolare, tanto quanto quella prima mostra lo fu allora, come si evince dai ritagli stampa dell’epoca. In modo inaspettato la Galleria Nazionale d’Arte Moderna nelle persone della Direttrice Maria Vittoria Marini Clarelli e della curatrice Maria Stella Margozzi hanno compiuto una doppia operazione, da una parte rimettere sulla scena dell’Arte di oggi un evento ritenuto rilevante, sotto il profilo storico, dall’altra sottolinearne la validità ancora attuale nell’invitare l’artista ad una nuova installazione, che, per forza di cose, resterà datata 2009. Nel 1971 la galleria di De Martiis si popolò di un certo numero di piccoli docenti Le nostre divergenze 1971 - 2009, installazione, veduta ambientale docenti 24 ometti in pongo, dislocati sul pavimento, in maniera sorprendente ma soprattutto inusuale, dato il dominio dell’arte concettuale. In quella versione, la stessa materia annunciava l’emergente necessità di un ritorno alla pittura che sarà palese alla fine degli anni ‘70 e dirompente negli anni ‘80, ovvero quando entrarono sulla scena dell’arte i protagonisti della Transavanguardia, i Nuovi Nuovi, i Pittori Anacronisti e quelli del Magico Primario,.... Le pareti delle gallerie, dei collezionisti, dei musei, così come le copertine e le pagine delle riviste d’arte, si riempirono di tele, di figure, di colori, in una girandola ed uno scoppiettio da far invidia al più grande degli spettacoli pirotecnici del mondo. La materia degli ometti era il pongo. Un materiale innocente, come le mani dei bambini, che sono soliti usarlo, ma anche vitale e vivace come la pelle viva, che rappresentava. Il pongo si presenta in diversi colori. Il colore fa parte della stessa materia, è, quindi, materia e colore insieme. Ogni striscia di pongo, oltre ad essere necessariamente tridimensionale, si presenta come una pennellata. La necessità di usare quel particolare materiale fu, allora, determinata da due esigenze dell’artista. Da una parte la vivezza stessa del materiale era più consona alla volontà di costruire quelle figure, non come pupazzi, ma il più possibile aderenti ad una reale rappresentazione di corpi, dall’altra la necessità di rimettere in campo, nel fare arte, la pittura con tutte le sue implicazioni di mimesi, che, per secoli già l’avevano caratterizzata ed accompagnata in ogni declinazione possibile, ma quella volta, in una maniera nuova, inedita e contemporanea. L’effetto si ottenne, tanto che un gallerista avvisato e talentuoso nel cogliere e sostenere nuovi artisti, come Plinio De Martiis, il quale, in virtù di questo, tanta parte ha avuto nella Roma artistica di quegli anni, accettò e sostenne la mostra. Questa edizione 2009, più di un remake, sembra essere una cover prendendo a prestito il termine dalla musica. La differenza sostanziale tra i due termini remake e cover risiede proprio nell’intenzione poetica dell’artista e, di conseguenza, nel suo fare. Se remake implica una certa fedeltà all’originale, con qualche idea di innovazione, in virtù dell’aggiornamento temporale, necessario; la cover, invece, partendo dallo spunto originale, produce un altro manufatto, che, in una qualche misura, è nuovo ed assolutamente inserito e consono al tempo in cui nasce. E’ senza aggiornamenti, ma appartenente ed aderente al momento in cui è creato, è, quindi, frutto degli anni 2000, una vera nuova opera. Difatti non siamo di fronte ad una replica, ma piuttosto ad una rielaborazione di un’installazione. Se quegli ometti del 1971 contenevano molti annunci: primo fra tutti il ritorno del colore come materia necessaria al fare arte; ma, anche l’eccezionale ritrovamento archeologico di quell’esercito cinese, di cui allora non si sospettava l’esistenza; negli anni 2000 questa piccola moltitudine ribadisce l’essere singoli, individui soli in una miriade di persone in aumento e tutta correlata, esattamente come avviene in internet. Anche adesso nella cover della G.N.A.M. la materia è pongo ed il paesaggio abitato si dispiega in un grande angolo moltiplicando lo spazio. Le figure sembrano aumentare sotto il nostro sguardo, capaci di iniziare una passeggiata da un momento all’altro. A volte, episodi espositivi, come questo fanno riflettere e fissano il punto dell’andamento dell’arte, che, mentre si svolge, non è così semplice cogliere, in quanto la distanza temporale facilita il compito. Uno sguardo troppo ravvicinato, infatti, può perdere di obiettività e farsi miope. A volte, isolare un episodio restituisce più attenzione e pone più quesiti allo studio della storia dell’arte, di quanto non possa fare una qualsiasi grande mostra antologica, per bene che sia pensata e realizzata e, quindi, filologicamente esatta. Per la realizzazione dell’edizione 2009 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna Gianfranco Notargiacomo ha coinvolto due studenti Michele Welke ed Emanuel Hamn che, per l’occasione sono diventati due assistenti, coniugando, in questo modo, le due passioni che animano l’artista: quella per l’arte e quella per l’insegnamento. Non si può insegnare a fare o ad essere artisti, ma un docente, che è un artista, può comunicare la sua passione per il fare arte e, riconoscendo nello studente quella sua stessa attitudine, può aiutarlo a farla sgorgare dalle sue mani e dai suoi pensieri. Le Accademie in Italia, ma forse non solo, sono preposte a questo scopo, insieme agli altri obiettivi formativi che si differenziano sia nei percorsi, sia nella scelta di molte materie. L’obiettivo non è semplice e la formazione della quale tutti i docenti si devono e si fanno carico è, certamente, di una notevole complessità, ma, quando si ottiene il risultato, la soddisfazione è molto alta e non solo per gli studenti, ma anche per tutti coloro che hanno concorso a quello scopo. L’Arte, in tutti i suoi aspetti e declinazioni possibili, deve abitare nelle Accademie, avere le porte aperte, sia per fare uscire nuove generazioni, sia per far circolare al loro interno, tutti coloro che stanno in quel sistema e di esso sono protagonisti, testimoni , artefici ecc... Il sistema dell’Arte è come un mondo, esteso e variegato: di esso fanno parte molte Istituzioni, persone, luoghi, e quant’altro. Le Accademie di Belle Arti, in quel mondo ed in quel sistema hanno un ruolo ed un posto di eccellenza, che va onorato in tal senso, perché, in realtà, sono vere fucine, ma certamente sono più di una qualsiasi palestra di formazione e basta. Essere Docente nell’Accademia per uno storico dell’Arte è certamente e profondamente diverso che esserlo in una qualsiasi altra Istituzione Universitaria. Per i motivi di cui sopra ritengo che sia un privilegio, una grande occasione, usufruire di un osservatorio favorito, dal quale lanciare lo sguardo sull’arte del momento per estenderlo a quella del futuro Parafrasando Umberto Eco degli anni migliori, che ci parlava di Opera Aperta, dovremmo trarre lezione, per una volta, ed inaugurare Accademia Aperta, in un melting pot di artisti, professori, pensieri, teorie, mostre, eventi, inaugurazioni. ecc..... *Gianfranco Notargiacomo è titolare di Pittura all’Accademia di Roma *Barbara Tosi è docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Roma 25 Le nostre divergenze 1971 - 2009, installazione, veduta ambientale docenti 26 Deve esserci un senso, 2009, olio su tela, cm 142x187 (Courtesy Galleria Antonio Battaglia, Milano) docenti FRANCESCO CORREGGIA …la mia pittura è molto più, come dire, mediterranea. Uso questa parola abbastanza retorica per comunicare qualcosa che mi scivola tra le mani perché in qualche modo questa “mediterraneità” è anche qualcosa di molto difficile da sostenere… Incontro “contro-corrente”. Conversazione tra Giampaolo Prearo, Francesco Correggia ed Elisabetta Longari. L’incontro si svolge alla Galleria Antonio Battaglia, dove è stata allestita una mostra che presenta i lavori più recenti di Francesco Correggia, per lo più organizzati secondo uno schema ricorrente composto di una parola, o una frase, scritta con lettering di matrice impersonale su un brano di sapida e sapiente pittura, tra mare e cielo, nuvole e densità atmosferiche. Mentre alle pareti i dipinti si accampano come scenari del pensiero, paesaggi delle vette care a Zarathustra, sul pavimento giacciono pagine sparse, strappate dai cataloghi che sono impilati al centro della stanza in pacchi su cui è apposta la scritta: “macero”. I fogli sono i visibili resti di un’azione che ha portato il disordine della vita nella compostezza algida dell’allestimento espositivo, l’immediatezza tra questi quadri dall’alta temperatura filosofica. Improvvisamente si rivela con chiarezza a tutti i presenti che per i due “attori” (Prearo e Correggia) tornare “sul luogo del delitto” significa provare lo scatenarsi delle medesime pulsioni per abbandonarvisi nuovamente. Più simile a uno sketch umorista-futurista-dadaista che a una performance delle più recenti neoavanguardie, i due fanno una giocosa baruffa, una gioiosa baldoria, come due bambini, affiatati compagni di giochi che si fanno i dispetti per intimità… Stupita da questo livello di confidenza e complicità domando: << Ma da quanto tempo vi conoscete voi due?>>. Giampaolo Prearo: Non ci conosciamo da molti anni. L’occasione ha voluto che in Accademia io abbia sentito ripetutamente parlare di Correggia da altri artisti, tra cui Nicola Salvatore, e da Francesca Alfano Miglietti che a lui è molto legata. Ho voluto conoscerlo anche perché avevo saputo che lui gestiva lo spazio della chiesa di San Carpoforo, che come tu sai, era una chiesa sconsacrata che Mario Merz, Luciano Giaccari e io, negli anni settanta avevamo occupato per realizzare il primo esperimento di video d’artista. Elisabetta Longari: Ma ciò accadeva dopo o prima dell’occupazione del gruppo di Paolo Rosa con l’aiuto del gonfiabile di Mazzucchelli? Giampaolo Prearo: Accadeva prima, nel 1974. Lo spazio era chiuso, inutilizzato. Noi abbiamo forzato il portone e occupato lo spazio per un giorno intero per allestire la performance di Mario Merz in cui realizzava un video sperimentale all’interno del suo Igloo. Avendo saputo che l’Accademia aveva fatto di questo spazio un’aula per la didattica legata alle problematiche del contemporaneo, ho cercato Francesco Correggia che ne dirigeva le attività, da qui è nata una simpatica amicizia, una condivisione di pensiero e di comportamento. Da questo incontro, è maturato in me un particolare interesse al suo lavoro, inteso come un’evoluzione della ricerca sulla pittura minimale che, come tu sai, è stata fra i miei primi interessi, soprattutto grazie alla mia amicizia con Filiberto Menna. Ho voluto quindi dedicare questo piccolo libro a Francesco, per il rigore del suo lavoro, per questi muri che trasudano cultura. Dopo quarant’anni di editoria d’arte credo di avere il titolo per stabilire il valore di un’artista. Elisabetta Longari: Quello che stai dicendo, se non mi sbaglio, è che apprezzi nel lavoro di Francesco, di là dalla retorica dell’abilità tecnica del pittore, un rapporto stretto tra pittura e pensiero. Giampaolo Prearo: Come ho già precisato, la considero una pittura colta, che rientra nei miei personali interessi. Come tu sai, io mi sono da sempre occupato di artisti un po’ dimenticati dal mercato e dalla critica d’arte. Quando io pubblicai il primo libro di Giulio Turcato [1971]era considerato dal mercato un illustre sconosciuto e tutti mi dicevano che ero pazzo a occuparmi di lui, era più vantaggioso dedicarsi a Piero Dorazio, la stessa dinamica si è ripetuta con Mimmo Rotella, [1974], Bernar Venet, (1974), John Baldessarri (1973): tutti ugualmente mi ripetevano che ero un pazzo. Lo stesso è accaduto per il catalogo generale di Piero Manzoni [1973] che il grande pubblico bistrattava e la gente comune considerava un pazzo paranoico; per Alighiero Boetti [1991], quando ancora una volta mi si diceva che il suo lavoro non sarebbe mai decollato e che i collezionisti non si sarebbero mai interessati a lui perché era un drogato, un artista che non sarebbe mai potuto valere niente… Io sono sempre stato una persona contro-corrente, e mi sono ritagliato il mio spazio in un’editoria di alta qualità oggi definita “di nicchia”. Non mi sono mai preoccupato del grande mercato del catalogo d’arte come altri, ho voluto mantenere questa mia caratteristica di piccolo editore di alta qualità, quindi perché non fare un omaggio a Francesco che ritengo un artista di nicchia? Davvero, il libro su di lui è un omaggio al suo legame verso la pittura analitica. Da questo muro di pittura sembra trasudare la parola, la cultura. Elisabetta Longari: La parola muro evoca immediatamente una pittura che è depositaria anche di tutta la sapienza informale… ma qui sento anche tutti i cieli dal seicento a oggi, passando obbligatoriamente per Courbet fino ad arrivare a Rothko e Antonioni. Francesco Correggia: Dal mio punto di vista io ho sempre sentito parlare di Giampaolo perché ne seguivo le pubblicazioni che ho sempre reputato intense e radicate nel presente. Solo quando ho diretto il Biennio di specializzazione in Arti visive dell’Accademia di Brera in San Carpoforo si è verificata l’occasione di conoscerci da Dove tutto ha inizio, 2009, olio su tela, cm 160x210 (Courtesy Galleria Antonio Battaglia, Milano) 27 docenti 28 docenti Forse un sogno, 2009, olio su tela, cm 100x110 (Courtesy Galleria Antonio Battaglia, Milano) vicino… Io provengo dalla performance, dalla body art, negli anni settanta questo era il mio linguaggio, e sento affinità con Giampaolo proprio sul piano del comportamento. La mia pittura che lui ha chiamato colta indubbiamente proviene da un certo espressionismo astratto americano, ma a differenza di quello, la mia pittura è molto più, come dire, mediterranea. Uso questa parola abbastanza retorica per comunicare qualcosa che mi scivola tra le mani perché in qualche modo questa “mediterraneità” è anche qualcosa di molto difficile da sostenere… dicevo, che provenendo dalla performance… Giampaolo Prearo: Sai chi me ne ha parlato? Io ho, tra i vari altri progetti, in programma un libro con Desiato e proprio lui a Napoli mi ha parlato di Correggia che allora io non conoscevo, ma che a quel punto avevo intenzione di conoscere… Quindi ci siamo incontrati nella chiesa di San Carpoforo, e ciò è stato da me interpretato come un segnale. Francesco Correggia: Sì, negli anni settanta a Napoli seguivo molto Peppe [Desiato] che faceva queste grandi processioni cui partecipava perfino Orlan, ed io ero uno di quelli vicini a lui, e a Gina Pane. Quando ho ripreso la pittura, alla fine degli anni settanta, all’inizio degli anni ottanta, ho cercato di mantenere una coerenza etica ed estetica. Ero provato da un atteggiamento estremo di certo minimalismo e di certa arte concettuale, e allora questo rigore etico intorno alla pittura ho dovuto sostenerlo con molta difficoltà, perché, se ben ricordate all’inizio degli anni ottanta il grande evento della transavanguardia rubava tutta la scena. Il