Art. 452 bis c.p.: la locuzione «compromissione o deterioramento

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Art. 452 bis c.p.: la locuzione «compromissione o deterioramento
Numero 6 - 2016
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Art. 452 bis c.p.: la locuzione «compromissione o deterioramento
significativi e misurabili» all’esame dei giudici di legittimità
Cass. Sez. III Pen. 3 novembre 2016, n. 46170 (c.c.) - Amoroso, pres.; Ramacci, est.; Orsi, P.M. (diff.) - P.M. in
proc. Simonelli, ric. (Annulla con rinvio Trib. lib. La Spezia 22 gennaio 2016)
Affinché possa dirsi configurato il reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452 bis c.p. non occorre che si sia verificata una condizione
ambientale di «tendenziale irrimediabilità», bensì che sia stata posta in essere un’attività rilevante di «compromissione» o «deterioramento» ambientale che si può definire di «squilibrio funzionale» e «squilibrio strutturale».
(Omissis)
FATTO
1. Il Tribunale della Spezia, con ordinanza del 22 gennaio 2016 ha accolto l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro
preventivo emesso in data 29 dicembre 2015 dal giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale ed avente ad
oggetto una porzione di fondale ed un cantiere, ipotizzandosi, a carico di Fabrizio Simonelli, progettista e direttore dei lavori
di dragaggio del «molo Garibaldi» e del «molo Fornelli», il reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452 bis c.p., concretatosi nell’avere omesso di rispettare le norme progettuali, provocando dispersione di sedimenti nelle acque circostanti, conseguente trasporto degli inquinanti in essi contenuti (idrocarburi e metalli pesanti) e tali da cagionare un deterioramento ed
una compromissione significativa delle acque del golfo di La Spezia.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, deducendo i motivi
di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p.
2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 321 c.p.p. in relazione all’art. 452 bis c.p., osservando che il
Tribunale ha riconosciuto l’astratta configurabilità, nella fattispecie, degli elementi costitutivi del reato oggetto della provvisoria
incolpazione, fatta eccezione per il deterioramento significativo delle acque, che ha invece escluso con giudizio che, secondo
il pubblico ministero ricorrente, avrebbe travalicato l’ambito della limitata cognizione attribuita al giudice del riesame, sconfinando in un pieno giudizio di merito.
Aggiunge che le valutazioni effettuate dal Tribunale, avuto riguardo agli esiti delle indagini in corso, sarebbero comunque in
contrasto con quanto stabilito dall’art. 452 bis c.p. ed, inoltre, che i giudici del riesame, sempre sulla base di quanto accertato,
avrebbero in ogni caso potuto qualificare diversamente i fatti come delitto tentato o, al più, come contravvenzione in relazione
all’art. 674 c.p.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Il procuratore generale, nella sua requisitoria scritta, ha invece concluso per il rigetto del ricorso.
In data 20 settembre 2016 la parte offesa Legambiente Onlus, tramite il proprio difensore, depositava memoria difensiva a
sostegno delle proprie ragioni.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
Va premesso che la vicenda in esame, per quanto è dato rilevare dal ricorso e dall’ordinanza impugnata, unici atti ai quali
questa Corte ha accesso, è caratterizzata dalle seguenti principali scansioni fattuali.
Nell’ambito di operazioni di dragaggio, finalizzate all’attuazione di un progetto di bonifica dei fondali dei moli «Fornelli» e
«Garibaldi», la ditta incaricata, come documentato da diverse annotazioni del Corpo forestale e della Capitaneria di porto,
avrebbe violato palesemente le prescrizioni progettuali, le quali prevedevano particolari accorgimenti per limitare l’intorbidimento delle acque, quali la presenza di una vasca d’acqua a bordo della draga per poter lavare la benna prima di ogni immersione e la predisposizione di un sistema di conterminazione per evitare la dispersione della torbidità nelle acque circostanti,
costituito da elementi galleggianti in poliuretano (panne) ai quali sono fissati elementi verticali in poliestere resinato (gonne),
che scendono verso il fondo al quale devono essere solidarizzati. Le gonne, inoltre, dovevano essere giuntate tra loro con
nastro in polipropilene e trattenute al fondo con ancore piombi e, in caso di rottura degli elementi del sistema, il dragaggio
avrebbe dovuto essere interrotto per il tempo necessario alla riparazione. L’area di lavoro andava inoltre delimitata con un
sistema a «panne fisse» galleggianti ancorate a corpi in cemento armato di 8.000 Kg posti sul fondale.
Il Tribunale, indicando nel dettaglio le ulteriori prescrizioni finalizzate a minimizzare gli effetti dell’attività, precisa che, in
occasione di diversi sopralluoghi, si era accertato che le gonne non risultavano affatto ancorate al fondo e risultavano essere
emerse in superficie a causa delle turbolenze provocate dall’elica del rimorchiatore, con la conseguenza che, ad ogni azione
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della benna dell’escavatore, veniva sversata al di fuori delle panne una considerevole quantità di fango, registrandosi, quindi,
elementi di torbidità estremamente elevati e superiori al consentito, come documentato dalle verifiche effettuate dall’ARPAL.
I giudici del riesame danno altresì atto di altri dati fattuali, tra i quali assumono rilievo, per ciò che concerne la vicenda in
esame: la documentata presenza, nell’area da bonificare, di sedimenti fino a 100 cm che denotano una significativa contaminazione di metalli pesanti ed idrocarburi policiclici aromatici (viene, a tale scopo, testualmente citato il contenuto del progetto
di bonifica); la piena consapevolezza, da parte dei responsabili dell’azienda incaricata dei lavori, della condotta abusiva, tanto
che, essendo costoro avvisati preventivamente dall’ARPAL dei futuri controlli, sospendevano momentaneamente i lavori per
non innalzare il livello di torbidità (il Tribunale indica le dichiarazioni di una persona informata sui fatti).
Emerge, inoltre, dal ricorso, che le modalità di esecuzione dei lavori erano conseguenza di una precisa scelta imprenditoriale,
il cui fine era quello di concludere celermente l’intervento, abbattendo i costi ed ottenendo, così, un maggiore profitto e che
detta attività, all’atto del sequestro, si era protratta per oltre dieci mesi.
Il Pubblico Ministero ricorrente evidenzia anche che il livello di torbidità delle acque conseguente alla dispersione dei fanghi
inquinanti risultava, rispetto a quello verificato quando l’attività veniva svolta nell’osservanza delle prescrizioni, fino a 30 volte
superiore per il molo «Garibaldi» e fino a 4,8 volte per il molo «Fornelli», evidenziando, però, che le indagini avevano consentito di accertare che i dati forniti dall’ARPAL erano comunque minimizzanti.
Sulla base dei dati appena sintetizzati, dunque, il Tribunale ha fondato il proprio giudizio, escludendo la sussistenza del fumus
del reato per le ragioni indicate in premessa ed oggetto di censura in ricorso.
2. Occorre a questo punto verificare se, come lamentato dal pubblico ministero ricorrente, i giudici del riesame abbiano effettivamente travalicato l’ambito della cognizione loro attribuita dalla legge, sconfinando in un giudizio di merito.
