pdf

Transcript

pdf
TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, IDEE, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2010 - N°4 - EURO 6,00
Redazionale:
L’ORA DELLA SVOLTA
Intervista a:
DARIO FO SU BRERA
Patrimonio storico:
LO STUDIO DI F. HAYEZ
Maestri storici:
EMILIO VEDOVA
Docenti:
GIANFRANCO NOTARGIACOMO
FRANCESCO CORREGGIA
FRANCESCA A. MIGLIETTI
Progetti: il bello è il buono
GUALTIERO MARCHESI
NICOLA SALVATORE
ALDO SPOLDI
SULLA SCULTURA
ACCADEMIA DI CATANZARO
Ex studenti:
ANNA LISA RIVA
Fondazione Maimeri:
SARANNO FAMOSI
Studenti:
LUCA BONANNO, PALERMO
Sostieni Academy!
con pubblicità e abbonamenti
per il nuovo anno anche individuali, ognuno potrà ricevere la
rivista comodamente a casa propria.
contattaci scrivendo a:
[email protected]
o telefonando al: 02.87388250 / 3397880296
TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, IDEE, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2010 - N°4 - EURO 6,00
oppure bonifico bancario intestato a:
Editrice L’Immagine srl
UNICREDIT BANCA DI ROMA SPA - MOLFETTA
IBAN: IT 36 Z 03002 41560 000010242187
TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, IDEE, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2009 - N°3 - EURO 5,00
versamento su c/c postale n°89424840
REDAZIONALE
Distruggere l’Accademia di Brera
Intervista a
MICHELANGELO PISTOLETTO
La sua esperienza all’Accademia di Vienna
Intervista a
DANILO ECCHER
Direttore della GAM di Torino
Intervista a
ENZO INDACO
Presidente dell’Accademia di Catania
PREMIO NAZIONALE DELLE ARTI
Accademia di Catania
Intervista a
MARTINA CORGNATI
Docente all’Accademia Albertina di Torino
Intervista a
NICOLA MARIA MARTINO
Artista e Direttore dell’Accademia di Sassari
Intervista a
ALESSANDRO GUERRIERO
Designer e Presidente della NABA, Milano
UNICREDIT & ART
L’esperienza con l’Accademia Albertina
Una mostra
GIUSEPPE MARANIELLO
Ex studenti
MICHELE GIANGRANDE
Sommario ragionato
di Elisabetta Longari
Siamo al primo numero del secondo anno,
un risultato importante che comunque va
rafforzato non solo da tutti i nostri attuali
ma anche dai nostri potenziali lettori.
La copertina dedicata a Emilio Vedova è la
prima di una scelta redazionale che vuole
ricordare grandi maestri contemporanei, tanto
affermati nel mondo artistico quanto importanti
per il ruolo didattico che hanno svolto.
Questo numero focalizza l’attenzione
principalmente su due accademie, quella
di Catanzaro, che dimostra di vivere una
stagione particolarmente fruttuosa, e quella
di Brera, che sta attraversando un momento
delicato, ricco di nuovi e stimolanti confronti,
come le “visite ufficiali” di Saviano con Fò, di
cui pubblichiamo un’intervista, e di Storaro,
ma nel contempo afflitta dal problema della
sede che si acuisce con il passare del
tempo (il progetto “Grande Brera” firmato
originariamente da Franco Russoli risale
agli anni Settanta, ma con l’avvicinarsi della
data dell’Expo ha subito un’improvvisa
accelerazione dopo anni di torpore).
Lo spazio abitualmente dedicato
all’approfondimento della conoscenza di
una figura di spicco nell’ambito teorico è in
questo numero affidato a Francesca Alfano
Miglietti, critico militante, curatore di mostre,
docente e autore di diverse pubblicazioni nel
corso delle quali rivolge il proprio sguardo
appassionato alla materia incandescente
della sensibilità contemporanea. FAM non
si limita a raccontare un po’ di sé, della sua
avventura nell’arte, segnala e propone anche
il lavoro di Anna Lisa Riva, sua ex allieva. Un
nuovo capitolo viene aperto dall’articolo di
Francesca Valli sullo studio di Hayez; d’ora in
poi Academy si occuperà anche di dare risalto
al patrimonio storico delle singole istituzioni.
Siamo cresciuti e speriamo di continuare a
farlo.
Iniziativa editoriale adottata come progetto dall’Accademia di Belle Arti di Brera
A A
DEMY
OF FINE ARTS
NUMERO 4 / Inverno 2010
SEDE
Viale Stelvio, 66
20159 Milano
tel. 02 87388250
fax 02 6072609
[email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE
Claudio Cugusi
DIRETTORE
Gaetano Grillo
DIRETTORE MARKETING
Marcella Renna
SOMMARIO
*Tutte le collaborazioni si intendono a titolo gratuito
ACADEMY OF FINE ARTS
Iscritto al Tribunale di Trani
n.3/09
Fondato da Gaetano Grillo
REDAZIONE
Gaetano Grillo
Elisabetta Longari
Alessandro Gioiello
GRAFICA E PUBBLICITÀ
Marcella Renna
3397880296
EDITRICE
L’IMMAGINE SRL
Zona Industriale Lotto B/12
70056 Molfetta (Ba) Italy
FOTOLITO E STAMPA
L’IMMAGINE AZIENDA GRAFICA SRL
Via Antichi Pastifici Lotto B/12 - Z.I.
70056 Molfetta (Ba) Italy
tel. +39.0803381123
fax +39.0803381251
www.limmagine.net
[email protected]
02
Editoriale, di Gaetano Grillo
04
Intervista a Dario Fo
10
Patrimonio storico: Hayez
14
Maestri storici: Emilio Vedova
22
Docenti: Gianfranco Notargiacomo
26
Docenti: Francesco Correggia
30
Progetti didattici: Il bello è il buono (Nicola Salvatore, Gualtiero Marchesi, Aldo Spoldi)
34
Docenti: Francesca Alfano Miglietti
37
Sulla Scultura
41
Accademia di Belle Arti di Catanzaro
46
Ex studenti: Annalisa Riva
48
Fondazione Maimeri: Saranno famosi
50
Studenti: Luca Bonanno, Accademia di Belle Arti di Palermo
52
Recensioni
HANNO COLLABORATO*
Alfano Miglietti Francesca
Bonanno Luca
Cerritelli Claudio
Chielli Giancarlo
Francone Serena
Gazzarri Fabrizio
Maimeri Gianni
Pangaro Rocco
Parmesani Loredana
Tosi Barbara
Valli Francesca
In copertina:
Emilio Vedova
Foto di Graziano Arici
L’UNICA RIVISTA PERIODICA RIVOLTA ALLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, AI DOCENTI, AGLI STUDENTI E A TUTTI GLI OPERATORI DEL SETTORE.
L’ORA
DELLA
SVOLTA !
di Gaetano Grillo
redazionale
Come il Governo intende raggirare
il riconoscimento giuridico ed
economico dei docenti delle
Accademie.
Nel disegno di legge n.1693 del luglio scorso, presentato al
Senato della Repubblica da ben diciannove senatori, si sollecita il
completamento della piena attuazione della legge n. 508/99.
Dal testo si evince a chiare lettere che il provvedimento si rende
“improcrastinabile” perché richiesto dal Presidente della Commissione
di Bruxelles, Marcin Libicki, in merito agli impegni sottoscritti al
“Processo di Bologna” dai quarantasei Paesi che si sono impegnati
a realizzare entro il 2010 un processo di riforma a carattere europeo
dell’istruzione superiore.
La scadenza imminente porrebbe l’Italia in una posizione di irregolarità
se non completasse l’iter previsto poiché in tutti questi dieci anni
trascorsi non ha ancora risolto il problema del riconoscimento
legale dei titoli di studio ma di conseguenza, se i titoli rilasciati dalle
accademie fossero legalmente riconosciuti come simmetrici alle
lauree ci dovrebbe essere anche il riconoscimento legale dello status
giuridico delle fasce della docenza con il conseguente adeguamento
economico.
A riguardo era già stato presentato un altro disegno di legge
(n.1451) nel quale, esattamente all’articolo 2 si chiedeva di risolvere
questa problematica peraltro con una ragionevole progressione da
completare in un decennio.
Ebbene! Nella presentazione del testo del disegno di legge n. 1693
si dice testualmente:
“L’attuale congiuntura di crisi economica, tuttavia, rende assai
impervio il cammino di tale proposta, stante la difficoltà di
assicurare un’idonea copertura finanziaria. Si ritiene dunque
opportuno sottoporre al Senato una nuova proposta, priva del
summenzionato articolo 2, volta a dare quanto meno immediata
soluzione alle problematiche che non comportano spesa a
carico del bilancio dello Stato”.
Come dire:….Provvediamo al riconoscimento legale dei titoli di
studio, accontentiamo gli studenti istituendo il CNSAC (Consiglio
Nazionale Studenti Accademie e Conservatori), cose che non ci
costano nulla e ci fanno rispettare il “Processo di Bologna”, per quanto
riguarda i docenti invece, lasciamoli così come sono nel “ruolo ad
esaurimento” in cui si trovano, con una retribuzione da professori di
scuola secondaria perché non abbiamo alcuna volontà di retribuirli in
maniera conforme a chi è abilitato alla formazione terziaria.
Come il Senatore Asciutti accetta il
compromesso.
Così, anche il Senatore Asciutti che tutti noi abbiamo apprezzato
per il suo interessamento alla nostra giusta causa, getta la spugna
e accetta di stralciare dal disegno di legge proprio l’articolo n. 2
che ci riguarda come docenti “discriminati”. Questo provvedimento
nei fatti, dopo aver riconosciuto la validità legale dei titoli di studio
sgancerebbe definitivamente la questione dello status giuridico della
docenza dal percorso legislativo più volte auspicato, abbandonando
al proprio destino un’intera categoria a cui è, peraltro, affidata l’Alta
Formazione Artistica di quel Paese con il più alto prestigio artistico al
mondo. Grave! Molto grave, Senatore Asciutti!
Come dire:….Avete ragione, io ci ho provato ma…qui non ne
vogliono sapere dell’arte e poi…se foste stati solo voi, docenti delle
Accademie forse avremmo trovato le risorse ma per tutto il Comparto
AFAM…….!
Come l’Onorevole Valentina Aprea
evita di esporsi.
Io stesso, certo di contribuire a sollecitare la definizione di questo
passaggio ormai tardivo, ho contattato la Presidentessa della VII
Commissione (Cultura e Istruzione) Onorevole Valentina Aprea, per
rilasciare una sua intervista su questo numero di Academy. L’On.
Aprea mi ha chiesto del tempo per documentarsi adeguatamente
prima di rispondere alle mie domande circostanziate ma dopo circa
due mesi mi ha telefonato il suo segretario particolare, dicendomi che
l’Onorevole, dopo aver verificato lo stato delle cose, sarebbe stata
molto imbarazzata nel rispondere chiaramente, pertanto ritrattava la
sua disponibilità all’intervista chiedendomi di “capire” e di apprezzare
la sua sincerità.
Come dire….forse….Ho verificato che non c’è la volontà di affrontare
questo provvedimento e non vorrei prendervi in giro dribblando con
parole vuote e risposte dette e non dette.
Per chiarezza riporto qui di seguito le domande che le ho avanzato
durante il nostro incontro nel suo studio di Viale Monza a Milano.
Come i sindacati non riescono a
concludere un contratto adeguato
alla nostra categoria.
Come da anni neanche i ricorsi legali
trovano ascolto.
A questo quadretto tipico italiano, si aggiunge l’esaltante realtà della
Giustizia.
Dalle aule delle Accademie alle aule dei Tribunali dove ogni tanto
arrivano ricorsi di schiere di docenti che rivendicano il loro diritto ad
essere retribuiti e riconosciuti giuridicamente per la mansione che
realmente svolgono. La magistratura, che dovrebbe far valere la
Carta Costituzionale, la Legge ed i principi, sembra piegarsi ai velati
veti incrociati della politica quando questa tende a far prevalere le
Come noi docenti potremmo
abbandonare le Accademie.
Altro che chiara fama! La nostra categoria è trascurata, mortificata,
mal pagata e incompresa. I professori vengono incalzati dalla
burocrazia, il merito professionale viene superato dai bizantinismi
di un sistema che si livella sempre più al basso. I laboratori, forza
identitaria e trainante delle Accademie, sono resi impraticabili, i sapèri
specialistici sono rintuzzati in nozionismo solo teorico. Gli artisti sono
stati messi in minoranza e dalle assemblee prevalgono ormai logiche
che con l’arte hanno sempre meno a che fare.
L’aura è spenta, la quantità ha preso il sopravvento sulla qualità.
Proviamo a trovare una sola ragione perché un artista debba ancora
investire il suo tempo all’interno di una realtà simile. Gli studenti sono
costretti ad inseguire frammenti di crediti e i corsi che elargiscono più
compiacentemente alte votazioni agli esami.
Persino la nostra passione, quell’energia che proviamo noi che nelle
Accademie ci siamo formati, persino la passione, ripeto, ultima risorsa
disponibile, inizia a vacillare sotto i colpi incalzanti di un sistema che
sta cambiando ma non sta migliorando.
Il cambiamento è arrivato tardi, è arrivato male ed è già ora di
cambiarlo ancora.
Se questa è la prospettiva, se non troviamo soluzioni, molti di noi
si arrenderanno. Nel frattempo nulla sappiamo ancora sui criteri di
reclutamento dei nuovi docenti mentre già possiamo fare dei calcoli
sommari e prevedere che per i prossimi vent’anni sarà difficile il
ricambio generazionale. Il sistema sarà sclerotizzato e irrigidito sugli
errori del presente.
Se non saremo capaci di reagire presto, entro pochi mesi, molti
di noi scapperanno e torneranno in studio, delusi e demotivati,
a recuperare almeno il tempo perduto e sottratto all’arte. A
malincuore lasceremo un lavoro nel quale abbiamo creduto e
investito forse fin troppo.
Come molti di noi potrebbero
abbandonare questo Paese.
Tutto ciò, però, non è altro che la conferma di quanto l’Italia non abbia
più fiducia nel suo storico talento, non ami più la bellezza, le lettere,
le arti, la cultura in generale; il nostro è ormai un Paese volgare,
grossolano, sporco, inquinato.
Le università sono allo sbando come l’intero sistema formativo, non
compare nelle graduatorie mondiali se non in posizioni di classifica
vergognanti e questo perché il Paese Italia pensa di risanare
l’istruzione con i tagli di spesa e incrementando la formazione di
“fondazioni” che per finanziarsi devono commercializzarsi, devono
vendersi, devono avere clienti e clientele, devono offrirsi, devono
fare...come dire... le puttane.
Se andate in un qualsiasi ufficio delle Poste Italiane vedrete che
cercheranno di vendervi una penna, un quaderno, un calendario,
qualsiasi cosa che possa far apparire virtuoso l’impiegato perchè
capace di vendere e di supportare l’azienda.
E tutto dovrebbe funzionare così, in questa nostra “Azienda Italia”; fare
“share” si dice, adescare, come la televisione, come la pubblicità.
Una nazione che non investe sulla formazione è destinata ad
implodere, non ha futuro.
L’arte forse.....forse l’arte ancora......potrebbe farcela poichè è giovane
per antonomasia perché non perde mai l’energia per ricominciare,
per rinnovare, non perde mai la curiosità e la voglia di sperimentare,
di inventare.
L’arte è feconda e germina dove l’energia è giovane, dove c’è
entusiasmo e voglia di credere, di investire e perché no, anche di
sognare. Se non potremo più sognare, se non avremo più fiducia
nel nostro Paese molti di noi potrebbero abbandonarlo.
È giunta l’ora della svolta!
redazionale
Dopo cinquanta mesi di vacanza contrattuale, dopo aver espresso
tutta la nostra disponibilità ad attuare la riforma senza aggravio per le
finanze dello Stato, dopo aver lavorato tutti di più e con numerosissimi
disagi, dopo aver consentito la lunghissima transizione dalla fase
sperimentale all’applicazione ordinamentale del triennio e fra
poco anche del biennio, dopo tutti i sacrifici fatti per rilasciare titoli
equipollenti alle lauree, dopo aver permesso a molti studenti di altre
università europee di laurearsi utilizzando anche i nostri crediti ed i
nostri esami, ebbene, dopo tutto ciò e molto altro ancora, i sindacati
si siedono al tavolo della contrattazione con l’ARAN, non per trattare
una situazione del tutto straordinaria ma come se fosse un normale
rinnovo del pubblico impiego della scuola secondaria. Da mesi
vengono maltrattati e offesi con continui rinvii per cercare un accordo
che ottimisticamente porterebbe circa cento euro di aumento,
ovvero raccogliendo un risultato inferiore a quanto la secondaria ha
ottenuto durante la stessa vacanza contrattuale. Allo stato attuale un
professore del Liceo Artistico, con la massima anzianità, guadagna
più di un professore d’Accademia con la stessa anzianità. Vi pare
possibile che in questo Paese si debba continuare a vivere di simili
paradossi?
Per l’ARAN sarebbe come dire:….Scusate, ci dispiace, sappiamo
che meritereste molto di più ma non riusciamo ad avere altre risorse
però vi veniamo incontro diversamente diminuendo l’orario di lavoro,
passando tutta la seconda fascia sulla prima in modo che nessuno
più si sentirà inferiore e sarete felici e contenti. Gli ex assistenti non
si sentiranno più frustrati e tutti avrete una accelerazione di carriera
dopo tre anni anziché sei. Che capolavoro!
Ma da che parte stanno i sindacati?
Portano avanti le nostre istanze o gli interessi del Governo? Mentre
loro siedono al tavolo tecnico e decidono i nostri destini nulla di
ufficiale ci è dato sapere se non notizie indirette, talvolta telefoniche,
il più delle volte dette e contraddette, a seconda delle alchimie e dei
compromessi fra le varie sigle sindacali.
I sindacati in questo modo non ci rappresentano, sono autoreferenziali,
stanno troppo nelle stanze del potere e troppo poco nelle nostre aule.
Pur stimando i nostri sindacalisti permane l’impossibilità degli
stessi a risolvere una contraddizione paradossale: la permanenza
nell’AFAM di una contrattazione unica per un corpo docente
ormai universitario, insieme ad un altro da scuola secondaria,
come quello che ancora permane nei Conservatori
proprie ragioni su quelle del diritto. Così, la politica, entra nelle aule
dei Tribunali e... forse... scoraggia, neanche tanto velatamente, gli
stessi giudici ad emettere sentenze che possono comportare esborsi
per l’economia dello Stato.
Assemblea con Dario Fo nell’aula 10 dell’Accademia di Brera
DARIO FO
testimonianze
Intervista al Premio Nobel, ex studente dell'Accademia di Brera
“Cosa ti credi di essere? Uno di Brera?” Così si diceva ai miei tempi a noi allievi un
pò boriosi! “Quelli di Brera” erano comunque una spanna più in su di tutti gli altri;
uscire diplomati da quella Scuola antica e prestigiosa era un privilegio, un motivo di
orgoglio!
a cura di Serena Francone e Gaetano Grillo
Serena Francone: Maestro ci racconta com’era l’Accademia
di Brera quando lei era studente?
Dario Fo: A quei tempi a Brera c’era anche il Liceo Artistico che io
ho frequentato già da quando avevo quattordici anni. Brera era il
centro focale della cultura non soltanto per Milano e non soltanto
per tutta l’Italia, c’erano stranieri che venivano in ogni momento,
pittori, scrittori, poeti, musicisti, l’Accademia era unita a tutte
le scuole che esistevano a Milano, anche alle scuole di teatro,
aquelle di mimo, l’Accademia era assolutamente collegata con la
città e devo dire che se c’è stato un decalage a Brera è dovuto
principalmente a questa interruzione del rapporto dell’istituzione
con la città.
E’ stato un errore anche spostare lo stesso Liceo Artistico di
Brera. Finita la guerra bisognva subito provvedere a trovare nel
quartiere dei palazzi importanti da destinare all’ampliamento
dell’accademia. Mi da fastidio parlare facendo riferimento ai temp
andrè, come cantava un’antica canzone Milanese, ma devo dire
che non ho più ritrovato quel clima; molti miei amici e compagni
di scuola hanno poi insegnato a Brera come Alik Cavaliere e tanti
altri che ritrovavo anche in giro per il mondo e che ora sono ormai
tutti morti, io sono uno dei pochi sopravissuti, vi raccomando di
tenermi da conto (...ride!).
Gaetano Grillo: Dario, benchè sia già molto nota a tanti di noi,
vorrei che i nostri lettori sappiano quale è la tua posizione sul
trasferimento dell’Accademia di Brera dalla sua sede storica,
ce ne parli?
Dario Fo: L’ho detto in svariate circostanze e non mi stanco di
ribadirlo, oltre a resistere nella difesa della sede storica si può
prendere in considerazione l’ipotesi di un parziale trasferimento
Serena Francone: Per quanto riguarda il Palazzo Brera, visto
che parlavamo di mancanza di comunicazione con l’esterno,
è evidente la macanza di comunicazione tra le realtà interne
a questo palazzo, così da non valorizzare ciò che lo rende
unico, ovvero di essere un polo multiculturale. Secondo lei
da cosa dipende?
Dario Fo: Il problema non è isolato a Brera, ma è della città.
Milano in questi vent’anni che c’è la destra ha perduto la linfa,
la gioia d’inventare e di produrre, di essere. Perfino la scuola
del Piccolo Teatro resiste a denti stretti, ma tu vedi che tutte le
scuole d’arte “sono finite in vacca”, scusa il termine triviale. La
Paolo Grassi è diventata una gnacchera rispetto a quello che
era prima... la chiave è quando mi chiamano per tenere le lezioni
vuol dire che non sono solo, ci sono anche tutti gli altri attori,
gli altri registi... c’è una voglia di comunicare. Il fatto stesso che
non ci sia uno scambio continuo con l’esterno è già un significato
negativo. A Brera avete una scuola di Scenografia, ho coinvolto
la scuola facendola lavorare per un progetto, così come ho fatto
in altre occasioni, ad esempio ho coinvolto i pittori per fare questo
o quell’altro lavoro ecc...
Serena Francone: Per gli stendardi sulle stragi?