mio ritorno alla pittura è stato molto differente, sul versante aniconico e sul versante astratto, il che voleva dire a quell’epoca essere in contrattempo, come direbbe Carlo Sini. Ecco, questo rigore etico è stato per me essere proprio in questo contrattempo, fuori-corrente, fuori-moda. Un atteggiamento di cui Nietzsche parlava rispetto alla contemporaneità.. Elisabetta Longari: L’inattualità. Francesco Correggia: Essere contemporanei significa essere sempre inattuali. Allora questa questione di virare verso una pittura che non si riteneva allora di moda e ancora adesso si fa fatica a sostenere.. Giampaolo Prearo: La nostra conoscenza è stata casuale ma poi nelle frequentazioni si sono create delle sinergie e delle simpatiche Nelle foto, scattate durante la mostra di Correggia presso la Galleria Antonio Battaglia: l’artista, Giampaolo Prearo, Elisabetta Longari, Antonio Battaglia e Francesca Alfano Miglietti. Courtesy: Galleria Antonio Battaglia, Milano Giampaolo Prearo: Ecco il mio scherzo! Credo e spero che questo non sarà l’unico libro con Francesco, probabilmente ne faremo altri insieme. Elisabetta Longari: Io credo che Francesco sia spesso detestabile per quel quoziente di ossessività che lo porta all’infelicità dell’imperfezione, ebbene, Francesco merita a mio avviso di raccogliere parte dei suoi scritti e dei suoi lavori visivi in un volume che ne approfondisca certi aspetti. Perché per lui non vale per niente il detto “stupido, bestia, come un pittore!” Perché il lavoro di Francesco è intenso tanto sul piano teorico che su quello pittorico, e le due parti non vanno separate poiché profondamente connesse e in certo modo complementari. antipatie, tanto è vero che ho progettato di fare questo piccolo catalogo per lui. Strada facendo però, ho incominciato a conoscerlo meglio, ad amarlo, a odiarlo…. (Scoppiamo tutti in una risata). Francesco Correggia: Tu mi mandavi le spie, ed io, sapendo che erano spie, ti mandavo dei messaggi attraverso di loro… Lo dicevo molto chiaramente che ero incazzato nero…. Giampaolo Prearo: Ecco perché abbiamo fatto due cataloghi. Elisabetta Longari: Di cui uno destinato al macero, è servito durante la performance liberatoria e distruttiva e l’altro è strumento per conoscere meglio il lavoro di Francesco. Elisabetta Longari: Certo bisogna ricominciare a pensare e confrontarsi. Giampaolo Prearo: Questa è l’energia scaturita dal nostro incontro. Francesco Correggia: Un incontro d’amore!. Giampaolo Prearo: Ci sono due copie del catalogo, una perfetta tipico prodotto della Prearo Editore, una scadente tipico prodotto tipografico. Elisabetta Longari: Sì, io le ho avute tutte e due, è il privilegio dello storico che deve essere in grado ricostruire i passaggi. * Francesco Correggia è titolare di Decorazione all’Accademia di Brera * Elisabetta Longari è titolare di Storia dell’Arte all’Accademia di Brera * Giampaolo Prearo è titolare dell’omonima Casa Editrice docenti Giampaolo Prearo: Ad odiarlo… Allora cosa mi sono inventato? Una piccola vendetta. Ho realizzato una “performance editoriale”. Ho stampato un primo catalogo con distrazione, non curando la fase tipografica, non controllando l’allestimento... il risultato è stato ovviamente un prodotto scadente. Quando Francesco ha visionato la prima copia... è stato molto gentile, non ha detto nulla, però si capiva che…, mi arrivavano segnali di fumo, di odio, di cattiveria nei miei confronti, mentre nel frattempo io avevo già previsto di ristampare rimediando agli errori voluti. Giampaolo Prearo: Ho un fiuto infallibile! Ho pubblicato [nel 1974] Il corpo come linguaggio. Body Art e storie simili di Lea Vergine, e il primo libro di Francesca Alfano Miglietti [Arte pericolosa, 1991]… L’incontro con Francesco Correggia ha comportato anche l’intenzione di rimettere in moto la mia vecchia collana “Preariana” di libri analitici sul pensiero teorico dell’arte con un taglio trasversale sul mercato dell’arte contemporanea. Stiamo selezionando una rosa di autori per rilanciare il dibattito sull’arte. Io sono molto legato alla discussione e alla polemica. Quando mi sono formato come editore, negli anni settanta, si era immersi all’interno di una fucina d’idee, di energie e comportamenti, mentre adesso ci siamo tutti un po’ appiattiti, isolati, e allora perché non ricominciare la battaglia come quella che si è fatta con la rivista da me editata “Data” [1972-1979] e con “Virus” [1993-2001] insieme alla FAM con la quale abbiamo fatto tante battaglie significative che ancora oggi rappresentano delle pietre miliari nel panorama dell’arte contemporanea. 29 IL BELLO È IL BUONO Angelo Spettacoli, Il bello è il buono, Filosofia, tecnica e cucina delle belle arti Ed Skira 2009 progetti didattici 30 NICOLA SALVATORE GUALTIERO MARCHESI ALDO SPOLDI 31 Risotto oro e zafferano, Gualtiero Marchesi di Loredana Parmesani Tecniche e tecnologie della pittura, e un grande cuoco, Gualtiero Marchesi, hanno unito le loro riflessioni per formare l’identità di un insegnante ideale: Angelo Spettacoli, che sa di tecnica pittorica, di filosofia dell’arte e di cucina. Quasi fosse una corporazione pensare, dipingere e cucinare. Si arricchiscono l’un l’altro nello stare assieme, in un’unica identità. Il libro segna anche un passaggio importante all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Brera: quello da Accademia ad Università. Il passaggio delle Accademia di Belle Arti nella struttura universitaria ha determinato, infatti, uno spostamento di interesse verso nuove professioni e verso una sperimentazione che ha aperto inedite possibilità formative. L’Accademia, la cui finalità è sempre stata quella della ricerca, sembrava aver smarrito il proprio fine, ma oggi, grazie ad una nuova consapevolezza della didattica e all’attività di docenti coscienti del proprio compito di formazione, sembra caratterizzata da un fermento nuovo. Il lavoro che Nicola Salvatore e Aldo Spoldi stanno da anni svolgendo, proprio in quanto docenti dell’Accademia di Brera, ne è la dimostrazione esemplare. I loro corsi, Trattoria da Salvatore e Cristina Show, hanno dimostrato come sia possibile intendere oggi una didattica capace di affrontare il vorticoso mutare della realtà, le sue nuove esigenze, il suo sfaccettarsi nella ricerca di inusuali possibilità di applicazione dei saperi e della loro messa in relazione. Anche nell’esperienza didattica, oltre che nell’amore per l’arte e la cucina i tre amici sono accomunati. Marchesi è infatti Rettore della Scuola Internazionale di Cucina Italiana ALMA, che ha sede nello splendido palazzo ducale di Colorno. Questo libro ha il merito di porre costantemente in evidenza due date, due cicli storici e fondamentalmente importanti: la nascita del pensiero, dell’arte moderna e della cucina, e il loro superamento nel postmoderno. L’Enciclopedia illuminista, l’arte moderna e la cucina moderna (con l’apertura dei ristoranti) nascono contemporaneamente. progetti didattici Il libro Il bello è il buono, Filosofia, tecnica e cucina delle belle arti, firmato da Angelo Spettacoli, critico d’arte virtuale nato dal progetto didattico-artistico “Cristina Show” , nasce dalla collaborazione fra il cuoco Gualtiero Marchesi e gli artisti Nicola Salvatore e Aldo Spoldi. Il libro parte da un presupposto teorico di Gualtiero Marchesi che afferma che un piatto lo si gusta e lo si comprende prima con la vista e poi con il palato, che è come dire che una Ferrari la si apprezza prima per la sua carrozzeria e per la storia che racconta e poi per la sua velocità. La sua tesi ha riscontro nella vecchia frase che la critica d’arte sosteneva nell’apprezzare un dipinto: questa è una buona pittura. Buona, non solo bella. Buona da gustare, come un buon cibo, e non solo bella da guardare, come pura estetica. Dunque bello e buono, arte e cucina, oltre ad essere qualità comuni della vita quotidiana, rappresentano anche lo stile che caratterizza la ricerca artistica attuale. Questo libro parte anche da una comune domanda dei tre autori, accomunati anche da progetti didattici che hanno come fine la formazione di giovani artisti e giovani cuochi: la scuola di alta cucina ALMA di Gualtiero Marchesi e l’Accademia di Brera dove Salvatore e Spoldi insegnano E la domanda è: Cosa ne sa uno studente di pittura della filosofia che da sempre è compagna delle tecniche artistiche che utilizza? E uno studente di filosofia è in grado di realizzare una velatura ad olio, la cui trasparenza è in tutto simile al significato luminoso che il termine verità ha in filosofia? Ma non solo, nei secoli le tecniche artistiche hanno trovato il loro complemento nelle filosofie a loro contemporanee ed entrambe si sono accompagnate, valorizzandosi reciprocamente, a ciò che si porta dentro di sé, nell’intimo dello stomaco, nell’ideale del ventre, a ciò che si mangia. Non diceva forse Feuerbach che l’uomo è ciò che mangia? Quindi, due artisti e insegnanti dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Nicola Salvatore docente di Pittura e Aldo Spoldi docente di 32 Trattoria da Salvatore - “Difesa del pane”, 2009 - Stampa digitale su tela, cm 80 x 120 progetti didattici In effetti, ciò è straordinario. Mentre ai cittadini viene consegnata, con l’Enciclopedia, la summa del sapere nascono anche i ristoranti, gestiti da personale altamente qualificato (chef, maggiordomi, intendenti ricchi di straordinarie competenze) che, con la caduta delle nobili case, esce disoccupato dalla Rivoluzione. Sì, l’Enciclopedia e la cucina consegnano, secondo la volontà della Rivoluzione francese, il diritto di conoscere e di mangiare bene ad una classe in fase di formazione. Ma non solo il sapere e a la nobile cucina vengono consegnati a tutti, la Rivoluzione afferma che anche la collezione d’arte del Louvre è di interesse pubblico aprendo le sue sale a tutti i cittadini. Pensiero, arte moderna e ristoranti nascono contemporanei. Nella presentazione di questo libro Nicola Salvatore e Aldo Spoldi dicono infatti: “Unire la filosofia e le tecniche delle belle arti alla cucina ci è sembrato particolarmente significativo in quanto occorre sapere che i ristoranti e l’arte moderna nascono contemporaneamente ed entrambi sono figli della Rivoluzione francese”. Non solo nascono contemporanei, ma anche tramontano insieme per poi rinascere, in maniera del tutto inedita, nell’età postmoderna. E la oro rinascita si caratterizza attraverso una struttura inedita che implica nuove qualità del pensiero, dell’arte ma anche del cibo, che Trattoria da Salvatore - “Il pane nel mondo”, 2009 - Stampa digitale su tela, cm 60 x 140 33 Cristina Show ,“Il carnevalotto”, foto di Met Levi Stampa fotografica su carta su alluminio, cm. 150x75 Met Levi, “Ritratto fotografico di Angelo Spettacoli”, 2008 Stampa fotografica su carta su alluminio, cm. 150x50 *Nicola Salvatore è titolare di Pittura all’Accademia di Brera *Aldo Spoldi è docente di Pittura all’Accademia di Brera *Gualtiero Marchesi è lo chef più famoso d’Italia progetti didattici poco hanno a che fare con la tradizione del moderno. Le nuove tecnologie, gli spregiudicati sistemi di comunicazione, gli efficienti mezzi distributivi hanno impresso ad ogni ambito lavorativo qualità non ritrovabili nella modernità. Gli avanzati strumenti tecnologici che permettono di montare e smontare in tempo reale strutture linguistiche e formali, così come il “fai da te” che domina ogni ambito dei mercati contemporanei, hanno dato ad ognuno la possibilità di gestire soggettivamente la propria esistenza, nell’illusione del tutto possibile. L’acquisizione e la distribuzione didattica del sapere, del cibo e dell’arte costituiscono un aspetto meccanico ed economico separato dalla formazione umana e la promessa di emancipazione. Proprio perché il libro pone l’accento costante sul problema più importante della società attuale, è un libro da leggere attentamente. Consigliato agli studenti, ma anche ai professionisti o a coloro che vogliono comprendere l’intricata struttura che tutti ingloba. Proprio perché tali temi sono nel libro dichiaratamente ma anche ironicamente presentati, il testo si pone in aperta polemica con la prospettiva del postmoderno. La spregiudicatezza e l’ironia degli autori mette in mostra le relazioni perverse della postmodernità. Tutto ciò che è profondo ama mascherarsi, scriveva Nietzsche, rivalutando il concetto di ironia. L’ironia del libro ci fa credere e sperare che la fine della modernità non coincida con l’accettazione inevitabile dell’efficienza postmoderna, ma sia capace di aprire di nuovo una sfida. Pensiero, arte, cucina, uniti in una joint venture, riprendono, il piacere del pensiero, dell’arte, del gusto contro la contabilità e il commercio della fine della storia. 34 FRANCESCA ALFANO MIGLIETTI Io penso che le Accademie di Belle Arti siano le scuole più importanti e belle in assoluto, e credo che quelle italiane siano le migliori del mondo, meno compromesse con i sistemi economici e meno ovvie… docenti A cura di Elisabetta Longari Come e quando sei arrivata a interessarti di arte? O meglio, quando l’arte è giunta a te? Sai che non lo so….Mi sembra di esserci sempre stata, in un modo o in un altro… mi sono sempre piaciute le storie e la gente e i racconti e i ribelli…. Allora…per forza l’arte! Raccontami un ricordo antico, un imprinting imprescindibile sul fronte visivo. La mutevolezza di forme come le nuvole o come il mare… mi piace ciò che cambia sotto i miei occhi… Il corpo. Quando hai messo a fuoco l’incandescenza del soggetto? Gli artisti hanno sempre lavorato con il corpo e con i mezzi di comunicazione. A seconda delle epoche cambiavano questi strumenti e cambiavano anche i corpi. Una delle rivoluzioni del contemporaneo è che ci sono degli artisti che in vari posti del mondo stanno lavorando fortemente sul concetto di identità. Tra le istanze di mutazione che ci hanno introdotto a un nuovo millennio credo che il più importante sia il concetto di una identità umana che non è più così rigorosamente umana. È Kevin Kelly a identificare tra le vere mutazioni del contemporaneo il fatto di non riuscire più a distinguere tra ciò che viene prodotto e ciò che nasce. Che cosa muta in questo momento il corpo e che cosa muta in questo momento l’identità? Gli artisti da sempre sono fautori di questo tipo d’indagine: il corpo all’interno dell’arte è stato presente sin dai suoi primordi. Negli ultimi anni il corpo è stato uno dei simboli per ridefinire uno dei vincoli più forti di una realtà sociale che identifica nell’identità una sorta di passaporto, una sorta di dichiarazione. Il nostro corpo è una dichiarazione immediata di età, di sesso, di tutta una serie di tipologie, che non sempre corrispondono a quella che è l’identità privata, interiore di una persona. Questo nuovo millennio si è aperto con una serie di tecnologie di trasformazione del corpo: tutto ciò che in questo momento viene prodotto, viene prodotto con una sorta di amplificazione sia dei sistemi cognitivi che