paper sisp vanessa 3 agosto

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paper sisp vanessa 3 agosto
Gli strumenti di valutazione della performance
nella prima applicazione del Decreto Legislativo n. 150/2009
di Vanessa Dioguardi
Dipartimento di Studi su Politica, Diritto e Società “G. Mosca”
Università di Palermo
1. Premessa e obiettivi
Obiettivo del paper è quello di avviare una riflessione critica sugli attuali sistemi di
misurazione e di valutazione della performance utilizzati nel settore pubblico italiano a seguito
della riforma della pubblica amministrazione avviata con il Decreto Legislativo n. 150/2009 . La
base empirica di riferimento dello studio sarà costituita dai documenti in proposito inviati dalle
amministrazioni pubbliche alla CIVIT, la Commissione indipendente per la Valutazione, la
Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche.
In particolare, dopo una breve introduzione, in cui si illustrerà e si analizzerà il paradigma del
New Public Management, inteso come quadro di riferimento in cui si colloca l’introduzione dei
sistemi di valutazione e di misurazione della performance, e dopo aver definito il concetto di
performance, ci si soffermerà sul D.lgs. 150/2009 (Riforma Brunetta), cercando di evidenziare lo
scostamento esistente tra ciò che è prescritto dal dettato normativo e ciò che effettivamente viene
attuato dalle amministrazioni pubbliche in termini di misurazione della performance. Particolare
enfasi verrà posta sulle criticità riguardanti gli attuali Sistemi che le amministrazioni pubbliche
utilizzano al fine di valutare la performance, cercando altresì di formulare alcune proposte
operative volte a migliorare non soltanto la valutazione ma anche la gestione della performance.
2. Il processo di riforma della pubblica amministrazione e la valutazione della
performance
La tematica delle performance e degli strumenti attraverso cui misurarle e valutarle è divenuta
rilevante nel dibattito pubblico a seguito dei processi di riforma delle amministrazioni pubbliche
che, a partire dagli anni ’90, hanno condotto all’affermazione del paradigma del New Public
Management (d’ora in poi NPM).
Alla base di questi processi di riforma vi è senza dubbio la convinzione che l’applicazione
delle logiche manageriali al settore pubblico avrebbe permesso di risolvere le inefficienze
principali che spesso caratterizzano l’operato delle amministrazioni pubbliche (cfr. Boivard e
Loeffler, 2003).
Prima di addentrarci nello specifico, evidenziando cosa si intende effettivamente per NPM,
analizziamo sinteticamente le ragioni principali che in letteratura (cfr. De Magistris et al., 2004)
vengono identificate come le cause che hanno condotto alla nascita del NPM:
crisi finanziaria di molti Paesi OCSE e conseguente necessità di ridurre i costi delle
amministrazioni pubbliche;
inadeguatezza delle prestazioni e dei servizi erogati rispetto alle richieste dei cittadini
sempre più consapevoli dei propri diritti;
basse performance a livello macroeconomico (basso PIL pro-capite, alto tasso di
disoccupazione, alta inflazione etc.).
È evidente, sin da qui, come il miglioramento della performance costituisca uno dei motivi
fondamentali che hanno spinto molti Paesi a ripensare le modalità di funzionamento delle
amministrazioni pubbliche secondo i principi del nuovo paradigma.
Volendo dare una definizione di NPM, Adinolfi (2005, p. 4), afferma, in maniera generica,
che esso «rappresenta un nuovo modo di studiare e gestire le organizzazioni pubbliche»
mentre Capano e Vassallo (2003, p. 13) sottolineano che la linea guida della strategia riformista
1
avviata dalla pubblica amministrazione «si ispira direttamente alla filosofia managerialista che da
ormai vent’anni rappresenta la new wave». In particolare, continuano gli Autori (ibidem), «la
principale linea guida delle riforme consiste nel superare le logiche di tipo burocratico,
introducendo significativi elementi di carattere manageriale, presi in prestito dalle organizzazioni
private».
Pollit e Bouckaert (2004) sottolineano che il NPM è un approccio prevalentemente normativo
che focalizza l’attenzione sulla trasformazione dello stile manageriale pubblico per consentire una
maggiore misurabilità e valutazione delle prestazioni al fine di diminuire la spesa pubblica. Se
l’obiettivo, dunque, è quello di ridurre i costi dell’amministrazione, il metodo attraverso cui
raggiungere tale obiettivo sembrerebbe essere la misurazione e la valutazione delle prestazioni.
In realtà gli Autori (ivi) evidenziano che molteplici sono i fini cui il processo di riforma delle
amministrazioni pubbliche tende. Il risanamento del bilancio pubblico è certamente un obiettivo
importante da raggiungere, ma non meno urgente è la necessità di migliorare la qualità dei servizi
pubblici e l’efficienza, così come gli effetti delle politiche pubbliche sulla collettività. Vi sono poi
una serie di obiettivi intermedi che il NPM dovrebbe consentire di raggiungere; tra questi è da
annoverare una maggiore autonomia di gestione della dirigenza e il rafforzamento
dell’accountability. Quindi, in ultima analisi, il NPM dovrebbe generare governi più efficienti,
con una maggiore qualità dei servizi e politiche pubbliche più efficaci; simultaneamente esso
dovrebbe rendere i dirigenti più liberi di gestire le risorse, generare una maggiore trasparenza e
migliorare l’immagine dell’amministrazione pubblica.
Perry e Kraemer (1983, p.10, trad. it. nostra), d’altro canto, sostengono che il NPM «è la
fusione del tradizionale orientamento normativo della pubblica amministrazione con
l’orientamento strumentale tipico del general management»; essi intendono il NPM come il
risultato di una benefica fusione fra le tecniche e gli strumenti di management utilizzati nelle
aziende private e i più tradizionali “affari” delle pubbliche amministrazioni. In tale ambito,
continuano gli autori, la sfida è quella di dare un taglio netto al consueto modo di gestire le
amministrazioni pubbliche in termini di assunzione del rischio, di flessibilità, di raggiungimento
degli obiettivi e di misurazione della performance.
Metcalfe e Richards (1987) danno invece una definizione molto diversa rispetto a quella
fornita da Perry e Kraemer. Secondo loro, infatti, bisogna soffermarsi non tanto sui valori che
ispirano il NPM quanto sui processi e distinguere due livelli: macro e micro. A livello macro, il
NPM può essere inteso come il tentativo di migliorare la struttura dell’intero sistema della public
governance, tanto che successivamente Metcalfe (1993, p. 183, trad. it. nostra) chiarisce che «il
compito innovativo del public managament inteso come macro processo è quello di sviluppare
nuove e distintive capacità macro-organizzative relativamente a cambiamenti strutturali al livello
interorganizzativo». Al contrario, il compito del public management a livello micro è visto come
puramente “imitativo” in quanto si riduce essenzialmente all’adattamento delle tecniche e degli
strumenti di gestione tipici delle aziende private al settore pubblico allo scopo di migliorare le
abilità di governo a livello micro-organizzativo. È a questo livello che, secondo gli autori, si
rilevano i limiti del NPM in quanto paradigma che non tiene conto delle specificità e delle
peculiarità del settore pubblico rispetto a quello privato.