Dario Fo: ...No non solo quello, ho fatto la mostra di Mantegna e
in quell’occasione ho fatto restaurare dei dipinti che non verranno
mai in Italia, e insomma, ho fatto dei falsi, però hanno avuto
un grande successo perché nessuno li aveva mai visti a quella
dimensione, perché sono impressionanti. Me li sono accollati io,
li ho fatti io e li ho messi a disposizione, poi li ho ritirati e ce li
ho qua. E’ un dono che vorrei fare a Brera se avesse gli spazi
sufficienti. E li han fatti gli allievi di Brera.
testimonianze
purchè si trovi un’adeguata sistemazione per rilanciarla, in caso
contrario significherebbe distruggere tutta la storia di Brera e in
gran parte anche quella della Milano otto-novecentesca.
Se poi si pensa di trovare una sede adeguata lontano dal luogo
dove Brera è nata e dove si è sedimentata la sua storia sarebbe
un disastro.
Se si va troppo lontano è ancora peggio, perché se ci si toglie
dal nostro spazio vitale, di nascita e di sviluppo, sarebbe un
gravissimo errore. Allora la soluzione che bisognerebbe mettere
in atto è quella che si sono inventati i francesi per l’Accademia di
Belle Arti a Parigi e in altre città della Provenza: l’hanno spostata,
però sempre dentro il centro, e pian piano sono andati in periferia,
dove si poteva trovare una situazione più consona ai loro bisogni,
per non parlare degli spazi straordinari di dimensione e di luce,
dove sono stato perfino a mettere in piedi uno spettacolo.
Questo può essere accettato solo quando si costruisce uno
spazio apposta, non è che si adatta uno spazio come han
fatto ad esempio nel caso della nuova sede del Politecnico in
Bovisa, che è un posto orrendo... hanno utilizzato una fabbrica
che produceva pneumatici, la Pirelli, con corridoi senza luce e
opprimenti e reparti di montaggio enormi che davano angoscia
solo nel transitare, non parliamo nel viverci… che spazi può avere
una fabbrica? Io oltretutto ho frequentato anche Architettura per
quattro anni, e ogni volta che mi ritrovo ad andare lì per tenere
delle lezioni, delle conferenze ecc., mi sento sempre oppresso, a
disagio. Allora non basta dire “Vi portiamo fuori”. Infatti quelle che
sono state le soluzioni ventilate per una probabile nuova Brera
alla fine si traducono in vere e proprie truffe.
“Cosa ti credi di essere? Uno di Brera?” Così si diceva ai miei tempi
a noi allievi un pò boriosi! “Quelli di Brera” erano comunque una
spanna più in su di tutti gli altri; uscire diplomati da quella Scuola
antica e prestigiosa era un privilegio, un motivo di orgoglio!
Gaetano Grillo: Il progetto originario del Palazzo di Brera,
come sai bene, rispondeva all’idea illuminista che riuniva in
sè le arti, le lettere, le scienze. La convivenza di tutte queste
realtà ancora oggi mantiene quella identità che in qualche
modo verrebbe completamente sconvolta portando via
l’Accademia e la sua funzione formativa... la museificazione
di questo palazzo senza la vitalità degli studenti vorrebbe
dire stravolgere il suo assetto storico in favore delle solite
caffetterie e book-shop per vendere gadgets e idiozie per
turisti...
Dario Fo: Sì, ma vedi che loro per la vivacità pensano di fare
dei caffè, dei bar, dei ristoranti... questa cosa bisognerebbe
dirla nell’articolo che verrà scritto in risposta alla “superdonna”
(Sandrina Bandera, ndr) che è di un’antipatia terribile. Però
almeno un po’ di casino lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo.
Gaetano Grillo: Sì, però la cosa grave è che l’intelligentia di
Milano non segue più, non è sensibilizzata per niente. Tu sei
la sola persona che tiene a cuore la nostra realtà.
Dario Fo: Non segue più nulla, è vero! Non è che non segue
più Brera, non segue più nulla in assoluto. La gente è sensibile
solo agli inviti del sindaco per le feste, si danno spintoni per
poter accedere alla prima della Scala, scantonano per tutti gli
appuntamenti riservati ai vip e alla mondanità, ma niente altro
ancora.
Io avevo come compagni di scuola alcuni di coloro che sono
diventati grandi architetti che ritrovo in tutte le parti del mondo,
tutti fuggono ma nessuno di loro riesce a lavorare per questa
città, puoi immaginare perchè? Adesso farò un giro in Svezia e in
Scandinavia e so già che li rincontrerò da qualche parte. Ci sono
italiani bravissimi che sono apprezzati soltanto fuori dell’Italia
mentre qui fanno quelle vaccate di torri, architetture mediocri che
stanno distruggendo Milano.
Io ora sto cercando di aiutare gli abitanti di due zone di Milano
perché gli stanno costruendo addosso dei grattacieli.
Contemporaneamente stanno lasciando morire la Scuola di
Musica del Conservatorio, la Scuola d’arte Drammatica che
porta il nome di uno dei grandi operatori culturali del dopoguerra,
Paolo Grassi. E’ come se questa città sia mossa dalla follia
masochistica di estirpare la “mala erba” che sono sempre stati e
sempre saranno, gli artisti nella loro mentalità.
G. Grillo: Torniamo ora alla nostra Accademia di Brera.
testimonianze
Serena Francone: Stavamo dicendo comunque che in
passato l’ambiente di Brera era molto diverso da ora.
Dario Fo: Senti una cosa. Tanto per far capire cosa è accaduto….
Era appena finita la guerra, si tornava alla pace, il fascismo
era stato tirato via, c’era la democrazia. Era la prima volta che
conoscevamo un’aspetto sociale così diverso come la democrazia.
Lo sapevamo in teoria, leggendo i testi dei tedeschi e dei francesi
prima della guerra, romanzi, saggi etc etc... quando finì la guerra
successe un fatto straordinario: si ruppero le frontiere e allora,
allo stesso modo, a Brera c’era una forma nuova di apertura
e democrazia, chi faceva lezione di scenografia, per esempio,
seguiva anche le lezioni di ornato o scultura; io per esempio
che ero interessato al teatro, spesso anche per due settimane
di seguito andavo a lezione di teatro e mi davo reperibile solo in
quel luogo; andavo anche a seguire delle straordinarie lezioni di
storia dell’arte tenute da Guido Ballo.
Poi c’era una continuità sorprendente di manifestazioni. Per
esempio, uno dei posti abbastanza vicini che aveva rapporti
continui con Brera era la chiesa di S. Francesco, un’altra quella
di S. Marco, spazi a noi aperti...e poi nel pomeriggio c’erano i
concerti, c’erano teatri dove si facevano spettacoli, andavamo
magari in piedi a vederli, c’era una nostra partecipazione
entusiasta, bisogna ritrovarla!
Serena Francone: In un articolo del Corriere della Sera di un
po’ di tempo fa lei parlava del cortile centrale di Brera come
luogo di ritrovo degli studenti, di intellettuali, artisti ecc...
Dario Fo: Ti dirò di più. Anche quei ristoranti che ora sono
diventati un po’ chiusi e up to date erano spazi allora carichi
di energia, il mangiare era pessimo ma alle volte mi ritrovavo
a fianco di grandi artisti, scienziati, architetti, studiosi di varie
facoltà, professori, dalla Francia o dalla Germania... questo non
era determinato da impegni, da grandi organizzazioni culturali che
si muovevano, si muoveva tutto così, e le gallerie che si aprivano
erano importanti, si facevano delle mostre di grossi pittori come
Picasso. Insomma, oggi chi vedi che fa una mostra di Picasso. Il
Milione, per esempio, che era lì davanti faceva mostre stupende,
c’era una vivacità straordinaria a cui si potrebbe anche in qualche
modo tornare, se non ci fossero al Comune amministratori di un
livello culturale così basso. Vorrei prendere qualsiasi assessore
e fargli delle domande di cultura generale o anche soltanto sulla
storia di Milano. Per esempio, questo spettacolo che ho appena
fatto su S.Ambrogio, ha visto una partecipazione straordinaria, il
teatro era pieno ed ogni sera c’erano almeno duecento persone
che seguivano in piedi senza avere il posto a sedere. Cosa
mai vista prima. Una cosa così, di tale successo, se l’avessi
fatta cinquant’anni fa mi avrebbero chiesto sicuramente di
ripeterla nel teatro dell’Accademia di Brera. Brera non perdeva
mai un’occasione. Attualmente, la bellissima Sala Napoleonica
non viene neanche utilizzata, dicono che non ci sia una buona
acustica ma non è mica vero. L’ho vista aperta l’ultima volta per i
funerali di Alik Cavaliere e anche di Emilio Tadini.
Serena Francone: Questo disinteresse collettivo nei confronti
dell’Accademia di Belle Arti e dell’arte in generale da che
cosa è causato?
Dario Fo: E’ tutta la città che sta franando. Finita la Guerra a
Milano ci furono cinque-sei grandi mostre, per la prima volta si
videro Michelangelo e Caravaggio insieme, c’era la fila di un
chilometro per strada per vedere le opere di questi grandi pittori.
Non avevamo mai visto prima tanta gente e tanto interesse per
l’arte. Noi, ad esempio, abbiamo dei grandi pittori del Quattrocento
Lombardo, come il Foppa, ma non si è mai organizzata una loro
mostra a Milano.
Dario Fo: Quello che dici è vero ma è la conseguenza di chi
ci governa, per esempio, questo Bondi è un povero deficiente,
basta vedere quello che fa. Non lo farebbe neanche un bambino
ritardato, ma che dico un bambino, semplicemente un ritardato.
E quella maestrina stupida che ha in mano tutta l’istruzione cosa
vuoi che capisca, basterebbe farle quattro-cinque domande, ma
non difficili, facili, per vedere cosa risponderebbe.
Serena Francone: Lei quando è venuto da noi a Brera ha
invitato tutti gli studenti ad informarsi e questo mi ha fatto
molto riflettere perchè in effetti pur vivendo in un’epoca che
ci offre moltissime occasioni e mezzi tecnologici per essere
informati non lo siamo abbastanza.
Gaetano Grillo: Brera nell’idea di Maria Teresa d’Austria era
concepita come un luogo dinamico che ospitava una realtà
poliedrica della cultura, la convivenza fra lettere, scienze ed
arti era testimoniata dalla presenza dell’Istituto Lombardo
delle Lettere, dall’Osservatorio Astronomico, dall’Orto
Botanico, dalla Biblioteca Braidense, dal Liceo Artistico
e dall’Accademia e da quest’ultima successivamente si è
formata la Pinacoteca per consentire agli studenti lo studio
e la copia dal vero dei capolavori del passato. Si trattava
di un progetto assolutamente innovativo che fa tutt’oggi di
Brera una realtà unica. La miopia dell’attuale progetto di
museificazione è proprio la volontà di smembrare l’identità
culturale che fa del Palazzo di Brera una realtà unica .
Serena Francone: La funzione dell’Accademia era anche
quella di spostare l’istruzione dagli studi privati al giudizio
pubblico.
testimonianze
Gaetano Grillo: Il disinteresse che notiamo a Milano è diffuso
in tutto il nostro Paese è come se ci fosse un effetto domino
che conseguentemente abbatte tutte le istituzioni culturali
italiane. Lo smantellamento delle Accademie storiche dale loro
sedi originarie per trasformarle in luoghi di museificazione
statica e allo stesso tempo la mortificazione delle istituzioni
delegate alla formazione artistica che dovrebbero invece
essere il fiore all’occhiello di un Paese come il nostro, noto
al mondo proprio per la sua creatività e per la sua indole
artistica.
Dario Fo: Non è una disinformazione casuale ma pianificata, si
organizza la disinformazione. Per esempio, è vero che gli studenti
visitano poco la Pinacoteca ma questa è una responsabilità dei
vari Maestri che non obbligano gli studenti a studiare visivamente
anche I modelli del passato. Per esempio, sulla composizione di
Piero della Francesca, sulla sua idea metafisica dello spazio c’è
uno studio enorme da fare. Ho avuto la fortuna di stare un mese
a contatto con I ragazzi e mentre si dipingeva naturalmente si
parlava di tante cose ma ho anche avvertito che ci sono dei vuoti
di conoscenza terribili. La responsabilità è di alcuni professori che
quando diventano direttori finiscono di fare I professori e restano
incastrati negli aspetti burocratici della didattica. De Filippi ad
esempio era un burocrate. Io ho polemizzato con lui più volte per
la sua tendenza a tener buoni tutti e di muoversi in funzione dei
clientelismi.
testimonianze
Dario Fo: Questa è stata la rivoluzione di Maria Teresa. Perchè
prima dell’Accademia esistevano soltanto le botteghe e i grandi
pittori avevano le loro scuole dove i ragazzi apprendevano il
mestiere ma allo stesso tempo i maestri sfruttavano il lavoro dei
propri allievi. Mantegna già all’età di dieci anni fu mandato in una
scuola di Padova e vi rimase fino a diciassette anni sfruttato dal
pittore che aveva nella sua bottega circa cento bambini che vi
lavoravano e naturalmente lui era ricchissimo. Il pittore dava ai
ragazzi solamente da mangiare e dormire, venivano trattati quasi
come degli schiavi, benchè ogni tanto fra loro venivano fuori
anche dei maestri come ad esempio Cosmè Tura.
Serena Francone: A noi giovani manca un po’ di lavoro “di
bottega” ovvero la possibilità di fare eseprienza diretta: per
esempio, da noi, nella scuola di restauro dell’Accademia di
Brera, ci sono circa duecento studenti iscritti ma a nessuno
di noi viene data l’opportunità di fare delle esperienze dirette
e anche ai più bravi la sovrintendenza vieta di intervenire
persino sugli stessi gessi che fanno parte del patrimonio
dell’Accademia.
Qualsiasi restauro viene affidato esclusivamente all’esterno a
dei privati oppure all’Istituto centrale di restauro o all’Opificio
delle pietre dure di Firenze.
ma soprattutto per l’Accademia perchè è quest’ultima a
vivacizzare e dare identità oltrechè storia e fascino al quartiere
che porta questo nome. L’Accademia può espandersi
presso I due palazzi attigui, Cusani e Citterio ma manca la
volontà politica di adottare questa soluzione preferendo
sbarazzarsi dell’Accademia e ridurre tutto il palazzo di Brera
esclusivamente a scopo museale mummificando l’intera area
e distruggendo l’identità e il senso stesso che porta I turisti a
frequentare questo luogo.
Dario Fo: Io sono assolutamente con voi in questa battaglia.
È necessario allargarsi e non restringersi. La forza identitaria
di Brera era quella di essere un luogo all’interno del quale
confluivano stimoli culturali diversi. Lo stesso Alik Cavaliere era
una figura eclettica: faceva lo scultore, dipingeva, faceva ricerche,
scriveva, si occupava di teatro, in qualche modo condensava nel
suo stile di vita l’attitudine stessa di questa Accademia e la sua
indole verso l’apertura. �������������������������������������������
Ripeto, io sono al vostro fianco in questa
battaglia.
Dario Fo: Ritengo assurdo tutto ciò perchè bisognerebbe preferire
la competenza interna dell’Accademia almeno per quanto riguarda
le opere del proprio patrimonio.
Gaetano Grillo: Ci stiamo battendo affinchè Brera si espanda
ma all’interno del suo luogo originario. Il concetto di “Brera
in Brera” non può essere valido solo per la Pinacoteca
* Serena Francone è studentessa di Brera iscritta al terzo anno della
Scuola di Restauro
"Non è il Nobel che fa l’uomo, semmai il contrario"
Non è il Nobel che fa l’uomo, semmai il contrario. E di
Dario Fo tutto si può dire (ed è stato detto…) tranne
che non abbia tendenzialmente ragione. Ha ragione,
ad esempio, quando plana sul
tema del delicato
rapporto tra arte e pubblica amministrazione per
denunciare l’inadeguatezza, tendenziale appunto, di chi
ci amministra. E amministrando le città, le Regioni, lo
Stato finisce anche per amministrare l’arte e gli artisti.
Nella lunga intervista che pubblichiamo in questo numero
non mancano gli spunti polemici di Fo: ci mancherebbe.
Sarebbe come uno spaghetto senza sale. Ma sono tutti
spunti intelligenti, creativi, che si sfilano dall’amarcord
per Brera, una Brera che non c’è più, e vanno a
denuciare lo stato delle nostre città. Svilite dalle palazzine
e dai palazzinari, private della umanità e della socialità
che pure sono state per decenni un segno distintivo
della civilissima, democratica, multiculturale Milano.
E’ grazie a queste aperture alle persone, alle storie che
la capitale lombarda è stata per anni l’epicentro della
sperimentazione culturale italiana e cardine per l’Europa.
Come Berlino, come Londra, come Barcellona oggi.
Ecco uno dei sensi di questa intervista, di questo
sfogo raccolto dal nostro giornale. Che è poi uno
degli obiettivi dell’arte: testimoniare, denunciare e
quando è necessario anche schierarsi e militare.
Non per forza in un partito ma con le idee, con i
valori di fondo. L’esempio di Fo, prima ancora
della sua carriera artistica e dei riconoscimenti
internazionali che ha avuto, è il migliore degli esempi
per chi sceglie la faticosa e gioiosa strada dell’arte.
Claudio Cugusi
Manifestazione degli studenti dell’Accademia di Brera in Piazza della Scala, all’ingresso di Palazzo Marino
testimonianze
lo studio di
Francesco
HAYEZ
un nucleo prezioso
del patrimonio storico
dell’Accademia
di Brera
10
Autoritratto a cinquantasette anni, 1848, olio su tela, 124 x 94
patrimoni storici
di Francesca Valli
Entro la vicenda tormentata di un patrimonio storico così
vasto come quello di Brera, per la separazione di Accademia e
Pinacoteca e per la scomposizione conseguente dei materiali, sono
rimasti a tutt’oggi nascosti alcuni fondi collezionistici importanti:
dimenticati, quasi invisibili ai più, e solo di recente identificati e
ricomposti. Non è la semplice logica delle pertinenze amministrative
o delle provenienze che li tiene insieme, ma il legame profondo
con la storia dell’istituzione, nuovamente ripercorsa e indagata. Lo
rende chiaro il caso dello studio di Francesco Hayez di cui ancora si
riconosce la localizzazione originaria, sul lato sinistro del corridoio che
costeggia la chiesa di Santa Maria di Brera. E’ l’ultima testimonianza
dell’atelier di un artista romantico, all’interno di un’accademia di belle
arti, dei materiali didattici e di lavoro di un maestro. Lo rivelano le
carte d’archivio, gli inventari del luogo e i documenti dei vari lasciti che
Hayez per primo, quindi i suoi eredi, hanno destinato all’Accademia
nell’arco di circa settant’anni, dal 1861 al 1934. Lo raccontano ancora
i materiali sopravvissuti.
Nel 1883 Angiolina Hayez, figlia adottiva del pittore, in
occasione della sua mostra monografica, fa dono all’Accademia di
alcuni dipinti, disegni di grande formato, stampe, fotografie, libri,
medaglie, suppellettile: tutto quanto, alla morte del padre, risultava
custodito nello studiolo attiguo alla vecchia Sala dei Gessi, con il
vincolo che “quel santuario dell’arte” sia mantenuto “ nello stato in cui
si trova” in “esposizione permanente”. E così verrà conservato fino
all’ultima guerra quando, in seguito allo scoppio di una granata, lo
studio verrà smantellato e non più riallestito. Vi si trovavano tre quadri
storici non finiti, Pietro Rossi (l’abbozzo del più famoso), Giulio Cesare
in Senato, S. Ambrogio respinge l’imperatore Teodosio, la Maddalena
penitente, alcuni Nudi femminili, autoritratti, due cartoni – La sete
dei crociati e il Sansone -, un d’après ad acquerello dell’Alberico
da Romano, litografie eseguite da Hayez – il ciclo di Ivanhoe - . Ma
anche l’attrezzeria d’uso: camera ottica, dormeuse, seggioloni a
braccioli, specchi, costumi, armature, drappi, la stessa veste di studio
dell’artista con il berretto di velluto che si vede nel suo autoritratto.
Erano oggetti laboratoriali presenti da tempo in Accademia, funzionali
all’insegnamento della Pittura che Hayez aveva esercitato dal 1850,
esempi di fasi distinte ma complementari del lavoro, appesi alle
pareti, a confronto: campioni di generi differenziati, storie –romane
e medievali -, autoritratti di età varie, nudi - stanti o distesi - animali,
fiori, ecc. E anche modelli di tipologie tecniche diversificate, oli – su
tela e su tavola-, disegni - su cartone e su carta-, stampe – bulini e
litografie -.
Già nel 1861, a dieci anni dal suo incarico, l’artista aveva
infatti deciso di concludere la lunga stagione delle grandi ‘macchine’
compositive che l’avevano reso famoso alle esposizioni di Brera
e di passare il testimone, donando all’Accademia tutto il “corredo
artistico” del suo studio privato, l’armamentario di pittore storico, a
cominciare dalla ricca biblioteca: volumi di storia italiana, specie
quella medievale, iconografia di viaggio e di costume, “storia figurata”,
insieme a quella “poetica”, poemi, romanzi e tragedie storiche. Si
aggiungeranno dopo la sua morte, attraverso i ripetuti legati delle
nipoti Giuseppina e Bina Hayez, oltre a nuovi dipinti, bozzetti e studi
di teste, a grandezza del vero, fotografie – le carte salate di Luigi
Sacchi - , ma soprattutto taccuini e fogli sciolti disegnati in gran
numero – l’intero corpus -.
Pervenuti fino a noi quasi integri, con l’eccezione della
suppellettile, restaurati negli ultimi anni con la collaborazione
dell’Opificio delle Pietre Dure e catalogati in gran parte, questi
materiali costituiscono un sistema organico unico dell’invenzione e
dell’educazione alla pittura, ma anche rappresentano significativamente
il carattere genetico del patrimonio storico dell’Accademia di Brera,
nella sua variegata, peculiare, articolazione.
11
patrimoni storici
Nudo di donna stante, 1859, olio su tela, 105 x 70
12
Maddalena penitente, 1833, olio su tavola, 120 x 152
patrimoni storici
Testa di tigre, 1826, olio su tela, 67 x 57
Studi di animali, dal taccuino
13
Sant’Ambrogio che respinge Teodosio, 1839, olio su tela, 85 x 118
La sete dei crociati sotto Gerusalemme, 1838-1850, cartonetto, acquerello, 77 x 120
patrimoni storici
14
EMILIO VEDOVA
maestri storici
Dal racconto di Fabrizio Gazzarri, che è stato allievo di Emilio Vedova in Accademia,
suo Assistente e ora Direttore della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova a
Venezia.
…Era il 1975.
