Il valore della conoscenza
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Il valore della conoscenza
UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTÀ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ” _______________________________________________________________ Corso di Laurea in Economia e Management IL VALORE DELLA CONOSCENZA. DALLA TEORIA AL KNOWLEDGE MANAGEMENT APPLICATO Relatore: Chiar.mo Tesi di Laurea di: Prof. Gabriele Micozzi Laura Paoletti Anno Accademico 2006 – 2007 INDICE Introduzione pag. I CAPITOLO PRIMO VERSO UNA KNOWLEDGE BASED ECONOMY 1.1 La nascita di un nuovo capitalismo economico 1.1.1 Cosa si intende per economia della conoscenza? pag. 1 pag. 3 1.1.2 Alcuni pregiudizi da riconoscere e da correggere pag. 7 1.1.3 Perché si parla soltanto ora di capitalismo cognitivo? pag. 10 1.1.4 1.2 La conoscenza come fattore produttivo: proprietà e originalità pag. 1.2.1 1.3 Il sentiero di sviluppo della nuova disciplina Dati, informazioni e conoscenza 1.2.2 Caratteristiche di una risorsa sui generis 1.2.3 Alcune possibili tassonomie pag. 13 20 pag. 21 pag. 26 pag. Perché gestire la conoscenza aziendale? pag. 37 1.3.1 pag. 38 Motivazioni di tipo esogeno ed endogeno 31 CAPITOLO SECONDO CONOSCENZA AL LAVORO: IL KNOWLEDGE MANAGEMENT 2.1 La gestione della conoscenza: alcuni concetti introduttivi 2.2 2.3 pag. 47 2.1.1 Cos’è il knowledge management? pag. 48 2.1.2 Una breve storia della disciplina pag. 52 2.1.3 Il modello di Nonaka e Takeuchi pag. 58 pag. 65 Le implicazioni per l’assetto d’impresa 2.2.1 I knowledge workers pag. 67 2.2.2 La Learning Organization pag. 72 2.2.3 Le tecnologie di gestione della conoscenza pag. 78 2.2.4 Un nuovo modello di creazione del valore pag. 88 Il sogno e il disincanto del knowledge management pag. 93 2.3.1 Le attività di un sistema di gestione della conoscenza pag. 94 2.3.2 I benefici economici, tecnologici ed organizzativi pag. 102 2.3.3 Le cause di un possibile insuccesso pag. 107 CAPITOLO TERZO AL DI LA’ DEL KNOWLEDGE MANAGEMENT: LIBERARE LE POTENZIALITA’ NASCOSTE DI UN SISTEMA DI GESTIONE DELLA CONOSCENZA 3.1 Il knowledge management in cifre pag. 119 3.1.1 pag. 122 pag. 128 pag. 135 pag. 141 pag. 145 3.1.2 3.1.3 3.2 La rilevanza del fenomeno L’Unione Europea e la Strategia di Lisbona E l’Italia? KM significa soltanto gestione della conoscenza? 3.2.1 Il KM come mezzo di apprendimento 3.3 3.2.2 Il KM per il potenziamento della strategia di marketing pag. 149 3.2.3 Il KM a servizio dell’innovazione e della creatività pag. 153 3.2.4 Il KM come nodo di legame con il territorio pag. Alcune prospettive future 3.3.1 La domanda e l’offerta del KM che verrà pag. 164 pag. 166 158 CAPITOLO QUARTO IKNOW: LA FANTASIA CHE DIVENTA REALTA’ 4.1 La società Nautes e l’azienda iGuzzini Illuminazione: il successo di una originale collaborazione 4.2 pag. 169 4.1.1 L’azienda iGuzzini Illuminazione pag. 172 4.2.2 La società Nautes Srl pag. 175 4.2.3 Il knowledge management applicato IKnow: per saper fare uso di ciò che si conosce 4.2.1 pag. 178 pag. Le origini del nuovo sistema 189 pag. 4.2.2 Il metodo, la strategia e la tecnologia Nautes 4.2.3 Le fasi di realizzazione del progetto 4.2.4 Come lavora iKnow? pag. 214 4.2.5 I benefici attesi pag. 230 4.2.6 Alcuni segreti da svelare pag. 239 pag. 249 4.3 Una possibile visione per gli anni a venire pag. 189 196 pag. 209 Conclusioni pag. 253 Allegati pag. 257 pag. Bibliografia pag. Webliografia Ringraziamenti pag. 263 273 275 INTRODUZIONE Lo studio della conoscenza è uno degli elementi più profondi e sfuggenti della storia, che economisti, sociologi e psicologi cognitivi hanno in passato affrontato sotto ogni aspetto, senza peraltro pervenire a risultati accettati da tutti1. La stessa Penrose nel testo “La teoria dell’espansione dell’impresa” cita: “… E’ chiaro che gli economisti hanno sempre riconosciuto il ruolo dominante della conoscenza nei processi economici, tuttavia nella maggior parte dei casi hanno ritenuto che il tema fosse troppo scivoloso per essere affrontato e non sono giunti pertanto a risposte significative ed univoche”. Per molti anni, infatti, il legame tra economia e conoscenza è rimasto praticamente assente dalla teoria economica: la conoscenza era una risorsa del tutto invisibile; esistente ed importante certo, ma non analizzabile in modo concreto, per le sue proprietà specifiche di mutevolezza e dinamicità. Da qualche tempo però le cose sono cambiate. Impercettibilmente, ma progressivamente, l’economia dei nostri giorni sta diventando un’economia cognitiva: da ogni luogo ci viene annunciato che stiamo entrando a far parte di quella che viene definita knowledge era. Un’era nuova, nuovissima, destinata a durare a lungo e a cambiare il mondo, cominciando proprio dal modo di funzionare della stessa economia. La conoscenza è infatti diventata, nell’immaginario collettivo dei nostri giorni, il deus ex machina del capitalismo contemporaneo, capace di fornire alla stesso idee, soluzioni e linguaggi per innovare in profondità i processi produttivi e di consumo. Al contempo, però, anche il contributo del mondo economico è stato significativo: esso ha corredato la risorsa-conoscenza dei mezzi necessari a far avanzare la frontiera del sapere in campi sempre più vasti e impegnativi. Questa forte sinergia e la continua e crescente interdipendenza tra economia e conoscenza conducono necessariamente a considerare quest’ultima come un fattore chiave, come un elemento indispensabile a cui si ricorre per spiegare le differenze tra imprese, tra regioni e tra paesi; il volano che ogni anno alimenta la crescita del prodotto e della produttività, proponendo nuove tecniche, nuove soluzioni e nuovi bisogni. A getto continuo. L’era del lavoro e della proprietà sta finendo e con essa è la società industriale creata dalla rivoluzione delle macchine e del capitale, ad uscire progressivamente dall’orizzonte della contemporaneità. Le forze tradizionali non sono più il motore della crescita economica e delle attività che generano valore2. 1 Cfr. MOKYR J., “I doni di Atena. Le origini storiche dell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2004, pag. 5 Questo grande cambiamento, già avviatosi da qualche tempo, sembra doversi consolidare nei prossimi anni, divenendo anzi processo inevitabile e fulcro del futuro funzionamento dei sistemi economici. Ed è proprio da tale consapevolezza che parte la necessità di gestire e di coordinare le forze che si manifestano all’interno di questo complesso fenomeno in corso: occorre dotarsi di nuovi strumenti che sappiano far fronte ed amministrare una risorsa sui generis che è, appunto, quella della conoscenza; trasformare le organizzazioni in organizzazioni che apprendono, gestire in modo adeguato una nuova categoria di lavoratori. Si tratta, in definitiva, di predisporre un idoneo sistema di knowledge management che possa conferire alle imprese tutti i vantaggi che derivano da pratiche di condivisione della conoscenza. Nel 2008, sostiene il Gartner Group, tre quarti degli aumenti di produttività delle imprese saranno realizzati grazie al knowledge management e grazie ad altri miglioramenti nel lavoro basato sulla conoscenza. Non si tratta, però, di una tendenza che può essere data per scontato, né tanto meno di un fenomeno di facile gestione: la convergenza tra due mondi che continuano ad essere tenacemente disallineati richiede competenze e capacità del tutto nuove, che occorre saper creare e “coltivare” per procedere con successo nella attività d’impresa. Il knowledge management, più che una disciplina, si configura pertanto come un modo nuovo, ma obbligato, di vedere la trama e i significati sottostanti la produzione di valore nella società contemporanea. Per utilizzare una metafora, che lo stesso Carlo Sorge ha addotto in una conferenza da lui tenuta nel 2005: “Il knowledge management è una nuova e particolare “panoramica” sul mondo esistente, che ci consente di leggere con occhi inediti e critici la realtà che si sta delineando (Canevacci, 1995), una realtà nuova, all’interno della quale le regole di riferimento sono costituite dalla globalizzazione, dall’information technology, dalla smaterializzazione del valore d’impresa”. Impossibile non essere d’accordo con le parole di Sorge: anche il mondo accademico si sta muovendo in questa direzione. In coerenza con l’ormai consolidata resource based view si assiste alla nascita di una vera e propria fabbrica dell’immateriale (Rullani, 2005): di una fabbrica dove agli aggettivi di concreto e reale si è appoggiato quello di intangibile, dove all’attenzione al concetto di costo e di prezzo si è affiancato quello di conoscenza e di informazione. “Alla fine, scoperte, studi, articoli e dibattiti finiscono sempre per parlare di conoscenza3”: ed è proprio l’importanza e la fatidica irrinuciabilità che ha assunto questa nuova risorsa nell’odierno contesto competitivo, che ci ha condotto alla scelta di un simile tematica quale argomento di approfondimento per la tesi di laurea. Scrivere una tesi sulla gestione della conoscenza è tutt’altro che semplice: riteniamo però che l’ottenimento di risultati d’eccellenza per qualsiasi tipo di azienda siano sempre più legati ad un’oculata gestione dei propri saperi, ad un serio coordinamento delle informazioni che sono presenti nell’organizzazione, ad una marcata valorizzazione delle conoscenze degli individui. L’economia della 2 Cfr. RULLANI E., “ Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 13 3 Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 193 trasformazione materiale è ormai soltanto lo “zoccolo di base” su cui è cresciuta un’economia dell’immateriale diventata col tempo più importante e decisiva della sua matrice originaria. Da queste consapevolezze nasce il nostro lavoro. La tesi si suddivide in quattro capitoli, di cui l’ultimo dedicato ad un case history: riteniamo, infatti, che una profonda comprensione degli aspetti teorici del knowledge management sia di fondamentale importanza per sapersi muovere all’interno del nuovo contesto che si sta delineando, ma siamo fermamente convinti che la capacità di capire gli aspetti più profondi dello stesso possa avvenire unicamente “stando dentro le organizzazioni” e mettendo in atto le teorie e le tecniche che sono state fino ad ora elaborate. Vediamo più in dettaglio i contenuti dell’elaborato. Il primo capitolo si dedica all’analisi dei tratti salienti dell’economia della conoscenza: la comprensione del fenomeno del knowledge management, ma soprattutto la giustificazione dell’urgenza di gestire la conoscenza aziendale possono essere afferrati soltanto delineando il contesto macroeconomico all’interno del quale ci troviamo a vivere, contesto che per le sue caratteristiche dimostra e spiega il perché sia ad oggi tanto importante mettere in atto pratiche di knowledge management. In particolar modo passeremo in rassegna, una possibile definizione del concetto di economia della conoscenza, per poi addentrarci nello studio dell’evoluzione storica della stessa e dei principali contributi teorici che hanno caratterizzato lo sviluppo della disciplina. Verranno poi analizzate le proprietà, le caratteristiche, le anomalie e le originalità del nuovo motore del capitalismo cognitivo, alcune tassonomie della risorsa-conoscenza, per andare, quindi, a concludere con l’analisi delle motivazioni che sottendono la nascita di un qualsiasi sistema di knowledge management. Il primo capitolo costituisce il framework di riferimento, o meglio il presupposto di base dell’intero elaborato: esso consente di dare significatività alle tematiche affrontate e di avere la certezza che la nascita di una knowledge era non sia ascrivibile ad un fenomeno di scarsa rilevanza o ad una “moda manageriale passeggera”. La conoscenza e il sapere sono, ad oggi, effettivamente le uniche risorse su cui l’impresa dovrebbe fondare le proprie strategie per l’ottenimento di un successo durevole e stabile nel tempo4. Il secondo capitolo, partendo appunto da questa consapevolezza, si dedica alle vere e proprie dinamiche del knowledge management. Anch’esso apre con una possibile definizione della questione in oggetto, per poi affrontare ed analizzare il pensiero e gli studi di alcuni dei più importanti autori in materia, con particolare attenzione al modello di Nonaka e Takeuchi. Il capitolo prosegue poi con la descrizione dell’impatto sull’organizzazione d’impresa derivante dall’introduzione di sistemi di knowledge management e pertanto affronta le tematiche relative ai knowledge workers, alla learning organization, alle tecnologie di gestione della conoscenza e al modello di creazione del valore. La sezione si conclude, quindi, con un paragrafo dedicato ad alcuni aspetti più prettamente pratici della disciplina che concernono le fasi del ciclo di vita della conoscenza, i benefici che vengono addotti da pratiche di 4 Quando si parla di “moda manageriale passeggera” si fa riferimento a tutti quei fenomeni che presentano una durata non maggiore ai tre o quattro anni e che lasciano il campo senza apportare alcun beneficio significativo all’assetto d’impresa. Sicuramente non si tratta di aspetti che possono essere riferiti al knowledge management. knowledge management e le cause che potrebbero decretare un possibile insuccesso dello stesso. La parte conclusiva del capitolo apre, in parte, la strada alla terza sezione. Il terzo capitolo esordisce, infatti, con alcune pagine dedicate ad una “panoramica numerica” in merito alla rilevanza del fenomeno knowledge management per addentrarsi poi nello studio della posizione europea ed italiana nella “partita dell’economia della conoscenza”. L’elaborato prosegue quindi con l’esame di quello che abbiamo definito approccio “soft” alla gestione della conoscenza: approccio che riteniamo possa consentire alle imprese di scoprire alcune potenzialità nascoste di un sistema di knowledge management. Si parlerà, quindi, di sistemi di gestione della conoscenza come mezzi di apprendimento, come strumenti di marketing, come nodo di legame con il territorio e infine come sistemi di sviluppo dell’innovazione e della creatività. Si tratta, a ben vedere, di un metodo nuovo ed originale di approcciare i saperi e le informazioni che permeano le nostre organizzazioni5, che non mette in discussione i principi cardine del knowledge management ma che anzi, proprio partendo da questi, li migliora e li arricchisce di contenuti ed aspetti fin’ora poco considerati, che potrebbero permettere di ottenere risultati ancor più positivi rispetto a quelli ottenuti in passato. Ovviamente non abbiamo la pretesa di aver elaborato un nuovo criterio o una nuova teoria del knowledge management, ma sicuramente va riconosciuto che abbiamo cercato di far emergere alcuni degli aspetti latenti di un sistema di gestione della conoscenza che rischierebbero altrimenti di essere sottovalutati. Il quarto capitolo, infine, si propone di dare valenza pratica a quanto teorizzato nelle parti precedenti del lavoro e prende quindi in esame un interessante caso di studio al quale ho avuto possibilità di partecipare in prima persona: la realizzazione di un sistema di gestione della conoscenza (iKnow) da parte della società Nautes srl per l’azienda iGuzzini Illuminazione. Come accennato anche in precedenza il semplice racconto e la spiegazione delle tematiche del knowledge management non basta più, serve un valore aggiunto che dia concretezza e pragmaticità all’approccio concettuale che verrà tratteggiato nei primi capitoli6. Per questo motivo abbiamo deciso, nell’ultima parte dell’elaborato, di proporre ed analizzare un interessante caso di studio che completi e valorizzi gli aspetti teorici della disciplina. L’esperienza che viene qui proposta non fa riferimento alla semplice descrizione di un case history già svolto, del quale ci limitiamo a descriverne le dinamiche, ma di un progetto appena nato e tutt’ora in fase di evoluzione al quale ho avuto possibilità di partecipare direttamente. Durante lo stage della durata di due mesi che ho effettuato presso la società Nautes srl ho avuto l’opportunità di partecipare in modo attivo alla realizzazione del sistema, potendo di fatto prendere parte a quella che è stata per me una splendida esperienza professionale e personale che, fortunatamente, continuerà anche dopo la laurea. 5 Quello che verrà trattato nel terzo capitolo è frutto di una nostra elaborazione a partire dagli studi compiuti in merito all’argomento: abbiamo pensato ad un sistema di knowledge management non soltanto come sistema di gestione della conoscenza. 6 Non a caso ogni capitolo sarà accompagnato da molti esempi e casi pratici, proprio perché a nostro avviso il knowledge management deve essere “più fatto che spiegato”. Il capitolo si articola nella seguente maniera: dopo una breve introduzione in merito alla storia e ai prodotti delle aziende coinvolte nel progetto (Nautes e iGuzzini appunto), si prenderanno in esame i sistemi di knowledge management ad oggi esistenti presso l’azienda illuminotecnica, per poi passare alla vera e propria analisi di iKnow. Verranno descritti la strategia, il metodo e la tecnologia che sono stati progettati, i benefici attesi dal nuovo sistema, le fasi di realizzazione del progetto e, in coerenza con quanto espresso nel terzo capitolo, esamineremo i risvolti futuri e le potenzialità nascoste del nuovo applicativo. Le conclusioni del lavoro saranno dedicate al decretamento di un punto d’arrivo del percorso che abbiamo compiuto. Da ultimo ci preme ricordare che il presente elaborato costituirà oggetto di pubblicazione all’interno della rivista Economia & Management, in collaborazione con il Professor Azzariti e con il Professor Rullani dell’Università Cà Foscari di Venezia, i quali hanno “vagliato” l’elaborato e “decretato” che si tratta di un approccio del tutto originale al knowledge management che merita di essere oggetto di ulteriori approfondimenti. Parteciperò, inoltre, ad un convegno che si terrà il 23 Novembre 2007, nell’ambito dell’iniziativa “Campionaria per le qualità italiane”, sempre con il presente lavoro. Ulteriori pubblicazioni avverranno entro il 2007 sulla rivista Incontroluce dell’azienda iGuzzini e sul quotidiano Italia Oggi. CAPITOLO PRIMO VERSO UNA KNOWLEDGE BASED ECONOMY “Knowledge itself is power” Bacone 1.1 La nascita di un nuovo capitalismo economico “Il 70% del valore di una società come Philips non è contabilizzato, è invisibile, immateriale. E’ conoscenza”, sostiene Di Benedetto, presidente e amministratore delegato di Philips Italia: “In passato Philips focalizzava l’attenzione sulla produzione materiale di prodotti tangibili. Adesso, invece, è la conoscenza ad essere il prodotto finito, l’output del processo produttivo d’azienda”. Questa visione, di primo acchito un po’ insolita e curiosa dell’organizzazione d’azienda, costituisce in realtà il contesto all’interno del quale gli odierni imprenditori devono sapersi muovere: la conoscenza è divenuta il più prezioso fattore produttivo da gestire, l’unico in grado di consentire il raggiungimento di risultati eccellenti, il presupposto imprescindibile, insomma, della strategia di ogni realtà imprenditoriale. Lo stesso Benjamin Franklin sostiene che l’investimento in conoscenza è quello che, oggi, paga il più alto tasso d’interesse7, per tutte le imprese e perfino Marshall, nei suoi studi, ha affrontato questo tema quando si è reso conto che il vero interesse dell’economia risiedeva nella dinamica dei fatti e nelle conoscenze degli individui. Ancora molte sarebbero le citazioni da ricordare a tal proposito8, ma quanto appena detto ci sembra sufficiente per giustificare il forte incremento d’attenzione verso la nascita di un nuovo mondo, un mondo affascinante e complesso, difficile e concreto, talvolta incomprensibile e talaltra scontato: il mondo basato sull’economia della conoscenza. Questo capitolo si propone proprio di analizzare quella che ad oggi viene definita knowledge based economy, attraverso un percorso semplice e lineare: dall’analisi delle origini storiche della disciplina si passerà ad un’attenta disamina delle caratteristiche della risorsa conoscenza, per poi concludere con le motivazioni che sottendono la necessità di gestire i saperi d’azienda. Come già ribadito nell’introduzione del lavoro il core element di questa trattazione è costituito dal knowledge management, nelle sue “vesti” pratiche e teoriche: riteniamo però, che una sua efficace comprensione ed analisi non possa prescindere dal contesto macroeconomico di riferimento. Capire in che cosa consiste l’economia della conoscenza, quando essa ha avuto origine e tutti gli altri aspetti che verranno di seguito analizzati, costituisce il presupposto fondamentale nell’approccio alla gestione dei saperi aziendali, il framework di riferimento che contestualizza e da significatività alla disciplina del knowledge management. Ecco perché dedicare alcune pagine del lavoro allo studio della knowledge based economy. L’importanza dell’argomento in questione è ormai palese, ma verrà ulteriormente ribadita nel corso del lavoro: “Alla fine, scoperte, studi, articoli e dibattiti finiscono sempre per parlare di conoscenza9”. Non ci si può più permettere di ignorare la disciplina: si può essere più o meno d’accordo con le interpretazioni della stessa; ma “abbracciare” i processi sottostanti l’economia della conoscenza e le sue implicazioni per il sistema d’azienda è divenuto un must, un obbligo al quale gli imprenditori non possono mancare se intendono procedere con successo nella loro attività. 7 Questa affermazione è tratta da un discorso pronunciato da Benjamin Franklin nel 1967. Egli fu uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America che partecipò alla stesura di tutti e tre i più importanti documenti che hanno caratterizzato la storia degli USA. 8 Altre citazioni a riguardo verranno citate nel proseguio del lavoro. 9 Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 193 Il presente capitolo vuole offrire una breve ma chiara panoramica del contesto che ha dato origine e che tutt’ora caratterizza un sistema di knowledge management. 1.1.1 Cosa si intende per economia della conoscenza? In linea generale, possiamo parlare di economia della conoscenza ogni volta che ci troviamo di fronte ad un segmento del sistema economico in cui il valore (utilità per i soggetti economici) viene prodotto attraverso la conoscenza10. Più in particolare con il termine economia della conoscenza si intende11: - Un’economia nella quale la quota di occupazione ad alta intensità di conoscenza è preponderante o comunque sensibilmente più alta rispetto al passato; - Un’economia in cui il peso economico dei settori legati all’informazione è diventato determinante; - Un’economia in cui la quota di capitale intangibile nello stock di capitale totale è diventata maggiore di quella del capitale fisico. Analizziamo più approfonditamente ognuno di questi aspetti12. In merito alle caratteristiche occupazionali, gli ultimi decenni si sono caratterizzati per una profonda trasformazione delle funzioni aziendali e del loro contenuto intrinseco. Esse sono diventate nella maggior parte dei casi lavoro cognitivo, in cui le risorse umane non trasformano più la materia prima, ma generano conoscenze innovative che con il loro impiego saranno usate per trasformare la materia in utilità e valore per il cliente. Il grafico seguente evidenzia questa tendenza per alcuni Paesi dell’ OCSE. Se la tendenza generale è assai evidente (il grafico mostra un marcato aumento della quota di lavoratori qualificati sul totale degli occupati), i fattori alla base di una distribuzione così marcata a favore del lavoro qualificato sono difficili da individuare in modo altrettanto preciso. Italia (1981-1991) Francia (1982-1990) Germania (1980-1990) Stati Uniti (1983-1993) Giappone (1980-1990) Canada (1981-1991) -0,5 0 0,5 1 1,5 lavoro non qualificato 10 2 2,5 3 3,5 lavoro qualificato La definizione è tratta da un’intervista condotta dal Sole 24 ore ad Enzo Rullani, 2004. Tale definizione è tratta da: FORAY D., “L’economia della conoscenza”, Il MULINO, Bologna, anno 2000, pag. 9. In realtà occorre considerare come molte sono le definizioni elaborate dagli studiosi e dagli autori in merito al significato di economia della conoscenza. La scelta di questa definizione (piuttosto che un’altra) si giustifica per il fatto che è in grado di illustrare in modo più significativo e opportuno i tratti salienti e le caratteristiche rilevanti della disciplina. Per la sua completezza essa si configura come il “manifesto” di questa nuova materia. 12 L’approfondimento dei tre punti appena citati è tratto da FORAY D., “L’economia della conoscenza”, Il MULINO, Bologna, anno 2000, pag. 38. E’ proprio dalle trasformazioni intervenute in ambito macroeconomico che si comprende la nascita di una knowledge based economy e quindi anche la definizione appena citata di economia della conoscenza. 11 Grafico 1.1 Crescita dell’occupazione per lavoratori qualificati e non qualificati Fonte: OCSE (1996) Certo è che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione favoriscono la sostituzione della manodopera non qualificata con quella qualificata, anche se in realtà non è sempre scontato: alcuni studi empirici dimostrano come l’effetto degli investimenti in tecnologia dell’informazione sulla dinamica dell’occupazione siano molto variabili ed aleatori e dipendano, quindi, in misura rilevante dalla natura della tecnologia introdotta e dalla forma organizzativa scelta. Non esistono risultati univoci. Quindi per spiegare la crescita della quota di manodopera qualificata sull’occupazione totale occorrono motivazioni più generali della semplice diffusione delle tecnologie informatiche; bisogna considerare l’impatto dell’avvento di una knowledge era che comporta una maggiore esigenza delle imprese in termini di competenze e attitudini. I knowledege workers rappresentano, attraverso le loro capacità e le loro conoscenze, il bene principale dell’azienda e possono, a differenza dei lavoratori manuali addetti alla manifattura, possedere i mezzi di produzione: “la conoscenza è immagazzinata nelle loro teste e possono quindi portarla con sé, ovunque vadano”13. Con riferimento al secondo aspetto sopra citato si coglie, invece, tutto il peso che la rivoluzione digitale iniziata già a partire dagli anni ‘70 ha esercitato sul nostro sistema economico. La nascita di nuovi strumenti in ambito comunicativo e di nuovi metodi di elaborazione delle informazioni ha innescato una forte crescita di imprese ad elevato contenuto di conoscenza. Come dimostra la figura 1.2.14 Italia Australia Germania Olanda UE Regno Unito Norvegia Danimarca Svezia 0 2 4 6 spesa pubblica per l'istruzione Grafico 2.1 Investimenti in conoscenza, 1995 (percentuale Pil) 8 R&S 10 12 software Fonte OECD (1999) Ai dati di questo grafico bisogna aggiungere alcune informazioni che riguardano la crescita annuale media delle voci analizzate, dal 1985 ad oggi. Spicca fra tutti la Danimarca con una crescita di investimenti in innovazione pari al 4.4%, seguita poi da Finlandia, Giappone, Norvegia e Stati Uniti che si attestano intorno al 3.7%. Dati poco confortanti per Olanda, Belgio e Italia che crescono rispettivamente al 0.9%, 0.1% e 1.3%. Gli altri Paesi si trovano in una situazione intermedia15. 13 Tratto da: DRUCKER P. F., “Il grande cambiamento”, SPERLING & KUPFER, 1995. Una trattazione più approfondita dei knowledge worker e in particolar modo dei nuovi ruoli e delle nuove figure che sono nate con l’avvento dell’economia della conoscenza verrà effettuata nel capitolo 2. 14 Grazie ad alcuni recenti lavori dell’OCSE si è giunti ad una certa stabilizzazione delle stime sulle categorie di investimento in conoscenza per un dato Paese o settore. La figura evidenzia le disparità tra Paesi OCSE in termini di investimento in istruzione pubblica, R&S, e programmi informatici. Ulteriori informazioni in merito allo stato di avanzamento e recepimento dell’economia della conoscenza verranno trattati nel proseguo del lavoro. 15 In realtà si può affermare che c’è una convergenza in termini di crescita annuale media degli investimenti suddetti per i Paesi dell’OCSE. Dal 1985 ad oggi hanno speso in media tra l’8 e l’11% del loro PIL in investimenti legati alla conoscenza. L’ultimo aspetto che rimane da analizzare riguarda la nascita di una nuova economia, un’economia destinata a rendere visibili e analizzabili i processi attraverso cui le conoscenze generano valore passando o meno attraverso la trasformazione materiale, nella consapevolezza che solo il patrimonio intangibile dell’impresa costituisce fonte di successo per la stessa. La tabella n. 1.1 conferma quanto appena detto. Componenti dello stock reale 1929 1948 1973 2000 Capitale tangibile totale 6.075 8.120 17.490 28.525 Strutture e macchinari 4.585 6.128 13.935 23.144 Stock 268 471 1.000 1537 Risorse naturali 1.222 1.468 2.555 3.843 Capitale non tangibile totale 3251 5.940 17.349 32.819 Istruzione e formazione 2647 4.879 13.564 25.359 Saluta sicurezza 567 892 2.527 5.133 mobilità 37 169 1.249 2.327 Tab 1.1 1994 Stock di capitale reale lordo negli stati Uniti. (mld di dollari) Fonte: Kendrik Mentre nel corso della metà del diciannovesimo secolo la crescita del capitale fisico ha contribuito per i due terzi all’aumento della produttività del lavoro a livello mondiale, tale contributo nel ventesimo e ventunesimo secolo è sceso ad un valore tra un quarto e un quinto della crescita della produttività16. Questa è l’economia della conoscenza. 1.1.2 Alcuni pregiudizi da riconoscere e da correggere Dopo aver analizzato cos’ è l’economia della conoscenza ed aver approfondito i tratti salienti della stessa disciplina occorre soffermarsi su cosa non è questa nuova realtà, o meglio con che cosa non deve essere confusa17. Ne forniamo una breve illustrazione nella tabella seguente. L’economia della conoscenza Non è Economia della ricerca né economia dell’informazione (pregiudizio settoriale) Non è Economia dell’innovazione (pregiudizio storico) Non va ad esclusivo vantaggio del produttore (pregiudizio competitivo) Non è solo produzione ma anche propagazione di conoscenza (pregiudizio epistemologico) 16 Kendrick mostra come lo stock di capitale intangibile diviene equivalente allo stock di capitale fisico intorno al 1973 e che esso è oggi largamente dominante. Kendrick dimostra inoltre come il rapporto tra capitale intangibile e capitale tangibile è più che raddoppiato tra il 1929 e il 1990. 17 In particolar modo Rullani parla non soltanto di che cosa non è l’economia della conoscenza ma anche della necessità di riconoscere e superare quattro pregiudizi sui quali gli studiosi e l’intera società rischiano di inciampare, dando così luogo a rappresentazioni errate della nuova materia. I quattro pregiudizi sono: pregiudizio settoriale, pregiudizio storico, pregiudizio competitivo, pregiudizio epistemologico. Ognuno di essi verrà meglio analizzato nel proseguo del lavoro. Tabella 2.1. Gli errori da evitare nella definizione di economia della conoscenza. Fonte: nostro adattamento ad uno schema proposto da RULLANI, “Economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2004 L’economia della conoscenza non dovrebbe essere scambiata con l’economia della ricerca, perché non ha come scopo principale la produzione di conoscenza tecnologica; a seconda del settore e dell’impresa che vengono presi in considerazione la quota di ricerca formale sulla produzione totale di conoscenza può andare da “enorme” a “trascurabile”, e ovviamente altre attività possono svolgere un ruolo importante. Non c’è ragione di ritenere che la conoscenza che conta sia soltanto quella che nasce nel sistema scientifico-tecnologico o nella sfera delle professionalità “alte”, intellettuali e teoriche. Anche le conoscenze pratiche che non hanno legittimità scientifico-intellettuale, costituiscono un sistema organizzato, hanno una capacità accumulativa e una dimensione economica non effimera. La loro presenza non è meno importante della conoscenza messa in circolo dalla tecnologia. Anzi, molto spesso è il sapere pratico che rende un sistema capace di evolvere cambiando la sua struttura e il suo comportamento in funzione delle necessità competitive di volta in volta incontrate. L’economia della conoscenza non dovrebbe nemmeno essere confusa con l’economia dell’informazione perché lo scopo dell’economia della conoscenza è lo studio della conoscenza come bene economico e non dell’informazione in sé18. Nella complessità dell’ambiente in cui operiamo non bastano più i bit e i software destinati all’intelligenza dei computer e delle macchine. Si necessita sempre dell’intervento dell’uomo e dell’apprendimento tipico dell’uomo19. Il pericolo, in questo senso, è quello di non riuscire a superare quello che Rullani definisce pregiudizio settoriale, ovvero quel pregiudizio che non rende capaci di riconoscere che l’economia della conoscenza riguarda tutta l’economia attuale, non solo qualche settore specifico della stessa (ovvero quelli legati alla legittimazione scientifica e alla codificazione del sapere). Non esiste, come sostengono Gibbons e collaboratori (1994), un solo mode one di produzione della conoscenza, (che è quello che si appoggia ai settori high tech, e dell’innovazione), ma anche un mode two, che ha un’applicazione trans-disciplinare, facendo di fatto configurare la nuova economia come economia che riguarda tutto il mondo attuale. L’economia della conoscenza non dovrebbe essere assimilata neanche all’economia dell’innovazione, visto che non è centrata esclusivamente sullo studio di condizioni, modalità ed effetti del cambiamento tecnologico ed organizzativo. Non cadere in questa confusione significa superare quello che Rullani definisce pregiudizio storico. O meglio. Gli attori del processo nell’economia della conoscenza non sono solo i “mitici innovatori schumpeteriani” (in particolare gli imprenditori), ma tutti coloro che imparano qualcosa di nuovo, che prima o poi produrrà un effetto utile per l’economia. Le proprietà tipiche della conoscenza emergono soltanto se si ha in mente il circuito cognitivo nel suo insieme. Esse scompaiono se questo circuito viene spezzato in singoli atti di innovazione, atomistici e indipendenti dal resto. La produzione di conoscenza è un fatto sociale, non del singolo e attiene al sistema culturale che sta a monte della singola impresa o del singolo settore che innova. Inoltre la dinamica della conoscenza non risponde soltanto all’obiettivo utilitaristico di creare immediatamente valore (attraverso l’atto di innovazione), ma ha anche altre finalità. Essa nasce dal passato, attraversa il futuro e si propaga nel presente (singolo atto di innovazione), ma non si ferma qui. Ancora due aspetti rimangono da analizzare. Uno è quello che Rullani definisce pregiudizio competitivo e l’altro è quello che viene denominato pregiudizio epistemologico. Il primo si sostanzia in un sillogismo mai dimostrato, ma che molto spesso viene implicitamente assunto come valido da parte di studiosi ed operatori. Esso presuppone che, essendo la conoscenza la principale risorsa impiegata nella società della conoscenza20, essa vada a vantaggio di chi la produce rispetto a chi la utilizza acquisendola da altri attraverso il mercato o per imitazione o per apprendimento dall’esperienza altrui. Alcune recenti indagini hanno dimostrato però che le performance migliori sono avvenute in quei Paesi che sono “entrati per 18 La distinzione tra conoscenza e informazione verrà trattata nel paragrafo 1.2 Anche la mera replicazione di un’informazione o di un programma richiede un processo di apprendimento che mette in campo elementi di incertezza, di valutazione, di chiarificazione e di azione da parte di uomini e gruppi di uomini. Ciò riduce gli spazi disponibili per l’automatismo dell’informazione e aumenta la capacità di propagazione della conoscenza. 20 Il concetto di produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza verrà approfondito nel proseguo del lavoro. 19 ultimi”, e proprio per questo hanno tratto maggior beneficio dalla moltiplicazione della conoscenza, grazie a pratiche imitative di varia natura. In poche parole si possono acquisire vantaggi nella “gara” competitiva sia producendo nuove conoscenze che lavorando nelle retrovie: non è affatto detto che la quota maggiore del valore tocchi al primo (produttore), rispetto al secondo (utilizzatore). Tutto questo è particolarmente vero se si considera come, ad oggi, il sapere sia meno firm specific rispetto al passato. L’investimento hard in tecnologia è altamente aleatorio, quanto a convenienza e vantaggi competitivi e molto spesso tende a produrre benefici a favore dei follower e degli users, ovvero di chi sa usare bene la conoscenza degli altri21. L’ultimo pregiudizio da cui occorre liberarsi è di tipo epistemologico e consiste nel primato attribuito alla ricerca di nuova conoscenza rispetto alla propagazione della conoscenza disponibile. Ma anche in questo caso opporre la produzione alla diffusione risulta molto spesso una “guerra di religione”, poiché se prendiamo per esempio due sistemi Paese come gli Stati Uniti e il Giappone, è noto a tutti che quest’ultimo è cresciuto, nel secondo dopoguerra, con vantaggi competitivi notevoli, grazie dapprima ad un’ossessiva copiatura e poi a un miglioramento incrementale. Ma allargando la prospettiva a un’economia della conoscenza è quasi ovvio che la propagazione è il terreno sul quale si gioca la vera partita, soprattutto in un’economia interconnessa e globalizzata come quella odierna. La propagazione di conoscenza consente di portare a maturità il ciclo di vita della stessa attraverso lo sfruttamento sistematico dello stock esistente e attraverso ricombinazioni originali delle conoscenze. Non si parla più soltanto di exploration (del nuovo), ma anche expliotation (ri-uso) e extraction (del profitto) da conoscenze già esistenti22. Il miglior uso della nuova conoscenza è il suo impiego come stimolo e occasione per l’ acquisizione di nuovo sapere. 1.1.3 Perché si parla soltanto ora di capitalismo cognitivo? Questo breve paragrafo ha l’intento di rispondere ad un quesito che tutti gli economisti e gli studiosi dell’economia della conoscenza si sono posti almeno una volta addentrandosi nell’applicazione della materia23. L’enigma in questione può essere agevolmente riassunto con la seguente espressione: “Economia della conoscenza: radicalmente nuova o dejà vu?” (volendo dirla con le parole di Rullani). Essa sembra essere apparentemente una scoperta o un’invenzione degli ultimi anni, ma in realtà la conoscenza è sempre stata una risorsa importante ai fini della produzione. Una risorsa sempre nuova, sorprendente, ma al contempo che affonda le sue radici nel vecchio, nel già noto24. Analizzando il carattere di novità della disciplina, occorre fare riferimento a due grandi cambiamenti che sono avvenuti negli ultimi anni: - Sono enormemente aumentati gli investimenti fatti nella produzione e nella trasmissione delle conoscenze (istruzione, formazione, R&S, management)25; - Si sono grandemente ridotti i costi di codificazione, trasmissione e acquisizione delle conoscenze grazie al recente progresso tecnologico (ICT, Internet)26. Ma in realtà la conoscenza, come sostengono gli scettici, non è così nuova come può sembrare a prima vista. Essa è sempre stata un elemento fondamentale della vita dell’uomo e dunque anche della sua economia. Basti pensare che perfino la produzione dell’homo sapiens è stata considerata un’attività “sapiente”, perché si distingueva da tutte le altre attività produttive, naturali o animali, in quanto impiegava nel lavoro le capacità intellettuali del cervello umano. 21 Questa considerazione è tratta da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 150 22 Questi termini sono stati proposti da March, 1991. La produzione di conoscenza è legata infatti alla propagazione della stessa non solo dall’ovvia necessità di ripagare il costo del produttore, ma anche perché avanzamenti importanti nel sapere sono effettuati dalla capacità di muoversi in campo aperto senza obiettivi troppo vincolanti, potendo così trovare cose molto diverse da quelle inizialmente cercate. 23 Verrà demandato al paragrafo successivo lo studio particolareggiato del ruolo della conoscenza nel corso della storia. Si è ritenuto opportuno dedicare un paragrafo alla nascita dell’economia della conoscenza poiché essa non risulta esse particolarmente chiara e semplice da comprendere. 24 Cfr. RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, anno 2004, pag. 107 25 Si vedano le tabelle e i grafici illustrati nel paragrafo 1.1.1 26 Cfr. FORAY D., “L’economia delal conoscenza”, IL MULINO, Bologna, anno 2000, pag. 9 Partendo da questi presupposti, la tesi che si propone in questo elaborato costituisce una sintesi, o meglio una diversa visione del dualismo appena delineato. E’ nel momento in cui la conoscenza diventa il principale motore dell’economia moderna che siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione, destinata ad incidere profondamente sulla pratica e sulla teoria economica27. L’economia della conoscenza non si limita a vestire con abiti nuovi la consueta economia delle merci, ma introduce davvero qualcosa di radicalmente innovativo nel meccanismo di produzione del valore, cambiando il funzionamento dell’inner core del sistema economico. La novità non è che la conoscenza produce valore ma che lo produce in altro modo. Pertanto, come si vedrà in seguito, non è vero che la conoscenza non è esistita fino a questo momento, ma soltanto che la sua gestione avveniva in modo inconsapevole e senza considerare l’importanza della relazione tra conoscenza e valore. Tuttavia il nuovo che abbiamo di fronte non è la soluzione a tutti i problemi e i dilemmi nati nella società industriale. Semmai è fonte di nuovi conflitti che i futuri economisti e imprenditori dovranno essere in grado di risolvere. Detto questo rimane ora da sciogliere un altro fondamentale quesito: “Perché si scopre ora e soltanto ora l’uso della conoscenza come forza produttiva, quando, come appena detto, essa ha caratterizzato tutta la storia della modernità industriale?” Ci sono almeno due rilevanti ragioni28. Prima di tutto il ritardo ha a che fare con le difficoltà che si incontrano nel ricondurre la conoscenza entro i canoni disciplinari prescelti dall’economia tradizionale. L’economia (intesa nel senso più classico e letterale del termine) nasce con un programma scientifico deterministico, che sta seguendo tutt’ora29. La conoscenza, invece, è intrinsecamente complessa, non deterministica. L’economia della conoscenza non può stabilirsi fin dall’inizio come disciplina adeguata a rappresentare il capitalismo industriale perché le due polarità del suo oggetto (l’economia da una parte e la conoscenza dall’altra) si contraddicono sul terreno metodologico. Una sua accettazione e comprensione è un passo che ha richiesto del tempo. La seconda ragione rilevante risiede nei cambiamenti succedutisi nel mondo economico. Essi possono essere sintetizzati in tre fattori principali ed hanno di fatto confermato la necessità di leggere il mondo economico in chiave cognitiva. Si fa riferimento a: - La velocità del mutamento tecnologico, - La globalizzazione dell’economia, - L’incremento della competizione fra le organizzazioni. L’economia della conoscenza comincia dunque ad operare due secoli e mezzo fa, attraverso la meccanizzazione, per svilupparsi poi nel fordismo, nell’economia dei distretti, nella new economy. Oggi ereditiamo tutto questo. Non possiamo dunque dire che sia una novità. Il capitalismo moderno è stato, è sempre stato, un’economia della conoscenza, nel senso che il valore è stato prodotto, in gran parte, dalla propagazione e degli usi delle conoscenze disponibili. Vediamo ora, in maniera più approfondita, l’iter logico-storico che l’economia della conoscenza ha compiuto nel corso del tempo. 1.1.4 Il sentiero di sviluppo della nuova disciplina Scopo di questo paragrafo è quello di fornire un breve excursus storico e logico sul ruolo che la risorsa conoscenza ha avuto nel corso del tempo, a partire dall’economia pre-moderna per arrivare alla net economy dei nostri giorni. In ogni periodo storico preso in considerazione verranno analizzati brevemente i più importanti contributi teorici in merito. Uno schema renderà più agevole la lettura dell’intero paragrafo. 27 La conoscenza così come noi oggi la intendiamo diventa vera e propria forza produttiva fondamentale solo con l’età moderna, verso la fine degli anni ’90 (come si vedrà meglio nel seguito del lavoro). 