Cass. pen. n. 3635-2016

Transcript

Cass. pen. n. 3635-2016
dirittifondamentali.it
Arresti domiciliari ed autorizzazione al lavoro: necessario l’accertamento dei
presupposti
(Cass. pen., sez. VI, 28 dicembre 2016 – 24 gennaio 2017, n. 3635)
Misure cautelari – libertà personale – autorizzazione al lavoro
Con una recentissima pronuncia, la Corte di Cassazione affronta
nuovamente il tema dell’autorizzazione al lavoro nei confronti di un soggetto in
vinculis, nel caso di specie agli arresti domiciliari. Ritiene, infatti, il Supremo
Collegio che l'eccezionalità dell'autorizzazione al lavoro, che può essere concessa
al soggetto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, impone un
rigido accertamento dei presupposti di cui all'art. 284, comma 3, c.p.p., tra i quali
lo stato di assoluta indigenza del richiedente. Tale requisito deve essere
necessariamente correlato alla necessità di assicurare all'individuo condizioni di
vita decenti, riferibile a valori costituzionali.
***
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CONTI
Giovanni
- Presidente -
Dott. CRISCUOLO Anna - rel. Consigliere Dott. VILLONI
Orlando
Dott. CALVANESE Ersilia
- Consigliere - Consigliere -
Dott. D'ARCANGELO Fabrizia
- Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.J., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 04/07/2016 del Tribunale del riesame di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Criscuolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. LORI Perla, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso.
dirittifondamentali.it - ISSN: 2240-9823
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Premesso che con l'ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Bari ha respinto
l'appello proposto nell'interesse di C.J. avverso l'ordinanza del 12 maggio 2016 con la
quale il Tribunale di Trani aveva rigettato l'istanza di autorizzazione al lavoro, ritenendo
non provato lo stato di assoluta indigenza dell'appellante ed incompatibile lo
svolgimento di attività lavorativa con il regime cautelare applicato, indispensabile per
contenere il pericolo di reiterazione criminosa, desumibile dal coinvolgimento
dell'imputato in un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, attiva
in vari ambiti territoriali;
2. rilevato che avverso l'ordinanza cautelare ricorre il difensore del C., che denuncia
violazione di legge e illogicità della motivazione, in quanto il Tribunale ha fatto
riferimento ad un concetto restrittivo e superato di assoluta indigenza, ignorando che
nell'istanza erano stati segnalati l'obbligo di mantenimento di un figlio minore, imposto
dal Tribunale per i Minorenni, lo stato di gravidanza della compagna e l'onerosità del
canone di locazione, che assorbe interamente il reddito dichiarato. Segnala, inoltre, che
il Tribunale ha errato nel ritenere la convivente, anzichè la sorella, titolare della società
presso la quale dovrebbe essere assunto il C., e ha errato nel ritenere incompatibile con
il regime cautelare l'attività di lavoro da svolgere a causa dei continui spostamenti
necessari, mentre invece, il C. dovrebbe svolgere l'attività di operatore call center in
luogo fisso, facilmente controllabile;
3. il ricorso è fondato.
Tenuto conto che l'autorizzazione al lavoro non è un diritto del detenuto agli arresti
domiciliari, ma una disposizione eccezionale, che, in presenza dei presupposti previsti
dall'art. 284 c.p.p., comma 3, di stretta interpretazione, consente di derogare al regime
detentivo, la valutazione dei giudici di merito quanto all'insussistenza dello stato di
assoluta indigenza non risulta corretta nè operata in modo completo.
Precisato che tale condizione va riferita ai bisogni primari dell'individuo e dei familiari
a suo carico (vitto, vestiario, alloggio, educazione, salute), deve farsi riferimento alle
condizioni reddituali e patrimoniali del soggetto, eventualmente comprensive delle
utilità economiche, costituenti anche esse reddito personale, che siano corrisposte dalle
persone obbligate per legge o per rapporti contrattuali al suo mantenimento per motivi
che prescindano dalla capacità al lavoro dell'assistito.
In particolare, non rileva a tal fine la situazione economica dei familiari, poichè, come
ritenuto da questa Corte, essa non è presa in considerazione dalla legge, nè sussiste alcun
obbligo di mantenimento del sottoposto agli arresti domiciliari a carico dei componenti
la famiglia, al di fuori di quello strettamente alimentare, che, peraltro, presuppone una
incapacità del congiunto di procurarsi autonomamente un reddito, che potrebbe essere
risolta proprio dal provvedimento di autorizzazione al lavoro.
2
dirittifondamentali.it - ISSN: 2240-9823
Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto non solo ha
considerato i redditi familiari come direttamente fruibili dal C., ma non ne ha analizzato
l'effettiva entità, ed è incorso in errore laddove ha ritenuto che la compagna del C. sia
titolare della società presso la quale l'imputato dovrebbe prestare l'attività di lavoro,
mentre, invece, dall'istanza risulta che titolare ed amministratore della società sia la
sorella della compagna: ne discende che la valutazione è fondata anche su un dato errato
e sulla presunta mancata allegazione della situazione patrimoniale dell'impresa.
Non risulta decisiva la ulteriore valutazione del Tribunale secondo la quale
l'autorizzazione al lavoro vanificherebbe le esigenze cautelari, in quanto, anche se tale
parametro può ritenersi implicitamente evocato dalla norma in esame, che attribuisce in
proposito al giudice un potere discrezionale pur in presenza di un accertato stato di
"assoluta indigenza", la concreta necessità di salvaguardare le esigenze cautelari merita
una motivazione di particolare aderenza alle peculiarità del caso, atteso che ad essa si
contrappone la necessità di assicurare all'individuo condizioni di vita decenti, riferibile
a valori costituzionali (Sez. 6, n. 32574 del 03/06/2005, Politanò, Rv. 231869; Sez. 2, n.
12618 del 12/02/2015, Bosco, Rv. 262775).
L'ordinanza impugnata va pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale
di Bari, Sezione per il riesame delle misure coercitive.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Bari, Sezione
per il riesame delle misure coercitive.
Così deciso in Roma, il 28 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2017
3