Avevo deciso di frequentare i suoi corsi all’Accademia di Venezia, come
fece più di una generazione di giovani artisti in quegli anni, attratto
da quel punto di riferimento incredibile e quasi obbligato che Vedova,
con grande sapienza e disponibilità, sollecitava con incontri, dibattiti,
seminari e quanto considerava utile agli studenti per una crescita
culturale di alto livello. In quel luogo, infatti, invitava le personalità più
significative di quello che oggi viene chiamato “il Sistema dell’Arte”,
lasciando testimonianze e contributi fondamentali.
Il suo prestigio, la sua autorevolezza come artista e il fascino a volte
travolgente con il quale sosteneva le sue idee sul mondo e quindi
sull’Arte lo hanno visto sempre protagonista forte e generoso nel
difendere l’autonomia dell’esperienza artistica e, insieme, il valore
che l’esistenza di ognuno di noi porta con sé, l’intolleranza verso
qualsiasi forma di sopraffazione e di violenza con l’assurdo ricorso
alle guerre.
Ma anche il rigore con il quale la vita merita di essere vissuta.
Emilio Vedova sapeva accarezzare con amore il Mondo…sapeva
cogliere la fragile e precaria nostra condizione nel dinamismo del
reale.
Era ancora fortissima l’eco delle sue mitiche lezioni (incontri/scontri)
alla Sommerakademie di Salisburgo nei difficili ed esplosivi anni
sessanta, dove era stato chiamato a raccogliere l’eredità di Oskar
Kokoschka, fondatore di quella celebre Accademia, ormai anziano.
Insieme ad Annabianca, inseparabile compagna di vita, coltivavano con
grande cura e determinazione le relazioni più ampie, assolutamente
convinti che il dialogo e la disponibilità comune aiutino popoli, culture
e religioni più diverse a raggiungere insieme nuovi orizzonti di pace.
Come non ricordare l’opera geometrica realizzata nel 1950 che si
intitola Europa oppure la sua presenza per due anni a Berlino subito
dopo la costruzione del muro a realizzare i Plurimi dell’Assurdo
Diario di Berlino. Negli stessi anni Joseph Beuys, che a sua volta ci
ha lasciato tracce indelebili, parlava ai giovani di alternative di vita
possibili, indicava differenti strade verso nuove sensibilità, incitava
la liberazione di una società stretta nella morsa tra comunismo e
capitalismo in ansiosi intervalli sospesi tra apocalittiche possibilità.
Emilio Vedova era un artista molto colto, per citare un’affermazione
del suo amico Giulio Carlo Argan, molto preciso, molto attento e
molto esigente.
La sua intelligente regia nell’intrecciare e provocare sollecitazioni
tra gli studenti, dava immediate aperture e rivelazioni emozionanti,
in quel flusso di libera ricerca che sapeva condurre e mantenere in
tensione vitale…tra sogno e fallimento.
Era sorprendente la sua capacità di dialogare secondo i loro
stessi codici, su di un piano di riflessione comune e orizzontale,
15
Aula Vedova all’Accademia di Belle Arti di Venezia
Emilio Vedova ritratto da Graziano Arici
maestri storici
alimentando il farsi di una coscienza critica insieme ad una necessaria
responsabilità di scelta.
L’Aula Vedova, che non esiste più ma che resterà sempre nella
memoria di tutti noi, assomigliava molto a tanti suoi fantastici e
grandi studi nei quali la profonda anima veneziana si concretizzava
fisicamente in un concerto di luci filtranti, a disegnare quinte di
spazi ambigui e infiniti…di travature/sbarramenti, scalette, lucernari,
cataste di bricole consumate dal tempo e dall’acqua in un’atmosfera
tesa e di estrema concentrazione spaziale…insomma la grande
pittura veneziana.
Era un contenitore nero un po’ piranesiano, strutturata con pannelli e
tubi innocenti che si arrampicavano a soppalchi dentro a quel grande e
bellissimo spazio nelle attuali Gallerie dell’Accademia. Funi di acciaio
sospese, forme specchianti in movimento, proiezioni/luce/plurime, la
sua voce tonante a indicare rotte quasi impossibili…poteva ricordare
un veliero nel vento, aperto sul ponte dell’Accademia da un grande
finestrone, da dove la luce tagliava continui cambi di direzione, di
ascolto visivo…quasi un segnale a risvegliare, sempre, lo sguardo
sul mondo, per sentire il suo respiro, il suo bisogno e il suo calore.
Emilio Vedova sosteneva con lealtà l’importanza, per lui, del rapporto
quotidiano con i giovani, in una sorta di scambio generazionale di
sensibilità e informazioni, penso non abbia mai riflettuto abbastanza,
invece, su quanto ha saputo darci.
maestri storici
16
Scuola - Emilio Vedova, Salisburgo 1965
17
Scuola - Emilio Vedova, Salisburgo 1965
-2
maestri storici
Sulla didattica, programma di Emilio Vedova alla Internationale
Sommerakademie für Bildende Kunst di Salisburgo nel 1965
maestri storici
In un‘epoca dove solitudini, integrazioni, stordimenti/ mass media, persuasioni
occulte, dicono di un mondo sempre più spinto a un‘incoscienza collettiva,
insegnare pittura è cosa ardua.
Quello che io penso dovrebbe essere che una scuola non può esaurirsi in un mese
d‘incontro - però questo mese può essere di provocazione ed avvio. Un‘intensa
ginnastica. Spazio, segno, colore, collage, materie, dinamica/luce - ma è subito
importante una coscienza precisa di scelta.
Incontro-scontro con i materiali, intesi non come fatti estetici, ma subito adoperati
quali mezzi di un dire. La scuola, un laboratorio. Rompere le timidezze, rompere i
tabù. Dare coscienza che qualsiasi materiale è espres­sivo, che non esistono più
gerarchie di materie. Un lavo­ro tecnico, un fare insieme.
Fare dell‘allievo non un fatto passivo, ma promuovere in lui relazioni, critica.
Fornirlo di più dati di confrontazio­ne, di opposti, metterlo nella condizione vigile.
Insegnare dunque non una fredda disamina, con sistemi legati ad un tempo e
a un fare scaduti, come avviene in molte accademie, ma una palestra umana
dove ancora prima di far pittura si fa esame delle esigenze che spingono al fare.
Non dunque lezioni fissate in schemi aprioristici, inamovibili, ma un‘osmosi viva
che tenga conto della vita tutta, in un perenne libero farsi. Per quanto possibile
prendere il contatto con coscienza attuale della pittura cercando d‘identificare
18
18 condizioni storico-sociali-scientifiche che in complesse articolazioni volta a volta
si sono identificate in quelle espressioni. Un‘informazione aperta, un portarsi
fisicamente nelle atmosfere anche ideologiche che hanno promosso quel fare.
Inserendosi in questo complesso meccanismo arri­vare al nostro tempo - da
questo trarre gli argomenti del nostro dibattito. Approfondire il dramma del
linguaggio contemporaneo, le aperture, l‘urgenza di nuovi mezzi per comunicare.
Non rigidi meccanismi gestaltici, dottrinali ottimismi integrazionisti, non teoriche
elucubrazioni, ma indagini aperte, caricate volta a volta di nuovi apporti, dove
l‘espe­rienza di ognuno interviene, può aggiungere riferimenti. Contributo di
individui, di personali ricerche. Ecco perché l‘intensità del corso, d‘insegnamento
e di applica­zione.
Ogni allievo da un farsi diverso, con strutture, resistenze, ecc. Tutto il mio
lavoro nell‘incontro-scontro con l‘allievo è nel fortificare i «quanti» di scelta,
di responsabilità, il grado di presa. «Liberare» l‘allievo, mettere il suo spirito in
stato di emergenza: «perché lavoro così e non così» - stimolarlo, dargli coscienza
della sua «arena» . . . Ma anche capire che il più delle volte il giovane arriva disar­
mato .... o con un bagaglio di inutili preconcetti accademici che più imbrogliano
la vita prima che il lavoro. Aprire, provocare scelte su un orizzonte più ampio,
una respirazione totale e un cosciente totale coraggio. Questo il mio intento,
per quanto posso. Per fare una scuola oltre che conoscere mestiere, tecniche,
bisogna avere delle idee. Che cosa posso insegnare, dire se non la mia espe­
rienza? Lo stesso mettermi in discussione - avere il coraggio di fare ciò - in un
subito dialogo, in una relazio­ne fuori della «cattedra», dei miti. In un immergermi,
inserirmi nel dibattito, porre domande, impegnare le mie idee, scontrarle. Non
a caso il bisogno sempre latente in me di comunicare la mia esperienza pittura,
vagliarla, verificarla nel farsi del vivere. «Pittura oggi», significa vita oggi,
dibattito dei problemi oggi.
19
maestri storici
Fondazione Emilio e Annabianca Vedova - Magazzino del sale - Venezia, 2009
20
accademia
maestri di
storici
catania
Fondazione Emilio e Annabianca Vedova - Magazzino del sale - Venezia, 2009
21
maestri storici
docenti
22
GIANFRANCO NOTARGIACOMO
di Barbara Tosi
“Si può affermare con certezza che Gianfranco Notargiacomo è l’unico tra i
docenti delle Accademie di Belle Arti in Italia al quale la Galleria Nazionale d’Arte
Moderna di Roma ha chiesto di esporre la replica della sua prima personale,
svoltasi a Roma nel 1971 presso la storica galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis.”
23
Si può affermare con certezza che Gianfranco Notargiacomo è l’unico
tra i docenti delle Accademie di Belle Arti in Italia al quale la Galleria
Nazionale d’Arte Moderna di Roma ha chiesto di esporre la replica
della sua prima personale, svoltasi a Roma nel 1971 presso la storica
galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis.
La richiesta da parte della Galleria Nazionale è particolare, tanto
quanto quella prima mostra lo fu allora, come si evince dai ritagli
stampa dell’epoca.
In modo inaspettato la Galleria Nazionale d’Arte Moderna nelle
persone della Direttrice Maria Vittoria Marini Clarelli e della curatrice
Maria Stella Margozzi hanno compiuto una doppia operazione, da
una parte rimettere sulla scena dell’Arte di oggi un evento ritenuto
rilevante, sotto il profilo storico, dall’altra sottolinearne la validità
ancora attuale nell’invitare l’artista ad una nuova installazione, che,
per forza di cose, resterà datata 2009.
Nel 1971 la galleria di De Martiis si popolò di un certo numero di piccoli
docenti
Le nostre divergenze 1971 - 2009, installazione, veduta ambientale
docenti
24
ometti in pongo, dislocati sul pavimento, in maniera sorprendente ma
soprattutto inusuale, dato il dominio dell’arte concettuale.
In quella versione, la stessa materia annunciava l’emergente
necessità di un ritorno alla pittura che sarà palese alla fine degli anni
‘70 e dirompente negli anni ‘80, ovvero quando entrarono sulla scena
dell’arte i protagonisti della Transavanguardia, i Nuovi Nuovi, i Pittori
Anacronisti e quelli del Magico Primario,....
Le pareti delle gallerie, dei collezionisti, dei musei, così come le
copertine e le pagine delle riviste d’arte, si riempirono di tele, di
figure, di colori, in una girandola ed uno scoppiettio da far invidia al
più grande degli spettacoli pirotecnici del mondo.
La materia degli ometti era il pongo.
Un materiale innocente, come le mani dei bambini, che sono
soliti usarlo, ma anche vitale e vivace come la pelle viva, che
rappresentava.
Il pongo si presenta in diversi colori.
Il colore fa parte della stessa materia, è, quindi, materia e colore
insieme. Ogni striscia di pongo, oltre ad essere necessariamente
tridimensionale, si presenta come una pennellata.
La necessità di usare quel particolare materiale fu, allora, determinata
da due esigenze dell’artista.
Da una parte la vivezza stessa del materiale era più consona alla
volontà di costruire quelle figure, non come pupazzi, ma il più
possibile aderenti ad una reale rappresentazione di corpi, dall’altra la
necessità di rimettere in campo, nel fare arte, la pittura con tutte le sue
implicazioni di mimesi, che, per secoli già l’avevano caratterizzata ed
accompagnata in ogni declinazione possibile, ma quella volta, in una
maniera nuova, inedita e contemporanea.
L’effetto si ottenne, tanto che un gallerista avvisato e talentuoso nel
cogliere e sostenere nuovi artisti, come Plinio De Martiis, il quale,
in virtù di questo, tanta parte ha avuto nella Roma artistica di quegli
anni, accettò e sostenne la mostra.
Questa edizione 2009, più di un remake, sembra essere una cover
prendendo a prestito il termine dalla musica.
La differenza sostanziale tra i due termini remake e cover risiede
proprio nell’intenzione poetica dell’artista e, di conseguenza, nel suo
fare.
Se remake implica una certa fedeltà all’originale, con qualche idea
di innovazione, in virtù dell’aggiornamento temporale, necessario;
la cover, invece, partendo dallo spunto originale, produce un altro
manufatto, che, in una qualche misura, è nuovo ed assolutamente
inserito e consono al tempo in cui nasce.
E’ senza aggiornamenti, ma appartenente ed aderente al momento in
cui è creato, è, quindi, frutto degli anni 2000, una vera nuova opera.
Difatti non siamo di fronte ad una replica, ma piuttosto ad una
rielaborazione di un’installazione.
Se quegli ometti del 1971 contenevano molti annunci: primo fra tutti
il ritorno del colore come materia necessaria al fare arte; ma, anche
l’eccezionale ritrovamento archeologico di quell’esercito cinese, di cui
allora non si sospettava l’esistenza; negli anni 2000 questa piccola
moltitudine ribadisce l’essere singoli, individui soli in una miriade di
persone in aumento e tutta correlata, esattamente come avviene in
internet.
Anche adesso nella cover della G.N.A.M. la materia è pongo ed il
paesaggio abitato si dispiega in un grande angolo moltiplicando lo
spazio.
Le figure sembrano aumentare sotto il nostro sguardo, capaci di
iniziare una passeggiata da un momento all’altro.
A volte, episodi espositivi, come questo fanno riflettere e fissano il
punto dell’andamento dell’arte, che, mentre si svolge, non è così
semplice cogliere, in quanto la distanza temporale facilita il compito.
Uno sguardo troppo ravvicinato, infatti, può perdere di obiettività e
farsi miope.
A volte, isolare un episodio restituisce più attenzione e pone più
quesiti allo studio della storia dell’arte, di quanto non possa fare
una qualsiasi grande mostra antologica, per bene che sia pensata e
realizzata e, quindi, filologicamente esatta.
Per la realizzazione dell’edizione 2009 alla Galleria Nazionale d’Arte
Moderna Gianfranco Notargiacomo ha coinvolto due studenti Michele
Welke ed Emanuel Hamn che, per l’occasione sono diventati due
assistenti, coniugando, in questo modo, le due passioni che animano
l’artista: quella per l’arte e quella per l’insegnamento.
Non si può insegnare a fare o ad essere artisti, ma un docente,
che è un artista, può comunicare la sua passione per il fare arte e,
riconoscendo nello studente quella sua stessa attitudine, può aiutarlo
a farla sgorgare dalle sue mani e dai suoi pensieri.
Le Accademie in Italia, ma forse non solo, sono preposte a questo
scopo, insieme agli altri obiettivi formativi che si differenziano sia nei
percorsi, sia nella scelta di molte materie.
L’obiettivo non è semplice e la formazione della quale tutti i docenti si
devono e si fanno carico è, certamente, di una notevole complessità,
ma, quando si ottiene il risultato, la soddisfazione è molto alta e non
solo per gli studenti, ma anche per tutti coloro che hanno concorso
a quello scopo.
L’Arte, in tutti i suoi aspetti e declinazioni possibili, deve abitare
nelle Accademie, avere le porte aperte, sia per fare uscire nuove
generazioni, sia per far circolare al loro interno, tutti coloro che stanno
in quel sistema e di esso sono protagonisti, testimoni , artefici ecc...
Il sistema dell’Arte è come un mondo, esteso e variegato: di esso
fanno parte molte Istituzioni, persone, luoghi, e quant’altro.
Le Accademie di Belle Arti, in quel mondo ed in quel sistema hanno
un ruolo ed un posto di eccellenza, che va onorato in tal senso,
perché, in realtà, sono vere fucine, ma certamente sono più di una
qualsiasi palestra di formazione e basta.
Essere Docente nell’Accademia per uno storico dell’Arte è certamente
e profondamente diverso che esserlo in una qualsiasi altra Istituzione
Universitaria. Per i motivi di cui sopra ritengo che sia un privilegio,
una grande occasione, usufruire di un osservatorio favorito, dal quale
lanciare lo sguardo sull’arte del momento per estenderlo a quella del
futuro
Parafrasando Umberto Eco degli anni migliori, che ci parlava di
Opera Aperta, dovremmo trarre lezione, per una volta, ed inaugurare
Accademia Aperta, in un melting pot di artisti, professori, pensieri,
teorie, mostre, eventi, inaugurazioni. ecc.....
*Gianfranco Notargiacomo è titolare di Pittura all’Accademia di Roma
*Barbara Tosi è docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Roma
25
Le nostre divergenze 1971 - 2009, installazione, veduta ambientale
docenti
26
Deve esserci un senso, 2009, olio su tela, cm 142x187 (Courtesy Galleria Antonio Battaglia, Milano)
docenti
FRANCESCO CORREGGIA
…la mia pittura è molto più, come dire, mediterranea. Uso questa parola
abbastanza retorica per comunicare qualcosa che mi scivola tra le mani
perché in qualche modo questa “mediterraneità” è anche qualcosa di molto
difficile da sostenere…
Incontro “contro-corrente”.
Conversazione tra Giampaolo Prearo, Francesco Correggia ed Elisabetta Longari.
L’incontro si svolge alla Galleria Antonio Battaglia, dove è stata allestita
una mostra che presenta i lavori più recenti di Francesco Correggia,
per lo più organizzati secondo uno schema ricorrente composto di una
parola, o una frase, scritta con lettering di matrice impersonale su un
brano di sapida e sapiente pittura, tra mare e cielo, nuvole e densità
atmosferiche. Mentre alle pareti i dipinti si accampano come scenari
del pensiero, paesaggi delle vette care a Zarathustra, sul pavimento
giacciono pagine sparse, strappate dai cataloghi che sono impilati
al centro della stanza in pacchi su cui è apposta la scritta: “macero”.
I fogli sono i visibili resti di un’azione che ha portato il disordine
della vita nella compostezza algida dell’allestimento espositivo,
l’immediatezza tra questi quadri dall’alta temperatura filosofica.
Improvvisamente si rivela con chiarezza a tutti i presenti che per i due
“attori” (Prearo e Correggia) tornare “sul luogo del delitto” significa
provare lo scatenarsi delle medesime pulsioni per abbandonarvisi
nuovamente. Più simile a uno sketch umorista-futurista-dadaista che
a una performance delle più recenti neoavanguardie, i due fanno una
giocosa baruffa, una gioiosa baldoria, come due bambini, affiatati
compagni di giochi che si fanno i dispetti per intimità… Stupita da
questo livello di confidenza e complicità domando: << Ma da quanto
tempo vi conoscete voi due?>>.
Giampaolo Prearo: Non ci conosciamo da molti anni. L’occasione
ha voluto che in Accademia io abbia sentito ripetutamente parlare
di Correggia da altri artisti, tra cui Nicola Salvatore, e da Francesca
Alfano Miglietti che a lui è molto legata. Ho voluto conoscerlo anche
perché avevo saputo che lui gestiva lo spazio della chiesa di San
Carpoforo, che come tu sai, era una chiesa sconsacrata che Mario
Merz, Luciano Giaccari e io, negli anni settanta avevamo occupato
per realizzare il primo esperimento di video d’artista.
Elisabetta Longari: Ma ciò accadeva dopo o prima dell’occupazione
del gruppo di Paolo Rosa con l’aiuto del gonfiabile di Mazzucchelli?
Giampaolo Prearo: Accadeva prima, nel 1974. Lo spazio era chiuso,
inutilizzato. Noi abbiamo forzato il portone e occupato lo spazio per
un giorno intero per allestire la performance di Mario Merz in cui
realizzava un video sperimentale all’interno del suo Igloo. Avendo
saputo che l’Accademia aveva fatto di questo spazio un’aula per la
didattica legata alle problematiche del contemporaneo, ho cercato
Francesco Correggia che ne dirigeva le attività, da qui è nata una
simpatica amicizia, una condivisione di pensiero e di comportamento.
Da questo incontro, è maturato in me un particolare interesse al suo
lavoro, inteso come un’evoluzione della ricerca sulla pittura minimale
che, come tu sai, è stata fra i miei primi interessi, soprattutto grazie alla
mia amicizia con Filiberto Menna. Ho voluto quindi dedicare questo
piccolo libro a Francesco, per il rigore del suo lavoro, per questi muri
che trasudano cultura. Dopo quarant’anni di editoria d’arte credo di
avere il titolo per stabilire il valore di un’artista.
Elisabetta Longari: Quello che stai dicendo, se non mi sbaglio, è
che apprezzi nel lavoro di Francesco, di là dalla retorica dell’abilità
tecnica del pittore, un rapporto stretto tra pittura e pensiero.
Giampaolo Prearo: Come ho già precisato, la considero una pittura
colta, che rientra nei miei personali interessi. Come tu sai, io mi sono
da sempre occupato di artisti un po’ dimenticati dal mercato e dalla
critica d’arte. Quando io pubblicai il primo libro di Giulio Turcato
[1971]era considerato dal mercato un illustre sconosciuto e tutti
mi dicevano che ero pazzo a occuparmi di lui, era più vantaggioso
dedicarsi a Piero Dorazio, la stessa dinamica si è ripetuta con Mimmo
Rotella, [1974], Bernar Venet, (1974), John Baldessarri (1973): tutti
ugualmente mi ripetevano che ero un pazzo. Lo stesso è accaduto
per il catalogo generale di Piero Manzoni [1973] che il grande pubblico
bistrattava e la gente comune considerava un pazzo paranoico; per
Alighiero Boetti [1991], quando ancora una volta mi si diceva che
il suo lavoro non sarebbe mai decollato e che i collezionisti non si
sarebbero mai interessati a lui perché era un drogato, un artista
che non sarebbe mai potuto valere niente… Io sono sempre stato
una persona contro-corrente, e mi sono ritagliato il mio spazio in
un’editoria di alta qualità oggi definita “di nicchia”. Non mi sono mai
preoccupato del grande mercato del catalogo d’arte come altri, ho
voluto mantenere questa mia caratteristica di piccolo editore di alta
qualità, quindi perché non fare un omaggio a Francesco che ritengo
un artista di nicchia? Davvero, il libro su di lui è un omaggio al suo
legame verso la pittura analitica. Da questo muro di pittura sembra
trasudare la parola, la cultura.