La risposta non può che essere negativa.
Secondo i condivisibili principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, la valutazione della sussistenza del fumus
commissi delicti demandata la giudice del riesame va effettuata mediante una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, esaminando, conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del pubblico ministero ma anche le confutazioni e gli
altri elementi offerti dalla difesa degli indagati (ex pl., Sez. VI, n. 49478 del 21 ottobre 2015, P.M. in proc. Macchione, rv.
265.433; Sez. V, n. 49596 del 16 settembre 2014, Armento, rv. 261.677; Sez. V, n. 28515 del 21 maggio 2014, Ciampani e altri,
rv. 260.921; Sez. IV, n. 15448 del 14 marzo 2012, Vecchione, rv. 253.508; Sez. III, n. 27715 del 20 maggio 2010, Barbano, rv.
248.134; Sez. III, n. 26197 del 5 maggio 2010, Bressan, rv. 247.694; Sez. III, n. 18532 del 11 marzo 2010, D’Orazio, rv. 247.103,
con ampi richiami ai precedenti).
Quanto alla valutazione sull’elemento soggettivo del reato si è ripetutamente affermato che il controllo demandato al giudice
del riesame sulla concreta fondatezza dell’ipotesi accusatoria secondo il ricordato parametro del fumus del reato può riguardare
anche l’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, purché di immediato rilievo [Sez. IV, n. 16153 del 6 febbraio 2014, Di
Salvo, rv. 259.337; Sez. II, n. 2808 del 2 ottobre 2008, (dep. 2009), Bedino, rv. 242.650; Sez. IV, n. 23944 del 21 maggio 2008,
Di Fulvio, rv. 240.521; Sez. I, n. 21736 del 11 maggio 2007, Citarella, rv. 236.474. Si veda anche Corte cost. ord. 157, 18 aprile
2007, menzionata in gran parte delle ricordate decisioni].
Il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente
dall’accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell’elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all’adozione della misura cautelare reale (Sez. VI, n. 45908 del 16 ottobre 2013, Orsi, rv. 257.383; Sez. 6, n.
10618 del 23 febbraio 2010 , P.M. in proc. Olivieri, rv. 246.415; Sez. I, n. 15298 del 4 aprile 2006, Bonura, rv. 234.212 ed altre
prec. conf.).
3. Date tali premesse, deve osservarsi che, nella fattispecie, il Tribunale ha certamente fatto buon uso dei suddetti principi, che
pure ha richiamato, procedendo ad una completa verifica, sulla base degli elementi posti a sua disposizione, della sussistenza
degli elementi costitutivi del reato ipotizzato, tra i quali ovviamente rientra anche l’evento, che però ha motivatamente escluso.
Così operando, il Tribunale non ha travalicato i limiti della propria cognizione, diversamente da quanto sostenuto in ricorso,
né può dirsi che abbia operato una valutazione piena del merito, essendosi limitato a rilevare, sulla base dei dati disponibili e
sotto il profilo del fumus del reato, l’assenza di una compromissione o di un deterioramento consistente e quantificabile.
4. Questione diversa è, invece, quella concernente la correttezza dell’interpretazione dell’art. 452 bis c.p. offerta dai giudici del
riesame.
Va ovviamente dato atto della circostanza che trattasi di questione nuova, dal momento che la richiamata disposizione è stata,
come noto, introdotta con la l. 22 maggio 2015 n. 68, la quale ha disposto l’inserimento nel codice penale, nel libro II, della
parte VI bis relativa ai delitti contro l’ambiente rispetto ai quali neppure la dottrina, nei contributi sinora offerti, è pervenuta a
conclusioni univoche.
Tale novità richiede, pertanto, un minimo approfondimento.
5. L’art. 452 bis c.p. così dispone: È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000
chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
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Il Tribunale del riesame ha, in primo luogo, ritenuto sussistente il requisito della «abusività» della condotta, sul presupposto
che l’attività veniva svolta in spregio alle prescrizioni imposte dal progetto di bonifica.
Pare dunque opportuno ricordare, in relazione la requisito dell’abusività della condotta (richiesto anche da altre disposizioni
penali), che con riferimento al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, originariamente sanzionato dall’art.
53 bis del d.lgs. 22/97 ed, attualmente, dall’art. 260 del d.lgs. 152/06, si è recentemente ricordato (Sez. I, n. 21030 del 10 marzo
2015, Furfaro ed altri, non massimata) che sussiste il carattere abusivo dell’attività organizzata di gestione dei rifiuti - idoneo
ad integrare il delitto - qualora essa si svolga continuativamente nell’inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che
si verifica non solo allorché tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano
scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli
autorizzati.
La sentenza, nella quale vengono escluse violazioni dei princìpi costituzionali rispetto ad eventuali incertezze interpretative
connesse, tra l’altro, alla portata del termine «abusivamente», segue ad altre, in parte citate, nelle quali si è giunti alle medesime
conclusioni [Sez. III, n. 18669 del 8 gennaio 2015, Gattuso, non massimata; Sez. III, n. 44449 del 15 ottobre 2013, Ghidoli,
rv. 258.326; Sez. III, n. 19018 del 20 dicembre 2012 (dep. 2013), Accarino e altri, rv. 255.395; Sez. III, n. 46189 del 14 luglio
2011, Passariello e altri, rv. 251.592; Sez. III, n. 40845 del 23 settembre 2010, Del Prete ed a., non massimata ed altre prec.
conf.].
Tali princìpi sono senz’altro utilizzabili anche in relazione al delitto in esame, rispetto al quale deve peraltro rilevarsi come la
dottrina abbia, con argomentazioni pienamente condivisibili, richiamato i contenuti della direttiva 2008/99/CE e riconosciuto
un concetto ampio di condotta «abusiva», comprensivo non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o
regionali, ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative.
Alla luce di tali considerazioni le conclusioni assunte sul punto dal Tribunale risultano del tutto legittime come pure riconosciuto dal ricorrente.
6. Anche in ordine all’individuazione del bene ambientale sul quale si riverberano le conseguenze della condotta non vi è
incertezza alcuna, essendo le acque in genere, così come l’aria, espressamente contemplate dall’art. 452 bis c.p. senza alcun
riferimento quantitativo o dimensionale, di fatto difficilmente individuabile, diversamente da quanto previsto riguardo al suolo
ed al sottosuolo, il cui degrado deve interessarne «porzioni estese o significative».
È tuttavia evidente che, in ogni caso, l’estensione e l’intensità del fenomeno produttivo di inquinamento ha comunque una
sua incidenza, difficilmente potendosi definire «significativo» quello di minimo rilievo, pur considerandone la più accentuata
diffusività nell’aria e nell’acqua rispetto a ciò che avviene sul suolo e nel sottosuolo.
La questione, tuttavia, non si pone nel caso in esame, risultando dall’ordinanza impugnata (pag. 7) che l’area interessata dall’intervento bonifica ha un’estensione di 85.000 mq.
7. Ciò che invece viene posto in dubbio dai giudici del riesame, come si è detto in precedenza, è il fatto che l’esito delle
condotte accertate abbiano effettivamente determinato quella compromissione o un deterioramento significativi e misurabili
che la norma richiede.