Negli anni ’90, negli Stati Uniti, le teorie del NPM sono state associate al concetto di
Reinventing Government dall’omonimo libro di Osborne e Gaebler (1992)1 che, in un certo senso,
ha poi costituito il presupposto concettuale di tutto il processo di riforma. Secondo Osborne e
Gaebler (ivi), i governi non funzionano bene perché sono dispersivi, pigri, ultra centralizzati,
preoccupati delle norme e delle regole e poco attenti al risultato, sia dell’individuo sia
dell’organizzazione. Essi suggeriscono, quindi, l’adozione di logiche tipiche di un “governo
imprenditoriale” (entrepreneurial government) che dovrebbe essere, tra l’altro, orientato ai
risultati, anziché sugli input, e guidato dal cliente, non dalla burocrazia.
1
“Reinventing Government. How the Entrepreneurial Spirit is Transforming the Public Sector”
2
Sulla base delle definizioni qui riportate di NPM, possiamo quindi individuare le principali
componenti della riforma. Pollit e Bouckaert (2004), in particolare, hanno selezionato quattro
componenti che identificano la sostanza della riforma (il “cosa”) e tre processi che identificano il
modo attraverso cui la riforma è stata condotta (il “come).
Tabella 1 – Componenti e processi del NPM
Le componenti della riforma
Finanza: budget, conti, verifiche
Personale: reclutamento, incarichi, remunerazione, sicurezza dell’impiego etc.
Organizzazione: specializzazione, coordinamento, decentralizzazione
Performance: sistemi di misurazione e di valutazione
I processi della riforma
Top down/bottom up
Dimensioni legali
Allocazione delle risorse
Fonte: nostro adattamento da Pollit e Bouckaert (2004)
Dovendo tralasciare per motivi di brevità tutte le altre componenti, ci concentriamo
sull’oggetto del nostro studio, cioè sulla misurazione della performance che, appare chiaro,
rappresenta una tematica rilevante nell’ambito del processo di riforma qui analizzato.
Il concetto di performance non è certamente nuovo; anzi, sostiene Bouckaert (1994), esso
sussiste da quando esistono le pubbliche amministrazioni. Già alla fine del diciannovesimo secolo
circolavano, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, alcuni modelli utili per misurare la performance
degli insegnanti. Tuttavia l’interesse per tale tematica si è sviluppato soprattutto negli ultimi 25
anni e lungo molteplici dimensioni: «la misurazione della performance è diventata più estesa.
Molti livelli e molte aree sono incluse. La misurazione della performance è diventata più intensa
perché riguarda più funzioni […]. Infine, la misurazione della perfomance è diventata più esterna.
La performance viene misurata non solo per il pubblico interno, ma anche per i membri del corpo
legislativo e per il pubblico in generale» (Bouckaert, 1996, p. 234, trad. it. nostra).
La diffusione del paradigma del NPM ha determinato, come su detto, il passaggio tecnico e
culturale, dall’orientamento ai compiti ad un orientamento ai risultati che in Italia è stato
istituzionalizzato con il D.lgs. 29/1993. Da un’amministrazione che considera la propria attività
come mera applicazione a casi concreti di regole di fonte amministrativa o legislativa, si passa
quindi a un’amministrazione orientata al risultato e alla qualità e, quindi, alla soddisfazione
dell’utente. La nuova amministrazione che si delinea negli anni ’90, dunque, somiglia (o
dovrebbe somigliare) sempre più a un’azienda che offre, in maniera efficiente ed efficace, servizi
ai cittadini che ora vengono considerati “clienti” e che in quanto tali devono essere soddisfatti.
È in tale contesto quindi che la tematica della misurazione della performance nelle
amministrazioni pubbliche assume particolare rilevanza.
Prima di spiegare nel dettaglio cosa si intende per performance, non possiamo esimerci dal
ricordare che nonostante il NPM sia stato più volte invocato come rimedio alle carenze gestionali
delle aziende pubbliche, nel corso degli ultimi anni è apparso sempre più evidente che in realtà
tale paradigma non può essere applicato indistintamente ad ogni tipo di realtà politica e
amministrativa. In Italia, soprattutto, si è finito per minimizzare le peculiarità delle
amministrazioni pubbliche, in termini di caratteristiche strutturali e gestionali, nei quali i principi
di NPM si sarebbero dovuti applicare, tanto che pochissimi sono, ad oggi, i casi di successo.
Molto a lungo si è parlato della pretesa di universalità del paradigma del NPM ma, come
sottolinea l’OCSE (1997), non c’è un solo migliore modello di public management e le riforme
devono tenere conto delle differenze nazionali e delle contingenze locali.
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3. Cosa si intende per performance?
Negli ultimi due decenni, a livello internazionale2, il tema della misurazione della performance
ha assunto una posizione di assoluta centralità nell’ambito dei processi di riforma delle
amministrazioni pubbliche, tanto che anche il Libro Bianco della Commissione Europea sui
processi di riforma contiene un capitolo intitolato “Performance-oriented working methods”.
Nonostante ciò molta ambiguità permea ancora il concetto di performance. Varie, e talvolta
controverse, sono le definizioni.
Secondo Pollit e Bouckaert (2000) tale concetto è innanzitutto multidimensionale. Due sono
gli aspetti che lo rendono tale:
- l’ampiezza della performance, che fa riferimento alla sua estensione orizzontale, in
termini di “contenuto”: input/processo/output/outcome;
- la profondità della performance, che riguarda il suo sviluppo verticale, cioè il suo
ambito di applicazione: livello individuale, livello organizzativo, livello di programma o
politica pubblica.
In particolare, Pollit e Bouckaert (2000) hanno proposto uno schema interpretativo (Fig. 1)
attraverso cui è possibile chiarire meglio il concetto di “ampiezza” della performance.
Figura 1 – L’ampiezza della performance
Fonte: adattamento da Pollit e Bouckaert, 2000
Il presupposto alla base del modello è che le amministrazioni pubbliche sono organizzazioni
deputate al soddisfacimento dei bisogni collettivi che derivano da problemi socio-economici
presenti nel loro contesto di riferimento. Tali bisogni si traducono (o dovrebbero tradursi) in
obiettivi strategici e operativi che, attraverso il processo di trasformazione delle risorse, si
trasformano in determinati output (beni e servizi) che producono (o dovrebbero produrre) risultati
(outcome) sulla collettività. Il valore generato dall’agire pubblico risiede, in ultima analisi,
proprio nei risultati intermedi e finali (outcome).
Lo schema di Pollit e Bouckaert evidenzia due ulteriori elementi impliciti nel concetto di
performance: l’efficienza – che concerne quanto dell’input è tradotto in output e quanto invece va
disperso – e l’efficacia – intesa come l’attitudine di una prestazione a provocare un effetto
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Solo a titolo di esempio si considerino le seguenti riforme a livello internazionale: USA: Government Performance
and Results Act (1993), UK: Comprehensive Performance Assessment (Local Government Act 2003), France: Loi
organique relative aux lois de finances LOLF (2001). 4
desiderato.
