Allevamenti intensivi di pollame o di suini

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Allevamenti intensivi di pollame o di suini
Allevamenti intensivi di pollame o di suini
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Alcuni strumenti urbanistici vigenti in Lombardia limitano gli insediamenti
zootecnici ammessi nelle zone agricole a quelli “collegati alla conduzione del fondo”,
escludendo invece “gli allevamenti intensivi di qualsivoglia natura non collegati alla
conduzione del fondo ... ”, allevamenti che sono trattati, quanto alla loro insediabilità, come
insediamenti industriali.
La suddetta qualificazione ha rilievo, in materia urbanistica, non solo per la
disciplina d’uso del suolo ma anche in tema di obbligo contributivo ai sensi dell’art.17
d.P.R. n.380/2001. La menzionata qualificazione, generalmente condivisa nell’arco di
alcune decine d’anni, viene oggi, da taluno, messa in discussione in relazione
all’innovazione introdotta, nell’art.2135 c.c., dall’art.1, primo comma, D.Lgs. n.228/2001.
In proposito, va però rilevato che non può però essere condivisa la pretesa di
trasferire nel campo dell’urbanistica le innovazioni, invero di portata non chiara, introdotte
nel titolo II del libro V del codice civile “del lavoro nell’impresa” per definire l’impresa
agricola e per distinguerla dalle imprese commerciali e da quelle soggette a registrazione,
definizione e distinzione utilizzate per regolamentare diversamente e separatamente i due
tipi di impresa in materie quali quelle del diritto del lavoro e del fallimento. Altre sono
infatti le esigenze e gli interessi propri della materia urbanistica, cosicché è del tutto
legittimo che la definizione di attività e di insediamento agricolo non si adegui
integralmente alla definizione civilistica dell’impresa agricola, ammesso che nella stessa
possa essere ricondotto anche l’insediamento intensivo non collegato in alcun modo alla
conduzione del fondo.
D’altra parte, anche nella materia ambientale, che ha specifica rilevanza nella
disciplina dell’uso del territorio, le attività zootecniche ed in particolare quelle di
“allevamento intensivo di pollame o di suini” sono da tempo incluse tra le attività
industriali almeno quando comportano la presenza di “più di: a) 40.000 posti pollame; b)
2.000 posti suini da produzione (di oltre 30 kg), o c) 750 posti scrofe”. In questo senso
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vanno, da molti anni, le direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio relative appunto
agli effetti delle attività industriali. Questo vale per la direttiva n.2010/75/UE oggi vigente
il cui allegato I annovera appunto le menzionate attività di allevamento intensivo di pollame
e di suini tra le attività industriali. Altrettanto facevano le precedenti direttive n.2008/1/CE
e n.2000/76/CE. Anche le norme nazionali vigenti in materia di VAS, di VIA e di
Autorizzazione Integrata Ambientale comprendono gli allevamenti intensivi con un numero
di capi maggiore rispetto alle medesime soglie sopra ricordate tra le “attività industriali”
(punto 6.6 Allegato VIII al D.Lgs. n.152/2006). Altrettanto faceva l’allegato I al D.Lgs.
n.59/2005 di attuazione della direttiva n.96/61/CE.
Quanto sopra serve a mettere in evidenza che la qualificazione dell’attività di
allevamento intensivo non collegato alla conduzione del fondo agricolo dipende dalle
caratteristiche proprie dei relativi insediamenti e dagli effetti dagli stessi prodotti
sull’ambiente. E’ per questo che, ad esempio, la Sezione VI civile della Corte di Cassazione
ha, con ordinanza n.15333 del 12.7.2011, affermato che “l’allevamento di cavalli da polo
non rientra nell’esercizio normale dell’agricoltura ai sensi dell’art.2135 c.c. e, per la sua
autonomia rispetto allo sfruttamento del terreno, non presenta alcun collegamento con
l’utilizzazione del fondo secondo la pratica agricola e zootecnica” tanto che la controversia
avente ad oggetto la restituzione di un fondo dato in affitto è stata attribuita alla competenza
del Tribunale ordinario e non delle sezioni specializzate agrarie.
Con riferimento ad un allevamento con una presenza media nel ciclo di 4.900 suini,
la Sezione I del TAR Friuli Venezia Giulia, con sentenza n.838/2010, ha respinto la tesi
della ricorrente secondo la quale “la modifica dell’art.2135 c.c.” avrebbe “eliminato il
collegamento esistente con il ‘fattore terra’, cosicché ... l’allevamento in questione non
potrebbe essere considerato industriale”. Il TAR ha ritenuto questa prospettazione
superata, oltre che da alcune norme tecniche dello specifico strumento urbanistico, dal fatto
che “l’All. I al D.Lgs. n.59/2005 ricomprende tra le attività industriali quelle di
allevamento intensivo di suini riferito a 2.000 suini di oltre 30 kg od a 750 scrofe”.
Anche la Sezione I del TAR Piemonte, con la sentenza n.1302/2010, ha affermato
che “non è precluso che l’ordinamento mantenga più parallele nozioni di ‘impresa
agricola’ in ragione delle diverse finalità per cui detta nozione viene definita; l’esenzione
dal contributo di costruzione si collega ragionevolmente al ritenuto minor impatto sul
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carico urbanistico che, ovviamente, potrà assumere caratteristiche del tutto differenti a
seconda della natura più o meno intensiva dell’attività e, conseguentemente, del maggiore
o minore impatto ambientale che essa comporta, a prescindere dalla sua qualificazione
come ‘attività agricola’ ai fini propri del diritto commerciale”.
Anche la tecnica usata nell’allevamento ove non sia “espressione di tipica attività
agricola” costituisce elemento connotativo sufficiente a qualificare l’attività insediata come
“una vera e propria attività industriale”. In questo senso si è espressa, affrontando proprio
il problema della qualificazione industriale di un allevamento intensivo, la Sezione V del
Consiglio di Stato con la sentenza n.1051/2007 nella quale viene escluso che la nuova
formulazione dell’art.2135 c.c. introduca innovazioni tali da incidere sulla possibilità di
insediamento di allevamenti intensivi in zone classificate come agricole dallo strumento
urbanistico.
Insomma, lo specifico interesse pubblico avuto di mira nella materia urbanistica
come in quella ambientale porta a considerare legittima la qualificazione di un allevamento
intensivo in zona agricola come industriale: ciò tanto sotto il profilo dell’insediabilità
quanto sotto il profilo dell’onerosità, profilo quest’ultimo che non può affatto essere
trascurato e che è strettamente connesso con la natura agricola o meno dell’attività che si va
ad insediare.
Le considerazioni sopra svolte consentono di concludere che la destinazione a verde
agricolo non ammette, specie ove la materia sia disciplinata dallo strumento urbanistico,
l’insediamento di vere e proprie macchine industriali quali sono gli allevamenti intensivi
avicoli o suinicoli che superino determinate soglie quantitative e che comunque siano privi
di un adeguato collegamento con la conduzione del fondo. Si tratta del necessario punto di
arrivo di una lunga elaborazione ormai affermata in tema di autonomia della disciplina
urbanistica e di quella ambientale rispetto alle definizioni proprie del diritto civile o di
discipline normative di settori diversi, autonomia necessariamente connessa alla peculiarità
dell’interesse pubblico perseguito.
Milano, 27.07.2013
Mario Viviani
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