Nell’individuazione del significato concreto da attribuire ai termini «compromissione» e «deterioramento» non assume decisivo
rilievo la denominazione di «inquinamento ambientale» attribuita dal legislatore al reato in esame, che evidenzia, sostanzialmente, una condizione di degrado dell’originario assetto dell’ambiente e neppure sembra di particolare ausilio la definizione
contenuta nell’art. 5, comma 1, lett l ter) del d.lgs. 152/06, che lo stesso articolo, in premessa, indica come fornita ai fini
dell’applicazione di quello specifico testo normativo, così come il riferimento ad un «deterioramento significativo e misurabile»
contenuto nella definizione di danno ambientale nell’art. 300 del medesimo d.lgs.
Più in generale, deve ritenersi non rilevante, a tali fini, l’utilizzazione del medesimo termine nel d.lgs. 152/06 (o in altre discipline di settore) non soltanto perché effettuata in un diverso contesto e per finalità diverse, ma anche perché, quando lo ha
ritenuto necessario, la legge 68\2015 ha espressamente richiamato il d.lgs. 152/06 o altre disposizioni.
L’indicazione dei due termini con la congiunzione disgiuntiva «o» svolge una funzione di collegamento tra i due termini autonomamente considerati dal legislatore, in alternativa tra loro - che indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli
effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema caratterizzata, nel caso della «compromissione», in una condizione di rischio o pericolo che potrebbe
definirsi di «squilibrio funzionale», perché incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità della matrice ambientale o dell’ecosistema ed, in quello del deterioramento, come «squilibrio strutturale», caratterizzato da un decadimento di stato
o di qualità di questi ultimi.
Da ciò consegue che non assume rilievo l’eventuale reversibilità del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di
distinzione tra il delitto in esame e quello, più severamente punito, del disastro ambientale di cui all’art. 452 quater c.p.
8. L’ambito di operatività dell’art. 452 bis c.p. è anche delimitato dalla ulteriore precisazione che la compromissione o il deterioramento devono essere comunque, «significativi» e «misurabili», venendo così elevato in modo considerevole il livello di
lesività della condotta, escludendo i fatti di minore rilievo.
Anche in questo caso, infatti, non può prescindersi dal significato lessicale dei termini utilizzati - anch’essi non estranei al
diritto ambientale, in quanto utilizzati, ad esempio, nel già citato art. 300 del d.lgs. 152/06 - considerando che il termine
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«significativo» denota senz’altro incisività e rilevanza, mentre «misurabile» può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile
o, comunque, oggettivamente rilevabile.
L’assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi consente di
escludere l’esistenza di un vincolo assoluto per l’interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, il cui superamento, come è stato da più parti già osservato, non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per
l’ambiente, potendosi peraltro presentare casi in cui, pur in assenza di limiti imposti normativamente, tale situazione sia di
macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile.
Ovviamente, tali parametri rappresentano comunque un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo
scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitività, un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione
o il deterioramento causati siano effettivamente significativi come richiesto dalla legge mentre tale condizione, ovviamente,
non può farsi automaticamente derivare dal mero superamento dei limiti.
9. Ciò posto, deve rilevarsi che il Tribunale, nel fornire la propria lettura della norma codicistica in esame, richiamando sommariamente i contenuti della relazione redatta dall’Ufficio del massimario (rel. n. III/04/2013 del 29 maggio 2015) ha ritenuto
di qualificare i richiesti requisiti della compromissione o del deterioramento come condizione di «tendenziale irrimediabilità»,
caratterizzata da «situazioni di strutturali e non provvisorie inabilità del bene rispetto alle sue funzioni», evidenziando anche la
rilevanza del danno che caratterizza la condotta.
Ha tuttavia escluso la sussistenza del reato sulla base di alcune considerazioni che non appaiono, tuttavia, condivisibili.
L’attività posta in essere dall’indagato, ancorché ritenuta abusiva nei termini dianzi specificati, viene presa in considerazione,
quanto agli effetti, con riferimento al solo livello di torbidità delle acque, ritenuta un fenomeno inevitabile in presenza di
attività di dragaggio.
Il Tribunale esclude però la compromissione o il deterioramento consistente e qualificabile ritenendo non rilevante, in quanto
non più verificatasi, una moria di molluschi avvenuta nel 2015.
10. Tali conclusioni non convincono, perché, in primo luogo, paiono riferirsi ad una individuazione dei termini «compromissione» e «deterioramento» che concentra l’attenzione su una condizione di «tendenziale irrimediabilità» che, per le ragioni in
precedenza indicate, la norma non prevede.
Inoltre, il riferimento alla torbidità dell’acqua ed alla moria di mitili nei termini sopra specificati paiono, in assenza di ulteriori
specificazioni, riferite soltanto ad alcuni degli effetti prodotti dalla condotta oggetto di provvisoria incolpazione, prescindendo
così dal considerare compiutamente quelle condizioni di «squilibrio funzionale o strutturale» che, ad avviso del Collegio, caratterizzano la condotta penalmente rilevante.
In altre parole, sembra che i giudici del riesame abbiano valutato solo quei dati fattuali astrattamente riconducibili alla condizione di irrimediabilità tendenziale del danno preventivamente individuata, offrendo argomentazioni certamente accurate, ma
basate su un presupposto errato, lasciando in disparte, evidentemente perché non ritenuti rilevanti, altri aspetti dei quali viene
invece dato atto in altre parti del provvedimento, quali, ad esempio, la presenza nei fanghi fuoriusciti dall’area di bonifica, di
sostanze tossiche quali i metalli pesanti ed idrocarburi policiclici aromatici (questi ultimi qualificati anche come cancerogeni e
mutageni), la cui presenza nelle acque, indipendentemente dagli effetti letali sulla fauna, può determinarne la contaminazione;
il livello di torbidità comunque accertato nonostante l’ARPAL avvisasse preventivamente dei controlli gli interessati, i quali,
opportunamente evitavano il dragaggio in previsione dei controlli.
I dati acquisiti andavano dunque diversamente e globalmente valutati ai fini della qualificazione giuridica dei fatti e della sussistenza del fumus del reato.
11. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame alla luce dei princìpi affermati.
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Art. 452 bis c.p.: la locuzione «compromissione o deterioramento
significativi e misurabili» all’esame dei giudici di legittimità
1. Premessa. Incominciano ad arrivare al pettine i molteplici nodi che caratterizzano la recente legge n.
68/2015 di riforma dei reati in materia di ambiente. La decisione in commento affronta un problema
classico della recente legislazione penale: delineare i confini a disposizioni che presentano, anche ad una
prima lettura, vistose incongruenze in rapporto ai fondamentali princìpi di un diritto penale del fatto,
come quello nostro di derivazione costituzionale. A venire in rilievo, nel caso del diritto penale dell’ambiente, sono questioni connesse alla redazione delle nuove fattispecie incriminatrici del tutto avulse dai
canoni di tassatività-determinatezza del tipo criminoso, che – in assenza di una compiuta e razionale
attività di riorganizzazione con l’assetto normativo preesistente, interamente sopravvissuto alla recente
iniziativa legislativa – amplificano i profili problematici di coordinamento tra «vecchio» e «nuovo» sistema1.