dei sistemi sensoriali. A questo punto, io distinguerei tra due tipi di tecnologie: delle tecnologie visibili e delle tecnologie invisibili. Personalmente, sono molto più attratta dalle tecnologie invisibili. Per esempio, Orlan è un’artista francese che ha deciso che il suo corpo è il luogo di una trasformazione di un’identità: lei sostiene di essere il primo artista transessuale da donna a donna. Questo introduce quindi un problema in cui l’identità non è semplicemente un’identità femminile, ma questo apre anche a un discorso di identità di genere. Nessuno si meraviglia sul fatto che oggi molte pornostar, molte vallette televisive, molte attrici, modificano il loro corpo secondo dei canoni di femminilità del tempo, per cui se in questo momento essere una modella vuol dire pesare 35 chili, ci sono schiere di persone che cercano di pesare 35 chili. E’ questa una imposizione mediale fortissima che produce anche moltissime vittime. Questa, ad esempio, è una tecnologia invisibile: modificare il proprio corpo verso uno status, verso una professione, verso una invisibilità più che verso una visibilità, una tecnologia che modifica fortemente uno statuto di origine. Orlan mette il dito nella piaga: non ‘gonfia’ la sua bocca e non amplifica le sue tette, ma si fa implantare due bozzi sulla fronte. Orlan, dunque, di non cerca di somigliare ad un canone femminile che nasce dalla dittatura mediale, ma interpreta e rivede completamente una struttura identitaria, sia fisica che mentale. Orlan ha sempre lavorato sul corpo, ha un passato di ‘body artist’, e, già negli anni ’60 usava il suo corpo per una serie di denunce su abusi praticati sul corpo femminile. Una famosa azione di Orlan, alla fine degli anni ’70, fu quella di chiedere a tutti i suoi collezionisti e ai suoi galleristi di fornirle lo sperma con cui avrebbe dipinto grandi tele che erano le lenzuola del suo corredo di brava ragazza del sud. Pochissimi fornirono il materiale richiesto…. Alcuni dei tuoi compagni di strada: Schifano, Orlan, Fabio Mauri, Franko B. Che cosa puoi o vuoi dire di loro? Basta una frase sintetica per ciascuno, ma che esprima due o tre cose che sai di loro. Da qualche anno sono molto incuriosita da una delle condizioni che, a mio parere ha solo l’arte, e che si trova nel gioco del contemporaneo in maniera antagonistica rispetto a quella della spettacolarizzazione: lo spettacolo fa vedere ostentatamente, l’arte nasconde, e, nascondendo, l’arte rivela quello che è stato nascosto dallo spettacolo. Se lo spettacolo crea potere attraverso l’immagine, l’arte inizia a scegliere l’invisibilità. Una serie di incontri ravvicinati con una realtà dell’arte contemporanea mi hanno avvicinato a una visione e a una concezione dell’arte che ha scelto il pericolo. E allora Enzo Cucchi, Mario Schifano, Alighiero Boetti, Gino De Dominicis, Fabio Mauri, Orlan, Franko B, non sono solo stati protagonisti importanti di quella che per me è ‘veramente’ l’arte contemporanea, ma anche compagni di strada, poeti avventurieri, e generosi dissipatori di emozioni. Sono alcuni dei miei riferimenti sentimentali. Mi vuoi parlare di “Virus”, la rivista che hai inventato e diretto per dieci anni? Il tuo approccio didattico è molto dinamico, attivo, fai delle domande precise e concrete, sviluppi le loro facoltà performative… Vuoi raccontare un po’ in che cosa consiste e su che cosa si basa il tuo metodo? No, non ho un metodo, mi piace molto stare con gli studenti e cerco un modo per starci bene…Ciò che mi piace, moltissimo, è il desiderio di riportare il dibattito sull’arte ad un livello antropocentrico. L’essere, è, a mio parere, sempre il fine del progetto, e mai un suo pretesto. Mi interessano le ricerche radicali, che possono essere il pretesto, lo stimolo, la scusa, per dare dignità nuova a chi è interessato. La semplicità disarmante dell’arte dichiara incomprensioni, debolezze, euforie e contraddizioni tipiche dei pensieri più complessi. L’elementarità del linguaggio è sintomo della capacità di sintesi di un osservatore che rifiuta il sistema di pensiero totalizzante. Mi interessa lo spirito nomade e “gentile” di alcuni artisti capaci di capire la bellezza. La bellezza è forse la strada che porta l’essere alla difficile relazione con l’altro e con la libertà. È una strada …. Naturalmente una bellezza morale e poetica, ricercata disperatamente e senza concessioni al potere economico e tecnologico o a nostalgie di comodo. 35 Quali sono i tuoi riferimenti culturali, quelli fondamentali, i tuoi nutrimenti senza i quali saresti una persona davvero profondamente diversa? Questa è una domanda veramente veramente veramente difficile… Io penso che sarei una persona veramente diversa se non avessi fatto degli incontri… Penso seriamente che siano ‘gli altri’ a mutarci, a determinarci, a costruirci…Basta non avere difese… I riferimenti che posso elencarti sono opere o libri o luoghi o viaggi, ma so coscientemente che invece mi hanno fatto diventare ‘questa’ una serie di relazioni… Comunque certamente tra i miei riferimenti importanti c’è il cinema di Coppola, Scorsese, Ridley Scott, Kubrick, e poi la visionarietà di Ballard e di Dick e Gibson, ma anche la torta di mele e i fichi d’india e il mare e la pioggia e le palme e i quaderni con la copertina bella e i vestiti… e William Burroughs e Roland Barhes e Deleuze e Foucault e Babbo Natale… e Cronemberg e David Bowie, e Johnny Depp… Certamente si può notare una certa incoerenza… Ah, anche il tango argentino!!!!!!! E adesso una domanda di rito: che destino pensi avranno le accademie di belle arti italiane? Che cosa pensi? Che cosa speri? Io penso che le Accademie di Belle Arti siano le scuole più importanti e belle in assoluto, e credo che quelle italiane siano le migliori del mondo, meno compromesse con i sistemi economici e meno ovvie… Sono come delle isole di poeticità e di teoria e di tecnologia e di utopia, e sono anche delle scuole da cui sono nati famosi premi Nobel e Oscar cinematografici, oltre, naturalmente, ad artisti e critici…. Non lo so che destino avranno, ma mi piace molto pensare che saranno sempre poeticamente quello che sono, tra l’altro sotto il tiro e la minaccia continua di ridimensionamento, di tagli di fondi, docenti VIRUS è stata una rivista di contaminazioni, di mutazioni, di relazioni, nata nel giugno del 1992 il cui ultimo numero è uscito nel dicembre del 2001. Nato come trimestrale è diventato bimestrale con la sua uscita in edicola. Una rivista che ha intrecciato arte, moda, cinema, musica, video, teoria, con le tensioni che restituiscono lo spirito di un tempo: dunque fenomeni, stili, tendenze di una dimensione mutata. All’inizio, tenendo fede al suo nome VIRUS più che per diffusione si è distribuita per ‘propagazione’ raggiungendo le postazioni più interessanti non solo in Europa ma anche in quei lati del mondo meno ‘guardati’, avvantaggiata anche dalla scelta di pubblicare tutti i testi e le interviste in lingua originale. Numero dopo numero VIRUS ha allargato gli orizzonti ospitando alcune delle pratiche più radicali, delle teorie più azzardate, degli eventi più carismatici, e così la rivista é divenuta una sorta di catalogo di appuntamenti e avvicinamenti con tutto quello che stava per irrompere negli universi del visivo da lì a poco. Il progetto grafico della rivista ha permesso di parlare e far vedere l’arte in un ‘altro modo’, un modo di attivare una forma di amplificazione sensoriale, di corpo a corpo con l’immagine, un modo forse prepotente di esserci, ma le immagini non si sono fatte dimenticare, e infatti gli artisti hanno amato molto questo modo di ‘essere trattati’ loro e le loro opere, e la luminosità che ha accompagnato i loro interventi. Ha contribuito moltissimo al suo successo la grafica, ideata da Cesare Fullone, con cui ho condiviso tutta l’avventura della rivista: argento, rame, oro,…una grafica che ha scelto la luce dei colori metallici, il riverbero, il movimento, una grafica che ha voluto materiali preziosi, dai colori alla carta. VIRUS, numero dopo numero, ha segnalato come l’ingegneria genetica, l’intelligenza artificiale, la chirurgia estetica, le realtà virtuali, le controculture, stessero rapidamente ridefininendo e alterarando non solo le modalità dell’arte, quanto anche le nostre stesse condizioni di esperienza fisica. Nota come la rivista del ‘corpo’ VIRUS ha per prima intuito come il corpo umano fosse il luogo delle trasformazioni radicali di questo tempo, fino a diventare la rivista di riferimento per tutta una serie di riferimenti e di ricerca. VIRUS ha iniziato a segnalare i limiti dei sistemi tradizionali in cui l’arte viene distribuita e ‘isolata’, e ha più volte, sentito il bisogno di ‘uscire’ dalle sue stesse pagine per ‘fisicizzarsi’ in una serie di mostre, dibattiti, libri, festival, programmi televisivi, presentazioni, video, lunghe notti live. VIRUS era nata come una scommessa, con lo spirito che da sempre hanno fatto nascere le riviste legate ai movimenti artistici. É diventata, oltre le intenzioni, una realtà che ha inciso sugli eventi dell’arte di quest’ultimo decennio, con quella autorevolezza che nasce direttamente dall’essere testimoni di una ennesima metamorfosi dei linguaggi. di mancanza di riconoscimento, di sgombero o di spostamenti forzati… Ma io so che alla fine le battaglie importanti della storia occidentale l’hanno vinta personaggi deboli come Giuditta o Davide… e come l’accademia di belle arti che continua a snobbare tutti i discorsi di un buon senso che tra l’altro ha solo prodotti disastri… Io so solo che per tutte le persone grandiose che ho incontrato, e che anche tu incontri, l’accademia è il posto più bello del mondo (come ha detto Roberto Saviano a Gastone Mariani!). Mi dispiace solo che ci paghino poco, ma per il resto credo che non riusciranno mai a ridurci al loro modello di impiegato statale. Hai qualche indicazione da dare? Ricordare ai nostri referenti istituzionali Il Trattato di Lisbona entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009, e che chiede a ciascun Paese dell’Ue di indicare quali istituti rilascino titoli universitari: gli altri Paesi europei si sono già dotati di una normativa in tutela della formazione artistica. 36 ALESSANDRO RUSSO Paesaggi e figure docenti 21 gennaio -13 febbraio 2010 Catalogo in galleria Galleria Antonio Battaglia via Ciovasso, 5 - 20121 Milano T/F 0236514048 [email protected] www.galleriaantoniobattaglia.com * Francesca Alfano Miglietti (FAM) Teorico e critico d’arte, docente di Teorie e Metodologie del Contemporaneo all’ Accademia di Belle Arti di Brera, vive a Milano. Curatore indipendente di mostre, rassegne e convegni, ha incentrato la sua ricerca sulle molteplici tematiche di trasformazione del contemporaneo, come le contaminazioni di linguaggi, le nuove tecnologie nel rapporto uomo-macchina, le culture giovanili, il corpo e le sue modificazioni, il rapporto tra visibile e invisibile come frontiera di nuove poetiche. Ha ideato e diretto la rivista VIRUS Mutations. Ha organizzato e curato numerose mostre e pubblicato, tra l’altro, i volumi: Arte in Italia 60/85 (Politi); Arte Pericolosa (Prearo); ORLAN (Virus Production); Identità Mutanti (Costa e Nolan, ristampa Bruno Mondadori); Nessun tempo, nessun corpo (Skira); Virus Art (Skira); Virus Moda (Skira); Manuale delle Passioni (Skira); La valigia senza manicoConversazioni con Enzo Mari (Bollati Boringhieri); Fabio Mauri: Scritti in mostra (Il Saggiatore); Beppe Riboli: Architetture della notte (Skira). COS’È LA SCULTURA OGGI? 37 Definire cosa sia oggi la scultura è compito assai arduo, tanto quanto cercare di definire cosa possa essere considerato pittura. di Alessandro Gioiello Alla domanda posta da Allen Ginsberg “Che cos’è l’Arte?”, la leggenda narra che William Burroughs abbia risposto: “Una parola di sette lettere”. La scultura allora? Una di otto?! Il significato comune, offerto dal dizionario Treccani a riguardo, così è espresso: “L’arte e la tecnica di scolpire, cioè di raffigurare il mondo esterno, o piuttosto di esprimere l’intuizione artistica per mezzo di pietra, legno o altro materiale opportunamente modellato con lo scalpello o strumenti affini (…), che si vale dei procedimenti di fusione e getto dei metalli in una forma (…). Spesso, con valore generico, tipo di arte figurativa che cerca di immettere la forma creata in uno spazio reale, sulla scultura Franz West, Three Lamps (violett), 2009, acciaio, lamina in plastica, dispositivo elettronico, lampade neon, 176x39x39 cm 175x41x41 cm /181x40x40 cm (courtesy Atelier West, Wien) rappresentandone anche la dimensione della profondità: in tal senso include la plastica, la glittica, l’altorilievo, il bassorilievo, ecc. (…)”. Fin qua tutti d’accordo. La scultura quindi è presenza concreta, volume e peso, occupa e rappresenta uno spazio, è la visualizzazione di un preciso attimo di tempo ed eterna durata al tempo stesso, anche quando aspira a raggiungere il contrario di ciò che è appena stato elencato. Però la parola scultura ed il concetto che essa rappresenta continuano a mutare nel tempo, così come la pelle ed il suo corpo. È sempre più difficile però vedere opere propriamente scultoree nelle mostre, rassegne e fiere internazionali più hot. Sembra che la questione scultura oggi sia cosa difficile e problematica da gestire. La scultura forse ora viaggia in incognito attraverso i white boxes del globo? Eppure, nelle aule delle accademie d’arte italiane, chi la studia è ancora intento a dialogare ed è alle prese quotidiane con creta, gesso, pietra, marmo, legno e metalli. Pensiero e sudore, seppur affiancati anche all’utilizzo di nuove tecnologie, rimangono alla base del fare scultura nelle scuole del nostro Paese. Noi di “Academy of Fine Arts” abbiamo visitato l’ultima edizione di Artissima di Torino, alla ricerca di piccoli esempi significativi ed emblematici di opere di questo genere, scegliendo fra nomi più o meno giovani e noti, per cercare di capire quali sono la temperatura e lo stato oggigiorno di questa antica forma e pratica d’arte. Se è vero che le sculture possono essere considerate oggetti (e di oggetti sotto i riflettori degli stands ne abbiamo visti molti) possiamo dire che tutti gli oggetti siano sculture? Duchamp, a suo tempo, di risposte in merito ne ha già date molte, e tanti artisti contemporanei continuano a convalidare le sue tesi, forse senza troppo forzare i presupposti del problema. Piero Manzoni con il suo “Socle du monde” nel 1961 ha esasperato ulteriormente il significato, espandendone il confine, di ciò che è classificabile sotto il nome di scultura. E che dire degli oggetti, forme primarie invisibili, esposti da Gino de Dominicis, individuabili solamente grazie ai loro perimetri tracciati sulla superficie del pavimento? E delle performances di Gilbert & George, celeberrima coppia di sculture viventi? Passando poi per Jeff Koons, Charles Ray, Anish Kapoor, Marc Quinn, Tony Cragg, Christo, Haim Steinbach, Tobias