28 Le motivazioni per cui si scopre solo ora l’economia della conoscenza sono state riprese e adattate da quanto sostenuto e affermato da RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 285 e AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 147 29 Con il termine programma deterministico si intende un programma per cui le variabili ambientali sono razionalmente governabili, un programma basato su tecniche di produzione ripetitive che tendono a ridurre i livelli di complessità. PERIODO STORICO STILE DI CONOSCENZA Economia pre-moderna Sistema apprendista-maestro Capitalismo liberale Meccanizzazione del sapere Economia fordista Conoscenza firm specific Economia post-fordista Condivisione del sapere Economia cognitiva Digitalizzazione e globalizzazione della conoscenza Tab. 3.1 La suddivisione storica dell’economia della conoscenza. Fonte: nostro adattamento da RULLANI, “La fabbrica dell’immateriale”, CAROCCI, Roma, 2005, pag. 133 Analizziamo ora ognuno di questi aspetti30. Nell’economia pre-moderna, prevalgono le conoscenze empiriche di natura strettamente personale, ricavate dalla tradizione. Esse sono sedimentate nelle pratiche professionali e vengono trasmesse di persona in persona tramite l’apprendistato diretto. In questo modo, oltre alle conoscenze di base, vengono propagati anche quei modi di lavorare e quei piccoli segreti che ogni maestro, o comunque ogni persona esperta di un mestiere, aveva imparato nel corso degli anni di pratica31. Tutto cambia con l’avvento del capitalismo liberale. La rivoluzione industriale di inizio ‘800 accelera fortemente l’utilizzo del sapere scientifico meccanizzando la produzione delle aziende e utilizzando la forza-vapore come energia di base. Si vuole far fronte, in questo periodo, al paradigma di apprendimento diretto dell’epoca precedente, andando ad incorporare tutto il sapere presente in azienda (nella mente delle persone) all’interno delle “macchine”, che vengono, pertanto, considerate il nucleo portante dell’intera economia32. L’utilizzo, poi, dell’energia elettrica e delle tecnologie legate all’uso del petrolio tra la fine del ‘800 e i primi del ‘900 inaugurano un nuovo periodo di sviluppo capitalistico che assumerà la forma dell’impresa fordista33. Essa nasce anche e soprattutto dalla consapevolezza che le macchine del capitalismo liberale non possono essere impiegate per lo svolgimento di operazioni complesse e quindi per produrre, oramai, la maggior parte degli oggetti di consumo e la maggior parte dei servizi richiesti. Essi sono troppo 30 Consapevoli che la vastità dei contributi teorici in merito impedisce una trattazione completa degli stessi, gli autori e le considerazioni che verranno approfonditi sono quelli che più di altri hanno contribuito alla nascita di questa nuova economia. A conferma dell’impostazione che abbiamo dato al paragrafo accorre un articolo pubblicato dalla Harward Business Review (www.elearningeuropa.info/index.php?page=doc&doc_id=7013&doclng=9me…), che distingue cinque fasi consecutive nell’evoluzione della teoria della gestione: management scientifico (dal 1922 al 1946), marketing e diversificazione (dal 1946 al 1960), strategia e cambiamento sociale (dal 1960 al 1972), sfida competitiva e ristrutturazione (dal 1972 al 1988), globalizzazione e conoscenza (dal 1988 al ?). L’impostazione che viene abbracciata in questo paragrafo è piuttosto particolare. Di solito vengono elencate le fasi storiche dello sviluppo della disciplina e distaccatamente gli autori che hanno contribuito alla stessa. In quest’ambito abbiamo voluto conciliare i due aspetti per comprendere meglio l’intero lavoro. 31 BOTTIN A..,“Il knowledge management”, anno 2002 32 Nel capitalismo liberale ritroviamo il contributo di Schumpeter, che con il termine di innovazione spiegato nel testo: “Teoria dello sviluppo economico”, intende anche l’utilizzo di nuovi macchinari, nuove tecnologie oltre che nuovi prodotti, apertura di nuovi mercati e introduzione di nuove modalità organizzative. 33 Tratto dal primo workshop sull’Economia della conoscenza tenutosi a Ravenna nel Novembre del 2002 intricati per poter essere fabbricati dalle macchine rigide e ripetitive messe a punto dal capitalismo liberale. La fabbrica fordista si caratterizza per alcuni aspetti fondamentali: - La produzione di massa, - La parcellizzazione del lavoro, - La struttura verticale della catena di produzione, - L’organizzazione fortemente gerarchica, - La catena di montaggio. Il fordismo, grazie a questo tipo di organizzazione, realizza un regime di uso della conoscenza che lo contraddistingue nettamente dal paradigma precedente, ma che costituisce al contempo il suo principale limite, il motivo per cui si necessiterà di andare al di là del paradigma taylorista34. Le conoscenze in quest’ambito hanno natura firm specific e pertanto la loro propagazione è estesa solo ed esclusivamente all’interno dell’azienda. Il loro uso rimane gelosamente salvaguardato “inside the factory wall”. E’ questo, inoltre, il periodo35 in cui si esprimono: Hayek (The use of knowledge in society, 1945) e Penrose (Theory of the growth of the firm, 1959). Hayek ha trattato i problemi posti dalla diffusione di massa della conoscenza (volendo, quindi, in qualche modo far fronte all’esclusività del paradigma appena citato) e dell’impossibilità di trasferire la conoscenza a un’agenzia di pianificazione centralizzata. Egli identifica due principali livelli di possesso della conoscenza: quello “personale”, dove risiedono le notizie e le informazioni sui fatti, cose o avvenimenti, e quello “di mercato”, dove interagisce e viene sintetizzata tutta la conoscenza distribuita tra i singoli. La Penrose invece mette in evidenza l’importanza delle risorse umane e di quelle materiali nel servizio che rendono quando una conoscenza adeguata le mette in movimento. L’autrice distingue tra “esperienza”, vale a dire la conoscenza non accessibile a tutti, perché specifica di un contesto e “conoscenza oggettiva”, ossia l’insieme delle nozioni e delle informazioni che giungono a tutti i membri di una comunità in modo univoco e codificato36. L’importanza di questi contributi teorici non può essere messa in discussione. Ciò che, invece, è stato oggetto di successivo dibattito concerne i limiti connessi al modello fordista: il processo dell’interiorizzazione delle conoscenze non funziona più. Il punto di svolta si è avuto, quindi, con la crisi del fordismo, quando il sapere produttivo ha iniziato ad assumere forma socialmente distribuita. Le conoscenze hanno cioè cominciato a fluire nello spazio37. Esse sono uscite dal “recinto” in cui erano state confinate, cominciando a manifestare il loro carattere distribuito, fluido, pervasivo, separandosi dai supporti materiali del passato e presentandosi nella loro autonomia di risorse distinte che vengono prodotte, scambiate, vendute, acquistate, imitate, condivise ed impiegate secondo leggi che eccedono o contraddicono il concetto tradizionale di merce38. Inizia così una 34 E’ in questo periodo che si parla di Management scientifico: la conoscenza è applicata al lavoro umano e alla progettazione dei processi lavorativi (per esempio attraverso l’analisi del lavoro e gli studi su ‘tempi e metodi’), vi è separazione tra pianificazione ed esecuzione del lavoro, la semplificazione e standardizzazione dei compiti, l’individuazione della migliore modalità di esecuzione dei processi lavorativi. I principi del Management Scientifico sono ancora oggi applicati in settori quali fast foods e call centres. 35 Il fordismo ricopre gli anni che vanno dal primo decennio del Novecento fino alla fine degli anni ’60. 36 La Penrose è in realtà il precursore della Resourece based Theory, filone diffusosi a partire dagli anni ’80, il quale sostiene che il vantaggio competitivo dell’impresa si fonda sulle competenze e capacità distintive che ogni azienda possiede al suo interno. Secondo questa teoria l’impresa è una collection of resources ottenute dalla esperienza e dalla conoscenza accumulata. Essa si è poi evoluta diventando knowledge based theory. 37 La crisi del fordismo e l’ingesso del post-fordismo sono stati ripresi e adattati da: RULLANI E., “La fabbrica dell’immateriale”, CAROCCI, Roma, 2005, pag. 187-209 38 E’ a questo particolare momento che molti autori fanno risalire la nascita dell’economia della conoscenza. Ovvero quando ci si libera dal paradigma fordista. Essa naturalmente non rimarrà immutata nuova era: quella che viene comunemente chiamata la fase del capitalismo post-fordista o reticolare. Post-fordismo significa: - Produzione snella, - Piccola e media impresa (la quale può tranquillamente rimanere tale senza ostacolare la propagazione delle conoscenze perché la contiguità fisica e culturale del sistema consente di specializzarsi nelle filiere), - Lavoro indipendente e individualizzazione del lavoro, - Territorio come fabbrica diffusa (esso costituisce il contesto comune, il legame che consente alle imprese relazionarsi tra loro)39. La crescita sempre più appariscente di innovazioni che deriva dall’uso più accentuato di conoscenza spinge a poco a poco le imprese a rompere l’integrazione verticale delle fasi di produzione per concentrarsi sempre più su elementi di core business, lasciando ad altri soggetti lo sviluppo delle fasi precedentemente internalizzate (lean production). La struttura gerarchica comincia a sfaldarrsi e diventano molto più efficienti strutture organizzative di tipo reticolare. I distretti industriali costituiscono una delle espressioni più significative di questo periodo. Come per il modello fordista, anche in quest’ambito vanno ricordati alcuni contributi teorici: Simon (Adaption Theories, 1978), Machlup (Knowledge and knowledge production, 1980) e Richardson (The organization of industry, 1972). Simon ha studiato molti dei temi propri dell’economia della conoscenza, come il ruolo della memorizzazione nei processi di apprendimento, e può a giusto titolo essere considerato il vero precursore dell’economia legata alla tecnologia dell’informazione. In coerenza con l’approccio territoriale dell’economia post-fordista egli evidenzia due tipi di conoscenza/razionalità. Quella sostantiva e quella procedurale. La prima rappresenta la consapevolezza che le azioni scelte rispondono alle esigenze contingenti d’impresa. La seconda individua l’efficacia nei processi di scelta alla luce delle opzioni possibili e dei limiti cognitivi umani. Egli rappresenta l’organizzazione come una macchina che processa informazioni e che consente di alleggerire il lavoro dell’uomo. Il lavoro di Machlup si applica, invece, ad un ambito molto vasto. Ciò deriva da una concezione estremamente estesa dell’economia della conoscenza, che comprende i problemi dell’informazione, e conseguentemente i problemi legati alla teoria delle decisioni. Definendo l’informazione come un tipo particolare di conoscenza, Machlup si trova in modo naturale ad estendere il proprio campo di investigazione fino a definire come economia della conoscenza non solo l’analisi dei settori dell’informazione, l’esame della produzione di nuova conoscenza e lo studio dei meccanismi di acquisizione e trasferimento delle competenze (andando talaltro ad aggiungere alle categorie del knowhow e del know-that anche quella del know-what), ma anche l’indagine sul vasto ambito della teoria delle decisioni e delle aspettative in situazioni di incertezza e di incompletezza dell’informazione. Il contributo di Richardson infine è particolarmente interessante da analizzare, essendo il primo ad introdurre il concetto di capacità (capability), identificando la stessa come l’insieme di conoscenze, nel corso del tempo, ma come si vedrà nel proseguo del paragrafo si andrà pian piano modificando per giungere a quello che noi oggi definiamo capitalismo cognitivo. 39 Una trattazione più specifica, o meglio una chiave diversa di lettura della variabile territorio verrà effettuata nel terzo capitolo. esperienze ed abilità combinabili nello svolgimento dei processi produttivi40. Secondo l’autore esse sono diffuse in modo eterogeneo per cui è opportuno operare una divisione del lavoro, proprio in ragione delle capacità su cui ciascuna impresa possiede un vantaggio comparato. Se è vero, come sopra citato, che esiste un divide che separa l’economia fordista dall’economia territoriale/postfordista, è che cambia il ruolo della conoscenza, estraendola dal chiuso delle organizzazioni proprietarie e mettendola in circolazione nei territori e tra i territori, è anche vero che questo divide diventa più profondo e irreversibile con l’avvento della rete di comunicazione a distanza (Internet), che trasforma i luoghi in piattaforme di interazione con altri luoghi, aprendo i circuiti territoriali all’economia globale41. Con questo processo attivatosi alla fine degli anni ’80 si apre di fatto l’ultima fase dell’iter logico che abbiamo fin qui descritto: la fase del capitalismo cognitivo. Internet, le tecnologie ICT, la globalizzazione permettono una propagazione della conoscenza istantanea e globale. Cambia pertanto con esse il modo di operare delle economie e della vita individuale e sociale di ciascuno. Il concetto di distanza e di mercato locale vengono radicalmente trasformati. In questo modo si arriva al superamento del più grande limite dell’economia post-fordista: il confinamento della conoscenza all’interno dell’area locale di operatività dell’impresa e la necessaria ed eccessiva focalizzazione sulla materialità dei beni prodotti. Nell’economia cognitiva42 la logica industriale fondata sulla produzione materiale arretra: il nuovo luogo di creazione del valore non è più l’impresa, ma la società, la cooperazione, gli accordi. I prodotti sono sempre più intangibili, usa e getta e sostituibili. L’economia delle materie prime, dei fattori produttivi capitale, terra e lavoro è stata soppiantata dall’economia della conoscenza. O meglio. Il lavoro e il capitale, ritenuti dagli economisti classici gli elementi fondanti alla base della produttività, devono essere riletti con un approccio di tipo cognitivista: il lavoro infatti tende a diventare lavoro intellettuale (e di conseguenza i lavoratori diventano sempre più knowledge workers), mentre il capitale assume la forma di asset immateriale (brevetti, marchi, saper fare). Il fatto di vivere nell’era della conoscenza, è ormai una certezza. Studi, incontri, dibattiti, articoli hanno evidenziato che il valore di un’azienda non è soltanto la somma dei suoi asset fisici (impianti, macchine, stabilimenti), ma è costituito soprattutto da elementi intangibili o di natura immateriale, cioè dallo stock di conoscenze possedute dall’organizzazione nel suo insieme (competenze distintive, capacità operative, know how, etc…)43. Con questa affermazione si può dire che il “cerchio è chiuso”: abbiamo spiegato la nascita dell’economia della conoscenza. 40 E’ il periodo in cui si inizia a diffondere la resource based theory. Richardson non può essere propriamente considerato uno dei padri fondatori di questo filone, ma sicuramente egli propone un’impostazione del lavoro coerente con l’approccio resource based. 41 RULLANI E., “La fabbrica dell’immateriale”, Carocci, Roma, 2005, pag. 211-231 42 Il termine economia cognitiva è stato coniato da Rullani e reso formale dopo l’attribuzione del premio Nobel agli economisti Venron Smith e Kahnemam nel 2003. 43 A testimonianza di quanto appena asserito sembra utile citare il contributo di un autore odierno: Volle (Economia della conoscenza ed economia delle reti di comunicazione, 2001). Egli sostiene che la conoscenza è il fattore di produzione essenziale, il vero patrimonio di ogni impresa. La ricchezza delle aziende risiede nelle conoscenze accumulate e disponibili. Da qui egli teorizza il passaggio e l’avvento di una nuova economia. Oltre al contributo appena citato occorre ricordare come molte teorie sono state elaborate in questi ultimi anni in merito all’economia della conoscenza, ognuna valida in sé ma molto differente dalle altre. Sicuramente un contributo fondamentale è quello di Rullani (L’economia della conoscenza, 2004 e La fabbrica dell’immateriale, 2005) in merito alla teoria di creazione del valore (di cui verrà effettuata trattazione nel §1.2.4), nonché quello di Nonaka e Tacheuci che verrà approfondito nel secondo capitolo. 1.2 La conoscenza come fattore produttivo: proprietà e originalità Molto spesso la conoscenza (dal greco epistème, conoscenza) viene presentata come un concetto self evident, che non ha bisogno di ulteriori specificazioni. Per chi si addentra nello studio della materia, infatti, è sorprendente constatare quanto poco definita sia la nozione di conoscenza, nonostante tutti i riferimenti che si fanno ad essa come risorsa chiave della società e dell’economia contemporanea. A nostro avviso però nulla può essere dato per scontato, specialmente quando si parla di una nuova risorsa della quale si conosce ancora ben poco. L’Oxford English Dictionary, definisce la conoscenza nel seguente modo: “The fact of knowing a thing; familiarity gained by experience; acquaintance with a fact; consciousness of anything; intellectual acquaintance with, or perception of, fact or truth, certain mental apprehension; the fact, state, or condition of understanding. The sum of what is known”44. Un’ulteriore definizione di conoscenza, che ci sembra utile riportare è la seguente45. La conoscenza è: - Consapevolezza, ovvero coscienza acquisita nel tempo e nello spazio che deriva da un processo continuo di apprendimento basato sull’acquisizione di nozioni sul piano logico e dell’esperienza, - Utilizzo efficiente di dati e informazioni, insieme alle potenziali capacità e competenze, idee, intuizioni, esperienze, commenti e motivazioni delle persone. Essa, inoltre è: - Presente nelle idee, attitudini e consuetudini, esperienze, talento, relazioni, percezioni, concetti, ed è immagazzinata nelle menti delle persone, nei processi, documenti, prodotti e servizi, - E’ l’utilizzo del capitale intellettuale. Avere la consapevolezza di quanto appena citato significa riconoscere che: “La conoscenza aziendale è il fulcro delle operazioni d’azienda, costituendo la base sulla quale gli operatori economici possono formare obiettivi, prendere decisioni e sviluppare conseguenti operazioni. La conoscenza è rappresentata tanto da elementi ben identificabili come i brevetti, quanto da elementi privi di una forma specifica, come contatti con interlocutori ambientali o procedure consolidate di svolgimento dei processi”46. Dopo questa breve ma doverosa introduzione andiamo ad analizzare più in dettaglio le caratteristiche del nuovo motore del capitalismo cognitivo. 1.2.1 Dati, informazioni e conoscenza “Knowledge is different from information” esordisce Verna Allee, nella sua opera del 1997. Questa considerazione apparentemente banale e scontata è in realtà fondamentale per circoscrivere il significato e l’ambito di applicazione della risorsa conoscenza. Una risorsa che troppo spesso viene configurata come una black box, come un qualcosa di indistinto e complesso all’interno del quale far confluire significati eterogenei e poco chiari. Presentiamo nella pagina successiva uno schema utile per comprendere il “senso” della risorsa conoscenza. 44 Il fatto di sapere una cosa, la familiarità acquisita con l’esperienza, la conoscenza di un fatto, la coscienza di qualche cosa, l’apprendimento intellettuale o la percezione di un fatto o di una verità, la comprensione mentale certa, il fatto, lo stato o la condizione di comprendere. La somma di ciò che è conosciuto. 45 Questa ulteriore definizione è stata da noi elaborata sulla base dell’analisi di diversi contributi teorici, fra cui quello di Rullani, Quagli, e Foray. 46 Tratto da AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore delal conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo”, ETAS, 2005, Pag.10 Tobin in LIEBOWITZ (1999) sostiene che: alla base della piramide e quindi dell’organizzazione d’azienda ci sono i dati, materiale grezzo e abbondante dell’informazione. I dati sono meri input47: i nostri sensi ad esempio, creano dei dati. Essi potrebbero essere definiti come un insieme di fatti riguardanti gli eventi e il mondo. Nel livello immediatamente superiore c’è l’informazione, cioè dati selezionati e organizzati per essere comunicati. Le informazioni sono normalmente archiviate in documenti e supporti multimediali. SAPERE CONOSCENZA INFORMAZIONI DATI Schema 1.1 elaborazione La piramide della conoscenza Fonte: nostra Poi la conoscenza, cioè l’informazione rielaborata e applicata alla pratica. La conoscenza è un insieme di idee e prospettive, giudizi e aspettative, intuizioni e valori, metodologie e know how accumulati, integrati e detenuti da un’impresa lungo un adeguato arco temporale e disponibili per applicazioni operative di business nella gestione di specifiche situazioni e problemi. Ed infine al vertice della piramide troviamo la saggezza, conoscenza distillata dall’intuizione e dall’esperienza. La tabella 1.4 illustra in maniera esemplificativa questo processo. dati (data) ( + importanza + scopo = ) informazioni (information) ( + applicazione = ) conoscenza (knowledge) ( + intuizione + esperienza = ) saggezza (wisdom) Tab 4.1 Relazione esistente tra dati, informazione, conoscenza e saggezza. knowledge management”, 2002 47 Fonte: BOTTIN A., “Il Un dato è sostanzialmente un simbolo che non è ancora stato interpretato. Può essere una luce rossa sul cruscotto, così come una lista di misurazioni di un indicatore di processo. Preso a sé stante non ha un valore informativo: certo, si può cercare all'intero di un database aziendale per trovare il nome di un cliente, ma affinché il dato possa essere utile è necessario localizzarlo in un contesto di riferimento. Solo una volta che viene fatta questa operazione il dato diventa informazione. Dopo questa breve classificazione sembra opportuno soffermarsi più a lungo sulla distinzione che esiste tra conoscenza e informazione. Distinzione che ha a lungo tediato studiosi ed economisti e che è bene analizzare più approfonditamente48. Volendo riassumere in poche righe la divisione appena citata possiamo dire che: l'informazione può esistere indipendentemente da chi la utilizza, e quindi può in qualche modo essere preservata su un qualche tipo di supporto (cartaceo, informatico, ecc...), la conoscenza esiste solo in quanto esiste una mente in grado di contenerla. O meglio. La conoscenza è tale solo quando “nasce” con essa un'intelligenza che la utilizzi49. Ne deriva che la concezione di conoscenza va ben al di là della semplice informazione50. Foray sostiene che: “l’informazione è un insieme di structured and formatted data che sono e rimangono inerti e passivi fin tanto quando non sono interpretati da un’intelligenza esterna.” La conoscenza è fondamentalmente un attributo di capacità cognitiva, non è solo sapere ma anche saper fare. Per comprendere ancor meglio questa distinzione è utile guardare alle condizioni nelle quali avviene la riproduzione della conoscenza e dell’informazione. Mentre il costo di replicare l’informazione si riduce al semplice costo fisico della copia (vale a dire praticamente a zero, grazie alle moderne tecnologie), la riproduzione della conoscenza è un processo molto più costoso, perché le capacità cognitive sono difficili da articolare esplicitamente e da trasferire ad altri. E’ famosa a riguardo la citazione di Polanyi: “sappiamo più di quanto non possiamo dire”. La riproduzione della conoscenza e quella dell’informazione sono quindi due fenomeni chiaramente distinti. Mentre la prima avviene mediante l’apprendimento e quindi attraverso la mobilitazione di risorse cognitive, l’altra avviene mediante la duplicazione: l’informazione può essere riprodotta anche mediante una fotocopiatrice. Quando la conoscenza viene distinta dall’informazione i problemi economici ad esse collegati possono anch’essi essere studiati separatamente. Per quel che riguarda la conoscenza, il problema economico principale è la riproduzione (problema dell’apprendimento), mentre la riproduzione dell’informazione non pone particolari questioni (il costo marginale della riproduzione è prossimo allo zero). Il dilemma principale posto dall’informazione è essenzialmente la sua tutela e come assicurarne la diffusione. Un'altra importante differenza tra conoscenza e informazione è legata alla facilità di trasmissione. Le informazioni essendo per natura più simili a una sequenza di bit, in genere sono trasmesse più facilmente in modo impersonale e senza troppi attriti. La conoscenza è invece più simile ad una capacità di base e normalmente è trasmessa con sforzi e attriti che richiedono applicazione sia da parte del trasmettitore sia da parte del ricevente e che implicano ben più di un semplice scambio. In realtà conoscenza e informazione non presentano soltanto divergenze: esse sono risorse profondamente interconnesse e tra di loro interdipendenti. L’informazione non ha alcun valore se non si trasforma in conoscenza, poiché non potrebbe essere impiegata. D’altro canto la conoscenza si deve trasformare in informazione per essere trasferita con facilità e a costi relativamente bassi. Anzi, le informazioni sono il veicolo della conoscenza stessa51. Basti pensare alla Boeing che per progettare l’aereo 777 ha codificato la conoscenza ad esso inerente in informazioni, trasferendola poi nel mondo a costi bassi e in tempi brevissimi. Fu disegnato un 777 virtuale completo e tridimensionale attraverso 2.000 terminali, utilizzati da altrettanti disegnatori e ingegneri. Questa codifica intensiva di conoscenza evitò il lungo e costoso esercizio di costruire modelli sperimentali completi di aerei. Ma questo non basta. Occorre creare una rete di collegamenti tra le diverse informazioni trattenute in modo tale da accrescerne il valore. Solo disponendo di un coerente inquadramento delle informazioni man mano ricevute, si può pensare di conoscere un determinato fenomeno e si è in grado inoltre di affrontare ogni questione attraverso una conoscenza funzionale in grado di utilizzare le informazioni più idonee, di stabilire le relazioni più rilevanti. 48 La trattazione che segue è frutto di una nostra elaborazione a partire da diversi contributi teorici. Cfr. QUAGLI A., “Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale”, GIUFFRÈ, Milano, 1995, pag. 63 50 Abbiamo spiegato nel paragrafo 1.1.2 come economia della conoscenza sia un qualcosa di profondamente differente rispetto all’economia dell’informazione 51 In questo senso si esprime Rugiadini ne “I sistemi informativi d’impresa”. E sulla stessa scia si esprime anche Antonio Bandettini in “Decisioni e necessità di informazione nelle aziende” dove afferma che: “.. di conseguenza l’informazione diventa vettore di conoscenze, formulate in termini quantitativi, dei fenomeni interni e esterni alla combinazione aziendale…” 49 Oltre alla distinzione tra conoscenza e informazione è doveroso esplicitare brevemente il significato e le diversità che intercorrono tra conoscenza e sapere52. Il sapere denota una conoscenza che è stata in qualche modo legittimata, certificata da un meccanismo istituzionale (che può essere scientifico, come l’approvazione da parte di alcuni studiosi). Altre forme di conoscenza, come ad esempio la capacità di far giardinaggio non necessitano del processo di certificazione sociale tipico del sapere. Quello che distingue le due non è tanto la maggiore o minore scientificità, quanto il fatto di essere passate o meno attraverso un meccanismo istituzionale di certificazione. L’economia della conoscenza include sapere e conoscenza, e quindi non è esclusivamente dedita allo studio della conoscenza certificata53. Abbiamo così risolto il problema della scatola nera della conoscenza. 1.2.2 Caratteristiche di una risorsa sui generis Nella knowledge based economy (OECD, 1999) le merci vengono prodotte usando la conoscenza come fattore primario fondamentale. Essa viene impiegata nei processi produttivi sia come fattore autonomo, sia sotto forma di conoscenza incorporata nelle persone, negli oggetti e nei servizi che contribuiscono al risultato produttivo. Ma la conoscenza che serve per produrre merci è essa stessa una merce, ossia un prodotto che viene ottenuto dalle fasi di lavorazione e che può essere comprato e venduto sul mercato, al pari di tutti gli altri prodotti. Nella knowledge based economy, dunque, la conoscenza viene ad essere, nello stesso tempo, il principale fattore produttivo, ma anche il principale prodotto ottenuto dai processi produttivi. Per dirla con Sraffa54, in un’economia basata sulla conoscenza la “produzione di merci a mezzo di merci” diventa in gran parte “produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza”. In questo processo circolare, l’output (la nuova conoscenza ottenuta dal processo corrente) deve rigenerare le proprie premesse ripristinando le condizioni di partenza del ciclo produttivo. Ma la nuova conoscenza, a differenza di quanto avviene alle merci materiali di Sraffa, non deve soltanto riprodurre il suo input (la conoscenza precedente). Deve fare molto di più: infatti deve innovare, adattare, sviluppare la conoscenza precedente per mantenere attive le condizioni che ne giustificano la propagazione e il riuso in contesti che sono sempre differenti da quello di origine. Uno schema aiuterà a comprendere meglio quanto appena detto. Schema 2.1. Come cambia la Schema 2.1 Come cambia la creazione di valore dall’economia premoderna ad oggi. Fonte: nostro adatta mento VALORE ENERGIA a RULL ANI E., “Economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 150 CONOSCENZA Rull ani chiam a la produzione di merci a mezzo di VALORE merci lavoro energetico. Esso consiste nella trasformazione di materie prime in beni finiti tramite il lavoro di uomini e macchine. Il passaggio evidenziato nello schema è chiaro: ad oggi tutto o quasi il valore prodotto è mediato dalla conoscenza. Un lavoro che non passasse per la produzione di conoscenza sarebbe improduttivo nel 90% 52 Tratto da FORAY, “L’economia della conoscenza”, Il MULINO, Bologna, 2000, pag. 18 Non a caso l’economia della conoscenza non è economia della ricerca. Vedi paragrafo 1.1.2 54 Un famoso libro di Piero Sraffa si intitolava, appunto,” Produzione di merci a mezzo di merci” (Sraffa 1960). In esso riprendendo l’approccio dei classici, il processo economico era rappresentato come un processo circolare dove le merci (oggetti, macchine, edifici) sono ottenute impiegando – come input – ancora merci, ossia se stesse, oltre che, naturalmente, lavoro. 53 dei casi. Pertanto la conoscenza non è una “cosa”, ma è un processo nel senso che essa non è cristallizzata in una forma definita a priori ma emerge nel corso dell’azione, scoprendo possibilità che erano impreviste e che risultano sorprendenti per gli stessi scopritori. Conoscere è processo anche perché, è qualcosa che i soggetti fanno mettendo in campo le loro inclinazioni e capacità. Più precisamente conoscere significa costruire il mondo che gli attori devono condividere e abitare, scegliendolo a proprio rischio entro una gamma di possibilità che la conoscenza aiuta ad esplorare, valutare, regolare, mettere in comune. Questo lavoro di “addomesticamento” e condivisione del mondo non si fa in un giorno. Ma richiede un gioco paziente e interattivo di immaginazione, sperimentazione, elaborazione del nuovo. E’ un processo che può essere definito come un endless work, un lavoro che non finisce mai. Nel circuito conoscitivo non c’è un punto di inizio e non c’è un punto di fine55. Dopo questa breve introduzione passiamo ora in rassegna le più importanti caratteristiche della risorsa conoscenza56. Prima di percorrere la descrizione delle proprietà suesposte occorre fare una doverosa premessa. La conoscenza non è un bene come gli altri57. Tutta la costruzione dell’economia della conoscenza sta in piedi se si parte dall’assunto che la stessa sia una risorsa produttiva sui generis, governata da leggi che differiscono sostanzialmente da quelle applicabili al lavoro, al capitale, alla terra. Una volta che lavoro e capitale sono divenuti conoscenza, non sono più gli stessi. Si è prodotta una trasformazione irreversibile. La nuova risorsa si comporterà diversamente dai fattori di partenza che l’hanno generata. La rilevanza teorica di una scienza dedicata specificamente al fattore conoscenza si gioca su tale diversità. E’ da questa dunque che occorre partire per delineare le caratteristiche distintive che rendono peculiare il capitalismo della conoscenza. Caratteristiche della risorsa conoscenza È’ moltiplicabile Non è scarsa Non è divisibile Non è escludibile Non è strumentale E’ utile E’ un prodotto congiunto E’ cumulativa Non è controllabile E’ circoscritta E’ tacita e vischiosa E’ dispersa e frammentata E’ valida E’ riproducibile E’ distribuita E’dissipativa Tab. 5.1 Caratteristiche della risorsa conoscenza elaborazione Fonte: nostra 1) La conoscenza è una risorsa che non si consuma, anzi essa è sempre nuovamente disponibile per altri usi e pertanto si “moltiplica”. Ciò implica che, innanzitutto, la produzione di conoscenza è un processo irreversibile, che introduce una rottura tra passato e futuro58 e inoltre significa che 55 Tratto da FORAY, “L’economia della conoscenza”, Il MULINO, Bologna, 2000, pag. 23 Le caratteristiche della conoscenza sono state rielaborate partendo da numerosi spunti quali quelli di Rullani, Foray, Quagli.. 57 Cfr. RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2005, pag. 287 58 Mentre nel lavoro energetico costo di produzione e di riproduzione vengono a coincidere, perché per produrre un bene materiale altro non si fa che ricalcare tutte le operazioni effettuate per la prima produzione dello stesso, non lo stesso accade per la risorsa conoscenza. Il processo di riproduzione non ripercorre mai le stesse tappe del processo di produzione. Quando emerge una nuova conoscenza essa cambia il punto di partenza di tutte le ricerche successive, si seguirà un percorso diverso da quello seguito per la sua produzione. 56 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 59 il valore utile ottenibile dalla conoscenza, una volta prodotta è potenzialmente illimitato, potendo riutilizzare infinte volte la conoscenza disponibile59; La conoscenza non è una risorsa scarsa, perché i suoi usi non sono concorrenti tra loro60; se cedo una conoscenza ad altri il mio uso non ne viene meno per il fatto che altri la stanno utilizzando; essa può essere adoperata contemporaneamente da una moltitudine di persone senza costi addizionali; Non è divisibile, perché i suoi costi e i suoi ricavi sono associati a processi sociali che legano passato e futuro e intrecciano l’economia di un operatore con quella degli altri. Il suo costo è solo in minima parte imputabile al singolo uso61; Non è escludibile, perché è difficile impedire che altri possano usufruire della conoscenza disponibile mediante copia, imitazione o attraverso la via più onerosa dell’apprendimento creativo compiuto a partire dall’esperienza altrui62; Non è strumentale, perché il conoscere non elabora solo i mezzi, ma cambia le relazioni e le identità degli attori in gioco, modificando gli stessi fini. La conoscenza non è un mezzo per soddisfare scopi dati e non modificabili perché essa muta continuamente le sue premesse63; E’ utile, nel senso che è sempre riferita ad un soggetto o ad un sistema utilizzatore interessato il semplice possesso di conoscenza non assicura all’impresa l’ottenimento dei vantaggi che da essa potrebbero derivare, è necessario che essa venga adeguatamente sfruttata attraverso un comportamento intenzionale da parte degli individui64; E’ spesso un prodotto congiunto. Ovvero la conoscenza è prodotta in un contesto di attività nelle quali sono predominanti altre motivazioni (la produzione di un bene o la fornitura di un servizio); E’ spesso cumulativa. Ovvero essa è capitale di consumo che permette agli agenti di intraprendere azioni, ed è capitale intellettuale che consente agli agenti di produrre nuova conoscenza; È difficilmente controllabile e genera esternalità. Un’impresa ha sempre più difficoltà a controllare le proprie conoscenze che non i propri macchinari. Le occasioni per le fughe di notizie sono numerosissime. Inoltre le stesse conoscenze hanno un impatto positivo sui terzi che le possono utilizzare gratuitamente; E’ localmente delimitata e poco persistente. La nuova conoscenza è spesso di scarso valore per la società perché è prodotta in particolari contesti e con specifici obiettivi. Inoltre gli agenti dimenticano se smettono di eseguire un compito o una procedura; La conoscenza non si consuma nel singolo uso, è rinnovabile all’infinito. Ogni conoscenza comprende in sé uno stock potenzialmente infinito di valore utile corrispondente a tutti i possibili usi futuri. Più la conoscenza si diffonde più cresce il suo valore. 60 La definizione standard di scarsità si riferisce a risorse disponibili in quantità limitata da impiegare in usi alternativi. Ogni uso è dunque associato ad un costo opportunità perché impedisce altre possibilità di impiego. Nel caso della conoscenza la sua natura virtuale rende gli usi non rivali (non alternativi), portando a zero il costo opportunità di ciascuno. 61 O meglio: il processo non può essere frazionato in segmenti spazio temporali oggettivamente separabili. E pertanto non c’è alcun meccanismo di mercato che porti ad una distribuzione dei ricavi che rispecchiando il contributo di ciascun periodo e di ciascun soggetto al risultato finale, possa consentire loro di coprire i costi sostenuti 62 Rendere la conoscenza esclusiva e controllarla privatamente può essere possibile, ma sostenendo costi rilevanti. La conoscenza tende continuamente a sfuggire all’entità che la produce. La conoscenza è una risorsa che si propaga, superando i confini del controllo proprietario. O meglio. Noi non siamo i depositari ultimi del sapere. Abbiamo importato macchine, tecnologie, intercettato conoscenze altrui. Ma tale propagazione non si ferma con noi. Essa continua. E tutto ciò è agevolato dai processi di globalizzazione. Le reti sono sempre più ampie e il valore aggiunto nella supply chain si sta spostando dalla produzione al design, alla progettazione, al servizio 63 Non vi è separazione tra variabili esogene (fini) e variabili endogene (mezzi) 64 Le qualità della conoscenza non esistono oggettivamente. Me devono essere apprezzate da qualcuno che sia disposto a pagare per esse. Inoltre anche la nuova conoscenza deriva da una scoperta o da un’invenzione. Essa non esiste in natura ma è prodotta dall’uomo 11) Talvolta è tacita e vischiosa, ovvero è non articolata né codificata, risiede nelle persone. Ne deriva che è anche difficilmente trasferibile65; 12) La conoscenza è dispersa e frammentata. All’aumentare della specializzazione e della divisione del lavoro la conoscenza tende a frammentarsi; 13) Valida ovvero utilizzabile in contesti diversi da quello di origine; 14) Riproducibile a costi limitati e in tempi ragionevolmente rapidi per ciascuno dei diversi usi richiesti; 15) Distribuita da un sistema di trasferimento logistico che la preleva dal luogo/momento di origine per renderla disponibile in ciascun luogo/momento di uso; 16) La conoscenza è una risorsa dissipativa, da rigenerare continuamente perché perde valore nel corso del tempo (basti pensare alle forme di imitazione della conoscenza). 1.2.3 Alcune possibili tassonomie Carlo Simongini, presidente e amministratore delegato di Mazda Motor Italia S.p.a. sostiene che: “Il vantaggio competitivo di un’azienda sta nella capacità di valorizzare le conoscenze importanti per il business e diffonderle all’interno dell’organizzazione, creando una cultura della condivisione del sapere, sfruttando a proprio vantaggio le nuove tecnologie, generando innovazione, anticipando i concorrenti e orientandosi al cliente. Promuovendo uno scambio ininterrotto di conoscenza fra tutti i membri si attiva un processo di apprendimento e formazione continua del personale e ciò determina maggiore innovazione sia nei processi sia nei prodotti-servizi”66. Gli strumenti utilizzati in Mazda per la comunicazione interna, per far emergere le conoscenze tacite ed implicite, potrebbero essere sintetizzati nella frase “Comunicare, comunicando”. Le conoscenze che emergono dai diversi incontri sono coltivate e alimentate quotidianamente, cercando il coinvolgimento di tutti. La loro diffusione avviene nel minor tempo possibile. Il loro occultamento è ritenuto un errore che potrebbe creare difficoltà per la crescita dell’azienda. E’ proprio dalle parole di Simongini e dalla sua “teoria”/necessità di far emergere le conoscenze tacite ed implicite presenti in azienda che parte la trattazione di questo paragrafo. Al fine di una corretta gestione della conoscenza aziendale occorre preliminarmente saper riconoscere e distinguere le varie categorie di conoscenza, poiché esse vengono create e coordinate in modo diverso all’interno dell’organizzazione. Si possono annotare almeno tre classificazioni rilevanti in merito alla conoscenza67: - Per tipologia, distinguendo tra conoscenza esplicita e tacita, - Per contenuto, distinguendo tra conoscenza esplicita, esperenziale, endemica ed esistenziale. - Per livello, distinguendo tra conoscenza individuale, di gruppo, organizzativa e di rete. Il primo criterio prende in considerazione le due seguenti categorie di conoscenza (tralaltro già sostenute da Polenyi)68: - Conoscenza tacita. E’ personale, specifica del contesto e in quanto tale difficilmente formalizzabile e comunicabile, - Conoscenza esplicita. E’ codificata e trasmissibile attraverso un linguaggio formale. Si possono illustrare gli elementi di distinzione tra i due tipi di conoscenza attraverso la tabella 6.1. Conoscenza tacita (soggettiva) 65 Conoscenza esplicita (oggettiva) Si fa in particolar modo riferimento alla nuova conoscenza. Il significato di conoscenza tacita verrà trattato nel paragrafo successivo 66 Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 33 67 Cfr. TONCHIA S., TRAMONTANO A., TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledge management. Reti organizzative e nuove tecnologie: l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24 ORE, Milano, 2003, pag. 83. Una classificazione simile era già stata proposta da Nonaka e Takeuchi. 68 Ci limitiamo in questa sede a chiarire il significato di questi termini per demandare al secondo capitolo la modalità di gestione delle stesse. Conoscenza esperenziale (corporea) Conoscenza simultanea (qui ed ora) Conoscenza analogica (pratica) Conoscenza razionale (mentale) Conoscenza sequenziale (là e allora) Conoscenza digitale (teorica) Tabella 6.1 Elementi distintivi dei due tipi di conoscenza. Fonte: Nonaka e Tachuci, The knowledge crewating company, Oxford University press, New York 1995 Analizziamo più approfonditamente questi concetti69. Una conoscenza si definisce esplicita se riguarda informazioni strutturate come brevetti, documenti, regole, procedure ovvero qualcosa di codificato, disponibile e quindi facilmente trasmissibile e conservabile. E’ quella forma di conoscenza che può in qualche modo essere rappresentata, o meglio, che può essere trasferita da un individuo ad altri tramite un supporto fisico, quale può essere un libro o un filmato, o direttamente, attraverso una conversazione e una lezione. Un documentario, un manuale, un corso, sono tutti contenitori di conoscenza esplicita. È conoscenza codificata ed elaborata e facilmente reperibile nei documenti o in formato digitalizzato. Si definisce, invece, tacita, se riguarda informazioni non espresse in forma documentale come le competenze, i valori, le intuizioni, l’esperienza della singola persona che lavora per un’azienda, in altri termini qualcosa che esiste come potenzialmente disponibile ma che non è codificato e risulta, quindi, difficilmente trasmissibile. E’ quella forma di conoscenza che ci è più propria, quella che si identifica con ciò che sappiamo, anche se a volte non siamo capaci di esplicitarlo. Non tutta la conoscenza tacita è in effetti esplicitabile, e quando lo è, non è detto che lo possa essere completamente. Il saper fare qualcosa è conoscenza tacita, così come lo è quella particolare forma di conoscenza al quale diamo il nome di intuizione, e che altro non è che la capacità di utilizzare in modo inconscio la propria esperienza per risolvere in maniera apparentemente magica e inspiegabile, problemi anche molto complessi. E’ soggettiva e personale e difficilmente catalogabile, destrutturata e difficilmente trasferibile, di valore elevato. L’idea è che le capacità pratiche delle persone vadano ben oltre le conoscenze codificate che imparano nei libri di testo, che depositano nei brevetti o che scrivono nei progetti ingegneristici. Le persone sanno di più di quello che riescono ad esplicitare o a spiegare: basti pensare alla differenza che c’è tra il sapere implicito che ci permette di organizzare discorsi, andare in bicicletta, suonare il piano e il sapere esplicito che dovrebbe spiegare come riusciamo a farlo. Proprio per questo la conoscenza tacita è unica, fa storia a sé, è legata al contesto in cui prende forma e emerge solo quando viene usata. Non esiste un processo standard che la produca, né tanto meno un mercato che possa scambiarla arrivando ad un prezzo di equilibrio. E’ il know how che si contrappone al know what della conoscenza esplicita70. Per concludere troviamo poi la conoscenza aziendale. Si può definire la conoscenza ziendale come l’insieme di ciò che l’azienda sa (conoscenza esplicita) e di ciò che essa non sa di avere (conoscenza tacita).71 La seconda categoria di analisi (quella del contenuto) analizza, invece, i diversi gradi di complessità della conoscenza 72. Ne vediamo una rappresentazione nello schema 3.1. SEMPLICE COMPLESSA 69 Occorre sottolineare come insieme a conoscenza tacita ed esplicita esista anche la conoscenza implicita, che è quel tipo di conoscenza accessibile attraverso quesiti e colloqui, ma deve prima venire comunicata da parte del soggetto detentore e poi individuata per una sua esplicitazione. 