Il compito della giurisprudenza si preannuncia alquanto articolato perché il legislatore ha dato vita – in
linea con una risalente quanto deleteria tradizione rinvenibile in particolar modo nel settore dell’ambiente
– a fattispecie criminose che sembrano indirizzate più che a comuni destinatari a soggetti specializzati
nell’arte della predizione: aruspici, auguri, astrologi, veggenti o indovini.
Com’è noto, a fronte dei «buoni propositi» – di contrastare la ‹‹dimensione e la pervasività dei reati contro
l’ambiente›› – che a più riprese sono stati ribaditi negli atti parlamentari2, ancora una volta, occorre fare i
conti con una deludente realtà. Condivisibili appaiono, pertanto, le censure avanzate3 così come la
‹‹solenne bocciatura››4 a cui è stata sottoposta la «riforma», che pure era stata preannunciata da roboanti
dichiarazioni, e presentata come ‘il rimedio’ da troppo tempo atteso. Una legge che – placatisi i clamori
del momento connessi all’utilizzazione del circuito massmediale5, non del tutto scevra da secondari fini
Sul punto cfr. C. BERNASCONI, Art. 1, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 8. L’ampio spettro di modifiche introdotte dalla l. n. 68/2015 (disposizioni
in materia di delitti contro l’ambiente): i riflessi su eterogenei profili di disciplina, in www.lalegislazionepenale.eu, 11 gennaio 2016, 2, che
preannuncia l’insorgenza di rilevanti questioni interpretative (anche) in relazione ai profili di mancato coordinamento.
2 Cfr. Relazione alle proposte di legge: n. 342 (presentata il 19 marzo 2013), n. 957 (presentata il 15 maggio 2013), n. 1814 (presentata
il 15 novembre 2013), in Atti parlamentari - Camera dei Deputati - XVII Legislatura - Disegni di legge e relazioni - Documenti
- N. 342-957-1814.A ove viene sottolineata la necessità di emanare un gruppo di disposizioni ‹‹che superino la pluralità di
normative disorganiche sparse in diversi testi di legge che rendono estremamente difficoltosa la percezione di esse sia da parte
del cittadino che da parte dell’interprete››.
3 Nell’ambito di un ampio dibattito, cfr. C. RUGA RIVA, Commento al testo base sui delitti ambientali adottato dalla Commissione giustizia
della Camera, in www.penalecontemporaneo.it, 22 gennaio 2014, 1 e ss.; G. AMENDOLA, Delitti contro l’ambiente: arriva il disastro ambientale ‹‹abusivo››, in www.lexambiente.it, 17 marzo 2015, 1 e ss.; ID., La Confindustria e il disastro ambientale abusivo, in questionegiustizia.it,
15 aprile 2015, 2 e ss.; ID., Viva viva il disastro ambientale abusivo, in www.lexambiente.it, 24 marzo 2015; M. SANTOLOCI, In Italia ci
si ammala e si muore di ‹‹parametri››. Disastri ambientali a norma di legge (da evitare con la nuova legge sui delitti ambientali), in www.dirittoambiente.net., 11 gennaio 2015, 1; ID., Dietro l’introduzione dei nuovi delitti ambientali (molto scenografici, ma scarsamente applicabili e di poco
effetto pratico) si nasconde l’azzeramento di fatto di tutti gli illeciti ambientali oggi esistenti..., ivi, 2 marzo 2014, 3 e ss.; B. TINTI, Reati
ambientali, legge degli orrori, in Il Fatto Quotidiano, 27 marzo 2015; A.L. VERGINE, Delitti ambientali: dal 2 aprile 1998 quasi vent’anni
trascorsi (forse) inutilmente, in Ambiente&Sviluppo, 2015, 7, 413 e ss.; ID., I nuovi delitti ambientali: a proposito del d.d.l. n. 1345/2014,
ivi, 6, 443 ss.; L. SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli «ecodelitti»: una svolta «quasi» epocale per il diritto penale dell’ambiente, in
www.penalecontemporaneo.it, 9 luglio 2015, 1 e ss.; ci sia consentito richiamare anche il nostro L’estinzione delle contravvenzioni nella
nuova parte VI bis del T.U.A. (art. 1, comma 9 e art. 2, legge n. 68/ 2015): ancora un esempio di «normativa rinnegante», in www.lalegislazionepenale.eu, 11 gennaio 2016, 1 e ss.
4 Così T. PADOVANI, Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente, in Guida dir., 2015, 32, 13.
5 Senza pretese di completezza, sul ‹‹problematico e complesso›› rapporto tra informazione e sistema penale, cfr., T. PADOVANI,
Informazione e giustizia penale: dolenti note, in Dir. pen. proc., 2008, 690 e ss.; sulla capacità dei mass-media di influenzare le coscienze
e sui rischi per la democrazia che il controllo e le manipolazioni degli stessi comporta cfr. M. LOPORCARO, Cattive notizie. La
retorica senza lumi dei mass media italiani, Milano 2005, 28 e ss.; sulla capacità dei mezzi di informazione di creare e/o di amplificare
un’immagine negativa di un dato fenomeno - ad esempio la questione immigrati - cfr. A. DAL LAGO, Non-persone. L’esclusione
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quali la captazione del consenso6 – esibisce una serie di disposizioni asistematiche, ancorate alla previsione
di eventi (rectius, macro-eventi) indimostrabili; che fa ampio ricorso a locuzioni marcatamente generiche
e, in quanto tali irrispettose del principio di tassatività-determinatezza dell’illecito penale7. Il tutto – non
discostandosi dalla recente legislazione penale più in generale – supportato da un regime sanzionatorio
intriso di simbolismo repressivo e in quanto tale irragionevole, sia al proprio interno che nel raffronto
con le altre fattispecie presenti nel codice penale poste a tutela di beni giuridici non meno significativi. Di
converso, il duro regime sanzionatorio previsto doveva spingere, ancor di più, il legislatore ad una
maggiore accortezza nella predisposizione dei vari «divieti».
Ad onor del vero non ci si illudeva più di tanto – perché il legislatore ci ha ‹‹assuefatti a ogni più mostruosa
meraviglia››8 – in ordine a marcati cambiamenti di rotta rispetto a radicati meccanismi di scadente
legislazione penale9; ma con la riforma in materia di «ecoreati» il legislatore è andato ben oltre le più
pessimistiche previsioni, emanando un articolato «complicato e ridondante»10 che si preannuncia, non
diversamente dal passato, deficitario sul piano dell’effettività della risposta statuale. Mantengono piena
attualità le espressioni di delusione già avanzate da attenta dottrina, quando ha evidenziato il «sentimento
di profonda frustrazione che rimane, almeno nello studioso di diritto penale»11.
2. La vaghezza della fattispecie incriminatrice e il ruolo della Corte di cassazione. Il recente intervento della Suprema
Corte assume, dunque, particolare importanza trattandosi della prima decisione dopo l’emanazione della
legge di riforma e, quindi, destinato a porsi come importante indicazione a cui far riferimento sul piano
dell’esatta comprensibilità e, quindi, dell’applicazione della fattispecie incriminatrice; nel caso di specie a
venire in rilievo è la figura delittuosa concernente l’inquinamento ambientale.