Elisabetta Longari: La parola muro evoca immediatamente una
pittura che è depositaria anche di tutta la sapienza informale… ma qui
sento anche tutti i cieli dal seicento a oggi, passando obbligatoriamente
per Courbet fino ad arrivare a Rothko e Antonioni.
Francesco Correggia: Dal mio punto di vista io ho sempre sentito
parlare di Giampaolo perché ne seguivo le pubblicazioni che ho
sempre reputato intense e radicate nel presente. Solo quando ho
diretto il Biennio di specializzazione in Arti visive dell’Accademia di
Brera in San Carpoforo si è verificata l’occasione di conoscerci da
Dove tutto ha inizio, 2009, olio su tela, cm 160x210 (Courtesy Galleria Antonio Battaglia, Milano)
27
docenti
28
docenti
Forse un sogno, 2009, olio su tela, cm 100x110 (Courtesy Galleria Antonio Battaglia, Milano)
vicino… Io provengo dalla performance, dalla body art, negli anni
settanta questo era il mio linguaggio, e sento affinità con Giampaolo
proprio sul piano del comportamento. La mia pittura che lui ha
chiamato colta indubbiamente proviene da un certo espressionismo
astratto americano, ma a differenza di quello, la mia pittura è molto
più, come dire, mediterranea. Uso questa parola abbastanza retorica
per comunicare qualcosa che mi scivola tra le mani perché in qualche
modo questa “mediterraneità” è anche qualcosa di molto difficile da
sostenere… dicevo, che provenendo dalla performance…
Giampaolo Prearo: Sai chi me ne ha parlato? Io ho, tra i vari altri
progetti, in programma un libro con Desiato e proprio lui a Napoli mi
ha parlato di Correggia che allora io non conoscevo, ma che a quel
punto avevo intenzione di conoscere… Quindi ci siamo incontrati
nella chiesa di San Carpoforo, e ciò è stato da me interpretato come
un segnale.
Francesco Correggia: Sì, negli anni settanta a Napoli seguivo
molto Peppe [Desiato] che faceva queste grandi processioni cui
partecipava perfino Orlan, ed io ero uno di quelli vicini a lui, e a Gina
Pane. Quando ho ripreso la pittura, alla fine degli anni settanta,
all’inizio degli anni ottanta, ho cercato di mantenere una coerenza
etica ed estetica. Ero provato da un atteggiamento estremo di certo
minimalismo e di certa arte concettuale, e allora questo rigore etico
intorno alla pittura ho dovuto sostenerlo con molta difficoltà, perché,
se ben ricordate all’inizio degli anni ottanta il grande evento della
transavanguardia rubava tutta la scena. Il mio ritorno alla pittura è
stato molto differente, sul versante aniconico e sul versante astratto,
il che voleva dire a quell’epoca essere in contrattempo, come direbbe
Carlo Sini. Ecco, questo rigore etico è stato per me essere proprio in
questo contrattempo, fuori-corrente, fuori-moda. Un atteggiamento di
cui Nietzsche parlava rispetto alla contemporaneità..
Elisabetta Longari: L’inattualità.
Francesco Correggia: Essere contemporanei significa essere
sempre inattuali. Allora questa questione di virare verso una pittura
che non si riteneva allora di moda e ancora adesso si fa fatica a
sostenere..
Giampaolo Prearo: La nostra conoscenza è stata casuale ma poi
nelle frequentazioni si sono create delle sinergie e delle simpatiche
Nelle foto, scattate durante la mostra di Correggia presso la Galleria Antonio
Battaglia: l’artista, Giampaolo Prearo, Elisabetta Longari, Antonio Battaglia e
Francesca Alfano Miglietti.
Courtesy: Galleria Antonio Battaglia, Milano
Giampaolo Prearo: Ecco il mio scherzo! Credo e spero che questo
non sarà l’unico libro con Francesco, probabilmente ne faremo altri
insieme.
Elisabetta Longari: Io credo che Francesco sia spesso detestabile per
quel quoziente di ossessività che lo porta all’infelicità dell’imperfezione,
ebbene, Francesco merita a mio avviso di raccogliere parte dei suoi
scritti e dei suoi lavori visivi in un volume che ne approfondisca certi
aspetti. Perché per lui non vale per niente il detto “stupido, bestia,
come un pittore!” Perché il lavoro di Francesco è intenso tanto sul
piano teorico che su quello pittorico, e le due parti non vanno separate
poiché profondamente connesse e in certo modo complementari.
antipatie, tanto è vero che ho progettato di fare questo piccolo
catalogo per lui. Strada facendo però, ho incominciato a conoscerlo
meglio, ad amarlo, a odiarlo….
(Scoppiamo tutti in una risata).
Francesco Correggia: Tu mi mandavi le spie, ed io, sapendo che
erano spie, ti mandavo dei messaggi attraverso di loro… Lo dicevo
molto chiaramente che ero incazzato nero….
Giampaolo Prearo: Ecco perché abbiamo fatto due cataloghi.
Elisabetta Longari: Di cui uno destinato al macero, è servito durante
la performance liberatoria e distruttiva e l’altro è strumento per
conoscere meglio il lavoro di Francesco.
Elisabetta Longari: Certo bisogna ricominciare a pensare e
confrontarsi.
Giampaolo Prearo: Questa è l’energia scaturita dal nostro incontro.
Francesco Correggia: Un incontro d’amore!.
Giampaolo Prearo: Ci sono due copie del catalogo, una perfetta
tipico prodotto della Prearo Editore, una scadente tipico prodotto
tipografico.
Elisabetta Longari: Sì, io le ho avute tutte e due, è il privilegio dello
storico che deve essere in grado ricostruire i passaggi.
* Francesco Correggia è titolare di Decorazione all’Accademia di Brera
* Elisabetta Longari è titolare di Storia dell’Arte all’Accademia di Brera
* Giampaolo Prearo è titolare dell’omonima Casa Editrice
docenti
Giampaolo Prearo: Ad odiarlo… Allora cosa mi sono inventato?
Una piccola vendetta. Ho realizzato una “performance editoriale”.
Ho stampato un primo catalogo con distrazione, non curando la
fase tipografica, non controllando l’allestimento... il risultato è stato
ovviamente un prodotto scadente.
Quando Francesco ha visionato la prima copia... è stato molto gentile,
non ha detto nulla, però si capiva che…, mi arrivavano segnali di
fumo, di odio, di cattiveria nei miei confronti, mentre nel frattempo io
avevo già previsto di ristampare rimediando agli errori voluti.
Giampaolo Prearo: Ho un fiuto infallibile! Ho pubblicato [nel 1974]
Il corpo come linguaggio. Body Art e storie simili di Lea Vergine, e
il primo libro di Francesca Alfano Miglietti [Arte pericolosa, 1991]…
L’incontro con Francesco Correggia ha comportato anche l’intenzione
di rimettere in moto la mia vecchia collana “Preariana” di libri analitici
sul pensiero teorico dell’arte con un taglio trasversale sul mercato
dell’arte contemporanea. Stiamo selezionando una rosa di autori per
rilanciare il dibattito sull’arte.
Io sono molto legato alla discussione e alla polemica. Quando
mi sono formato come editore, negli anni settanta, si era immersi
all’interno di una fucina d’idee, di energie e comportamenti, mentre
adesso ci siamo tutti un po’ appiattiti, isolati, e allora perché non
ricominciare la battaglia come quella che si è fatta con la rivista da
me editata “Data” [1972-1979] e con “Virus” [1993-2001] insieme
alla FAM con la quale abbiamo fatto tante battaglie significative che
ancora oggi rappresentano delle pietre miliari nel panorama dell’arte
contemporanea.
29
IL BELLO È IL BUONO
Angelo Spettacoli, Il bello è il buono, Filosofia, tecnica e cucina delle belle arti
Ed Skira 2009
progetti didattici
30
NICOLA
SALVATORE
GUALTIERO
MARCHESI
ALDO
SPOLDI
31
Risotto oro e zafferano, Gualtiero Marchesi
di Loredana Parmesani
Tecniche e tecnologie della pittura, e un grande cuoco, Gualtiero
Marchesi, hanno unito le loro riflessioni per formare l’identità di un
insegnante ideale: Angelo Spettacoli, che sa di tecnica pittorica, di
filosofia dell’arte e di cucina. Quasi fosse una corporazione pensare,
dipingere e cucinare. Si arricchiscono l’un l’altro nello stare assieme,
in un’unica identità.
Il libro segna anche un passaggio importante all’interno dell’Accademia
di Belle Arti di Brera: quello da Accademia ad Università.
Il passaggio delle Accademia di Belle Arti nella struttura universitaria
ha determinato, infatti, uno spostamento di interesse verso nuove
professioni e verso una sperimentazione che ha aperto inedite
possibilità formative.
L’Accademia, la cui finalità è sempre stata quella della ricerca,
sembrava aver smarrito il proprio fine, ma oggi, grazie ad una nuova
consapevolezza della didattica e all’attività di docenti coscienti del
proprio compito di formazione, sembra caratterizzata da un fermento
nuovo.
Il lavoro che Nicola Salvatore e Aldo Spoldi stanno da anni
svolgendo, proprio in quanto docenti dell’Accademia di Brera, ne
è la dimostrazione esemplare. I loro corsi, Trattoria da Salvatore e
Cristina Show, hanno dimostrato come sia possibile intendere oggi
una didattica capace di affrontare il vorticoso mutare della realtà,
le sue nuove esigenze, il suo sfaccettarsi nella ricerca di inusuali
possibilità di applicazione dei saperi e della loro messa in relazione.
Anche nell’esperienza didattica, oltre che nell’amore per l’arte e la
cucina i tre amici sono accomunati. Marchesi è infatti Rettore della
Scuola Internazionale di Cucina Italiana ALMA, che ha sede nello
splendido palazzo ducale di Colorno.
Questo libro ha il merito di porre costantemente in evidenza due
date, due cicli storici e fondamentalmente importanti: la nascita del
pensiero, dell’arte moderna e della cucina, e il loro superamento nel
postmoderno.
L’Enciclopedia illuminista, l’arte moderna e la cucina moderna (con
l’apertura dei ristoranti) nascono contemporaneamente.
progetti didattici
Il libro Il bello è il buono, Filosofia, tecnica e cucina delle belle arti,
firmato da Angelo Spettacoli, critico d’arte virtuale nato dal progetto
didattico-artistico “Cristina Show” , nasce dalla collaborazione fra il
cuoco Gualtiero Marchesi e gli artisti Nicola Salvatore e Aldo Spoldi.
Il libro parte da un presupposto teorico di Gualtiero Marchesi che
afferma che un piatto lo si gusta e lo si comprende prima con la vista
e poi con il palato, che è come dire che una Ferrari la si apprezza
prima per la sua carrozzeria e per la storia che racconta e poi per la
sua velocità.
La sua tesi ha riscontro nella vecchia frase che la critica d’arte
sosteneva nell’apprezzare un dipinto: questa è una buona pittura.
Buona, non solo bella. Buona da gustare, come un buon cibo, e non
solo bella da guardare, come pura estetica.
Dunque bello e buono, arte e cucina, oltre ad essere qualità comuni
della vita quotidiana, rappresentano anche lo stile che caratterizza la
ricerca artistica attuale.
Questo libro parte anche da una comune domanda dei tre autori,
accomunati anche da progetti didattici che hanno come fine la
formazione di giovani artisti e giovani cuochi: la scuola di alta cucina
ALMA di Gualtiero Marchesi e l’Accademia di Brera dove Salvatore
e Spoldi insegnano
E la domanda è: Cosa ne sa uno studente di pittura della filosofia che
da sempre è compagna delle tecniche artistiche che utilizza?
E uno studente di filosofia è in grado di realizzare una velatura ad
olio, la cui trasparenza è in tutto simile al significato luminoso che il
termine verità ha in filosofia?
Ma non solo, nei secoli le tecniche artistiche hanno trovato il loro
complemento nelle filosofie a loro contemporanee ed entrambe si
sono accompagnate, valorizzandosi reciprocamente, a ciò che si
porta dentro di sé, nell’intimo dello stomaco, nell’ideale del ventre, a
ciò che si mangia. Non diceva forse Feuerbach che l’uomo è ciò che
mangia?
Quindi, due artisti e insegnanti dell’Accademia di Belle Arti di
Brera, Nicola Salvatore docente di Pittura e Aldo Spoldi docente di
32
Trattoria da Salvatore - “Difesa del pane”, 2009 - Stampa digitale su tela, cm 80 x 120
progetti didattici
In effetti, ciò è straordinario.
Mentre ai cittadini viene consegnata, con l’Enciclopedia, la summa
del sapere nascono anche i ristoranti, gestiti da personale altamente
qualificato (chef, maggiordomi, intendenti ricchi di straordinarie
competenze) che, con la caduta delle nobili case, esce disoccupato
dalla Rivoluzione.
Sì, l’Enciclopedia e la cucina consegnano, secondo la volontà della
Rivoluzione francese, il diritto di conoscere e di mangiare bene ad
una classe in fase di formazione.
Ma non solo il sapere e a la nobile cucina vengono consegnati a tutti,
la Rivoluzione afferma che anche la collezione d’arte del Louvre è di
interesse pubblico aprendo le sue sale a tutti i cittadini.
Pensiero, arte moderna e ristoranti nascono contemporanei.
Nella presentazione di questo libro Nicola Salvatore e Aldo Spoldi
dicono infatti: “Unire la filosofia e le tecniche delle belle arti alla cucina
ci è sembrato particolarmente significativo in quanto occorre sapere
che i ristoranti e l’arte moderna nascono contemporaneamente ed
entrambi sono figli della Rivoluzione francese”.
Non solo nascono contemporanei, ma anche tramontano insieme per
poi rinascere, in maniera del tutto inedita, nell’età postmoderna.
E la oro rinascita si caratterizza attraverso una struttura inedita che
implica nuove qualità del pensiero, dell’arte ma anche del cibo, che
Trattoria da Salvatore - “Il pane nel mondo”, 2009 - Stampa digitale su tela, cm 60 x 140
33
Cristina Show ,“Il carnevalotto”, foto di Met Levi
Stampa fotografica su carta su alluminio, cm. 150x75
Met Levi, “Ritratto fotografico di Angelo Spettacoli”, 2008
Stampa fotografica su carta su alluminio, cm. 150x50
*Nicola Salvatore è titolare di Pittura all’Accademia di Brera
*Aldo Spoldi è docente di Pittura all’Accademia di Brera
*Gualtiero Marchesi è lo chef più famoso d’Italia
progetti didattici
poco hanno a che fare con la tradizione del moderno. Le nuove
tecnologie, gli spregiudicati sistemi di comunicazione, gli efficienti
mezzi distributivi hanno impresso ad ogni ambito lavorativo qualità
non ritrovabili nella modernità. Gli avanzati strumenti tecnologici
che permettono di montare e smontare in tempo reale strutture
linguistiche e formali, così come il “fai da te” che domina ogni ambito
dei mercati contemporanei, hanno dato ad ognuno la possibilità di
gestire soggettivamente la propria esistenza, nell’illusione del tutto
possibile.
L’acquisizione e la distribuzione didattica del sapere, del cibo e
dell’arte costituiscono un aspetto meccanico ed economico separato
dalla formazione umana e la promessa di emancipazione.
Proprio perché il libro pone l’accento costante sul problema più
importante della società attuale, è un libro da leggere attentamente.
Consigliato agli studenti, ma anche ai professionisti o a coloro che
vogliono comprendere l’intricata struttura che tutti ingloba.
Proprio perché tali temi sono nel libro dichiaratamente ma anche
ironicamente presentati, il testo si pone in aperta polemica con la
prospettiva del postmoderno.
La spregiudicatezza e l’ironia degli autori mette in mostra le relazioni
perverse della postmodernità.
Tutto ciò che è profondo ama mascherarsi, scriveva Nietzsche,
rivalutando il concetto di ironia.
L’ironia del libro ci fa credere e sperare che la fine della modernità non
coincida con l’accettazione inevitabile dell’efficienza postmoderna,
ma sia capace di aprire di nuovo una sfida.
Pensiero, arte, cucina, uniti in una joint venture, riprendono, il piacere
del pensiero, dell’arte, del gusto contro la contabilità e il commercio
della fine della storia.
34
FRANCESCA ALFANO MIGLIETTI
Io penso che le Accademie di Belle Arti siano le scuole più importanti e
belle in assoluto, e credo che quelle italiane siano le migliori del mondo,
meno compromesse con i sistemi economici e meno ovvie…
docenti
A cura di Elisabetta Longari
Come e quando sei arrivata a interessarti di arte? O meglio,
quando l’arte è giunta a te?
Sai che non lo so….Mi sembra di esserci sempre stata, in un modo o
in un altro… mi sono sempre piaciute le storie e la gente e i racconti
e i ribelli…. Allora…per forza l’arte!
Raccontami un ricordo antico, un imprinting imprescindibile sul
fronte visivo.
La mutevolezza di forme come le nuvole o come il mare… mi piace
ciò che cambia sotto i miei occhi…
Il corpo. Quando hai messo a fuoco l’incandescenza del
soggetto?
Gli artisti hanno sempre lavorato con il corpo e con i mezzi di
comunicazione. A seconda delle epoche cambiavano questi
strumenti e cambiavano anche i corpi. Una delle rivoluzioni del
contemporaneo è che ci sono degli artisti che in vari posti del
mondo stanno lavorando fortemente sul concetto di identità. Tra le
istanze di mutazione che ci hanno introdotto a un nuovo millennio
credo che il più importante sia il concetto di una identità umana che
non è più così rigorosamente umana. È Kevin Kelly a identificare
tra le vere mutazioni del contemporaneo il fatto di non riuscire
più a distinguere tra ciò che viene prodotto e ciò che nasce. Che
cosa muta in questo momento il corpo e che cosa muta in questo
momento l’identità? Gli artisti da sempre sono fautori di questo
tipo d’indagine: il corpo all’interno dell’arte è stato presente sin dai
suoi primordi. Negli ultimi anni il corpo è stato uno dei simboli per
ridefinire uno dei vincoli più forti di una realtà sociale che identifica
nell’identità una sorta di passaporto, una sorta di dichiarazione. Il
nostro corpo è una dichiarazione immediata di età, di sesso, di tutta
una serie di tipologie, che non sempre corrispondono a quella che
è l’identità privata, interiore di una persona. Questo nuovo millennio
si è aperto con una serie di tecnologie di trasformazione del corpo:
tutto ciò che in questo momento viene prodotto, viene prodotto con
una sorta di amplificazione sia dei sistemi cognitivi che dei sistemi
sensoriali. A questo punto, io distinguerei tra due tipi di tecnologie:
delle tecnologie visibili e delle tecnologie invisibili. Personalmente,
sono molto più attratta dalle tecnologie invisibili. Per esempio, Orlan
è un’artista francese che ha deciso che il suo corpo è il luogo di una
trasformazione di un’identità: lei sostiene di essere il primo artista
transessuale da donna a donna. Questo introduce quindi un problema
in cui l’identità non è semplicemente un’identità femminile, ma questo
apre anche a un discorso di identità di genere. Nessuno si meraviglia
sul fatto che oggi molte pornostar, molte vallette televisive, molte
attrici, modificano il loro corpo secondo dei canoni di femminilità del
tempo, per cui se in questo momento essere una modella vuol dire
pesare 35 chili, ci sono schiere di persone che cercano di pesare 35
chili. E’ questa una imposizione mediale fortissima che produce anche
moltissime vittime. Questa, ad esempio, è una tecnologia invisibile:
modificare il proprio corpo verso uno status, verso una professione,
verso una invisibilità più che verso una visibilità, una tecnologia che
modifica fortemente uno statuto di origine. Orlan mette il dito nella
piaga: non ‘gonfia’ la sua bocca e non amplifica le sue tette, ma si
fa implantare due bozzi sulla fronte. Orlan, dunque, di non cerca di
somigliare ad un canone femminile che nasce dalla dittatura mediale,
ma interpreta e rivede completamente una struttura identitaria, sia
fisica che mentale. Orlan ha sempre lavorato sul corpo, ha un passato
di ‘body artist’, e, già negli anni ’60 usava il suo corpo per una serie di
denunce su abusi praticati sul corpo femminile. Una famosa azione
di Orlan, alla fine degli anni ’70, fu quella di chiedere a tutti i suoi
collezionisti e ai suoi galleristi di fornirle lo sperma con cui avrebbe
dipinto grandi tele che erano le lenzuola del suo corredo di brava
ragazza del sud. Pochissimi fornirono il materiale richiesto….
Alcuni dei tuoi compagni di strada: Schifano, Orlan, Fabio Mauri,
Franko B. Che cosa puoi o vuoi dire di loro? Basta una frase
sintetica per ciascuno, ma che esprima due o tre cose che sai
di loro.
Da qualche anno sono molto incuriosita da una delle condizioni
che, a mio parere ha solo l’arte, e che si trova nel gioco del
contemporaneo in maniera antagonistica rispetto a quella della
spettacolarizzazione: lo spettacolo fa vedere ostentatamente, l’arte
nasconde, e, nascondendo, l’arte rivela quello che è stato nascosto
dallo spettacolo. Se lo spettacolo crea potere attraverso l’immagine,
l’arte inizia a scegliere l’invisibilità.
Una serie di incontri ravvicinati con una realtà dell’arte contemporanea
mi hanno avvicinato a una visione e a una concezione dell’arte
che ha scelto il pericolo. E allora Enzo Cucchi, Mario Schifano,
Alighiero Boetti, Gino De Dominicis, Fabio Mauri, Orlan, Franko B,
non sono solo stati protagonisti importanti di quella che per me è
‘veramente’ l’arte contemporanea, ma anche compagni di strada,
poeti avventurieri, e generosi dissipatori di emozioni. Sono alcuni dei
miei riferimenti sentimentali.
Mi vuoi parlare di “Virus”, la rivista che hai inventato e
diretto per dieci anni?
Il tuo approccio didattico è molto dinamico, attivo, fai
delle domande precise e concrete, sviluppi le loro facoltà
performative… Vuoi raccontare un po’ in che cosa consiste e su
che cosa si basa il tuo metodo?