Per quel che riguarda invece la profondità del concetto di performance, Pollit e Bouckaert (ivi)
individuano tre livelli principali:
- livello individuale: riguarda la performance dell’individuo singolarmente
considerato. Essa fa riferimento sia alla capacità del singolo di raggiungere gli obiettivi
assegnatigli sia ai suoi comportamenti e atteggiamenti (ad esempio, problem solving,
collaborazione con i colleghi etc.) all’interno dell’amministrazione;
- livello organizzativo: riguarda la performance sia dell’intera amministrazione sia
delle singole unità organizzative interne all’amministrazione. È chiaro che, a questo
livello, dice Monteduro (2010), il tema della performance si lega al processo di
pianificazione e programmazione strategica, così come ai sistemi di rilevazione della
qualità e della soddisfazione dell’utente e alla generazione di accountability tramite le
forme tipiche della rendicontazione sociale;
- livello dei programmi e delle politiche pubbliche: siamo nel campo della policy
evaluation che riguarda, fondamentalmente, la valutazione delle performance dei
programmi e delle politiche pubbliche e, dunque, i loro effetti sulla collettività.
Sulla stessa scia di Pollit e Bouckaert si muove Talbot (2005) che sottolinea il fatto che molte
dimensioni sono sottintese al concetto di performance: l’accountability, la soddisfazione del
cittadino, l’efficienza, l’efficacia, la capacità di allocare le risorse e di creare valore pubblico.
La multidimensionalità del concetto di performance è perfettamente comprensibile anche se si
analizza il cosiddetto “Performance Reference Model” elaborato dalla FEA (Federal Enterprise
Architecture) nel 2005.
Figura 2 – Performance Reference Model
Fonte: FEA, 2005, tratto da http://www.finance.gov.au
Si tratta di un modello che ben evidenzia la relazione di causa-effetto che lega gli inputs, gli
outputs e gli outcomes al fine di generare valore e che soprattutto mette in rilievo le molteplici
“aree” e “categorie” che dovrebbero essere oggetto di misurazione della performance:
- area dei risultati finanziari,
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- area dei risultati verso il cittadino
- area dei processi e delle attività
- area delle risorse umane
- area delle tecnologie
- area comprendente altri assets
Ogni area, come è possibile rilevare dalla figura 2, è a sua volta articolata in una serie di
categorie che rappresentano gli attributi o le caratteristiche dell’area che dovrebbero essere
oggetto di misurazione. Per esempio, l’area dei risultati verso il cittadino include la customer
satisfaction, la qualità dei servizi, la cosiddetta responsiviness etc.
Molti, dunque, in base a tale modello sono gli ambiti di misurazione della performance che
quindi non può essere inteso come un concetto unitario con un significato univoco. Piuttosto esso
va visto come un complesso di informazioni relativamente ai risultati giudicati significativi da
differenti stakeholder (cfr. Boivard, 1996).
È da sottolineare inoltre che il concetto di performance non dovrebbe essere assimilato, come
spesso accade, a quello di risultato. Come evidenzia il General Accounting Office (2003) la
performance è un’operativizzazione del risultato che è, invece, un concetto più generale e meno
ampio. La performance infatti si riferisce non soltanto al risultato dell’azione, ma anche alle
modalità con cui questo risultato è stato raggiunto. In tale ottica, dunque, bisognerebbe anche
misurare l’efficacia e l’efficienza dell’azione, così come già avevano evidenziato Pollit e
Bouckaert (2004).
C’è poi chi sottolinea che una componente fondamentale della performance di
un’amministrazione è la sua “salute finanziaria”, la sua capacità di governance e di coinvolgere
gli stakeholder (Agranoffe e Mcguire, 2004; Bovaird e Löffler, 2003) e di accumulare capitale
organizzativo (Valotti, 2005) espresso dalla cultura e dal clima dell’organizzazione, dal grado di
motivazione dei dipendenti, dalla loro capacità di lavorare in gruppo etc.
Il D.lgs. 150/2009 (Riforma Brunetta) riporta una definizione di performance che, in qualche
maniera, riassume le definizioni precedentemente illustrate:
«il contributo (risultato e modalità di raggiungimento del risultato) che un’entità (sistema,
organizzazione, unità organizzativa, team, singolo individuo) apporta attraverso la propria azione
al raggiungimento delle finalità degli obiettivi ed, in ultima istanza, alla soddisfazione dei bisogni
per i quali l’organizzazione è stata costituita. In tale accezione, dunque, il significato di
performance si lega strettamente all’esecuzione di un’azione, ai risultati della stessa e alle
modalità di rappresentazione».
Nella Delibera 112/2010 la CIVIT3 effettua un’importante distinzione, già esplicitata del Dlgs.
150/2009, fra performance individuale e performance organizzativa. La prima esprime il
contributo fornito da un individuo al raggiungimento degli obiettivi, in termini di risultati ottenuti
e di comportamenti manifestati, mentre la seconda esprime il risultato che un’intera
organizzazione con le sue singole articolazioni consegue ai fini del raggiungimento di determinati
obiettivi e, in ultima istanza, della soddisfazione dei bisogni dei cittadini.
Cerchiamo ora di comprendere, una volta chiarito il concetto di performance, cosa si intende
per misurazione e valutazione della performance.
In linea generale possiamo definire la misurazione della performance come la raccolta,
l’analisi e l’utilizzazione di dati relativi alle azioni della pubblica amministrazione e ai
programmi pubblici, compresi dati sugli input, sugli output e sugli outcomes.
Bottari (2010) dà una definizione più precisa, evidenziando che misurare la performance
significa fissare gli obiettivi, stabilire delle grandezze, cioè degli indicatori che siano specchio
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La CIVIT è la Commissione Indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni
pubbliche istituita dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, recante attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in
materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni.
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delle stesse, rilevare sistematicamente il valore degli indicatori.
Gamble et al. (2007) d’altro canto, affermano che la misurazione della performance è quel
processo attraverso cui un’organizzazione stabilisce dei parametri per rilevare se i programmi e
gli investimenti hanno raggiunto i risultati desiderati.
Comune a tali definizioni sembra, quindi, essere la necessità di fissare in anticipo dei precisi
indicatori attraverso cui rilevare se gli obiettivi stabiliti da un’organizzazione sono stati raggiunti.
Il decreto 150/2009 non dà definizioni dettagliate sui sistemi di misurazione, anche se
definisce in modo preciso gli output sui quali rendicontare e sui quale basare le valutazioni. Ma
su questo aspetto ritorneremo in seguito. La CIVIT (Delibera 89/2010), però, chiarisce che la
misurazione della performance è «un processo empirico e formalizzato, che mira ad ottenere ed
esprimere informazioni descrittive delle proprietà di un oggetto tangibile o intangibile (ad es. un
processo, un’attività, un gruppo di persone). Per effettuare la misurazione della performance,
un’organizzazione deve dotarsi di un sistema che svolga le funzioni fondamentali di acquisizione,
analisi e rappresentazione di informazioni».