Non è questa la sede per addentrarci in questioni di più ampio respiro quali le funzioni della prassi e i
rapporti tra ius constitutionis e ius litigatoris12, né tanto meno interrogarsi sulla valenza nel nostro
ordinamento del principio di common law dello stare decisis (o del binding precedent)13; a noi preme solo
dei migranti in una società globale, Milano 1999, 72 e ss.; sui ‹‹reciproci influssi tra atti giudiziali e pubblica informazione›› cfr. M.
NOBILI, L’immoralità necessaria. Citazioni e percorsi nei mondi della giustizia, Bologna, 2009, 7 e ss.; sulle asimmetrie dell’informazione
che incidono su comportamenti ed esiti anche di mercato, cfr. J.E. STIGLITZ, I ruggenti anni Novanta. Lo scandalo della finanza e il
futuro dell’economia, Torino, 2004, 67 e ss.
6 Sul tema mantengono piena attualità le riflessioni già svolte da G. FIANDACA, Concezioni e modelli di diritto penale tra legislazione,
prassi giudiziaria e dottrina, in AA.VV., La riforma del diritto penale, L. PEPINO (a cura di), Milano 1993, 20 e ss.; E. RESTA, Paradossi
del consenso, in AA.VV., Verso un nuovo codice penale. Itinerari - Problemi - Prospettive, a cura del Centro Studi Giuridici e Sociali Cesare
Terranova, Milano, 1993, 133 e ss.; E. MUSCO, Consenso e legislazione penale, ivi, 151 e ss.; C.E. PALIERO, Diritto penale e consenso
sociale, ivi, 167 e ss., F. SGUBBI, Il diritto penale incerto ed efficace, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 1193.
7 Per delle condivisibili censure sul piano della tecnica legislativa che coinvolge il principio di tassatività-determinatezza dell’illecito penale cfr. le ampie riflessioni formulate da M. TELESCA, Osservazioni sulla l. n. 68/2015 recante «Disposizioni in materia di
delitti contro l’ambiente»: ovvero i chiaroscuri di una agognata riforma, in www.penalecontemporaneo.it, 17 luglio 2015, 4.
8 Cfr. T. PADOVANI, Legge sugli ecoreati, cit., 12.
9 Ci sia consentito sul punto richiamare il nostro, Uno sguardo sullo schema di legge delega per la riforma dei reati in materia di ambiente:
nuovi «orchestrali» per vecchi «spartiti», in Riv. trim. dir. pen. ec., 2008, 1-2, 55 e ss.
10 Con riferimento al d.d.l. n.1345, cfr. G. AMENDOLA, Il d.d.l. sui delitti ambientali oggi all’esame del parlamento: spunti di riflessione,
in www.insic.it, 25 marzo 2014.
11 In tal senso cfr. P. PATRONO, Inquinamento idrico e atmosferico: la disciplina penale dopo il c.d. Testo unico ambientale, in www.lexambiente.com, 3 novembre 2001, 3.
12 Pone il risalto il dato che la Cassazione è giudice dello ius constitutionis e dello ius litigatoris, anche se nella maggior parte dei
casi è giudice solo dello ius litigatoris, G. LATTANZI, La cassazione penale tra lacune legislative ed esigenze sovranazionali, in Cass. pen.,
2012, 10, 3243 e ss.
13 Più in generale sul tema, nell’ambito di una ricca letteratura, cfr. A. ANZON, Il valore del precedente nel giudizio sulle leggi, Milano,
1995; A. CADOPPI, Il valore del precedente nel diritto penale. Uno studio sulla dimensione in action della legalità, Torino, 1999; CARBONE,
Funzioni della massima giurisprudenziale e tecniche di massimazione, in Pol. dir., 2005, 135 e ss.; G. COCCO (a cura di), Interpretazione e
precedente giudiziale in diritto penale, Padova, 2005; S. EVANGELISTA - G. CANZIO, Corte di cassazione e diritto vivente, in Foro. it., 2005,
V, c. 82 ss.; V. MARINELLI, Precedente giudiziario, in Enc. dir., Aggiornamento, VI, Milano, 2002, 871 e ss.; S. MAZZAMUTO, Certezze
e prevedibilità: nuove frontiere della nomofilachia e tentativi di enforcement del precedente, in Pol. dir., 2003, 157 e ss.; R. RORDORF, Stare
decisis: osservazioni sul valore del precedente giudiziario nell’ordinamento italiano, in Foro it., 2006, V, c. 279 e ss.
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evidenziare i rischi, connessi a fattispecie che prestano il fianco ad una molteplicità di letture, per le
ricadute che possono aversi sulla funzione nomofilattica assegnata alla Corte dall’art. 65, comma 1,
dell’ordinamento giudiziario (r.d. 30 gennaio 1941 n. 1214). Si tratta di una funzione riconducibile a
fondamentali princìpi costituzionali15, perché solo assicurando, come vuole l’art. 65 «l’esatta osservanza
e l’uniforme interpretazione della legge» si garantisce l’eguaglianza dei cittadini (art. 3, comma 1, Cost.) e
un’effettiva soggezione del giudice alla legge (art. 101, comma 2, Cost.)16.
L’uniforme interpretazione della norma ridonda sul piano dell’uguaglianza di trattamento dei cittadini di
fronte alla legge, sicché la nomofilachia è diretta espressione del principio di cui all’art. 3 Cost. 17. In altri
termini, l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario attribuisce la funzione nomofilattica alla Corte di cassazione
fino a prevedere nel caso di decisioni in contrasto l’intervento delle Sezioni Unite per mettere fine alle
incertezze ermeneutiche. La decisione di queste ultime costituisce una sorta di annuncio implicito di
giurisprudenza futura determinante affidamento per gli utenti della giustizia in generale e per il cittadino
in particolare: in tale ipotesi la funzione nomofilattica ha un peso dominante su altri valori e le altre
Sezioni semplici, come i singoli giudici, devono prenderne atto18.
Non va dimenticato, inoltre, che proprio per far fronte alla cosiddetta crisi della funzione nomofilattica il
legislatore è intervenuto con il d.lgs. n. 40/06 recante: «Modifiche al codice di procedura civile in materia
di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato»19. Seppure nell’ambito del diritto civile
il legislatore ha cercato di farsi carico del problema impedendo alle Sezioni semplici di discostarsi da
quanto stabilito dalle Sezioni Unite, se non rimettendo motivatamente la questione problematica ad una
nuova pronuncia delle stesse, come disciplinata dall’ art. 374 del c.p.c.
La Corte di cassazione, dunque, anche come giudice del «precedente», rivela la sua fondamentale utilità e
funzione di indirizzo solo se il «principio di diritto», disancorandosi dalla concretezza del caso individuale
oggetto del ricorso risolto sulla base del principio affermato, assurge a tipo o paradigma di fattispecie; in
tal modo la decisione svolge un ruolo guida nell’interpretazione uniforme del diritto e di (tendenziale)
sintesi coerenziatrice nella formazione del «diritto vivente»20.