No, non ho un metodo, mi piace molto stare con gli studenti e cerco
un modo per starci bene…Ciò che mi piace, moltissimo, è il desiderio
di riportare il dibattito sull’arte ad un livello antropocentrico. L’essere,
è, a mio parere, sempre il fine del progetto, e mai un suo pretesto.
Mi interessano le ricerche radicali, che possono essere il pretesto,
lo stimolo, la scusa, per dare dignità nuova a chi è interessato. La
semplicità disarmante dell’arte dichiara incomprensioni, debolezze,
euforie e contraddizioni tipiche dei pensieri più complessi.
L’elementarità del linguaggio è sintomo della capacità di sintesi di un
osservatore che rifiuta il sistema di pensiero totalizzante. Mi interessa
lo spirito nomade e “gentile” di alcuni artisti capaci di capire la bellezza.
La bellezza è forse la strada che porta l’essere alla difficile relazione
con l’altro e con la libertà. È una strada …. Naturalmente una bellezza
morale e poetica, ricercata disperatamente e senza concessioni al
potere economico e tecnologico o a nostalgie di comodo.
35
Quali sono i tuoi riferimenti culturali, quelli fondamentali,
i tuoi nutrimenti senza i quali saresti una persona davvero
profondamente diversa?
Questa è una domanda veramente veramente veramente difficile…
Io penso che sarei una persona veramente diversa se non avessi
fatto degli incontri… Penso seriamente che siano ‘gli altri’ a mutarci,
a determinarci, a costruirci…Basta non avere difese… I riferimenti
che posso elencarti sono opere o libri o luoghi o viaggi, ma so
coscientemente che invece mi hanno fatto diventare ‘questa’ una
serie di relazioni…
Comunque certamente tra i miei riferimenti importanti c’è il cinema
di Coppola, Scorsese, Ridley Scott, Kubrick, e poi la visionarietà di
Ballard e di Dick e Gibson, ma anche la torta di mele e i fichi d’india e
il mare e la pioggia e le palme e i quaderni con la copertina bella e i
vestiti… e William Burroughs e Roland Barhes e Deleuze e Foucault
e Babbo Natale… e Cronemberg e David Bowie, e Johnny Depp…
Certamente si può notare una certa incoerenza… Ah, anche il tango
argentino!!!!!!!
E adesso una domanda di rito: che destino pensi avranno le
accademie di belle arti italiane? Che cosa pensi? Che cosa
speri?
Io penso che le Accademie di Belle Arti siano le scuole più importanti
e belle in assoluto, e credo che quelle italiane siano le migliori
del mondo, meno compromesse con i sistemi economici e meno
ovvie…
Sono come delle isole di poeticità e di teoria e di tecnologia e di
utopia, e sono anche delle scuole da cui sono nati famosi premi Nobel
e Oscar cinematografici, oltre, naturalmente, ad artisti e critici….
Non lo so che destino avranno, ma mi piace molto pensare che
saranno sempre poeticamente quello che sono, tra l’altro sotto il
tiro e la minaccia continua di ridimensionamento, di tagli di fondi,
docenti
VIRUS è stata una rivista di contaminazioni, di mutazioni, di relazioni,
nata nel giugno del 1992 il cui ultimo numero è uscito nel dicembre
del 2001. Nato come trimestrale è diventato bimestrale con la sua
uscita in edicola. Una rivista che ha intrecciato arte, moda, cinema,
musica, video, teoria, con le tensioni che restituiscono lo spirito di un
tempo: dunque fenomeni, stili, tendenze di una dimensione mutata.
All’inizio, tenendo fede al suo nome VIRUS più che per diffusione
si è distribuita per ‘propagazione’ raggiungendo le postazioni più
interessanti non solo in Europa ma anche in quei lati del mondo meno
‘guardati’, avvantaggiata anche dalla scelta di pubblicare tutti i testi e le
interviste in lingua originale. Numero dopo numero VIRUS ha allargato
gli orizzonti ospitando alcune delle pratiche più radicali, delle teorie
più azzardate, degli eventi più carismatici, e così la rivista é divenuta
una sorta di catalogo di appuntamenti e avvicinamenti con tutto
quello che stava per irrompere negli universi del visivo da lì a poco. Il
progetto grafico della rivista ha permesso di parlare e far vedere l’arte
in un ‘altro modo’, un modo di attivare una forma di amplificazione
sensoriale, di corpo a corpo con l’immagine, un modo forse prepotente
di esserci, ma le immagini non si sono fatte dimenticare, e infatti gli
artisti hanno amato molto questo modo di ‘essere trattati’ loro e le
loro opere, e la luminosità che ha accompagnato i loro interventi. Ha
contribuito moltissimo al suo successo la grafica, ideata da Cesare
Fullone, con cui ho condiviso tutta l’avventura della rivista: argento,
rame, oro,…una grafica che ha scelto la luce dei colori metallici, il
riverbero, il movimento, una grafica che ha voluto materiali preziosi,
dai colori alla carta. VIRUS, numero dopo numero, ha segnalato come
l’ingegneria genetica, l’intelligenza artificiale, la chirurgia estetica, le
realtà virtuali, le controculture, stessero rapidamente ridefininendo
e alterarando non solo le modalità dell’arte, quanto anche le nostre
stesse condizioni di esperienza fisica. Nota come la rivista del ‘corpo’
VIRUS ha per prima intuito come il corpo umano fosse il luogo delle
trasformazioni radicali di questo tempo, fino a diventare la rivista di
riferimento per tutta una serie di riferimenti e di ricerca. VIRUS ha
iniziato a segnalare i limiti dei sistemi tradizionali in cui l’arte viene
distribuita e ‘isolata’, e ha più volte, sentito il bisogno di ‘uscire’ dalle
sue stesse pagine per ‘fisicizzarsi’ in una serie di mostre, dibattiti,
libri, festival, programmi televisivi, presentazioni, video, lunghe notti
live. VIRUS era nata come una scommessa, con lo spirito che da
sempre hanno fatto nascere le riviste legate ai movimenti artistici.
É diventata, oltre le intenzioni, una realtà che ha inciso sugli eventi
dell’arte di quest’ultimo decennio, con quella autorevolezza che nasce
direttamente dall’essere testimoni di una ennesima metamorfosi dei
linguaggi.
di mancanza di riconoscimento, di sgombero o di spostamenti
forzati…
Ma io so che alla fine le battaglie importanti della storia occidentale
l’hanno vinta personaggi deboli come Giuditta o Davide… e come
l’accademia di belle arti che continua a snobbare tutti i discorsi di un
buon senso che tra l’altro ha solo prodotti disastri… Io so solo che per
tutte le persone grandiose che ho incontrato, e che anche tu incontri,
l’accademia è il posto più bello del mondo (come ha detto Roberto
Saviano a Gastone Mariani!). Mi dispiace solo che ci paghino poco,
ma per il resto credo che non riusciranno mai a ridurci al loro modello
di impiegato statale.
Hai qualche indicazione da dare?
Ricordare ai nostri referenti istituzionali Il Trattato di Lisbona entrato
ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009, e che chiede a ciascun
Paese dell’Ue di indicare quali istituti rilascino titoli universitari: gli
altri Paesi europei si sono già dotati di una normativa in tutela della
formazione artistica.
36
ALESSANDRO RUSSO
Paesaggi e figure
docenti
21 gennaio -13 febbraio 2010
Catalogo in galleria
Galleria Antonio Battaglia
via Ciovasso, 5 - 20121 Milano
T/F 0236514048
[email protected]
www.galleriaantoniobattaglia.com
* Francesca Alfano Miglietti (FAM)
Teorico e critico d’arte, docente di Teorie e Metodologie del
Contemporaneo all’ Accademia di Belle Arti di Brera, vive a Milano.
Curatore indipendente di mostre, rassegne e convegni, ha incentrato la
sua ricerca sulle molteplici tematiche di trasformazione del contemporaneo,
come le contaminazioni di linguaggi, le nuove tecnologie nel rapporto
uomo-macchina, le culture giovanili, il corpo e le sue modificazioni,
il rapporto tra visibile e invisibile come frontiera di nuove poetiche.
Ha ideato e diretto la rivista VIRUS Mutations.
Ha organizzato e curato numerose mostre e pubblicato, tra l’altro, i volumi:
Arte in Italia 60/85 (Politi); Arte Pericolosa (Prearo); ORLAN (Virus
Production); Identità Mutanti (Costa e Nolan, ristampa Bruno Mondadori);
Nessun tempo, nessun corpo (Skira); Virus Art (Skira); Virus Moda
(Skira); Manuale delle Passioni (Skira); La valigia senza manicoConversazioni con Enzo Mari (Bollati Boringhieri); Fabio Mauri: Scritti
in mostra (Il Saggiatore); Beppe Riboli: Architetture della notte (Skira).
COS’È LA SCULTURA OGGI?
37
Definire cosa sia oggi la scultura è compito assai arduo, tanto quanto
cercare di definire cosa possa essere considerato pittura.
di Alessandro Gioiello
Alla domanda posta da Allen Ginsberg “Che cos’è l’Arte?”, la
leggenda narra che William Burroughs abbia risposto: “Una parola
di sette lettere”. La scultura allora? Una di otto?! Il significato
comune, offerto dal dizionario Treccani a riguardo, così è espresso:
“L’arte e la tecnica di scolpire, cioè di raffigurare il mondo esterno,
o piuttosto di esprimere l’intuizione artistica per mezzo di pietra,
legno o altro materiale opportunamente modellato con lo scalpello
o strumenti affini (…), che si vale dei procedimenti di fusione e getto
dei metalli in una forma (…). Spesso, con valore generico, tipo di arte
figurativa che cerca di immettere la forma creata in uno spazio reale,
sulla scultura
Franz West, Three Lamps (violett), 2009, acciaio, lamina in plastica, dispositivo elettronico, lampade neon, 176x39x39 cm
175x41x41 cm /181x40x40 cm (courtesy Atelier West, Wien)
rappresentandone anche la dimensione della profondità: in tal senso
include la plastica, la glittica, l’altorilievo, il bassorilievo, ecc. (…)”. Fin
qua tutti d’accordo.
La scultura quindi è presenza concreta, volume e peso, occupa e
rappresenta uno spazio, è la visualizzazione di un preciso attimo
di tempo ed eterna durata al tempo stesso, anche quando aspira a
raggiungere il contrario di ciò che è appena stato elencato.
Però la parola scultura ed il concetto che essa rappresenta continuano
a mutare nel tempo, così come la pelle ed il suo corpo. È sempre
più difficile però vedere opere propriamente scultoree nelle mostre,
rassegne e fiere internazionali più hot. Sembra che la questione
scultura oggi sia cosa difficile e problematica da gestire. La scultura
forse ora viaggia in incognito attraverso i white boxes del globo?
Eppure, nelle aule delle accademie d’arte italiane, chi la studia
è ancora intento a dialogare ed è alle prese quotidiane con creta,
gesso, pietra, marmo, legno e metalli. Pensiero e sudore, seppur
affiancati anche all’utilizzo di nuove tecnologie, rimangono alla base
del fare scultura nelle scuole del nostro Paese.
Noi di “Academy of Fine Arts” abbiamo visitato l’ultima edizione
di Artissima di Torino, alla ricerca di piccoli esempi significativi ed
emblematici di opere di questo genere, scegliendo fra nomi più o
meno giovani e noti, per cercare di capire quali sono la temperatura
e lo stato oggigiorno di questa antica forma e pratica d’arte.
Se è vero che le sculture possono essere considerate oggetti (e di
oggetti sotto i riflettori degli stands ne abbiamo visti molti) possiamo
dire che tutti gli oggetti siano sculture? Duchamp, a suo tempo, di
risposte in merito ne ha già date molte, e tanti artisti contemporanei
continuano a convalidare le sue tesi, forse senza troppo forzare i
presupposti del problema. Piero Manzoni con il suo “Socle du monde”
nel 1961 ha esasperato ulteriormente il significato, espandendone il
confine, di ciò che è classificabile sotto il nome di scultura. E che dire
degli oggetti, forme primarie invisibili, esposti da Gino de Dominicis,
individuabili solamente grazie ai loro perimetri tracciati sulla
superficie del pavimento? E delle performances di Gilbert & George,
celeberrima coppia di sculture viventi? Passando poi per Jeff Koons,
Charles Ray, Anish Kapoor, Marc Quinn, Tony Cragg, Christo, Haim
Steinbach, Tobias Rehberger, Takashi Murakami, Robert Gober,
Carsten Hoeller, Louise Bourgeois, Fischli & Weiss, Isa Genzken e
molti altri nomi illustri del panorama artistico internazionale ora non
citati, vediamo quanto le accezioni possibili del termine siano più che
mai variegate e contaminate. Per non parlare del lavoro di quanti
sconfinano nel campo del design, dell’architettura ed urbanistica o
nelle regioni immateriali della musica e del suono.
Allora possiamo osare e continuare a dire che la scultura non è più
sola materia, gravità, stabilità e staticità? Necessita questa disciplina
di una ridefinizione? Ed in che modo l’indebolimento, lo svuotamento,
quando non l’estinzione, delle grandi utopie rivoluzionarie dei decenni
scorsi, si manifesta, ammesso che ancora succeda, nelle sculture
della nostra contemporaneità? Come e quanto la smaterializzazione
e la telematizzazione proprie dei mezzi di comunicazione odierni ha
influito sugli attuali percorsi di ricerca di questa disciplina? Quali le
problematiche ed urgenze da essa poste? Quali i suoi conflitti interni?
Ad ogni domanda, se non una risposta, almeno una buona nuova
domanda…aspettiamo le considerazioni dei lettori!
sulla scultura
38
Gary Webb, Nous mangeons, 2009, fusione in alluminio cromato, pittura
spray, 185x120x65 cm (courtesy Pilar Parra & Romero, Madrid)
Gary Webb (Hampshire, UK, 1973).
Gary Webb sembra affrontare molte delle questioni della scultura
astratta modernista degli anni ’60. Nel suo lavoro astrazione e
rappresentazione coesistono abbracciando uno scambio formale
tra forme organiche e geometriche, linea, volume, superfici riflettenti
e trasparenti, fusi grazie all’uso di materiali che fanno riferimento
al mondo della cultura pop, conditi da una buona dose di humor.
La scultura modernista è onorata e parodiata allo stesso tempo
attraverso l’uso del suo vocabolario. Webb usa oggetti naturali ed
artificiali per dare vita a configurazioni inaspettate. Per far ciò integra,
in modo giocoso, superfici cromate, patine sintetiche, Perspex e
legno scolpito a mano.
Le sculture di Webb invariabilmente finiscono per essere più della
somma delle loro parti. Appena lo spettatore si muove attorno
ad esse, queste sono capaci di evocare un vasto assortimento
di emozioni e narrazioni inaspettate, senza mai lasciar spazio a
frettolose interpretazioni.
Katja Strunz, Yesterday’s Echo, 2008, installazione, diversi materiali, dimensioni variabili (photo courtesy Matthias Kolb, courtesy Andersens Contemporary, Copenhagen/Berlin)
Katja Strunz (Ottweiler, Germania, 1970).
Le forme ondulate delle recenti installazioni, così come quelle delle
sculture e dei lavori su carta della tedesca Katja Strunz suggeriscono
l’idea della progressione ritmica del tempo. I suoi lavori prendono
origine e forma dalla rigidità della geometria per offrire un’esplorazione
concettuale dello sviluppo della memoria e della natura ciclica della
storia. Le sue sculture “progressive” rappresentano il modo dinamico
in cui si formano i ricordi e definiscono la storia come un processo in
costante cambiamento.
Il suo lavoro mira a ricostituire una forma tangibile della memoria: ogni
piega nelle sue sculture rappresenta un elemento della metamorfosi
dall’accadimento dell’evento, alla creazione della memoria, all’atto
della rievocazione, del ricordo. Un flusso costante in cui si alternano
ciclicamente stati di conflitto e le loro risoluzioni.
39
sulla scultura
Erwin Wurm, Strick Hypnose, 2008, legno, lana,153x56x37 cm (courtesy Regina Gallery, Moscow)
Erwin Wurm (Bruck an der Mur, Austria, 1954).
Con invidiabile imperturbabilità, insolito senso dello humor ed una
vivace freschezza intellettuale, Erwin Wurm da anni ormai osserva
e rielabora l’immensa distesa di oggetti reali che popolano il nostro
mondo quotidiano. Mezzi di trasporto ed abitazioni, frutta ed
ortaggi, così come capi d’abbigliamento ed altri prodotti del mondo
artificiale passano attraverso la sua personale barriera doganale per
uscirne buffamente deformati e rinnovati di senso, pronti per essere
ricollocati all’interno di un mondo in cui il senso di straniamento che
la loro visione provoca non è altro che l’anticamera del sorriso. Il suo
esteso concetto di scultura, che va dalla rivisitazione e ridefinizione
dei valori della scultura Pop fino all’idea di scultura sociale teorizzata
da Beuys, è ben rappresentato dalla celebre serie delle “One Minute
Sculptures” in cui gli spettatori volontari si offrono come soggettooggetto, testimoni viventi dell’ “hic et nunc”.
Reena Saini Kallat, White Yarn (Silt of Reason), 2008, marmo,
91,5x137x62,25 cm (courtesy Primo Marella Gallery, Milano)
Reena Saini Kallat (Delhi, India, 1973) .
Reena Saini Kallat affronta con naturalezza e maturità attraverso la
sua poetica ed un linguaggio polisemantico, il tema della diversità
culturale. Attraverso una chiara complessità, le sue opere ci parlano
delle grandi diversità linguistiche e geografiche ed i forti contrasti
che caratterizzano il paese di cui è originaria ed in cui vive: l’India,
aprendosi però a tematiche e problematiche dalle connotazioni
universali. La natura del rapporto che coesiste fra il singolo e la
collettività, l’importanza e la fragilità della ricerca di un’identità in
relazione al luogo in cui si vive, il senso del nostro essere in relazione
al nostro agire, così come le frustrazioni generate da dialoghi spesso
conflittuali, come ci riporta l’esempio dell’infinito ed incerto processo
di riappacificazione fra India e Pakistan riguardo la delicata questione
del Kashmir, sono alcuni fra i temi al centro delle sue più imminenti
urgenze motivazionali ed espressive. Temi questi sapientemente
rielaborati formalmente grazie ad una raffinata capacità tecnica e
manuale, frutto di un’intelligente rilettura dei simboli ed ornamenti
propri della millenaria tradizione e cultura del suo paese d’origine.
sulla scultura
40
Franz West (Vienna, Austria, 1947).
Francesco Barocco, Testa, 2009, creta, inchiostro, pagina di libro,
dimensioni variabili. (courtesy Norma Mangione Gallery, Torino)
Francesco Barocco (Susa TO, 1972).
Le opere di Francesco Barocco non sono mai quello che sembrano
essere. Esigono sempre una lenta e profonda lettura. Una loro analisi
frettolosa dopo un primo veloce sguardo ci porterebbe a considerazioni
fuorvianti e si rischierebbe di perdere la moltitudine dei celati riferimenti
alle diverse discipline del sapere, dalla storia dell’arte alla filosofia,
dalla letteratura e poesia al design e all’architettura, care all’artista.
Richiami utili e mai gratuiti, tesi alla creazione di seducenti enigmi
e simboli, evocazioni di racconti e spazi imprevedibili, governati da
una perturbante casualità, libera da ogni idea precostituita di tempo
e cronologia.
Per la creazione della serie “Testa”, si è servito di pagine di vecchi
libri riguardanti la scultura classica, greca e romana; l’immagine
originale è stata ricoperta da diversi strati di inchiostro da stampa e
rimuovendo la materia in eccesso è giunto alla scoperta di una nuova
e misteriosa dimensione. La superficie bidimensionale assume qui
un proprio volume ed una diversa profondità di significato.
Il lavoro di Franz West è difficile da categorizzare sotto il nome di
scultura o installazione in senso stretto. Sembra piuttosto essere
uno stile di vita vero e proprio. Di seguito riportiamo una sua
testimonianza.
“Da subito ho realizzato che la pura esperienza visiva di un’opera
d’arte era in qualche modo insufficiente. Ho voluto andare oltre
il “puramente ottico” ed includere anche qualità tattili. I miei lavori
non sono cose a cui uno può solamente guardare, ma cose con cui
lo spettatore è invitato a trattare. Si sono susseguite molte teorie
sull’arte che hanno tentato di eliminare il confine tra l’arte ed il mondo,
ma non trovo tali tentativi essere stati particolarmente significativi.
L’arte rimane arte. Vedo il mio lavoro veramente molto compatibile
con la filosofia dell’ arte per l’arte. Uno potrebbe pensare che io
provi a portare l’oggetto d’arte all’interno del mondo, siccome i miei
lavori qualche volta sembrano avere una funzione pratica, in realtà il
percorso ha direzione inversa: le cose del mondo, grazie ad alcune
circostanze speciali, entrano nella realtà dell’arte. E infatti, una volta
che esse sono entrate in questa realtà, sono arte.” Franz West (da:
www.artseensoho.com)
ACCADEMIA
DI BELLE ARTI
DI CATANZARO
Un’Accademia giovane per il
territorio, la ricerca e le produzioni
artistiche.
41
a cura di Rocco Pangaro
alle attività artistiche della nostra Accademia, o quelle dedicate allo
scouting di giovani artisti all’interno dell’accademia proposti nelle due
mostre antologiche di “Zone Scoperte”, a cura di Giancarlo Chielli,
insieme al recente volume collettivo dedicato ai Beni Culturali della
città di Catanzaro, così come la mostra antologica catanzarese sullo
scultore “Giuseppe Rito a Catanzaro e le origini del Contemporaneo
in Calabria”, sempre a cura di Chielli. Iniziative di produzione artistica
che viaggiano assieme alle varie rassegne come il ciclo di seminari
aperti ,“Confini” a cura di Minervino e le proiezioni della rassegna
“Metafore della Visione” a cura di Andrea La Porta, Letizia Paonessa
e Salvatore Brancato, le mostre e i work shop di Fotografia di
Antonio Cilurzo, oltre che a numerose mostre dedicate a giovani
artisti emergenti a cura di Luigi Magli e Alessandro Russo, o ad
eventi di grande risonanza come l’assegnazione della Laurea Honoris
Causa in Pittura al grande poeta e cantautore italiano Paolo Conte
nel 2007.
Va dunque reso merito e riconoscimento ai docenti e agli operatori che
si sono più distinti nelle attività extra didattiche impegnandosi a dare
forza e contenuti alla realizzazione di progetti rivolti alla conoscenza
aspetti inediti del patrimonio culturale, antropologico, artistico.