Rehberger, Takashi Murakami, Robert Gober, Carsten Hoeller, Louise Bourgeois, Fischli & Weiss, Isa Genzken e molti altri nomi illustri del panorama artistico internazionale ora non citati, vediamo quanto le accezioni possibili del termine siano più che mai variegate e contaminate. Per non parlare del lavoro di quanti sconfinano nel campo del design, dell’architettura ed urbanistica o nelle regioni immateriali della musica e del suono. Allora possiamo osare e continuare a dire che la scultura non è più sola materia, gravità, stabilità e staticità? Necessita questa disciplina di una ridefinizione? Ed in che modo l’indebolimento, lo svuotamento, quando non l’estinzione, delle grandi utopie rivoluzionarie dei decenni scorsi, si manifesta, ammesso che ancora succeda, nelle sculture della nostra contemporaneità? Come e quanto la smaterializzazione e la telematizzazione proprie dei mezzi di comunicazione odierni ha influito sugli attuali percorsi di ricerca di questa disciplina? Quali le problematiche ed urgenze da essa poste? Quali i suoi conflitti interni? Ad ogni domanda, se non una risposta, almeno una buona nuova domanda…aspettiamo le considerazioni dei lettori! sulla scultura 38 Gary Webb, Nous mangeons, 2009, fusione in alluminio cromato, pittura spray, 185x120x65 cm (courtesy Pilar Parra & Romero, Madrid) Gary Webb (Hampshire, UK, 1973). Gary Webb sembra affrontare molte delle questioni della scultura astratta modernista degli anni ’60. Nel suo lavoro astrazione e rappresentazione coesistono abbracciando uno scambio formale tra forme organiche e geometriche, linea, volume, superfici riflettenti e trasparenti, fusi grazie all’uso di materiali che fanno riferimento al mondo della cultura pop, conditi da una buona dose di humor. La scultura modernista è onorata e parodiata allo stesso tempo attraverso l’uso del suo vocabolario. Webb usa oggetti naturali ed artificiali per dare vita a configurazioni inaspettate. Per far ciò integra, in modo giocoso, superfici cromate, patine sintetiche, Perspex e legno scolpito a mano. Le sculture di Webb invariabilmente finiscono per essere più della somma delle loro parti. Appena lo spettatore si muove attorno ad esse, queste sono capaci di evocare un vasto assortimento di emozioni e narrazioni inaspettate, senza mai lasciar spazio a frettolose interpretazioni. Katja Strunz, Yesterday’s Echo, 2008, installazione, diversi materiali, dimensioni variabili (photo courtesy Matthias Kolb, courtesy Andersens Contemporary, Copenhagen/Berlin) Katja Strunz (Ottweiler, Germania, 1970). Le forme ondulate delle recenti installazioni, così come quelle delle sculture e dei lavori su carta della tedesca Katja Strunz suggeriscono l’idea della progressione ritmica del tempo. I suoi lavori prendono origine e forma dalla rigidità della geometria per offrire un’esplorazione concettuale dello sviluppo della memoria e della natura ciclica della storia. Le sue sculture “progressive” rappresentano il modo dinamico in cui si formano i ricordi e definiscono la storia come un processo in costante cambiamento. Il suo lavoro mira a ricostituire una forma tangibile della memoria: ogni piega nelle sue sculture rappresenta un elemento della metamorfosi dall’accadimento dell’evento, alla creazione della memoria, all’atto della rievocazione, del ricordo. Un flusso costante in cui si alternano ciclicamente stati di conflitto e le loro risoluzioni. 39 sulla scultura Erwin Wurm, Strick Hypnose, 2008, legno, lana,153x56x37 cm (courtesy Regina Gallery, Moscow) Erwin Wurm (Bruck an der Mur, Austria, 1954). Con invidiabile imperturbabilità, insolito senso dello humor ed una vivace freschezza intellettuale, Erwin Wurm da anni ormai osserva e rielabora l’immensa distesa di oggetti reali che popolano il nostro mondo quotidiano. Mezzi di trasporto ed abitazioni, frutta ed ortaggi, così come capi d’abbigliamento ed altri prodotti del mondo artificiale passano attraverso la sua personale barriera doganale per uscirne buffamente deformati e rinnovati di senso, pronti per essere ricollocati all’interno di un mondo in cui il senso di straniamento che la loro visione provoca non è altro che l’anticamera del sorriso. Il suo esteso concetto di scultura, che va dalla rivisitazione e ridefinizione dei valori della scultura Pop fino all’idea di scultura sociale teorizzata da Beuys, è ben rappresentato dalla celebre serie delle “One Minute Sculptures” in cui gli spettatori volontari si offrono come soggettooggetto, testimoni viventi dell’ “hic et nunc”. Reena Saini Kallat, White Yarn (Silt of Reason), 2008, marmo, 91,5x137x62,25 cm (courtesy Primo Marella Gallery, Milano) Reena Saini Kallat (Delhi, India, 1973) . Reena Saini Kallat affronta con naturalezza e maturità attraverso la sua poetica ed un linguaggio polisemantico, il tema della diversità culturale. Attraverso una chiara complessità, le sue opere ci parlano delle grandi diversità linguistiche e geografiche ed i forti contrasti che caratterizzano il paese di cui è originaria ed in cui vive: l’India, aprendosi però a tematiche e problematiche dalle connotazioni universali. La natura del rapporto che coesiste fra il singolo e la collettività, l’importanza e la fragilità della ricerca di un’identità in relazione al luogo in cui si vive, il senso del nostro essere in relazione al nostro agire, così come le frustrazioni generate da dialoghi spesso conflittuali, come ci riporta l’esempio dell’infinito ed incerto processo di riappacificazione fra India e Pakistan riguardo la delicata questione del Kashmir, sono alcuni fra i temi al centro delle sue più imminenti urgenze motivazionali ed espressive. Temi questi sapientemente rielaborati formalmente grazie ad una raffinata capacità tecnica e manuale, frutto di un’intelligente rilettura dei simboli ed ornamenti propri della millenaria tradizione e cultura del suo paese d’origine. sulla scultura 40 Franz West (Vienna, Austria, 1947). Francesco Barocco, Testa, 2009, creta, inchiostro, pagina di libro, dimensioni variabili. (courtesy Norma Mangione Gallery, Torino) Francesco Barocco (Susa TO, 1972). Le opere di Francesco Barocco non sono mai quello che sembrano essere. Esigono sempre una lenta e profonda lettura. Una loro analisi frettolosa dopo un primo veloce sguardo ci porterebbe a considerazioni fuorvianti e si rischierebbe di perdere la moltitudine dei celati riferimenti alle diverse discipline del sapere, dalla storia dell’arte alla filosofia, dalla letteratura e poesia al design e all’architettura, care all’artista. Richiami utili e mai gratuiti, tesi alla creazione di seducenti enigmi e simboli, evocazioni di racconti e spazi imprevedibili, governati da una perturbante casualità, libera da ogni idea precostituita di tempo e cronologia. Per la creazione della serie “Testa”, si è servito di pagine di vecchi libri riguardanti la scultura classica, greca e romana; l’immagine originale è stata ricoperta da diversi strati di inchiostro da stampa e rimuovendo la materia in eccesso è giunto alla scoperta di una nuova e misteriosa dimensione. La superficie bidimensionale assume qui un proprio volume ed una diversa profondità di significato. Il lavoro di Franz West è difficile da categorizzare sotto il nome di scultura o installazione in senso stretto. Sembra piuttosto essere uno stile di vita vero e proprio. Di seguito riportiamo una sua testimonianza. “Da subito ho realizzato che la pura esperienza visiva di un’opera d’arte era in qualche modo insufficiente. Ho voluto andare oltre il “puramente ottico” ed includere anche qualità tattili. I miei lavori non sono cose a cui uno può solamente guardare, ma cose con cui lo spettatore è invitato a trattare. Si sono susseguite molte teorie sull’arte che hanno tentato di eliminare il confine tra l’arte ed il mondo, ma non trovo tali tentativi essere stati particolarmente significativi. L’arte rimane arte. Vedo il mio lavoro veramente molto compatibile con la filosofia dell’ arte per l’arte. Uno potrebbe pensare che io provi a portare l’oggetto d’arte all’interno del mondo, siccome i miei lavori qualche volta sembrano avere una funzione pratica, in realtà il percorso ha direzione inversa: le cose del mondo, grazie ad alcune circostanze speciali, entrano nella realtà dell’arte. E infatti, una volta che esse sono entrate in questa realtà, sono arte.” Franz West (da: www.artseensoho.com) ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI CATANZARO Un’Accademia giovane per il territorio, la ricerca e le produzioni artistiche. 41 a cura di Rocco Pangaro alle attività artistiche della nostra Accademia, o quelle dedicate allo scouting di giovani artisti all’interno dell’accademia proposti nelle due mostre antologiche di “Zone Scoperte”, a cura di Giancarlo Chielli, insieme al recente volume collettivo dedicato ai Beni Culturali della città di Catanzaro, così come la mostra antologica catanzarese sullo scultore “Giuseppe Rito a Catanzaro e le origini del Contemporaneo in Calabria”, sempre a cura di Chielli. Iniziative di produzione artistica che viaggiano assieme alle varie rassegne come il ciclo di seminari aperti ,“Confini” a cura di Minervino e le proiezioni della rassegna “Metafore della Visione” a cura di Andrea La Porta, Letizia Paonessa e Salvatore Brancato, le mostre e i work shop di Fotografia di Antonio Cilurzo, oltre che a numerose mostre dedicate a giovani artisti emergenti a cura di Luigi Magli e Alessandro Russo, o ad eventi di grande risonanza come l’assegnazione della Laurea Honoris Causa in Pittura al grande poeta e cantautore italiano Paolo Conte nel 2007. Va dunque reso merito e riconoscimento ai docenti e agli operatori che si sono più distinti nelle attività extra didattiche impegnandosi a dare forza e contenuti alla realizzazione di progetti rivolti alla conoscenza aspetti inediti del patrimonio culturale, antropologico, artistico. Conviene ricordare che tali iniziative sostengono inoltre un processo di riqualificazione degli studi e della ricerca, con l’innovazione dei linguaggi della didattica e del fare l’arte nei suoi diversi comparti e discipline, in linea con lo spirito di riforma e di rinascita che anima questa fase di rilancio istituzionale del ruolo delle Accademie e della formazione artistica nel nostro paese dopo la riforma di cui attendiamo il compimento. L’ampliamento e l’interdisciplinarietà degli spazi di ricerca e dei curricola della formazione, con la riformulazione delle tradizionali ripartizioni “scolastiche”, il rinnovamento dei saperi e delle discipline accademiche, sono condizioni imprescindibile per favorire il completo dispiegamento e la liberazione di enormi potenzialità conoscitive anche sui nostri territori e tra gli utenti. L’attuale momento d’interesse artistico per i territori e le città nelle accademia di catanzaro In questi ultimi anni, numerosi e sempre segnalati per il grande rilievo critico e il successo di pubblico, sono stati gli eventi, le mostre, gli spettacoli, le rassegne, le pubblicazioni e i convegni promossi e realizzati dalle professionalità e dagli specialisti presenti nell’Accademia di Belle Arti catanzarese. Si tratta sempre di attività condivise e programmaticamente intese al rafforzamento di una fruizione pubblica e partecipata delle conoscenze e del patrimonio artistico nel territorio calabrese. Nel complesso le attività extra didattiche e culturali svolte dall’Accademia di Catanzaro, che hanno visto impegnati i nostri docenti, gli studenti e le diverse personalità partecipanti ai nostri progetti culturali, ci vedono protagonisti in partenariato con enti pubblici e territoriali presenti nella regione e nella città di Catanzaro, coinvolti in programmi e attività di ricerca, di riscoperta e di valorizzazione critica tanto dei beni culturali e artistici quanto di singole figure e personalità di artisti calabresi del passato e del presente. In quest’ambito l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro afferma ancora una volta la forte propensione a contribuire in modo originale alla ricerca e alla produzione artistica dell’intero comprensorio, di cui rappresenta oggi il riferimento più proprio e immediato. Le nostre attività non restano confinate nelle aule e nei laboratori tra le attività didattiche e i lavori istituzionali, ma piuttosto rappresentano occasioni feconde per interagire con importanti contesti artistici del nostro territorio, per offrire una qualità di servizio del nostro prodotto culturale, disponibile al vaglio e all’indispensabile fruizione del pubblico, alla vita delle città, al confronto con le sue forze culturali. Tanto più oggi che un vasto processo di rinnovamento e di rinascita culturale, lo stabilirsi di nuovi e qualificati servizi per la cultura e il territorio, attraversa anche la regione e la città di Catanzaro. L’attività di ricerca e di elaborazione culturale e artistica svolta dall’Accademia come le due importanti mostre “MAC” (Museo di Arte Contemporanea dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro), dedicate alla storicizzazione di artisti e docenti che sin dalla sua fondazione hanno impresso un carattere fortemente sperimentale e di avanzamento nella ricerca accademia di catanzaro 42 opera di Giuseppe Mascaro, corso di Scultura arti visive, nell’architettura e nelle antropologie urbane che già interagiscono spontaneamente con la vita del territorio catanzarese e calabrese, appaiono per noi oggi come la condizione necessaria a favorire la stabilizzazione di un ruolo culturale forte per la nostra Accademia. In Calabria proprio per il tramite dell’Accademia si è registrata negli ultimi decenni una reale rinascita delle arti e delle produzioni culturali, che oggi può essere rafforzata e qualificata ulteriormente fondando una stabile e duratura politica di sviluppo per le conoscenze, le arti e la cultura capace di sostenere, attraverso il contributo della nostra Accademia, una cultura artistica autocentrata e autoprodotta sul territorio, per confrontarsi e comunicare con gli altri centri di produzione nazionali e internazionali. Bisogna dunque dare forma a servizi e risorse stabili a sostegno di queste iniziative e alle attività extra didattiche e culturali sviluppate dai nostri docenti. È un momento di crescita globale della nostra Accademia che annuncia forse un decollo decisivo e non sporadico che, come appare evidente, non riguarda più soltanto le opportunità di sviluppo per l’arte nel territorio catanzarese, ma il rafforzamento dell’intero impianto civile e culturale della nostra istituzione anche in altri ambiti territoriali della regione. La ricerca finalizzata al recupero di esperienze e saperi, di elementi fondativi dell’identità che provengono dalle stratificazioni culturali di un territorio antico e ricco di storia e di bellezze artistiche, appaiono dunque come elementi indispensabili per partecipare dalle nostre posizioni e col nostro carico di valori e di conoscenze a questo nuovo riposizionamento dell’istituzione accademica. Queste