Ma quando il dettato normativo – come nel caso delle nuove fattispecie a tutela dell’ambiente – si presta
alle più disparate interpretazioni, tutte «oggettivamente» sostenibili, allora il ruolo del giudice si snatura
fino a trasformarsi da soggetto deputato ad «interpretare» la norma a soggetto chiamato a «riscrivere» la
R.d. 30 gennaio 1941, n. 12, Ordinamento giudiziario, art. 65. Attribuzioni della corte suprema di cassazione. - La Corte suprema
di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità
del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni,
ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge (comma 1).
15 Secondo un illustre Autore, cfr. A. PIZZORUSSO, Corte di cassazione, in Enc. giur. Trec., vol. IX, Roma, 1988, 1 e ss., la Costituzione recepisce il «sistema cassazione», ma non nel senso di limitarsi al modello tratto della legislazione preesistente, munendolo di copertura costituzionale. A tale interpretazione osta non solo la VI disposizione transitoria che rinvia ad una futura
legge sull’ordinamento giudiziario, ma soprattutto l’opzione costituzionale verso un organo giudiziario qualificato dalla ricorribilità per cassazione, secondo il modello francese, che abbia come funzione peculiare quella dell’esercizio della nomofilachia
invece che quella, privilegiata nella legge (r.d. n. 12 del 1941) sull’ordinamento giudiziario, di vertice del sistema delle impugnazioni.
16 Cfr. G. LATTANZI, La Cassazione penale tra lacune, cit., 3243 e ss.
17 Per la valorizzazione della funzione nomofilattica della Corte di cassazione, cfr. recentemente, Corte cost. 11 aprile 2008, n.
98, Corte d’app. Brescia ed a. c. Pres. Cons., in Giust. civ., 2008, 5, I, 1098; sull’attività nomofilattica, della Corte di cassazione,
di porre rimedio agli errori di fatto delle sentenze di legittimità, cfr. Cass. Sez. VI Pen. 1° febbraio 2001, n. 3923 (c.c.), Galletta
ed a., in Giur. it., 2002, 2571.
18 Cfr. Cass. Sez. III Pen. 1° luglio 1994, , n. 7455, Di Chiara, in Cass. pen., 1995, 1264 (s.m.); in Giust. pen., 1995, II, 159; in Riv.
pen., 1995, 457; in Mass. pen. cass., 1994, 10, 61.
19 Com’è stato segnalato da E. LUPO, La Corte di cassazione nella Costituzione, in Cass. pen., 2008, 11, 4444 e ss. - non è questa la
sede per stabilire se il legislatore sia riuscito a conseguire effettivamente l’obiettivo propostosi, e cioè una disciplina del giudizio
civile di cassazione idonea a realizzare la funzione di nomofilachia - la constatazione che detta funzione, ritenuta così attuale
dal legislatore del 2005-2006, è proprio quella che la Costituzione ha voluto mantenere alla Corte di cassazione.
20 Cfr. G. CANZIO, L’individuazione e la definizione del «precedente»: il ruolo del Massimario, in www. cortedicassazione.it.
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norma stessa; si verifica, pertanto, una sostituzione di fatto, e certamente non desiderata, del giudice al
legislatore con tutte le ovvie conseguenze che una tale operazione comporta sul piano della divisione dei
poteri.
3. La locuzione «compromissione o deterioramento». Oggetto delle attenzioni dei giudici di legittimità, con la
decisione in commento, è la locuzione «compromissione o deterioramento significativi e misurabili» che
si pone in termini di elemento strutturale di rilevante peso all’interno di una delle fattispecie-cardine
dell’intera riforma: l’art. 452 bis c.p. in materia di inquinamento ambientale.
Il sintagma che «non brilla certo per precisione e rende molto difficoltosa l’interpretazione che resta
aperta a più soluzioni»21 ha, infatti, sin dai primi commenti, generato prese di posizione alquanto
diversificate. Né rilevanti sostegni giungono all’interprete dai lavori parlamentari ove ci si limita ad
affermare, senza alcuna spiegazione dei vocaboli utilizzati, che «le Commissioni riunite sono inoltre
intervenute sui concetti di “compromissione” e di “deterioramento”, attribuendo rilievo alle sole
alterazioni “durevoli dello stato preesistente”»22. Una tale presa di posizione non fa venir meno la
problematicità dei termini che – è stato puntualmente posto in risalto – seppur adottati allo scopo di
limitare l’applicabilità della disposizione ai casi di maggior rilievo, potrebbero ottenere il risultato opposto,
essendo evidente che viene lasciata all’apprezzamento del giudice ogni valutazione in concreto del singolo
caso23.
Come si anticipava, la censurabile tecnica di normazione ha dato vita a fattispecie di difficile
comprensibilità e, ancor di più, di problematica applicabilità; a tale «regola» si uniforma l’art. 452 bis c.p.
che ruota intorno all’espressione «compromissione o un deterioramento» significativi e misurabili di
porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo, delle acque o dell’aria o, ancora, di un
«ecosistema» della «biodiversità», anche agraria, della flora o della fauna.
La corretta individuazione della portata della formula rappresenta un passaggio obbligato per le ovvie
ricadute sul terreno dell’individuazione dell’evento. I termini «compromissione» e «deterioramento» –
come pone in risalto il supremo Collegio, e la disgiuntiva «o» conferma questa condivisibile lettura –
vengono «autonomamente utilizzati dal legislatore, in alternativa tra loro», e tale opzione certamente non
aiuta perché «il discrimine fra le due situazioni non è agevole»24.
Si tratta di termini che non rappresentano una novità per il settore dell’ambiente, ma paradossalmente
l’impiego di vocaboli già accettati finisce per confondere ancora di più, allorché in assenza di una
qualunque definizione25, quegli stessi termini vengono adoperati in un diverso senso. L’art. 18, comma 1
della l. 8 luglio 1986 n. 349, infatti, reca: «qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni
di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando
danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al
risarcimento nei confronti dello Stato». In questo caso il «deterioramento» viene concepito come forma
di «compromissione»26.
Nel caso del d.lgs. n. 152/2006, poi, il termine compromissione non è quasi mai utilizzato, e quando
viene impiegato non indica una situazione di danno come si verifica nel caso di cui all’art. 77, comma 10,
lett. a); all’opposto lo stesso termine viene impiegato come equivalente di deterioramento nella parte B
Così P. PATRONO, I nuovi delitti contro l’ambiente: il tradimento di un’attesa riforma, in www.lalegislazionepenale.eu, 11 gennaio 2016,
10.
22 Cfr. Servizio Studi Nota Breve A.S. n. 1345-A- Disegno di legge A.S. n. 1345-A «Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente»,
febbraio 2015, n. 48, in http://www.senato.it.
23 Così L. RAMACCI, Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22
maggio 2015 n. 68, in http://www.lexambiente.it, 8 giugno 2015, 3.
24 Cfr. Corte di cassazione - Ufficio del Massimario - Settore penale - Rel. n. III/04/2015 - Roma 29 giugno 2015, Novità
legislative: legge n. 68 del 22 maggio 2015, recante «Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente», 4.