Conviene ricordare che tali iniziative sostengono inoltre un processo
di riqualificazione degli studi e della ricerca, con l’innovazione dei
linguaggi della didattica e del fare l’arte nei suoi diversi comparti e
discipline, in linea con lo spirito di riforma e di rinascita che anima
questa fase di rilancio istituzionale del ruolo delle Accademie e della
formazione artistica nel nostro paese dopo la riforma di cui attendiamo
il compimento.
L’ampliamento e l’interdisciplinarietà degli spazi di ricerca e dei
curricola della formazione, con la riformulazione delle tradizionali
ripartizioni “scolastiche”, il rinnovamento dei saperi e delle discipline
accademiche, sono condizioni imprescindibile per favorire il completo
dispiegamento e la liberazione di enormi potenzialità conoscitive
anche sui nostri territori e tra gli utenti.
L’attuale momento d’interesse artistico per i territori e le città nelle
accademia di catanzaro
In questi ultimi anni, numerosi e sempre segnalati per il grande
rilievo critico e il successo di pubblico, sono stati gli eventi, le
mostre, gli spettacoli, le rassegne, le pubblicazioni e i convegni
promossi e realizzati dalle professionalità e dagli specialisti presenti
nell’Accademia di Belle Arti catanzarese. Si tratta sempre di attività
condivise e programmaticamente intese al rafforzamento di una
fruizione pubblica e partecipata delle conoscenze e del patrimonio
artistico nel territorio calabrese. Nel complesso le attività extra
didattiche e culturali svolte dall’Accademia di Catanzaro, che hanno
visto impegnati i nostri docenti, gli studenti e le diverse personalità
partecipanti ai nostri progetti culturali, ci vedono protagonisti in
partenariato con enti pubblici e territoriali presenti nella regione e
nella città di Catanzaro, coinvolti in programmi e attività di ricerca, di
riscoperta e di valorizzazione critica tanto dei beni culturali e artistici
quanto di singole figure e personalità di artisti calabresi del passato
e del presente.
In quest’ambito l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro afferma
ancora una volta la forte propensione a contribuire in modo originale
alla ricerca e alla produzione artistica dell’intero comprensorio,
di cui rappresenta oggi il riferimento più proprio e immediato. Le
nostre attività non restano confinate nelle aule e nei laboratori tra le
attività didattiche e i lavori istituzionali, ma piuttosto rappresentano
occasioni feconde per interagire con importanti contesti artistici del
nostro territorio, per offrire una qualità di servizio del nostro prodotto
culturale, disponibile al vaglio e all’indispensabile fruizione del
pubblico, alla vita delle città, al confronto con le sue forze culturali.
Tanto più oggi che un vasto processo di rinnovamento e di rinascita
culturale, lo stabilirsi di nuovi e qualificati servizi per la cultura e il
territorio, attraversa anche la regione e la città di Catanzaro. L’attività
di ricerca e di elaborazione culturale e artistica svolta dall’Accademia
come le due importanti mostre “MAC” (Museo di Arte Contemporanea
dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro), dedicate alla storicizzazione
di artisti e docenti che sin dalla sua fondazione hanno impresso un
carattere fortemente sperimentale e di avanzamento nella ricerca
accademia di catanzaro
42
opera di Giuseppe Mascaro, corso di Scultura
arti visive, nell’architettura e nelle antropologie urbane che già
interagiscono spontaneamente con la vita del territorio catanzarese
e calabrese, appaiono per noi oggi come la condizione necessaria
a favorire la stabilizzazione di un ruolo culturale forte per la nostra
Accademia. In Calabria proprio per il tramite dell’Accademia si è
registrata negli ultimi decenni una reale rinascita delle arti e delle
produzioni culturali, che oggi può essere rafforzata e qualificata
ulteriormente fondando una stabile e duratura politica di sviluppo per
le conoscenze, le arti e la cultura capace di sostenere, attraverso il
contributo della nostra Accademia, una cultura artistica autocentrata
e autoprodotta sul territorio, per confrontarsi e comunicare con gli altri
centri di produzione nazionali e internazionali. Bisogna dunque dare
forma a servizi e risorse stabili a sostegno di queste iniziative e alle
attività extra didattiche e culturali sviluppate dai nostri docenti. È un
momento di crescita globale della nostra Accademia che annuncia
forse un decollo decisivo e non sporadico che, come appare evidente,
non riguarda più soltanto le opportunità di sviluppo per l’arte nel
territorio catanzarese, ma il rafforzamento dell’intero impianto civile e
culturale della nostra istituzione anche in altri ambiti territoriali della
regione.
La ricerca finalizzata al recupero di esperienze e saperi, di elementi
fondativi dell’identità che provengono dalle stratificazioni culturali di
un territorio antico e ricco di storia e di bellezze artistiche, appaiono
dunque come elementi indispensabili per partecipare dalle nostre
posizioni e col nostro carico di valori e di conoscenze a questo nuovo
riposizionamento dell’istituzione accademica. Queste novità insieme
alla nuova progettualità dell’Accademia catanzarese rappresentano
per noi altrettante tappe di un percorso virtuoso di ricerca, di proposta
artistica e culturale sempre congiunte a intese e progetti di partenariato
che vanno a rafforzare la collaborazione istituzionale con gli enti che
amministrano la cultura e le arti sul territorio.
Il progetto complessivo di crescita nella qualità che la nostra
Accademia di Belle Arti persegue da quando sono Direttore non può
dunque che rafforzarsi, collocandosi sempre più all’interno di una
prospettiva di protagonismo e partenariato attivo, rilanciando così
Rocco Pangaro, La pelle del mondo è specchiante, 1985, Installazione , Photo di Antonio Cilurzo
Il Direttore, prof. Rocco Pangaro
Rocco Pangaro, professore di Anatomia Artistica all’Accademia di Belle Arti
di Catanzaro, stimato per la sua ricerca nell’ambito della sperimentazione
artistica italiana fin dagli anni ‘70, artista noto per le sue opere realizzate in
materiali e superfici specchianti, ai confini tra pittura e scultura, dal novembre
1998 ricopre anche la carica di Direttore. La sua direzione, che ha significato
una svolta nella vita di quest’accademia, oggi tra le più vivaci e avanzate del
Sud, si contraddistingue sia per l’ampia partecipazione di docenti e studenti
ai processi di decisione e per la forte spinta data non solo all’innovazione e
alla riforma dei curricula, sia per la crescita decisiva di iniziative prestigiose
nell’ambito degli eventi e delle produzioni artistiche e per le numerose attività
extra didattiche e culturali che l’Accademia di Catanzaro svolge ormai da anni
con ruoli da protagonista nella vita artistica e culturale del territorio calabrese
e nella città di Catanzaro, il capoluogo calabrese in cui l’Accademia di Belle
Arti ha sede.
Vincenzo Paonessa, Precarietà, 2007, cm 105x105x80, materiali vari su tela
accademia di catanzaro
il ruolo dell’Accademia catanzarese nel panorama nazionale delle
Istituzioni Afam.
La nostra oggi è un’Accademia dinamica, giovane e attiva, che,
nonostante la crisi del settore e la perdurante confusione del quadro
legislativo delle istituzioni Afam, ha fatto della ricerca e della proposta
culturale il suo punto di forza, e intendiamo continuare su questa
strada, lavorando in armonia con le preziose peculiarità e le vivacità
che oramai contraddistinguono la presenza culturale dell’Accademia
di Catanzaro nella nostra regione.
La città di Catanzaro per noi tutti è diventata un centro d’irragiamento
della nostra attività istituzionale, non è solo un luogo di studio, di
riflessione e di approfondimento critico di ciò che avviene “altrove”,
ma un laboratorio di conoscenze, un luogo di produzione e
innovazione, una sede operativa del fare arte e ricerca sui luoghi in
un rapporto critico e fondato che guarda con occhi privi di pregiudizio
tanto al mondo che alle realtà a noi più prossime. Anche per questo
abbiamo chiesto alle istituzioni territoriali, il Comune e la Provincia di
Catanzaro, assieme al Miur, di aiutarci a risolvere uno dei passaggi
critici più importanti per il nostro definitivo rilancio e per lo sviluppo
futuro dell’Accademia di Catanzaro: la questione di una nuova sede
di prestigio in città. Un plus funzionale, quello della sede, con spazi
didattici e laboratori adeguati, per noi oramai improrogabile, la cui
risoluzione viene ad arricchire un’offerta formativa già di alta di
qualità, ma anche in grado di generare forme rilevanti di socialità e
di economia nel centro storico catanzarese, in cui l’Accademia già
vive e lavora da anni. Anche per questo problema siamo finalmente
in dirittura d’arrivo. Presto l’Accademia di Catanzaro avrà la sede
di prestigio che spetta al suo rilievo istituzionale. Una sede nel
Palazzo dell’Educandato, un immobile storico nel cuore del centro
cittadino, su cui c’è già un accordo in corso tra Ministero e Comune
di Catanzaro.
43
Conversazione tra Giancarlo Chielli ed Elisabetta Longari
accademia di catanzaro
44
Quale attività culturale è stata svolta in questi anni nell’Accademia
di Catanzaro?
attivati affinché il patrimonio delle sculture possa essere donato
alla città di Catanzaro o, quando avremo la sede, all’Accademia.
Insegno a Catanzaro da sei anni e da subito con il direttore Pangaro
abbiamo cercato di “storicizzare” l’attività dei primi trent’anni
dell’Accademia. E lo abbiamo fatto con lo scopo di istituire una
Pinacoteca dell’Accademia di belle arti di Catanzaro, attraverso la
donazione di opere di artisti che hanno insegnato a Catanzaro in
questi anni. Da questa iniziativa sono nate due mostre, corredate da
due cataloghi esaustivi (curati da me) sull’attività artistica dei docenti
dell’Accademia. Tutti gli artisti invitati hanno dato la disponibilità a
donare un’opera, fermo restando la certezza di vederla esposta: da
allora – e sono passati cinque anni – i problemi relativi alla precarietà
della sede non ci hanno permesso di poter aprire la Pinacoteca. Ma
nei nuovi locali che stiamo trattando, uno spazio sicuramente verrà
dedicato non solo alla pinacoteca ma anche alla memoria di quanto
prodotto in questi trent’anni attraverso l’acquisizione del materiale
prodotto: libri, atti di convegni e conferenze, saggi, manifesti…
Questo per quanto riguarda la salvaguardia della memoria e
della tradizione. Non avete iniziative che coinvolgono altri mezzi
espressivi, magari più sperimentali?
La memoria….?
E per gli studenti cosa fate oltre alla didattica?
La memoria è fondamentale quando ci si rapporta a una piccola realtà
come quella catanzarese. Sapere cosa è stato fatto è determinante
per la comprensione di quanto l’accademia produce. L’accademia
di Catanzaro ha un problema, che l’ accomuna a quello di tutte le
accademie d’Italia: il problema del pendolarismo. Succede quindi che
per un certo periodo di tempo (cinque, massimo dieci anni) docenti di
stanza a Catanzaro si impegnino in progetti visibili in città, per la città.
Quando questi docenti riescono ad ottenere l’avvicinamento a casa,
chi subentra deve avere chiaro cosa è stato prodotto, onde evitare
sovrapposizioni che, sicuramente, spiazzano il pubblico catanzarese
che si vede riproposte – magari – per decenni le stesse tematiche. E
sempre riproposte come fossero nuove. Quando lascerò Catanzaro
sarebbe opportuno che chi mi subentrerà potesse portare avanti il
progetto già iniziato e non riproporre una mostra o un catalogo già fatto
o proporre l’idea della Pinacoteca come la nuova idea dell’accademia.
Per gli studenti, ispirandoci al famoso Salon di Brera, abbiamo
progettato, di concerto con la Provincia di Catanzaro, una mostra
che titola “zone scoperte”. In questa mostra il meglio del passato e
del presente prodotto dai giovani artisti viene veicolato attraverso
un catalogo e una mostra tenuta nelle sale della Provincia, mostra
visitata da più di 50.000 persone in un anno. Contiamo, dopo le due
edizioni - aperte anche a studenti di altre accademie - di riuscire a
organizzare anche la terza edizione. L’originalità dell’iniziativa sta
nelle recensioni che accompagnano le attività degli studenti: un
inizio di critica per instradare i giovani nel difficile ambiente artistico.
Altri indirizzi in questi anni?
Oltre alla Pinacoteca abbiamo fatto un lavoro accurato sulla
“memoria” dei luoghi e degli artisti. É stato redatto dall’accademia
di Catanzaro, su commissione del Comune, un importante
catalogo sui beni Culturali della Città di Catanzaro, un volume
esaustivo che trova la sua originalità nella riproposizione del bene
culturale inteso come museo diffuso, o museo all’aperto, senza la
stucchevole distinzione tra beni importanti e beni minori: ad esempio
Catanzaro vanta cortili di straordinaria bellezza, che meritano
fama e conoscenza tanto quanto le pur importanti basiliche.
Spiegami meglio come avete coltivato la memoria degli artisti dei luoghi.
É stato prodotto un breve saggio su Tony Pileggi, uno dei docenti
che hanno insegnato a Catanzaro. Il sottoscritto ha curato, di
concerto con l’accademia, il Comune e la Provincia, una retrospettiva
su Giuseppe Rito, lo scultore che ha realizzato le sculture più
importanti e “visibili” a Catanzaro. Si pensi alla statua del Cavatore
o all’Assunta del Duomo. Giuseppe Rito, che partecipò nel 1957 alla
Biennale di Venezia, edizione cui furono presenti anche Arnaldo e
Giò Pomodoro, godeva della stima di intellettuali importanti come
Pericle Fazzini e Corrado Alvaro. La morte prematura gli ha impedito
di essere collocato tra i grandi del dopoguerra, e noi con il nostro
lavoro abbiamo voluto riproporlo all’attenzione del pubblico, che ha
risposto, in termini di presenza alla mostra, con numeri significativi
(18.000 presenze). Con gli eredi di Giuseppe Rito ci siamo
Da anni l’Accademia promuove saggi e manifestazioni di docenti
che si occupano di Cinema. Si sono tenute importanti manifestazioni
cinematografiche, di sapore vagamente retrò, ma con interventi
autorevoli, quali quello di Kubelka e si sono tenuti importanti
seminari, coordinati da Mauro Minervino, con la presenza dei più
autorevoli antropologi e scrittori italiani. Inoltre ci sono docenti che
svolgono attività di ricerca anche con gli studenti e di concerto
con altre Istituzioni: è giusto ricordare la lezione tenuta da Barilli a
suggello di quell’evento. Ah, tra l’altro a Catanzaro si è tenuto un
importante incontro con Nagasawa e Mattiacci, presentati da Bruno
Corà: uno dei momenti più importanti per gli studenti catanzaresi.
Cosa pensi abbia in serbo il futuro per le accademie?
L’applicazione della riforma?
Fino a quando l’Accademia sarà legata a doppio filo con il
conservatorio la nostra sorte sarà segnata. Dopo appassionate
lotte comuni, è arrivato il tempo di separarci. Il Conservatorio lavora
con studenti che hanno altre esigenze ed altra età. Noi di tutte le
accademie siamo, tutto sommato, pochi. Tutti insieme abbiamo gli
stessi numeri della sola Università di Catania! Quanto auspichiamo, è
l’inserimento delle nostre professionalità all’interno di un quadro che
ci vede realmente alla pari con l’Università, anche come trattamento
economico perché c’è da avere vergogna a dire quanto percepisce
un docente che si può fregiare del “titolo” di “Livello Universitario”.
Se per ottenere il pieno riconoscimento di docenza universitaria
bisognerà affrontare un concorso, che si stabiliscano i criteri e si
faccia: bisogna anche capire le perplessità del mondo universitario,
restio ad assorbire docenti che, da anni, non pubblicano o non fanno
attività di ricerca o mostre. Dobbiamo avere il coraggio di dire che,
noi docenti dell’accademia, non siamo tutti uguali e che le motivazioni
che portano i singoli a fare attività di ricerca non sono omologabili.
Io stesso conosco docenti di prima fascia che, da anni, non fanno
tesi, non fanno mostre, non pubblicano… Non sarebbe equo, dopo
anni, fare un aggiornamento dei titoli? Sarebbe già un primo passo.
La strada percorribile, a mio parere, dovrebbe essere quella del
Concorso non obbligato: chi si sente pronto e preparato, fa il
Concorso e se lo vince acquisisce retribuzioni e diritti uguali a
quello dei docenti universitari. Chi, per tutte le ragioni del mondo,
non ha intenzione di fare il concorso, mantiene stesso status e
stessa retribuzione. Non mi sembra una cosa poi così difficile.
45
accademia di catanzaro
alcune delle pubblicazioni
prodotte dall’ABA di Catanzaro
46
ANNA LISA RIVA
Sleeping - (performance), Milano, galleria BnD, 2005
Un andamento….
ex studenti
“Un lavoro creativo autentico rende solitari, richiedendo da noi qualcosa che
dobbiamo togliere al benessere della vita”.
HERMANN HESSE, Gertrud
di Francesca Alfano Miglietti (FAM)
Atmosfere suggestive avvolte di un’emozione che scava dentro chi
guarda, e che Anna Lisa Riva mostra con rigore e timidezza.
Sensazioni, esperienze, emozioni interiori che comunica, dense di
solitudine, di una solitudine che ha imparato ad ascoltare il rumore
delle nuvole, del vento, del mare, delle parole del poeta. Una
determinata volontà di sparizione.
Una serie di opere come sguardo, uno sguardo che resta impresso
per ricercatezza compositiva ed eleganza, scorci di un orizzonte di
un’altra dimensione, una dimensione di cui il tempo è la misura, e in
cui fanno da protagoniste le emozioni, le paure, i desideri.
Una sensazione di disagio, un senso di pudico o, forse, d’indecisione,
figure quasi evanescenti, che somigliano ad apparizioni fanno da
sfondo a materie e materiali composti con maniacale precisione:
ami, petali, capelli, semi, spine, sale, un viaggio tra i materiali che
ha inizio da premesse incerte, dall’andirivieni nell’oscurità del parco
privato, e dall’illuminazione improvvisa provocata dagli incontri…
Annalisa Riva sembra voler gestire lo smarrimento, il senso di
perdita di orientamento, la mescolanza e il superamento di un limite
che insieme allontana e avvicina, e lo fa con una struttura quasi
matematica, regolare, ritmica. Il sospetto è che il soggetto dell ’opera
è un essere di frontiera che sta mutando, indifferente al mondo. La
realtà dei frammenti è irriducibile, non si conoscono unità in grado di
raccoglierli e anche il linguaggio si sbriciola e diviene visione, passo,
respiro, ritmo, delirio.
La struttura è quella polimorfa di un insieme di segni controllati
dalla regolarità e da una posizione, un pò più in là rispetto alla
visione abituale, è un abitare dappertutto, essere ovunque
vagabondando, girovagando per luoghi percorsi al proprio interno
da una pluralità di limiti che creano una dimensione percettiva in
cui l’immaginazione s’intreccia per sempre al disagio. Un modo di
trovarsi dappertutto come a casa propria, nell’assenza del luogo
di origine. L’immaginazione di Annalisa Riva è nomade, e vive nel
continuo stupore. Oggetti e materie e materiali e disegni come ‘luoghi
vitali’, in grado di produrre autonomamente affetti e relazioni, come
un organismo vivente con un proprio carattere e particolari umori.
Oggetti che diventano storie, memorie, spazi…e vagare per questi
spazi, ricchi di variabili e di imprevisti smottamenti, conduce chi li
attraversa ad uno stato di apprensione, intesa nel duplice significato
di “aver paura ” e “apprendere ”. In queste storie si ascoltano le
insidie, si viene trasportati trasporta in uno spazio in cui i confini
Sleeping (performance), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, 2004
ANNALISA RIVA
Nata Bergamo, si diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, e si specializza
in Comunicazione e Organizzazione dell’Arte Contemporanea, nella stessa Accademia.
Vive e lavora a Milano.
Mostre e performances:
Art Live 4, Torino, (performance) Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, 2004
Sleeping-Anna Lisa Riva, (performance) - Milano, galleria BnD, 2005
Perdere la testa, Milano, Galleria Lattuada , 2005
Punto a giorno, punto a croce…, Milano, Bel Art Galery, 2006
A…mano, Milano, ex chiesa di San Carpoforo, 2007
Annisettanta, sezione “Corpi nell’arte, arte nel corpo”, La Triennale di Milano , 2007
Tutto in un giorno…Poetiche della precarietà, Milano, Sala delle Colonne, 2008
Passaggi di Stato, Pavia, Palazzo del Broletto , 2009
47
Berenice , 2007, disegno, sale, capelli, cm. 38 x 28.
ex studenti
sfumano in uno stato di inquietudine, ad uno stato di progressivo
disorientamento smarrimento. Perdersi è la condizione d’inizio in
cui si trovavano i fondatori di un luogo prima di tracciare i confini
dell’ ’insediamento’.
C’è sospensione. Sospensione del respiro. In un frammento
d’intimità.
Un movimento lento in cui la sensazione di bruciore è immediata
e molto forte e si confonde con le parole di Borges... Piume e
meduse e puntine e ballerine e parole e semi di soffione e pesci
e spine… il catalogo è concentrato e provoca un misto di dolore
e di bellezza…E un profondo silenzio. Un lavoro lunghissimo,
fatto di disegni e ricami e sovrapposizioni e un’ombra leggera ed
evanescente quanto l’opera in cui si mette in gioco un senso del
fare fortemente intimo, spesso proprio attraverso materiali fragili.