novità insieme alla nuova progettualità dell’Accademia catanzarese rappresentano per noi altrettante tappe di un percorso virtuoso di ricerca, di proposta artistica e culturale sempre congiunte a intese e progetti di partenariato che vanno a rafforzare la collaborazione istituzionale con gli enti che amministrano la cultura e le arti sul territorio. Il progetto complessivo di crescita nella qualità che la nostra Accademia di Belle Arti persegue da quando sono Direttore non può dunque che rafforzarsi, collocandosi sempre più all’interno di una prospettiva di protagonismo e partenariato attivo, rilanciando così Rocco Pangaro, La pelle del mondo è specchiante, 1985, Installazione , Photo di Antonio Cilurzo Il Direttore, prof. Rocco Pangaro Rocco Pangaro, professore di Anatomia Artistica all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, stimato per la sua ricerca nell’ambito della sperimentazione artistica italiana fin dagli anni ‘70, artista noto per le sue opere realizzate in materiali e superfici specchianti, ai confini tra pittura e scultura, dal novembre 1998 ricopre anche la carica di Direttore. La sua direzione, che ha significato una svolta nella vita di quest’accademia, oggi tra le più vivaci e avanzate del Sud, si contraddistingue sia per l’ampia partecipazione di docenti e studenti ai processi di decisione e per la forte spinta data non solo all’innovazione e alla riforma dei curricula, sia per la crescita decisiva di iniziative prestigiose nell’ambito degli eventi e delle produzioni artistiche e per le numerose attività extra didattiche e culturali che l’Accademia di Catanzaro svolge ormai da anni con ruoli da protagonista nella vita artistica e culturale del territorio calabrese e nella città di Catanzaro, il capoluogo calabrese in cui l’Accademia di Belle Arti ha sede. Vincenzo Paonessa, Precarietà, 2007, cm 105x105x80, materiali vari su tela accademia di catanzaro il ruolo dell’Accademia catanzarese nel panorama nazionale delle Istituzioni Afam. La nostra oggi è un’Accademia dinamica, giovane e attiva, che, nonostante la crisi del settore e la perdurante confusione del quadro legislativo delle istituzioni Afam, ha fatto della ricerca e della proposta culturale il suo punto di forza, e intendiamo continuare su questa strada, lavorando in armonia con le preziose peculiarità e le vivacità che oramai contraddistinguono la presenza culturale dell’Accademia di Catanzaro nella nostra regione. La città di Catanzaro per noi tutti è diventata un centro d’irragiamento della nostra attività istituzionale, non è solo un luogo di studio, di riflessione e di approfondimento critico di ciò che avviene “altrove”, ma un laboratorio di conoscenze, un luogo di produzione e innovazione, una sede operativa del fare arte e ricerca sui luoghi in un rapporto critico e fondato che guarda con occhi privi di pregiudizio tanto al mondo che alle realtà a noi più prossime. Anche per questo abbiamo chiesto alle istituzioni territoriali, il Comune e la Provincia di Catanzaro, assieme al Miur, di aiutarci a risolvere uno dei passaggi critici più importanti per il nostro definitivo rilancio e per lo sviluppo futuro dell’Accademia di Catanzaro: la questione di una nuova sede di prestigio in città. Un plus funzionale, quello della sede, con spazi didattici e laboratori adeguati, per noi oramai improrogabile, la cui risoluzione viene ad arricchire un’offerta formativa già di alta di qualità, ma anche in grado di generare forme rilevanti di socialità e di economia nel centro storico catanzarese, in cui l’Accademia già vive e lavora da anni. Anche per questo problema siamo finalmente in dirittura d’arrivo. Presto l’Accademia di Catanzaro avrà la sede di prestigio che spetta al suo rilievo istituzionale. Una sede nel Palazzo dell’Educandato, un immobile storico nel cuore del centro cittadino, su cui c’è già un accordo in corso tra Ministero e Comune di Catanzaro. 43 Conversazione tra Giancarlo Chielli ed Elisabetta Longari accademia di catanzaro 44 Quale attività culturale è stata svolta in questi anni nell’Accademia di Catanzaro? attivati affinché il patrimonio delle sculture possa essere donato alla città di Catanzaro o, quando avremo la sede, all’Accademia. Insegno a Catanzaro da sei anni e da subito con il direttore Pangaro abbiamo cercato di “storicizzare” l’attività dei primi trent’anni dell’Accademia. E lo abbiamo fatto con lo scopo di istituire una Pinacoteca dell’Accademia di belle arti di Catanzaro, attraverso la donazione di opere di artisti che hanno insegnato a Catanzaro in questi anni. Da questa iniziativa sono nate due mostre, corredate da due cataloghi esaustivi (curati da me) sull’attività artistica dei docenti dell’Accademia. Tutti gli artisti invitati hanno dato la disponibilità a donare un’opera, fermo restando la certezza di vederla esposta: da allora – e sono passati cinque anni – i problemi relativi alla precarietà della sede non ci hanno permesso di poter aprire la Pinacoteca. Ma nei nuovi locali che stiamo trattando, uno spazio sicuramente verrà dedicato non solo alla pinacoteca ma anche alla memoria di quanto prodotto in questi trent’anni attraverso l’acquisizione del materiale prodotto: libri, atti di convegni e conferenze, saggi, manifesti… Questo per quanto riguarda la salvaguardia della memoria e della tradizione. Non avete iniziative che coinvolgono altri mezzi espressivi, magari più sperimentali? La memoria….? E per gli studenti cosa fate oltre alla didattica? La memoria è fondamentale quando ci si rapporta a una piccola realtà come quella catanzarese. Sapere cosa è stato fatto è determinante per la comprensione di quanto l’accademia produce. L’accademia di Catanzaro ha un problema, che l’ accomuna a quello di tutte le accademie d’Italia: il problema del pendolarismo. Succede quindi che per un certo periodo di tempo (cinque, massimo dieci anni) docenti di stanza a Catanzaro si impegnino in progetti visibili in città, per la città. Quando questi docenti riescono ad ottenere l’avvicinamento a casa, chi subentra deve avere chiaro cosa è stato prodotto, onde evitare sovrapposizioni che, sicuramente, spiazzano il pubblico catanzarese che si vede riproposte – magari – per decenni le stesse tematiche. E sempre riproposte come fossero nuove. Quando lascerò Catanzaro sarebbe opportuno che chi mi subentrerà potesse portare avanti il progetto già iniziato e non riproporre una mostra o un catalogo già fatto o proporre l’idea della Pinacoteca come la nuova idea dell’accademia. Per gli studenti, ispirandoci al famoso Salon di Brera, abbiamo progettato, di concerto con la Provincia di Catanzaro, una mostra che titola “zone scoperte”. In questa mostra il meglio del passato e del presente prodotto dai giovani artisti viene veicolato attraverso un catalogo e una mostra tenuta nelle sale della Provincia, mostra visitata da più di 50.000 persone in un anno. Contiamo, dopo le due edizioni - aperte anche a studenti di altre accademie - di riuscire a organizzare anche la terza edizione. L’originalità dell’iniziativa sta nelle recensioni che accompagnano le attività degli studenti: un inizio di critica per instradare i giovani nel difficile ambiente artistico. Altri indirizzi in questi anni? Oltre alla Pinacoteca abbiamo fatto un lavoro accurato sulla “memoria” dei luoghi e degli artisti. É stato redatto dall’accademia di Catanzaro, su commissione del Comune, un importante catalogo sui beni Culturali della Città di Catanzaro, un volume esaustivo che trova la sua originalità nella riproposizione del bene culturale inteso come museo diffuso, o museo all’aperto, senza la stucchevole distinzione tra beni importanti e beni minori: ad esempio Catanzaro vanta cortili di straordinaria bellezza, che meritano fama e conoscenza tanto quanto le pur importanti basiliche. Spiegami meglio come avete coltivato la memoria degli artisti dei luoghi. É stato prodotto un breve saggio su Tony Pileggi, uno dei docenti che hanno insegnato a Catanzaro. Il sottoscritto ha curato, di concerto con l’accademia, il Comune e la Provincia, una retrospettiva su Giuseppe Rito, lo scultore che ha realizzato le sculture più importanti e “visibili” a Catanzaro. Si pensi alla statua del Cavatore o all’Assunta del Duomo. Giuseppe Rito, che partecipò nel 1957 alla Biennale di Venezia, edizione cui furono presenti anche Arnaldo e Giò Pomodoro, godeva della stima di intellettuali importanti come Pericle Fazzini e Corrado Alvaro. La morte prematura gli ha impedito di essere collocato tra i grandi del dopoguerra, e noi con il nostro lavoro abbiamo voluto riproporlo all’attenzione del pubblico, che ha risposto, in termini di presenza alla mostra, con numeri significativi (18.000 presenze). Con gli eredi di Giuseppe Rito ci siamo Da anni l’Accademia promuove saggi e manifestazioni di docenti che si occupano di Cinema. Si sono tenute importanti manifestazioni cinematografiche, di sapore vagamente retrò, ma con interventi autorevoli, quali quello di Kubelka e si sono tenuti importanti seminari, coordinati da Mauro Minervino, con la presenza dei più autorevoli antropologi e scrittori italiani. Inoltre ci sono docenti che svolgono attività di ricerca anche con gli studenti e di concerto con altre Istituzioni: è giusto ricordare la lezione tenuta da Barilli a suggello di quell’evento. Ah, tra l’altro a Catanzaro si è tenuto un importante incontro con Nagasawa e Mattiacci, presentati da Bruno Corà: uno dei momenti più importanti per gli studenti catanzaresi. Cosa pensi abbia in serbo il futuro per le accademie? L’applicazione della riforma? Fino a quando l’Accademia sarà legata a doppio filo con il conservatorio la nostra sorte sarà segnata. Dopo appassionate lotte comuni, è arrivato il tempo di separarci. Il Conservatorio lavora con studenti che hanno altre esigenze ed altra età. Noi di tutte le accademie siamo, tutto sommato, pochi. Tutti insieme abbiamo gli stessi numeri della sola Università di Catania! Quanto auspichiamo, è l’inserimento delle nostre professionalità all’interno di un quadro che ci vede realmente alla pari con l’Università, anche come trattamento economico perché c’è da avere vergogna a dire quanto percepisce un docente che si può fregiare del “titolo” di “Livello Universitario”. Se per ottenere il pieno riconoscimento di docenza universitaria bisognerà affrontare un concorso, che si stabiliscano i criteri e si faccia: bisogna anche capire le perplessità del mondo universitario, restio ad assorbire docenti che, da anni, non pubblicano o non fanno attività di ricerca o mostre. Dobbiamo avere il coraggio di dire che, noi docenti dell’accademia, non siamo tutti uguali e che le motivazioni che portano i singoli a fare attività di ricerca non sono omologabili. Io stesso conosco docenti di prima fascia che, da anni, non fanno tesi, non fanno mostre, non pubblicano… Non sarebbe equo, dopo anni, fare un aggiornamento dei titoli? Sarebbe già un primo passo. La strada percorribile, a mio parere, dovrebbe essere quella del Concorso non obbligato: chi si sente pronto e preparato, fa il Concorso e se lo vince acquisisce retribuzioni e diritti uguali a quello dei docenti universitari. Chi, per tutte le ragioni del mondo, non ha intenzione di fare il concorso, mantiene stesso status e stessa retribuzione. Non mi sembra una cosa poi così difficile. 45 accademia di catanzaro alcune delle pubblicazioni prodotte dall’ABA di Catanzaro 46 ANNA LISA RIVA Sleeping - (performance), Milano, galleria BnD, 2005 Un andamento…. ex studenti “Un lavoro creativo autentico rende solitari, richiedendo da noi qualcosa che dobbiamo togliere al benessere della vita”. HERMANN HESSE, Gertrud di Francesca Alfano Miglietti (FAM) Atmosfere suggestive avvolte di un’emozione che scava dentro chi guarda, e che Anna Lisa Riva mostra con rigore e timidezza. Sensazioni, esperienze, emozioni interiori che comunica, dense di solitudine, di una solitudine che ha imparato ad ascoltare il rumore delle nuvole, del vento, del mare, delle parole del poeta. Una determinata volontà di sparizione. Una serie di opere come sguardo, uno sguardo che resta impresso per ricercatezza compositiva ed eleganza, scorci di un orizzonte di un’altra dimensione, una dimensione di cui il tempo è la misura, e in cui fanno da protagoniste le emozioni, le paure, i desideri. Una sensazione di disagio, un senso di pudico o, forse, d’indecisione, figure quasi evanescenti, che somigliano ad apparizioni fanno da sfondo a materie e materiali composti con maniacale precisione: ami, petali, capelli, semi, spine, sale, un viaggio tra i materiali che ha inizio da premesse incerte, dall’andirivieni nell’oscurità del parco privato, e dall’illuminazione improvvisa provocata dagli incontri… Annalisa Riva sembra voler gestire lo smarrimento, il senso di perdita di orientamento, la mescolanza e il superamento di un limite che insieme allontana e avvicina, e lo fa con una struttura quasi matematica, regolare, ritmica. Il sospetto è che il soggetto dell ’opera è un essere di frontiera che sta mutando, indifferente al mondo. La realtà dei frammenti è irriducibile, non si conoscono unità in grado di raccoglierli e anche il linguaggio si sbriciola e diviene visione, passo, respiro, ritmo, delirio. La struttura è quella polimorfa di un insieme di segni controllati dalla regolarità e da una posizione, un pò più in là rispetto alla visione abituale, è un abitare dappertutto, essere ovunque vagabondando, girovagando per luoghi percorsi al proprio interno da una pluralità di limiti che creano una dimensione percettiva in cui l’immaginazione s’intreccia per sempre al disagio. Un modo di trovarsi dappertutto come a casa propria, nell’assenza del luogo di origine. L’immaginazione di Annalisa Riva è nomade, e vive nel continuo stupore. Oggetti e materie e materiali e disegni come ‘luoghi vitali’, in grado di produrre autonomamente affetti e relazioni, come un organismo vivente con un proprio carattere e particolari umori. Oggetti che diventano storie, memorie, spazi…e vagare per questi spazi, ricchi di variabili e di imprevisti smottamenti, conduce chi li attraversa ad uno stato di apprensione, intesa nel duplice significato di “aver paura ” e “apprendere ”. In queste storie si ascoltano le insidie, si viene trasportati trasporta in uno spazio in cui i confini Sleeping (performance), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, 2004 ANNALISA RIVA Nata Bergamo, si diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, e si specializza in Comunicazione e Organizzazione dell’Arte Contemporanea, nella stessa Accademia. Vive e lavora a Milano. Mostre e performances: Art Live 4, Torino, (performance) Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, 2004 Sleeping-Anna Lisa Riva, (performance) - Milano, galleria BnD, 2005 Perdere la testa, Milano, Galleria Lattuada , 2005 Punto a giorno, punto a croce…, Milano, Bel Art Galery, 2006 A…mano, Milano, ex chiesa di San Carpoforo, 2007 Annisettanta, sezione “Corpi nell’arte, arte nel corpo”, La Triennale di Milano , 2007 Tutto in un giorno…Poetiche della precarietà, Milano, Sala delle Colonne, 2008 Passaggi di Stato, Pavia, Palazzo del Broletto , 2009 47 Berenice , 2007, disegno, sale, capelli, cm. 38 x 28. ex studenti sfumano in uno stato di inquietudine, ad uno stato di progressivo disorientamento smarrimento. Perdersi è la condizione d’inizio in cui si trovavano i fondatori di un luogo prima di tracciare i confini dell’ ’insediamento’. C’è sospensione. Sospensione del respiro. In un frammento d’intimità. Un movimento lento in cui la sensazione di bruciore è immediata e molto forte e si confonde con le parole di Borges... Piume e meduse e puntine e ballerine e parole e semi di soffione e pesci e spine… il catalogo è concentrato e provoca un misto di dolore e di bellezza…E un profondo silenzio. Un lavoro lunghissimo, fatto di disegni e ricami e sovrapposizioni e un’ombra leggera ed evanescente quanto l’opera in cui si mette in gioco un senso del fare fortemente intimo, spesso proprio attraverso materiali fragili. L’universo di Annalisa Riva, costituito da performances, installazioni, disegni, contiene un mondo che crea infinite sfaccettature di spazi soprattutto che sfiorano il disagio del tema della passione che si smarrisce nella necessità della visione di un orizzonte. Un bagliore che per solo un attimo esalta una porzione di immaginario. Si intuisce la vicinanza con una delle molteplici forme del disagio, dell’assenza, dell’inadeguatezza, e, sullo sfondo, la figura di Borges, di cui più e più volte appaiono i frammenti di poesie. Al tempo sospeso, alle sue alchimie e ai suoi limiti, è dedicata la gran parte dell’attenzione di Annalisa Riva, le cui opere sembrano voler interrogare la tensione tra il racconto e la visione, tra la forza e la vulnerabilità, tra il sogno e il quotidiano. Una drammaturgia ossessiva, a volte, Annalisa Riva adotta un’espressione che usa più linguaggi, mantenendo sempre una distanza tra questi. I soggetti che pone al centro delle sue opere sono raccolti da vari racconti e storie e figure bibliche o mitologiche, da figure marine e da insetti, Annalisa Riva si spinge lontano: oltre l’impossibilità di parola di un pesce, nelle piume perse in volo, tra le onde di un mare, e concentra l’attenzione su una forma di ripetizione, una cadenza regolare, sul bisogno trattenere quanto le sfugge: gli istanti. Colpiscono, nelle sue opere, la sua intensità e insieme la semplicità che diviene forma di racconto, la capacità di fare del mondo, di ogni cosa del mondo, la propria autobiografia. È l’essenza di una vocazione letteraria. Di una constatazione finale, romantica e disincantata allo stesso tempo, di un ostinato interrogare, cercare, sperimentare idee e storie, protendendosi verso di esse con disperazione o pazienza. D’altra parte i protagonisti di tutte le opere di Annalisa Riva sono la propria intimità, le proprie paure e i propri smarrimenti, che, con estrema delicatezza e indipendenza, sembra trasformare le situazioni da paradossali o apparentemente irragionevoli, a motivi poetici. La predilezione per le microstorie, che compongono opere che intrecciano reti di ossessioni e desideri che tendono a infittirsi, caratterizzano un procedere nel quale non è difficile individuare il persistere di una resistenza autentica alle logiche del buon senso. Shhhhhh - 2010, foto, gesso e capelli (part.) 48 Marco Pariani fondazione maimeri “SARANNO FAMOSI” I maestri del futuro presentati dai loro docenti ”Anni fa vicino a Brera c’era un piccolo negozio dove erano accatastate numerose opere degli studenti e di qualche ex studente dell’Accademia di Brera. Spesso ci si recava in quel negozio per curiosare e per farsi tentare. Particolarmente nel periodo dei regali, il piccolo negozio era preso d’assalto quasi fosse un luogo magico. Oggi a distanza di anni si riesce più di allora a comprenderne la magia. Quel piccolo negozio rappresentava un luogo dove chiunque poteva avvicinarsi all’arte senza alcuna barriera, era la rappresentazione della contrapposizione alla scena del celebre film ”Vacanze intelligenti” dove Alberto Sordi e signora si aggirano curiosi e spaesati tra le installazioni esposte alla Biennale di Venezia. In quel piccolo negozio ognuno di noi si poteva immaginare grande scopritore di talenti o semplicemente poteva comprare un quadro senza porsi il problema della competenza, di adeguatezza o di opportunità di investimento, illuminato e guidato solo dal gusto e dal piacere di un acquisto alla portata di tutti, solo il tempo avrebbe poi certificato la speranza di essere stato uno scopritore di talenti....” Gianni Maimeri, Presidente Fondazione Maimeri Oggi, quell’occasione la ripropone l’esposizione ”Saranno Famosi” che vuole essere un esplicito invito al collezionismo. Promossa da Fuori Accademia, è stata inaugurata giovedì 10 dicembre negli spazi della Fondazione Maimeri, in corso Cristoforo Colombo 15 a Milano. Fuori Accademia nasce da un piccolo nucleo di appassionati d’arte contemporanea con l’intento di far conoscere le opere dei nuovi talenti. Appoggiandosi pertanto, negli spazi suggestivi della Fondazione Maimeri, già sede di Artis School, scuola d’arte e di creatività, i giovani artisti del progetto Fuori Accademia, hanno avuto l’opportunità di esporre e vendere le proprie opere a prezzi invitanti; opere che in gallerie private raggiungerebbero ben più alte quotazioni.L’iniziativa vede come garante l’Accademia di Brera che schiera come testimoni di qualità i docenti: Domenico DAVID, Gastone MARIANI, Franco MARROCCO Angela OCCHIPINTI, Stefano PIZZI, Beppe SABATINO Nicola SALVATORE, Alessandro SPADARI che hanno formato i giovani in mostra: Dino CERCHIAI, Davide DISCA, Matteo GIAGNACOVO Marta MANFREDINI, Marco PARIANI, Massimiliano PATRIARCA, Giuliana STORINO, Carmine SABBATELLA Mariangelo SPAGNOLETTI Giulia Storino Manifesto della mostra Matteo Giagnacovo, Attimi 49 fondazione maimeri Luca Bonanno (rappresentante uscente studenti e componente dei C.d.A. dell’A.B.B.A.A. e dell’ERSU di Palermo) “ Se tutto deve rimanere com’è, è necessario che tutto cambi.” Diciamo pure che in un decennio si è passati dal “saper fare” al “saper sopravvivere”, le modifiche agli ordinamenti che dovevano essere garanzia di contemporaneità degli studi si sono trasformate in un “lascia o raddoppia” studenti 50 Non potevo non iniziare questo articolo se non con le parole sempre attuali di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che ben cinquantatre anni fa diede alla luce questa perfetta definizione del modus vivendi italiano e soprattutto non potevo esimermi dall’usare queste parole per scrivere della “moderna” Accademia di Belle Arti di Palermo. E’ proprio in questa Sicilia soggetta perennemente a svariati tipi di conquista che svolgo attività di rappresentanza studentesca da ormai più di tre anni, un compito che mi ha reso partecipe di una delle realtà più tristi che cercano di sopravvivere in Italia: le Accademie di Belle Arti post-riforma. In un sentir mediatico continuo di casi più o meno umani sulle vittime della crisi, è paradossale che nessuno abbia una parola da dire su queste istituzioni culturali, anima vera del nostro paese. A distanza di più di cinquecento anni dalla nascita a Firenze della prima forma d’Accademia esistente in Europa, sotto la guida di Giorgio Vasari, assisto stupito nel vedere che cinque secoli di storia non siano serviti a raggiungere risultati formativi adeguati e proporzionali all’immenso valore e al contributo che il nostro Paese ha dato più di tutti al mondo dell’arte. La riforma del 1999 delle Accademie, di cui ormai si discute da nord a sud molto animosamente da un decennio, ha fornito le basi per una lenta e inesorabile distruzione delle eccellenze operanti nel settore. Ho avuto l’occasione di visitare parecchi Istituti AFAM in questi anni ed ho visto come molti docenti si siano dovuti inventare veri e propri miracoli per “tirare avanti la baracca”. Aule prive di attrezzature didattiche, materiali che stentano sempre ad arrivare e che molto spesso acquistano direttamente gli studenti, orari folli in cui il criterio base è quello dell’incastro orario per poter seguire il numero maggiore di materie nozionistiche e stipendi della docenza pari (al netto) a quelli dei collaboratori scolastici della scuola media superiore, di certo non hanno favorito la lotta all’emigrazione degli artisti e degli studenti verso quei paesi del mondo in cui ancora Mediaset e la sua pseudo-evoluzione culturale non sono sbarcate. Voglio però soffermarmi principalmente sull’Accademia in cui studio, piuttosto che dilungarmi attorno alle innumerevoli esigenze di carattere nazionale, e voglio farlo iniziando col citare e condividere appieno quanto scritto da Filippo Meli, che dal 1941 sino ad oggi è stato l’unico autore di un trattato storiografico completo sull’Accademia di Belle Arti di Palermo, a proposito di come si misura il vero valore di un’istituzione : “La misura della bontà di un’istituzione ci vien data, più che dalle intenzioni degli uomini che la promuovono, dai risultati cui essa perviene nel corso della sua esplicazione” . Cito Meli perché i quesiti che oggi più mi ossessionano, a distanza di tre anni passati a “lottare” all’interno del Consiglio di Amministrazione dell’ Accademia, sono: l’Accademia di Palermo attrae per i suoi contenuti formativi gli studenti dal resto d’Europa? Palermo è all’altezza delle ricerche e delle svariate sperimentazioni delle facoltà e delle Accademie di Belle Arti europee? La risposta ovviamente è negativa e si certifica molto facilmente sul sito delle statistiche del Ministero Italiano dell’Università in cui, per l’A.A. 2008/2009, risultano iscritti soltanto quattro studenti stranieri, di cui due al triennio e due al Biennio. Mi hanno sempre insegnato che il gradimento di chi è estraneo al normale vissuto di un luogo è sempre da considerarsi un fattore di qualità effettiva, così come lo può essere il giudizio chiaro e netto di un bambino nei confronti delle persone che lo circondano. Persino l’allora Sottosegretario al MIUR Sen. F.R. Dalla Chiesa durante una breve visita presso l’Accademia di Palermo chiedeva spiegazioni ai Consigli d’Istituto, riuniti congiuntamente per l’occasione, di questo dato allarmante che si protrae ormai da numerosi anni. Può un Istituto, che vanta numerosi scambi Erasmus non tener conto che gli studenti d’Europa che vengono a svolgere esperienza di studio a Palermo non decidono mai di rimanere a conseguire una specializzazione? C’entrerà il fatto che dai Direttori delle Accademie europee arrivano richieste di chiarimenti su come sia possibile che alcuni loro studenti partiti con medie bassissime di voti tornino “a casa” stracolmi di 30 e lode? Inoltre a Palermo vige l’abitudine di valutare la qualità della didattica e dei servizi sulla base del numero degli iscritti al primo anno dei Trienni, che ovviamente, dopo aver inserito corsi di Diploma che attirano le più svariate categorie di studenti, è assai cresciuto di numero rispetto a due anni fa. Ma come può uno studente che mette piede per la prima volta in un Istituto, essere l’unità di misura stessa della qualità di quell’istituzione? E il nucleo di valutazione d’Istituto cos’ha da dire a proposito? Purtroppo non verrò mai a saperlo visto che tutti i documenti e le relazioni più importanti non vengono mai fatti visionare ai rappresentanti degli studenti interessati nella vita accademica di governo; le richieste ufficiali della Consulta degli Studenti vengono lasciate ammuffire presso l’Ufficio protocollo perchè “tanto sono soltanto studenti capricciosi”. Allora mi chiedo, perché riconoscere come rappresentativo di un intero Istituto un Direttore eletto soltanto dai docenti? E’ mai possibile che non si faccia nulla per rendere davvero collegiali e universitarie queste istituzioni? A mio avviso il DPR 132/03 va radicalmente modificato, come testimoniano d’altronde i tre ricorsi ai TAR e Consigli di Stato che hanno modificato o abolito già diversi articoli del decreto. Sono convinto che cambierebbero molte dinamiche se gli studenti eletti negli organi di governo delle accademie potessero votare per eleggere il loro direttore. Oggi vige in pratica l’idea che debba essere per forza un gruppo maggioritario di docenti “amici degli amici” accomunati dalle stesse esigenze personali a decretare l’elezione del Direttore di un’Accademia, e in questi anni si sono eletti direttori che potevano portare avanti e tutelare le promesse accordate ai docenti del “gruppo dominante”. 51 studenti Questo giochetto elettivo unico e per fortuna raro in tutto l’emisfero occidentale del mondo, ha portato oggi molte accademie ad essere governate da professori di materie teoriche. Storici dell’arte e dello spettacolo laureati nelle più disparate Università dirigono istituti così particolari quali i nostri senza aver minima idea di cosa sia davvero un laboratorio. Questo è il vero processo di deculturalizzazione nazionale: molte delle Accademie statali vanto e attrazione mondiale per via soprattutto delle loro specificità tecnico-laboratoriali stanno oggi affondando su di una mega passerella cigolante, una sorta di enorme banchetto in cui non si sa più cosa mangiare per prima. Nascono così i programmi elettorali più commoventi che siano mai esistiti. A Palermo l’attuale Direttore promette i seguenti obiettivi: dialogo tra docenti e studenti, nuovo ordinamento come approdo morbido e felice, interpretazione di ciò che si è ascoltato e interpretato in questi anni di riforma, rafforzamento dei laboratori ponendoli al centro dell’universo didattico e ruoli ben distinti dei dipartimenti per una proficua collaborazione con il consiglio accademico. Ho citato i più significativi obiettivi perché questi sono rimasti vane parole, è passato più di un anno dalla riconferma di Umberto De Paola a Direttore dell’Accademia e nei tre anni di mandato svolti in precedenza già erano state elargite promesse simili. Il cancro che regna in Accademia è proprio questo, quello di non tener conto delle promesse e degli obiettivi di figure così importanti come quelle di un Direttore. È sempre stata un’eterna promessa di belle intenzioni, ma nei fatti il dialogo tra i docenti e gli studenti rappresentanti non è mai avvenuto in maniera utile (eccetto durante quest’ultimo periodo, in cui alcuni rappresentanti degli studenti hanno improvvisamente cambiato il loro obiettivo politico e vengono costantemente verbalizzate loro le più disparate lodi in seduta di Consiglio Accademico). Sono anni che gli studenti sperano in un dialogo costruttivo, promesse quali la volontà di istituire incontri settimanali tra il Direttore e la Consulta degli Studenti o la partecipazione studentesca ai lavori delle commissioni interne non si sono mai concretamente realizzate. Penso inoltre che sia il caso di tenere degli incontri tesi a spiegare al personale in servizio