25 Cfr. L. MASERA, I nuovi delitti contro l’ambiente, in www.penalecontemporaneo.it, 17 dicembre 2015, 2 che evidenzia l’assenza di
qualunque definizione rinvenibile nella legge o nelle altre fonti normative e, quindi, obbliga l’interprete a rifarsi al linguaggio
comune per la loro comprensione e per la loro reciproca delimitazione.
26 Così Corte di cassazione - Ufficio del Massimario, cit., 4.
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II degli Allegati alla parte III dello stesso T.U.A.27. All’opposto, il termine deterioramento viene assunto
come equivalente di danno nell’art. 300 T.U.A. che reca: «È danno ambientale qualsiasi deterioramento
significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da
quest’ultima».
Per una parte della dottrina la compromissione dovrebbe indicare un danno di particolare rilevanza e di
maggiore gravità rispetto al semplice deterioramento, tuttavia, potrebbe esserne considerata un sinonimo
alla luce della significatività e, quindi, della gravità del deterioramento come se il legislatore avesse detto
danno rilevante28.
Da altro punto di vista è stato segnalato che la «compromissione» viene intesa come sinonimo di danno
irreversibile o di «alterazione irreversibile», e «dunque di massima gravità»; quando poi si raffrontano le
fattispecie di inquinamento ambientale e di disastro ambientale ne scaturisce che le due disposizioni
«sembrano in realtà assoggettare a pene diverse fatti sostanzialmente identici», con il rischio di assistere
«ad una sostanziale interpretatio abrogans dell’ipotesi prevista dall’art. 452 bis e ad un contemporaneo,
continuo tentativo di ampliamento applicativo della fattispecie di disastro ambientale» la cui forbice
edittale offre maggiori vantaggi dal punto di vista repressivo29.
Sotto altri profili, è stato rilevato che «entrambe le espressioni segnalano un danneggiamento del bene
che hanno ad oggetto. La compromissione pare evocare una situazione di strutturale e non provvisoria
inabilità del bene rispetto alle sue funzioni, mentre il deterioramento insiste più sulla modificazione in
peius delle condizioni del bene: il primo quindi un concetto assoluto, il secondo un concetto di relazione,
che constata il peggioramento rispetto ad uno stato preesistente»30.
È stato ancora sostenuto, improntando l’analisi sulle differenze concettuali, che la «compromissione»
descrive una situazione gravemente pregiudizievole che si caratterizza per la proiezione dinamica dei suoi
effetti e che pertanto si pone come potenzialmente irrimediabile o difficilmente riparabile, appunto
compromessa. La nozione di «deterioramento» evoca, invece, ipotesi di eventi dannosi meno gravi o
comunque ancora potenzialmente recuperabili31.
Prima della promulgazione della legge di riforma attenta dottrina aveva tratto la conclusione che il
significato dei concetti in parola poteva essere ricostruito in negativo rispetto alla definizione di disastro
ambientale. Con la conseguenza che vi saranno «compromissione» e «deterioramento rilevante» qualora
l’alterazione dell’ambiente sia reversibile o qualora gli effetti dell’inquinamento siano eliminabili con
operazioni non particolarmente complesse sotto il profilo tecnico o non particolarmente onerose o con
provvedimenti non eccezionali32.
Secondo una più recente interpretazione non va sottovalutato il dato per cui se il legislatore ha utilizzato
due termini differenti è perché ha inteso esplicitare due concetti diversi, sanzionando due condotte
alternative: quelle appunto del «compromettere» o (rectius oppure) del «deteriorare» che hanno, così, di
mira eventi diversi. In quest’ottica il concetto di compromissione evoca un «mettere a rischio», a
«repentaglio», in sostanza «mettere in pericolo», mentre il deterioramento implica il fatto di «deteriorare»,
cioè di «guastare» o «ridurre in cattivo stato», in conclusione, «danneggiare». Sul piano politico-criminale
tale scelta viene, opportunamente, censurata perché il legislatore sanziona con identica pena colui che
Cfr. M. TELESCA, La tutela penale dell’ambiente. I profili problematici della legge n. 68/2015, Torino, 2016, 55.
Cfr. P. PATRONO, I nuovi delitti contro l’ambiente: il tradimento di un’attesa riforma, cit., 11.
29 Cfr. M. CATENACCI, I delitti contro l’ambiente fra aspettative e realtà, in Dir. proc. pen., 2015, 9, 1075.
30 Cfr. L. MASERA, I nuovi delitti contro l’ambiente, cit., 2
31 Cfr. L. LA SPINA, Il delitto di inquinamento ambientale doloso, in Trattato di diritto penale, cit., 1003-1004
32 Cfr. C. RUGA RIVA, Commento al testo base sui delitti ambientali adottato dalla Commissione giustizia della Camera, in
http://www.penalecontemporaneo.it, cit., 3-4, che aggiunge aggettivi e avverbi che come ognun vede lasciano ampi margini di
interpretazione al giudice. D’altro canto, va detto, il compito del legislatore non è facile: l’unica alternativa plausibile per
ottenere maggiore precisione nella delimitazione delle nozioni di «compromissione» e «deterioramento rilevante» sarebbe
probabilmente di quantificare l’inquinamento ancorandolo a sforamenti dei limiti tabellari in determinati eccessi rispetto ai
valori-soglia sufficienti ad integrare gli illeciti amministrativi o penali oggetto della condotta-base: ad esempio inquinamenti
pari a 10 o 100 volte i suddetti limiti.
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pone in pericolo e colui che danneggia il bene giuridico; laddove ragioni di proporzione avrebbero
suggerito una differenziazione della sanzione, in ossequio alle logiche costituzionali di uguaglianza
sostanziale33.
È stato, altresì, autorevolmente, rilevato che la compromissione comporta effetti gravi duraturi nel tempo,
mentre il deterioramento implica un pregiudizio tendenzialmente minore34.
4. L’orientamento dei giudici di legittimità. Il caso sottoposto all’esame della Corte di cassazione concerneva
delle operazioni di dragaggio, finalizzate all’attuazione di un progetto di bonifica dei fondali nel golfo di
La Spezia. La ditta incaricata avrebbe violato palesemente le prescrizioni progettuali, le quali prevedevano
particolari accorgimenti per limitare l’intorbidimento delle acque, quali la presenza di una vasca d’acqua
a bordo della draga per poter lavare la benna prima di ogni immersione e la predisposizione di un sistema
di conterminazione per evitare la dispersione della torbidità nelle acque circostanti, costituito da elementi
galleggianti in poliuretano (panne) ai quali fissare elementi verticali in poliestere resinato (gonne), che
scendevano verso il fondo al quale dovevano essere solidarizzati. Le gonne, inoltre, dovevano essere
giuntate tra loro con nastro in polipropilene e trattenute al fondo con ancore e piombi e, in caso di rottura
degli elementi del sistema, il dragaggio avrebbe dovuto essere interrotto per il tempo necessario alla riparazione. L’area di lavoro andava inoltre delimitata con un sistema a «panne fisse» galleggianti ancorate a
corpi in cemento armato di 8.000 Kg posti sul fondale. Si verificava, invece, la presenza, nell’area da
bonificare, di sedimenti fino a 100 cm che denotavano una significativa contaminazione di metalli pesanti
ed idrocarburi policiclici aromatici. Il GIP del Tribunale di La Spezia riteneva, pertanto, sussistere il
nuovo delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452 bis c.p., concretatosi nell’avere omesso di
rispettare le norme progettuali, con successiva dispersione di sedimenti nelle acque circostanti, conseguente trasporto degli inquinanti in essi contenuti (idrocarburi e metalli pesanti) e tali da cagionare un
deterioramento ed una compromissione significativa delle acque, e procedeva al sequestro del cantiere e
di una porzione di fondale. A sua volta il Tribunale del riesame, accoglieva il ricorso dell’imputato ed
annullava il sequestro, non ritenendo provato il deterioramento significativo delle acque. Seguiva ricorso
del Procuratore della Repubblica che veniva accolto dal supremo Collegio con la decisione in commento.