L’universo di Annalisa Riva, costituito da performances, installazioni,
disegni, contiene un mondo che crea infinite sfaccettature di spazi
soprattutto che sfiorano il disagio del tema della passione che si
smarrisce nella necessità della visione di un orizzonte. Un bagliore
che per solo un attimo esalta una porzione di immaginario. Si intuisce
la vicinanza con una delle molteplici forme del disagio, dell’assenza,
dell’inadeguatezza, e, sullo sfondo, la figura di Borges, di cui più e
più volte appaiono i frammenti di poesie. Al tempo sospeso, alle sue
alchimie e ai suoi limiti, è dedicata la gran parte dell’attenzione di
Annalisa Riva, le cui opere sembrano voler interrogare la tensione
tra il racconto e la visione, tra la forza e la vulnerabilità, tra il sogno
e il quotidiano. Una drammaturgia ossessiva, a volte, Annalisa
Riva adotta un’espressione che usa più linguaggi, mantenendo
sempre una distanza tra questi. I soggetti che pone al centro delle
sue opere sono raccolti da vari racconti e storie e figure bibliche o
mitologiche, da figure marine e da insetti, Annalisa Riva si spinge
lontano: oltre l’impossibilità di parola di un pesce, nelle piume perse
in volo, tra le onde di un mare, e concentra l’attenzione su una forma
di ripetizione, una cadenza regolare, sul bisogno trattenere quanto
le sfugge: gli istanti. Colpiscono, nelle sue opere, la sua intensità e
insieme la semplicità che diviene forma di racconto, la capacità di
fare del mondo, di ogni cosa del mondo, la propria autobiografia. È
l’essenza di una vocazione letteraria. Di una constatazione finale,
romantica e disincantata allo stesso tempo, di un ostinato interrogare,
cercare, sperimentare idee e storie, protendendosi verso di esse
con disperazione o pazienza. D’altra parte i protagonisti di tutte le
opere di Annalisa Riva sono la propria intimità, le proprie paure e
i propri smarrimenti, che, con estrema delicatezza e indipendenza,
sembra trasformare le situazioni da paradossali o apparentemente
irragionevoli, a motivi poetici. La predilezione per le microstorie,
che compongono opere che intrecciano reti di ossessioni e desideri
che tendono a infittirsi, caratterizzano un procedere nel quale non
è difficile individuare il persistere di una resistenza autentica alle
logiche del buon senso.
Shhhhhh - 2010, foto, gesso e capelli (part.)
48
Marco Pariani
fondazione maimeri
“SARANNO FAMOSI”
I maestri del futuro presentati dai loro docenti
”Anni fa vicino a Brera c’era un piccolo negozio dove erano
accatastate numerose opere degli studenti e di qualche ex studente
dell’Accademia di Brera. Spesso ci si recava in quel negozio per
curiosare e per farsi tentare. Particolarmente nel periodo dei regali,
il piccolo negozio era preso d’assalto quasi fosse un luogo magico.
Oggi a distanza di anni si riesce più di allora a comprenderne la magia.
Quel piccolo negozio rappresentava un luogo dove chiunque
poteva avvicinarsi all’arte senza alcuna barriera, era la rappresentazione della contrapposizione alla scena del celebre film ”Vacanze
intelligenti” dove Alberto Sordi e signora si aggirano curiosi e
spaesati tra le installazioni esposte alla Biennale di Venezia. In
quel piccolo negozio ognuno di noi si poteva immaginare grande
scopritore di talenti o semplicemente poteva comprare un quadro senza
porsi il problema della competenza, di adeguatezza o di opportunità di
investimento, illuminato e guidato solo dal gusto e dal piacere di un
acquisto alla portata di tutti, solo il tempo avrebbe poi
certificato la speranza di essere stato uno scopritore di talenti....” Gianni Maimeri, Presidente Fondazione Maimeri
Oggi, quell’occasione la ripropone l’esposizione ”Saranno Famosi”
che vuole essere un esplicito invito al collezionismo. Promossa da
Fuori Accademia, è stata inaugurata giovedì 10 dicembre negli spazi
della Fondazione Maimeri, in corso Cristoforo Colombo 15 a Milano.
Fuori Accademia nasce da un piccolo nucleo di appassionati d’arte
contemporanea con l’intento di far conoscere le opere dei nuovi
talenti.
Appoggiandosi pertanto, negli spazi suggestivi della Fondazione
Maimeri, già sede di Artis School, scuola d’arte e di creatività, i giovani artisti del progetto Fuori Accademia, hanno avuto l’opportunità
di esporre e vendere le proprie opere a prezzi invitanti; opere che in
gallerie private raggiungerebbero ben più alte quotazioni.L’iniziativa
vede come garante l’Accademia di Brera che schiera
come testimoni di qualità i docenti:
Domenico DAVID, Gastone MARIANI, Franco MARROCCO
Angela OCCHIPINTI, Stefano PIZZI, Beppe SABATINO
Nicola SALVATORE, Alessandro SPADARI
che hanno formato i giovani in mostra:
Dino CERCHIAI, Davide DISCA, Matteo GIAGNACOVO
Marta MANFREDINI, Marco PARIANI, Massimiliano
PATRIARCA, Giuliana STORINO, Carmine SABBATELLA
Mariangelo SPAGNOLETTI
Giulia Storino
Manifesto della mostra
Matteo Giagnacovo, Attimi
49
fondazione maimeri
Luca Bonanno
(rappresentante uscente studenti e componente dei C.d.A. dell’A.B.B.A.A. e dell’ERSU di Palermo)
“ Se tutto deve rimanere com’è, è necessario che tutto cambi.”
Diciamo pure che in un decennio si è passati dal “saper fare” al “saper sopravvivere”,
le modifiche agli ordinamenti che dovevano essere garanzia di contemporaneità degli
studi si sono trasformate in un “lascia o raddoppia”
studenti
50
Non potevo non iniziare questo articolo se non con le parole sempre
attuali di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che ben cinquantatre
anni fa diede alla luce questa perfetta definizione del modus vivendi
italiano e soprattutto non potevo esimermi dall’usare queste parole
per scrivere della “moderna” Accademia di Belle Arti di Palermo.
E’ proprio in questa Sicilia soggetta perennemente a svariati tipi di
conquista che svolgo attività di rappresentanza studentesca da ormai
più di tre anni, un compito che mi ha reso partecipe di una delle realtà
più tristi che cercano di sopravvivere in Italia: le Accademie di Belle
Arti post-riforma.
In un sentir mediatico continuo di casi più o meno umani sulle vittime
della crisi, è paradossale che nessuno abbia una parola da dire su
queste istituzioni culturali, anima vera del nostro paese. A distanza
di più di cinquecento anni dalla nascita a Firenze della prima forma
d’Accademia esistente in Europa, sotto la guida di Giorgio Vasari,
assisto stupito nel vedere che cinque secoli di storia non siano serviti
a raggiungere risultati formativi adeguati e proporzionali all’immenso
valore e al contributo che il nostro Paese ha dato più di tutti al mondo
dell’arte.
La riforma del 1999 delle Accademie, di cui ormai si discute da nord
a sud molto animosamente da un decennio, ha fornito le basi per una
lenta e inesorabile distruzione delle eccellenze operanti nel settore.
Ho avuto l’occasione di visitare parecchi Istituti AFAM in questi anni
ed ho visto come molti docenti si siano dovuti inventare veri e propri
miracoli per “tirare avanti la baracca”. Aule prive di attrezzature
didattiche, materiali che stentano sempre ad arrivare e che molto
spesso acquistano direttamente gli studenti, orari folli in cui il criterio
base è quello dell’incastro orario per poter seguire il numero maggiore
di materie nozionistiche e stipendi della docenza pari (al netto) a
quelli dei collaboratori scolastici della scuola media superiore, di
certo non hanno favorito la lotta all’emigrazione degli artisti e degli
studenti verso quei paesi del mondo in cui ancora Mediaset e la sua
pseudo-evoluzione culturale non sono sbarcate.
Voglio però soffermarmi principalmente sull’Accademia in cui studio,
piuttosto che dilungarmi attorno alle innumerevoli esigenze di carattere
nazionale, e voglio farlo iniziando col citare e condividere appieno
quanto scritto da Filippo Meli, che dal 1941 sino ad oggi è stato
l’unico autore di un trattato storiografico completo sull’Accademia di
Belle Arti di Palermo, a proposito di come si misura il vero valore di
un’istituzione : “La misura della bontà di un’istituzione ci vien data,
più che dalle intenzioni degli uomini che la promuovono, dai risultati
cui essa perviene nel corso della sua esplicazione” . Cito Meli perché
i quesiti che oggi più mi ossessionano, a distanza di tre anni passati a
“lottare” all’interno del Consiglio di Amministrazione dell’ Accademia,
sono:
l’Accademia di Palermo attrae per i suoi contenuti formativi gli studenti
dal resto d’Europa?
Palermo è all’altezza delle ricerche e delle svariate sperimentazioni
delle facoltà e delle Accademie di Belle Arti europee?
La risposta ovviamente è negativa e si certifica molto facilmente sul
sito delle statistiche del Ministero Italiano dell’Università in cui, per
l’A.A. 2008/2009, risultano iscritti soltanto quattro studenti stranieri, di
cui due al triennio e due al Biennio. Mi hanno sempre insegnato che il
gradimento di chi è estraneo al normale vissuto di un luogo è sempre
da considerarsi un fattore di qualità effettiva, così come lo può essere
il giudizio chiaro e netto di un bambino nei confronti delle persone
che lo circondano. Persino l’allora Sottosegretario al MIUR Sen. F.R.
Dalla Chiesa durante una breve visita presso l’Accademia di Palermo
chiedeva spiegazioni ai Consigli d’Istituto, riuniti congiuntamente per
l’occasione, di questo dato allarmante che si protrae ormai da numerosi
anni. Può un Istituto, che vanta numerosi scambi Erasmus non tener
conto che gli studenti d’Europa che vengono a svolgere esperienza
di studio a Palermo non decidono mai di rimanere a conseguire una
specializzazione? C’entrerà il fatto che dai Direttori delle Accademie
europee arrivano richieste di chiarimenti su come sia possibile che
alcuni loro studenti partiti con medie bassissime di voti tornino “a casa”
stracolmi di 30 e lode? Inoltre a Palermo vige l’abitudine di valutare
la qualità della didattica e dei servizi sulla base del numero degli
iscritti al primo anno dei Trienni, che ovviamente, dopo aver inserito
corsi di Diploma che attirano le più svariate categorie di studenti, è
assai cresciuto di numero rispetto a due anni fa. Ma come può uno
studente che mette piede per la prima volta in un Istituto, essere
l’unità di misura stessa della qualità di quell’istituzione? E il nucleo di
valutazione d’Istituto cos’ha da dire a proposito? Purtroppo non verrò
mai a saperlo visto che tutti i documenti e le relazioni più importanti
non vengono mai fatti visionare ai rappresentanti degli studenti
interessati nella vita accademica di governo; le richieste ufficiali della
Consulta degli Studenti vengono lasciate ammuffire presso l’Ufficio
protocollo perchè “tanto sono soltanto studenti capricciosi”.
Allora mi chiedo, perché riconoscere come rappresentativo di un
intero Istituto un Direttore eletto soltanto dai docenti? E’ mai possibile
che non si faccia nulla per rendere davvero collegiali e universitarie
queste istituzioni? A mio avviso il DPR 132/03 va radicalmente
modificato, come testimoniano d’altronde i tre ricorsi ai TAR e Consigli
di Stato che hanno modificato o abolito già diversi articoli del decreto.
Sono convinto che cambierebbero molte dinamiche se gli studenti
eletti negli organi di governo delle accademie potessero votare per
eleggere il loro direttore.
Oggi vige in pratica l’idea che debba essere per forza un gruppo
maggioritario di docenti “amici degli amici” accomunati dalle
stesse esigenze personali a decretare l’elezione del Direttore di
un’Accademia, e in questi anni si sono eletti direttori che potevano
portare avanti e tutelare le promesse accordate ai docenti del “gruppo
dominante”.
51
studenti
Questo giochetto elettivo unico e per fortuna raro in tutto l’emisfero
occidentale del mondo, ha portato oggi molte accademie ad essere
governate da professori di materie teoriche. Storici dell’arte e dello
spettacolo laureati nelle più disparate Università dirigono istituti così
particolari quali i nostri senza aver minima idea di cosa sia davvero
un laboratorio.
Questo è il vero processo di deculturalizzazione nazionale: molte
delle Accademie statali vanto e attrazione mondiale per via soprattutto
delle loro specificità tecnico-laboratoriali stanno oggi affondando su
di una mega passerella cigolante, una sorta di enorme banchetto in
cui non si sa più cosa mangiare per prima.
Nascono così i programmi elettorali più commoventi che siano mai
esistiti. A Palermo l’attuale Direttore promette i seguenti obiettivi:
dialogo tra docenti e studenti, nuovo ordinamento come approdo
morbido e felice, interpretazione di ciò che si è ascoltato e interpretato
in questi anni di riforma, rafforzamento dei laboratori ponendoli
al centro dell’universo didattico e ruoli ben distinti dei dipartimenti
per una proficua collaborazione con il consiglio accademico. Ho
citato i più significativi obiettivi perché questi sono rimasti vane
parole, è passato più di un anno dalla riconferma di Umberto De
Paola a Direttore dell’Accademia e nei tre anni di mandato svolti in
precedenza già erano state elargite promesse simili. Il cancro che
regna in Accademia è proprio questo, quello di non tener conto delle
promesse e degli obiettivi di figure così importanti come quelle di un
Direttore. È sempre stata un’eterna promessa di belle intenzioni, ma
nei fatti il dialogo tra i docenti e gli studenti rappresentanti non è mai
avvenuto in maniera utile (eccetto durante quest’ultimo periodo, in cui
alcuni rappresentanti degli studenti hanno improvvisamente cambiato
il loro obiettivo politico e vengono costantemente verbalizzate loro le
più disparate lodi in seduta di Consiglio Accademico).
Sono anni che gli studenti sperano in un dialogo costruttivo,
promesse quali la volontà di istituire incontri settimanali tra il Direttore
e la Consulta degli Studenti o la partecipazione studentesca ai lavori
delle commissioni interne non si sono mai concretamente realizzate.
Penso inoltre che sia il caso di tenere degli incontri tesi a spiegare
al personale in servizio presso l’Accademia, cosa si intende oggi
per “mobbing”; trovo che una corretta informazione sull’argomento
non possa che giovare a determinate persone. Ancora più incredibili
sono affermazioni come quella che paragona il nuovo ordinamento
ad un approdo morbido e felice, quando nei fatti a Palermo, così
come in tutte le Accademie italiane, il N.O. si è dimostrato un modo
per elargire benefici e di certo non agli studenti. Però continuiamo a
subire un sistema formativo che si regge al 60% circa di insegnamenti
a contratto annuale, violando così il sacrosanto diritto alla continuità
didattica. La mancanza tutta italiana della ricerca di III livello
all’interno delle Accademie è svanita dai dibattiti interni agli istituti
e tra i docenti ormai si parla solo del rinnovo del contratto scaduto
da cinque anni. Tenere i lavoratori “della cultura” in
questo eterno stato di precarietà, è certamente un
modo per distogliere l’attenzione dai veri problemi che
non permettono che le Accademie possano diventare
realmente competitive.
Che senso ha avere nella stessa città un’Accademia
di Belle Arti che offre i più disparati corsi di Diploma
teorico-pratici quando parallelamente all’interno
dell’Università spuntano come i funghi dubbi
corsi di laurea triennali e biennali gemelli a quelli
dell’Accademia ma sviluppati sulla sola teoria? Sarà
forse un caso che il titolo finale conseguito negli Istituti
AFAM continua ad essere ancora oggi un diploma
accademico mancante di reale equiparazione? Ma
soprattutto che ruolo ha lo STAMS (ex DAMS) in tutto
ciò?
Non ci avevano spiegato che il volere espresso dal
legislatore è quello di trasformare le Accademie in
luoghi dove coesistono esperienze didattiche teoriche
e pratiche dell’intero variegato mondo dell’arte? Sono ovviamente
tutte domande retoriche a cui io ho dato una risposta da tempo, ma
che continuano ad essere a mio avviso dei passaggi chiave della
vera (non) riforma. Diciamo pure che in un decennio si è passati dal
“saper fare” al “saper sopravvivere”, le modifiche agli ordinamenti
che dovevano essere garanzia di contemporaneità degli studi si sono
trasformate in un “lascia o raddoppia”. A Palermo ad esempio è nato
da un anno un corso di restauro triennale che è quasi totalmente privo
di attrezzature e di collaborazioni REALI con gli enti pubblici e ancor
più con quelli privati. E’ scontato quindi precisare che nei fatti, si tratta
di un corso che è tutto tranne che competitivo con le realtà locali
del restauro che operano sulle enormi esigenze territoriali. Inoltre,
essendo anche cambiata di recente la legislazione nel merito della
formazione al restauro, è incredibile che le accademie continuino
a far iscrivere ai corsi di restauro gli studenti come se nulla fosse
successo.
E i corsi storici dell’Accademia a che punto sono del loro processo di
miglioramento?
Quest’anno a Palermo si sono registrati soltanto sei iscritti di primo
anno al corso di Scenografia, dimostrazione di come i corsi storici
delle Accademie siano per lo più ad esaurimento sotto la più totale
indifferenza. Non nego che il problema risieda anche e soprattutto
nella quasi totale mancanza d’interesse professionale e lavorativo
della politica territoriale ma se non è l’Accademia a farsi promotrice di
un dibattito serio sullo stato dell’arte di un territorio chi deve farlo?
Ad esempio: i nostri politici sanno in che spazi operano gli studenti
delle belle arti?
A Palermo, così come in molte accademie d’Italia, uno dei problemi
più urgenti è quello degli spazi; l’attuale Presidente dell’Accademia,
eletto con la seguente motivazione culturale: “Il fatto che egli sia un
professore di Diritto privato all’Università di Palermo, fornisce tutela
giuridica all’Accademia di Palermo che ne sente altamente il bisogno
in questo suo particolare momento storico”, ha basato il suo primo
mandato quasi unicamente sul tentativo di risolvere questo problema
tanto da affermare in sede di riunione che se non si fosse risolto si
sarebbe dimesso.
Cosa è realmente cambiato?
Corsi di Diploma che richiedono ingenti spazi come scultura, oggi si
ritrovano collocati in luoghi dell’assurdo, spazi da 1 mq. a studente,
cifre che solo gli oppressi lavoratori cinesi possono invidiare. Seguo
la lezione di Tecniche del marmo e delle pietre dure cosciente che
posso tornare a casa ogni giorno pieno di lividi arrecati dalle pietre
che saltellano dai sei colleghi che mi stanno vicino con i loro lavori.
Spazi non ventilati, nessuna uscita di sicurezza e mancanza delle più
banali misure di prevenzione sono da anni problemi per cui non si è
fatto nulla. La soluzione tanto pubblicizzata dalle dirigenze è stata
individuata in uno spazio ex industriale utilizzato tra l’ ‘800 e il ‘900
in cui già tentano di sopravvivere diverse realtà culturali palermitane
quali il “Goethe Institut” di cultura tedesca, la biblioteca “Gramsci”
e il centro sperimentale del documentario di Sicilia. L’unica pecca
è quella di aver accettato un contratto di sei anni (potenzialmente
rinnovabile per altri sei) quale soluzione effettiva dei problemi di
spazio dell’Accademia, e il motivo è sempre quello di ragionare
con la politica del “poi si vedrà”. Questi sei anni di contratto sono
iniziati il primo Gennaio duemilanove e ad oggi non sono ancora
cominciati i lavori per la messa a norma degli spazi. Ecco che i sei
anni si trasformano in cinque e, tenendo conto del tempo necessario
per i lavori, alla fine saranno sicuramente quattro. Non ho problemi
nell’ammettere che io stesso ho avallato la stipula del contratto, l’ho
fatto perchè mi ero illuso che potesse cambiare davvero qualcosa nel
modo di gestire le urgenze, ma l’ho fatto dicendo chiaramente che da
questa operazione avrebbe guadagnato solo il comune di Palermo
che è il proprietario degli spazi e che può riprenderseli quando vuole
se dovesse averne esigenza (come da contratto). Lo scorso governo
Prodi ha dato all’Accademia di Palermo circa 330.000 euro per poter
trovare una soluzione definitiva al problema spazi ed ecco che Palermo
risponde con la più precaria delle soluzioni. Questo che sembra più
un bollettino di guerra che un articolo su di un istituto di belle arti,
è frutto della perenne disinformazione che osservo da anni e di cui
oramai sono saturo. Chiunque fosse interessato agli aspetti positivi
dell’Accademia di Palermo può venire a vedere con i suoi occhi come
da queste parti tutto eccelle. Approfitto della cortesia fornitami da
“Academy” per fare sentire almeno una volta un pezzo di verità sulla
condizione studentesca italiana di chi, come me, ha avuto la fortuna
di esserne parte in questo secolo di perenni contraddizioni.
Luca Bonanno
[email protected]
52
COLORE & COLORI
recensioni
di Lia Luzzatto e Renata Pompas
272 pagine, a colori, 170 x 240 mm, paperback, € 29,00
© 2009, Il Castello srl, www.ilcastelloeditore.it
Il libro racconta il colore nella sua varietà: dall’architettura, al design, alla
moda, all’arte, al cinema con riferimento ai trend cromatici che me hanno
suggerito l’uso.
Descrive le interferenze tra colore, luce, superficie e materia; parla del colore
nella bellezza individuale, nel benessere fisico e psichico. Aiuta a trovare le
relazioni che intercorrono tra colore, sostanza e ambiente per individuare la
‘qualità di gamma’ necessaria a definire il significato cromatico complessivo
del progetto.
Porta esempi di come il colore esprima identità e appartenenza sociale,
industriale e culturale, di come possa trasmettere visibilità forza, emozione
per far emergere un prodotto e posizionarlo sul mercato.
Il libro è illustrato da un centinaio di immagini a colori di grande suggestione,
corredate da una ottantina di palette cromatiche in cui sono suggeriti
accostamenti e combinazioni tonali tematici, ideale strumento di lavoro per
chi progetta con il colore.
Studiose, storiche, giornaliste ed esperte del colore, Lia Luzzatto e Renata
Pompas hanno maturato una lunga esperienza internazionale su questo
tema.
Membre di network internazionali riconosciuti quali:AIC-International Color
Association, ECD-Environmental Color Design, CE-Study Group on Colour
Education, GdC-Gruppo Italiano del Colore, ETN-European Textile Network
,TEXERE- Textile Education and Reasearch in Europe. Tengono lezioni,
conferenze, seminari in aziende, istituzioni e università. Oltre a centinaia di
articoli e contributi in libri collettivi, hanno al loro attivo numerose pubblicazioni,
tra cui ricordiamo:
“Il colore persuasivo – comunicazione, grafica, pubblicità, new media” Il
Castello (2001);
“Il significato dei colori, nelle civiltà antiche” Tascabili Bompiani, (2001);
“I colori del vestire. Variazioni – Ritorni – Persistenze” Hoepli, (1997);
“Conoscere e capire il colore” Il Castello, (1988);
“Il linguaggio del colore” Il Castello, (1980);
R.Pompas, “Textile Design. Ricerca–Elaborazione–Progetto” Hoe1994).