presso l’Accademia, cosa si intende oggi per “mobbing”; trovo che una corretta informazione sull’argomento non possa che giovare a determinate persone. Ancora più incredibili sono affermazioni come quella che paragona il nuovo ordinamento ad un approdo morbido e felice, quando nei fatti a Palermo, così come in tutte le Accademie italiane, il N.O. si è dimostrato un modo per elargire benefici e di certo non agli studenti. Però continuiamo a subire un sistema formativo che si regge al 60% circa di insegnamenti a contratto annuale, violando così il sacrosanto diritto alla continuità didattica. La mancanza tutta italiana della ricerca di III livello all’interno delle Accademie è svanita dai dibattiti interni agli istituti e tra i docenti ormai si parla solo del rinnovo del contratto scaduto da cinque anni. Tenere i lavoratori “della cultura” in questo eterno stato di precarietà, è certamente un modo per distogliere l’attenzione dai veri problemi che non permettono che le Accademie possano diventare realmente competitive. Che senso ha avere nella stessa città un’Accademia di Belle Arti che offre i più disparati corsi di Diploma teorico-pratici quando parallelamente all’interno dell’Università spuntano come i funghi dubbi corsi di laurea triennali e biennali gemelli a quelli dell’Accademia ma sviluppati sulla sola teoria? Sarà forse un caso che il titolo finale conseguito negli Istituti AFAM continua ad essere ancora oggi un diploma accademico mancante di reale equiparazione? Ma soprattutto che ruolo ha lo STAMS (ex DAMS) in tutto ciò? Non ci avevano spiegato che il volere espresso dal legislatore è quello di trasformare le Accademie in luoghi dove coesistono esperienze didattiche teoriche e pratiche dell’intero variegato mondo dell’arte? Sono ovviamente tutte domande retoriche a cui io ho dato una risposta da tempo, ma che continuano ad essere a mio avviso dei passaggi chiave della vera (non) riforma. Diciamo pure che in un decennio si è passati dal “saper fare” al “saper sopravvivere”, le modifiche agli ordinamenti che dovevano essere garanzia di contemporaneità degli studi si sono trasformate in un “lascia o raddoppia”. A Palermo ad esempio è nato da un anno un corso di restauro triennale che è quasi totalmente privo di attrezzature e di collaborazioni REALI con gli enti pubblici e ancor più con quelli privati. E’ scontato quindi precisare che nei fatti, si tratta di un corso che è tutto tranne che competitivo con le realtà locali del restauro che operano sulle enormi esigenze territoriali. Inoltre, essendo anche cambiata di recente la legislazione nel merito della formazione al restauro, è incredibile che le accademie continuino a far iscrivere ai corsi di restauro gli studenti come se nulla fosse successo. E i corsi storici dell’Accademia a che punto sono del loro processo di miglioramento? Quest’anno a Palermo si sono registrati soltanto sei iscritti di primo anno al corso di Scenografia, dimostrazione di come i corsi storici delle Accademie siano per lo più ad esaurimento sotto la più totale indifferenza. Non nego che il problema risieda anche e soprattutto nella quasi totale mancanza d’interesse professionale e lavorativo della politica territoriale ma se non è l’Accademia a farsi promotrice di un dibattito serio sullo stato dell’arte di un territorio chi deve farlo? Ad esempio: i nostri politici sanno in che spazi operano gli studenti delle belle arti? A Palermo, così come in molte accademie d’Italia, uno dei problemi più urgenti è quello degli spazi; l’attuale Presidente dell’Accademia, eletto con la seguente motivazione culturale: “Il fatto che egli sia un professore di Diritto privato all’Università di Palermo, fornisce tutela giuridica all’Accademia di Palermo che ne sente altamente il bisogno in questo suo particolare momento storico”, ha basato il suo primo mandato quasi unicamente sul tentativo di risolvere questo problema tanto da affermare in sede di riunione che se non si fosse risolto si sarebbe dimesso. Cosa è realmente cambiato? Corsi di Diploma che richiedono ingenti spazi come scultura, oggi si ritrovano collocati in luoghi dell’assurdo, spazi da 1 mq. a studente, cifre che solo gli oppressi lavoratori cinesi possono invidiare. Seguo la lezione di Tecniche del marmo e delle pietre dure cosciente che posso tornare a casa ogni giorno pieno di lividi arrecati dalle pietre che saltellano dai sei colleghi che mi stanno vicino con i loro lavori. Spazi non ventilati, nessuna uscita di sicurezza e mancanza delle più banali misure di prevenzione sono da anni problemi per cui non si è fatto nulla. La soluzione tanto pubblicizzata dalle dirigenze è stata individuata in uno spazio ex industriale utilizzato tra l’ ‘800 e il ‘900 in cui già tentano di sopravvivere diverse realtà culturali palermitane quali il “Goethe Institut” di cultura tedesca, la biblioteca “Gramsci” e il centro sperimentale del documentario di Sicilia. L’unica pecca è quella di aver accettato un contratto di sei anni (potenzialmente rinnovabile per altri sei) quale soluzione effettiva dei problemi di spazio dell’Accademia, e il motivo è sempre quello di ragionare con la politica del “poi si vedrà”. Questi sei anni di contratto sono iniziati il primo Gennaio duemilanove e ad oggi non sono ancora cominciati i lavori per la messa a norma degli spazi. Ecco che i sei anni si trasformano in cinque e, tenendo conto del tempo necessario per i lavori, alla fine saranno sicuramente quattro. Non ho problemi nell’ammettere che io stesso ho avallato la stipula del contratto, l’ho fatto perchè mi ero illuso che potesse cambiare davvero qualcosa nel modo di gestire le urgenze, ma l’ho fatto dicendo chiaramente che da questa operazione avrebbe guadagnato solo il comune di Palermo che è il proprietario degli spazi e che può riprenderseli quando vuole se dovesse averne esigenza (come da contratto). Lo scorso governo Prodi ha dato all’Accademia di Palermo circa 330.000 euro per poter trovare una soluzione definitiva al problema spazi ed ecco che Palermo risponde con la più precaria delle soluzioni. Questo che sembra più un bollettino di guerra che un articolo su di un istituto di belle arti, è frutto della perenne disinformazione che osservo da anni e di cui oramai sono saturo. Chiunque fosse interessato agli aspetti positivi dell’Accademia di Palermo può venire a vedere con i suoi occhi come da queste parti tutto eccelle. Approfitto della cortesia fornitami da “Academy” per fare sentire almeno una volta un pezzo di verità sulla condizione studentesca italiana di chi, come me, ha avuto la fortuna di esserne parte in questo secolo di perenni contraddizioni. Luca Bonanno [email protected] 52 COLORE & COLORI recensioni di Lia Luzzatto e Renata Pompas 272 pagine, a colori, 170 x 240 mm, paperback, € 29,00 © 2009, Il Castello srl, www.ilcastelloeditore.it Il libro racconta il colore nella sua varietà: dall’architettura, al design, alla moda, all’arte, al cinema con riferimento ai trend cromatici che me hanno suggerito l’uso. Descrive le interferenze tra colore, luce, superficie e materia; parla del colore nella bellezza individuale, nel benessere fisico e psichico. Aiuta a trovare le relazioni che intercorrono tra colore, sostanza e ambiente per individuare la ‘qualità di gamma’ necessaria a definire il significato cromatico complessivo del progetto. Porta esempi di come il colore esprima identità e appartenenza sociale, industriale e culturale, di come possa trasmettere visibilità forza, emozione per far emergere un prodotto e posizionarlo sul mercato. Il libro è illustrato da un centinaio di immagini a colori di grande suggestione, corredate da una ottantina di palette cromatiche in cui sono suggeriti accostamenti e combinazioni tonali tematici, ideale strumento di lavoro per chi progetta con il colore. Studiose, storiche, giornaliste ed esperte del colore, Lia Luzzatto e Renata Pompas hanno maturato una lunga esperienza internazionale su questo tema. Membre di network internazionali riconosciuti quali:AIC-International Color Association, ECD-Environmental Color Design, CE-Study Group on Colour Education, GdC-Gruppo Italiano del Colore, ETN-European Textile Network ,TEXERE- Textile Education and Reasearch in Europe. Tengono lezioni, conferenze, seminari in aziende, istituzioni e università. Oltre a centinaia di articoli e contributi in libri collettivi, hanno al loro attivo numerose pubblicazioni, tra cui ricordiamo: “Il colore persuasivo – comunicazione, grafica, pubblicità, new media” Il Castello (2001); “Il significato dei colori, nelle civiltà antiche” Tascabili Bompiani, (2001); “I colori del vestire. Variazioni – Ritorni – Persistenze” Hoepli, (1997); “Conoscere e capire il colore” Il Castello, (1988); “Il linguaggio del colore” Il Castello, (1980); R.Pompas, “Textile Design. Ricerca–Elaborazione–Progetto” Hoe1994). * Renata Pompas e Lia Luzzato si sono diplomate all’Accademia di Brera 53 IL CASO DI VIVERE UN LIBRO DI MINO CERETTI FERNANDO DE FILIPPI Il carattere di questo libro permette di avvicinare la visione di Mino Ceretti (Milano, 1930) non solo attraverso gli aspetti autobiografici ma soprattutto per il tramite di valori esistenziali che si dilatano fino a interrogare i fondamenti dell’essere. In questo viaggio nel labirinto vivente del passato si avverte l’emozione di porsi al fuori di ogni sistema obbligante, si colgono le inquietudini e le contraddizioni tra il piano dell’esperienza e quello dell’immaginazione, tra lo slancio ideale e la verifica delle utopie potenziali dell’arte. Emerge il filtro della cronaca che si fa storia, della vita che si fa respiro sociale, del linguaggio pittorico che diventa misura quotidiana del fermento culturale che anima l’autore, dalla fine degli anni trenta ad oggi, quasi senza pausa. Il tempo lavora a più riprese, talvolta avvolge nell’oblio i fatti dolorosi, in altri casi li mette a nudo nella loro drammatica verità, con un equilibrio raggiunto tra la pacata nostalgia del vissuto e la volontà di trasformare l’angoscia e la gioia degli eventi nella convinzione che solo attraverso lo smarrimento si può aver coscienza del “caso di vivere”. Al centro della scrittura di Ceretti sta la forza limpida del ricordo, in un modo che non è mai memoriale ma sempre aperto alla verifica del futuro, oltre la scatola chiusa del passato, verso le cose ancora da conoscere. Molteplici sono gli scenari, la famiglia, gli amici, la scuola, il collegio, i paesaggi, gli incontri, l’avventura delle mostre, i rapporti con gli amici artisti. Nel diramarsi dei ricordi giovanili emerge con persistenza l’esigenza del continuo viaggiare per aprisi ad altre esperienze in un confronto aperto e produttivo. Per l’artista si tratta sempre di raccogliere stimoli necessari per addentrarsi nella pittura vissuta come flusso di inquiete energie, critica della rappresentazione ancora possibile. Significative sono infine le riflessioni dedicate all’insegnamento tenuto all’Accademia di Brera, un impegno che Ceretti ha vissuto con passione per qualificare la ricerca dell’identità come valore centrale dell’esperienza didattica, operativa, riflessiva. Fernando De Filippi ha esposto fino al 31 gennaio con un’ampia mostra antologica (Opere 1962 – 2009)nella ex Chiesa di S. Francesco della Scarpa. La mostra, curata da Michele Afferri e Antonio Cassiano è completata da un ampio catalogo di 128 pagine; all’interno diverse testimonianze e riproduzioni di opere del vasto arco produttivo della sua attività artistica. Antonio Cassiano, Direttore del Museo Provinciale di Lecce, scrive in catalogo: “Entri nello studio di De Filippi e arrivi all’anima dell’artista. Ordinato, razionale, con le opere a lui più care che hanno scandito cinquant’anni di creatività, sempre lì a consentirgli una memoria e una meditazione su come continuare; ma poi ecco i pacchi di cataloghi di tante mostre, i disegni, gli strumenti di lavoro, i ricordi sparsi, i cavalletti, i libri, i mobili, gli scaffali attraverso cui aggirarsi per scoprire come si passa da un’idea a un progetto a una tela finale”. La descrizione riporta direttamente alla copertina del catalogo che sintetizza la complessità e la stratificazione di esperienze che De Filippi ha attraversato nella sua felice carriera. De Filippi è nato a Lecce nel 1940, ha iniziato a dipingere giovanissimo partendo dalla tradizione della “bottega”, e poi studia all’Istituto d’Arte di Lecce e all’Accademia di Brera, prima ai corsi di Pittura del prof. Morelli, poi a quelli di scenografia del prof. Varisco. Dopo aver vissuto a Parigi, torna a Milano dove dal 1971 al 1973 è direttore del Liceo Artistico di Brera. Dal 1979 è stato docente titolare di Scenografia all’Accademia di Brera che ha successivamente diretto per quasi vent’anni. De Filippi dirige attualmente l’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona. A lui si deve principalmente l’intensa attività di rinnovamento della didattica delle Accademie, seguito dalla legge di riforma 508/99. Una riforma che ha visto un decisivo ampliamento dell’offerta formativa con il conseguente passaggio, ancora non pienamente realizzato, delle Accademie nel sistema universitario italiano. Claudio Cerritelli Gaetano Grillo recensioni * Mino Ceretti ha insegnato all’Accademia di Brera prima come assistente alla cattedra di Scultura tenuta da Alik Cavaliere e poi come titolare della cattedra di Pittura sino al 2005. con un’antologica nella sua città natale: Lecce. recensioni 54 Fausta Squatriti con la sua mostra “Ecce Homo” alla Galleria d’Arte Moderna di Mosca “ECCE HOMO” il titolo dato da Fausta Squatriti alla mostra inauguratasi il 10 dicembre 2009 in una delle sedi della galleria d’Arte Moderna di Mosca, la Russian Academy of Fine Arts. Sotto il titolo “Ecce Homo”, l’artista che indaga con dolorosa esattezza l’Umanità nei suoi aspetti più miserabili, sopraffazione, guerra, catastrofi causate da incuria, crudeltà, fino alla perdita della ragione: malati di mente abbandonati a se stessi, in un ospedale-lager, in un paese europeo, ai giorni nostri. Il ciclo estende il proprio titolo a tutta la mostra e al bel libro edito da Charta, in tre lingue, con testi della curatrice Evelina Schatz, di Elisabetta Longari, Angela Madesani, Michail Pogarskij. In questo libro così ben concepito e stampato, si riconosce la mano compositiva dell’artista, che nel proprio lavoro procede per capitoli, dedicandosi di volta in volta a un unico tema, e costruendo, negli anni, un suo romanzo per immagini (ricordiamo anche la vena narrativa di Squatriti). Un’ansia di totalità sembra condurre la ricerca di questa non facile artista, con alle spalle una lunga carriera, connotata dalla multiformità (caratteristica per lo più disfunzionale alle leggi del mercato). Le diverse forme in cui l’artista si esprime si sviluppano con uguale forza e attenzione alla forma del genere via via adottato e questa postura si rivela contro-corrente ai giorni nostri così devoti alla specializzazione. Il