70 Molto spesso si usano come sinonimi di conoscenza tacita ed implicita i termini di conoscenza CONOSCENZA strutturata e non strutturata. E’ un accostamento che può reggere bene, facendo la prima riferimento a CONOSCENZA ESPERENZIALE quei saperi che vengono catalogati e resi disponibili a tutta l’organizzazione, la seconda riguarda, invece, ESPLICITA i documenti presenti nell’organizzazione sotto varie forme, i verbali delle riunioni, le e-mail, insomma tutta quella conoscenza legata all’individuo e al singolo contesto in cui è stata generata. 71 Cfr. SORGE, “Gestire la conoscenza. Introduzione al knowledge management”, SPERLING & KUPFER, Milano, 2000., pag. 5-7 72 Cfr. DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P., “Da globale a metanazionale. Le strategie di successo nell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2001, pag. 115 CONOS CENZA CON Schema 3.1. La complessità della conoscenza Fonte: DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P., “Da globale a metanazionale. Le strategie di successo nell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2001, pag. 115 La forma più semplice di conoscenza è quella che può essere resa pienamente esplicita, articolata e codificata in modo da essere universalmente comprensibile. Si parla di un tipo di conoscenza che fa riferimento alla conoscenza scientifica e a quella tecnica che possono essere catturate ad esempio in un brevetto o in un programma. Ma non tutta la conoscenza può essere articolata e codificata: molto spesso si richiede un apprendimento attraverso la pratica e l’esperienza. Molte abilità individuali e procedure operative rappresentano conoscenza esperenziale, il gradino successivo nella scala della complessità della conoscenza. La conoscenza endemica è ancora più difficile da comprendere e comporta numerose problematiche perché si deve conoscere il contesto nel quale tale conoscenza è radicata73. Non si può pretendere di conoscere gli ingredienti del successo dell’azienda 3M solo per aver avuto accesso al suo piano di gestione dell’innovazione. Sono conoscenze complesse che devono essere contestualizzate. Più complesso ancora è il tipo di conoscenza che si manifesta in ambito culturale, come l’arte, la musica, la moda: la conoscenza esistenziale è sia tacita, sia radicata nel contesto locale. Per capire una conoscenza di questo tipo non è sufficiente calarsi nei “panni della fonte”; bisogna penetrare nella sua mente. Questo tipo di conoscenza è rilevante perché comprende i valori e le emozioni che guidano movimenti di successo, come ad esempio i circoli di qualità in Giappone. Non riuscire a gestire e conoscere la complessità della conoscenza può portare a errori particolarmente dannosi74. Un’ultima classificazione merita di essere trattata75. E’ quella che distingue tra: - Conoscenza individuale: è la conoscenza generata dal singolo individuo, quella che si dissolve con la fuoriuscita dall’organizzazione del suo creatore/possessore; - Conoscenza di gruppo: di fatto si verificano le medesime circostanze appena descritte per la conoscenza individuale, con la differenza, però, che la generazione e detenzione della stessa non è in mano ad un unico individuo, ma ad un gruppo di persone76; - Conoscenza organizzativa: è la conoscenza d’azienda, quella che si viene a creare a seguito di una cultura fortemente orientata alla condivisione della conoscenza individuale e di gruppo; - Conoscenza di rete: è conoscenza organizzativa allargata, concernente non più soltanto la singola impresa ma tutti gli attori della filiera in rapporto con essa77. 73 Consideriamo il caso Disney World. In Florida l’ospite/cliente riceve sempre un sorriso da un membro dello staff Disney, anche in caso di lamentela. Immaginiamo ora di dover creare un parco tematico Disney fuori Orlando. Sarà sufficiente trasferire la conoscenza accumulata da Disney World in merito a cosa faccia sentire il cliente coccolato? Sarà sufficiente adottare semplicemente la regola “sorridi sempre al visitatore?” Sicuramente no. Il cliente potrebbe percepire il sorriso come una presa in giro e il risultato sarà negativo per l’ospite e per la soddisfazione del dipendente. La spiegazione di tale fenomeno sta nel fatto che il sorridere sempre non è altro che la punta di un grande iceberg che rappresenta la conoscenza. Quell’imperativo contiene in sé un vasto insieme di assunti impliciti su che cosa generi la soddisfazione del cliente. La regola del quando sorridere dipende perciò dal contesto. Se trasferisco la regola in un contesto diverso e a persone che pensano e agiscono differentemente si potrebbero creare dei fraintendimenti. 74 Abbiamo deciso di riportare questa particolare classificazione di conoscenza in quanto si innesta bene con quanto verrà trattato nel secondo capitolo. 75 Le categorie della conoscenza e le sue classificazioni sono innumerevoli. In questa sede abbiamo considerato quelle che a nostro avviso sono le più importanti. Nel capitolo successivo verrà chiarita la differenza tra conoscenza hard e conoscenza soft e quella tra conoscenza pubblica e privata, in sede di trattazione del modello di creazione del valore. Bisogna inoltre considerare che a seconda di ciò che si sta studiando ed analizzando sarà migliore una classificazione piuttosto che un’altra. 76 Pertanto l’eventuale fuoriuscita di uno degli individui costituenti il gruppo non determina la totale perdita di conoscenza. 77 Sono le conoscenze dei clienti, dei fornitori, dei partner strategici, che se ben gestite possono portare al raggiungimento di un vantaggio competitivo. 1.3 Perché gestire la conoscenza aziendale? “What firms do?”. Kought e Zander (1996) aprono con questa domanda un saggio in cui la risposta è: le imprese producono ed elaborano conoscenza, dando forma, in questo modo, al loro coordinamento, alla loro identità e ai loro processi di apprendimento. Qualche anno prima, ad una domanda simile (Why firms exist?) si sarebbe risposto che le imprese esistono per ridurre, con la gerarchia, i costi di transazione. Il cambiamento intervenuto nella domanda e ancor più nelle risposte, segnala che l’impresa è divenuta una knowledge based company: la sua esistenza si giustifica se innova, compete e genera valore producendo e usando la conoscenza. Quanto appena descritto basta a comprendere il notevole incremento di interesse, anzi il radicale cambiamento di rotta che si è avuto nel corso degli ultimi anni da parte di tutto il mondo politico ed economico78. Il knowledge management e in particolar modo le sue implicazioni a livello aziendale sono oggi sotto le luci della ribalta scientifica e pubblica. Lo stesso Bacone sosteneva che gestire la conoscenza significa gestire il potere. Queste affermazioni vengono confermate da quanto asserito nei primi due paragrafi del presente elaborato: viviamo in un’epoca dove la conoscenza costituisce il principale fattore produttivo, il “motore” del nuovo capitalismo cognitivo. Le tradizionali fonti di vantaggio competitivo non sono più capaci di produrre un risultato duraturo, tanto da decretare la nascita di una nuova fonte di valore per l’impresa, stabile e sostenibile: la conoscenza79. Non si può pertanto ignorare l’esistenza della stessa, né tanto meno si può prescindere da una sua corretta gestione: anzi occorre amministrare e coordinare nel miglior modo possibile tutte le variabili in gioco per non trovarsi in una posizione di svantaggio competitivo. Questo paragrafo, che conclude il primo capitolo del nostro lavoro, si propone infatti di mettere in luce, da un lato l’importanza dell’argomento in questione e dall’altro la necessità, quasi l’obbligo, di gestire la conoscenza aziendale attraverso adeguati strumenti. Questa sezione funge quindi da ponte con quanto verrà trattato in seguito, in quanto prende in considerazione tutte le principali motivazioni per le quali le imprese si dovrebbero dotare di un sistema di knowledge management80. Siamo convinti che è soltanto comprendendo le cause ultime della materia che si può “abbracciare” anche tutto ciò che ne consegue. 1.3.1 Motivazioni di tipo esogeno ed endogeno Per comprendere l’importanza dell’argomento occorre ora rispondere ad alcune importanti domande. Perché, nonostante lo scetticismo di molti, dovuto anche alle comunicazioni spesso superficiali e confuse di media e fornitori, il knowledge management continua a riscuotere successo? 78 Tratto da: RULLANI E., “L’Economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 231 Alcuni studiosi avevano avanzato l’ipotesi che fosse la tecnologia la nuova fonte di vantaggio competitivo. Ipotesi immediatamente smentita da esperienze reali che hanno dimostrato come la tecnologia sia soltanto un fattore facilitante il conseguimento del vantaggio, non anche elemento essenziale dello stesso. 80 Abbiamo deciso di trattare le motivazioni di un’oculata gestione della conoscenza prima di parlare del vero e proprio knowledge management perché ci sembrava più corretto, da un punto di vista logico, inserire questo aspetto al termine del primo capitolo, come naturale conseguenza al fatto che ci collochiamo in una knowledge era. 79 Perché molti grandi operatori del software stanno allestendo un’offerta di knowledge management e le maggiori società di consulenza hanno creato centri di competenze ad hoc, e dal lato della domanda sempre più aziende avviano progetti in questo campo? La risposta è presto detta. La competitività aziendale affonda le sue radici, oggi più che mai, nella necessità di catturare ogni aspetto possibile della conoscenza per evitare che qualunque cosa che in qualche modo l’organizzazione ha appreso possa andare perduta. In un momento storico in cui i vantaggi competitivi sono fenomeni effimeri, le modalità di utilizzo dei dati (rendendoli accessibili oppure studiandoli dettagliatamente con procedure analitiche) diventano sempre più importanti per il successo di un'azienda. Le imprese che sottovalutano queste preziose fonti corrono il pericolo di mancare splendide opportunità e persino di perdere per sempre le informazioni stesse. I dipendenti spesso sprecano tempo in lavorazioni già fatte perché non sono consapevoli di attività simili già svolte da colleghi. I nuovi assunti non sanno dove cercare le informazioni o a chi rivolgersi per avere una risposta. Potrebbe così accadere che i clienti decidano di acquistare altrove e che i partner perdano opportunità strategiche. Tutto perché certe informazioni rilevanti non si riescono a trovare quando se ne ha bisogno. La soluzione a queste mancanze prende il nome di knowledge management. Il concetto di knowledge management è confuso81, ma non è una moda: ignorarlo costa 3.000 sterline l’anno per dipendente, in termini di perdite di conoscenze interne, ricreazione di conoscenze già esistenti, scarsa innovatività, sovraccarichi informativi, tempi di decisione troppo lunghi, incapacità di trovare gli skill giusti per un dato progetto, non condivisione di best practise82. Ignorare la conoscenza in azienda, insomma, costa. A conferma di quanto appena detto basti pensare alle migliaia di informazioni che un’azienda produce e che potenzialmente potrebbe utilizzare a proprio vantaggio83. Ogni organizzazione genera grandi quantità di informazioni nel corso della propria attività, ma poche sono oggi in grado di far leva su questi contenuti per creare nuove opportunità o capitalizzare il patrimonio di conoscenza collettiva maturato. Milioni di documenti, e-mail, relazioni, prospetti, progetti e pagine Web oltre alla mole enorme di conoscenza tacita o non scritta in possesso dei dipendenti rischiano di restare nascosti e il loro potenziale inutilizzato. Basti pensare ad esempio alla mole di conoscenze che viene generata per lo sviluppo e il mantenimento di un prodotto in termini di descrizione di attività o di gestione dei risultati conseguiti; o ancora la progettazione e la gestione della produzione e della logistica insieme al supporto alla rete commerciale che determinano grandi quantità di informazioni in termini di indagini di mercato, descrizione delle specifiche tecniche84. “In fondo la conoscenza permea tutto il sistema d’azienda, 81 Come si vedrà nel secondo capitolo non esiste un’unica ed universale definizione di knowledge management. 82 Tratto da una conferenza tenuta da MACORI I. di “GREEN TEAM”, “Knowledge management, esperienze e soluzioni di gestione della conoscenza aziendale”, 2002. La stima sopra citata in merito alle perdite in cui può incorrere un’azienda a causa di una mancata gestione della conoscenza è puramente indicativa, non potendo fornire un dato certo ed universale per tutte le imprese. Di fatto, però, un la mancanza di un sistema di gestione della conoscenza costa. 83 QUAGLI A., “Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale”, GIUFFRE’, Milano, 1995. Citiamo a riguardo dei casi esemplificativi. L’importanza delle conoscenze relative alla modalità di acquisizione e lavorazione delle materie prime; le conoscenze di natura commerciale relative ad esempio all’andamento dei mercati di fornitura, nel sistema delle relazioni ricordiamo la comprensione dei clienti, dei loro gusti, o anche quella dei punti di forza e debolezza delle aziende concorrenti. Siamo immersi in un oceano di saperi che occorre gestire. 84 Tratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Gestione_della_conoscenza_aziendale dall’attività di produzione al sistema delle relazioni, per arrivare fino al management”, sostiene Bassini, Direttore del personale di Actv Venezia Spa85. Quanto appena descritto rappresenta una prima macro motivazione che dovrebbe indurre le imprese a dotarsi di un sistema di knowledge management. Citiamo qualche dato a conferma di quanto appena asserito86. La maggior parte delle aziende è soffocata dalle sue stesse informazioni. Alcuni sostengono che questi dati "raddoppiano circa ogni 12-18 mesi" e che le dimensioni dei principali archivi dati, ossia "quelli che raggiungono o si avvicinano alla soglia di 100 terabyte, probabilmente vengono triplicate ogni tre anni"87. Con l'aggiunta di ulteriori sistemi, nelle aziende sono stati acquisiti molti più dati di quelli appena citati. Inoltre, l'aumento della regolamentazione governativa in merito alla conservazione delle informazioni ha rafforzato questa tendenza. Si consideri ad esempio la quantità di informazioni generata in relazione alle garanzie e alle riparazioni nel settore automobilistico. Nel 2004, J.D. Power and Associates mise al primo posto la Hyundai Sonata per il più alto livello qualitativo iniziale tra le macchine di media cilindrata. Per raggiungere questo livello qualitativo è stato necessario molto lavoro e un utilizzo attento delle informazioni. Nell'America del Nord, lo Hyundai North American Quality Center consente a Hyundai Motors di tenere traccia delle informazioni acquisite tramite le richieste in garanzia. Il centro collabora con i team tecnici e di progettazione per rispondere velocemente ai problemi, comunica con i gruppi di produzione per apportare le necessarie modifiche alla linea di montaggio e illustra i problemi ai team di progettazione per evitare che si ripresentino sui nuovi modelli. Grazie a strumenti di analisi avanzata, la Hyundai sta lavorando sulla combinazione di gruppi di dati apparentemente isolati per prevedere i problemi prima che si verifichino e diventino troppo costosi. Un altro esempio nel quale grandi volumi di informazioni dell'ultimo minuto vengono utilizzati e trasformati in conoscenze di importanza critica è quella dell’aeroporto internazionale di Zurigo. Tra i primi 10 aeroporti europei per numero di passeggeri, l'aeroporto di Zurigo presenta una gestione estremamente complessa con i suoi 180 partner e quasi 20.000 dipendenti. Quando si verificano ritardi in un settore, dalla gestione dei bagagli al catering, l'intera struttura ne risente. Unique, la società privata che gestisce l'aeroporto, ha compreso bene questi meccanismi e ha creato un software chiamato Zeus per assicurare la gestione ottimale e integrata di tutte le attività dell'aeroporto. Sviluppato in soli tre mesi, Zeus raccoglie e visualizza informazioni relative all'intero aeroporto: dati sui voli, statistiche sulla puntualità, stato delle operazioni relative ai bagagli e molto altro. Per tutte le parti coinvolte, è di vitale importanza disporre di informazioni in tempo reale per poter prendere decisioni essenziali e agire in modo appropriato e tempestivo. Ad esempio, la torre di controllo può sapere istantaneamente quali voli non sono ancora pronti al decollo e se, da qualche parte nell'aeroporto, gli addetti ai bagagli sono in ritardo rispetto alle attività pianificate. Grazie a queste informazioni, la torre di controllo può spostare velocemente gli aerei in altre aree dell'aeroporto per le operazioni di carico e scarico, riducendo i ritardi e riportando l'intero aeroporto in linea con la programmazione. La grande quantità di dati che l’azienda 85 L’azienda Actv Venezia Spa è una municipalizzata di trasporti che opera nell’ambito della navigazione e del trasporto autmobilistico. 86 Tratto da: Microsoft Corporation, “L’azienda people ready”, 2006 87 http://www.governmententerprise.com/showArticle.jhtml?articleId=175801775 possiede, insomma, ha valore solo se consente di reperire le informazioni più appropriate a sostegno di una particolare decisione. Lo scopo del knowledge management pertanto non è altro che quello di rendere disponibile il contenuto del patrimonio informativo dell’azienda, in qualunque forma esso possa essere rappresentato, a coloro che ne hanno bisogno per svolgere la propria attività. O meglio. Il suo traguardo è quello di rendere esplicita, e quindi fruibile ai più, la conoscenza tacita ed implicita che ogni figura professionale all’interno dell’azienda ha maturato con il suo lavoro, affinché l’impresa ne tragga un vantaggio economico. Per comprendere meglio i fenomeni appena descritti e l’”urgenza” di un sistema di knowledge management all’interno di qualunque realtà aziendale occorre fare riferimento alle finalità che lo stesso si prefigge e alle sue motivazioni intrinseche88. Nella tabella successiva ne troviamo una chiara esplicitazione. Iniziamo con la spiegazione delle motivazioni di tipo esogeno89. Al momento attuale, l’incremento delle transazioni di mercato connesse alla conoscenza è particolarmente rapido. L’aumento del tasso di crescita delle domande di brevetto, l’impressionante ammontare di profitti derivante dalle licenze e l’esplosione dei costi associati alle cause per violazione dei diritti di proprietà intellettuale sono tutti indicatori dello sviluppo impetuoso dell’ “economia di mercato fondata sulla conoscenza”90. Motivazioni esogene Motivazioni endogene Estensione dei mercati ad alta intensità di conoscenza Disseminazione delle tecnologie dell’informazione Nuovi metodi per la valutazione del capitale intangibile Non “reinventare la ruota” Incrementare le opportunità di innovazione Creare valore economico Risolvere nuovi problemi Evitare occultamento e perdita di conoscenza Incrementare la produttività e evitare perdite Tabella 7.1 Le motivazioni del knowledge management. Fonte: nostro adattamento da FORAY D., “L’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 118 e 124 (per ciò che riguarda le motivazioni esogene) e MARCORI I., nella conferenza “Il knowledge management”, 2002 (per le motivazioni endogene) 88 Le cause che spingono all’adozione di un sistema di KM sono frutto di una nostra elaborazione a partire dall’analisi di diversi contributi. Le motivazioni che vengono elencate in quest’ambito sono pertanto quelle che a nostro avviso risultano essere le più evidenti e le più importanti. 89 Cfr. FORAY D., “L’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 118 e 124 90 Arora, Fosfori, Gambardella, 2001. Ma i mercati della conoscenza sono inefficienti per definizione91. Acquirenti e venditori non sono ben informati, inoltre, cosa ben più grave, l’unità prodotta è difficile da definire, visto che la conoscenza non è venduta né a peso né a metro. In ordine a questo tipo di problemi, la gestione della conoscenza può essere vista come un tentativo di migliorare l’efficienza dei mercati, da un lato proteggendo le innovazioni, dall’altro facendo una gestione preventiva del problema, assicurandosi che le aree di ricerca e innovazione rimangano libere92. In più: per ciò che concerne le tecnologie ICT93, esse prima di diventare soluzioni si presentano come problemi. L’introduzione di nuove tecnologie pone, in prima battuta, incertezze di adeguamento della forma organizzativa d’azienda. Necessariamente si richiede, quindi, lo sviluppo di interfacce intra e inter organizzative che ri-ottimizzino il passaggio di conoscenze tra i diversi nuclei costituitisi. Tale processo viene nella maggior parte dei casi affrontato tramite un sistema di knowledge management. Da ultimo poi non bisogna dimenticare come la valutazione del capitale intellettuale sia divenuta un elemento fondamentale nella valutazione dell’impresa94. Osservando che le variazioni nel valore di Borsa non erano affatto correlate a variazioni del valore contabile, l’impresa scandinava Skandia ha concluso che la misurazione del capitale intangibile diventava un compito irrinunciabile, e soprattutto un dovere nei confronti degli azionisti. E ovviamente per quantificare le attività intangibili occorre in primo luogo identificarle attraverso tecniche di gestione della conoscenza. Per ciò che concerne le motivazioni endogene95 possiamo dire che un sistema di knowledge management consente innanzitutto di evitare di re-inventare soluzioni e di ripetere gli stessi errori commessi in passato, attraverso il miglior uso possibile della conoscenza esistente. Molto spesso, infatti, i lavoratori appartenenti alla stessa organizzazione possono trovarsi nella situazione di creare e ricreare inconsapevolmente la stessa conoscenza. Il knowledge management mira a diminuire questa possibilità: le informazioni vengono condivise per poter essere riutilizzate e trasformate in conoscenza utile96. Si tratta poi di incrementare le opportunità di innovazione ricombinando e sfruttando sinergie e know how intersettoriali. Il costo associato al mancato sfruttamento di un’invenzione (ignorare una buona idea) è diventato così gigantesco che le imprese non possono più permettersi di “perdere uno o due treni di 91 Teece, 1998 E’ un processo che va al di là del semplice brevetto. Una strategia efficace di affermazione della proprietà intellettuale passa necessariamente attraverso la codificazione e l’organizzazione della conoscenza. 93 Le tecnologie ICT saranno oggetto di approfondimento nel proseguo del lavoro. 94 Il capitale intellettuale viene definito dal Dizionario Economico di Finanza e Mercati come: “l’insieme delle risorse immateriali possedute o controllate da una società o da un organizzazione, che fornisce un vantaggio competitivo. Il capitale intellettuale include risorse quali la conoscenza e l’esperienza dei dipendenti, i marchi, le informazioni e le relazioni con i clienti, i contratti, i beni di proprietà intellettuale quali brevetti e diritti d’autore, nonché le tecnologie organizzative, i processi e i metodi”. Necessariamente la conoscenza, essendo una risorsa immateriale, è una componete del capitale intellettuale. Il capitale intellettuale viene tradizionalmente suddiviso in capitale umano, capitale relazionale, e capitale organizzativo. 95 Cfr. FORAY D., “L’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 118 e 124 e MARCORI I., nella conferenza “Il knowledge management”, 2002. 96 Tratto da: SORGE, “Gestire la conoscenza. Introduzione al knowledge management”, SPERLING & KUPFER, Milano, 2000., pag. 10 92 seguito”. Diventa quindi essenziale adottare strategie organizzate per raccogliere e catalogare idee e suggerimenti da parte dei lavoratori. In aggiunta alla gestione della conoscenza, l’incentivazione e lo stimolo della creatività diventano essenziali. Un ulteriore obiettivo è quello di creare valore economico direttamente a partire dallo stock di conoscenza. La conoscenza condivisa e capitalizzata crea valore all’interno dell’organizzazione. Questa consapevolezza deve appartenere ad ogni collaboratore. Il knowledge management si prefigge, pertanto, l’obiettivo di definire strutture che favoriscano lo scambio, la condivisione e il conseguente riutilizzo delle informazioni. Questo processo porta a sollecitare il consenso dei fruitori che sentono sempre più la conoscenza come valore aggiunto. Pratiche di knowledge management servono poi per risolvere e affrontare nuovi problemi che in passato non esistevano. Si parla della necessità di aggiornare alcune prassi organizzative, di risolvere i nascenti problemi di coordinamento, di individuare la risposta migliore ad ogni quesito, di reagire in modo efficiente ed efficace ad un contesto complessivamente globalizzato che renderà il mercato molto più dinamico e reattivo. Si tratta poi di evitare incapacità di apprendimento97, sia a livello individuale che a livello organizzativo. Un’altra motivazione a supporto e sostegno delle pratiche di knowledge management concerne il fatto di sottrarsi ai fenomeni di occultamento e perdita di conoscenza. Per ciò che concerne l’occultamento, molto spesso si verifica che le tradizionali prassi di lavoro alimentino nei dipendenti comportamenti di tipo individualistico con il conseguente mantenimento della conoscenza in forma segreta. Il knowledge management promuove, invece, meccanismi che facilitano l’accessibilità e la condivisione della conoscenza. La perdita di conoscenza, inoltre, può essere dovuta all’interruzione di collaborazione tra dipendente qualificato e impresa98. In questo caso il knowledge management si pone come obiettivo quello di conservare il patrimonio intellettuale d’impresa archiviando adeguatamente la conoscenza acquisita di ogni lavoratore. Tutto ciò consentirà di incrementare la produttività d’azienda ed evitare così perdite. Oltre agli elementi sopra citati anche altri fattori tipici di un sistema di knowledge management consentono di raggiungere questo obiettivo. Ne ricordiamo alcuni: la capitalizzazione dei feed-back che all’organizzazione pervengono dagli stessi dipendenti, dai clienti, dai fornitori; l’abbattimento delle barriere geografiche e funzionali; il miglioramento dell’efficienza dei processi, la riduzione del time to market; il perfezionamento delle relazioni con i clienti. A conclusione del paragrafo sembra opportuno riportare un particolare caso aziendale: quello della Nice spa., azienda che opera da circa 40 anni nel settore radio-elettronico dell’automazione dei cancelli. Ad un certo momento Lauro Buoro, presidente di Nice spa, constatando quanto la tecnologia fosse stagnante, il design assente, i colori dei prodotti austeri, decise di fare una vera e propria rivoluzione: decise di introdurre un sistema di knowledge management. Le difficoltà che incontrò non furono poche e l’obiettivo di portare le persone a esternare le conoscenze considerate come bagaglio tecnico-culturale 97 L’apprendimento è fondamentale nell’economia della conoscenza. Per una trattazione più approfondita dell’argomento si rimanda al terzo capitolo. 98 Basti pensare a quante gravi perdite di conoscenza si verificano ogni qualvolta un dipendente lascia l’organizzazione o ad esempio ai danni derivanti dalla difficoltà degli individui a comunicare e . condividere con altri le proprie esperienze strettamente personale (quindi difficilmente condivisibile) fu arduo da raggiungere, ma nel momento in cui si è arrivati al confronto delle varie esperienze per creare nuovi prodotti, si è reso palese quanto la condivisione delle conoscenze rappresentasse un vantaggio per ognuno99. Queste le ragioni che hanno portato alla necessità di occuparsi della conoscenza e della sua gestione attraverso la creazione di architetture di knowledge management. Passiamo ora all’analisi vera e propria del “mondo” della gestione della conoscenza. 99 Il caso Nice s.p.a. è tratto da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, Milano, 2005, pag. 39. CAPITOLO SECONDO CONOSCENZA AL LAVORO: IL KNOWLEDGE MANAGEMENT “Comunicare l’un l’altro, scambiarsi informazioni è natura; tener conto delle informazioni che ci vengono date è cultura”. W. Goethe 2.1 La gestione della conoscenza: alcuni concetti introduttivi Il primo capitolo si è concluso con l’affermazione dell’urgenza e della necessità di introdurre sistemi di gestione della conoscenza all’interno delle organizzazioni aziendali. Non è stato però detto in che cosa consiste un sistema di knowledge management né tanto meno quali sono le sue implicazioni a livello d’impresa. L’obiettivo di questo capitolo è pertanto quello di fornire una panoramica quanto più possibile chiara e lineare in merito alle tematiche concernenti il knowledge management, senza la pretesa ovviamente di elaborare un approccio valido in assoluto e migliore di quelli che sono già stati progettati100. L’impostazione che viene seguita in questo capitolo è coerente con quanto trattato in precedenza: riteniamo che soltanto comprendendo le dinamiche di fondo della disciplina si possono sviscerare le sue problematiche e proporre delle soluzioni ad hoc. Descrivere e contestualizzare l’argomento è pertanto fondamentale. La disciplina del knowledge management101 è oggi più che mai, una disciplina in fieri, mutevole e dinamica, che copre trasversalmente tutti gli aspetti dell’essere e dell’esistenza di un’azienda, andando pertanto ad assumere la forma di scienza multidimensionale e dallo svolgimento irregolare. Le difficoltà che si incontrano, infatti, nella trattazione di un argomento di questa portata concernono proprio la mancanza di definizioni universalmente accettate e di regole di implementazione da seguire autonomamente, ma soprattutto partono dalla consapevolezza che molti sono ancora gli studi in corso d’opera e le problematiche da dover considerare e da dover affrontare. Inoltre, nonostante il knowledge management sia un “fenomeno” che gode ormai di una fama a livello internazionale e sia al centro delle attività di molte aziende, una vera e propria determinazione e delimitazione è ben lontana dall’essere 100 Il capitolo prenderà in esame il concetto di gestione della conoscenza per poi passare all’analisi dell’ impatto che essa ha a livello operativo d’azienda. Si conclude poi con l’illustrazione dei punti di forza e le cause di un possibile insuccesso della nuova disciplina della nuova disciplina. L’intento è quello di fornire una visione sistematica di quanto già esiste in letteratura in merito al knowledge management, ma al contempo di illustrare aspetti peculiari della materia che non sempre emergono dagli studi teorici fin’ora effettuati. 101 D’ora in poi il termine knowledge management verrà spesso abbreviato con la sigla KM. data. E’ la natura stessa della disciplina a renderne difficile una formalizzazione efficace. Consapevoli, quindi, dell’importanza e al contempo della insufficiente armonia di questo settore di studio abbiamo deciso di procedere con un approccio che metta in evidenza dapprima le basi teoriche della disciplina per poi avanzare, nel terzo capitolo, con l’illustrazione di una particolare visione del knowledge management. Detto questo occorre procedere ora con l’analisi di ciò che si intende con il termine di knowledge management. 2.1.1 Cos’è il knowledge management? Una prima e seppur banale definizione di knowledge management potrebbe essere quella che parte dalla stessa traduzione letterale del termine. Esso indica il complesso processo di gestione della conoscenza, inteso come processo che consiste nell’acquisire, registrare, distribuire e utilizzare le informazioni in ambito aziendale102. Ma knowledge management non è soltanto questo. Un punto d’inizio per cercare di spiegare in modo più corretto in che cosa consiste questa nuova disciplina parte dall’analisi di una delle definizioni date da Karl Wiing in Liebowitz (1999): “KM is the systematic, explicit, and deliberate building, renewal, and application of knowledge to maximise an enterprise’s knowledge-related effectiveness and returns from its knowledge assests”.103 Altre definizioni sono poi succedute a quella di Wiing. Fra le più significative ne ricordiamo alcune104. I. La società di consulenza Ovum per KM intende “la funzione di sviluppo e gestione delle risorse relative alle conoscenze tangibili (attività di ricerca e sviluppo, brevetti, database dei clienti, dei fornitori e dei concorrenti) e intangibili (skill, esperienze, competenze delle persone inserite 105 nell’organizzazione) ; II. Il Gartner Group sostiene che “il KM promuove un approccio integrato per identificare, catturare, recuperare, condividere, e valutare tutto il patrimonio informativo presente in un’azienda. Questo patrimonio include i database, i documenti, le procedure ma anche le competenze e l’esperienza presente nella testa dei singoli che vi lavorano”. In base a tale definizione il Gartner Group ha intuito che la sfida principale per un KM efficace ed efficiente sarà riuscire ad ottenere l’integrazione tra cultura e discipline comportamentali con le più avanzate tecnologie disponibili in campo di ICT (Information and Communicatio Technology); 102 Tale definizione è tratta dal dizionario economico di Finanza e Mercati. Traduzione: “il knowledge management è la sistematica, esplicita e deliberata costruzione, applicazione e rinnovamento della conoscenza per massimizzare l’efficacia della base conoscitiva di un’azienda e i relativi benefici”. In questa sede occorre anche ricordare come lo sviluppo teorico e concettuale del knowledge management ha avuto inizio nella prima metà degli anni ’90 a partire dagli Stati Uniti e dal Giappone. L’Europa ha poi importato questa teoria e la diffusione del KM ha generalmente sinora interessato aziende multinazionali. 104 Le definizioni che vengono riportate qui di seguito sono tratte da: BIANCHINI M., “Essere innovativi nelle piccole e medie imprese”, relazione sul knowledge management per la società ItConsult, 2002. La moltitudine di definizioni qui fornite in merito al concetto di knowledge management non significa che esistono diversi significati dello stesso, ma che, a seconda degli specifici obiettivi di analisi, si vadano a valorizzare determinate variabili piuttosto che altre. 103 III. Secondo lo studioso Hibbard, il KM è un processo per catturare tutte le competenze collettive residenti in ogni dove di un’azienda (database, archivi cartacei e nelle teste delle persone) e distribuirle in ogni parte dell’azienda stessa dove esse possono essere utilizzate per ottenere l’ottimizzazione produttiva; IV. Per lo studioso Petrash KM significa avere le giuste conoscenze nelle persone giuste al momento giusto in modo da poter prendere le migliori decisioni possibili; V. L’economista Macintosh afferma che il KM comporta l’identificazione e l’analisi della conoscenza richiesta e disponibile, successivamente la pianificazione e il controllo delle azioni di sviluppo della conoscenza stessa (considerata come un bene un’attività o meglio un asset) e l’adempimento agli obiettivi organizzativi; VI. O’Dell si limita ad affermare che il KM richiede un approccio sistematico per trovare, per capire e per usare la conoscenza al fine di creare valore per l’azienda; VII. Una definizione un po’ più completa la formula Beckman secondo cui il KM è la “formalizzazione di” e “l’accesso a” esperienze, conoscenze e competenze che creano nuove capacità, incoraggiano l’innovazione, rendono le performance aziendali di un livello superiore e aumentano il valore per il cliente. Nonostante l’eterogeneità dei contributi teorici e la varietà degli utilizzi delle pratiche di KM, occorre considerare come esista, un’unica logica di fondo, un’unica ratio che ha guidato e guida il pensiero degli autori e degli studiosi fin qui analizzati: il KM viene da tutti considerato un fenomeno complesso; un fenomeno in grado di rendere tangibile e materiale il patrimonio conoscitivo d’azienda, simbolo per eccellenza dell’immaterialità d’impresa. Esso è al contempo una strategia, una tecnologia e un prodotto: è la risposta ad un problema aziendale complesso e interdisciplinare. Un’altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi concerne ciò che il KM non è e non rappresenta106. Infatti, tra le difficoltà che la stessa disciplina ha incontrato, ai suoi albori, nell'affermarsi come scienza a se stante vi fu la facile confusione con l'information technology107. Gli ultimi vent'anni sono stati caratterizzati dalla costante informatizzazione di tutte le attività. I mezzi informatici hanno permesso la razionalizzazione del lavoro e la riduzione dei costi di gestione. Ma soprattutto hanno permesso l'accumulo, la gestione, l'indicizzazione e la distribuzione delle informazioni con una velocità e diffusione assolutamente inimmaginabili. In un primo momento questo è sembrato sufficiente: i risultati erano buoni, il lavoro si svolgeva più velocemente e le informazioni necessarie si reperivano con rapidità. Ad una analisi più approfondita però ci si rese conto che ad essere organizzati erano soltanto i dati e le informazioni. L'esperienza maturata sul campo, la capacità di improvvisare e tutte quelle attitudini particolari che 106 Così come per il primo capitolo era stato analizzato il concetto di economia della conoscenza e di “non economia della conoscenza”, anche nel caso del knowledge management ci è sembrato opportuno fare tale precisazione. 107 Cfr. DE ANGELIS R., “Creazione di conoscenza e processi aziendali”, relazione sul knowledge management per la società ItConsult, 2002. permettono al soggetto di trasformare le informazioni in conoscenza e saggezza rimanevano a beneficio, però, del singolo lavoratore, che le portava con sé nelle proprie esperienze lavorative108. Un patrimonio di abilità e competenze (e quindi valore aggiunto) che non entrava, dunque, a fare parte dell'azienda in maniera definitiva ma solo temporaneamente, nel periodo in cui il rapporto lavorativo con i soggetti esisteva. L'attenzione si è quindi spostata dagli strumenti (information technology) verso le risorse umane che a diversi livelli costituiscono il patrimonio informativo di un'azienda. A questo punto la distinzione è evidente, l'IT è uno degli strumenti (forse il principale) che il KM utilizza per raggiungere i suoi obiettivi. Ironicamente si potrebbe affermare che nonostante sia stata l’IT ad ispirare la rivoluzione della conoscenza, ci vogliono le comunità umane per poterla realizzare. Come dimostra lo schema nella pagina seguente. A conferma di quanto appena asserito potrebbe essere citato un esempio109. L’ information Technology Schema 1.2 Schema 1.2 È uno strumento Per il knowledge management Che è metodo PER Dall’infor mation Technology al Knowledge management. Fonte: nostro adattamento da TONCHIA S., TRAMONTANO A., TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledge management. Reti organizzative e nuove tecnologie: l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24 ORE, Milano, 2003, pag. 82 Prendiamo in considerazione la realizzazione di un call center come struttura di supporto telefonico ai problemi del cliente. In quest’ambito, solitamente, l’operatore telefonico accede alle informazioni estratte da una base di dati relativa ai clienti, le aggiorna secondo delle procedure di routine ben formalizzate e, inoltre, una lineare sistematizzazione dei suoi compiti assicura il trasferimento delle informazioni corrette al cliente. Questa burocratizzazione della conoscenza sul cliente risulta efficace per fornire un ottimo servizio, ma il contributo dell’operatore in termini di apprendimento e di creazione di valore per l’impresa è molto limitato. Pertanto la realizzazione di un call center di questo tipo non può essere considerata un’attività di KM, perché il suo obiettivo è quello di migliorare processi e funzioni isolate, non quello di promuovere una trasformazione fondamentale d’impresa verso la creazione di valore economico e lo sviluppo della creatività. 2.1.2 108 Una breve storia della disciplina Una definizione di ciò che si intende per dati, informazioni, conoscenza, saggezza è stato fornito nel paragrafo 1.2.1 109 L’esempio è stato rielaborato da quanto asserito in: QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004 La conoscenza e l’apprendimento sono temi che hanno sempre interessato l’uomo, fin dai bagliori della civiltà110. La moderna storia del KM, o meglio, il concetto di KM così come noi oggi lo intendiamo, ha inizio nel 1986 quando Karl Wiing, coniando il termine (vedi § 2.1.1), ne introduce i fondamenti durante una conferenza allestita dall’Organizzazione Internazionale dei Lavoratori delle Nazioni Unite. A partire da questo momento il concetto così formalizzato inizia ad interessare molti importanti aziende, soprattutto a carattere internazionale111. Nel 1989 a partire dalla Price Waterhouse si ha una prima diffusione ed integrazione del KM all’interno delle strategie di mercato delle aziende. Nel 1991 l’Harvard Business Review pubblica il primo articolo (Nonaka e Takeuchi) dedicato alla disciplina e nel 1993 è ancora Karl Wiing a dare alle stampe il primo libro (Knowledge Management Foundations). Nel 1994, anno del KM network, troviamo la prima conferenza sul KM, e l’inizio per le grandi aziende di consulenza di una prima offerta di servizi di gestione della conoscenza ai loro clienti. Da questo momento in poi il KM godrà di un’attenzione sempre maggiore da parte del mondo delle aziende, tanto da venire considerato indispensabile da molte società che nella realizzazione delle infrastrutture necessarie alla sua implementazione hanno investito capitali ingenti. Dal 1986 ad oggi, abbiamo assistito ad una profonda evoluzione del KM. Tradizionalmente si distinguono due differenti cicli storici112: - KM first generation, - KM second generation. KM first generation: è una prima fase che tende a ridurre il knowledge management alla sua componente strumentale, l’information technology. Come analizzato in precedenza l’IT è sicuramente una componente importante dell’intero processo ma di fatto non ne esaurisce tutte le potenzialità (vedi § 2.1.1). In questo primo momento l’obiettivo del knowledge management è un obiettivo pragmatico: migliorare l’efficienza dell’organizzazione esplicitando e mettendo in comune la conoscenza che ogni membro ha maturato nel corso del suo tragitto professionale. Gli investimenti si concentrano soprattutto sullo sviluppo dei mezzi per rendere veloce e semplice l’archiviazione, la descrizione e la comunicazione di dati e informazioni. KM second generation: è una seconda fase che si è affiancata alla prima e che osserva la conoscenza dal punto di vista della sua organizzazione gerarchica113. Il ciclo della conoscenza non può fermarsi, infatti, alla trasmissione di dati e informazioni, ma deve fare riferimento anche alle conoscenze e alla saggezza. 