Secondo i giudici di legittimità i termini «compromissione» e «deterioramento» «indicano fenomeni
sostanzialmente equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una
modifica dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema caratterizzata, nel caso
della “compromissione”, in una condizione di rischio o pericolo che potrebbe definirsi di “squilibrio
funzionale”, perché incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità della matrice
ambientale o dell’ecosistema ed, in quello del deterioramento, come “squilibrio strutturale”, caratterizzato
da un decadimento di stato o di qualità di questi ultimi». Aggiungono, poi: «L’ambito di operatività dell’art.
452 bis c.p. è anche delimitato dalla ulteriore precisazione che la compromissione o il deterioramento
devono essere comunque, “significativi” e “misurabili”, venendo così elevato in modo considerevole il
livello di lesività della condotta, escludendo i fatti di minore rilievo. Sicché, non può prescindersi dal
significato lessicale dei termini utilizzati (...) considerando che il termine “significativo” denota senz’altro
incisività e rilevanza, mentre “misurabile” può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o,
comunque, oggettivamente rilevabile».
Dunque, per la Corte entrambi i termini indicano una condizione di alterazione dell’ambiente, che tuttavia
non implica, come invece sostenuto in sede di riesame, carattere di «tendenziale irrimediabilità» ma
ricomprende anche una alterazione reversibile; e si aggiunge, in tale ottica, che «l’alterazione irreversibile»
integra il più grave reato di disastro ambientale.
Per la suprema Corte, com’è stato sostenuto, «l’evento del delitto di inquinamento ambientale consiste in
una alterazione (squilibrio funzionale o strutturale) ambientale rilevante anche se reversibile e non
tendenzialmente irrimediabile, ma, comunque quantitativamente apprezzabile o concretamente
33
34
In tal senso cfr. M. TELESCA, La tutela penale dell’ambiente, cit., 55.
Ci si riferisce ad G. AMENDOLA, La prima sentenza della Cassazione sul delitto di inquinamento ambientale, in www.questionegiustizia.it.
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accertabile; e che, comunque, non sfoci mai in uno degli eventi (più gravi) che caratterizzano il disastro
ambientale»35.
Le conclusioni assunte dal supremo Collegio, sebbene rese non facili dall’ambiguità del dettato normativo,
non soddisfano.
Innanzitutto sostenere che «compromissione» e «deterioramento» indicano fenomeni sostanzialmente
equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione della matrice ambientale
significa negare quell’alternatività stabilita dal legislatore con la disgiuntiva «o» e messa prima in evidenza
dalla stessa Corte. Infatti, asserire che la compromissione si risolve in una condizione di rischio o pericolo
quantunque da definirsi di «squilibrio funzionale», e il deterioramento come «squilibrio strutturale»,
caratterizzato da un decadimento di stato o di qualità dei normali processi naturali correlati alla specificità
della matrice ambientale o dell’ecosistema, significa sostenere concetti per alcuni versi opposti. In altri
termini, la situazione di rischio o pericolo è cosa diversa dal decadimento; nel primo caso il bene non
subisce alcun danno ma, appunto, corre solo un pericolo; nel secondo caso si verifica, all’opposto, una
«diminuzione» del bene. Parlare poi di «squilibrio» sia esso funzionale o strutturale significa comunque
far riferimento ad una situazione che è stata modificata e, quindi, esprimere lo stesso concetto.
Se così fosse non si comprende per quale ragione il legislatore non abbia utilizzato un solo e diverso
termine in grado di esprimere lo stesso concetto: ad esempio, deterioramento, compromissione,
alterazione, danneggiamento, con evidente chiarezza del messaggio.
In secondo luogo, il richiamo alla «significatività» e alla «misurabilità» non reca alcun risolutivo apporto,
risolvendosi il tutto in una mera tautologia. Ed invero, affermare che la compromissione o il
deterioramento devono essere comunque, «significativi» e «misurabili», venendo così elevato in modo
considerevole il livello di lesività della condotta, con esclusione dei fatti di minore rilievo; oppure ribadire
che il termine «significativo» denota incisività e rilevanza, mentre «misurabile» può dirsi ciò che è
quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile, si ha l’unico risultato di
estromettere dalla portata del tipo delittuoso i fatti lievi. Il problema, però, resta in tutto il suo spessore;
quando un fatto può dirsi rilevante, incisivo, apprezzabile; e questo lo stabilirà il giudice di volta in volta.
E di volta in volta il destinatario della fattispecie incriminatrice conoscerà la reale portata della stessa,
magari solo dopo aver violato la disposizione!
Il compito che attendeva la Corte, come si accennava non era dei più semplici attesa la «pessima e vaga
formulazione della norma penale»36 di cui all’art. 452 bis c.p. proprio perché utilizza una serie di termini
e formule viziate da grave genericità («abusivamente», «compromissione o un deterioramento»,
«significativi e misurabili», «porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo», «ecosistema»,
«biodiversità»)37.
A noi pare che la questione sia di estrema semplicità: si tratta di una tipologia di fattispecie che non
dovrebbe nemmeno vedere la luce e, quindi, destinata, naturalmente, a cadere per i gravi profili di
incostituzionalità, sotto lo specifico aspetto del mancato rispetto del principio di tassativitàdeterminatezza. Viceversa, queste figure criminose resistono al vaglio di costituzionalità solo in virtù
dell’orientamento «conservativo» della Corte costituzionale sul «diritto vivente», che confidando
nell’interpretazione uniforme e costante della giurisprudenza, in particolare di legittimità, assegna a
quest’ultima il gravoso compito di (ri)descrivere in termini chiari e precisi le singole fattispecie
criminose38.
Non è difficile prevedere, però, un sfilza di «princìpi di diritto» estrapolati dalla varietà dei casi che, di
volta in volta, verranno sottoposti al giudizio di legittimità.
Così G. AMENDOLA, La prima sentenza, cit.
Così G. AMENDOLA, La prima sentenza, cit.,
37 Com’è stato efficacemente sostenuto da PADOVANI, Legge sugli ecoreati, cit., 12, «per aggredire in modo “significativo e misurabile” biodiversità, flora o fauna in quanto tali occorrerebbe quanto meno un evento nucleare».
38 Sul punto cfr. P. PATRONO, I nuovi delitti, cit., 10.
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Numero 6 - 2016
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Elio Lo Monte
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