Per quel che riguarda invece il processo di valutazione, secondo Bottari (2010) valutare le
performance significa interpretare il contributo (risultato e modalità di raggiungimento del
risultato ottenuto) e argomentare quanto, come e perché tale contributo abbia inciso sul livello di
raggiungimento delle finalità dell’organizzazione, mentre Monteduro (2010) afferma che valutare
significa assegnare un valore a qualcosa. Per valutare, quindi, bisogna misurare anche se la
valutazione, continua Monteduro (ibidem) è un processo che implica elementi soggettivi di
giudizio e apprezzamento, cioè un sistema di valori e di preferenze individuale.
Il D.lgs. 150/2009 chiarisce poi che oggetto della valutazione è la performance, nelle sue
diverse dimensioni (input, output, outcome, qualità, soddisfazione dell’utente etc.), riferita ai
soggetti che sono oggetto di valutazione: l’amministrazione nel suo complesso, le unità
organizzative e i singoli dipendenti.
Concentriamoci adesso sui contenuti del D.lgs. 150/2009 con l’obiettivo di mettere a fuoco i
“valori”, gli strumenti e gli attori che dovrebbero svolgere un ruolo chiave nell’ambito del
processo di misurazione e di valutazione della performance.
4. La misurazione e la valutazione della performance secondo il D.lgs. 150/2009
L’ultima riforma della pubblica amministrazione in Italia (nota come Riforma Brunetta),
concretamente esplicitata nella Legge delega n.15 del 4 marzo 2009 e nel successivo decreto
attuativo n.150 del 27 ottobre 2009, si compone di un insieme di norme che si riferiscono ad
aspetti molto variegati della realtà politico-amministrativa: si va dall’azione collettiva alla riforma
della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, del Formez e del CNIPA,
dall’introduzione della posta elettronica certificata ad altre iniziative, come per esempio
“Mettiamoci la Faccia, volte a migliorare la qualità dei servizi erogati dalla pubblica
amministrazione.
Oggetto di questa relazione, come anticipato, saranno solo gli aspetti relativi alla misurazione
e alla valutazione delle performance.
Analizzando l’articolo 3 del D.lgs. 150/2009, comma 1, si comprende subito quali sono i
“valori” che hanno ispirato l’ultima Riforma della pubblica amministrazione: «la misurazione e la
valutazione della performance sono volte al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle
amministrazioni pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la
valorizzazione del merito e l’erogazione dei premi per i risultati perseguiti dai singoli e dalle
unità organizzative in un quadro di pari opportunità di diritti e doveri, trasparenza dei risultati
delle amministrazioni pubbliche e delle risorse impiegate per il loro perseguimento». Possiamo
dunque individuare alcuni valori intorno a cui ruota buona parte della riforma, per identificare poi
gli “strumenti” e gli “attori” del processo di misurazione e di valutazione delle performance.
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In primo luogo appare evidente che il miglioramento della qualità dei servizi rappresenta oltre
che un valore, una delle finalità principali della riforma. In questo senso, il concetto di
performance non è assimilabile a quello di mera prestazione; al contrario, al centro
dell’attenzione è posta la soddisfazione dell’utente che diviene quindi un elemento della
performance dell’organizzazione pubblica. In altri termini, il cittadino “entra” nel sistema di
valutazione dei dipendenti pubblici che adesso vengono valutati anche in base alla loro capacità
di generare customer satisfaction (cfr. Hinna, 2010). Come, infatti, è possibile leggere nel comma
4, «le amministrazioni pubbliche adottano metodi e strumenti idonei a misurare, valutare e
premiare la performance individuale e quella organizzativa, secondo criteri strettamente connessi
al soddisfacimento dell’interesse del destinatario dei servizi e degli interventi».
Un altro valore cardine della riforma è quello della trasparenza, che deve essere garantita in
ogni fase del del ciclo di gestione della performance e che deve essere intesa come accessibilità
totale, il che significa che tutto deve essere accessibile a tutti, indipendentemente dall’interesse
soggettivo (così come invece stabilito dal D.lgs. 29/93).
Il decreto 150 recupera poi il valore della meritocrazia, evidenziando la selettività della
premialità che viene garantita ai singoli e alle unità organizzative in base ai risultati conseguiti.
Proseguendo nella lettura dell’articolo 4 del medesimo decreto, si nota che la tematica della
performance viene inserita all’interno di un ciclo integrato, denominato “ciclo di gestione della
performance”, con il quale si vuole fare in modo che le funzioni di programmazione,
misurazione, valutazione, controllo e trasparenza delle performance vengano svolte in maniera
integrata e in un’ottica di sistema: «le amministrazioni pubbliche sviluppano, in maniera coerente
con i contenuti e con il ciclo della programmazione finanziaria e del bilancio, il ciclo di gestione
della performance». Il comma 2 del medesimo articolo chiarisce quali sono le fasi in cui si
articola tale ciclo:
− definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dei valori attesi di
risultato e dei rispettivi indicatori;
− collegamento tra gli obiettivi e l'allocazione delle risorse;
− monitoraggio in corso di esercizio e attivazione di eventuali interventi correttivi;
− misurazione e valutazione della performance, organizzativa e individuale;
− utilizzo dei sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del merito;
− rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle
amministrazioni, nonché ai competenti organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli
utenti e ai destinatari dei servizi.
Vediamo ora quali sono i requisiti fondamentali che ogni fase del ciclo di gestione delle
performance deve possedere.
Iniziando dalla prima fase, quella della pianificazione, l’articolo 5 chiarisce che gli obiettivi sono
programmati su base triennale e debbono essere:
- rilevanti e pertinenti rispetto ai bisogni della collettività;
- specifici e misurabili in termini concreti e chiari;
- temporalmente definiti;
- commisurati ai valori di riferimento derivanti da standard definiti a livello nazionale e
internazionale, nonché da comparazioni con amministrazioni omologhe;
- correlati alla qualità e alla quantità delle risorse disponibili.
L’articolo 6 è invece dedicato alla fase di monitoraggio della performance e chiarisce che
spetta agli organi di indirizzo politico, con il supporto della dirigenza, la verifica dell’andamento
della performance rispetto agli obiettivi prefissati, mentre l’articolo 7 è interamente dedicato al
“sistema di misurazione e valutazione della performance”: «le amministrazioni pubbliche
valutano annualmente la performance organizzativa e individuale. A tal fine adottano con
apposito provvedimento il Sistema di misurazione e valutazione della performance». Vengono
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poi individuati gli attori a cui è affidato il compito di misurare e valutare la performance; si tratta
di un organismo esterno e tre organismi interni ad ogni amministrazione: la CIVIT Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle Amministrazioni Pubbliche – è
l’organismo esterno che deve definire apposite linee guida e i requisiti minimi metodologici di cui
le amministrazioni dovranno tenere conto per valutare le performance, gli Organismi Indipendenti
di Valutazione della performance cui compete la misurazione e valutazione della performance di
ciascuna struttura amministrativa nel suo complesso, l’organo di indirizzo politico amministrativo
che definisce, in collaborazione con i vertici dell’amministrazione, il Piano della Performance e la
Relazione sulla Performance e i dirigenti di ciascuna amministrazione che si occupano della
valutazione individuale, in funzione dei vari livelli gerarchici.