110 Si rimanda al primo capitolo per ciò che concerne il ruolo della conoscenza nel corso della storia. Anche in questo secondo capitolo si necessita di fornire un breve excursus storico in merito agli autori che hanno contribuito alla nascita della disciplina. Si tratta di un approccio che merita di essere trattato in modo distinto rispetto a quello dell’economia della conoscenza poiché nel primo caso si è fatto riferimento alla nascita di una nuova “era” e alle relative teorie economiche che l’hanno accompagnata. In questo secondo caso si parla invece di gestione della conoscenza e pertanto di teorie a carattere manageriale ed organizzativo. Anche in quest’ambito l’approccio è il medesimo che nel primo capitolo: accanto ad una descrizione storica vengono affiancati i contributi teorici. Economia della conoscenza e KM sono le facce di una stessa medaglia (la risorsa conoscenza), di cui una analizza il livello macroeconomico e l’altra si concentra su quello microeconomico. Pertanto pur essendo intimamente connesse e interdipendenti l’una dall’altra in realtà presentano differenze in termini di letteratura di riferimento e di logiche di fondo. 112 La classificazione del KM è tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Knowledge_management#KM_First_ generation:_la_gestione_dell.27informazione 113 Si veda a proposito il paragrafo 1.2.1 111 La seconda fase del knowledge management si focalizza, pertanto, su come poter mettere a servizio di tutta l’azienda le conoscenze professionali specifiche di ogni membro che ne fa parte. Questa logica spinge il KM a diventare una sorta di “filosofia della collaborazione”, di filosofia della condivisione negli ambienti di lavoro. Questi particolari cicli storici appena descritti sono stati accompagnati da un complesso e vasto insieme di studi che hanno caratterizzato e che caratterizzano tutt’oggi le dinamiche della disciplina oggetto di analisi. La letteratura sul KM si divide in due grandi categorie: quella che riguarda la conoscenza in sé e quella che fa riferimento al flusso di conoscenza114. Nel primo filone la conoscenza viene definita come insieme finalizzato di informazioni attraverso cui un individuo seleziona le azioni più opportune a fronte di determinati stimoli esterni, basandosi sulle proprie categorie mentali e credenze. La seconda corrente di studi sul KM giunge invece a definire dei modelli normativi nel processo di gestione della conoscenza (che è anch’esso un processo di business) sottolineandone l’aspetto dinamico nel tempo, come memoria storica dell’individuo e dell’organizzazione. Conseguentemente i temi di ricerca riguardano: - L’identificazione delle fasi del flusso della conoscenza; - L’individuazione delle condizioni organizzative che possono supportare la fluidificazione del flusso della conoscenza. All’interno di questa seconda corrente di pensiero115 (a differenza della prima, dove non ci sono studi significativi da menzionare) meritano di essere presi in considerazione almeno cinque diversi autori. Si fa riferimento al modello di Arrow (The economics of information, 1984), allo schema di Senge (La quinta disciplina, 1990), al contributo di Polanyi (The tacit dimension, 1966), agli studi di Davenport e Prusak (Working knowledge. How organizations manage what they know, 1998) ed infine al lavoro di Nonaka e Takeuchi (The knowledge creating company, 1991) che sarà oggetto di analisi nel paragrafo successivo116. 114 Cfr. TONCHIA S., TRAMONTANO A., TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledge management. Reti organizzative e nuove tecnologie: l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24 ORE, Milano, 2003, pag. 81-89 115 Bisogna qui ricordare come sia nel primo filone di studi che nel secondo esistono molti altri contributi teorici rispetto a quelli presi in considerazione in questa sede. Si è ritenuto però opportuno in quest’ambito analizzare solo quelli più importanti e coerenti con l’impostazione del lavoro. Anche in questo caso gli autori che verranno citati sono stati ripresi da: TONCHIA S., TRAMONTANO A., TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledge management. Reti organizzative e nuove tecnologie: l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24 ORE, Milano, 2003 Nella prima categoria di studi descritta ricordiamo anche Grant, 1996; Spender, 1996, Tisana, 2000. 116 Il contributo di Nonaka e Takeuchi è forse il più significativo tra quelli appena citati, pertanto merita di essere trattato in modo più dettagliato. Esso può essere ancora considerato come uno dei modelli ispiratori delle moderne tecniche di knowledge management e anche ai fini del nostro lavoro esso rappresenta un valido punto d’appoggio per la trattazione dell’argomento. Ad esempio la classificazione di conoscenza riportata nel paragrafo 1.2.3 è ripresa dai due autori. O anche il ciclo di vita della conoscenza che verrà trattato in seguito si ispira in parte al seguente modello. Per questo motivo il loro contributo merita un’analisi più approfondita. In merito al contributo di Arrow emerge fra tutti il seguente aspetto: secondo l’autore l’informazione può essere archiviata e schedata, ma per essere utile nelle decisioni deve essere recuperata. Inoltre, sostiene Arrow, molti sono gli studi psicologici sui limiti delle capacità percettivo-sensorie degli esseri umani e sui loro limiti come elaboratori di informazione. Ed è proprio questo aspetto (la limitata capacità umana di acquisire e usare informazione) uno dei punti di debolezza di cui bisogna tener conto nell’elaborazione di un sistema di KM117. Senge, teorico dell’apprendimento organizzativo, ha avuto il merito di concepire e diffondere nella comunità imprenditoriale il concetto di learning organization, nella convinzione che la capacità di apprendere più velocemente degli altri costituisca una delle fonti di vantaggio competitivo sostenibile nell’odierno contesto economico118. Egli, consapevole del fatto che gestire la conoscenza significa essenzialmente apprendere dalla realtà, distingue tra le seguenti categorie: - Padronanza personale, ossia consapevolezza del lavoro svolto. Al pari di un artista, dobbiamo considerare la nostra opera come un prodotto dell’ingegno; - Modelli mentali: imparare a conoscere, per poter cambiare le credenze profondamente radicate in noi che influenzano la percezione e condizionano il nostro agire; - Visione condivisa: è la forza che ci spinge a eccellere e a imparare per puro desiderio del nuovo; - Apprendimento di gruppo: i membri della squadra partecipano al dialogo e alla discussione diminuendo i conflitti e incrementando la capacità del team; - Pensiero sistemico: è la disciplina che integra e rende coerenti le altre quattro, traducendole da teoria a pratica efficace. Nel pensiero di Poalnyi, invece, la vera conoscenza non può essere formalizzata in regole o algoritmi, essa è soprattutto conoscenza tacita. A partire dall'affermazione che «noi sappiamo più di quanto sappiamo dire» lo studioso ungherese riconosce l’ esistenza di due dimensioni interdipendenti della conoscenza: la dimensione esplicita si fonda sempre su una dimensione tacita precedentemente interiorizzata. Nonostante la conoscenza possa indubbiamente essere sempre opportunamente articolata e spiegata, la dimensione esplicita include sempre anche quella implicita. Passiamo infine in rassegna il contributo di Davenport e Prusak. Gli autori considerano la conoscenza come un bene oggettivo, tangibile e liberamente scambiabile sul mercato. In questo contesto, il KM ha il compito di definire e di gestire l’insieme delle regole che permettono di ridurre le barriere alla corretta codificazione e fruizione della conoscenza scambiabile tra persone di una stessa organizzazione o di aziende diverse. Facendo inoltre riferimento alla struttura concettuale dei sistemi di KM si possono individuare quattro modelli di governance informativa: 117 Arrow prende in considerazione anche altri aspetti come: la creazione di canali di informazione e il sistema dei prezzi inefficiente nel nostro sistema economico. Si rinvia ad altra sede per questi approfondimenti. 118 Il tema dell’apprendimento organizzativo verrà affrontato meglio nel terzo capitolo. A nostro avviso uno dei limiti della teoria di Senge è quello di costruire un approccio parziale al KM. Questo aspetto verrà analizzato meglio nel proseguo del lavoro. - anarchia informativa119; - feudalesimo informativo120; - federalismo informativo121; - monarchia informativa122. Dopo questa veloce panoramica in merito ad alcuni importanti studiosi di gestione della conoscenza è doveroso descrivere il modello di Nonaka e Takeuchi. Il loro contributo è ancora oggi considerato uno dei più validi per ciò che concerne la rappresentazione del ciclo di vita della conoscenza. Si vedrà anche nel quarto capitolo, in sede di trattazione del caso di studio, come i rimandi alla teoria di KM dei due autori siano numerosi. Ecco perché dedicare un intero paragrafo al loro contributo alla materia della gestione della conoscenza. 2.1.3 Il modello di Nonaka e Takeuchi “La conoscenza tacita nasce contestuale, ma può – con le opportune trasformazioni - diventare altro. Piuttosto che essere uno stato stabile della conoscenza, dovrebbe essere considerata un momento di un processo che, nel corso del tempo, la trasforma, facendole perdere la sua unicità e contingenza. E forse anche la sua appropriabilità”. Questa idea processuale della conoscenza viene in evidenza nella teoria della knowledge creating company, che fa capo a Nonaka e Takeuchi. Il modello si basa su due dimensioni relative alla creazione della conoscenza aziendale: - Dimensione ontologica: la conoscenza è creata solo dagli individui. Pertanto la conoscenza organizzativa deriva dai processi di cattura, archiviazione, trasformazione e organizzazione della conoscenza prodotta dagli singoli123; 119 Non si tratta di un vero e proprio modello, ma di una situazione che si presenta quando gli utenti non adottano nessun vero sistema di KM. Ogni individuo gestisce la sua conoscenza, in modo autonomo ed indipendente, secondo una propria personale concettualizzazione che non apporta nessun contributo “formale” alla conoscenza organizzativa. Davenport, riferendosi al caos informativo di Internet, afferma che l’anarchia è un meccanismo molto rischioso, in quanto gli individui che mantengono i propri “silos” informativi, gestiscono la conoscenza in modo autonomo attraverso punti di vista personali e condividono ed accedono alle sole informazioni che loro stessi credono importanti. Così facendo, il quadro generale di gestione della conoscenza collettiva (descritto in Berners-Lee, 1989 come rete semantica) viene completamente perso, e la conoscenza diverge in pochissimo tempo; 120 Presenta una struttura totalmente distribuita, formata da gruppi completamente autonomi. Non esiste nessun controllo centralizzato di conoscenza, al contrario ci sono piccole comunità e leader che gestiscono le relazioni e la conoscenza locale in modo dinamico e innovativo [Watts e Strogatz, 1998]. Le modalità di integrazione e coordinamento tra i gruppi sono poche e si sviluppano in modo informale e autonomo 121 Presenta un’architettura semi-centralizzata, formata da meccanismi e da procedure standard e condivise, che permettono ai singoli gruppi di scambiare conoscenza. Solitamente c’è un organo centralizzante che è responsabile per le informazioni presenti in azienda e definisce le procedure e i modi attraverso i quali i membri dell’organizzazione hanno più o meno autonomia gestionale. Una volta definiti i livelli di integrazione e le caratteristiche fondamentali del sistema, gli utenti sono piuttosto autonomi nel gestire la conoscenza locale nel modo che meglio soddisfa le loro esigenze e di scambiare “saperi” con altri gruppi attraverso meccanismi sia predefiniti dal centro, sia gestiti autonomamente 122 Presenta un’architettura concettuale fortemente centralizzata, imposta da una funzione centrale che controlla la maggior parte delle conoscenze organizzative. La monarchia informativa considera le “sacche di resistenza” all’utilizzo del sistema di KM e la persistenza di modelli concettuali autonomi, come errori di implementazione, o come resistenze locali al cambiamento. - Dimensione epistemologica: evidenzia la distinzione tra conoscenza tacita ed esplicita124. Lo schema 2.2 mette proprio in relazione le dimensioni appena citate, individuando di fatto quattro diversi momenti nel processo di creazione della conoscenza125. L’obiettivo che gli autori si sono prefissati nell’elaborazione del modello è quello di mettere l’impresa nella condizione di usare le conoscenze giuste, al momento giusto e nel posto giusto, nella convinzione che è proprio la risorsa conoscenza a costituire l’inopinabile base per il conseguimento delle proprie finalità. In particolar modo lo schema rappresenta un’astrazione dei processi che si applicano quotidianamente in azienda. Tali processi possono essere così brevemente riassunti: la conoscenza esplicita viene utilizzata, applicata ed internalizzata dagli individui e quindi dall’azienda ponendo in tal modo le basi per un suo successivo sviluppo attraverso la creazione di nuova conoscenza tacita. A sua volta la conoscenza tacita viene catturata e attraverso un processo di trasformazione viene resa trasferibile e comunicabile a tutti i livelli organizzativi. Anche in questo caso uno schema può essere d’aiuto per la comprensione del processo126. Conoscenza esplicita La spirale della conoscenza Fonte: nostra elaborazione da: NONAKA Esteriorizzazione Combinazione Conoscenza tacita DIMENSIONE EPISTEMOLOGICA Schema 2.2 Interiorizzazione Socializzazione Individuale Di gruppo Organizzativa Interorganizzativa DIMENSIONE 123 Per ulteriori approfondimenti si veda paragrafo 1.2.3 La distinzione tra conoscenza tacita ed esplicita è stata già trattata nel paragrafo 1.2.3 125 La dimensione ontologica contempla quattro diversi tipi di conoscenza: conoscenza individuale, conoscenza di gruppo, conoscenza organizzativa e interorganizzativa. La dimensione epistemologica considera invece la dimensione tacita ed esplicita della conoscenza. Dalla combinazione di queste variabili emerge una spirale di conoscenza che si compone di quattro momenti: combinazione, esternalizzazione, internalizzazione e socializzazione. Ognuno di questi verrà analizzato meglio nel proseguo del lavoro. 126 L’intero paragrafo è una sintesi di ciò che Nonaka e Takeuchi hanno esaminato nel testo: “The knowledge creating company”, FREE PRESS, New York, 1991 124 Schema 2.2 La spirale della conoscenza Fonte: nostra elaborazione da: NONAKA I., TAKEUCHI H., “The knowledge creating company”, FREE PRESS, New York, 1991 Analizziamo ora in modo più corretto l’intero percorso appena citato. Esso si compone di quattro diversi momenti, come mostra lo schema 3.2: - Socializzazione: rappresenta un momento di condivisione di conoscenza tacita fra persone che fanno esperienza comune dello stesso contesto127. In questa fase si verifica il passaggio da una conoscenza tacita all’altra tramite la condivisione non esplicita della conoscenza individuale; - Esternalizzazione: è il processo mediante il quale si esprime la conoscenza tacita attraverso concetti espliciti, in forma di metafore, ipotesi o modelli. E’ in questa fase che la conoscenza entra a far parte dell’intera organizzazione uscendo dal “guscio-individuo”128; Socializzazione Combinazione 127 Esternalizzazione Internalizzazione La chiave per acquisire conoscenza tacita è l’esperienza condivisa, mancando la quale sarebbe difficile penetrare il processo di pensiero di altre persone. 128 E’ proprio l’esteriorizzazione la chiave della creazione di conoscenza, perché crea concetti nuovi ed espliciti dalla conoscenza tacita. Uno dei sistemi per convertire la conoscenza tacita in conoscenza esplicita è la sequenza metafora-analogia-modello. La metafora è un modo di percepire un oggetto immaginandone simbolicamente un altro; l’analogia aiuta a capire l’ignoto attraverso il noto e a superare il divario che separa l’immagine dal modello logico. In questo modo una volta creati i concetti espliciti è possibile costruire dei modelli. Schema 3.2 Il processo di creazione e di condivisione della conoscenza in azienda. Fonte: nostra elaborazione da: NONAKA I., TAKEUCHI H., “The knowledge creating company”, FREE PRESS, New York, 1991 - Combinazione: è un processo di sistematizzazione dei concetti, che consente di passare da una conoscenza esplicita ad un’altra129. E’ il momento in cui si organizzano le conoscenze esplicite in visioni e descrizioni sintetiche, pronte per essere trasmesse in modo strutturato; - Internalizzazione: consiste nel tradurre concretamente la conoscenza esplicita in una base di creazione di conoscenza tacita. Essa viene trasmessa alle persone, con conseguente arricchimento individuale sulla base di una capitalizzazione delle conoscenze e successiva creazione di nuova conoscenza individuale130. È questo tipo di trasferimento che consente realmente di chiudere il cerchio e di parlare di creazione di nuova conoscenza organizzativa, poiché la nuova conoscenza diventata patrimonio aziendale si pone da base per esperire nuovi comportamenti. Il processo di creazione della conoscenza si compone pertanto di cinque fasi: 1. Condivisione di conoscenza tacita. E’ il momento in cui avviene nell’organizzazione la diffusione del patrimonio inesplorato di conoscenza degli individui131. Il processo può avvenire solo attraverso rapporti diretti e collaborazioni in gruppi di lavoro; 129 Gli individui scambiano e combinano conoscenza avvalendosi di diversi strumenti come documenti, incontri, reti informatiche; inoltre la riconfigurazione delle informazioni attraverso lo smistamento o la categorizzazione può condurre a nuove forme di conoscenza. 130 E’ un concetto legato a quello del learning by doing, cioè dell’apprendimento attraverso l’azione. La conversione è tanto più facile quanto più la conoscenza è rappresentata in documenti e manuali che ne facilitino la trasmissione anche ad altri soggetti. 131 Il processo di creazione di conoscenza parte proprio dalla conoscenza tacita degli individui, perché l’organizzazione da sola non è in grado di creare conoscenza. La base di conoscenza dell’azienda è costituita dalla conoscenza dei dipendenti. 2. Creazione di concetti, che è il momento successivo alla condivisione, in cui si soddisfa l’esigenza di articolare e strutturare quanto condiviso, rendendolo trasferibile in modo più semplice; 3. Giustificazione di concetti. E’ il momento in cui il concetto creato durante la fase precedente viene giustificato, ovvero si decide se esso è veramente degno di essere perseguito. E’ la fase di razionalizzazione completa, dell’identificazione di un percorso innovativo; 4. Costruzione di un archetipo. Una volta giustificati, nella quarta fase, i concetti vengono convertiti in archetipi, che possono prendere la forma di un prototipo, di uno schema operativo, di un valore di corporate, di un sistema di gestione innovativo o di un prototipo, che dia concretezza alla nuova conoscenza così che possa essere possibile la sua implementazione e diffusione aziendale; 5. Inter-livellamento di conoscenza: è una fase di cross-fertilization in cui la conoscenza creata all’interno di una divisione viene trasferita verso una popolazione sempre più ampia, per giungere fino ai livelli interorganizzativi e infine alle componenti esterne (clienti, fornitori,…). Il processo descritto da Nonaka e Takeuchi è un processo che non ha un reale inizio e una effettiva fine. In una organizzazione basata sulla conoscenza descrive, infatti l’intrinseco funzionamento di tutte le sue evoluzioni. Inoltre, sostengono gli autori, il processo di per sé non è garanzia di creazione di nuova conoscenza, ma pone le basi affinché questo avvenga. Infatti il ciclo può essere percorso più volte fino a che la conoscenza prodotta non è quella adeguata e quindi effettivamente riutilizzabile. Un ultimo aspetto rimane ancora da analizzare. In questo modello le condizioni per un’interazione agevole delle persone sono dovute al contesto sociale ed organizzativo di riferimento che può facilitare o veicolare il processo di creazione e condivisione della conoscenza. Il contesto (“ba”) reagisce attivamente come parte dell’attività cognitiva di uomini e organizzazioni. Ma il “ba” non si limita a rendere unica la conoscenza che contiene, esso è anche una matrice attiva che sviluppa la conoscenza tacita degli individui traducendola in conoscenza dell’organizzazione. I contesti organizzativi possono favorire diversi tipi di atteggiamento: - Accaparramento della conoscenza: la creazione e lo scambio di conoscenza sono lasciati all’intraprendenza individuale senza alcuno strumento di supporto; - Scambio di conoscenza: esistono strumenti che facilitano l’interazione individuale e inoltre la formazione dei gruppi tende a far prevalere un atteggiamento allo scambio, ma non alla sua integrazione e trasferimento a tutta l’organizzazione; - Crescita in comune: sono previsti strumenti che facilitano i processi di distribuzione della conoscenza e di integrazione del gruppo nell’ambiente organizzativo; - Condivisione della conoscenza; siamo di fronte ad un contesto che stimola l’applicazione e l’internalizzazione delle conoscenze attraverso processi di crescita individuale e sociale. L’organizzazione deve, dunque, fornire strumenti di indirizzo della conoscenza che consentano ad ogni dipendente di percepire il processo di condivisione e trasferimento della stessa come parte integrante della propria attività132. Nonaka e Takeuchi suggeriscono inoltre lo stile di management e la struttura organizzativa che favorisce la creazione di conoscenza. Il tradizionale modello top-down e il consueto modello bottom-up, risultano entrambi incapaci di alimentare l’interazione dinamica necessaria alla creazione di conoscenza organizzativa. Il modello top-down concepisce la creazione di conoscenza entro i confini dell’elaborazione delle informazioni. Il vertice riceve dalla base informazioni semplici e selettive, che utilizza allo scopo di creare pianificazioni e ordini e che, alla fine, restituisce alla base. L’informazione è elaborata attraverso una divisione del lavoro che lascia al top management il compito di creare i concetti di base e, ai membri in posizione gerarchica inferiore quello di implementarli. I concetti elaborati al vertice diventano le condizioni operative per i manager intermedi, che scelgono gli strumenti per realizzarli. L’assunto implicito, retrostante a questo modello tradizionale di organizzazione è quello per cui solo il top management è in grado di creare conoscenza e ne ha il diritto. La conoscenza creata dal vertice esiste al solo scopo di essere elaborata o realizzata, e rappresenta quindi un mezzo e non un fine. Questo modello di management, dunque, ostacola le modalità di conversione della socializzazione e dell’esteriorizzazione. Nel modello bottom-up, invece, ai principi della gerarchia e della divisione del lavoro, viene opposto quello dell’autonomia. In luogo di una conoscenza creata e controllata dal vertice viene posta una conoscenza creata e anche controllata dalla base. L’organizzazione bottom-up è piatta e orizzontale, l’eliminazione della gerarchia e della divisione del lavoro riduce la distanza fra il vertice e la base. Il top management dà pochissimi ordini ai dipendenti della line, i quali operano preferibilmente da soli, come attori indipendenti e separati. Il principio operativo è l’autonomia e non l’interazione, ecco perché questo modello limita le modalità della combinazione e dell’interiorizzazione. Per l’enfasi che pone sull’autonomia, complica estremamente la diffusione e la condivisione della conoscenza nell’organizzazione. Considerati gli ostacoli che i due tradizionali stili di management pongono al completo sviluppo del modello, gli autori considerano una terza possibilità, che non muove dall’alto o dal basso, ma dal centro dell’organizzazione. Il termine usato per descrivere questo stile di management è “middle-up-down”. Il soggetto creatore di conoscenza è rappresentato da manager intermedi, che agiscono attraverso un processo di conversione a spirale che coinvolge sia il vertice, sia i dipendenti della line; i manager intermedi si trovano all’intersezione dei flussi informativi verticali e orizzontali dell’impresa. Nel modello middle-up-down, il top manager crea la vision dell’azienda, mentre il manager intermedio sviluppa concetti comprensibili e attuabili dai dipendenti della line; la visione del top management si 132 Il modello di Nonaka e Takeuchi non esaurisce qui la propria valenza. Esso va a considerare altri aspetti come quelli concernenti gli ostacoli e i requisiti preliminari per l’implementazione di un processo concretizza attraverso concetti di business o di prodotto a medio raggio. Nel far questo i manager intermedi sintetizzano la conoscenza tacita immagazzinata dal vertice e dalla linea e la rendono esplicita incorporandola in tecnologie, prodotti e programmi. Secondo Nonaka e Takeuchi questo è lo stile di management che meglio riesce a supportare la creazione di conoscenza all’interno delle aziende133. 2.2 Le implicazioni per l’assetto d’impresa Quando si parla di KM non si può prescindere dall’analisi delle variabili organizzative fondamentali che in esso sono coinvolte: risorse umane, organizzazione, tecnologia e creazione di valore. Esse hanno subito un profondo mutamento con l’avvento del capitalismo cognitivo e del knowledge management, cambiamento del tutto obbligato essendo di fatto controproducente restare ancorati ai tradizionali confini posti dal vecchio sistema economico. “Nella Knowledge Era solo chi sa approcciare, catturare, codificare, archiviare, indicizzare, gestire, distribuire, condividere e alimentare la conoscenza, modellandola sulle proprie esigenze e veicolandola sapientemente nei processi della propria organizzazione vince la sfida competitiva. Solo chi sa realizzare nel modo corretto il proprio progetto di knowledge management, è destinato ad affermarsi a discapito di coloro che non sanno dare il giusto valore alla conoscenza”134. Ne deriva che le imprese che intendono utilizzare pratiche di knowledge management, orientate ai risultati e rispondenti alle esigenze strategiche imposte dal mondo esterno, devono puntare su di una pianificazione che consideri almeno quattro aspetti rilevanti dell’assetto d’impresa135. Come mostra la figura 5.2. Le variabili da gestire concernono: - Le risorse umane. Introdurre un sistema di KM implica dei profondi cambiamenti nelle dinamiche di gestione delle risorse umane: con esso si affacciano sul “palcoscenico d’impresa” nuovi ruoli e nuove competenze; - Le dinamiche organizzative: le vecchie strutture burocratiche mal si addicono ad un sistema che richiede flessibilità e coordinamento. Si necessita invece di processi innovativi e apertura al cambiamento; - La tecnologia: è lo strumento essenziale che mette le persone in condizione di condividere di creazione e di condivisione della conoscenza. Si rinvia ad altra sede per la trattazione di questi argomenti. 133 Nel quarto capitolo si vedrà come molti degli aspetti appena citati troveranno pratica applicazione nel caso di studio oggetto del presente elaborato. 134 Cfr. RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 10 135 L’elenco che segue è frutto di una nostra elaborazione di quanto presente nel sito: microsoft.com/italy/dns/pract_know2.html. le attività all’interno di strumenti conoscitivi; - La creazione di valore: le tradizionali leve di generazione di valore hanno lasciato il posto a nuovi fattori strettamente connessi alla risorsa conoscenza. Creazione di valore Tecnologia Risorse Umane Organizzazione Le del Km Fonte: nostro adattamento da: www.microsoft.com/italy /mdns/pract_know2.html Schema 4.2 dimensioni E’ evidente a questo punto il carattere multidisciplinare sopra accennato del knowledge management. “Introdurre sistemi di gestione della conoscenza”, sostiene l’Ing. Giuseppe d’Imporzano, amministratore delegato e direttore generale di Sadi Spa, “significa ottimizzare il presente per preparare il futuro, dove ottimizzazione del presente indica la creazione delle condizioni affinché persone preparate, tecnologie d’avanguardia e eccellenza dell’organizzazione possano contribuire all’accrescimento del valore d’impresa (risultato futuro)”136. Analizziamo ora ognuna di queste variabili in modo più dettagliato137. 2.2.1 I knowledge Workers Il lavoro sta cambiando. Esso è diventato nella maggior parte dei casi lavoro cognitivo, in cui le risorse umane non trasformano più la materia prima, ma generano conoscenze innovative che con il loro impiego saranno usate per trasformare la materia in utilità e valore per il cliente. Il settore dei knowledge workers raccoglie ad oggi oltre il 25% della forza lavoro di settori come servizi finanziari, high tech, sanità, industria farmaceutica, media e intrattenimento. Si tratta, inoltre, di “lavoratori” presenti a qualsiasi livello organizzativo, dalle vendite alla direzione aziendale. 136 Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005, pag. 69. 137 Dopo un’impostazione prettamente teorica proposta nel primo paragrafo, abbiamo deciso di valutare ed analizzare l’impatto che le pratiche di KM hanno addotto all’interno delle organizzazioni. Drucker sostiene che i knowledge workers rappresentano la risorsa più vitale delle aziende del 21° secolo. Ma che cosa si intende con il termine Knowledge worker138? E soprattutto cosa fanno i knowledge workers in azienda? I knowledge workers sono i lavoratori che operano convertendo le informazioni in sapere, usando le proprie competenze e interagendo con specialisti di processi di comunicazione e IT139. Insomma sono i veri artefici dell’implementazione di un sistema di KM140. Tuttavia essi sono anche la categoria di individui più difficile da definire e da dirigere e richiedono modalità di gestione differenti per migliorarne i risultati e aumentarne la produttività. “Il loro mestiere è quello di pensare” sostiene Drucker, “il che implica una complessità e una responsabilità mai riscontrati prima”. Come si può vedere dalla figura 5.2. il ruolo del knowledge worker abbraccia una molteplicità di aspetti141. Principali responsabilità del KW Ruolo tecnologico: Responsabile del Ruolo innovativo: Responsabile dei funzionamento contenuti in termini operativo del sistema di qualità utilità e Ruolo di processo: Responsabile processi di KM dei Ruolo di comunicazione: Responsabile del marketing di servizio Schema 5.2: I quattro ruoli principali del knowledge manager Fonte: nostra elaborazione da CASTELLI P., “Cercasi knowledge manager. Ruoli e competenze per la gestione della conoscenza”, Economia e Management, n. 1, 2003 Ruolo tecnologico: il Knowledge worker (in questo caso IT expert) è responsabile del funzionamento operativo del sistema di KM, cura la gestione e il costante aggiornamento delle infrastrutture IT per il KM e le eventuali applicazioni di supporto; Ruolo innovativo: essendo il responsabile dei contenuti che vengono elaborati egli deve assicurare che il sistema di KM sviluppi e contenga conoscenza di qualità e soprattutto che essa sia utile all’intera 138 Il termine knowledge worker verrà spesso abbreviato con la sigla KW Tale definizione è tratta da QUAGINI L., “Business intelligence e KM”, ANGELI, Milano, 2004, pag. 160 140 Basti pensare che un buon sistema di KM dipende per un 80% dal cambiamento delle persone e della cultura aziendale 141 Il ruolo del KM è frutto di una rielaborazione di quanto sostenuto in: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005, pag. 181. Oltre al ruolo del knowledge manager sarebbe interessante comprendere quali sono le competenze, le conoscenze e le capacità che un lavoratore della conoscenza deve possedere. In genere, ma ancora gli studi sono in corso d’opera, il knowledge manager deve avere conoscenze di IT, lingue straniere, forte consapevolezza della propria impresa e del settore di appartenenza, e ovviamente conoscenza delle risorse umane con cui lavora. A livello di capacità si identificano quella di comunicazione e ascolto, di analisi e sintesi, di rapporti interpersonali. Le attitudini alla copertura del ruolo concernono invece: entusiasmo, motivazione, curiosità, flessibilità, innovazione. 139 organizzazione e continuamente aggiornata. In questo senso il knowledge manager deve svolgere un’opera di redazione, o perlomeno di traduzione, della conoscenza grezza per renderla comprensibile e utile all’interno dell’impresa; Ruolo di processo: il knowledge manager è chiamato a definire e gestire le procedure di creazione, contribuzione, raccolta, utilizzo, diffusione e valorizzazione della conoscenza; Ruolo di comunicazione: ovvero di continua promozione del KM all’interno dell’organizzazione attraverso piani di comunicazione ed eventuali piani di change management 142. Oltre agli aspetti appena delineati, quando si parla di knowledge worker non si può non fare riferimento alla piramide dell’organizzazione intelligente di Choo Chun Wei raffigurata nello schema 6.2, la quale mette in luce i protagonisti di un sistema di KM143. Lo schema di Choo Chun Wei del 1995 identifica quattro figure professionali all’interno di un sistema di KM144: Schema 6.2 La piramide dell’organizzazione intelligente. Fonte: nostra elaborazione da DO UTENT INFORMATION EXPERT IT EXPERT BOTTIN A. “Il knowledge management”, 2002 Gli esperti del dominio (domain experts) sono coloro che creano ed utilizzano la conoscenza. La loro 142 Il change management è definito anche "gestione del cambiamento" ed abbraccia tutte quelle attività correlate alla consulenza ed alla messa in opera di nuove risorse finalizzate al cambiamento organizzativo di un'azienda che ha necessità di svecchiarsi e dare un'impostazione moderna e adeguata ai tempi. Anticipiamo fin da subito che la tassonomia KM-change management, a nostro avviso, non sempre deve essere rispettata: un sistema di gestione della conoscenza non implica necessariamente un cambiamento nell’assetto d’impresa, anzi molto spesso tende ad impattare il meno possibile da questo punto di vista. Come si vedrà meglio nei capitoli 3 e 4. 143 Per completezza d’informazione si riporta anche lo schema dell’organizzazione intelligente di Choo Chun Wei, in quanto costituisce un importante contributo alla disciplina. In realtà il modello non è a nostro avviso pienamente corretto poiché pretende di individuare a priori le figure che intervengono nell’implementazione di un sistema di knowledge management. Come si vedrà meglio nel quarto capitolo (in sede di descrizione del sistema iKnow) i soggetti promotori ed utilizzatori del sistema cambiano da caso a caso e pertanto non si può procedere con una loro definizione aprioristica. Ricordiamo inoltre come con il termine di organizzazione intelligente si intenda un’organizzazione che sa che al centro dei propri risultati c’è la valorizzazione della mente di chi ne realizza consapevolmente i processi. 144 Cfr. http://siba2.unile.it/sinm/4sinm/interventi/sinmingo.html principale attività è assicurare l'efficacia dell'intera organizzazione attraverso l'innovazione, l'adattamento e l'apprendimento. Gli esperti dell'informazione (information experts) sono coloro che organizzano la conoscenza in schemi e strutture per facilitarne l'accessibilità, aumentarne il valore e favorirne l'utilizzo. Gli esperti della tecnologia dell'informazione (IT experts) sono coloro che creano e gestiscono le infrastrutture al fine di favorire i processi di elaborazione e scambio della conoscenza. Il loro ruolo è quello di assicurare l'efficienza dell'intero processo. Al centro della piramide dobbiamo invece posizionare l'utente-cliente "come massimo esperto del dominio, il cui interesse preminente consiste nel separare la gestione dell'informazione da quella della tecnologia dell'informazione, affinché non venga perduta la chiarezza degli obiettivi del sistema, che è quella di fornire l'informazione all'utente affinché questa divenga conoscenza" . Terminata l’analisi delle figure e dei ruoli che intervengono in un sistema di KM rimangono però da sciogliere alcuni altri “nodi”. Uno di questi può essere efficacemente sintetizzato dalla seguente domanda: dove si collocano all’interno dell’organigramma i knowledge workers145? Le soluzioni più frequentemente adottate inseriscono il knowledge manager o nei sistemi informativi oppure nell’ambito delle R.U. Talvolta però altre possibilità sono legate alla funzione aziendale in cui è nato il KM o che per prima lo ha utilizzato, per esempio la R&S oppure il marketing. Infine una terza possibilità che viene spesso caldeggiata è quella di avere un’unità di staff a sé stante, a supporto direttamente della Direzione generale146. L’aspetto però forse più interessante da analizzare in merito alla gestione delle risorse umane nei sistemi di KM è costituito dalla nascita di un nuovo ruolo dirigenziale: quello del Chief Knowledge Officer (Cko147). Egli non è altro che il top-manager della conoscenza, un manager “nuovo” che deve possedere parecchie qualità148, e che deve saper gestire un processo e una risorsa alquanto intricati. Secondo Lester Thurow149 la storia recente di imprese americane che hanno perso delle grandi 145 Cfr. AZZRITI F., MAZZON P. “Il valore della conoscenza”, ETAS, Milano, 2005, pag 182 Un’altra interessante domanda alla quale sarebbe utile rispondere è: Come si gestiscono i knowledge workers? La strategia di H.R. prevista nel caso di KM prevede una serie di passi che vanno seguiti nella procedura: priorità e massima attenzione nelle fasi di selezione ed assunzione del personale (valutazione delle qualità della persona, attitudine, personalità), particolare importanza nell’apprendimento/training dell’azienda (inserimento nel contesto aziendale, possibile affiancamento a persone che sono da più tempo in azienda), processo di responsabilizzazione, maggiore autonomia (Il KW ha la responsabilità di portare avanti determinati compiti, gli vengono date fiducia e autonomia), revisione della performance e sistema di incentivi (il lavoro del KW viene monitorato, analizzato, e se la performance è buona l’individuo è premiato, se la performance è cattiva l’azienda effettua una revisione per capire le problematiche ed aiutare così l’individuo a migliorare il proprio rendimento). 147 Cfr. AZZRITI F., MAZZON P. “Il valore della conoscenza”, ETAS, Milano, 2005, pag 180 148 Egli è sostenitore della conoscenza e dell’apprendimento; progettista, implementatore e capo squadra di un’infrastruttura della conoscenza; il primo collegamento tra fornitori esterni di informazioni e conoscenze; il fornitore di input fondamentali nella creazione di conoscenze; il trascinatore nella costruzione e nell’implementazione di un’architettura della conoscenza; un esperto in alcuni aspetti fondamentali della KM come la creazione, la disseminazione e l’applicazione di conoscenza; un profondo conoscitore di pratiche di KM e di innovazione tecnologica; Competente in discipline come l’ICT, il BPR (Business Process Reengineering ovvero Gestione del Cambiamento Organizzativo) e soprattutto in KM. 149 THUROW L., “Help wanted: a chief knowledge officer”, in: www.fastcompany.com/magazine/78 /helpwanted.html,gennaio 2004 146 opportunità (come Polaroid, Apple, etc..) dimostra che, laddove manca un Cko riconosciuto manca anche il presupposto per sconfiggere l’inevitabile declino. L’esempio che Thurow adduce per spiegare questa affermazione è quello di Gates: secondo l’economista americano il magnate Gates è il prototipo del Cko, in quanto ha passato le redini aziendali a Steve Ballmer e ha tenuto per sé la missione di architetto della Microsoft al fine di prevedere come le emergenti tecnologie software potranno dialogare tra di loro ed essere inserite in modo standard all’interno delle imprese. Focalizzarsi su questa scelta e non sulla corsa all’impresa, determinerà il successo o il fallimento di Microsoft. Un ultimo aspetto rimane ancora da considerare: nell’implementazione di sistemi di KM bisogna tenere necessariamente in considerazione il fattore “cultura organizzativa”. La creazione di una knowledge culture significa “occupare lo spirito dei lavoratori” con una logica di condivisione della conoscenza e rendere continuamente obsolete le proprie acquisizioni, anche quelle di comprovato successo per fare in modo che si venga a creare un ambiente di incertezza che spinga l’organizzazione alla ricerca di nuove conoscenze oltre i propri confini. Vedremo, infatti, che le resistenze culturali rappresentano forse il maggiore ostacolo nell’implementazione di sistemi di knowledge management. Affinché questo non avvenga, è indispensabile avviare un processo di maturazione culturale dei dipendenti secondo due direzioni: 1) Diffondere una cultura “Knowledge sharing”; 2) Incentivare la creazione di nuova conoscenza. Esemplificativo è a riguardo il caso Riello. L’introduzione di sistemi di KM nell’azienda è significato primariamente attenzione alle persone: l’intera organizzazione è stata trasformata in un team di persone che collabora in maniera eccellente e che interscambia informazioni e conoscenze in maniera continua. La creazione di una cultura della condivisione della conoscenza sta portando al raggiungimento di grandi risultati150. 2.2.2 La Learning Organization I cambiamenti in atto nella gestione delle risorse umane che sono stati appena descritti sono soltanto una piccola parte di una trasformazione ben più profonda, che riguarda l’essenza stessa dell’organizzazione d’impresa. I vecchi giganti dell’era industriale – Exon, General Motors, Ford,…- cedono il passo ai nuovi colossi del capitalismo cognitivo: Disney, Microsoft, Sony. Nel 2050 basterà il 5% della popolazione adulta per gestire e far funzionare i settori produttivi tradizionali. Fattorie, fabbriche e uffici quasi completamente privi di personale saranno la norma di ogni paese. L’industria dell’esperienza è destinata a dominare. Le idee, l’immaginazione e la conoscenza sono i principali generatori di ricchezza151. Hamel afferma che la discriminazione non corre tra vecchie e nuove aziende e neppure tra aziende dot.com e imprese dell’era industriale, bensì tra coloro che sono in grado di introdurre profonde innovazioni e coloro che non lo sono. Ciò che fa la differenza non sono le tecnologie o il nuovo prodotto, ma la capacità di introdurre innovazioni incrementali nei modelli di business. Nokia ne è la testimonianza: il suo successo non risiede tanto nella sua superiorità tecnica quanto nella sua capacità di immaginare il futuro. Questa breve introduzione lascia intendere un concetto chiaro e definito: le organizzazioni sono cambiate, nella forma e nella sostanza, adeguandosi di fatto a quello che risulta essere il moderno capitalismo cognitivo. 