lavoro di Squatriti, aspro, dolente, respingente, anche a causa dei soggetti scelti per urlare, se pure freddamente, il proprio dissenso da come le umane cose traballino, divaghino dal bene agognato, per precipitare il più delle volte nel dolore. La sua visione é catastrofica, e la catastrofe viene messa in scena con freddezza, usando canoni, liberamente scelti e rinnovati dalla straniante mescolanza di tante avanguardie del ‘900. Contamina immagini riconoscibili, ottenute tramite la fotografia, propria o “trovata” ma quasi sempre ritoccata, con le forme geometriche, sovrane, meravigliose e mentali che fanno da contro-altare alla - realtà riconoscibile, all’inganno teso dalla fotografia. Proprio questa contaminazione dei generi produce il disagio cercato dall’artista per mettere alle strette chi osserva e porgli domande scomode. L’insieme risulta scioccante. Quattro sono i cicli raccolti nelle due enormi sale del Museo in via Precistenka, nel cuore di Mosca, di cui le tre sculture più recenti, “L’opera al nero”, sono diverse da tutto il resto. Squatriti torna alla scultura a tuttotondo, come tante ne aveva fatte, diverse, negli anni tra il ’60 e la fine degli anni ’70. Il pubblico moscovita é rimasto impressionato dal lavoro di denuncia, eppure fissato in composizioni alla ricerca della perfezione e della bellezza che svolgono un’azione paradossale per attrarre di attrazione e repulsione, mettendoci spesso sotto gli occhi l’inguardabile: il dolore del mondo e la responsabilità che l’Uomo ha, con il suo comportamento delinquenziale svelato senza mezzi termini, ma con una notevole dose di pietà. Alessandro Gioiello Domenico David espone a Catania alla Galleria Carta Bianca con una personale dal titolo “A basso voltaggio” dal 5 febbraio al 10 marzo 2010. David, che di recente ha esposto anche presso la Galleria Antonio Battaglia di Milano con un catalogo a cura di Elena Pontiggia e pubblicato da Prearo Ed., è docente di Tecniche Pittoriche presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. In questa occasione Domenico David espone una serie di paesaggi notturni di medie e grandi dimensioni che l’artista ha realizzato tra il 2008 e il 2009. Il titolo della mostra A basso voltaggio è il termine che l’artista prende a prestito dal mondo dell’energia industriale interrogandosi sul rapporto tra la luce artificiale e spazio nero. Sarebbe infatti impensabile la visione di un mondo (un paesaggio) notturno privo di luce artificiale. Si perderebbero i contorni, le forme, il senso dello spazio. David indaga così su un linguaggio di pittura ontologica; il nero di fondo che avvolge e dialoga con l’impasto dei colori-luce, fino agli ultimissimi lavori virati su una particolare dominante di blu. Il risultato finale è quello di una pittura intensa e mentale fatta di pennellate veloci cariche di colore vibrante che si stagliano dallo spazio nero. Michelangelo Pistoletto Ti amo (Oggetti in meno), 1965 - 1966 acrilico su tela, cm. 60 x 70 (collezione : Fondazione Pistoletto) Amore A-meno a cura di Elisabetta Longari Spazio Museale di Palazzo Tornielli, Ameno (NO) dal 12.2 al 5.4.2010 Un progetto di Asilo Bianco e Cuore Verde tra due Laghi La Casa dell’Energia, in occasione del centenario della costituzione dell’Azienda Elettrica Municipale di Milano, presenta dall’11 al 30 marzo, Light Abstr-Action, la prima installazione di Cristiana Fioretti site-specific multimediale. In questo edificio razionalista si espone un’installazione che interagisce con lo spazio, puntando sull’effetto scenografico, mediante un mix di colori, suoni, proiezioni, light box. Astrazione, luce, suono e proiezioni interagiscono con l’architettura e sono gli elementi di un progetto complesso composto da volumi e dimensioni luminose che amplificano la nostra percezione dello spazio. L’autrice compone non opere singole, ma un progetto unitario creato come uno spartito cromatico, con note tonali contenute in light box verticali, volumi luminosi che interagiscono con lo spazio e invitano lo spettatore ad immaginare paesaggi descritti nel segno della luce, nell’evocazione di atmosfere trasparenti come l’aria e in perenne movimento come il mare. Fioretti passa dalla visibilità alla strutturalità dell’opera che non è più di rottura, com’è stato l’astrattismo nei primi anni del Novecento, ma di struttura come dimostra questo site-specific che trasforma lo spettatore in un catalizzatore di spazi aperti, dentro a un contenitore chiuso con pochissime aperture e fonti d’illuminazione naturali.Cristiana Fioretti, pittrice e scultrice, già nota per “cartografie” cromatiche di orizzonti poetici, è sperimentatrice poliedrica di materiali e docente di Cromatologia all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e direttore artistico del Museo Internazionale dell’Immagine Postale di Belvedere Ostrense (Ancona). Fioretti fin dagli esordi si caratterizza per una ricerca concettuale sui materiali, concentrandosi poi sull’elemento astratto e lirico del colore, unendo l’antimaterialismo di Kandinskij alla scultura, all’oggettualità e tattilità dei materiali naturali ed artificiali. Queste sono in sintesi le caratteristiche fondamentali della sua ricerca. Dal 2000, nell’epoca della rivoluzione informatica, del sex appeal dell’inorganico e della tridimensionalità “sensazionalistica”, Fioretti ha scelto di applicare un codice astratto alle opere a tecnica mista, caratterizzate da contrapposizioni tonali e associazioni di effetti cromatici, procedendo per stratificazione e contaminazione di tecniche e linguaggi. È interessata alla forma e al colore, allo spazio e al tempo, alla natura, al variare dei rapporti di luce che determinano forme attraverso gradazioni e tonalità di colori sempre diversi. Questa ricerca ha aumentato quantitativamente e qualitativamente la sperimentazione dei mezzi espressi tradizionali, giungendo fino alle nuove tecnologie. Nella sua qualità di docente e ricercatrice di spazi luminosi ha sempre parlato non soltanto della pittura o dell’arte compositiva del colore, ma ha evidenziato rapporti di queste attività con la natura, la scienza, la musica, la poesia, la tecnologia, maturando una singolare poetica del paesaggio. Tiene regolarmente seminari sul colore in Italia e all’estero, mantenendo scambi culturali con Lisbona, Budapest, Stoccolma e New York. Dopo aver indagato la luce naturale, dal 2000 s’interessa a quella artificiale, in seguito all’organizzazione del workshop “La poetica del lighting designer”. La sperimentazione delle nuove tecnologie ha portato Fioretti, dopo anni di opere da cavalletto, su tela o altre superfici con pittura ad olio ed acrilica, acquarello e di lavori a tecnica mista, collage, sculture e stratificazioni polimateriche, a studiare opere di light art con l’obiettivo di espandersi per andare oltre la superficie, oltre il volume scultoreo per costruire uno spazio fisico dove fare l’esperienza dell’astrazione. 55 recensioni La mostra presenta una panoramica di artisti contemporanei viventi che con diverse tecniche e poetiche affrontano il tema dell’amore nella sua accezione più ampia. Parole d’amore, simboli, lettere, fotografie, oggetti comuni e ricorrenti nelle relazioni amorose vengono reinterpretati dagli artisti e proposti da nuovi punti di vista. L’allestimento si apre con un’opera del 1965 di Michelangelo Pistoletto, dal titolo inequivocabile “TI AMO”, dalla serie “Oggetti in meno”. Enrica Borghi presenta il progetto “Zapping in Love”, nato dalla residenza in Galles, a Swansea, dove è nato e vissuto il poeta Dylan Thomas, che diventa la controparte con cui l’artista simula una relazione amorosa. Parole e immagini ricorrono in molte delle opere presenti in mostra. Verso la metà degli Settanta, e ciò acquistava una tempestiva valenza di svelamento dei meccanismi dell’immaginario collettivo legato al femminile, Nicole Gravier realizzava i “suoi” foto-romanzi: una serie di fotografie in cui l’artista si identifica nei ruoli stereotipati dell’attesa amorosa. Sempre negli anni Settanta William Xerra interviene sulle stucchevoli e demodeé cartoline d’amore fin de siecle, ritagliando e asportando la figura maschile su cui applica la scritta “Io mento”, sottolineando così che la finzione è assolutamente strutturale all’amore, e alla costruzione del sé. Meri Gorni mescola foto-ritratto di donne alle loro lettere d’accompagnamento che terminano tutte con la medesima frase che dà il titolo all’opera (Ti mando, come promesso, il mio ritratto). Fausta Squatriti attraverso lettere, cartoline e un calepino propone il carteggio fra due amanti lontani, con uno scambio di vedute così profondo da rientrare a pieno titolo nella categoria delle opere filosofiche. Valerio Ambiveri offre un’immagine “parziale” e sensualissima dei corpi della coppia archetipica, Adamo ed Eva, con una meravigliosa tecnica che combina il disegno a grafite con la texture del marmo bianco del supporto. Non poteva mancare un “omaggio” alle celebri frasi dei Baci Perugina, entrate a far parte dell’immaginario collettivo: l’artista Luigi Billi propone ingrandimenti “oggettuali” dei bigliettini contenuti nei Baci con le frasi accartocciate e appese alle pareti. Più simbolico e legato a immagini d’impatto il lavoro di altri artisti: Adele Prosdocimi espone un lavoro di trascrizione di un carteggio amoroso le cui parole costituiscono un flusso continuo; a ogni voce corrisponde un colore, rosso e arancio, che trascolora nell’altro, come recitare un mantra. Rossella Roli presenta un crudelissimo cuore di vetro rosso conservato in un’elegante cappelliera; questa immagine, mentre riporta alla memoria il “sacrificio” di Biancaneve, evoca il cuore straziato, le pene d’amore. Giancarlo Montebello offre la rivisitazione di un medaglione, tipico pegno d’amore, che al centro, invece del ritratto dell’amato/a, porta una fotografia di Paola Mattioli dal titolo Colpire al cuore. Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, che sono una coppia nella vita e nell’arte, sono gli autori e i protagonisti del video “Hurt so good” che svela la sottile ambiguità fra il gioco innocente e il sadismo di due amanti, mentre Angelo Molinari propone una specie di studio pittografico svolto in 4 quadri a partire dalla famosa opera Amor sacro e amor profano di Tiziano. La mostra sarà accompagnata da un volume (Prearo) con un saggio introduttivo di Elisabetta Longari, un testo di Arturo Schwarz e uno di Paola Mola. Cristiana Fioretti 1910-2010 Light-Abstr-Action: l’interiorità plasma uno spazio dell’astrazione a cura di Jacqueline Ceresoli Milano, Casa dell’Energia (Piazza Po 3), 11 marzo - 30 marzo 2010 Giuliano Giuman nominato nuovo direttore dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, rilancia con vigore la storica istituzione; segue una sua breve dichiarazione ma sul prossimo numero di Academy daremo più spazio a questa nuova stagione di un’antica Accademia situata nel cuore di una regione ricca di storia e sede privilegiata di tanti artisti di fama internazionale. L’Accademia di Perugia è stata fondata nel 1573. Sono stato nominato direttore nel mese di novembre del 2009. Ho dichiarato subito all’apertura dell’anno accademico, che in questo primo anno vorrei raddoppiare il numero delle iscrizioni e credo che questo non sia così difficile come può sembrare, perché abbiamo un bacino potenziale sia sul territorio, sia sulla presenza di studenti che frequentano la nostra università per Stranieri che per molti anni sono stati dimenticati o disinformati. Per questo in due mesi si è realizzato il sito ufficiale (www.abaperugia.org) che è il primo passo fondamentale per avere una comunicazione efficace e conoscitiva della nostra struttura e dei nostri programmi. Dopo molti anni torneranno i Corsi Estivi Internazionali e sono in programma in primavera delle manifestazioni di nuova visibilità nella città. Giuliano Giuman recensioni 56 ALESSANDRO RUSSO Con una personale dal titolo Paesaggi e figure, alla Galleria Antonio Battaglia di Milano Giovedì 21 gennaio 2010, alle ore 19, la Galleria Antonio Battaglia di Milano, inaugura una nuova mostra personale di Alessandro Russo dal titolo Paesaggi e figure. In mostra un nuovo ciclo di opere dell’artista calabrese dove alterna queste inedite zone industriali con le figure - comizi, tipiche della sua pittura da sempre fortemente caratterizzata da una particolare tradizione figurativa italiana. L’artista dispiega i capannoni dei suoi paesaggi industriali, sia attivi che in disuso, sotto i cieli caratterizzati dalla dispersione atmosferica di fumi tossici e nocivi, ottenuti da dense pennellate di colore ad olio, dalle infinite sfumature e dalle delicate tonalità pastello. Icone tragiche d’un assalto ambientale difficile da risanare, una denuncia dell’artista che prende spunto dai suoi luoghi di origine. Alessandro Russo è tra i pittori protagonisti della scena artistica calabrese in crescente sviluppo negli ultimi anni. Sue opere sono esposte nelle maggiori raccolte calabresi e presso enti nazionali e internazionali. *Alessandro Russo è nato a Catanzaro nel 1953, dove vive e lavora. E’ docente di Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Nel 1979 espone a Milano, alla Galleria Lusca e alla Galleria Schettini. Nel 1980 espone alla Sala Esposizioni della Provincia di Catanzaro. Nel 1981 con una personale alla Galleria Pananti di Firenze,inaugura la rassegna della Giovane Pittura Europea, su proposta di Piero Bigongiari, dove nel 1988 espone ottanta opere inedite di grandi dimensioni. Nel 1995, a Paces (Ungheria), tiene una personale al Museo per la Settimana della Cultura Italiana. Nel 1996 espone al Museo Petofi di Budapest. Nel 1998 realizza una serie di litografie originali edizioni la Spirale Arte ed è presente in permanenza alla Galleria Vinciana di Milano. Nel 1999 espone al Museum of Fine Arts di Valletta (Malta). Nel 2003 con l’Istituto Francese di Firenze viene inaugurata a Palazzo Lenzi la mostra “Le chef d’oeuvre inconnu”. Nel 2005 espone al complesso monumentale del San Giovanni a Catanzaro. Nel 2006 alla Galleria Antonio Battaglia “Opere e artisti 1973-1992” – Museo d’Arte Contemporanea dell’Accademia di Catanzaro; nel 2008 a Napoli alla Galleria Movimento Aperto con opere della serie dei Comizi; nel 2009 a Milano alla Donec Capiam Studio. Catalogo Edizioni Galleria Antonio Battaglia, testi di Rosario Pinto e Mauro F. Minervino GALLERIA ANTONIO BATTAGLIA, Milano naturalmente, il meglio Via Antichi Pastifici Lotto B/12 - Z.I. 70056 Molfetta (Bari) Tel. 080.3381123 - Fax 080.3381251 [email protected] - www.limmagine.net nE L’IMMAGINE AZIENDA GRAFICA SRL mmAG I L’ I ® MAIMERI OLIO x red accademy 10-02-2010 17:46 Pagina 1 DAI POTENZA ALLA TUA FANTASIA modello Porsche dipinto da Alessandro Gedda, concept e photo Claudio Sforza 38 COLORI FORTI E BRILLANTI 4 PASTE A OLIO INNOVATIVO PRATICO IMMEDIATO EFFICACE GRANDE FORMATO CONVENIENTE RISPETTA L’AMBIENTE made in Italy dal 1923