Si chiarisce poi che il documento “Sistema di misurazione e valutazione delle performance”
che deve essere redatto dagli Organismi Indipendenti di Valutazione in accordo con la CIVIT e
adottato dall’organo di indirizzo politico amministrativo, deve contenere informazioni specifiche
circa le fasi, i tempi, le modalità, i soggetti e le responsabilità del processo di misurazione e
valutazione della performance, le procedure di conciliazione relative all’applicazione del sistema
di misurazione e valutazione delle performance, le modalità di raccordo con i sistemi di controllo
esistenti e con i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio.
Gli articoli 8 e 9, invece, chiariscono qual è il contenuto del sistema di misurazione e di
valutazione della performance organizzativa e individuale. Per quel che riguarda la performance
organizzativa, vengono esplicitati otto ambiti che dovrebbero essere oggetto di valutazione:
l’attuazione di piani e programmi, la rilevazione della customer satisfaction, la capacità delle
politiche pubbliche di generare soddisfazione della collettività, la modernizzazione della pubblica
amministrazione, lo sviluppo delle relazioni con i cittadini, l’efficienza dell’impiego delle risorse,
la qualità e la quantità delle prestazioni e dei servizi erogati, il raggiungimento degli obiettivi di
promozione delle pari opportunità. Si tratta dunque di ambiti che, a ben vedere, possono essere
facilmente riconducibili alle tradizionali dimensioni di efficienza e di efficacia e che, in ultima
analisi, riguardano aspetti il cui fine ultimo è la soddisfazione finale dei bisogni della collettività.
Per quel che riguarda, invece, gli ambiti di misurazione della performance individuale,
sembrerebbe che (cfr. Monteduro, 2010) l’obiettivo della norma sia quello di collegare la
valutazione di chi ha una responsabilità rilevante all’interno dell’amministrazione alla
performance organizzativa e quindi alla capacità di generare soddisfazione nel cittadino. Man
mano che si scorre la catena gerarchica, invece, la valutazione della performance è ancorata alla
capacità di raggiungere gli obiettivi individuali. In altri termini, è chiaramente effettuata una
distinzione tra la misurazione e la valutazione della performance del personale dirigente e non
dirigente.
Vediamo adesso nel dettaglio che cosa dovrebbero fare le amministrazioni al fine di
misurare e valutare correttamente le performance. L’articolo 10 stabilisce che le risultanze dello
svolgimento della fase iniziale e della fase finale del ciclo di gestione della performance, cioè la
definizione degli obiettivi e la rendicontazione dei risultati, dovranno costituire i contenuti del
Piano della Performance, documento programmatico triennale in cui vengono esplicitati gli
indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definiti gli indicatori per la misurazione e la
valutazione della performance dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale
dirigenziale ed i relativi indicatori. Le pubbliche amministrazioni sono poi chiamate a redigere la
Relazione sulla Performance, documento che evidenzia, a consuntivo e con riferimento all'anno
precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati
ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti.
Centrale in tale processo è il ruolo della CIVIT e dell’Organismo Indipendente di
Valutazione, organismi chiave per l’attuazione della riforma in termini valutazione della
performance. In particolare la CIVIT, tra l’altro, dovrebbe promuovere sistemi e metodologie
finalizzate al miglioramento della performance delle pubbliche amministrazioni, fornendo
supporto tecnico e metodologico all’attuazione delle varie fasi del ciclo di gestione della
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performance.4
L’Organismo Indipendente di Valutazione, invece, garantisce che vengano utilizzate in modo
corretto le linee guida fornite dalla Commissione su come pianificare, cosa e come misurare, cosa
e come valutare.
5. Lo stato di attuazione della normativa in materia di valutazione della performance
Una volta delineato il quadro normativo di riferimento, cerchiamo ora di comprendere qual
è lo stato di attuazione del D.lgs. 150/2009 in materia di valutazione della performance.
Come base empirica di riferimento della nostra analisi, utilizzeremo i materiali pubblicati sul
sito internet della CIVIT5, nella pagina “Piani e Programmi delle Amministrazioni Pubbliche”,
che contiene i link ai documenti preparati dalle pubbliche amministrazioni in relazione
all’attuazione della riforma.
Considerate le finalità di questo studio e la brevità che esso necessita, analizzeremo
soltanto i documenti relativi al “Sistema di misurazione della performance” che come richiesto
nella delibera n. 104/2010 della CIVIT, avrebbe dovuto essere definito dagli Organismi
Indipendenti di Valutazione di ciascuna amministrazione entro il 30 settembre del 2010 e reso
operativo a partire dal 1° gennaio 2011.
Utilizzeremo come punto di riferimento per l’individuazione delle principali problematiche
e criticità che emergono dall’analisi dei suddetti documenti le indicazioni applicative ai fini della
adozione del Sistema di misurazione e valutazione della performance fornite dalla CIVIT stessa
con la delibera n. 114/2010, nonché le indicazioni relative ai principi e ai contenuti cui devono
conformarsi gli Organismi Indipendenti di Valutazione al momento della definizione del Sistema
secondo la delibera CIVIT n. 104/2010 e le indicazioni pratiche su come procedere
nell’implementazione dei Sistemi di misurazione fornite nella delibera CIVIT 89/2010.
Al 12 luglio 2011, solo 95 amministrazioni (13 Ministeri, 56 Enti Pubblici Nazionali e 26
Università) hanno inviato alla CIVIT la documentazione prevista dalla normativa relativamente
alla definizione del Sistema di misurazione e valutazione della performance. Un primo dato che
emerge riguarda dunque l’esiguo numero di amministrazioni che hanno finora assolto ai compiti
previsti dal dettato normativo: si tratta dello 0,37%6 del totale delle amministrazioni, il che lascia
presagire l’esistenza di alcune criticità insite al sistema, anche se è certamente da tenere in
considerazione il breve tempo trascorso dall’entrata in vigore della normativa.
Risulta che, nonostante la delibera Civit 104/2010 chiarisca che il Sistema adottato deve
essere pubblicato sul sito istituzionale dell’amministrazione, nel rispetto del principio di
trasparenza totale, solo 64 amministrazioni hanno provveduto alla pubblicazione. In molti casi,
infatti, come sottolineato nella delibera Civit n. 114/2010, i documenti inviati sono bozze che
riportano semplici citazioni di elementi che si intendono introdurre nel Sistema di misurazione e
valutazione, senza fornire informazioni che sarebbero utili per comprendere l’effettiva
adeguatezza delle soluzioni adottate.
Il materiale empirico che utilizzeremo in questo sede sarà quindi costituito dai 64 documenti
attualmente consultabili.
La delibera 104/2010 sottolinea che il documento relativo al Sistema deve essere articolato
secondo i seguenti punti che saranno oggetto di analisi da parte nostra:
- Descrizione del Sistema: essa deve contenere una sintetica descrizione delle
caratteristiche distintive dell’organizzazione, nonché la metodologia che si intende
adottare ai fini della misurazione della performance (organizzativa e individuale) e i
Per un elenco dettagliato dei compiti della CIVIT si rimanda alla lettura del D.lgs. 150/2009. www.civit.it
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Secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel 2010 il numero di amministrazioni pubbliche italiane era pari a
25.179 (Fonte: http://www.innovazionepa.gov.it)
4
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relativi ambiti di misurazione.