150 151 Cfr. AZZRITI F., MAZZON P. “Il valore della conoscenza”, ETAS, Milano, 2005, pag 55. SALVEMINI S., da una conferenza su “Il trentino: Silicon valley della conoscenza”, 2003 Proponiamo ora uno schema che illustra le principali differenze organizzazione operante nella Knowledge Era. Variabili Azienda tradizionale Obiettivi centrati sull’azienda, con difficoltà di ottenere feed back dal Focus strategico cliente Produzione interna integrata, con difficoltà di gestire la gamma e le Focus produttivo personalizzazioni di prodotto Forma organizzativa Integrazione tra i vari processi produttivi e aziendali interni Risorse umane Fonte di costi Informazione Strumento di controllo Fonte di reddito Tangibiles (moneta) tra l’azienda tradizionale e la nuova Knowledge company Obiettivi centrati sulla trasmissione e condivisione di conoscenza verso il cliente e gli altri attori della filiera Integrazione dei processi produttivi verso l’esterno, supportata da condivisione di vision e strategia Integrazione completa dei processi, supportata da condivisione di vision e startegia Fonte di reddito Strumento di comunicazione e risorsa Intangibiles (idee, apprendimento, R&S) Tabella 1.2 Comparazione tra azienda tradizionale e knowledge company Fonte: nostro adattamento da TONCHIA S., TRAMONTANO A., TURCHINI F., “Gestione per processi e knowledge management. Reti organizzative e nuove tecnologie: l’azienda estesa alla conoscenza”, IL SOLE 24 ORE, Milano, 2003, pag. 209 La tabella mostra le principali trasformazioni che sono avvenute e che tutt’ora stanno avendo luogo all’interno delle aziende152. I dati non hanno bisogno di molte spiegazioni: le nuove knowledge companies non hanno nulla a che vedere con il passato, né in termini di obiettivi strategici e produttivi (che da un forte accentramento sul processo produttivo interno all’azienda sono evoluti in obiettivi di conoscenza proiettati anche fuori dall’azienda); né in termini di creazione di valore, che non è più focalizzato sugli aspetti tangibili d’impresa ma sugli elementi immateriali della stessa. E’ nata insomma una nuova organizzazione d’impresa; un’organizzazione che non accetta più il modello del “comanda e controlla”, ma che crede che la creatività e l’iniziativa individuale siano molto più importanti dell’omogeneità e della conformità. E’ nata insomma quella che viene comunemente chiamata Learning Organization: un’organizzazione che stimola le singole risorse a “donare” il proprio sapere, incoraggiandole ad apprendere e a trasformare le conoscenze individuali in conoscenze organizzative. La sfida della Learning Organization non è quella di forzare ad adattarsi al modello dell’uomo organizzativo, ma quella di costruire un sistema abbastanza flessibile tale da valorizzare la conoscenza di ciascuna persona e garantire che le esperienze e le conoscenze individuali siano messe a disposizione dell’intera organizzazione. Ne deriva che è attraverso il concetto di Learning Organization, che le aziende dovrebbero individuare la via di sviluppo, una via impostata sulla capacità di combinare il “saper fare”, legato alla storia e all’esperienza della singola azienda, con il “dover fare”, legato all’esigenza di restare su un mercato in rapida evoluzione. Vediamo meglio quali sono gli elementi caratteristici di un sistema di KM che spingono un’organizzazione a diventare un’organizzazione che apprende. In correlazione allo schema sopra 152 Altre informazioni in merito ai cambiamenti avvenuti all’interno delle organizzazioni sono state trattate nel primo capitolo, nel paragrafo1.1.4 delineato in merito alle funzioni del knowledge worker possiamo dire che il KM si compone di quattro elementi fortemente correlati fra loro e che coinvolgono sistematicamente tutti i livelli d’impresa (schema 7.2)153: - il monitoraggio top-down delle attività relative alla conoscenza; - la creazione e il mantenimento della infrastruttura di conoscenza; - il rinnovamento, l’organizzazione e la trasformazione dei knowledge asset; - l’utilizzo dei knowledge asset per la realizzazione del valore. Massimizzazi Schema 7.2: Le Funzioni di governo: monitoraggio e incentivazione delle attività legate alla conoscenza quattro aree del KM Funzioni di staff: costruzione e aggiornamento dell’infrastruttura relativa alla conoscenza Realizzazione del valore della conoscenza: diffusione e applicazione dei knowledge asset Funzioni operative: creazione, rinnovamento, costruzione e organizzazione dei knowledge asset Fonte: MASSA M., MERLINO P., PULIAFITO P., “KM e vantaggio competitivo”, Sviluppo e Organizzazione, n. 173, maggio-giugno 1999 La creazione di una struttura che aiuti e faciliti la realizzazione delle attività appena illustrate ha portato all'ideazione del concetto di "learning organization": un'organizzazione in grado di gestire la propria base conoscitiva, coordinando i flussi di conoscenza in modo da massimizzare il valore delle informazioni che genera e acquisisce. Per meglio definire il concetto di learning organization occorre fare riferimento al contributo di Peter Senge154, uno dei padri fondatori della materia. Egli sostiene che: “Le organizzazioni che apprendono sono quelle nelle quali le persone aumentano continuamente la loro capacità di raggiungere i veri risultati cui mirano; nelle quali si stimolano nuovi modi di pensare orientati alla crescita; nelle quali si lascia libero sfogo alle aspirazioni collettive, e nelle quali, infine, le persone continuano ad imparare come si apprende insieme”. Ma quali sono i punti fermi delle organizzazioni che apprendono? Da più parti si sostiene che esistano cinque elementi distintivi attorno ai quali coagulare il profilo dell’organizzazione che sa fare apprendimento organizzativo155 (schema 8.2). 153 Cfr. AZZRITI F., MAZZON P. “Il valore della conoscenza”, ETAS, Milano, 2005, pag 180 Un breve accenno all’autore è stato trattato 2.1.2 Crescerenel in paragrafo conoscenza 155 Cfr. QUAGLINO G.P., GHISLIERI C., “La leadership per l’apprendimento”, Sviluppo e Organizzazione, n. 198, luglio-agosto 2003, pag. 37 - 47 154 Riflettere sulla storia e apprendere dall’esperienza Ottimizzare la condivisione delle informazioni Schema 8.2 L’organizzazione che apprende Fonte: QUAGLINO G.P., GHISLIERI C., “La leadership per l’apprendimento”, Sviluppo e Organizzazione, n. 198, luglio-agosto 2003, pag. 37 - 47 Crescere in conoscenza: l’apprendimento è opportunità per acquisire nuove conoscenze ed è ritenuto indispensabile per puntare all’eccellenza; Ottimizzare la condivisione delle informazioni: condividere le informazioni significa apprendere dagli altri e veicolare i propri saperi attraverso l’organizzazione, Orienta Fondare l’azione sulla partecipazione Fondare l’azione sulla partecipazione: la Learning Organization si basa sul coinvolgimento di diversi attori, sulle relazioni tra individui, sull’atto quotidiano di apprendere; Orientarsi all’innovazione attraverso la trasformazione: il cambiamento è conditio si ne qua non per parlare di apprendimento organizzativo. Nulla è più permanente del cambiamento diceva Eraclito. Riflettere sulla storia e apprendere dall’esperienza: la storia di un’impresa è sicuramente importante come base di partenza per capire l’insieme dei processi che rendono possibile l’utilizzo dell’esperienza pregressa. Arrivati a questo punto è lecito però porsi una domanda: esiste un’organizzazione universalmente valida atta a supportare processi di gestione della conoscenza156? Secondo Beckman no, anche se ovviamente esistono alcuni fattori che potrebbero agevolare lo svolgimento del processo: alti rendimenti; alta attenzione al cliente; propensione al miglioramento; guida all’eccellenza; alta flessibilità e adattabilità; alti tassi di competenze e conoscenze; alti tassi di apprendimento e di innovazione; strutture innovative di ICT; autodirezione; competenze di valore e distribuzione della conoscenza; learning organization insomma. In altre parole il KM funziona solo se viene portato “dentro” ai processi aziendali e se non è tenuto come una funzione separata agli stessi. Tutti gli interventi di KM tendono ad individuare per ogni fase dei processi produttivi le corrispondenti attività di gestione della conoscenza prodotta in quella fase o necessaria per svolgerla157. Ad esempio per la progettazione e sviluppo di prodotti e servizi le soluzioni di KM sono in grado di offrire metodologia per condividere le idee e focalizzare le best practise di progettazione; per lo sviluppo del personale il KM valorizza le abilità e le competenze degli impiegati offendo formazione e migliorando la motivazione,…. Quando si parla di learning organization e delle caratteristiche che le nuove aziende knowledge based devono possedere, il riferimento alla coerenza dei sistemi di KM con i processi aziendali è 156 Nostra elaborazione da: PINE B.J., GILOMORE J.H., “The experience Economy. Work is theatre & every business a stage”, ETAS, 2005 157 MORICI R., “KM: Approcci, soluzioni, casi”, Sistemi e impresa, n. 2, marzo 2000 imprescindibile: è il presupposto di base di un qualsiasi mezzo di gestione della conoscenza che voglia essere vincente sul mercato158. 2.2.3 Le tecnologie di gestione della conoscenza In un sistema di KM la componente tecnologica è di fondamentale importanza. E’ stato già ribadito nel primo capitolo come l’Era del capitalismo cognitivo sia stata accompagnata da una massiccia rivoluzione tecnologica: di fatto viviamo immersi in un mondo che comunica continuamente e velocemente con strumenti quali Internet, posta elettronica, etc…. Inutile ribattere in quest’ambito sui vantaggi che mezzi di tale portata hanno recato all’intera umanità. Ci preme però ricordare che essi sono di fondamentale importanza per tutte quelle aziende che decidono di dotarsi di sistemi di KM: la riduzione del tempo disponibile per prendere le decisioni e il costante aumento della quantità di informazioni disponibili impongono alle stesse di fornire ai propri dipendenti strumenti validi per conseguire gli obiettivi programmati, che consentano di trasformare il “perenne brusio del flusso di informazioni nella musica della conoscenza”159. Il software ha l'esclusiva capacità di raggiungere questo obiettivo. Esso fornisce l'infrastruttura, ossia le fondamenta per i sistemi più importanti di qualsiasi azienda, determinando inoltre il grado di utilità di tali sistemi. Quando si parla di strumenti di KM si deve fare necessariamente riferimento al concetto di Business Intelligence. L’espressione BI (Business Intelligence) è stata coniata dal gruppo Gartner, colosso della consulenza direzionale e delle ricerche di mercato, che l’ha definita come sistema per il reperimento di qualsiasi informazione di importanza potenzialmente strategica per un’azienda. Essenzialmente essa viene identificata come quel complesso sistema di regole, competenze e strumenti volti a trasformare i dati aziendali in informazioni e quindi in conoscenza, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni e le decisioni della line, dei vertici e degli azionisti. In realtà il concetto di BI è un concetto che si è evoluto nel corso del tempo160. Durante la seconda metà degli anni ’80 si parlava di Data Management e quindi del processo di formalizzazione degli eventi aziendali in dati informativi. A tale fase fece seguito lo sviluppo di tecniche e di metodologie che trasformassero questi dati in informazioni strutturate e finalizzate al supporto delle decisioni aziendali, strategiche ma soprattutto operative (BI). Solo recentemente si nota un vero e proprio 158 In realtà la tematica dei processi aziendali è stata trattata soltanto alla fine del paragrafo non perché non sia di rilevante importanza quanto perché essa riassume un po’ il senso della learning organization. E’ naturale e quasi scontato che i sistemi di KM debbano essere coerenti con i processi aziendali. Non a caso anche nel quarto capitolo, quando verrà trattato il case history vedremo che iKnow si configura come metodo e strumento per valorizzare la conoscenza iGuzzini idoneo a far emergere le conoscenze tacite, quelle esplicite e quelle incorporate nei processi aziendali. 159 www.microsoft.com/italy/mdns/pract_know2.html 160 Cfr. QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004, pag. 127-128 processo che porta, dalle informazioni ottenute con gli strumenti di BI, alle azioni direzionali. Si parla di Management Intelligence. L’approccio chiave e discriminante del Management Intelligence è che le informazioni di per sé non contribuiscono alla creazione di valore se non servono, attraverso il miglioramento dei processi decisionali, a modificare le azioni da intraprendere. Come mostra lo schema 9.2. Si può intuire come questa definizione piuttosto ampia includa varie sottocategorie che vengono identificate con sigle e nomi diversi, come Data Warehousing, Data Mining, BPM, CPM, CRM, Scorecards, Dashboards, Budgeting, Planning fino ad includere aree confinanti come il Knowledge Management. Un sistema di MI passa necessariamente attraverso la disponibilità di strumenti e tecnologie adatti allo scopo. L' information technology risulta essere pertanto un punto di partenza fondamentale nell’implementazione di un sistema di MI e quindi di KM161. DATA MANAGEMENT ’85 – ‘90 AZIONI BUSINESS INTELLIGENCE ’85 – ‘90 DATI MANAGEMENT INTELLIGENCE ’85 – ‘90 INFORMAZIONI DATI INFORMAZIONI AZIONI Schema 9.2 “Da data management a management intelligence” Fonte: QUAGINI L. “Business Intelligence e Knowledge management”, ANGELI, Milano, 2004 pag. 128 L'informatica è ormai una presenza familiare in tutte le attività lavorative, ma non deve bastare la presenza di un computer a convincere che si hanno gli strumenti adatti. Quello che serve è una tecnologia che sia orientata alla condivisione delle informazioni in maniera semplice e veloce. Il ruolo della tecnologia nell’ambito di sistemi di KM può essere sintetizzato nei seguenti termini162: - Rendere possibile la codifica e la strutturazione della conoscenza di un individuo o di un gruppo e restituire poi la stessa a tutta l’azienda, - Aumentare la velocità con cui la conoscenza viene trasferita, - Estendere le possibilità di interazione tra gli individui, creando nuove forme di collaborazione. Per ognuno di questi obiettivi sono disponibili soluzioni tecnologiche ad hoc. 161 Ovviamente in questa sede analizziamo le tecnologie di KM. Abbiamo ritenuto opportuno però citare il concetto di BI edi MI cui il KM è intimamente connesso. 162 Quanto verrà trattato in merito alle tecnologie di KM è frutto di una nostra elaborazione da: FUSCIANI V., “ Lo Sviluppo della Conoscenza nei Contesti Aziendali: Teorie, Approcci e Metodi. Il Caso it Consult”, 2005. In quest’ambito occorre sottolineare come lo sviluppo delle tecnologie Il seguente paragrafo si pone l’obiettivo di presentare una breve rassegna di questi strumenti e della loro utilità nell’ambito delle attività di KM163. Dai casi aziendali citati in letteratura emergono fondamentalmente tre categorie di soluzioni tecnologiche per il KM: 1. Repositories, 2. Sistemi di collaborazione, 3. Ambienti di analisi. La tabella che segue mette in relazione queste tre categorie di strumenti con le attività di knowledge management164. REPOSITORIES SISTEMI DI COLLABORAZIONE AMBIENTI DI ANALISI IDENTIFICAZION E TRASFERIMENT O SVILUPPO Tab. 2.2 “Il ruolo della tecnologia nelle attività di KM” Fonte: nostro adattamento da: FUSCIANI V., “ Lo Sviluppo della Conoscenza nei Contesti Aziendali: Teorie, Approcci e Metodi. Il Caso it Consult”, 2005 Analizziamo ora ognuna delle soluzioni tecnologiche citate. - Repositories. Sono archivi di conoscenza che contengono qualunque informazione proveniente da qualsiasi fonte interna o esterna all’azienda. La loro necessità si manifesta in modo più pressante dopo la fase di identificazione della conoscenza aziendale (attraverso le mappe di conoscenza)165, in cui si ha bisogno di una rappresentazione puntuale dei saperi individuati al fine del loro trasferimento e della “mobilità” interna. I repositories possono assumere diverse configurazioni: File System, Posta elettronica, Internet, Fax, Supporti multimediali, ecc… Solitamente si distinguono però due diversi tipi di informatiche abbia favorito ed agevolato in modo consistente la creazione degli strumenti di KM che verraano qui di seguito trattati. 163 In questa sede non ci sembra opportuno dilungarsi sulle caratteristiche specifiche delle tecnologie di KM, in quanto gli strumenti a disposizione sono praticamente infiniti e le caratteristiche di ognuno di essi possono essere cambiate e combinate a seconda delle esigenze.Abbiamo pertanto optato per la soluzione di fornire una breve panoramica di quelle che a nostro avviso risultano essere le tecnologie di KM più significative ad oggi nell’odierno contesto competitivo. Nel quarto capitolo verrà trattata in modo più approfondito la tecnologia usta per l’azienda iGuzzini Illuminazione. Per ulteriori approfondimenti in merito alle tecnologie di KM si veda: http://www.itconsult.it/knowledge/ white_papers/pdf/itc_WP_Strumenti_Tecnologie_KM_Cap3.pdf 164 Occorre in quest’ambito sottolineare come per attività di KM si debba intendere il ciclo di vita della conoscenza che verrà descritto in seguito. Fra le molteplici classificazioni delle tecnologie di KM esistenti in letteratura, in questa sede ne è stata considerata una di tipo pragamatico perché più delle altre fa comprendere l’utilità degli strumenti in questione. 165 Si rimanda al paragrafo successivo per ciò che concerne le mappe di conoscenza. repositories: quelli off line e quelli on line. I primi fanno riferimento a tecnologie quali Lotus Notes che consentono l’archiviazione di informazioni e successive analisi della stessa veloci e flessibili166. L’utilizzo dello strumento Web, invece, è particolarmente ideale per la gestione di informazioni pubblicate attraverso diversi tipi di piattaforme informatiche e per la ricerca e il recupero di conoscenza basata su documenti167. Sistemi come questi sono stati attivati da numerose aziende. Ricordiamo ad esempio la Hewlett-Packard che rappresenta ad oggi un laboratorio importante per il knowledge management basato sulle tecnologie Web. HP ha costruito per la Hewlett Packard un repository di centinaia di migliaia di documenti che possono essere utili ai propri rappresentanti di sistemi informatici nel processo di vendita. Il sistema si chiama Electronic Sales Partner (ESP) e permette l’accesso ad esso da qualsiasi luogo, tramite un Web interno, a centinaia di migliaia di rapporti, presentazioni, descrizioni tecniche delle macchine, etc... I documenti vengono inseriti nel repository su proposta dei membri della HP, dopo essere stati valutati da un gruppo di persone che ne controlla l’unicità e l’utilità168. Il sistema contiene un motore di ricerca, una funzione che permette di passare in rassegna i documenti per categoria, strumenti per differenziare i permessi di accesso e per archiviare documenti che da tempo non vengono consultati169. - Sistemi per gestire la collaborazione. I sistemi di collaborazione sono quelle soluzioni che mirano a connettere le persone tra loro (anche a distanza), facilitando la possibilità di trasferimento e sviluppo di nuova conoscenza170. Sono strumenti particolarmente utili quando la conoscenza non è enunciabile e quindi non ammette rappresentazioni. Esistono diversi strumenti per operare il trasferimento della conoscenza e ognuno mette in contatto le persone a diversi livelli: - Pagine gialle degli esperti: sono assimilabili ai repositories trattati in precedenza con la differenza che con essi non vengono condivisi documenti di rappresentazione della conoscenza, ma descrizioni di ciò che ciascuna persona sa e sa fare. Tale strumento offre informazioni sulle persone dell’organizzazione, per esempio la loro formazione, l’esperienza lavorativa con descrizione delle posizioni assunte all’interno e all’esterno dell’organizzazione, i progetti a cui è coinvolto, le responsabilità assegnate o particolari competenze. 166 Ad esempio Lotus Notes unisce funzioni di posta elettronica, calendario e pianificazione con una piattaforma desktop avanzata per applicazioni collaborative. 167 L’utilizzo di archivi basati su questa tecnologia si sta diffondendo notevolmente, dal momento che migliaia di imprese si stanno impegnando in questo senso. Il Web, infatti, rappresenta una tecnologia intuitiva, integrata con rappresentazioni audio, video e grafiche della conoscenza. La conoscenza specifica di un’area è spesso collegata ad un’altra conoscenza, e la struttura a ipertesti del Web facilita notevolmente il trasferimento della ricerca da un “luogo” a un altro. 168 Da questo caso emergono tutte le funzioni sopra citate del knowledge worker. 169 Infine, ad ogni repository aziendale deve essere associato un sistema di Information Retrival. Esso è costituito da strumenti per la ricerca dei dati che offrono continui miglioramenti, arricchendosi di funzioni per la classificazione in base alla rilevanza dei documenti, la possibilità di interrogare le basi dati tramite linguaggi naturali e, in generale, varie nuove capacità che incrementano la velocità e la precisione nella ricerca delle informazioni. - Sistemi di Groupware171: offrono la possibilità di interagire a distanza, avvalendosi di strumenti di e-conference e Workflow172. Inoltre, con la crescita della larghezza di banda, le possibilità dell’interazione a distanza crescono: è oggi possibile dialogare in tempo reale a distanza arricchendo la conversazione di filmati, voce, documenti condivisi, ecc. Queste soluzioni permettono di oltrepassare la barriera spaziale che renderebbe impossibile l’interazione in contesti distribuiti. - Strumenti di e-learning173: anche la formazione a distanza può essere considerata uno delle nuove tecnologie che concorrono ad un progetto di knowledge management. Essa consente di aggiornare professionalmente il personale. KM e e-learning hanno diversi punti in comune: il Knowledge management ha come obiettivo primario la creazione di nuova conoscenza, mentre l’e-learning ha come obiettivo primario la diffusine della conoscenza esistente. - Ambienti di analisi. Questi sistemi partono dal presupposto che la sovrabbondanza dei dati non implica il possesso dell’informazione necessaria, anzi una massa spropositata degli stessi può coincidere con l’incapacità di tirar fuori informazioni rilevanti. Non basta disporre di dati, occorre poterli analizzare. Come è stato detto nel Capitolo 1, infatti, dai dati è possibile arrivare a delle informazioni e dalle informazioni alla conoscenza. I sistemi che consentono di muoversi in questo senso prendono il nome di Data Warehouse, e Data Mining. Il Data Warehouse174 (DWH) è una piattaforma sulla quale vengono archiviati e gestiti dati provenienti dalle diverse aree dell’organizzazione; tali dati, organizzati ad esempio per argomento e per riferimento temporale, sono finalizzati al supporto del processo decisionale. Il padre fondatore del DWH è Immon, 170 Davenport, nella sua trattazione sulle tecnologie per il Knowledge management, afferma che il valore critico della tecnologia nella gestione della conoscenza, riguarda proprio l’estensione e l’accelerazione del trasferimento. 171 Con Groupware si intendono l’hardware e il software che supportano il lavoro di gruppo. Le applicazioni Groupware non devono essere intese come strumenti atti al rimpiazzo delle persone che operano in situazioni interattive, piuttosto devono essere percepite come un insieme di strumenti il cui scopo è facilitare e sviluppare la collaborazione. Il Groupware consiste, quindi, in un insieme di prodotti “group oriented” progettati per permettere a persone diverse di lavorare e condividere informazioni. 172 I sistemi di Workflow sono le tecnologie che consentono alle informazioni di essere distribuite ai vari utenti del sistema, attenendo perciò al processo di distribuzione delle informazioni e facendo perciò parte di sistemi di Groupware. Permettono di codificare il trasferimento di conoscenza quando questo richiede un metodo di diffusione più rigido e controllato. Ad esempio, il processo di generazione di una proposta richiede la raccolta a priori di Asset di conoscenza, la creazione di nuove informazioni e l’ottenimento dell’approvazione finale dell’intera proposta. Tutto questo iter richiede la preparazione di informazioni strutturate e ordinate, processo che coincide esattamente con le funzioni che devono essere offerte dal i sistema di Workflow (distribuzione guidata di informazioni). 173 Sono strumenti che si stanno diffondendo moltissimo. Si vedrà nel terzo e quarto capitolo come le tecnologie di KM devono necessariamente essere anche strumenti di apprendimento. 174 Ulteriori informazioni verranno approfondite nel quarto capitolo, in quanto iKnow è proprio uno strumento di knowledge Warehouse evoluto. che lo definisce come una raccolta di informazioni integrata, subject oriented, time variant e non volatile di supporto allo svolgimento dell’attività aziendale175. - Integrata: significa che nel DWH confluiscono dati provenienti da più sistemi transazionali e da fonti esterne; - Subject oriented: il DWH è orientato a temi specifici dell’azienda (ad esempio clienti, prodotti, ecc.) piuttosto che alle applicazioni o alle funzioni; - Time variant: i dati archiviati nel DWH hanno un orizzonte temporale molto più esteso rispetto agli archivi tradizionali. Nel DWH sono contenute una serie di informazioni relative ad un determinato fenomeno in un determinato intervallo di tempo piuttosto esteso; - Non volatile: tale caratteristica indica la non modificabilità dei dati contenuti nel DWH che consente accessi di sola lettura. Il Data Mining consente invece alle diverse aree applicative dell’azienda, il miglioramento dei processi conoscitivi. Esso, infatti, è uno dei componenti del sistema di scoperta della conoscenza e può essere definito come un “insieme di tecniche che consentono di effettuare l’esplorazione e l’analisi dei dati per scoprire significative regole o modelli nascosti all’interno di archivi di grandi dimensioni in modo automatico e semiautomatico”. Esso è un approccio multidisciplinare che riunisce un insieme di tecniche quali la statistica, la visualizzazione, i sistemi basati sulla conoscenza e i sistemi ad autoapprendimento che consentono di scoprire conoscenza e di tradurla in regole o modelli utili per risolvere problemi di business. I processi di Data Mining avvengono secondo una metodologia chiamata On-Line Analitical Program (OLAP). Il termine OLAP non indica una tecnologia, ma è un’etichetta con cui ci si riferisce a tutte quelle funzioni analitiche che servono per trarre informazioni dai dati immagazzinati nelle Data Warehouse e di rielaborare tali informazioni. Si tratta di una modalità che consente di accedere ai dati mettendo l’utente in condizioni di realizzare sofisticate indagini a supporto del proprio processo decisionale. Esaurita l’analisi delle categorie tecnologiche sopra citate occorre ora passare in rassegna alcuni degli strumenti “tradizionali” di KM, che ricoprendo molte delle attività anzidette non sono stati inseriti nella classificazione, ma di fatto sono funzionali per la corretta implementazione di un sistema di gestione della conoscenza176. Internet: è stato da sempre protagonista all’interno di un Knowledge management system. Esso, infatti, ha introdotto nelle imprese un nuovo modo di archiviare i dati, rispetto ai vecchi database e rappresenta, al contempo, l’esempio migliore di un archivio della conoscenza, in questo caso esterno all’impresa, contenente una quantità sterminata di documenti e di informazioni; inoltre, la sua tecnologia e i suoi servizi, forniscono modalità di collegamento tra persone e informazioni senza precedenti177. 175 Fonte: http://www.cirsfid.unibo.it/didattica/upload/35_Lezione12.pdf. Tali aspetti saranno meglio ricordati in sede di trattazione del caso di studio. 176 Anzi, spesso le tecnologie tradizionali sono proprio il punto di partenza per l’implementazione di sistemi di KM, come si vedrà meglio nel quarto capitolo. 177 Insieme ad internet ricordiamo la messaggistica istantanea: offre un livello di sincronismo intermedio fra la comunicazione vocale e quella asincrona (per esempio l’e-mail). Consente, cioè, una Intranet: una Intranet è una rete privata, protetta da meccanismi di sicurezza, che utilizza gli standard e i protocolli Internet per rendere accessibili applicazioni e informazioni esclusivamente alle persone dell’azienda: pertanto l’accesso a tale rete è consentito solo ed unicamente ai soggetti autorizzati. Sicuramente la Intranet, prima che arrivassero i Portali aziendali, qualche anno fa, era la punta di diamante dei progetti di knowledge management. Essa, infatti, è un vero e proprio luogo virtuale grazie al quale incontrarsi, avere a disposizione tutta la miriade di informazioni ed esperienze dislocate in azienda, comunicare e quindi incrementare la propria capacità decisionale e operativa. Xerox, per esempio, già nel 1996 ha varato il sistema DocuShare, una Intranet con la quale gli utenti possono condividere documenti, stabilendo anche quali sono i soggetti ammessi alla consultazione tramite un sistema di accessi. Ancora, Simens Business Services ha reso disponibile in Intranet un library, in parte accessibile anche per la propria clientela, per agevolare tra i propri consulenti lo scambio di conoscenze sull’implementazione presso l’utenza del software SAP178. Extranet: una Extranet, invece, è una business-to-business (B2B) Intranet che consente comunicazioni limitate, controllate e sicure tra una Intranet aziendale e partner aziendali ben definiti e identificati. Una extranet si configura quindi come un “bridge” basato sulla tecnologia Internet che consente ad un’organizzazione di condividere informazioni riservate in modo sicuro e tempestivo con i propri partner, fornitori e agenti, cioè con gli attori coinvolti nella propria catena del valore. Un’organizzazione che, stabilendo meccanismi di sicurezza, estende specifici servizi della propria Intranet all’esterno verso i propri partner e li abilita all’uso congiunto di applicazioni necessarie alla realizzazione del business, dà vita ad una Extranet. Portali aziendali: i Portali sono uno strumento nato non più di qualche anno fa con l’obiettivo di aggiungere valore alla rete e quindi all’organizzazione e ai suoi dipendenti. Esso, infatti, si pone come lo strumento che permette ad ogni lavoratore di sfruttare in modo più efficace ed efficiente la vasta quantità di informazione e conoscenza che “viaggia” sulla Intranet aziendale. Tuttavia, per comprendere realmente le funzionalità del portale dobbiamo definire nello specifico le funzioni che esso svolge ed i vantaggi che porta all’azienda: 1) attraverso un portale le organizzazioni devono essere in grado di creare accessi strutturati alle informazioni trasversalmente ai sistemi aziendali; 2) il portale fornisce un’interfaccia altamente personalizzata dell’azienda per ogni utente; esso cerca di stabilire un ordine flessibile data anche la variabilità delle aziende che sono soggette a continui cambiamenti. La sfida, quindi, è quella di presentare le informazioni in modo che i dipendenti possano trovarle. E’ il caso della Giostyle Spa che, partendo dal presupposto che ognuno è fornitore dell’altro, ha improntato strumenti vincenti per la comunicazione d’azienda. Fra questi anche un portale aziendale, la cui gestione comunicazione in tempo reale ma comunque in formato testo. Il vantaggio, afferma Gardner, è che si può tenere una conversazione in tempo reale mentre si stanno facendo altre cose. 178 Il caso Xerox è tratto da: 11° forum sulla gestione della conoscenza nelle organizzazioni, 25 novembre 2006. è affidata ad un team appositamente creato che consente di utilizzare correttamente tutte le informazioni all’interno dell’organizzazione179. Un’ultima considerazione merita di essere citata a conclusione del paragrafo. Quando si parla di conoscenza lo strumento tecnologico è sicuramente importante, ma non sarà mai tanto efficace se l’utilizzatore non ha volontà di sapere e di trasmettere informazioni180. Pertanto non è automatico che a buoni strumenti di KM corrisponda il successo del sistema, occorre la volontà e la capacità delle persone nell’operare nel giusto senso. 2.2.4 Un nuovo modello di creazione del valore L’ultimo aspetto che rimane da analizzare circa le implicazioni di un sistema di KM per l’assetto d’impresa concerne il sistema di creazione del valore181. Il fine ultimo dell’impresa, come tutti sappiamo, è la creazione di ricchezza, ossia di valore. Ciò ne garantisce lo sviluppo e la sopravvivenza duraturi, rendendo possibile la soddisfazione, secondo modalità differenti, delle esigenze degli stakeholder che a vario titolo apportano risorse funzionali alla gestione aziendale. Se è vero però che oggi viviamo in una Knowledge Era completamente differente rispetto al precedente modello capitalistico occorre anche riconoscere il profondo mutamento che è avvenuto nei processi di creazione del valore. Arrivati a questo punto è quindi lecito domandarsi: come riesce la 179 L’azienda Giostyle Spa opera nel settore plastico con la produzione di stoviglie e contenitori monouso in plastica e carta, bicchieri per vetrine, vasetti per yogurt. Fatta questa precisazione e prima di concludere il paragrafo un ultimo aspetto merita di essere citato. Oltre a quanto già descritto esistono anche altre tecniche innovative di KM, quali ad esempio: Brainstorming: è in grado di incentivare il pensiero creativo e di convertire le esperienze tacite e personali in conoscenza esplicite. Le applicazioni di Brainstorming aiutano la classificazione, l’organizzazione e l’identificazione delle risorse di conoscenza, risultando utili per la creazione di strumenti idonei allo scopo. Sistemi Content Push: racchiude un approccio dinamico alla pubblicazione elettronica e rappresenta una caratteristica importante dei sistemi di knowledge management. Essi costituiscono il mezzo necessario per catturare le conoscenze desiderate all’interno della Knowledge Base, evitando agli utenti l’apprendimento di complesse tecniche di ricerca. Gli utenti si vedranno spedite via mail le informazioni più aggiornate della Knowledge Base. Agenti: sono una forma specializzata di Push Technology e possono essere controllati direttamente dagli utenti finali, i quali sono in grado di specificare il tipo di conoscenza che intendono ricevere. Le funzioni offerte dagli Agenti sono estremamente preziose, specialmente in ambienti “Knowledge-intensive” dove non è possibile monitorare continuamente le risorse di conoscenza. Cruscotti aziendali e balanced scorecard: per la misura delle prestazioni aziendali e sistemi di reporting per viste statiche sulle informazioni. 180 Molti degli strumenti qui descritti troveranno pratica applicazione nel quarto capitolo. Prima di concludere, però, ci preme sottolineare un ultimo aspetto: le tecnologie di KM appena ricordate non sono le uniche in azienda che hanno ad oggetto la gestione delle informazioni organizzative. Basti pensare al sistema informativo d’impresa, all’ERP, al SAP: si tratta di sistemi che coordinano e danno valore alla conoscenza d’azienda e che necessariamente devono essere interdipendenti e interagenti con i sistemi di KM. Solo in questo modo si potrà effettivamente contribuire alla creazione di valore per l’impresa: attraverso softwares con diverse finalità che interagiscono con l’unico ed importante fine di gestire la conoscenza d’azienda. 181 In quest’ambito si prenderà in considerazione come la risorsa conoscenza riesce a creare valore. conoscenza o meglio i metodi di gestione della conoscenza a creare valore? Una possibile risposta a questa domanda parte proprio dall’analisi dei nuovi fattori che determinano la creazione di ricchezza e il conseguimento di un vantaggio competitivo182: - v, ovvero l’efficacia di ciascun singolo impiego della risorsa conoscenza; - n, che misura la moltiplicazione del valore mediante il ri-uso della conoscenza; - p, che presidia la sostenibilità economica del processo nel corso del tempo, essendo pi la quota del valore complessivo che va a beneficio dell’operatore i-esimo della filiera. Il valore complessivo generato dalla conoscenza e dai processi di KM dipenderà pertanto dalle variabili v e n. Ad ogni ri-uso delle informazioni, infatti, si ottiene un valore utile addizionale v che va ad aggiungersi allo stock di valore ottenuto in precedenza. La crescita di n avrà quindi un effetto moltiplicativo sul valore totale generato dalla conoscenza. In poche parole: all’aumentare dell’uso e del ri-uso della conoscenza, aumenta anche l’efficacia del suo impiego, determinando di fatto un incremento totale di valore. Citiamo un esempio. Se l’azienda si è dotata di una rete Intranet per la condivisione delle informazioni è normale che quanto più gli utenti usano la rete e i saperi che in essa sono incorporati, quanto più tali conoscenze saranno impiegate efficacemente per il raggiungimento degli obiettivi di business. Pertanto indicando con v* il valore medio di v calcolato sugli n usi otteniamo che: V = v* n183 Dove: V = valore totale generato dalla conoscenza v* = valore medio di v calcolato sugli n usi n = moltiplicazione del valore mediante il ri-uso della conoscenza. Ne deriva che: Ei = v* n pi Dove: Ei = valore di cui beneficia ogni particolare soggetto della filiera v* = valore medio di v calcolato sugli n usi n = moltiplicazione del valore mediante il ri-uso della conoscenza 182 Il modello di generazione del valore è tratto da RULLANI, “Economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2005, pag. 149 – 226. Il modello che qui riportiamo può essere riferito sia alla singola azienda e ai suoi saperi interni che all’intera filiera. 183 Ovviamente per avere il reddito netto devo sottrarre a questo valore i costi sostenuti per la produzione e propagazione della conoscenza. Talvolta potrebbero essere pari a zero, talvolta, in virtù di adattamenti che devono essere fatti saranno più costosi. pi = quota del valore complessivo che va a beneficio dell’operatore i-esimo della filiera. L’obiettivo di ogni organizzazione è quello di far leva su n e su v* per produrre il massimo valore possibile, compatibilmente col vincolo di mantenere i coefficienti di appropriazione pi in un range che garantisca la sostenibilità del processo. Come operare proficuamente sulle tre leve? Analizziamo innanzitutto la leva della moltiplicabilità n. In passato essa manteneva il bacino di impiego sotto il diretto controllo proprietario, costituendo di fatto una “condanna” alla crescita dimensionale. In un’economia della conoscenza, invece, poiché il sistema di moltiplicazione e propagazione può essere in parte anche esterno all’impresa, il bacino di riuso della conoscenza può crescere notevolmente tramite la costituzione, ad esempio, di alleanze o joint venture. Ci possono essere molti modi per far crescere il valore di n: - Aumentando i volumi dei prodotti che si ottengono adottando una medesima tecnologia, una stessa macchina o soluzione tecnica. Così facendo la conoscenza originale viene usata più volte, generando un valore pari all’utilità dei miglioramenti o dei servizi ottenuti con il reimpiego della stessa base di conoscenza, - Aumentando il bacino geografico o il periodo di tempo in cui la stessa conoscenza viene impiegata nella soluzione di problemi simili, - Sviluppando nuove applicazioni a problemi e a campi inizialmente non considerati, ma in cui la conoscenza si rivela comunque utile. La seconda leva da impiegare nell’accrescimento del valore della conoscenza è quella dell’efficacia nei singoli usi. Efficacia significa che la conoscenza deve creare vantaggio per l’utilizzatore. In realtà questo non è sempre vero, o meglio è vero soltanto in parte. Occorre sottolineare, infatti, come il valore d’uso di una conoscenza sia innanzitutto un valore di filiera184. Pertanto quando andiamo ad agire sulla variabile v occorre tenere in considerazione non solo il consumatore finale ma anche e soprattutto i produttori e propagatori della stessa conoscenza. Essi devono dare senso al tempo e alle risorse impiegate per produrre o propagare saperi destinati ad essere utili anche ad altri. Ne deriva che le conoscenze si classificano in hard e soft. Le conoscenze hard, tipicamente codificate, sono in genere finalizzate a creare vantaggi oggettivi, misurabili (nelle prestazioni tecniche o nelle funzioni offerte all’utilizzatore). Le conoscenze soft puntano sui significati e sulle emozioni collegate all’esperienza cognitiva. In generale, nella filiera le conoscenze di tipo hard, collegate alle prestazioni di un abito o un’automobile riescono a raggiungere livelli elevati di efficacia solo se si accoppiano a conoscenze del secondo tipo che agiscono invece sui significati e sulle emozioni soggettive del singolo utilizzatore. Occorre vincere una doppia sfida: 184 L’economia della conoscenza è necessariamente un’economia di filiera, non di singola impresa. La produzione di valore non è analizzabile a livello di singola impresa, ma solo esaminando il circuito complessivo che la porta dal produttore ai molti utilizzatori e che comprende sempre una pluralità di contributi, di punti di vista, di significati possibili. - Realizzare la moltiplicazione della conoscenza nella filiera e non più nella singola impresa185; - Bilanciare benefici monetari con le utilità intrinseche che ciascun partecipante trae dall’esperienza di produzione o di propagazione della conoscenza.186 Bisogna, inoltre, considerare come v sia il risultato della somma di tre fattori diversi: - Il prezzo monetario che il consumatore finale della conoscenza paga ai suoi fornitori diretti e che questi riversano sui fornitori a monte della filiera, fino ad arrivare al produttore di conoscenza iniziale; - La rendita psicologica che il consumatore finale ottiene a proprio vantaggio se riesce a pagare un prezzo inferiore rispetto all’effettiva utilità ottenibile dalle conoscenze acquisite da terzi; - Il valore intrinseco psicologico che produttori e consumatori assegnano all’esperienza cognitiva che hanno fatto. Infine la terza leva, quella della sostenibilità economica del processo moltiplicativo è dettata dal carattere pubblico o privato della conoscenza. La conoscenza ha carattere pubblico quando viene condivisa non solo tra gli utilizzatori, ma anche tra i produttori. Esempi possono essere dettati dalla scienza, dalla pubblica istruzione, di cui beneficiano una miriade di soggetti privati. La conoscenza assume carattere privato quando è delimitata da confini tracciati da chi l’ha generata187. In questo caso la maggior parte delle conoscenze utilizzate nell’economia è protetta: - Da diritti di proprietà intellettuale (brevetti, marchi, copyright)188; - Dal fatto che il costo e il tempo richiesti per la riproduzione rimangono elevati. Un esempio può essere quello di conoscenze mantenute segrete (pensiamo alla formula della coca-cola) o di conoscenze talmente specifiche da non poter essere utilizzate in contesti diversi da quello del produttore. La specificità delle conoscenze e i relativi contesti di uso sono spesso lontani e diversi perché mancano ponti che colleghino persone, imprese e contesti differenti. Servono cioè: 185 Tale passaggio pone il problema di come trovare una distribuzione del valore complessivamente generato che consenta di riprodurre i diversi ruoli e i diversi investimenti che hanno contribuito a produrre e propagare conoscenza. 186 C’è un bisogno di dare senso al lavoro dei collaboratori e al proprio investimento, andando anche oltre il compenso monetario. Per esempio il musicista suona anche per il proprio piacere generando un doppio compenso, per la prestazione e per fare un qualcosa che gli piace. 187 La moltiplicazione genera vantaggi per l’utilizzatore, lo stesso non può essere detto per il produttore. Si possono infatti avere situazioni in cui se non viene tutelata la capacità di appropriazione del valore generato, il rendimento del capitale investito nella produzione di nuova conoscenza tende a zero in quanto chiunque entra in possesso della conoscenza la sfrutta al massimo, diventando a sua volta produttore e rivendendola ad un numero più grande possibile di potenziali utilizzatori. Tale attività è destinata a proseguire fintanto che il prezzo si azzera. La conoscenza in questo modo diventa un bene pubblico che è facilmente accessibile. Questo può arrecare grave danno al primo produttore perché ha investito tempo e risorse per generare nuova conoscenza mentre è fortemente auspicabile dai secondi produttori che possono acquisire nuova conoscenza a prezzi bassi. 188 È esemplificativo in quest’ambito il caso Geox. L’azienda è proprio grazie ai brevetti che può contare su conoscenze e competenze distintive che non possono essere facilmente copiate - Un sistema efficiente di comunicazione, con linguaggi e metodologie capaci di allargare il campo di applicazione della conoscenza inizialmente prodotta in un contesto che è diverso da quelli di destinazione e di uso; - Un sistema logistico che consenta di trasferire a basso costo un contenuto cognitivo nel tempo e nello spazio, colmando la distanza tra momento e luogo di produzione e momento e luogo di impiego; - Un sistema di incentivi e di garanzie, fiducia e responsabilità che giustifichino la cessione ad altri delle conoscenze possedute dando allo scambio adeguate motivazioni. I tre drivers del valore, pur operando in campi distinti sono fortemente interdipendenti. Essi devono agire in modo complementare al fine di garantire un impiego efficace, una moltiplicazione e distribuzione in forme adeguate della conoscenza, sia all’interno dell’impresa che fra le imprese della filiera. Pertanto la conoscenza viene prodotta, si propaga e può rigenerarsi attraverso nuovi investimenti solo se il livello dei tre drivers crea una base di valore sufficiente a rendere conveniente e auto-propulsivo il processo. Questo è il motore che mancava alle imprese nell’economia pre-industriale e che la modernità ha messo in movimento due secoli e mezzo fa. 2.3 Il sogno e il disincanto del knowledge management Questo paragrafo, l’ultimo del secondo capitolo, si propone di prendere in considerazione gli aspetti più prettamente “tangibili” e pratici del KM. Le immagini fin qui delineate in merito alla gestione della conoscenza potrebbero, infatti, lasciar trapelare che lo stesso sia un fenomeno prettamente teorico, distante dalle nostre realtà aziendali. Termini quali knowledge worker o Learning Organization sembrano più delle belle filosofie piuttosto che concrete attualità. Ma in realtà il KM è un fenomeno più realistico e pratico di quanto non si possa pensare189: esso coinvolge da vicino tutte le organizzazioni portandole a conseguire vantaggi competitivi tramite “il più veloce apprendimento della realtà rispetto alle organizzazioni concorrenti e tramite la creazione/accumulazione di conoscenze che permettano di anticipare i cambiamenti rispetto alle altre aziende”. A testimonianza della “pragmaticità” di un sistema di KM ricordiamo brevemente alcune delle sue innumerevoli applicazioni: creazione di database per la gestione dei clienti, implementazione di attività di benchmarking, introduzione di nuove tecnologie per gestire gli ordini, coordinazione del retail, sviluppo delle competenze e delle capacità degli individui, creazione di una memoria aziendale, che come quella 189 LANZA A., “Knowledge governance. Dinamiche competitive e cooperative nell’economia della conoscenza”, EGEA, Milano, 2000 degli individui raccolga informazioni su clienti e i fornitori. Ma KM significa anche gestione delle relazioni interne ed esterne, modificazione dei prodotti esistenti, analisi di eventuali malfunzionamenti nei processi aziendali, fidelizzazione del cliente, programmazione di campagne pubblicitarie. Scopo della successiva trattazione sarà quello di capire ciò che sta dentro un sistema di gestione della conoscenza per comprenderne i punti di debolezza e quindi tutte le eventuali soluzioni da adottare190. 