* Renata Pompas e Lia Luzzato si sono diplomate all’Accademia di Brera
53
IL CASO DI VIVERE
UN LIBRO DI MINO CERETTI
FERNANDO DE FILIPPI
Il carattere di questo libro permette di avvicinare la visione di Mino Ceretti
(Milano, 1930) non solo attraverso gli aspetti autobiografici ma soprattutto per
il tramite di valori esistenziali che si dilatano fino a interrogare i fondamenti
dell’essere. In questo viaggio nel labirinto vivente del passato si avverte
l’emozione di porsi al fuori di ogni sistema obbligante, si colgono le inquietudini
e le contraddizioni tra il piano dell’esperienza e quello dell’immaginazione, tra
lo slancio ideale e la verifica delle utopie potenziali dell’arte.
Emerge il filtro della cronaca che si fa storia, della vita che si fa respiro sociale,
del linguaggio pittorico che diventa misura quotidiana del fermento culturale
che anima l’autore, dalla fine degli anni trenta ad oggi, quasi senza pausa.
Il tempo lavora a più riprese, talvolta avvolge nell’oblio i fatti dolorosi, in altri
casi li mette a nudo nella loro drammatica verità, con un equilibrio raggiunto
tra la pacata nostalgia del vissuto e la volontà di trasformare l’angoscia e la
gioia degli eventi nella convinzione che solo attraverso lo smarrimento si può
aver coscienza del “caso di vivere”.
Al centro della scrittura di Ceretti sta la forza limpida del ricordo, in un modo
che non è mai memoriale ma sempre aperto alla verifica del futuro, oltre la
scatola chiusa del passato, verso le cose ancora da conoscere.
Molteplici sono gli scenari, la famiglia, gli amici, la scuola, il collegio, i paesaggi,
gli incontri, l’avventura delle mostre, i rapporti con gli amici artisti. Nel diramarsi
dei ricordi giovanili emerge con persistenza l’esigenza del continuo viaggiare
per aprisi ad altre esperienze in un confronto aperto e produttivo.
Per l’artista si tratta sempre di raccogliere stimoli necessari per addentrarsi nella
pittura vissuta come flusso di inquiete energie, critica della rappresentazione
ancora possibile.
Significative sono infine le riflessioni dedicate all’insegnamento tenuto
all’Accademia di Brera, un impegno che Ceretti ha vissuto con passione
per qualificare la ricerca dell’identità come valore centrale dell’esperienza
didattica, operativa, riflessiva.
Fernando De Filippi ha esposto fino al 31 gennaio con un’ampia mostra
antologica (Opere 1962 – 2009)nella ex Chiesa di S. Francesco della Scarpa.
La mostra, curata da Michele Afferri e Antonio Cassiano è completata da un
ampio catalogo di 128 pagine; all’interno diverse testimonianze e riproduzioni
di opere del vasto arco produttivo della sua attività artistica.
Antonio Cassiano, Direttore del Museo Provinciale di Lecce, scrive in
catalogo:
“Entri nello studio di De Filippi e arrivi all’anima dell’artista. Ordinato, razionale,
con le opere a lui più care che hanno scandito cinquant’anni di creatività,
sempre lì a consentirgli una memoria e una meditazione su come continuare;
ma poi ecco i pacchi di cataloghi di tante mostre, i disegni, gli strumenti di
lavoro, i ricordi sparsi, i cavalletti, i libri, i mobili, gli scaffali attraverso cui
aggirarsi per scoprire come si passa da un’idea a un progetto a una tela
finale”. La descrizione riporta direttamente alla copertina del catalogo che
sintetizza la complessità e la stratificazione di esperienze che De Filippi ha
attraversato nella sua felice carriera.
De Filippi è nato a Lecce nel 1940, ha iniziato a dipingere giovanissimo
partendo dalla tradizione della “bottega”, e poi studia all’Istituto d’Arte di Lecce
e all’Accademia di Brera, prima ai corsi di Pittura del prof. Morelli, poi a quelli
di scenografia del prof. Varisco. Dopo aver vissuto a Parigi, torna a Milano
dove dal 1971 al 1973 è direttore del Liceo Artistico di Brera.
Dal 1979 è stato docente titolare di Scenografia all’Accademia di Brera che ha
successivamente diretto per quasi vent’anni.
De Filippi dirige attualmente l’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona.
A lui si deve principalmente l’intensa attività di rinnovamento della didattica
delle Accademie, seguito dalla legge di riforma 508/99. Una riforma che
ha visto un decisivo ampliamento dell’offerta formativa con il conseguente
passaggio, ancora non pienamente realizzato, delle Accademie nel sistema
universitario italiano.
Claudio Cerritelli
Gaetano Grillo
recensioni
* Mino Ceretti ha insegnato all’Accademia di Brera prima come assistente
alla cattedra di Scultura tenuta da Alik Cavaliere e poi come titolare della cattedra di Pittura sino al 2005.
con un’antologica nella sua città natale: Lecce.
recensioni
54
Fausta Squatriti con la sua mostra “Ecce Homo” alla Galleria d’Arte Moderna di Mosca
“ECCE HOMO” il titolo dato da Fausta Squatriti alla mostra inauguratasi il
10 dicembre 2009 in una delle sedi della galleria d’Arte Moderna di Mosca, la
Russian Academy of Fine Arts. Sotto il titolo “Ecce Homo”, l’artista che indaga
con dolorosa esattezza l’Umanità nei suoi aspetti più miserabili, sopraffazione,
guerra, catastrofi causate da incuria, crudeltà, fino alla perdita della ragione:
malati di mente abbandonati a se stessi, in un ospedale-lager, in un paese
europeo, ai giorni nostri. Il ciclo estende il proprio titolo a tutta la mostra e al
bel libro edito da Charta, in tre lingue, con testi della curatrice Evelina Schatz,
di Elisabetta Longari, Angela Madesani, Michail Pogarskij.
In questo libro così ben concepito e stampato, si riconosce la mano compositiva
dell’artista, che nel proprio lavoro procede per capitoli, dedicandosi di volta in
volta a un unico tema, e costruendo, negli anni, un suo romanzo per immagini
(ricordiamo anche la vena narrativa di Squatriti).
Un’ansia di totalità sembra condurre la ricerca di questa non facile artista, con
alle spalle una lunga carriera, connotata dalla multiformità (caratteristica per
lo più disfunzionale alle leggi del mercato). Le diverse forme in cui l’artista si
esprime si sviluppano con uguale forza e attenzione alla forma del genere
via via adottato e questa postura si rivela contro-corrente ai giorni nostri così
devoti alla specializzazione.
Il lavoro di Squatriti, aspro, dolente, respingente, anche a causa dei soggetti
scelti per urlare, se pure freddamente, il proprio dissenso da come le umane
cose traballino, divaghino dal bene agognato, per precipitare il più delle volte
nel dolore. La sua visione é catastrofica, e la catastrofe viene messa in scena
con freddezza, usando canoni, liberamente scelti e rinnovati dalla straniante
mescolanza di tante avanguardie del ‘900. Contamina immagini riconoscibili,
ottenute tramite la fotografia, propria o “trovata” ma quasi sempre ritoccata,
con le forme geometriche, sovrane, meravigliose e mentali che fanno da
contro-altare alla - realtà riconoscibile, all’inganno teso dalla fotografia.
Proprio questa contaminazione dei generi produce il disagio cercato dall’artista
per mettere alle strette chi osserva e porgli domande scomode. L’insieme
risulta scioccante.
Quattro sono i cicli raccolti nelle due enormi sale del Museo in via Precistenka,
nel cuore di Mosca, di cui le tre sculture più recenti, “L’opera al nero”, sono
diverse da tutto il resto. Squatriti torna alla scultura a tuttotondo, come tante
ne aveva fatte, diverse, negli anni tra il ’60 e la fine degli anni ’70.
Il pubblico moscovita é rimasto impressionato dal lavoro di denuncia,
eppure fissato in composizioni alla ricerca della perfezione e della bellezza
che svolgono un’azione paradossale per attrarre di attrazione e repulsione,
mettendoci spesso sotto gli occhi l’inguardabile: il dolore del mondo e la
responsabilità che l’Uomo ha, con il suo comportamento delinquenziale
svelato senza mezzi termini, ma con una notevole dose di pietà.
Alessandro Gioiello
Domenico David espone a Catania
alla Galleria Carta Bianca
con una personale dal titolo “A basso voltaggio” dal 5 febbraio al 10 marzo 2010.
David, che di recente ha esposto anche presso la Galleria Antonio Battaglia
di Milano con un catalogo a cura di Elena Pontiggia e pubblicato da Prearo
Ed., è docente di Tecniche Pittoriche presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
In questa occasione Domenico David espone una serie di paesaggi notturni
di medie e grandi dimensioni che l’artista ha realizzato tra il 2008 e il 2009.
Il titolo della mostra A basso voltaggio è il termine che l’artista prende a prestito dal mondo dell’energia industriale interrogandosi sul rapporto tra la luce
artificiale e spazio nero. Sarebbe infatti impensabile la visione di un mondo (un paesaggio) notturno privo di luce artificiale. Si perderebbero i contorni, le forme, il senso dello spazio. David indaga così su un linguaggio di
pittura ontologica; il nero di fondo che avvolge e dialoga con l’impasto dei
colori-luce, fino agli ultimissimi lavori virati su una particolare dominante di
blu. Il risultato finale è quello di una pittura intensa e mentale fatta di pennellate veloci cariche di colore vibrante che si stagliano dallo spazio nero.
Michelangelo Pistoletto Ti amo (Oggetti in meno), 1965 - 1966 acrilico su
tela, cm. 60 x 70 (collezione : Fondazione Pistoletto)
Amore A-meno
a cura di Elisabetta Longari
Spazio Museale di Palazzo Tornielli, Ameno (NO) dal 12.2 al 5.4.2010
Un progetto di Asilo Bianco e Cuore Verde tra due Laghi
La Casa dell’Energia, in occasione del centenario della costituzione
dell’Azienda Elettrica Municipale di Milano, presenta dall’11 al 30 marzo,
Light Abstr-Action, la prima installazione di Cristiana Fioretti site-specific
multimediale.
In questo edificio razionalista si espone un’installazione che interagisce
con lo spazio, puntando sull’effetto scenografico, mediante un mix di colori,
suoni, proiezioni, light box. Astrazione, luce, suono e proiezioni interagiscono
con l’architettura e sono gli elementi di un progetto complesso composto da
volumi e dimensioni luminose che amplificano la nostra percezione dello
spazio. L’autrice compone non opere singole, ma un progetto unitario creato
come uno spartito cromatico, con note tonali contenute in light box verticali,
volumi luminosi che interagiscono con lo spazio e invitano lo spettatore
ad immaginare paesaggi descritti nel segno della luce, nell’evocazione di
atmosfere trasparenti come l’aria e in perenne movimento come il mare.
Fioretti passa dalla visibilità alla strutturalità dell’opera che non è più di rottura,
com’è stato l’astrattismo nei primi anni del Novecento, ma di struttura come
dimostra questo site-specific che trasforma lo spettatore in un catalizzatore
di spazi aperti, dentro a un contenitore chiuso con pochissime aperture e
fonti d’illuminazione naturali.Cristiana Fioretti, pittrice e scultrice, già nota
per “cartografie” cromatiche di orizzonti poetici, è sperimentatrice poliedrica
di materiali e docente di Cromatologia all’Accademia di Belle Arti di Brera a
Milano e direttore artistico del Museo Internazionale dell’Immagine Postale di
Belvedere Ostrense (Ancona).
Fioretti fin dagli esordi si caratterizza per una ricerca concettuale sui
materiali, concentrandosi poi sull’elemento astratto e lirico del colore,
unendo l’antimaterialismo di Kandinskij alla scultura, all’oggettualità e tattilità
dei materiali naturali ed artificiali. Queste sono in sintesi le caratteristiche
fondamentali della sua ricerca.
Dal 2000, nell’epoca della rivoluzione informatica, del sex appeal dell’inorganico
e della tridimensionalità “sensazionalistica”, Fioretti ha scelto di applicare un
codice astratto alle opere a tecnica mista, caratterizzate da contrapposizioni
tonali e associazioni di effetti cromatici, procedendo per stratificazione e
contaminazione di tecniche e linguaggi.
È interessata alla forma e al colore, allo spazio e al tempo, alla natura, al variare
dei rapporti di luce che determinano forme attraverso gradazioni e tonalità
di colori sempre diversi. Questa ricerca ha aumentato quantitativamente e
qualitativamente la sperimentazione dei mezzi espressi tradizionali, giungendo
fino alle nuove tecnologie. Nella sua qualità di docente e ricercatrice di spazi
luminosi ha sempre parlato non soltanto della pittura o dell’arte compositiva
del colore, ma ha evidenziato rapporti di queste attività con la natura, la
scienza, la musica, la poesia, la tecnologia, maturando una singolare poetica
del paesaggio. Tiene regolarmente seminari sul colore in Italia e all’estero,
mantenendo scambi culturali con Lisbona, Budapest, Stoccolma e New York.
Dopo aver indagato la luce naturale, dal 2000 s’interessa a quella artificiale, in
seguito all’organizzazione del workshop “La poetica del lighting designer”. La
sperimentazione delle nuove tecnologie ha portato Fioretti, dopo anni di opere
da cavalletto, su tela o altre superfici con pittura ad olio ed acrilica, acquarello
e di lavori a tecnica mista, collage, sculture e stratificazioni polimateriche,
a studiare opere di light art con l’obiettivo di espandersi per andare oltre la
superficie, oltre il volume scultoreo per costruire uno spazio fisico dove fare
l’esperienza dell’astrazione.
55
recensioni
La mostra presenta una panoramica di artisti contemporanei viventi che con
diverse tecniche e poetiche affrontano il tema dell’amore nella sua accezione
più ampia.
Parole d’amore, simboli, lettere, fotografie, oggetti comuni e ricorrenti nelle
relazioni amorose vengono reinterpretati dagli artisti e proposti da nuovi
punti di vista. L’allestimento si apre con un’opera del 1965 di Michelangelo
Pistoletto, dal titolo inequivocabile “TI AMO”, dalla serie “Oggetti in meno”.
Enrica Borghi presenta il progetto “Zapping in Love”, nato dalla residenza in
Galles, a Swansea, dove è nato e vissuto il poeta Dylan Thomas, che diventa
la controparte con cui l’artista simula una relazione amorosa.
Parole e immagini ricorrono in molte delle opere presenti in mostra.
Verso la metà degli Settanta, e ciò acquistava una tempestiva valenza di
svelamento dei meccanismi dell’immaginario collettivo legato al femminile,
Nicole Gravier realizzava i “suoi” foto-romanzi: una serie di fotografie in cui
l’artista si identifica nei ruoli stereotipati dell’attesa amorosa.
Sempre negli anni Settanta William Xerra interviene sulle stucchevoli e
demodeé cartoline d’amore fin de siecle, ritagliando e asportando la figura
maschile su cui applica la scritta “Io mento”, sottolineando così che la finzione
è assolutamente strutturale all’amore, e alla costruzione del sé.
Meri Gorni mescola foto-ritratto di donne alle loro lettere d’accompagnamento
che terminano tutte con la medesima frase che dà il titolo all’opera (Ti mando,
come promesso, il mio ritratto).
Fausta Squatriti attraverso lettere, cartoline e un calepino propone il
carteggio fra due amanti lontani, con uno scambio di vedute così profondo
da rientrare a pieno titolo nella categoria delle opere filosofiche. Valerio
Ambiveri offre un’immagine “parziale” e sensualissima dei corpi della coppia
archetipica, Adamo ed Eva, con una meravigliosa tecnica che combina il
disegno a grafite con la texture del marmo bianco del supporto. Non poteva
mancare un “omaggio” alle celebri frasi dei Baci Perugina, entrate a far
parte dell’immaginario collettivo: l’artista Luigi Billi propone ingrandimenti
“oggettuali” dei bigliettini contenuti nei Baci con le frasi accartocciate e appese
alle pareti.
Più simbolico e legato a immagini d’impatto il lavoro di altri artisti: Adele
Prosdocimi espone un lavoro di trascrizione di un carteggio amoroso le cui
parole costituiscono un flusso continuo; a ogni voce corrisponde un colore,
rosso e arancio, che trascolora nell’altro, come recitare un mantra. Rossella
Roli presenta un crudelissimo cuore di vetro rosso conservato in un’elegante
cappelliera; questa immagine, mentre riporta alla memoria il “sacrificio” di
Biancaneve, evoca il cuore straziato, le pene d’amore. Giancarlo Montebello
offre la rivisitazione di un medaglione, tipico pegno d’amore, che al centro,
invece del ritratto dell’amato/a, porta una fotografia di Paola Mattioli dal titolo
Colpire al cuore.
Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, che sono una coppia nella vita e
nell’arte, sono gli autori e i protagonisti del video “Hurt so good” che svela
la sottile ambiguità fra il gioco innocente e il sadismo di due amanti, mentre
Angelo Molinari propone una specie di studio pittografico svolto in 4 quadri a
partire dalla famosa opera Amor sacro e amor profano di Tiziano.
La mostra sarà accompagnata da un volume (Prearo) con un saggio introduttivo
di Elisabetta Longari, un testo di Arturo Schwarz e uno di Paola Mola.
Cristiana Fioretti
1910-2010 Light-Abstr-Action:
l’interiorità plasma uno spazio dell’astrazione
a cura di Jacqueline Ceresoli
Milano, Casa dell’Energia (Piazza Po 3), 11 marzo - 30 marzo 2010
Giuliano Giuman
nominato nuovo direttore
dell’Accademia di Belle
Arti di Perugia, rilancia
con vigore la storica
istituzione; segue una
sua breve dichiarazione
ma sul prossimo numero
di Academy daremo più
spazio a questa nuova
stagione
di
un’antica
Accademia
situata
nel
cuore di una regione ricca di storia e sede
privilegiata di tanti artisti di fama internazionale.
L’Accademia di Perugia è stata fondata nel 1573. Sono stato nominato
direttore nel mese di novembre del 2009. Ho dichiarato subito all’apertura
dell’anno accademico, che in questo primo anno vorrei raddoppiare il numero
delle iscrizioni e credo che questo non sia così difficile come può sembrare,
perché abbiamo un bacino potenziale sia sul territorio, sia sulla presenza di
studenti che frequentano la nostra università per Stranieri che per molti anni
sono stati dimenticati o disinformati. Per questo in due mesi si è realizzato
il sito ufficiale (www.abaperugia.org) che è il primo passo fondamentale per
avere una comunicazione efficace e conoscitiva della nostra struttura e dei
nostri programmi. Dopo molti anni torneranno i Corsi Estivi Internazionali e
sono in programma in primavera delle manifestazioni di nuova visibilità nella
città.
Giuliano Giuman
recensioni
56
ALESSANDRO RUSSO
Con una personale dal titolo
Paesaggi e figure,
alla Galleria Antonio Battaglia di Milano
Giovedì 21 gennaio 2010, alle ore 19, la Galleria Antonio Battaglia di Milano, inaugura una
nuova mostra personale di Alessandro Russo dal titolo Paesaggi e figure.
In mostra un nuovo ciclo di opere dell’artista calabrese dove alterna queste inedite zone
industriali con le figure - comizi, tipiche della sua pittura da sempre fortemente caratterizzata da
una particolare tradizione figurativa italiana.
L’artista dispiega i capannoni dei suoi paesaggi industriali,
sia attivi che in disuso, sotto i cieli caratterizzati dalla
dispersione atmosferica di fumi tossici e nocivi, ottenuti da
dense pennellate di colore ad olio, dalle infinite sfumature e
dalle delicate tonalità pastello.
Icone tragiche d’un assalto ambientale difficile da risanare,
una denuncia dell’artista che prende spunto dai suoi luoghi
di origine. Alessandro Russo è tra i pittori protagonisti
della scena artistica calabrese in crescente sviluppo negli
ultimi anni. Sue opere sono esposte nelle maggiori raccolte
calabresi e presso enti nazionali e internazionali.
*Alessandro Russo è nato a Catanzaro nel 1953, dove vive
e lavora. E’ docente di Decorazione all’Accademia di Belle
Arti di Catanzaro.
Nel 1979 espone a Milano, alla Galleria Lusca e alla
Galleria Schettini. Nel 1980 espone alla Sala Esposizioni
della Provincia di Catanzaro. Nel 1981 con una personale
alla Galleria Pananti di Firenze,inaugura la rassegna della
Giovane Pittura Europea, su proposta di Piero Bigongiari,
dove nel 1988 espone ottanta opere inedite di grandi
dimensioni. Nel 1995, a Paces (Ungheria), tiene una
personale al Museo per la Settimana della Cultura Italiana.
Nel 1996 espone al Museo Petofi di Budapest. Nel 1998
realizza una serie di litografie originali edizioni la Spirale
Arte ed è presente in permanenza alla Galleria Vinciana di
Milano. Nel 1999 espone al Museum of Fine Arts di Valletta
(Malta). Nel 2003 con l’Istituto Francese di Firenze viene
inaugurata a Palazzo Lenzi la mostra “Le chef d’oeuvre
inconnu”. Nel 2005 espone al complesso monumentale del
San Giovanni a Catanzaro. Nel 2006 alla Galleria Antonio
Battaglia “Opere e artisti 1973-1992” – Museo d’Arte
Contemporanea dell’Accademia di Catanzaro; nel 2008 a
Napoli alla Galleria Movimento Aperto con opere della serie
dei Comizi; nel 2009 a Milano alla Donec Capiam Studio.
Catalogo Edizioni Galleria Antonio Battaglia, testi di Rosario
Pinto e Mauro F. Minervino
GALLERIA ANTONIO BATTAGLIA, Milano
naturalmente,
il meglio
Via Antichi Pastifici Lotto B/12 - Z.I.
70056 Molfetta (Bari)
Tel. 080.3381123 - Fax 080.3381251
[email protected] - www.limmagine.net
nE
L’IMMAGINE AZIENDA GRAFICA SRL
mmAG I
L’ I
®
MAIMERI OLIO x red accademy
10-02-2010
17:46
Pagina 1
DAI POTENZA
ALLA TUA FANTASIA
modello Porsche dipinto da Alessandro Gedda, concept e photo Claudio Sforza
38 COLORI
FORTI
E BRILLANTI
4 PASTE A OLIO
INNOVATIVO
PRATICO
IMMEDIATO
EFFICACE
GRANDE
FORMATO
CONVENIENTE
RISPETTA
L’AMBIENTE
made in Italy dal 1923