L’analisi dei documenti evidenzia che la descrizione delle caratteristiche distintive
dell’organizzazione non sempre è esaustiva, mancando del tutto in determinati casi o
limitandosi a pochi elementi in altri. In linea generale, i Ministeri sembrerebbero essere
più dettagliati su tale punto (anche se non sempre), mentre le Università un po’ meno
“virtuose”.
In relazione alla metodologia che si intende adottare ai fini della valutazione della
performance organizzativa, emerge che alcune amministrazioni hanno individuato per
ogni ambito di misurazione della performance (così come indicato nell’articolo 8 del
D.lgs. 150/2009) il relativo sistema di misurazione. Così, per esempio, la dimensione
“soddisfazione della collettività” si può valutare misurando il relativo outcome; la
dimensione “stato di salute dell’amministrazione” si può misurare adottando, come
sistema di misurazione, un set di indicatori finanziari. Ciò che non è chiarito, in alcuni
casi, è per l’appunto qual è l’outcome oppure qual è il relativo indicatore e come esso si
potrebbe misurare.
In altri casi, invece, vengono individuate le aree strategiche che definiscono la missione
dell’amministrazione, l’outcome di riferimento e il relativo indicatore. Così, per esempio,
fa il Ministero degli Esteri che per l’area strategica “promozione della pace e della
sicurezza” definisce il relativo outcome “rafforzare la sicurezza dell’Italia da minacce
internazionali” e come indicatori “il numero di conflitti internazionali” e il “numero dei
conflitti interni nelle aree geopolitiche di primario interesse per l’Italia”. Ma si tratta di
indicatori sufficienti? Siamo sicuri che non debbano essere presi in considerazione altri
indicatori come, per esempio, “il numero di attentati terroristici subiti da Paesi alleati” o
indicatori che facciano riferimento alla percezione di sicurezza da parte dei cittadini?
Quasi mai infatti vengono individuati indicatori volti a rilevare aspetti qualitativi della
prestazione erogata e spesso non è chiaro il “razionale” dell’indicatore, cioè il motivo per
cui l’indicatore è stato introdotto.
In altri casi, poi, la formulazione degli indicatori si concentra soprattutto su aspetti interni
all’amministrazione. Così fa, per esempio, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
che per l’obiettivo operativo “implementazione dell’attività di vigilanza sull’ENAC ai
fini del monitoraggio del servizio svolto dai vettori aerei” utilizza come indicatore il
“numero di schede elaborate”.
Ciò che appare poi evidente è la quasi totale assenza di standard, qualitativi e quantitativi
ben definiti. In altri termini, ciò che non è esplicitato, nella maggior parte dei documenti
analizzati, è qual è lo standard di riferimento rispetto al quale l’obiettivo può dirsi
raggiunto (il cosiddetto target). Per esempio, un outcome individuato dal Ministero degli
Esteri è così definito: “Contribuire alla crescita dell’Italia nei mercati internazionali”; il
relativo indicatore è “crescita delle esportazioni italiane nel triennio”. Di quanto devono
crescere tali esportazioni, affinché l’obiettivo da cui esso deriva possa dirsi realizzato,
non è specificato. E sulla stessa scia si muovono molte altre amministrazioni.
Anche la definizione degli obiettivi a cui si riferiscono gli indicatori, specialmente nel
caso degli enti pubblici statali, non è sempre chiara, nel senso che l’obiettivo è spesso
presentato in modo generico ed eccessivamente discorsivo. Per esempio, l’Università di
Ferrara definisce due tipologie di obiettivi dei dirigenti: miglioramento dei servizi e
realizzazione di progetti mediante attivazione di nuovi servizi, senza indicare alcun’altra
specificazione.
Un’altra indicazione assente, nella maggior parte dei documenti presi in analisi, è la
frequenza di rilevazione, cioè ogni quanto tempo l’indicatore deve essere rilevato.
In relazione agli strumenti di misurazione della performance, sembrerebbe che gli enti
pubblici statali preferiscano utilizzare la Balanced Scorecard e il Performance Prism. Per
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esempio, il Ministero della Salute dichiara di volere utilizzare la Balanced Scorecard, in
quanto metodologia che si caratterizza per una visione multidimensionale e che quindi fa
sì che si possa evitare di concentrarsi su una dimensione prettamente economicofinanziaria. La maggior parte delle amministrazioni però non fa riferimento ad alcun
modello di misurazione.
Per quel che riguarda gli ambiti di misurazione della performance organizzativa, come
già evidenziato dalla CIVIT (ivi), in molti casi gli ambiti riportati nel testo del D.lgs.
150/2009 (art. 8) sono solo citati. Manca quasi del tutto il riferimento alle modalità di
misurazione e di valutazione della performance riferita ai singoli ambiti. Così, per
esempio, il MIUR che si limita a una semplice citazione letterale di quanto indicato nel
Decreto o l’ENEA che definisce 4 macro-ambiti di valutazione (grado di attuazione ella
strategia, portafoglio delle attività e dei servizi, stato di salute dell’amministrazione,
impatto dell’azione amministrativa), senza indicare le modalità grazie alle quali questi
entreranno a far parte del Sistema.
In riferimento alla valutazione della performance individuale, la maggior delle
amministrazioni, coerentemente con quanto indicato nel decreto (art.9), definisce due
distinti processi di misurazione e di valutazione: uno per i dirigenti e uno per il restante
personale. Così fanno, ad esempio, il Ministero delle Politiche Agricole e il Ministero
della Salute, che valutano il personale dirigente sulla base del raggiungimento di obiettivi
strategici e di obiettivi di struttura, mentre il personale non dirigente viene valutato sulla
base del raggiungimento di obiettivi individuali. Il Ministero degli Esteri si spinge
addirittura oltre e differenzia anche le competenze che dovrebbe possedere il personal in
posizione dirigenziale e quello con ruolo non dirigenziale. Non mancano tuttavia casi di
amministrazioni che dichiarano di volere utilizzare gli stessi criteri per entrambe le
categorie di personale, come fa l’Enea che dettagliatamente esplicita i criteri e le
modalità attraverso cui valutare le performance individuali, senza però fare alcuna
distinzione a seconda del ruolo ricoperto.
Il dizionario delle competenze, nei pochissimi casi in cui è presente, appare essere molto
generico e basato fondamentalmente su una lista, in alcuni casi estremamente ridotta, di
comportamenti che ogni soggetto dovrebbe mettere in pratica (es. soluzione dei problemi,
orientamento al risultato, gestione dei gruppi e delle riunioni) indipendentemente dagli
obiettivi assegnati a ciascuno e, in alcuni casi, anche dal ruolo svolto (dirigenziale o non
dirigenziale). Quasi mai, inoltre, ad ogni comportamento atteso viene abbinato un
descrittore del giudizio ad esso associato, ciò che rischia di rendere il giudizio dei
valutatori molto disomogeneo.