2.3.1 Le attività di un sistema di gestione della conoscenza Prima di passare in rassegna ciò che viene svolto in azienda da un sistema di KM è utile chiarire una questione di fondo: un qualsiasi progetto di gestione della conoscenza deve essere coerente con gli obiettivi strategici d’impresa, altrimenti rischia di rimanere un sistema inutilizzato e per il quale sono state spese inutilmente ingenti risorse. L’iter logico che deve caratterizzare un qualsiasi sistema di KM è rappresentato dalla seguente figura. BUS KM KM KM Schema 10.2 “Dalla strategia di business alle attività di KM” Fonte: CAPPELLIN R., “Le reti di conoscenza e innovazione e il knowledge management territoriale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2003 Un esempio aiuterà a comprendere meglio lo schema191. L’azienda Coloplast realizza prodotti per chi ha subito una stomia o una mastectomia, o per chi ha subito delle lesioni cutanee. A questi pazienti, cui la medicina ha ridato speranza, Coloplast ha l’obiettivo strategico di restituire sicurezza ed indipendenza, con soluzioni innovative e qualitativamente superiori, che aiutano giorno per giorno a tornare con serenità alla propria vita, ai propri affetti, al proprio lavoro. L’azienda ha innestato un buon sistema di KM dove gli obiettivi sono: sviluppare il prodotto migliorando il coordinamento fra lo stesso e le esigenze del cliente e della sua particolare situazione, comprensione profonda dei desideri del consumatore e della sua particolare situazione, sviluppo e formazione di collaboratori idonei a questo scopo. Le azioni di KM che sono state realizzate sono molteplici. Se si prende a riferimento ad esempio l’obiettivo dello sviluppo dei dipendenti/collaboratori, Coloplast risponde con un’attività di KM che è la presentazione aziendale presso le Università. Lo scopo è quello di selezionare il personale “migliore” per 190 In quest’ambito molteplici sarebbero gli argomenti da analizzare, dal costo di un sistema di KM alle fasi di realizzazione dello stesso. Abbiamo ritenuto opportuno però concentrarci su elementi più “standard” come ad esempio le attività di KM, e i suoi benefici poiché gli aspetti sopra citati variano in misura eccessiva da azienda ad azienda e sarebbe pertanto controproducente elencare tutte le casistiche a dispostone. Questi aspetti verranno invece analizzati nel quarto capitolo quando si prenderà in analisi il sistema iKnow. Lo stesso discorso vale per le forme in cui si sostanzia il KM, che verranno brevemente elencate di seguito. Anche in questo caso non riteniamo opportuno fornire un mero elenco delle possibili applicazioni del KM poichè ci sembra più corretto parlarne attraverso esempi pratici, tecnologie, benefici che vengono addotti. 191 L’esempio dell’azienda Coloplast è rielaborato da quanto presente in: CHIUCCHI M.S., “Alle radici del capitale intellettuale”, in rivista italiana di ragioneria ed economia aziendale, luglio agosto, 2002 i loro traguardi. Da qui si evince l’importanza di garantire unitarietà e coerenza tra gli obiettivi di business e le attività di KM. Molto significativa risulta essere poi un’affermazione riportata dalla stessa azienda: “Mentre si tende a non tollerare il disordine in un laboratorio e a tenere in ordine gli strumenti di lavoro, è prassi consueta che le idee non siano organizzate e che si dimentichi per periodi anche lunghi di classificare la nuova conoscenza. E’ questa la difficoltà maggiore: tenere in ordine il laboratorio delle idee è un’attività quotidiana, costosa, difficile e non remunerativa”. Questa affermazione apre la strada per l’analisi di un importante concetto, quello del ciclo di vita della conoscenza ovvero delle attività che vengono svolte da un sistema di KM in azienda. Non tutte le imprese gestiscono in maniera intenzionale le fasi di un sistema di KM, cioè non tutte le imprese hanno pratiche di raccolta e selezione delle nuove idee o hanno codificato almeno una parte delle loro conoscenze su manuali o supporti elettronici. Probabilmente processi di generazione e utilizzo di conoscenza si attivano in maniera automatica, portando, perché no, all’ottenimento di rilevanti benefici: tuttavia bisogna ammettere che la gestione consapevole dell’intero ciclo produce maggiori e più sicuri vantaggi. Questo paragrafo ha proprio lo scopo di analizzare il ciclo di vita della conoscenza, o meglio le attività che occorre svolgere per l’implementazione di un corretto sistema di KM nelle aziende. Occorre imparare a gestire e valorizzare un tipo di capitale che non è più quello tangibile: un capitale difficile da osservare e da elaborare, a volte non noto neanche a chi lo possiede. Uno schema renderà la trattazione dell’argomento più semplice. Figura 11.2 Il ciclo di vita della conoscenza Valorizzazione Fonte: CAPPELLIN R., “Le reti di conoscenza e Analisi innovazione e il knowledge management territoriale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2003 Generazione Organizzazione Codificazione Accesso Le attività di un sistema di KM prendono la forma di un processo circolare che si autoalimenta, creando di volta in volta le sue stesse premesse per l’attivazione di un nuovo ciclo192 (come mostra la figura 11.2). Un progetto di KM è caratterizzato generalmente da sei macro categorie di attività193: 192 L’analisi del ciclo di vita della conoscenza è frutto di una nostra elaborazione a partire da numerosi contributi teorici quali quello di Foray, Rullani, Quagini, Quagli. 193 Le categorie di attività qui descritte devono essere considerate delle “macro categorie”. All’interno di ognuna di esse esistono altre importanti attività che verranno esplicitate in questo stesso paragrafo. Analisi e acquisizione della conoscenza. Questa fase si sostanzia nell’identificazione delle aree di conoscenza rilevanti, nell’individuazione delle conoscenze critiche assenti e da reperire all’esterno o all’interno e quindi nella comprensione del problema di business al fine di correlare gli obiettivi di conoscenza agli scopi da esso definiti. L’attività di identificazione della conoscenza è lunga e delicata194.A livello metodologico, gli strumenti di cui questa attività si serve sono le metodologie di rilevazione del dominio della conoscenza da anni utilizzate nell’ambito dell’ingegneria della conoscenza195: l’intervista, l’analisi di protocollo, il laddering, la classificazione dei concetti, le repertory grids196. L’insieme di queste tecniche da luogo o meglio si sostanzia in una “mappa” delle conoscenze, che individua “chi possiede quali saperi” all’interno dell’organizzazione. In termini generali, “le mappe della conoscenza sono rappresentazioni grafiche degli esperti, degli assetti, delle fonti, delle strutture o delle applicazioni della conoscenza”. Alcuni tipi di mappe sono: - Topografie della conoscenza: identificano le persone che possiedono particolari conoscenze, indicandone anche il livello. La tabella 3.2 riporta un esempio di topografia della conoscenza. Commercio Elettronico 194 Comunità online Davide XXXXXX Paolo XXX XXXX Marco XXXX XXXXXX Ipertesti Grafica per siti Web XXXXXX XXX XXXXXX XX L’analisi dell’attività di identificazione della conoscenza è tratta da: QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004 195 L’ingegneria della conoscenza è un insieme organicamente articolato di metodi, tecniche e strumenti per la rappresentazione e la gestione efficace ed efficiente del patrimonio di conoscenze individuali e di un’organizzazione. 196 L’intervista è il metodo più facile e intuitivo. Essa può essere strutturata o non strutturata: le interviste non strutturate sono condotte solitamente nelle fasi iniziali del progetto mentre quelle strutturate mirano a raccogliere informazioni sulle relazioni e sui concetti chiave. Nell’analisi di protocollo, il comportamento dell’esperto viene osservato e analizzato in modo diretto, al fine di estrarre strutture significative; questa tecnica richiede di norma il supporto di mezzi audio e video. Nel laddering: l’esperto e l’analista costruiscono un grafo che rappresenta il dominio di conoscenza nei termini delle relazioni tra gli elementi del dominio e delle soluzioni ai problemi. Il grafo prende la forma di una gerarchia di alberi. Questa tecnica è usata soprattutto nella prima fase dell’esplorazione del dominio. La classificazione di concetti, prevede la presentazione all’esperto un insieme di carte su ciascuna delle quali è stampata una parola che corrisponde a un concetto appartenente al dominio; le carte vengono mischiate e all’esperto viene chiesto di dividerle in un numero prefissato di gruppi oppure in un numero qualsiasi che egli ritenga opportuno. Esistono molteplici varianti di questa tecnica, che permette di scoprire nuovi punti di vista, concetti e attributi ed è per questo particolarmente utile quando si lavora su domini non familiari. Le repertory grids, sono sistemi in cui gli esperti di fronte ad una serie di elementi del dominio devono in modo reiterato scegliere tre elementi in modo che due siano simili tra loro e diversi dal terzo, dando le ragioni della scelta. Il processo va avanti finché l’esperto non sia più in grado di utilizzare alcun criterio di differenziazione. Tabella 3.2 “Topografia della conoscenza” Fonte: FUSCIANI V., “ Lo Sviluppo della Conoscenza nei Contesti Aziendali: Teorie, Approcci e Metodi. Il Caso it Consult”, 2005 - Mappe degli assetti di conoscenza: mostrano dove e con che modalità sono immagazzinati specifici assetti di conoscenza (su supporto cartaceo, in formato elettronico, nella testa di un ex-dipendente, e così via.). Mappe di questo tipo danno informazioni sul livello di aggregazione della conoscenza. - Sistemi informativi geografici: mostrano l’organizzazione geografica degli assetti di conoscenza. Una mappa geografica delle aree di vendita, ad esempio, è utile per pianificare le attività di marketing. - Mappe delle fonti della conoscenza: mostrano quali persone in una squadra, in un’organizzazione, o nell’ambiente esterno possono apportare conoscenza utile a determinati task. - Mappe di best practices: consistono nella costituzione di un archivio di casi risolti consultabili da tutta l’organizzazione. In pratica, l’operatore coinvolto in un’interessante esperienza, descrive il problema affrontato, la soluzione adottata, il risultato ottenuto e l’apprendimento che ne ha ricavato. Si tratta proprio della descrizione e relativa soluzione di specifici problemi. La seconda sub fase di questo primo macro processo, che segue quella di identificazione della conoscenza è la fase di acquisizione della stessa. Qualora si ritenesse necessario acquisire nuova conoscenza, questo processo può avvenire sia internamente197 (ad esempio mediante corsi di aggiornamento per il personale, idee e proposte dei membri dell’organizzazione) che dall’esterno (mediante collaborazioni, assunzioni, acquisizioni,…). L’acquisizione esterna ha il vantaggio di essere più rapida di quella interna, anche se quest’ultima viene assimilata meglio dalle persone (clienti, attori istituzionali). La scelta dell’utilizzo di un modo o dell’altro rappresenta un trade-off tempi/prestazioni. Selezione e Codificazione della conoscenza198. E’ un processo che consiste nella classificazione della conoscenza al fine del suo immagazzinamento e distribuzione; nella sua documentazione per la creazione di basi di conoscenza accessibili a tutti, nella produzione di archivi di conoscenze interne strutturate e informali; nella creazione di archivi di conoscenze esterne, nel rendere esplicita la conoscenza implicita che risiede nelle persone. La codificazione riduce i costi e migliora l’affidabilità delle operazioni di immagazzinamento e memorizzazione199. 197 In questo caso il processo prende il nome di selezione della conoscenza in quanto fa riferimento all’analisi delle esigenze dell’azienda e alla conseguente ricerca delle conoscenze richieste all’interno della base di dati già esistente. 198 Cfr. FORAY D., “L’economie de la connaissance”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 67 199 La codificazione presuppone almeno tre condizioni: creazione di un messaggio fissato su un supporto, creazione di un modello relativo alla conoscenza tacita tramite un’operazione di scomposizione e ricomposizione degli elementi della conoscenza, creazione e sviluppo di un linguaggio che consenta di leggere il codice, la conoscenza L’accesso. Consente la distribuzione tempestiva della conoscenza agli utilizzatori, facilita lo scambio di conoscenza tacita, ridisegna i processi organizzativi in funzione della circolazione e diffusione delle conoscenze. La distribuzione di conoscenza è un processo che deve possedere diverse proprietà. Deve essere innanzitutto mirato. E ciò per i seguenti motivi: per garantire la riservatezza delle informazioni200, evitare di fornire della conoscenza inutile alle singole persone e quindi non far passare in sordina conoscenza per loro di reale importanza. La distribuzione dovrebbe inoltre essere bidirezionale. Quasi sempre, infatti, chi è a valle della catena produttiva o distributiva riesce a cogliere degli aspetti pratici che sfuggono agli strateghi o comunque a chi deve prendere le decisioni. Il porre attenzione ai feed-back degli utenti finali permette da un lato di poter valutare il progetto di KM e di migliorarlo, dall’altro permette di ottenere nuovi input per un successivo sviluppo del progetto stesso. Inoltre la distribuzione della conoscenza non può e non deve avvenire in modo strutturato ma deve svilupparsi in via informale, come un processo spontaneo: basti pensare, ad esempio, quando un dipendente domanda ad un collega seduto ad una scrivania vicina come predisporre una richiesta di finanziamento (si assiste in questo caso ad un vero e proprio trasferimento di conoscenza); quando un agente di vendita nuovo assunto investiga presso l’agente sostituito i bisogni espressi da un particolare cliente in un’area del mercato; quando un ingegnare domanda ad un altro, che si trova in fondo allo stesso corridoio, se questi non abbia mai affrontato uno specifico problema. In tutti questi casi si parla di trasferimento spontaneo della conoscenza. Altro è, invece, una strategia specifica di trasferimento, che a seconda del tipo di conoscenza che deve essere trasferito e a seconda della cultura organizzativa dell’azienda o del paese in cui ci si trova201, assumerà connotati diversi. L’organizzazione. La conoscenza va organizzata e catalogata in modo da renderla accessibile a chiunque. Ciò risulta essere piuttosto facile per ciò che concerne la conoscenza esplicita, meno per la conoscenza tacita. Ove possibile, e dove vi sia la convenienza economica a farlo, la conoscenza tacita andrebbe pertanto esplicitata in forma tangibile o quantomeno codificabile. Questo processo presuppone l’adozione di un approccio integrato e collaborativo o comunque di una cultura della condivisione della conoscenza202 volta ad accumulare senza soluzione di continuità l’esperienza, a trattenere la memoria aziendale e del personale esperto, a minimizzare i rischi di perdita di personale chiave. La generazione. Se la conoscenza di cui si ha bisogno non è disponibile né internamente né esternamente (ad esempio per applicazioni altamente innovative), è necessario crearla. La creazione può avvenire in 200 Ad esempio i progetti relativi ad un nuovo prodotto hanno generalmente valenza strategica e dovrebbero essere distribuiti solo alle figure strettamente interessate al processo innovativo dello sviluppo di nuovi prodotti, per evitare che tali informazioni possano finire prematuramente nelle mani dei competitor. 201 Questa ultima distinzione significa che non è possibile, e per certi aspetti neanche desiderabile, imporre un modello, ad esempio, giapponese, alle imprese americane dove i giapponesi hanno una cultura secondo cui i lavoratori, di qualunque status, trascorrono insieme molto del tempo non lavorativo, mentre gli americani sono orientati verso una cultura gestionale adatta alla logica degli “uffici virtuali”. In Giappone, le cene aziendali e le visite collettive ai locali notturni fanno parte di una cultura diffusa nelle imprese. Queste occasioni fungono come importante meccanismo di condivisione della conoscenza, ma anche come meccanismo di creazione di fiducia 202 Si è già parlato nel paragrafo 2.2.1 del ruolo della knowledge culture. qualunque funzione aziendale, dalla R&D, alla Produzione, al Marketing. Creare conoscenza non è semplice: per farlo è necessario favorire creatività e innovazione. Inoltre è bene che le persone che creano nuova conoscenza abbiano anche avuto modo di applicarla, in modo da condividere insieme alle idee anche i risultati concreti conseguibili. Creazione e arricchimento della conoscenza possono avvenire tramite diverse modalità tra cui ricordiamo la già citata produzione di nuova conoscenza o l’assemblaggio di conoscenza esistente, l’aiuto ai dipendenti a generare nuove idee in modo più efficace, l’apprendimento continuo, l’autoformazione, l’e-learning, l’utilizzare l’errore come fonte di apprendimento. Fondamentalmente però i metodi di generazione di conoscenza si identificano in due macro categorie: la ricerca, o meglio R&S, definita come l’insieme dei processi di creazione intellettuale intrapresi su base sistematica allo scopo esplicito di accrescere lo stock di conoscenze e l’apprendimento che consente di acquisire informazioni attraverso lo studio, la conoscenza, l’insegnamento. A prescindere dalla modalità di creazione di conoscenza aziendale ciò che rileva è che il processo di generazione debba essere un processo continuo e non un momento che si manifesta solo in caso di bisogno. La valorizzazione. Valorizzare la conoscenza significa gestire la conoscenza come asset aziendale, potenziare il capitale intellettuale, capitalizzare sul patrimonio di conoscenze acquisite dall’azienda, sviluppare le competenze e il know how del gruppo anche tramite la vendita di conoscenza e soluzioni e applicare la conoscenza alle decisioni e alle opportunità di business. Questa fase ricomprende in sé una molteplicità di sottofasi fra cui quella di internalizzazione della conoscenza, che è fondamentale per accrescere la base conoscitiva dell’organizzazione203, quella di applicazione della conoscenza per la quale si ritiene che la stessa non debba essere mai fine a sé, ma debba essere messa in movimento per essere utilizzata 204 e infine la fase di misurazione della conoscenza. Un progetto di KM deve essere sempre valutato. E’ quindi importante innanzitutto fissare degli obiettivi stimabili e operare il processo di calcolo non sulle performance del progetto stesso (numero di documenti raccolti, numero di utenti,…), ma sulle performance aziendali legate al suo business (livello di soddisfazione del cliente, miglioramento del time to market, tasso di errori nei processi)205. 2.3.2 203 I benefici economici, tecnologici ed organizzativi Le persone devono capire e assimilare le informazioni che gli giungono in modo da evitare di doverle cercare ogni volta che ne hanno bisogno. Il linguaggio e il modo in cui sono scritti i documenti risulta essere quindi una caratteristica rilevante. 204 La conoscenza che non viene utilizzata e assimilata dalle persone è una conoscenza inutile. Il dogma di questa fase è: semplicità. Fornire all’utente ciò di cui ha bisogno attraverso pochi e semplici passi (ad esempio se un utente deve fare delle modifiche ad un documento non posso fornirgli un documento in pdf). La semplicità spinge gli utenti ad utilizzare gli strumenti introdotti durante il progetto di KM, favorendone il successo. 205 In questa sede non verrà affrontato il problema del controllo. Sta di fatto che esso è un processo fondamentale per la definizione dello stato di conoscenza e la successiva elaborazione della strategia. Si è parlato nel paragrafo 1.3 della necessità per le aziende di dotarsi di sistemi di KM e delle motivazioni che spingono le organizzazioni a gestire la propria conoscenza. Da quanto detto in quella sede ne deriva necessariamente che qualora un sistema di KM consenta di affrontare almeno una delle motivazioni sopra descritte esso apporti inevitabilmente benefici all’intera organizzazione. Il seguente paragrafo passa in rassegna i vantaggi che le imprese possono ottenere dall’implementazione di un sistema di KM. Tali vantaggi si concretizzano essenzialmente in benefici di ordine economico, tecnologico ed organizzativo206. I benefici economici di un sistema di KM verranno analizzati attraverso casi pratici ed esperienze reali raccolte dalla bibliografia di riferimento. Non è possibile definire a priori quanto faccia risparmiare un sistema di KM, perché tutto cambia a seconda dello strumento che si decide di implementare, della reticenza o meno delle persone al suo utilizzo, della modalità di implementazione, degli scopi che si intendono raggiungere. Riportiamo di seguito alcune tabelle che mostrano i risultati conseguiti da alcune importanti aziende. Buckman Laboratories Il trasferimento di conoscenza e delle best practise ha conferito il 10% di aumento annuo del fatturato Texas Instruments Texas Instruments ha ottenuto un risparmio di 1,5 miliardi di dollari all’anno grazie al confronto e allo scambio delle best practise fra 13 stabilimenti produttori di circuiti integrati Dow chemical Le prime attività di gestione del “capitale come conoscenza” hanno condotto con sé un immediato risparmio di 40 milioni di dollari Chevron 100 persone di Chevron hanno condiviso idee sull’uso dell’energia e hanno generato un iniziale risparmio di 150 milioni di dollari Kaiser Permanebte Il confronto delle migliori pratiche interne ha aiutato a ridurre drasticamente il tempo speso ad aprire nuove cliniche, senza problemi di costi nella fase delicata di start up Tabella 4.2 Casi di imprese che hanno adottato sistemi di KM Fonte: Fonte: SHIN M., “A framework for evaluating economics of knowledge management systems”, Information & Management, 42, 2004, pag. 180 Oltre a questi dati è interessante analizzare anche alcuni altri progetti che riguardano diversi settori merceologici: Settore Progetto Descrizione Benefici 206 Telecomunicazioni CRM In un call center è stato realizzato un sistema di interrogazione da parte degli operatori a un database contenete le risposte alle domande più ricorrenti. Nel caso di una nuova richiesta, l’operatore inserisce direttamente la soluzione nel database rendendola così disponibile agli altri operatori Risparmio del 20% sul tempo di risposta degli operatori L’impostazione del paragrafo è frutto di una nostra elaborazione su spunto della bibliografia che verrà Tabella 5.2 Alcuni esempi di KM applicato Fonte: QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004, pag. 170 Settore Progetto Descrizione Benefici Manufacturing Post vendita Un’azienda produttrice di stampanti ha una rete di manutentori sparsi in tutto il mondo. Ogni manutentore possiede un computer in cui sono descritti gli interventi di riparazione. Quando un manutentore scopre un modo più efficiente per effettuare una riparazione o si accorge di difetti che è meglio correggere prima che ci sia una rottura lo inserisce nel database dove viene reso disponibile a tutti gli altri manutentori del globo Riduzione del 20% del tempo di interventi di manutenzione, delle visite ripetute e dei costi dei ricambi in garanzia Tabella 6.2 Alcuni esempi di KM applicato Fonte: QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004, pag. 170 I dati contenuti nelle tabelle parlano da sé: qualora si decida di implementare un sistema di KM e qualora tale implementazione sia corretta207, i benefici in termini di risparmio di costi sono pressoché certi. In linea generale si può affermare che un sistema di KM consente di raggiungere questi risultati in quanto permette di: diffondere le conoscenze all’interno di tutta l’organizzazione e pertanto di avere un accesso più facile e veloce alle stesse informazioni; acquisire maggiore capacità di conservazione delle conoscenze interessate, che divengono così meno soggette alle vicende dell’operatore e meno esposte ad usura fisica; ottenere maggiore flessibilità di impiego per la possibilità di modificare più agevolmente le conoscenze in questione; e infine avere maggiore trasferibilità all’esterno, utilizzando dei linguaggi adatti. Passiamo ora ad analizzare i vantaggi che vengono addotti dall’introduzione delle tecnologie di KM208. A prescindere dal tipo di strumento che viene utilizzato i miglioramenti in campo sono pressoché uniformi. Per il dipendente si tratta di beneficiare di un’interfaccia di lavoro migliore che ha un unico punto di accesso a informazioni e strumenti, di trarre profitto da una maggiore collaborazione perché la comunicazione è più veloce, efficiente e diffusa, di conseguire una maggiore produttività perché le informazioni sono quelle rilevanti, e infine di conquistare una maggiore facilità di amministrare e autoamministrarsi in virtù della chiarezza e della semplicità delle informazioni a disposizione. Anche per l’azienda i benefici non sono meno rilevanti e possono essere riassunti nelle seguenti categorie: migliore “raccolto” dagli asset di conoscenza in termini di condivisione e riutilizzo, miglioramento della memoria istituzionale e del mantenimento degli asset corporate, riduzione dei costi amministrativi, maggiore capacità di controllo sui processi di creazione, archiviazione, accesso e uso dell’informazione, maggiore fidelizzazione del personale grazie al più intenso senso di appartenenza citata nelle apposite note. 207 Si vedrà nel successivo paragrafo come talvolta sistemi di KM non funzionino a causa di una cattiva interpretazione e gestione degli stessi. 208 Per approfondimenti sulle tecnologie di KM si veda § 2.2.3. La classificazione dei benefici addotti dal sistema tecnologico sono frutto di una nostra elaborazione sulla base degli studi condotti. all’azienda. Rimane infine da analizzare la categoria dei fruitori esterni all’azienda (clienti, fornitori, azionisti). In quest’ambito occorre fare una duplice distinzione: tecnologia accessibile dai fruitori esterni e tecnologia non accessibile dai fruitori esterni. Nel primo caso si riscontrano benefici in termini di: riduzione di errori nelle comunicazioni a clienti e fornitori, riduzione dei tempi di reperimento informazioni da parte di soggetti esterni, incremento della quantità di dati accessibili a tali fruitori. Nel secondo caso i benefici saranno per lo più di carattere generale e concerneranno il miglioramento delle relazioni con il mondo esterno all’impresa. Rimangono ora da analizzare i benefici in termini organizzativi che un sistema di KM è in grado di apportare. In prima battuta occorre sottolineare come sia rischioso sintetizzare in poche righe i vantaggi organizzativi che derivano da un sistema di KM, in quanto si tratta di elementi meno immediati ed intuitivi di quanto si possa pensare. Essi concernono, inoltre, tutte le aree organizzative d’impresa. In termini generali si può agevolmente affermare che un buona struttura di KM comporta vantaggi in termini di209: - Progettazione e sviluppo di prodotti e servizi. La collaborazione all’interno di gruppi multidisciplinari assicura alla progettazione di prodotti e servizi la formulazione delle caratteristiche più rispondenti alle esigenze dei clienti. Catturando i contributi del commerciale, del marketing, della progettazione e degli altri gruppi di lavoro, le soluzioni di KM sono in grado di offrire una metodologia per condividere le idee e focalizzare le best practise di progettazione e di sviluppo. Mettendo insieme le idee e le informazioni, il progetto avanza in modo più rapido ed efficiente e si riduce l’incidenza del lavoro duplicato210. - Gestione degli utenti e delle problematiche: il KM permette di analizzare le problematiche, i modelli di acquisto e le aspettative dei clienti ed è essenziale per sviluppare e migliorare i rapporti chiave con gli stessi. Consente inoltre di ridurre il time to market e al contempo di aumentare il grado di successo dei prodotti, incrementando la qualità intrinseca percepita dal cliente211. - Pianificazione aziendale. La sfida più difficile per le aziende consiste nel rivedere continuamente le strategie d’ogni singola area, dal magazzino fino all’ufficio del dirigente: le informazioni devono essere condivise ai diversi livelli e l’autorità decisionale va ampiamente distribuita. Il KM offre un accesso sistematico ai dati aziendali, alle informazioni sulla concorrenza e sui dati di mercato che supportano il processo decisionale212. 209 Rielaborazione e interpretazione da: BERNARDI G., BIAZZO S., FECCHIO S., SIMONETTI A., TOGLIANI C., “Organizzazione, competenze, knowledge management”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004 210 A testimonianza di ciò accorre il caso che descriveremo nel quarto capitolo. Il brief elettronico di prodotto e il knowledge warehouse iKnow sono fondamentali per lo sviluppo di nuovi prodotti. 211 Esemplificativo a riguardo sono i sistemi di CRM. Il Customer Relationship Management (CRM) è un approccio utilizzato dalle grandi aziende per raccogliere tutti i dati ritenuti necessari per capire la propria clientela e anticiparne i bisogni così da poter programmare adeguati interventi sulla gamma dei prodotti offerti, sulle capacità di produzione, sul marketing e sulle attività di supporto alla vendita. 212 Si potrebbe parlare in questo caso di Enterprise Resource Planning (ERP) che sono sistemi utilizzati dalle aziende (in special modo quelle manifatturiere) per meglio gestire e pianificare la produzione, l’approvvigionamento, i magazzini, le relazioni con i fornitori e con i clienti, gli ordini. - Miglioramento dell’efficienza e della qualità, attraverso la documentazione della conoscenza posseduta, la creazione di basi di conoscenza, la riduzione della possibilità di errore e il raggiungimento di obiettivi non inizialmente previsti (si fa riferimento ad esempio alle memorie tecniche, data base di best practise). - Gestione e sviluppo del personale. I sistemi di KM efficaci sono in grado di valorizzare le abilità e le competenze degli impiegati, offrono formazione, forniscono informazioni aziendali aggiornate, migliorano le conoscenze e le motivazioni degli impiegati, garantendo maggior coinvolgimento nelle decisioni operative. - Potenziamento dei processi operativi, facilitando l’accesso alla conoscenza interna e all’uso della conoscenza disponibile per velocizzare il decision making e ottimizzare i processi (un esempio è costituito dalle yellow pages sopra descritte). Conclusa l’analisi dei benefici che un sistema di KM è in grado di apportare andiamo ora ad analizzare i fattori che invece potrebbero decretarne l’insuccesso. 2.3.3 Le cause di un possibile insuccesso Non sempre le cose vanno come appena descritte. Anzi molto spesso accade che alle alte aspettative che l’azienda si attende dall’introduzione di un sistema di KM non corrispondano in realtà significativi benefici né da un punto di vista economico né da un punto di vista organizzativo. La mancanza di risultati in questi termini non è però da attribuire alla scarsa efficacia degli strumenti di gestione della conoscenza: è stato più volte ribadito nel corso del lavoro come un sistema di KM correttamente costruito possa consentire di ottenere buoni risultati. Ciò che rimane pertanto da analizzare è: cosa significa il termine “correttamente costruito”? O meglio. Quali sono gli ostacoli che si frappongono ad una corretta implementazione di un sistema di KM? In quest’ultimo paragrafo del secondo capitolo cercheremo di analizzare quali sono gli impedimenti che si possono manifestare in sede di gestione della conoscenza e pertanto cercheremo di studiare il perché un sistema di KM non consente di raggiungere una condizione di successo e di superiorità competitiva. Alle problematiche che verranno di seguito illustrate verrà in parte fornita risposta nel terzo e nel quarto capitolo, attraverso, rispettivamente, un approccio teorico del tutto particolare al KM e attraverso la creazione di un nuovo sistema di gestione della conoscenza: iKnow213. Anche in quest’ambito, come nel paragrafo precedente, è utile fare una distinzione delle diverse problematiche e delle cause di insuccesso che si possono manifestare. Essenzialmente la classificazione contempera i seguenti fattori214: 213 - Problematiche connesse alle risorse umane, - Problematiche connesse alla non comprensione dello strumento, - Problematiche legate al costo e alla complessità del KM, Come verrà anche sottolineato in seguito il metodo che verrà descritto nel terzo capitolo non può essere propriamente considerato come la risposta alle problematiche che vengono di seguito elencate, quanto come orientamento generale che deve sottendere qualsiasi sistema di KM. - Problematiche di natura tecnologica, - Problematiche di natura organizzativa. Iniziamo con l’analisi del primo fattore215. I classici impedimenti all’implementazione di pratiche di KM partono dall’assunto ormai consolidato negli individui, ma mai dimostrato, secondo il quale sapere è potere216. In coerenza con questo assunto gli individui mettono in campo un comportamento volto a differenziare se stessi all’interno dell’organizzazione tramite un’ossessiva focalizzazione sullo sviluppo delle conoscenze personali e al contempo tramite una totale assenza di atteggiamenti volti alla condivisione delle stesse con gli altri individui. Tutto ciò porta alla manifestazione delle seguenti situazioni: - La conoscenza viene accumulata anziché distribuita217; - Le conoscenze sviluppate da altri vengono spesso ignorate dal singolo anziché usate in situazioni di lavoro in cui altri ci sono già passati; - Le conoscenze e le competenze non vengono spesso valorizzate dalla cultura aziendale, andando così a perdere un prezioso valore, quello del capitale intellettuale; - Coloro che distribuiscono conoscenze e competenze non vengono considerati molto utili al sostegno della causa dell’incremento reddituale dell’azienda. Esistono diversi fattori che possono condurre alla nascita di resistenze alla condivisione della conoscenza. La tabella seguente mostra i più significativi tra questi fattori. Fattori Fonte Contesto Conoscenza trasferita Ricevente 214 Barriere preventive per l’effettiva condivisione della conoscenza Paura della perdita di egemonia Mancanza di conoscenza aggiornata Mancanza di commitment Debole collocazione Relazioni ostili tra fonte e ricevente Limiti nella conoscenza individuale Incompatibilità culturale Diversità di conoscenza dovuta alla mancanza di esperienza comune o all’ambiente Limiti nell’interpretazione Immobilità della conoscenza Ambiguità causale Limiti nella capacità di trasferire conoscenza Nessuna informazione o esistenza della conoscenza Limiti nella capacità di istituzionalizzare l’applicazione di nuova Anche in questo caso la classificazione delle problematiche è frutto di una nostra elaborazione. Rielaborato da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005 216 Citazione di Bacone. In realtà l’assunto è vero nella misura in cui si intende la conoscenza come risorsa primaria di vantaggio competitivo negli odierni contesti economici. Non è più vero quando lo si riferisce alla singola persona. Il fatto che gli individui condividano informazioni non significa che perdano il potere che hanno acquisito poiché questo è dato dalla capacità di utilizzare le stesse informazioni. 217 Si può incontrare una certa resistenza da parte di esperti gelosi dell’indispensabilità del proprio ruolo, spesso raggiunto dopo anni di esperienza. Ma tale prospettiva riduce la conoscenza ad una sorta di bagaglio personale che il proprietario può portare via quando lascia l’azienda, arrecando un danno economico alla stessa. 215 conoscenza Tabella 7.2 Barriere alla condivisione della conoscenza Fonte: SHIN M., “A framework for evaluating economics of knowledge management systems”, Information & Management, 42, 2004, pag. 187 Oltre a quanto appena detto, merita di essere analizzata un’altra problematica che di fatto si interpone al processo di condivisione della conoscenza. Anch’essa fa riferimento ad un’erronea convinzione da sfatare, ma che in realtà permea molto spesso i pensieri e l’agire dei lavoratori che si vedono immersi in un sistema di knowledge management: il timore che l’introduzione del sistema significhi “tagli al personale”. Dello stesso avviso è Jeremy Rifkin (1995) il quale in “The end of the works” sostiene infatti che con l’inizio dell’era della conoscenza finisce l’era del lavoro. Secondo l’autore la conoscenza trasferisce la forza produttiva alle macchine, e pertanto il lavoro umano è destinato a diventare eccedente rispetto ai bisogni dello stesso. L’errore di Rifkin però è quello di considerare l’economia della conoscenza come economia della quantità e non della qualità218. La smentita a quanto affermato da Rifkin la si ha quando si considera la conoscenza per ciò che essa consente effettivamente di fare: adottare soluzioni che riducono i costi e realizzare esperienze nuove che aumentano l’utilità percepita. Se ci si concentra solo nel primo aspetto abbiamo un uso efficientistico della conoscenza e quindi inevitabilmente ci troviamo nella situazione ipotizzata da Rifkin secondo cui si impiegheranno meno fattori e meno lavoro per produrre la conoscenza. Considerando il secondo aspetto invece la conoscenza viene vista quale elemento che serve per saggiare possibilità nuove, per produrre un’esperienza che sia significativa e preziosa. Ne deriva pertanto che una corretta interpretazione della risorsa conoscenza prevede di lavorare sulla qualità del contesto competitivo e sulle condizioni cognitive dello stesso, quali ad esempio potrebbero essere l’immaginazione, la creatività. Questo processo dovrebbe aver luogo prima ancora dell’analisi degli aspetti materiali della stessa risorsa. A testimonianza di quanto appena detto anticipiamo il caso iGuzzini che verrà trattato nel quarto capitolo. L’introduzione di sistemi di KM in azienda (quale ad esempio il brief elettronico di prodotto) non è significato assolutamente tagli al personale. “Anzi”, sostiene l’Ing. Mandozzi219, “con questo sistema si ha la possibilità di risparmiare tempo. Tempo che viene impiegato per lo svolgimento di altre funzioni. Di fatto la nostra mole di lavoro è aumentata e ci troviamo pertanto nella condizione di assumere nuovo personale”. Effetto totalmente contrario a quello ipotizzato da Rifkin. Detto questo passiamo ora all’analisi della seconda problematica sopra citata: la mancata comprensione di ciò che effettivamente il KM è e rappresenta220. Come più volte citato nel corso del lavoro non bisogna cadere nell’errore di confondere la gestione della conoscenza con la semplice gestione dell'informazione documentata e strutturata, o addirittura con il semplice intervento di tipo tecnologico volto alla mera introduzione di un qualche strumento di gestione della conoscenza. Il KM riguarda la totalità degli aspetti d’impresa, dalle risorse umane, alla cultura, allo stile organizzativo. Aziende convinte di aver adottato un sistema di KM “attrezzandosi” con una semplice tecnologia di document management o con la creazione di una rete Intranet o di un portale sono destinate all’insuccesso. In questi casi il KM si configura esclusivamente come un mero aggiornamento di dati, 218 Cfr. RULLANI E. , “ Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 142 219 L’Ing. Mandozzi è product manager dei prodotti fluorescenza per l’azienda iGuzzini Illuminazione. 220 FUSCIANI V., “ Lo Sviluppo della Conoscenza nei Contesti Aziendali: Teorie, Approcci e Metodi. Il Caso it Consult”, 2005. Un breve accenno in merito a ciò che il KM non rappresenta è stato fornito nel paragrafo 2.1.1. assumendo di fatto le sembianze di una “cattedrale nel deserto”, svuotata dei suoi contenuti innovativi. Per citare altri esempi: alcune imprese collocano erroneamente nell’area del knowledge management progetti di automatizzazione e distribuzione della produzione di reportistica finanziaria e contabile correlata alla diffusione di strumenti di analisi e supporto alle decisioni; o ancora basti pensare alla creazione, in molte aziende di posizioni di knowledge managers il cui ruolo però si limita a collezionare e classificare documentazione relativa a specifici ambiti e creare degli indici che vengono diffusi a tutti i potenziali interessati. Si tratta sicuramente di attività importanti, ma limitate e parziali rispetto a quelli che sono gli obiettivi di un progetto di knowledge management. Better decision making Better customer handing Fastest response to key business issues Improved employee skill Improved productivity increase profits Sharing best practise Reduced costs New way of working Increase market share Create additional business opportunity Improved new product developement Staff retention Increased share price 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% Benefits expected Benefits realized : Grafico 1.2 Benefici attesi e benefici realizzati da un sistema di KM Fonte:www.kpmg/consulting.com Il grafico che segue, tratto dal “Knowledge Managemet Research Report 2000” della società KPMG221, riporta l’analisi svolta su 161 organizzazioni in tutto il mondo mostrando chiaramente il fenomeno appena descritto. Questo grafico mette in evidenza che il gap tra le aspettative delle imprese e i reali benefici conseguiti con un progetto di KM dipendono dalla difficoltà a comprendere la vera e più ampia implicazione dello stesso sistema. Infatti, le imprese realizzano e non pienamente solo quei benefici più strettamente legati ad una migliore gestione dei dati e delle informazioni all’interno dell’azienda. Si parla quindi di: miglioramento dei processi decisionali (86%), migliore gestione dei clienti (83%) e maggior 221 Estratto dal sito www.kpmg/consulting.com prontezza nel far fronte alle problematiche chiave del business. Di fatto non si ottengono pienamente le aspettative attese in maniera totale per nessuna delle variabili considerate. Delineata questa particolare questione occorre ora soffermarsi su di un altro aspetto: quello concernente i costi e la complessità di un sistema di KM. Ciascun processo aziendale può essere osservato sotto il profilo del proprio contributo al più generale equilibrio economico. La gestione della conoscenza non sfugge a queste considerazioni e anche per essa è possibile tentare di individuare le modalità di incidenza sull’economicità complessiva. I costi di un sistema di KM sono in genere molto elevati, come mostra la seguente tabella. British Petroleum Delphi Group Arthur D. Little Ernst &Young Mitre Cop Ha speso 12 milioni di dollari nel 1995 per un programma pilota: un terzo di queste risorse è stato investito per aiutare le persone a lavorare in modo più efficiente Un a survey sull’implmentazione e le prospettive del KM ha evidenziato che almeno la metà di 475 imprese statunitensi si aspetta di investire più di 500.000 dollari in tecnologia per il KM Ha staff di 20-30 persone per singolo progetto che arriva a costare anche 10 milioni di dollari Offre dei sevizi di assestment fino alle procedure e pratiche di KM, con costi di 2-3 milioni di dollari Ha investito sino ad oggi 7,2 milioni di dollari nel Mitre Information Infrastructure Tab. 8.2 Costi e casi aziendali di KM Fonte: SHIN M., “A framework for evaluating economics of knowledge management systems”, Information & Management, 42, 2004, pag. 183 I costi di un sistema di KM fanno ad esempio riferimento all’eventuale impiego di consulenti esterni, al consumo di tempo da parte di operatori interni, all’elaborazione di sistemi di comunicazione, all’acquisizione esterna di informazioni222. In genere si tratta di costi piuttosto ingenti, specialmente per ciò che concerne il costo di produzione del “primo esemplare” (basti pensare ad esempio alla realizzazione di un sistema di CRM che potrebbe costare svariate migliaia di euro). Occorre infatti sottolineare che il costo di produzione degli “esemplari successivi” è in genere molto ridotto se non addirittura pari a zero (il CRM una volta creato necessita soltanto di essere aggiornato). Inoltre il costo di codificazione, di trasmissione e di acquisizione è all’inizio relativamente consistente, diminuisce poi rapidamente con l’evoluzione e l’adozione delle tecnologie e con l’adattamento dell’organizzazione223. Il fattore “costo” potrebbe apparire pertanto a prima vista come un deterrente o meglio come uno dei problemi che si manifestano nell’adozione di un sistema di KM. In realtà questo non è sempre vero. Certo è che un sistema di KM costa, ma bisogna chiedersi quanto costa privarsi di metodi di gestione della 222 QUAGLI A., “Introduzione allo studio della conoscenza in economia aziendale”, GIUFFRE’, Milano, 1995. In questa sede occorre sottolineare che è vero che i costi di un sistema di KM sono elevati ma è anche vero che essi vengono ammortizzati in periodi brevissimi se il sistema è ben progettato. 