Molto raramente vengono definite specifiche scale di valutazione della qualità del
contributo individuale che esprimono, anche quantitativamente, le caratteristiche salienti
della prestazione erogata, così come fa l’Ente Parco Appennino Tosco-Emiliano che
definisce una scala di valutazione per attribuire un punteggio al dipendente sulla base
della percentuale di obiettivi realizzati:
1) Risultati molto scarsi – è indispensabile una percentuale di obbiettivi realizzati tra
il 10 e il 20 % - Massimo Punti 10
2) Risultati scarsi – è indispensabile una percentuale di obiettivi realizzati tra il 20 e
il 40 % - Massimo Punti 20
3) Risultati buoni – è indispensabile una percentuale di obiettivi realizzati tra il 40 e
il 60 % - Massimo Punti 40
4) Risultati ottimi – è indispensabile una percentuale di obiettivi
realizzati tra il 60 e l’80 % - Massimo Punti 50
5) Risultati eccellenti – è indispensabile una percentuale di obiettivi realizzati tra
12
l’80 e il 100 % - Massimo Punti 70”
-
-
Il punteggio conseguito, non soltanto in relazione al raggiungimento degli obiettivi, ma
anche in relazione ad altri aspetti, come per esempio la capacità di proporre innovazione
nei processi organizzativi etc., sarà determinante nella corresponsione della retribuzione
di risultato, tanto maggiore quanto elevato sarà il punteggio ottenuto sul totale delle
dimensioni valutate.
Molte amministrazioni chiariscono che le performance individuali verranno valutate
tramite un sistema di pesi e alcune procedure di calcolo che permetteranno di comporre
un punteggio sintetico finale. Rari sono però i casi di amministrazioni che forniscono
dettagli in proposito, evidenziando le modalità di calcolo di tale punteggio.
Un’ultima annotazione, anche se moltissime altre ce ne sarebbero da fare, riguarda il
criterio delle “giornate di presenza” che viene utilizzato da moltissimi ministeri come
l’unico criterio di valutazione della performance individuale. Ciò apporta evidentemente
un grave limite al Sistema che dovrebbe, invece, essere basato pure su altri criteri, anche
di tipo qualitativo.
Definizione del processo: si deve descrivere il processo di misurazione e valutazione
della performance, articolato in fasi e, quindi, attività da svolgere secondo una cadenza
temporale determinata, con strumenti e modalità adeguate, da parte dei soggetti coinvolti
ai diversi livelli di responsabilità (fasi, tempi e modalità).
In riferimento a questo punto, l’analisi dei documenti evidenzia che la maggior parte
delle amministrazioni definisce in maniera puntuale le fasi del processo di valutazione
della performance (es. Fase 1: monitoraggio dello stato di avanzamento degli obiettivi –
Fase 2: valutazione finale dei risultati). Tali fasi però non sempre vengono inquadrate
all’interno del ciclo di gestione della performance che prevede una precisa articolazione
(cfr. supra), In altri termini, ciò che non viene chiarito è in che modo la fase di
misurazione e di valutazione si lega alle altre fasi del ciclo di gestione della performance,
per esempio alla rendicontazione esterna dei risultati.
Un po’ meno precisa, inoltre, è la programmazione delle tempistiche volte a definire le
scadenze entro cui le varie fasi del processo di misurazione e di valutazione dovranno
essere portate a termine. Tali scadenze, nella maggior parte dei casi, non sono
completamente esplicitate.
Per quel che riguarda, infine, le modalità con cui dovrebbe essere attuato il Sistema, si
evince dai documenti analizzati una sorta di sovrapposizione tra questo punto e il
successivo. In altri termini, vengono definiti i soggetti coinvolti nel Sistema (il più delle
volte si tratta del valutatore di prima istanza, del valutato e del valutatore di seconda
istanza), ma non le risorse strumentali (es. strumenti informatici) e le tecniche (es.
indagini di customer satisfaction che possano integrare i dati raccolti all’interno
dell’amministrazione) che potrebbero essere utilizzate allo scopo di ottimizzare i risultati
ottenibili.
Soggetti e responsabilità: il documento che contiene la descrizione del Sistema deve
individuare chiaramente i soggetti chiamati a svolgere la funzione di misurazione e
valutazione.
In relazione a questo aspetto, l’analisi dei documenti evidenzia quanto prima detto: molto
spesso, ma non sempre, vengono individuati i soggetti, interni all’amministrazione,
chiamati a svolgere la funzione di misurazione e di valutazione della performance. Si
tratta, come del resto disciplinato nell’ambito del decreto 150/2009, dell’organo di
indirizzo politico-amministrativo (che svolge in monitoraggio in corso d’anno, al fine di
rilevare eventuali gap tra gli obiettivi intermedi programmati e il risultato di performance
raggiunto), dell’Organismo Indipendente di Valutazione (che presidia il processo di
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-
-
-
misurazione e di valutazione delle performance organizzativa nel suo complesso) e dei
dirigenti (che, a vari livelli, provvedono alla valutazione della performance individuale).
Tuttavia manca spesso il riferimento ad altri soggetti, portatori di interesse esterni
all’amministrazione, che potrebbero essere in vario modo coinvolti nel processo di
valutazione. Il rischio è quello di implementare un processo autoreferenziale che non
incorpora i bisogni della collettività nei giudizi di valutazione. È da rilevare tuttavia che
alcune amministrazioni, come per esempio l’Ente Parco dell’Arcipelago Toscano,
specificano che oltre ai portatori di interesse interni all’amministrazione (vertice politico,
dirigenza e personale dipendente) bisogna coinvolgere nel processo di misurazione e di
valutazione anche gli stakeholder esterni (cittadino, utente e collettività), senza chiarire
però le modalità di tale coinvolgimento.
Procedure di conciliazione ai fini della verifica della correttezza valutativa: definizione
delle iniziative volte a risolvere i conflitti nell’ambito della processo di valutazione della
performance individuale e a prevenire l’eventuale contenzioso in sede giurisdizionale.
L’obiettivo è quello di individuare delle procedure volte a prevenire o a risolvere
eventuali conflitti sorti fra chi effettua la valutazione e i valutati.
Nei documenti della maggior parte delle amministrazioni è chiarito che il valutato può
presentare una richiesta di conciliazione che è valutata con la comparizione delle parti
interessate in sede conciliativa. Quasi mai però viene esplicitamente individuato, così
come previsto dalla Delibera CIVIT 104/2010, un soggetto terzo e imparziale chiamato a
pronunciarsi sulla corretta applicazione del Sistema. In alcuni casi viene genericamente
indicata la possibilità di richiedere l’assistenza di un rappresentante sindacale e legale,
senza specificare però le relative procedure.
Modalità di raccordo e integrazione con i sistemi di controllo esistenti: in molti casi si
ravvisa la necessità di raccordare il Sistema con quello di valutazione e controllo
strategico e con quello per il controllo di gestione. In alcuni documenti manca del tutto la
parte dedicata a tale tematica, mentre in altri tale raccordo rimane solo una dichiarazione
di intenti, dato che non vengono esplicitate le modalità attraverso cui tale integrazione
dovrebbe essere realizzata. Alcune amministrazioni, invece, come per esempio il
Ministero degli Esteri, chiariscono che è in corso un aggiornamento dei programmi
informatici volto a garantire il collegamento tra i risultati ottenuti mediante i vari sistemi
di controllo.
Modalità di raccordo e integrazione con i documenti di programmazione finanziaria e di
bilancio.
In riferimento a questo punto si nota che nella maggior parte dei documenti è indicato il
raccordo temporale con le scadenze relative ai cicli di programmazione finanziaria e di
bilancio. Spesso, infatti, il calendario delle attività di programmazione e valutazione è
stato concepito in modo da tenere conto del calendario delle attività di programmazione
finanziaria e di bilancio. Ciò significa che la fase di programmazione degli obiettivi
strategici e operativi avviene in concomitanza con la comunicazione da parte del MEF
delle previsioni di bilancio, in modo che vi sia concordanza tra gli obiettivi strategici, che
saranno poi contenuti nel Piano della Performance, e quelli inseriti nelle note integrative
di bilancio.
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6. Osservazioni conclusive
I documenti analizzati evidenziano, senza dubbio, alcune criticità collegate alla definizione del
Sistema di misurazione e valutazione della performance che fanno, innanzitutto, emergere una
forte esigenza di accompagnamento tecnico-metodologico delle amministrazioni pubbliche.
Concentriamoci, per motivi di brevità, sulle principali problematiche emerse dalla nostra
analisi.
Un primo elemento di criticità riguarda la definizione degli indicatori atti a misurare
l’outcome. Nonostante la CIVIT, con la delibera 89/2010, abbia fornito una scheda metodologica
per lo sviluppo di indicatori (Fig. 3), molto spesso questi ultimi sono definiti in termini molto
generici, senza che sia evidenziata la motivazione per cui quello specifico indicatore è stato
introdotto. Ciò che si nota è poi la quasi totale assenza di indicatori atti a rilevare la soddisfazione
dell’utenza, ovvero dei destinatari delle attività e dei servizi offerti dalle amministrazioni
pubbliche.
Figura 3 – Scheda anagrafica dell’indicatore
Fonte: CIVIT, 2010 (www.civit.it)
Un altro elemento di criticità è quello legato alla non sempre facile reperibilità dei documenti
relativi al Sistema di misurazione e valutazione della performance. Tali documenti talvolta non
sono pubblicati sui siti istituzionali delle amministrazioni interessate oppure, se pubblicati,
rimandano spesso ad informazioni contenute in direttive dipartimentali di non facile reperibilità.
Il che si pone certamente in contrasto con l’obiettivo dell’accessibilità totale auspicato dal
Decreto 150/2009, anche perché quasi mai i documenti contengono indicazioni chiare e
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specifiche circa le modalità di comunicazione dei risultati ottenuti tramite il processo di
misurazione della performance.
Connesso a tale tema è quello del coinvolgimento degli stakeholder esterni nel processo di
misurazione e di valutazione. Abbiamo visto, analizzando le varie definizioni date (cfr. supra),
che quello di performance non può essere inteso come un concetto unitario. Esso piuttosto va
visto come un complesso di informazioni relative a risultati giudicati significativi da differenti
stakeholder che, dunque, dovrebbero essere attivamente coinvolti nel processo di misurazione che
molto spesso è invece “monopolizzato” da soggetti interni all’amministrazione. Il che, come su
detto, rischia di innescare un processo autoreferenziale che non tiene conto degli effetti
dell’attività amministrativa sulla collettività. La soddisfazione e il coinvolgimento del cittadino
costituiscono, infatti, il vero motore dei processi di miglioramento e innovazione (cfr. Delibera
Civit 89/2010), ragion per cui i Sistemi di misurazione della performance dovrebbero
concentrarsi sul valore pubblico prodotto dalle amministrazioni nell’erogazione dei servizi per la
collettività. Il rischio che si corre è altrimenti quello di coprire, attraverso il Sistema, solo ciò che
è misurabile, tralasciando ciò che per l’amministrazione è estremamente significativo ma magari
meno misurabile in termini quantitativi.
In linea generale, è stata rilevata una maggiore “maturità” dei Sistemi di valutazione della
performance dei Ministeri, rispetto a quelli elaborati dagli enti pubblici statali e dalle Università.
Certamente la peculiarità delle amministrazioni è un elemento importante, da tenere in
considerazione nel momento in cui ci si occupa di tale tematica. In questa sede ci si è concentrati
essenzialmente sull’analisi degli aspetti tecnico-metodologici dei documenti presi in esame; non
dobbiamo tuttavia dimenticare che c’è una “dimensione di contenuto” che rende i vari documenti
specifici a seconda dei compiti e delle missioni degli enti a cui il Sistema si riferisce e che noi,
per motivi di brevità, non abbiamo potuto tenere in considerazione.
L’analisi dei documenti prodotti dalle amministrazioni ha permesso inoltre di rilevare che
scarsa attenzione viene in essi posta alle modalità di gestione e di valorizzazione degli esiti e dei
risultati derivanti dall’applicazione, a livello individuale e collettivo, dei dispositivi individuati. Il
rischio è che anche questa operazione si giochi in una logica di natura essenzialmente
adempimentale, che non superi la prova di realtà rappresentata non solo dall’effettiva
applicazione del Sistema ipotizzato, ma anche dal passaggio dalla misurazione alla gestione della
performance. Il che significa fare in modo che i risultati ottenuti contribuiscano alla definizione
dei processi decisionali (cfr. Radin, 2006). In altri termini, i sistemi di misurazione della
performance sono strumenti essenziali per il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e
della governance in generale solo se i risultati che essi consentono di ottenere sono utilizzati nel
governo complessivo del sistema pubblico e nelle relazioni interistituzionali (cfr. Monteduro,
2010).
Ci sono alcuni punti su cui si dovrebbe certamente investire per favorire il passaggio dalla
semplice misurazione alla gestione della performance (cfr. ivi). In primo luogo va certamente
menzionata la maggiore attenzione che si dovrebbe porre non solo agli aspetti tecnici del Sistema
di misurazione, ma anche alla legittimazione dello stesso, sia all’interno sia all’esterno
dell’amministrazione. Il che significa curare i processi di comunicazione e di rendicontazione non
soltanto, a valle, dei risultati ottenuti, ma anche, a monte, dei metodi, delle tecniche e delle
modalità che si intendono utilizzare, cercando altresì di coinvolgere gli stakeholder nella messa a
punto del Sistema. Ciò aiuterebbe, tra l’altro, a capire cosa è necessario misurare e quali
dimensioni includere nel Sistema di misurazione.
In secondo luogo è assolutamente opportuno creare le condizioni volte a far sì che le
informazioni rilevate attraverso la misurazione della performance diventino parte integrante delle
procedure utilizzate all’interno delle pubbliche amministrazioni e siano concretamente usate
nell’ambito del processo decisionale. È chiaro che, per fare ciò, è necessario sia che le
informazioni di performance siano coerenti con i fabbisogni informativi dei diversi utilizzatori
(dipendenti dell’amministrazione ma anche cittadini) sia che all’interno dell’organizzazione siano
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presenti le capacità, organizzative e manageriali, per saperle utilizzare. Centrale diventa, in tal
senso, il ruolo dei processi formativi che dovrebbero, tra l’altro, aiutare a promuovere una cultura
non burocratica della gestione della performance, puntando sull’idea che il ciclo di gestione della
performance è un processo volto al miglioramento e non alla sanzione dell’errore.
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