223 L’entità di questi costi dipende molto dal tipo di conoscenza. Ad esempio se considero l’acquisizione della seguente conoscenza in campo medico: “far bollire l’acqua per evitare certe malattie”, sicuramente il costo iniziale sarà stato alto, ma è un tipo di conoscenza che ha un pubblico vastissimo e pertanto è stata codificata, trasmessa e acquisita a costi bassi. Discorso inverso vale per una conoscenza astronomica sviluppata da un’unica persona. La tendenza generale è quella di una diminuzione del costo di formalizzazione e trasmissione a seguito delle tecnologie ICT. Il costo di acquisizione ha un andamento più incerto. È ancora alto per le conoscenze specializzate, ma gli investimenti in istruzione e formazione ne stanno provocando una diminuzione. conoscenza. Il segreto consiste ancora una volta nella corretta implementazione del progetto, onde evitare di sprecare ingenti risorse senza ottenere risultati224. Per quanto riguarda la complessità di un sistema di KM occorre fare riferimento a diversi aspetti quali225: - Non è detto che vi sia possibilità di cogliere ciò che è realmente importante di una conoscenza incorporata nell’uomo. Ad esempio un venditore di successo può non comprendere quale sia la caratteristica del suo comportamento che lo rende particolarmente efficace nel rapporto con il cliente, trattandosi spesso di sfumature della propria personalità. - L’esplicitazione di conoscenza può provocare poi degli attriti organizzativi. Riprendendo il precedente esempio, se il rappresentante deve spiegare le sue modalità di contatto con il cliente alla direzione è evidente che ciò presuppone una successiva diffusione ad altri operatori così come è del pari evidente che il rappresentante vede ridotto il suo potere. - Vi è inoltre il rischio che l’esplicitazione favorisca l’osservabilità da parte dei concorrenti o di altri soggetti in grado di utilizzare a proprio vantaggio le conoscenze così diffuse226. - La gestione della conoscenza richiede un’attività di controllo affinché possa essere efficacemente indirizzata verso il raggiungimento dei propri scopi. Ma le difficoltà del controllo sono molteplici tra cui la ridotta capacità di misurare i risultati della gestione della conoscenza. - Vi è poi la difficile comprensione delle relazioni causali governanti il processo, specialmente nella fase di generazione delle conoscenze, che provoca la riduzione delle capacità di definire gli obiettivi in termini di risultati e di comportamenti. Ad esempio quando si afferma che lo scopo dell’attività di ricerca consiste nella predisposizione di metodi che consentano, una maggiore celerità nello svolgimento di un’operazione, spesso non si definiscono preventivamente le azioni da compiere, ma si usa solamente il riferimento al processo già esistente e si indica la direzione di miglioramento. Anche in questo caso le complessità e l’apparente scarsa semplicità nell’implementazione di un sistema di KM potrebbero costituire un freno all’adozione dello stesso. Ancora una volta però ci preme sottolineare come molto dipenda da come e da chi viene introdotto il metodo di gestione della conoscenza. Ancora due aspetti rimangono da analizzare. Uno di questi concerne le problematiche tecnologiche. Nell’implementazione di un sistema di KM potrebbe accadere che il software che viene introdotto non risponda in realtà alle esigenze dell’impresa e che introduca altresì svariate problematiche prima non esistenti. Le cause di una “cattiva” progettazione del sistema potrebbero essere molteplici: dalla mancata comprensione delle aspettative d’impresa alle difficoltà di ordine pratico nel mettere a punto il sistema; dalle richieste poco pertinenti dell’organizzazione alla scarsa coerenza con altri software già esistenti. Di fatto però le problematiche che la maggior parte dei sistemi di KM in uso presenta sono le seguenti: - 224 Bassa pertinenza del recupero nella ricerca d'informazione; Per citare un esempio: se il sistema di KM non è coerente con l’obiettivo di business è naturale che la spesa per l’implementazione dello strumento sia una spesa del tutto inutile. Qualora però vi sia una corretta gestione della conoscenza il recupero dei costi è immediato. Come si vedrà in seguito nel quarto capitolo. 225 Cfr. FORAY D., “L’economie de la connaissance”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 92 226 In questo senso molte aziende preferiscono non brevettare procedimenti originali in quanto il solo fatto di richiedere un brevetto richiama l’attenzione dei concorrenti. La gestione della conoscenza fa aumentare il rischio che l’impresa perda il proprio capitale intellettuale. Uno dei vantaggi della conoscenza non organizzata è che essa rimane nascosta e protetta dai tentativi di appropriazione esterni e quindi difficile da copiare e riprodurre. - Bassa “ergonomicità” dell'interfaccia dell'utente; - Eccessivi costi di analisi, progettazione, sviluppo ed implementazione; - Non coincidenza tra "L'organizzazione della conoscenza" progettata per gli utenti con la concezione del proprio dominio che ha l'utente finale; - Confusione fra la “gestione dei contenuti” e la “gestione dei documenti”; - Difficoltà per l'integrazione col sistema dell'impresa o organizzazione; - Necessità di una costante identificazione del profilo dell’utilizzatore; - Difficoltà di catturare e individuare la conoscenza tacita; - Mancanza di metodi per mappare la conoscenza, distinguendola da quella superflua. Anche in questo caso, qualora si manifestino queste tipologie di difficoltà, l’azienda potrebbe essere portata all’abbandono dello strumento. Oltre a quanto appena citato merita, in quest’ambito, di essere analizzato un ultimo aspetto, quello che viene comunemente definito tranello dell’ ICT227. Spesso le organizzazioni aderiscono ad una tendenza tecnologica perché esse confidano sulla capacità dell’ICT nel rendere possibile il recupero della conoscenza. In realtà questo atteggiamento pone seri problemi di dipendenza: le aziende possono diventare subordinate dei loro archivi digitali, con il rischio di trascurare la conoscenza tacita degli individui. Oltre a questo va aggiunto il problema del deterioramento di conoscenza, per il quale la stessa racchiusa in documenti o in sistemi esperti può velocemente diventare datata, ma non bisogna neanche dimenticare la difficoltà per i lavoratori di inserire i dati delle esperienze passate nei sistemi informatici, come nel caso dell’azienda IBM, dove gli ingegneri erano incapaci di esprimere le loro importanti esperienze di apprendimento. Concludiamo ora con l’analisi delle problematiche di tipo organizzativo228. Come anticipato in precedenza l’economia della conoscenza non riguarda soltanto i settori high tech o quelli connessi alla R&S, ma è un fenomeno che concerne tutti i comparti dell’odierno capitalismo, nonché la totalità delle aziende ad esso appartenenti, siano esse aziende manifatturiere o aziende produttrici si software. Nella pratica però quanto appena detto è stato spesso disatteso: la fioritura dell’interesse verso la gestione della conoscenza è cominciata in un tipo di aziende ben preciso per via dei tratti strutturali e delle realtà operative in essere. Per quanto riguarda i tratti strutturali, il KM ha trovato fertile sub strato sul quale svilupparsi in aziende di grandi dimensioni, multibusiness, spesso operanti su scala globale, con un’articolata struttura. Infatti proprio l’imponenza strutturale di queste aziende ha fatto nascere l’esigenza di gestire i propri saperi in maniera organizzata, per evitare il rischio di una comunicazione interna inefficace o la creazione di barriere e ostacoli ad una veloce ed efficiente diffusione intraorganizzativa delle esperienze positive maturate da alcuni dipendenti. A conferma di quanto appena descritto ricordiamo il premio “Most Admire Knowledge Enterprise” (MAKE), assegnato ogni anno dal 1998, alle migliori organizzazioni knowledge based. Le società prime in classifica sono state, da sempre, aziende 227 Cfr. BERNARDI G., BIAZZO S., FECCHIO S., SIMONETTI A., TOGLIANI C., “Organizzazione, competenze, knowledge management”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004, pag. 125 multinazionali ad elevata dimensione e complessità, spesso società di consulenza, o società Technology Based. La prima in classifica, ormai da qualche anno, è la Ernst & Young riconosciuta da tutti la migliore nella capacità di creare, condividere ed utilizzare conoscenza (a seguito Cisco system, General Electric, IBM). Questo dato dimostra come la diffusione del KM non riguardi ancora la totalità delle imprese, a discapito di quanto invece dovrebbe accadere. Da ultimo preme ricordare come l’introduzione di un sistema di KM debba essere accompagnata da una trasformazione delle organizzazioni in Learning Organization229. Questo fenomeno purtroppo viene ancor oggi sottovalutato conducendo di fatto all’introduzione di metodi di gestione della conoscenza all’interno di organizzazioni “burocratiche”. Inevitabilmente un ambiente nel quale “ciascuno coltiva il proprio orticello” risulta essere fallimentare e di poco aiuto nell'instaurare idonei sistemi di KM o anche semplicemente nello sviluppare logiche di knowledge sharing , con il risultato di un completo abbandono dello strumento che viene considerato deludente e dannoso. Un sistema di KM inoltre deve essere accompagnato da una strategia di lungo periodo. E’ inutile pretendere di ottenere significativi miglioramenti economici ed organizzativi nel breve periodo attraverso una pianificazione annuale: il risultato sarebbe un sicuro naufragio della maggior parte dei progetti di KM in atto oppure la limitazione degli stessi ad una semplice pratica di gestione documentale, come spesso si è verificato in passato. Esiste una relazione tra KM e vantaggio competitivo rappresentata da una strategia formulata ed eseguita nel lungo termine. Concludiamo il capitolo con la seguente affermazione230. Paradossalmente: se il sistema di KM non viene correttamente implementato esso è “causa dei suoi stessi mali”. Il fraintendimento della sua funzione, la reticenza del personale alla condivisione della conoscenza, l’eccessiva complessità nell’adozione possono originare nuove difficoltà che prima non esistevano. Per questo motivo una corretta interpretazione ed applicazione dello stesso, nonché il superamento degli ostacoli sopra citati sono condizioni necessarie e imprescindibili per una eccellente gestione della conoscenza. Se quanto appena detto è una verità inevitabile occorre anche ribadire però come non esista una soluzione universalmente valida e riconosciuta allo scioglimento di dette problematiche. Esisteranno invece risposte ad hoc per ogni particolare esigenza da risolvere: adeguate politiche motivazionali nei confronti della reticenza del personale alla condivisione della conoscenza, idonei percorsi di formazione per il top management che “fraintende” il significato degli strumenti di KM,…. Partendo da questo presupposto ci sembra sterile e poco opportuno procedere con l’illustrazione delle chiavi risolutive alle suddette incertezze. Riteniamo che ciascuna soluzione sia specifica e strettamente legata al contesto aziendale di applicazione e che pertanto non sia possibile delineare dei principi guida che possano assistere le organizzazioni nell’implementazione di un sistema di KM. Tutto cambierà a seconda che si tratti di un software di knowledge warehouse piuttosto che di una rete Intranet; che vengano implementati strumenti per la valorizzazione della conoscenza piuttosto che metodi di miglioramento della comunicazione aziendale. La buona riuscita o meno di un sistema di KM sta soprattutto nell’abilità del knowledge manager di coinvolgere attivamente tutti i soggetti e di trasferire 228 PILATI A., PERRUCCI A., “Economia della conoscenza. Profili teorici ed evidenze empiriche”, IL MULINO, Bologna, 2005 229 Quanto più l'azienda risulta essere burocratizzata tanto più è limitata dal punto di vista della capacità di innovare, di essere agile e flessibile sul mercato con la logica conseguenza di ricavare margini di rendimento molto bassi e il sicuro insuccesso nel futuro. 230 L’affermazione è tratta da: SWAN J., SCARBOUGH H., “The Paradox of KnowledgeManagement”, 2005 loro la propria passione nel “mestiere di gestire la conoscenza dell’azienda”. Come ottenere questo non costituisce oggetto di studio del presente elaborato. Il successivo capitolo prenderà pertanto in esame un approccio del tutto particolare al knowledge management che ha l’obiettivo non tanto di risolvere i “mali” sopra elencati, quanto di costituire mezzo di miglioramento delle metodologie di gestione della conoscenza già esistenti e pienamente operanti che hanno ormai consentito di ottenere proficui risultati. Il capitolo quarto trasformerà in realtà quanto ipotizzato nelle parti precedenti del lavoro. CAPITOLO TERZO AL DI LA’ DEL KNOWLEDGE MANAGEMENT: LIBERARE LE POTENZIALITA’ NASCOSTE DI UN SISTEMA DI GESTIONE DELLA CONOSCENZA Ciò che la scienza dovrebbe insegnarci è dubitare, considerare cioè che molte delle convinzioni da noi accettate come vere possono in realtà derivare dall’abitudine e dal pregiudizio, o possono semplicemente essere sbagliate. Non c’è lezione più importante che un abitante del nostro mondo inquieto possa imparare R. H. March, Fisica per poeti 3.1 Il knowledge management in cifre Il primo e il secondo capitolo hanno tracciato un percorso chiaro e definito del nuovo “DNA dell’impresa” e dell’imminente contesto economico che si sta delineando: viviamo in una Knowledge Era dove l’informazione e la gestione della conoscenza costituiscono importanti vantaggi competitivi che le imprese sono chiamate a costruire e difendere. Viviamo nel secolo dell’immaterialità, dove le organizzazioni devono saper edificare pazientemente le basi per un nuovo modo di lavorare e un nuovo modo di generare valore. La consapevolezza di questa rivoluzione epocale obbliga la classe scientifica, quella imprenditoriale e quella politica ad interrogarsi su questi nuovi scenari di mercato, sui cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie, sulla formazione imprenditoriale e manageriale idonea a queste sfide. Dunque: come poter ignorare il presente e il futuro delle nostre organizzazioni? Come poter scavalcare la presenza di una risorsa che permea l’agire dell’intero mondo economico e sociale? La gestione della conoscenza implica successo duraturo nel tempo e eccellenza dei risultati aziendali231. Il presente capitolo si propone di analizzare, partendo ovviamente da quanto già consolidato in materia di KM, un modo del tutto particolare di approcciare i saperi e le informazioni che permeano le nostre organizzazioni. Si tratta di un metodo nuovo ed originale232 che non mette in discussione i principi cardine del knowledge management ma che anzi, proprio partendo da questi, li migliora e li arricchisce di contenuti ed aspetti fin’ora poco considerati, che potrebbero permettere di ottenere risultati ancor più positivi rispetto a quelli ottenuti in passato. Più che una vera e propria “teoria del KM” si tratta in realtà di piccoli accorgimenti che fanno emergere le potenzialità latenti e le possibilità nascoste dietro un sistema di gestione della conoscenza. L’idea o meglio l’intuizione di questo particolare orientamento non è nata tanto da una reale esigenza o da una particolare problematica presente e manifesta all’interno delle aziende knowledge based233, quanto dall’intuizione di poter ricavare da questi strumenti un surplus fin’ora non emerso, di poter trasformare gli stessi in un qualcosa di aggiuntivo rispetto alle funzioni per cui sono stati originati. 231 IACONO G., “L’organizzaione basata sulla conoscenza. Verso l’applicazione del knowldge management in azienda”, FRANCO ANGELI, Milano, 2000. 232 Quello che verrà trattato nel terzo capitolo è frutto di una nostra elaborazione dagli studi compiuti in merito all’argomento: abbiamo pensato ad un sistema di KM non soltanto come sistema di gestione della conoscenza. Ovviamente non abbiamo la pretesa di aver elaborato un nuovo approccio al KM, ma sicuramente abbiamo cercato di far emergere gli aspetti latenti di un sistema di gestione della conoscenza che rischierebbero altrimenti di essere sottovalutati. 233 E’ vero che le problematiche di un sistema di KM sono molteplici, ma è anche vero che non esiste una “ricetta universale” per una loro risoluzione, come detto a conclusione del secondo capitolo.Ognuna di esse prevede una specifica attività di rimedio che potrà essere costituita ad esempio, per ciò che concerne la reticenza del personale alla condivisione della conoscenza, da un’idonea politica motivazionale; per quello che riguarda una cattiva interpretazione dei sistemi di KM, da un’adeguata formazione del top management in merito ai software che vengono introdotti in azienda. Pertanto l’approccio che proponiamo qui non vuole essere la panacea alla risoluzione delle problematiche elencate nel secondo capitolo, quanto vuole rappresentare un modo migliore per intendere gli strumenti di KM, un modo nuovo di concepire i sistemi di gestione della conoscenza che vada oltre l’approccio tradizionale fin’ora adottato. Fino ad oggi abbiamo assistito all’implementazione di sistemi di knowledge management rivolti alla valorizzazione, alla sistematizzazione e alla capitalizzazione della conoscenza e dei saperi presenti nelle organizzazioni. Come più volte ribadito nel corso del presente lavoro tutte le imprese che si sono dotate di un buon sistema di knowledge management hanno ottenuto significativi benefici sotto molteplici punti di vista234: inutile ribattere ulteriormente le cifre citate nel secondo capitolo. Occorre però considerare che i risultati così raggiunti e i vantaggi ottenuti in questo modo potevano essere ancor più positivi andando a gestire la conoscenza aziendale in modo originale e proattivo. Perché non avvalersi ad esempio di una piattaforma e-learning come strumento di marketing oltre che di apprendimento a distanza? Perché non utilizzare un software di knowledge warehouse come mezzo di sviluppo della creatività oltre che come metodo di capitalizzazione della conoscenza? Perché non permettere ad un sito Web di rappresentare un fattore di legame con il territorio insieme alla sua originaria funzione di “illustrazione” dell’azienda? Questi alcuni degli aspetti che verranno trattai nel presente capitolo. La ratio che ha decretato la nascita di questo particolare approccio al KM è costituita dalla impellente esigenza di versatilità, flessibilità e dinamicità che viene continuamente richiesta alle organizzazioni. In un mondo in continuo divenire e che muta i suoi presupposti “ora per ora” il KM non può più essere visto semplicemente come uno strumento di gestione della conoscenza. Occorre liberarsi dell’approccio “miope” fin’ora adottato e intraprendere un nuovo cammino che permetta di scoprire le potenzialità nascoste all’interno dei sistemi di KM235. Occorre scavalcare i tradizionali confini e gli schemi settoriali tipici di un sistema di gestione della conoscenza: il KM può essere molto più di quello che è stato fino ad oggi236. Prima di procedere con l’illustrazione e l’analisi del particolare approccio al KM abbiamo ritenuto opportuno fornire una “panoramica numerica” in merito allo stesso e al relativo contesto macroeconomico in cui si colloca: l’economia della conoscenza. I dati che verranno di seguito riportati non fanno altro che confermare l’imprescindibilità e l’importanza all’interno di tutte le organizzazioni di sistemi di KM, ma al contempo rinnovano l’ennesimo ritardo dell’Unione Europea e dell’Italia nella partita dell’economia della conoscenza. 234 Cfr. § 2.3.3 Le problematiche connesse al KM sono state trattate nel § 2.3.4. quella appena citata non è una vera e propria problematica quanto un limite, una mancanza che potrebbe impedire il raggiungimento di risultati positivi. 236 Questo è anche l’approccio che abbiamo adoperato con la società Nautes srl nella progettazione del software di knowledge warehousing iKnow per l’azienda iGuzzini Illuminazione. Il case history appena citato verrà trattato nel quarto capitolo. In realtà l’approccio che proponiamo si pone come secondario rispetto alla funzione principale di un sistema di KM che è quella di gestire la conoscenza delle organizzazioni. 235 3.1.1 La rilevanza del fenomeno L’importanza del knowledge management è ormai chiara. Abbiamo già ribadito più volte nel corso del lavoro come la conoscenza sia il più prezioso fattore produttivo da gestire: trascurare la molteplicità dei saperi presenti in azienda costa 3000 sterline l’anno per dipendente. La Canon ha stimato inoltre che i lavoratori di un’organizzazione dedicano in media fino a otto ore alla settimana alla ricerca di documenti necessari per l’espletamento del loro lavoro: uno spreco notevole in termini di tempo e denaro, “tanto più che si tratta di un problema facilmente risolvibile”237. Il KM non è insomma un evento fortuito che passerà senza lasciare traccia di sé come parte degli argomenti e delle mode manageriali che si sono succeduti nel corso del tempo; non è un fenomeno accidentale destinato a scomparire dalle riviste di management con l’avvento di una nuova tendenza. E’ un dato di fatto, è una necessità, è un elemento di vantaggio competitivo che occorre e che conviene saper sfruttare. Cosa significa concretamente tutto questo? Quanto conta effettivamente il KM in termini di “numeri”? Vediamo alcuni dati che possono essere d’aiuto per contestualizzare il fenomeno. 2006 2005 2004 2003 2002 2001 0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 Spesa in KM, M€ Grafico 1.3 Spesa in servizi di knowledge management espressa in miliardi di euro. 2002 Fonte: IDC, aprile Dal grafico si evince chiaramente il trend crescente della spesa mondiale in servizi di KM238: essa è più che triplicata dal 2001 al 2006 e tutto lascia intendere che non sia destinata a fermarsi. Basti pensare che 237 Tratto da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005 238 I dati che verranno riportati di seguito sono quelli a nostro parere più significativi, ma ovviamente non esaustivi dell’importanza del fenomeno in questione. Alcune altre informazioni in merito alla spesa e agli investimenti in KM sono presenti nel secondo capitolo. soltanto nel 1998 il mercato mondiale dei servizi per il knowledge management valeva 1,5 miliardi di dollari239. Se si considera che ad oggi soltanto una piccola percentuale delle aziende esistenti si sia attivata nell’implementazione di sistemi di KM e che pertanto un’enorme fetta del nostro patrimonio imprenditoriale si sta “attrezzando” o comunque dovrà necessariamente operare per gestire la propria fonte di saperi aziendali, si capisce perfettamente come negli anni a venire la spesa in KM sarà destinata a crescere ulteriormente. A ritmi vertiginosi. La tabella successiva conferma il trend in atto. La spesa in KM degli USA rappresenta in modo significativo quanto appena detto: dal 1999 al 2003 il denaro speso per gestire la conoscenza è cresciuto di circa sei volte, decretando di fatto la nascita di un vero e proprio mercato del KM. 1999 2000 2001 2002 2003 Servizi 1300 2300 3700 5600 7900 Software 330 549 843 1292 1804 Infrastrutture 163 285 454 689 970 Risorse interne 244 427 681 1034 1456 Totale 2037 3561 5679 8615 12130 Tabella 1.3 La spesa totale in KM negli Stati Uniti espressa in milioni di dollari Fonte: MASSA S., MERLINO M., “Produzione e marketing dei servizi professionali: il ruolo del KM”, Economia e Management n.1, 2005 Questo non è tutto: si stima infatti che le spese per la gestione della conoscenza saliranno negli anni a venire del 40/50% l’anno, dal momento che la conoscenza viene riconosciuta fin da ora come valore e patrimonio dell’impresa che occorre saper “curare” e mettere a profitto. I dati che vengono di seguito elencati rinnovano ulteriormente questa tendenza240: - Le società la cui attività principale dipende dalla conoscenza spendono tra il 5% e il 10% del proprio fatturato annuo in sistemi di Knowledge Management interni; - Nel 2002 più del 75% delle prime mille aziende del mondo della classifica del mensile Fortune ha attivato al suo interno uno o più progetti di knowledge management, principalmente al fine di incrementare il fatturato e l’utile, trattenere in azienda il talento e le competenze, migliorare il servizio alla clientela; - Il 25% dell’attuale forza lavoro è costituita da knowledge workers241; ovvero da lavoratori che non trasformano più la materia prima, ma che generano conoscenze innovative che con il loro impiego saranno usate per trasformare la materia in utilità e valore per il cliente. 239 240 Fonte: Check-up competitività, 2005 del Centro Studi Confindustria. I dati che verranno di seguito riportati sono tratti da: http://www.kmworld.com/ E ancora242: - Il giro d’affari legato alla business intelligence, quindi relativo a una parte particolare del settore, dal 2002 al 2005 ha conosciuto una crescita annua del 26,7 %; - Tra il 1998 e il 2002 si è assistito ad un tasso di crescita media annua del 30% per le soluzioni di workflow e text retrieval e del 40% per le soluzioni di document management243; - Le stime fatte dall’ IDC sul mercato mondiale dei portali sostengono una rapida crescita nella diffusione di questa soluzione dai 454,9 milioni di dollari del 2001 a 2 miliardi di dollari nel 2005, con un tasso di crescita annuo del 51% circa; - Per il 2007 IDC prevede una crescita del 7% per il mercato italiano del software di Document-Content Management, in linea con le performance fatte registrare lo scorso anno (i dati a pre-consuntivo parlano di un +7,6% di incremento nel 2006)244; - Ancora più dinamico è il ritmo di sviluppo del mercato dei cosiddetti Content Access tools, ovvero dei motori di ricerca, degli strumenti di estrazione e visualizzazione dei contenuti, delle soluzioni più innovative che combinano meccanismi di interrogazione di tipo statistico con affinate tecniche di ricerca semantica. Questo segmento fa registrare una crescita a tassi decisamente superiori alla media: 13,3% nell'anno appena chiuso e anche per il 2007 e il 2008 si stimano tassi a doppia cifra (rispettivamente 12,1% e 10,6%); - La parte dell’infrastruttura di KM (data warehouse, document management, groupware) cresce del 15% annuo e valeva nel 2003, 1,6 miliardi di dollari. La parte di accesso al KM (enterprise portal, motori di ricerca, workflow) cresce del 43% annuo e valeva nel 2003 2,5 miliardi di dollari. Il grafico 2.3 conferma quanto appena detto. 241 Dato già citato nel secondo capitolo. Fonte: http://www.jekpot.com/pagine/km4ple1.html 243 Il significato di workflow è stato già ribadito nel secondo capitolo. Il text retrivial è un motore di ricerca testuale in grado di gestire in modo efficiente l'enorme volume di informazioni che può contenere un testo (o più testi). Il document management comprende invece un insieme di strumenti software che permettono di gestire elettronicamente i documenti che vengono prodotti e scambiati all’interno di una certa organizzazione. 244 Il content document management oltre ad essere un sistema come sopra delineato per la gestione delle informazioni presenta in più funzionalità connesse alla amministrazione di siti web e intranet. Ribadiamo ancora una volta che le soluzioni tecnologiche per il KM sono praticamente illimitate. Nel secondo capitolo abbiamo esposto quelle a nostro parere più significative. 242 2005 2004 2003 2002 2001 2000 0 1000 2000 3000 Accesso 4000 5000 6000 Infrastruttura Grafico 2.3 Mercato mondiale dei software di knowledge management , milioni di €, 2000-2005 Fonte: IDC 2002 I dati parlano chiaro245: il settore del knowledge management rappresenta un’ottima opportunità di business per tutte quelle società coinvolte nel sistema: le società di consulenza per prime, i fornitori di tecnologia poi. Ma non solo. Le previsioni di investimento delle imprese nei prossimi anni246 fanno ritenere che il KM diventerà un settore di business significativo, in linea con le aspettative legate alla sua valenza strategica. La società Metagroup a tal proposito sostiene che fra un paio d'anni i princìpi cardine del knowledge management come l'innovazione e la collaborazione permetteranno di implementare le strategie di quasi tutte le organizzazioni. “Stiamo assistendo ad una vera e propria esplosione del mercato del KM per effetto del traino della new economy misto alle conseguenze indotte dalla globalizzazione e per effetto della percezione della conoscenza da parte delle aziende come un asset valorizzabile e strategico ai fini del business”, spiega Federico Butera, presidente di Butera & Partners247. Molte altre testimonianze potrebbero essere citate a riguardo: concludiamo però questo paragrafo con alcuni dati a nostro avviso molto significativi. I risultati di un’indagine condotta da Jeme Bocconi con il Gruppo Progman per determinare il livello di comprensione ed utilizzo delle nuove metodologie e tecnologie di gestione dell’informazione, conoscenze e processi formativi nel panorama delle grandi imprese italiane ha rilevato che248: 245 I dati da citare in questo senso sarebbero moltissimi: riteniamo però che quelli già riportati siano di per sé sufficienti per comprendere la portata del fenomeno. 246 Dichiarazione di Antonio Romano, research director di Idc. 247 Tratto dal sito: www.tesigroupconsulting.it/ 248 Fonte: http://www.progman.it/documenta/Executive%20Summary_finale.pdf. Il campione analizzato è formato da centocinquanta aziende definite per dimensione, settore merceologico e area aziendale di appartenenza dell’intervistato: Il 61% è composto da imprese che impiegano tra i 1000 e i 5000 dipendenti e per il 23% da grandi gruppi che impiegano più di 5000 persone; I settori merceologici d’appartenenza sono quattordici, di cui il 38% appartenente alla categoria Manufacturing (non computer); - La quasi totalità delle aziende intervistate (il 93%) considera la gestione e la capitalizzazione del knowledge aziendale un fattore critico di successo; - Il totale delle imprese del campione non ha una funzione dedicata di Knowledge Management ma ne fa rientrare gli obiettivi tra i compiti della funzione Human Resources (80%) e/o della funzione Organization (11%); - Il 70% circa delle società intervistate ha speso meno di 500.000 euro per il 2003, solo il 10% ha previsto una spesa superiore ai 2.000.000 di euro per gli anni a venire. Di conseguenza non vince chi è grande o è piccolo, chi è americano o giapponese, ma chi impiega creativamente le sue conoscenze intellettuali, relazionali e sociali nei rapporti intra e inter organizzativi249. 3.1.2 L’Unione Europea e la strategia di Lisbona In questa breve sezione del terzo capitolo metteremo in luce le strategie e i comportamenti che l’Unione Europea e lo Stato Italiano (che verrà trattato nel successivo paragrafo), hanno messo e stanno mettendo in campo nella “partita dell’economia della conoscenza”250. La scelta di inserire in questa parte dell’elaborato una sezione dedicata al contesto di riferimento non è fuori luogo: le politiche macroeconomiche che vengono messe in atto a livello nazionale ed internazionale influiscono moltissimo sulla situazione delle nostre imprese. In fondo gli investimenti in KM dipendono anche da come l’Europa e l’Italia si attivano per favorire e diffondere una cultura dell’innovazione e della gestione e condivisione della conoscenza251. Condizioni microeconomiche La maggior parte degli intervistati (80%) appartengono alla funzione Human Resources. 249 Di seguito riportiamo la classifica KMWorld delle 100 migliori aziende in ambito di KM e gestione della conoscenza.ABBYY Software, Abrevity, Antarctica Systems, Appian, Apple, Aquire, Astoria, Attensity, Autonomy, Avenue A/Razorfish, AXS-One, BA-Insight, BEA, Brainware, Business Objects , CAInc., Captaris, Citrix Systems, Clarabridge, Connotate , Contextware, Convera, Coveo, Deep Web Technologies, DICOM Group/Kofax ,Dieselpoint, DocZone.com, eGain, Ektron, EMC/Legato/Documentum/Captiva, Endeca , Engenium, Exact, Exalead, Expert System , EXSYS, Extensis, FAST, FatWire , Global 360, HandySoft, Hewlett-Packard, IBM/Lotus/FileNet, Innodata Isogen, InQuira, Insightful , Interwoven, Inxight, ISYS Search Software, IxiaSoft, KANA, Kazeon Software, KNOVA, KnowNow, Liberty IMS, Lockheed-Martin, Mark Logic, Mercado, Metastorm, Microsoft, MicroStrategy, MindTouch , Mondosoft, Nervana, Noetix, Northern Light, Nstein, Open Text/Hummingbird, Oracle/Stellent, PaperThin, Percussion , QL2, Quantum Art, Really Strategies, Recommind, SAP, SAS, SAVO, SchemaLogic, Serena Software, SharePoint, Siderean , SiteScape, SpringCM, SumTotal, SupportSoft, Tacit, Talisma, TEMIS, Teragram , TheBrain, TOWER Software, Traction Software, Vivisimo, WebSideStory, X1 Technologie, Xerox, XyEnterprise, Xythos, ZyLAB. 250 La scelta di inserire in quest’ambito una sezione dedicata alle politiche europee ed italiane nell’ambito dell’economia della conoscenza potrebbe sembrare di primo acchito un po’ fuori luogo e un po’ sconnessa dal core element del nostro elaborato che è costituito dal knowledge management. A nostro avviso però quando si parla di sistemi di gestione della conoscenza non si può prescindere dall’analisi del contesto macroeconomico di riferimento. Ci è sembrato pertanto doveroso fornire una breve panoramica di quello che l’Europa e l’Italia hanno fatto e stanno facendo in tal senso. Tutto ciò anche in coerenza con la successiva parte del capitolo dedicata all’approccio olistico al che potrebbe contribuire seppur in minima parte al miglioramento della situazione italiana nel contesto dell’economia della conoscenza. 251 Così come il secondo capitolo è stato preceduto da una parte introduttiva riguardante l’economia della conoscenza, che è servita a contestualizzare il fenomeno, anche in quest’ambito sembra opportuno analizzare come l’Europa e l’Italia stanno affrontando la partita dell’economia della conoscenza. (legate al comportamento della singola impresa) e condizioni macroeconomiche (connesse allo scenario politico-economico italiano ed europeo) sono strettamente interdipendenti e reciprocamente condizionanti: il successo dell’una dipende intimamente da come si comporta l’altra variabile. Per questo abbiamo ritenuto opportuno inserire a questo punto dell’elaborato una sezione dedicata alla situazione italiana ed europea. Per citare un esempio: se l’Italia non recepisce le direttive europee della strategia di Lisbona in merito alle politiche da adottare per diventare la più grande economia basata sulla conoscenza entro il 2010, molto probabilmente non incoraggia “il proprio imprenditore” a dotarsi di sistemi di KM. Quale azienda sarebbe stimolata a gestire la propria conoscenza all’interno di un Paese che non investe in ICT , in politiche innovative e in formazione? Come poter operare nell’ambito del KM in un sistema che non si attiva per l’erogazione di incentivi, di finanziamenti agevolati e altri strumenti di questo genere? Lo scarso interesse ma soprattutto la mancanza di politiche adeguate da parte del proprio Paese di appartenenza potrebbe condurre ad una “ignoranza” delle imprese ad esso appartenenti nei confronti della tematica del KM: esse potrebbero essere all’oscuro ed inconsapevoli dell’esistenza di sistemi di knowledge warehousing o di sistemi di document management, che potrebbero invece rappresentare una svolta di fondamentale importanza per il successo dell’azienda. E quindi anche del Paese in cui essa opera252. Vediamo in dettaglio il contesto internazionale e le politiche adottate dall’Unione Europea nella partita dell’economia della conoscenza. “UE, la competizione è conoscenza”253: così titola un interessante articolo pubblicato recentemente di Jan Figel, Commissario europeo per l’istruzione, la formazione e la cultura, scritto insieme alla signora Maria Van Der Hoeven, Presidente di turno della UE. In questi ultimi anni il tema della conoscenza come vantaggio competitivo, non solo per la singola impresa ma addirittura per un sistema Paese, è uno dei temi core delle politiche europee. Per fronteggiare la competizione internazionale, la bassa crescita economica, l’allargamento dell’Unione Europea e la conseguente diminuzione del reddito medio pro-capite, nel Marzo del 2000 , a Lisbona, il Consiglio Europeo ha deliberato un nuovo obiettivo strategico per il decennio 2000 - 2010: “Diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale254”. Tra le aree di intervento fondamentali della Strategia di Lisbonaricordiamo255: 252 Questo discorso non è vero nella totalità dei casi, anche perché nonostante l’Italia sia molto indietro in questo senso, esistono già alcune imprese che si sono mosse per gestire proficuamente la loro conoscenza aziendale. 253 FIGEL J., VAN DER HOeVEN J.A., “UE, la competizione è conoscenza“, IlSOLE 24 ORE, 16 Dicembre 2004. 254 Fonte: Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie – Consiglio europeo straordinario di Lisbona, 2324 marzo 2000, Documento di sintesi. In questa sede occorre anche sottolineare come il termine economia della conoscenza è entrato ufficialmente nel linguaggio economico-politico proprio con la Strategia di Lisbona. 255 In realtà le variabili che vengono considerate dalla strategia di Lisbona sono molte. In questa sede analizziamo soltanto quelle che sono di maggior interesse per l’intero elaborato. 1) Occupazione, riforme economiche e coesione sociale; 2) Modernizzazione del modello sociale europeo; 3) Sostenimento del contesto economico sano e delle prospettive di crescita favorevoli. Analizziamo meglio ognuno di questi aspetti. Per ciò che concerne il primo degli argomenti citati occorre sottolineare che predisporre il passaggio verso un'economia e una società basate sulla conoscenza significa prima di tutto migliorare le politiche in materia di società dell'informazione, attraverso la costituzione di una information society per tutti, che determini l’incentivazione all’utilizzo di strumenti ICT. Significa poi definire uno spazio europeo della ricerca e sviluppo256 per mantenere alta la capacità competitiva dell’Unione, e infine significa accelerare il processo di riforma strutturale dell'innovazione che si sostanzia nella creazione di un ambiente favorevole all'avviamento e alla crescita di imprese innovative, specialmente di PMI. Il secondo punto della strategia di Lisbona concerne invece la modernizzazione del modello sociale europeo attraverso il forte investimento nelle persone e attraverso la costituzione di uno stato sociale attivo. Ciò significa che gli individui sono la principale risorsa dell'Europa e su di essi dovrebbero essere imperniate le politiche dell'Unione, anche al fine di eliminare o quantomeno ridurre i livelli di disoccupazione, l'esclusione sociale e la povertà. Ne deriva necessariamente una forte attenzione all’istruzione e alla formazione che si prospetta consentirà a tutti di vivere e lavorare nella società dei saperi. Da ultimo il Consiglio propone metodiche di messa in atto delle decisioni anzidette per le quali si presenta un approccio più coerente e sistematico attraverso la mobilitazione dei mezzi necessari e attraverso l’applicazione di un'adeguata combinazione di politiche macroeconomiche. In particolar modo il settore privato e i partenariati pubblico-privato saranno lo strumento privilegiato per conseguire il nuovo obiettivo strategico che dipenderà dalla mobilitazione delle risorse disponibili sul mercato nonché dagli sforzi degli Stati membri. Ogni anno la Commissione presenta una relazione (Rapporto di Primavera) al Consiglio Europeo nella quale vengono esaminati in dettaglio i progressi compiuti nell’attuazione di questa strategia. Nel 2004 l’implementazione di queste riforme risultava del tutto insufficiente, così come il mantenimento degli impegni da parte di ciascuno stato membro. Il World Economic Forum257 ha prodotto un interessante rapporto “The Lisbon Review 2004” che evidenzia le prestazioni degli Stati UE 15 (l’Europa dei quindici) nella partita dell’economia della conoscenza. La tabella 2.3 riporta alcuni dati interessanti258. Lo schema non fa altro che confermare un dato già consolidato: al vertice degli UE 15, con il miglior punteggio complessivo, si attesta la Finlandia, che 256 Basti pensare che la società Nautes che verrà in seguito approfondita è nata proprio dopo la vincita del concorso E-capital indetto dalla Camera di commercio di Ancona nel 2001. Inoltre nel 2002 a Barcellona il Consiglio europeo ha ulteriormente rafforzato questa tendenza portando il livello degli investimenti in R&S ad un ammontare pari al 3% del PIL (soglia a cui sono vicini USA e Giappone) ed elevando al contempo dal 56% al 66% la parte finanziata dal settore privato. 257 Fonte:www.weforum.org 258 La voce rank indica la classifica dei Paesi Europei in ordine decrescente di performance in merito alle variabili considerate. La voce score indica il punteggio (da 1 a 7) di ciascuno di essi facendo sempre riferimento ai fattori anzidetti. realizza le migliori prestazioni anche in quattro degli otto obiettivi parziali dell’agenda di Lisbona: prima nella diffusione dell’IT, prima nell’innovazione, ricerca e sviluppo, prima nella liberalizzazione del mercato, prima nella promozione dello sviluppo sostenibile. Alle spalle della Finlandia si attestano rispettivamente la Danimarca, la Svezia, il Regno Unito. Questi dati però presi di per sé non ci dicono nulla o comunque ci dicono ben poco in merito al raggiungimento o meno degli obiettivi della strategia di Lisbona. Per comprendere come l’Europa già nel 2004 si trovava in una posizione di netto svantaggio competitivo nella sfida dell’economia della conoscenza è utile richiamare l’ultima riga della tabella 2.3. Gli USA battono l’UE sia nell’ ambito della promozione e diffusone dell’IT che nel campo dell’innovazione e della ricerca e sviluppo (rispettivamente 5,86 a 4,61 e 6,08 a 4,41)259. Dato sconfortante se si pensa anche al fatto che la strategia di Lisbona dell’anno 2000 aveva previsto che le spese in ricerca e sviluppo 5.78 5.87 5.36 6.33 6.13 5.48 5.46 5.97 Danimarca 2 5.63 5.68 4.87 5.14 6.51 5.96 5.60 5.52 5.78 Svezia 3 5.62 5.71 5.57 4.91 6.37 5.80 5.29 5.46 5.89 Regno Unito 4 5.30 4.96 4.67 5.11 5.78 6.10 5.62 4.86 5.30 Danimarca 5 5.21 4.99 4.46 4.94 6.04 5.67 4.71 5.29 5.57 Germania 6 5.18 4.95 4.90 4.64 6.38 5.62 4.64 4.37 5.96 7 5.14 4.98 3.57 4.96 6.22 5.72 5.17 5.19 5.28 Francia 8 5.03 4.52 4.68 4.65 6.10 5.68 4.68 4.72 5.28 Austria 9 4.94 4.69 4.27 4.54 5.76 5.48 4.28 4.88 5.20 Belgio 10 4.88 4.08 4.45 4.63 5.74 5.39 4.69 5.12 5.64 Irlanda 11 4.69 4.14 4.18 4.47 4.89 5.59 5.30 4.62 4.91 Spagna 12 4.47 3.71 3.93 4.50 5.34 5.14 4.32 4.38 4.35 Italia 13 4.38 3.94 3.87 4.40 5.30 4.92 3.64 4.24 4.48 Portogallo 14 4.25 3.88 3.44 4.10 5.35 4.90 3.89 4.15 4.74 Grecia 15 4.00 3.16 3.44 3.96 4.99 4.74 3.78 3.90 4.29 5.55 5.86 6.08 5.11 5.85 5.82 5.71 5.04 4.00 Lussemburg o USA Tabella n. 2.3 259 Punteggio dei Paesi UE 15 Socil 5.80 on e 1 e sostenibil inclusion entrprise services s Financial industrie tion Network liberaliza Society Innovati score Finlandia ion EU 15 rank Informat dell’Unione dovessero essere pari almeno al 3% del PIL europeo. Fonte: www.weforum.org/pdf/Gcr/LisbonReview/ Già dalla tabella 1.3 si evince la portata degli investimenti in Ict e in KM che gli Usa hanno attivato ormai da tempo. Nel 2004, come dimostra la tabella 3.3 nessun Paese aveva raggiunto tale obiettivo. Il quadro fin’ora descritto, pur nella sua estrema sintesi, mette in evidenza quanto lontana nel 2004 era ancora l’Europa rispetto agli ambiziosi obiettivi stabiliti dalla Strategia di Lisbona. Nel 2005 è stata pertanto effettuata una profonda rivisitazione delle politiche europee per l’economia della conoscenza. Stato membro Belgio Repubblica ceca Danimarca Germania Estonia Grecia Spagna Irlanda Francia Italia Cipro Lettonia Lituania Lussemburgo Ungheria Malta Paesi bassi Austria Portogallo Slovenia Slovacchia Finlandia Polonia Svezia Regno unito Tabella 3.3 Spesa per R&S in percentuale del PIL 2004 1.93 1.28 2.61 2.49 0.91 0.58 1.07 1.20 2.16 1.14 0.37 0.42 0.76 1.78 0.89 0.27 1.77 2.26 0.78 1.61 0.53 3.51 0.58 3.74 1.79 Fonte: Eurostat Il rilancio della Strategia di Lisbona “obbliga” essenzialmente ad una ripresa della crescita europea attraverso una serie di riforme i cui punti cardine sono: - Rendere l’Europa più capace di attrarre investimenti e lavoro; - Fare in modo che conoscenza e innovazione rappresentino il fulcro della crescita europea; - Elaborare politiche che consentano alle imprese europee di creare nuovi e migliori posti di lavoro260. 260 Il 6 aprile del 2005 poi sono state pubblicate due importanti comunicazioni: costruire il SER della conoscenza al servizio della crescita e il Programma quadro per la competitività e l’innovazione 2007 – 2013, che cercano di creare un saldo binomio tra competitività economica competitività della società della conoscenza. Con la prima la Commissione ha proposto l’impiego di maggiori risorse nella società europea della conoscenza, mediante un sostanziale aumento dei finanziamenti per lo spazio europeo di ricerca che passano da circa 4 miliardi di euro l’anno del VI programma quadro a 10 miliardi di euro Arrivati a questo punto è naturale chiedersi: come si colloca ad oggi l’Europa nella partita dell’ economia della conoscenza? Il World Economic Forum ha rilevato nel 2007 i seguenti dati261: - Il tasso di crescita dell’Unione si è attestato attorno al 2,7%, - Nel 2006/2007 sono stati creati sette milioni di nuovi posti di lavoro con un aumento del tasso di occupazione dal 64% nel 2005 al 66% nel 2008 . “Si iniziano ad intravedere i primi frutti della strategia rinnovata” sostiene la presidenza del Consiglio Europeo di Bruxell dell’8 e 9 Marzo 2007, “ma la strada da fare è ancora molta”. A testimonianza dei progressi raggiunti dall’Europa in questi ultimi anni e a “certificazione” che il percorso da intraprendere è appena iniziato ci sembra utile riportare una tabella che mostra la situazione dell’Europa dei 25 rispetto a Stati Uniti e Asia. East Asia EU average relative to the USA EU average relative to the East Asia 5.63 5.41 -1.05 -0.83 4.24 6.01 5.23 -1.78 -0.99 Liberalization 4.52 5.21 5.13 -0.29 -0.21 Network Industries 5.36 5.72 5.96 -0.36 -0.59 Financial services 5.50 5.97 5.54 0.37 0.06 Enterprise 4.58 5.21 5.11 -0.63 -0.52 Social inclusion 4.40 4.58 4.87 -0.18 -0.47 Sustainable development 5.05 5.26 5.02 -0.21 0.03 Overall Lisbon Score 4.84 5.45 5.28 -0.61 -0.44 Eu25 Average USA Information Society 4.58 Innovation, R&S Tabella 4.3 Lisbon Scores: Comparing the UE, USA and East Asia Fonte: www.weforum. org/pdf/gcr/lisbonreview/report2006.pdf Perché nonostante i miglioramenti conseguiti rispetto al 2004, l’Europa è ancora molto indietro nei confronti delle altre due potenze mondiali? Non esiste una risposta univoca e certa a questa domanda: di fatto c’è la volontà da parte di tutti gli Stati membri di intraprendere un cammino che conduca alla più grande economia basata sulla conoscenza entro il 2010, ma sostanzialmente i risultati non sono ancora confortanti. Gli investimenti nella onoscenza sono responsabili del 40-50 % della crescita economica europea: se si vuole colmare il ritardo su Asia e Stati Uniti, l’Europa deve possedere una marcia in più, un percorso che le consenta di recuperare il ritardo accumulato e di superare i concorrenti. annui per il VII PQ. Il VII PQ intende investire: su una più vasta cooperazione europea tra Centri di ricerca ed Enti pubblici Nazionali, sulla creazione di un triangolo della conoscenza al cui vertice si pone l’innovazione e che fa riferimento alla riorganizzazione delle relazioni tra ricerca, innovazione e formazione, nello sviluppo delle carriere. 261 Citiamo in quest’ambito soltanto alcune delle stime elaborate dal WEF. Per un’analisi più approfondita delle suddette stime si veda il sito: www.weforum.org 3.1.3 E l’Italia? Spesso l’Italia da l’idea di un Paese stanco e in declino262: - Il Pil italiano è cresciuto nel 2004 dell’1,2%, meno che in Germania (1,6 %) o in Francia (2,5%), o nel Regno Unito (3,1%); - L’investimento in conoscenza è tra i più bassi dei paesi dell’OCSE: la spesa per ricerca e sviluppo è pari all’1,1% del Pil, rispetto ad una media europea del 2%. Non c’è da stupirsi se alla fine produciamo 72 brevetti per milione di abitanti contro i 153 che costituiscono la media europea: la Helwtt-Packard, come ricorda spesso il sociologo Domenico DeMasi, da sola possiede 24 mila brevetti e ogni giorno ne registra 11. L’Università La sapienza di Roma, che conta 150 mila studenti, nel 2004 ha registrato 34 brevetti: quelli che HP realizza in tre giorni; - L’Italia non investe nel suo capitale umano: il numero di laureati tra i giovani è bassissimo: il 12,5 % contro il 24% della Grecia. Il quarto rapporto Enea sulla competitività evidenzia che: “La quota di commercio mondiale dell’Italia nei comparti ad alto contenuto tecnologico è scesa nel 2001 al 2,29% contro un già esiguo 3,55% del 1990. Una perdita netta, quindi, del 35%. Per converso, nello stesso periodo, la quota della UE dei 15 è diminuita meno del 10%”263. E’ il check-up annuale di Confindustria a dirci che l’Italia ha una percentuale bassissima di imprese manifatturiere che lavorano fianco a fianco con gli Atenei: nel biennio 1998-2000 erano solo il 2,3% mentre in Finlandia si superava il 28%, in Svezia il 13% e in Francia, Germania e Austria non si scendeva sotto l’8%264. Insomma: nella nuova economia dell’intangibile ci collochiamo in una posizione di netto svantaggio rispetto a tutti gli altri Paesi. E pensare che la gestione della conoscenza è una risposta obbligata alla crescente competizione sul piano dei costi proveniente dalle economie meno sviluppate265. 262 I dati che vengono elencati qui di seguito sono tratti da: CIANCIULLO A., REALACCI E., “Soft Economy”, BUR, 2005. L’intero paragrafo prenderà in considerazione quelle cifre e quelle statistiche che a nostro avviso rappresentano in modo più significativo la situazione italiana in merito all’economia della conoscenza. 263 Cfr. FERRARI S., GUERRIER P., MALERBA F., MARIOTTI S., PALMA D., Quarto rapporto Enea “Italia nella competizione tecnologica internazionale”, ANGELI, Mialno, 2004, pag. 68 264 L’Italia nel Global Competitivness report è scesa tra il 2003 e il 2004 dal 41° al 47° posto, dopo la Slovenia, la Lituania e Cipro. 265 Cfr. SACCO P.L., “Le carte vincenti dell’economia”, Il Sole 24 Ore, 8 gennaio 2005, pag. 8 Per comprendere in modo più significativo l’atteggiamento dell’Italia nella “partita” dell’economia della conoscenza ci sembra utile analizzare i risultati che emergono dal calcolo dell’indice di orientamento al valore aggiunto intangibile266. 266 L’indice viene calcolato in due versioni: sui ranghi (le posizioni che ciascun paese occupa nella classifica stabilita da ciascun indice) e sui valori assoluti (in termini di scostamento percentuale dal valore ottenuto dalla nazione in cima alla classifica). Gli intangibili riguardano l’economia della conoscenza: innovazione tecnologica e culturale, creatività, diffusione sociale delle competenze e trovano applicazione in tutti i settori, dai più tradizionali ai più high tech. Sette indici. Per misurare la capacità di adattamento ai nuovi scenari competitivi da parte di un sistema paese bisogna considerare più indici. Il nostro studio include i seguenti: growth Competitiveness Index of World Economic Forum (potenziale competitivo); Human Developement Index dell’Undp (qualità della vita), Creativity Index di Richard Florida (orientamento innovativo); tasso di variazione dello stesso creativity Index Classifica per ranghi Finlandia Danimarca Svezia Olanda Irlanda Austria Belgio Regno Unito 2,85 3,28 3,42 3,85 5,40 6,00 6,85 7,83 (dinamismo innovativo); Subjective well being Index di Ronald Inglrhart (qualità della vita percepita); Corruption perception Index di Transparency International (qualità della governance istituizionale); Press Freedom Index di Reporters sans Frontieres (openess in senso popperiano). Il nuovo indice. Le informazioni provenienti da ciascuno dei sette indici e riferite in tutti i casi all’aggiornamento 2004, sono state aggregate in un unico dato, che potremo definire indice di orientamento al valore aggiunto intangibile. Modulo di calcolo: somma degli scostamenti percentuali, per ciascun indicatore, dal risultato della migliore nazione (punteggio assoluto, colonna 1), deviazione % dei punteggi assoluti da quello della migliore nazione (colonna 2). Germania Francia Spagna Portogallo Grecia Italia 7,86 9,71 9,85 10,70 12,14 12,57 Tabella 5.3 Classifica per ranghi dei paesi dell’UE-14. Indice di orientamento al valore aggiunto intangibile. Fonte: BERGER S., LOCKE R.M., “Il caso italiano e la globalizzazione” in PADOA SCHIOPPA T. , “Il caso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese?”, GARZANTI, Milano, 2001 Finlandia Danimarca Svezia Olanda Irlanda Regno Unito Austria Germania Belgio Spagna Francia Portogallo Grecia Italia Classifica per grandezze assolute Punteggio assoluto 126 229 285 328 366 519 527 457 589 683 690 747 893 931 Deviazione % 0 -0,817 -1,261 -1,603 -1,904 -3,119 -3,182 -3,341 -3,674 -4,420 -4,476 -4,928 -6,087 -6,388 Tabella 6.3 Classifica per grandezze assolute dei paesi dell’UE-14. Indice di orientamento al valore aggiunto intangibile. Fonte: BERGER S., LOCKE R.M., “Il caso italiano e la globalizzazione” in PADOA SCHIOPPA T. , “Il caso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese?”, GARZANTI, Milano, 2001 Nel gruppo UE-14 il dato che esce fuori tanto sui ranghi che sui valori assoluti è il netto primato delle nazioni Nord europee; Finlandia in primis, seguita da Danimarca, Svezia e Olanda; da ultimo troviamo pesantemente staccate dalle altre Grecia e Italia267. Analizzando la compagine G-7, la situazione non è poi così differente: il gruppo leader comprende gli USA e il Canada: l’Italia in quest’ambito non solo arriva ultima ma addirittura è staccata di vari ordini di grandezze da tutti gli altri Paesi. Le tabelle 7.3 e 8.3 mostrano questi risultati. Classifica per ranghi Canada 267 2,2 Questo dato è confermato anche dalle tabelle che sono state riportate nel paragrafo dedicato all’Unione Europea. USA Regno Unito Germania Francia Giappone Italia 2,6 3,2 3,8 4,6 5,0 6,6 Tabella 7.3 Classifica per ranghi Paesi G-7 Indice di orientamento al valore aggiunto intangibile. Fonte: BERGER S., LOCKE R.M., “Il caso italiano e la globalizzazione” in PADOA SCHIOPPA T. , “Il caso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese?”, GARZANTI, Milano, 2001 USA Canada Regno Unito Germania Giappone Francia Italia Classifica per grandezze assolute Punteggio assoluto 143 152 184 191 210 256 457 Deviazione % 0 -0,062 -0,286 -0,335 -0,468 -0,790 -2,195 Tabella 8.3 Classifica per grandezze assolute Paesi G-7 Indice di orientamento al valore aggiunto intangibile. Fonte: BERGER S., LOCKE R.M., “Il caso italiano e la globalizzazione” in PADOA SCHIOPPA T. , “Il caso italiano 2. Dove sta andando il nostro Paese?”, GARZANTI, Milano, 2001 Questa la situazione italiana: tanto nel contesto europeo che in quello G-7 l’Italia non abbandona mai gli ultimi posti della classifica su ciascun indice. Si tratta di segni troppo concordanti ed univoci per non prenderli in seria considerazione. Ricerca, università e sistema formativo, innovazione tecnologica e culturale nonché diffusione delle tecnologie dovrebbero essere la priorità assoluta della nostra agenda politica ed economica. A tal proposito il governo italiano nella riunione del 14 ottobre 2005 ha definitivamente approvato il piano italiano per la crescita e lo sviluppo (PICO)268. Il Piano indica le riforme, le misure e gli interventi per perseguire gli obiettivi di Lisbona e rinnovarne la potenzialità. Cinque sono le aree di intervento fondamentali: 268 - Ampliamento dell’area di libera scelta di cittadini ed imprese; - Incentivazione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica; - Rafforzamento dell’istruzione e della formazione del capitale umano; - Adeguamento delle infrastrutture materiali e immateriali; - Tutela ambientale. In allegato si trova il Piano italiano per la crescita e lo sviluppo. Fonte: politichecomunitarie.it/Politiche_Comunitarie/UserFiles/Lisbona/PICO.pdf La strada da fare però è ancora lunga. Spesso a fianco dei bellissimi propositi che vengono formulati nelle programmazioni pluriennali o annuali (come il PICO) non si affiancano le dovute azioni per la loro realizzazione. E’ anche vero però che l’Italia è “Il Paese dalle mille risorse”, che riesce a superare creativamente le difficoltà che le si pongono davanti, che ce la fa a sopravvivere inventando nuovi metodi di risolvere le situazioni. Anche in questo caso l’Italia non smentisce il suo ruolo: essa presenta delle peculiarità del tutto originali rispetto agli altri Stati, che gli consentono di avere una posizione particolare nell’economia della conoscenza e che gli permettono pertanto di attutire le negatività fin’ora esposte. E’ vero che ci qualifichiamo negativamente per la debolezza di alcuni fattori (quali ricerca di base, R&S, brevetti, istruzione superiore e formazione avanzata) tipici della knowledge based economy, ma d’altro lato, ci distinguiamo positivamente, per la forza di una imprenditorialità diffusa e innovativa, per i sistemi locali di divisione del lavoro cognitivo, per attività di straordinario successo nella produzione estetica (moda, design, gusto) in settori tipici, per i rilevanti processi di apprendimento on the job, che hanno prodotto sapere tacito, non rilevato formalmente come investimento269. Grazie a questo sapere tacito locale si può affermare che anche in Italia si fanno ricerca e sviluppo (grazie alla sperimentazione di nuovi prodotti e processi), sia pure nell’ambito di piccole nicchie ben definite e con obiettivi di innovazione incrementale. Sostiene Rullani: “Oggi si tratta di prendere atto di quello che è stato inventato e che funziona, se pur con qualche importante defaillance. Si sono creati i distretti industriali, una forte immagine del made in Italy associata alla moda, alla qualità artigianale. All’Italia serve pertanto una politica della conoscenza che parta da una definizione di identità, fissando le qualità distintive del modello italiano anche nel modo di produrre e propagare la conoscenza”270. Quello che proponiamo nel successivo paragrafo potrebbe essere pertanto raffigurato come un piccolo aiuto in questa direzione: verrà infatti sostenuto un approccio originale ed olistico al KM che si innesta benissimo con le peculiarità del nostro sistema economico. I temi dell’innovazione e della creatività, quelli legati al territorio, nonché le materie connesse alle nuove strategie di marketing costituiscono gli elementi della proposta che verrà di seguito illustrata: elementi che potrebbero portare, come sostiene Rullani, ad una politica della conoscenza tutta italiana. 3.2 269 KM significa soltanto gestione della conoscenza? Cfr. RULLANI E. , “ Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 86-102. 270 In quest’ambito molto altro potrebbe essere citato in merito alla situazione italiana. Un ultimo aspetto però va ricordato. Anche a livello regionale sono state attuate politiche per l’economia della conoscenza. Il progetto ALSO nella regione Marche finanziato nell’ambito del programma INTERACT ha l’obiettivo KM significa soltanto gestione della conoscenza? Possiamo ridurre uno strumento di datawarehouse ad un semplice archivio strutturato dei saperi aziendali? Sicuramente no. Eppure molto spesso l’approccio che prevale nell’applicazione di sistemi di KM è un approccio di questo tipo: infruttuoso, sterile e parziale, che pur consentendo all’azienda di raggiungere dei grandi risultati sotto molteplici punti di vista, trascura alcune variabili e alcune potenzialità che potrebbero migliorare ulteriormente questi risultati e avanzare così un criterio di applicazione più consapevole ed informato271. Spesso si sente parlare di possibilità velate o di opportunità intrinseche all’interno di sistemi, processi, o software che non vengono sfruttate per i più svariati motivi: quanti benefici non attesi si potrebbe ricavare da uno strumento di KM solo avendo la consapevolezza delle sue applicazioni? Quante fonti aggiuntive di reddito l’impresa potrebbe generare e guadagnare mettendo in atto una gestione più oculata dei propri sistemi di gestione della conoscenza? Queste e altre domande simili troveranno risposta nel presente paragrafo. L’approccio che viene qui proposto non ha la presunzione di essere una nuova scoperta o una nuova invenzione nell’ambito del KM: esso vuole soltanto suggerire un criterio olistico e multidisciplinare di intendere la gestione della conoscenza al fine di incrementare la consapevolezza negli imprenditori e nelle imprese che un metodo di KM non consente soltanto di gestire la conoscenza aziendale. Dà libertà di realizzare molto di più. Ovviamente non bisogna dimenticare lo scopo fondamentale e la stessa motivazione di fondo di un sistema di KM (qualunque esso sia): la valorizzazione dei saperi aziendali espliciti e impliciti attraverso metodologia e strumentazione adeguata rimane il core element di un qualsiasi sistema di gestione della conoscenza. E’ però necessario che accanto a questo approccio venga diffusa la cognizione di dovere e di poter pretendere molto di più dal complesso del KM272. Schema 1.3 Fonte: nostra elaborazione Le potenzialità APPRENDIM ENTO di un sistema di KM di esaminare e sviluppare il legame fra i progetti territoriali finanziati tramite INTERREG e la strategia di Lisbona. La regione marche gestisce in collaborazione con SVIM l’implementazione di ALSO. 271 Abbiamo già sottolineato nel secondo capitolo applicato KMcome un sistema di KM correttamente TERRIT MARKE consenta di raggiungere rilevanti benefici. La tematica che viene trattata in quest’ambito si ricollega un po’ al concetto già espresso nel § 2.3.4 dell’approccio parziale al KM. I sistemiTING di gestione della ORI conoscenza non sono meri software di archiviazione dati. Essi sono molto di più ed hanno delle potenzialità latenti che l’imprenditore non può più permettersi di trascurare. 272 L’idea di questo particolare approccio è nata dallo studio delle tematiche del KM e dall’analisi (non diretta) di alcuni case history all’interno dei quali si è palesemente dimostrato il mancato sfruttamento delle potenzialità del KM. INNOVAZI ONE E Questo surplus che deve emergere e che deve poter essere applicato dalle aziende concerne i seguenti aspetti273: - Il KM come sistema di apprendimento; - Il KM come strumento di marketing; - Il KM come mezzo di sviluppo della creatività; - Il KM quale fattore di legame con il territorio. Sulla falsariga del Soft Power proposto dal politologo americano Joseph S.Nye, che prevede un potere dolce fondato sulla capacità di convincere, influenzare ed affascinare gli individui; e sulla traccia di una Soft Economy ipotizzata da Cianciullo e Realacci, che immagina un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, sull’identità, la storia, la creatività e la qualità, proponiamo in quest’ambito un approccio soft (se così si può definire) al knowledge management274. Dove il termine soft indica appunto la necessità di andare al di là dei tradizionali approcci alla gestione della conoscenza e di leggere invece lo stesso metodo come strumento di legame con il territorio, come elemento di supporto alla strategia di marketing e quindi come fattore di sviluppo innovativo e creativo275, nonché naturalmente come mezzo di apprendimento. Se il Soft Power è la capacità di condizionare le vicende mondiali attraverso fonti di potere intangibili, quali: cultura, ideologia e istituzioni in grado di attrarre gli altri; se la Soft Economy è la capacità di creare economia in base a valori non riducibili alle griglie fordiste, non misurabili con il metro della quantità ma con i saperi, l’innovazione, la cultura, il paesaggio, le valenze simboliche e l’immaginario; l’approccio soft al knowledge management si classifica come un buon antidoto per soddisfare un importante obiettivo: migliorare la performance degli strumenti di KM già esistenti nel mercato ed ottimizzare le prestazioni di quelli che devono essere ancora implementati. Il tutto considerando gli stessi strumenti non più soltanto come strumenti di gestione della conoscenza. Quello che proponiamo è tra le altre cose un approccio che ben si combina con la natura delle nostre imprese: facendo leva su elementi quali la creatività, la fantasia, l’innovazione e il territorio esso si innesta benissimo all’interno di un Paese come 273 Ribadiamo di nuovo che KM significa principalmente gestione della conoscenza. Quelli che vengono trattati in quest’ambito sono aspetti accessori del sistema, ma comunque non trascurabili. 274 I concetti di Soft Power e Soft Economy sono tratti da: CIANCIULLO A., REALACCI E., “Soft Economy”, BUR, 2005 275 Citiamo un esempio: una rete Extranet può essere un potente strumento di marketing non soltanto nei confronti dei clienti che possono accedere ad essa ma anche per “conquistare” nuovi clienti che attraverso il viral marketing verranno a conoscenza dell’azienda. l’Italia dove questi valori costituiscono la scommessa principale del suo rilancio276. Prima di iniziare con la trattazione delle tematiche sopra citate ci preme ricordare un ultimo aspetto: come ribadito anche all’inizio del capitolo, quello che appoggiamo non è un metodo che nasce per risolvere le problematiche e le difficoltà nell’implementazione di un sistema di KM. Esse presentano soluzioni ad hoc, altamente specifiche e personalizzate e difficilmente enunciabili: la loro trattazione risulterebbe pertanto essere infinita e sterile277. Proponiamo invece un metodo per affinare, valorizzare e migliorare gli strumenti di gestione della conoscenza, consapevoli che complessità, interconnessione e innovazione costituiscono i nuovi tratti salienti della nostra quotidianità, nei confronti dei quali occorre dotarsi di “occhi nuovi” che supportino e permettano di rileggere in chiave evolutiva gli strumenti di cui disponiamo. E’ vero che il raggiungimento degli obiettivi organizzativi attraverso una corretta gestione del proprio patrimonio conoscitivo è ciò che sta alla base del knowledge management; ma è anche vero che da più parti, ormai, si sostiene, anzi si avverte la necessità di un ruolo "esteso" per lo stesso, che sappia coinvolgere non solo le competenze interne di un'azienda. Un ruolo che cerca di cogliere le sinergie con le discipline sopra elencate in modo da rendere più completo un progetto di KM, anche se allo stesso tempo rende più difficile la reale definizione delle responsabilità sul progetto e delle sue ricadute nel medio e nel lungo termine. Un metodo trasversale, dunque, che prevede un forte impegno di diversi strumenti afferenti spesso a funzioni di diversa pertinenza, e che impone una grossa complessità da gestire, che alle volte spaventa coloro che si fanno sponsor del progetto. “L’imprenditore oggi non ha il tempo e l’umiltà di ascoltare. E’ questo il rischio che ci porterà alla paralisi dello sviluppo, non tanto i mercati concorrenziali della Cina. Oggi dobbiamo essere capaci di veicolare maggiormente le informazioni all’interno delle nostre aziende in modo da non sperperare anni d’esperienza.278”. Ma questo non basta279. 276 Ovviamente questo approccio non ha la pretesa di migliorare la situazione italiana nella partita dell’economia della conoscenza, ma soltanto di lavorare in modo più consapevole per ottenere benefici aggiuntivi. 277 Ci sembra inutile soffermarci sulle soluzioni che una particolare azienda ha adottato per il proprio sistema di KM poiché queste sicuramente non saranno replicabili all’interno di altri contesti. Ci sembra più utile invece proporre un approccio generale che possa essere, se pur con qualche adattamento, applicato dalla totalità delle aziende che approcciano ad un sistema di KM. Nel proseguo del lavoro si parlerà spesso di tematiche quali innovazione, network,… Ci preme sottolineare che il KM e questo nuovo particolare approccio al KM sono elementi che possono contribuire ad affrontare queste tematiche ma di certo non costituiscono risposta esaustiva ad esse. Il quarto capitolo prenderà in esame un software di knowledge warehouse realizzato dall’azienda Nautes (presso la quale ho effettuato uno stage) per l’azienda iGuzzini illuminazione che oltre ad essere un software di gestione della conoscenza cercherà di mettere in atto quanto proposto nel presente capitolo. 278 La citazione è di Giorgio Bertato, titolare di Novacart srl 279 Non esistono delle statistiche che riguardano l’uso di sistemi di KM come sistemi trasversali e multidisciplinari, ma tutto lascia pensare che essendo già di per sé lo strumento di gestione della conoscenza uno strumento poco diffuso, molto probabilmente anche le sue applicazioni “extra” lo saranno ben poco. Nonostante esse siano invece di una certa importanza. 3.2.1 Il KM come mezzo di apprendimento La radice profonda da cui un’economia della conoscenza trae la propria linfa è la capacità di apprendimento: non si conosce se non si apprende, non si apprende se non si conosce. Anche gli autori Cook e Yanow sostengono che l’apprendimento è strettamente legato alla conoscenza: “It is the act of acquiring knowledge”280. Da questa breve introduzione si coglie immediatamente che quello tra apprendimento e conoscenza è un legame quasi naturale: le organizzazioni imparano da sempre, spinte dalla necessità di sopravvivenza e consolidano in cultura e tradizioni i risultati che hanno avuto successo. Paradossalmente però nella maggior parte dei casi i fatti dimostrano che le organizzazioni fanno dell’apprendimento un uso molto limitato281. Non ricorderemo in quest’ambito la molteplicità di tecniche e metodi di apprendimento che le imprese possono mettere in atto per lo sviluppo di capacità, competenze e abilità degli individui, poiché si rischierebbe di dilungarsi su aspetti non concernenti il nostro elaborato: quello che ci preme richiamare è invece l’importanza dei sistemi di KM quale fonte e metodo di apprendimento. La condivisione della conoscenza rappresenta l’elemento cardine e unificatore che lega apprendimento e KM: da un lato, infatti, non si può apprendere ed arricchire il proprio bagaglio di saperi se gli individui non mettono a disposizione la loro conoscenza, dall’altro non si può parlare di KM se lo scopo ultimo dello stesso non è quello della messa in comune delle informazioni di cui si dispone. KM Condivisione della conoscenza (Attraverso mezzi di KM) Figura 2.3 L’elemento comune tra sistemi di KM e sistemi di apprendimento elaborazione Apprendi mento Fonte: nostra L’apprendimento pertanto, in particolar modo quello organizzativo282, non può prescindere dalla progettazione di sistemi di accumulazione, accrescimento e diffusione della conoscenza: in poche parole 280 Cfr GABRIELLI G., “Conoscenza, apprendimento, cambiamento. La gestione dei programmi di knowledge e change management”, FRANCO ANGELI, Milano, 2006, pag. 120 281 Si è già detto nel secondo capitolo come le organizzazioni devono diventare delle “learning organization”. Questo paragrafo vuole ribadire ulteriormente il concetto ponendo enfasi sul fatto che l’imprenditore debba necessariamente concepire un sistema di KM anche come sistema di apprendimento. Pertanto fra gli aspetti sopra citati questo dell’apprendimento è forse il più ovvio e scontato poiché il legame che lo unisce al KM è immediatamente percepibile. Basti pensare ad esempio ai processi di e-learning, che rappresentano al contempo strumenti di KM e metodo di apprendimento. 282 L’apprendimento organizzativo altro non è che l’apprendimento dell’intera azienda che è dato dalla somma dei saperi appresi dai singoli individui. non può prescindere da quello che viene comunemente definito “sistema di KM”. Applicazioni in grado di formalizzare la conoscenza, di inserirla in una struttura reticolare accessibile al resto dell'organizzazione nonché capaci di aggiornare continuamente la stessa sono i presupposti di fondo della così detta learning organization283. Una learning organization, come sostiene lo stesso Senge, è fatta da individui che assimilano, gestiscono e traducono enormi quantità di informazioni interagendo con l’ambiente interno ed esterno: apprendere dagli altri e veicolare i propri saperi attraverso l’organizzazione costituisce uno dei cardini fondamentali di una struttura che apprende. Citiamo a tal proposito un caso esemplificativo che aiuta a comprendere meglio l’importanza dei metodi e delle tecnologie di KM ai fini dell’apprendimento. La costituzione di una rete intranet aziendale, oltre ad essere strumento di supporto all’interazione e alla comunicazione interna d’impresa, costituisce un mezzo di fondamentale importanza per il prelevamento e l’inserimento dei contenuti e delle conoscenze degli individui ai fini del soddisfacimento delle proprie esigenze di apprendimento284. Ed è in questo modo che le tecnologie permettono alle persone di sapere di più, di fare di più e di fare meglio: autorizzando all’acquisizione e allo scambio di conoscenza e all’interazione per l’apprendimento continuo. Basti pensare che fra le tecniche più rinomate di apprendimento organizzativo vi è la costruzione di mappe mentali: ovvero diagrammi in cui idee e conoscenze sono rappresentate graficamente per stimolare il pensiero, la comunicazione, la condivisione delle informazioni. Ad oggi, grazie allo sviluppo delle tecnologie ICT i moderni sistemi di KM consentono di costruire le sopra citate mappe mentali divenendo pertanto potenti strumenti per l'apprendimento, capaci di edificare vere basi di conoscenza concettuale285. Vale però anche il discorso inverso: lo stesso processo di creazione e di utilizzo della conoscenza può essere rappresentato come un processo dinamico di apprendimento di saperi espliciti e di cattura della conoscenza tacita. Un efficiente sistema di KM si realizza anche attraverso un efficiente processo di apprendimento. Quello che si dovrebbe innestare insomma all’interno di ogni organizzazione è un circolo virtuoso per il quale la condivisione di conoscenze attraverso sistemi di KM porta all’arricchimento, tramite processi di apprendimento, dei propri saperi. Questo percorso dovrebbe sfociare a sua volta in un miglioramento dei contenuti di un sistema di KM grazie alle maggiori competenze, abilità e conoscenze che sono state acquisite e che verranno necessariamente condivise286. Tra i benefici che un sistema così concepito può apportare ricordiamo: 283 - Promuovere la formazione interdisciplinare; - Investire in formazione permanente; - Promuovere l’apertura mentale; - Promuovere i livelli di istruzione dei lavoratori. Per ulteriori approfondimenti si veda il § 2.2.3. SENGE P., “The fift discipline”, DOUBLEDAY, New York, 1990 285 http://www.conceptmaps.it/KM-LearningTech-it.htm 286 Non a caso si parla anche di convergenza tra i sistemi di KM e di Learning management che di fatto hanno in comune il fatto che un knowledge object rappresenta essenzialmente un learning object quando 284 Questo è quanto accade in Rossi Moda Spa287, dove “L’informatica è stata da sempre considerata un fattore fondamentale per l’ottenimento di molteplici risultati”, sostiene Luigino Rossi, presidente di Rossi Moda Spa: l’informatica per diminuire i tempi di realizzazione delle collezioni, per comunicare in tempo reale e necessariamente per apprendere dall’esperienza e dalla condivisione di best practise. Anche in Sadi Spa la tecnologia e i metodi di KM vengono considerati un mezzo portante della learning organization: essa consente di attivare un flusso bidirezionale di conoscenze tra l’azienda e il mercato, che approva la comunicazione e quindi l’apprendimento di tutto il know how che deriva da entrambi i “poli”. Tecnica Spa è dello stesso avviso avendo basato il suo successo proprio sul trasferimento di sapere e sulla sua veicolazione attraverso i giusti metodi288. Il KM è quindi anche una strategia di apprendimento: diffonde l'informazione corretta alle persone appropriate e nel momento giusto289, consentendo loro di apprendere e conoscere in modo continuo ed esatto. 3.2.2 Il KM per il potenziamento della strategia di marketing Secondo P. Druker: “Il Marketing è talmente importante che non può essere considerato come una funzione separata… Esso è l’intera impresa considerata dal punto di vista del suo risultato finale, cioè il soddisfacimento della clientela”. Partendo dal presupposto che gli elementi costituitivi di una buona strategia di marketing (prodotti, bisogni del cliente, mercati,…) necessitano di essere costantemente “alimentati” da flussi informativi/conoscitivi per orientare efficacemente il processo di “pianificazione strategica”, è più che legittimo pensare ad un’integrazione della disciplina del marketing con quella del KM, in special modo se consideriamo entrambe le funzioni come omnicomprensive di tutte le attività aziendali sottoposte al controllo del “cliente finale”290. avviene un processo di sperimentazione e di interazione con il quotidiano, ovvero quando le informazioni intersecano le interazioni degli individui.. 287 Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005, pag. 59 288 Anche i casi di Sadi Spa e Tecnica Spa sono tratti da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005 289 Basti pensare che sono gli stessi strumenti di KM (rete o posta elettronica) a supportare le moderne tecniche di apprendimento collaborativo che è basato sull’interazione di gruppo. 290 Le considerazioni di seguito riportate sono il frutto di una nostra elaborazione da: BIANCHINI M., “Il KM migliora la strategia di marketing”,2006. Ultimamente si sente spesso parlare di marketing knowledge management che viene inteso come processo che scavalca il CRM acquisendo, gestendo e condividendo informazioni e conoscenza sul cliente. In quest’ambito non si fa riferimento a questo fenomeno quanto alla possibilità di utilizzare uno strumento di KM come mezzo di marketing strategico. Il knowledge management è pertanto uno “strumento” per migliorare o meglio per “efficientare” un’azienda strategicamente orientata al marketing, fungendo tralaltro anche da “propulsore” dello stesso successo aziendale. Come avviene questo processo? In primo luogo sistemi di KM consentono una migliore formulazione della pianificazione strategica di marketing offrendo valore aggiunto nell’analisi degli elementi chiave che la compongono. Esposto il piano strategico poi, si deve comunicare la mission all’interno dell’organizzazione, e anche in questo caso il processo può avvenire, ad esempio, attraverso tecniche/strumenti di knowledge sharing. In questo modo si crea nel personale un senso di condivisione degli obiettivi e di partecipazione all’attività aziendale che non potrebbero essere raggiunti in altra maniera. La conoscenza intesa come informazione elaborata ed esperienza formalizzata è quindi la risorsa chiave per poter predisporre un’efficace piano strategico con una chiara definizione degli obiettivi e del portafoglio di attività da intraprendere e già intraprese291. Si parla in quest’ambito di conoscenza che deve ovviamente essere immagazzinata in un “sistema informativo di Marketing” o meglio in un “sistema di KM” integrato e interagente di persone/procedure finalizzato a raccogliere, classificare, analizzare, valorizzare e distribuire saperi pertinenti, tempestivi e accurati. L’integrazione tra le discipline del marketing e del KM, però, non esaurisce qui la sua valenza. L’imprenditore deve avere la consapevolezza che i propri sistemi di gestione della conoscenza rappresentano anche una valida forma di promozione dei prodotti che esso realizza e della stessa immagine aziendale. Quando si parla di promozione però, occorre staccarsi dalle tradizionali visioni della stessa: i classici metodi di lancio del prodotto non funzionano più e a maggior ragione saranno scarsamente proficui per un sistema di KM. Howard Schultz, fondatore e presidente della catena di bar Starbucks, ha recentemente dichiarato: “Osservo quanto viene speso in pubblicità e mi stupisce che la gente creda ancora di ottenere un ritorno da questi investimenti”. Sembra che i dati sul fatturato pubblicitario 2005 gli stiano dando ragione: il mondo è cambiato, soprattutto quello produttivo la cui nuova frontiera sembra essere costituita da una nuova forma di marketing: il “Marketing Virale”. Wikipedia definisce il marketing virale come quell’”insieme di tecniche di marketing che sfruttano reti sociali preesistenti per far crescere in maniera esponenziale la consapevolezza di un dato marchio autoreplicandosi in un processo simile alla diffusione dei virus”292. 291 Secondo questa impostazione, nell’attività di pianificazione strategica, il top management deve “recuperare” dai propri responsabili di funzione informazioni/conoscenze circa: le opportunità di mercato attraverso un processo di ricerca di mercato finalizzata ad acquisire la conoscenza di bisogni e desideri, della localizzazione, la ricerca e selezione dei mercati obiettivo ovvero la suddivisione per segmenti del mercato per consentire la selezione e la scelta di quelli verso i quali orientare la strategia, le posizioni assunte dai maggiori concorrenti nello stesso mercato obiettivo, il budget a disposizione per l’azione strategica (di marketing) che si intende perseguire, il marketing mix ovvero le variabili controllabili di marketing necessarie per conseguire gli obiettivi predefiniti. 292 Possiamo allora definirlo come una qualsiasi azione/attività che stimoli le persone a passare un nostro messaggio di marketing ad altre persone, possibilmente aggiungendo credibilità al messaggio attraverso un loro endorsement dello stesso. Esempi tipici di viral marketing sono il far arruolare all’interno del Molto più semplicemente il marketing virale consiste in un “passaparola” che sfrutta le altissime potenzialità di internet. Mauro Lupi, Ad di Admaiora, piccola società di pubblicità online, sostiene che: “il viral marketing è una tecnica tendenzialmente spontanea e disinteressata: un vero e proprio passaparola che, grazie a internet, si propaga alla velocità della luce”293. Un imprenditore italiano che ha avuto successo adottando tecniche di gestione aziendale orientate alla gestione della conoscenza per lo sviluppo di strategie di marketing innovative è stato Ernesto Illy. Secondo Illy: “è la scienza, nel senso dell’apice della conoscenza, che entra in gioco quando si vuole realizzare un prodotto sempre di altissima qualità, controllatissimo e appagante anche sul piano dell’esperienza estetica”. In questa fase i maestri della quantità, i praticoni dalla mentalità magica, devono lasciare il posto agli scienziati, cioè a chi struttura la conoscenza in possibilità di creare stabilità nell’offerta della qualità. Ed è la scienza stessa che evolve nella ricerca di nuove forme di strutture del sapere, convogliando l’esperienza in conoscenza riproducibile. È un fenomeno ciclico “non zero sum”, che va oltre i tradizionali sistemi di CRM per avvalersi di una forma particolare di marketing che è quella del marketing virale. A conclusione del paragrafo citiamo un ultimo esempio che rappresenta poi anche elemento di raccordo con quanto verrà trattato nel quarto capitolo294: il caso della piattaforma e-learning “Lighthouse” realizzata dalla società Nautes per iGuzzini Illuminazione. La piattaforma costituisce un esempio di eccellenza nell’ambito dell’evoluzione di uno strumento di KM a mezzo di promozione dell’attività aziendale. Lighthouse mette a disposizione di un qualsiasi fruitore esterno all’azienda tutta la conoscenza iGuzzini nell’ambito dell’illuminotecnica permettendo così ad un architetto piuttosto che ad un prescrittore o ad un lighting designer di studiare ed analizzare come si illumina un museo, un centro commerciale o una chiesa. Il software, attraverso un’evoluta tecnologia, propone lezioni sulle tematiche più complesse, simulazioni di ambienti attraverso laboratori virtuali, casi pratici di architettura della luce a cui gli utenti della community possono ispirarsi per le loro attività lavorative. IGuzzini sta ottenendo significativi vantaggi da questo sistema in termini di costi e di miglioramento dell’immagine aziendale: Lighthouse è divenuto da strumento di formazione uno strumento di supporto al nostro programma dei nuovi clienti da parte di clienti esistenti (in maniera attiva o passiva). Far sì che i nostri utenti (o gli utenti internet in generale) passino e forwardino messaggi relativi al nostro brand in quanto divertenti/interessanti. Fare in modo che un nostro messaggio venga ospitato nella loro corrispondenza e che entri a far parte delle loro conversazioni. Si tratta insomma di trasformare il nostro cliente/utente in “evangelista , in predicatore”: di quelli che quando li incontrate al bar vi rintronano sulla superiorità etica /ideologica dell’open source e di Linux, quelli che finché non provate la loro marca di sigarette, il loro ristorante preferito o andate in vacanza nel loro albergo non vi lasciano in pace. Per costoro c’è un’adesione quasi (o totalmente) etica al prodotto. Un coinvolgimento emotivo. Una scelta forte di campo che fa loro ritenere che il mondo sarebbe un posto oggettivamente migliore se tutti adottassero il loro prodotto preferito. 293 La sua azienda questa primavera ha lanciato la prima fase di una campagna pubblicitaria italiana che ruotava attorno al blog “themonster.it”, il cui contenuto era incentrato sulla figura di un personaggio misterioso travestito da lucertola gigante. I lettori del blog erano invitati a segnalarne gli avvistamenti facendo nascere una comunità di fan del mostro finché non è stato svelato l’arcano, ovvero si trattava della nuova pubblicità Heineken. 294 L’esempio è tratto da materiale ed esperienze raccolte personalmente durante il periodo di stage effettuato presso la società Nautes Srl. marketing strategico attraverso il forte “passaparola” che gli 8000 utenti della community hanno attuato nei confronti del mondo esterno. Un sistema di KM così consapevole consente fra le altre cose di: - Valorizzare la conoscenza per scopi commerciali; - Promuovere il mantenimento dei clienti; - Investire in innovazione di marketing; - Risparmiare risorse da destinare poi ad altri scopi. Prima di concludere un ultimo aspetto, seppur marginale e di secondaria importanza, merita di essere citato. Gli strumenti di KM, o meglio alcuni tra gli strumenti di KM (è anche il caso di Lighthouse) consentono talvolta di vivere un’esperienza diretta con il prodotto, di creare un momento di coinvolgimento sensoriale con quanto viene offerto dall’azienda295. Il fruitore della piattaforma Lighthouse ad esempio, attraverso la possibilità che gli viene offerta di simulare ambienti o magari di collocarsi all’interno di casi pratici di illuminotecnica attraverso laboratori virtuali, vive di fatto un’esperienza e un coinvolgimento diretto con il prodotto potendo quindi provare, testare, sperimentare e perché no divertirsi con lo stesso. E questo, in un mondo dove le esperienze vengono considerate la quarta forma di offerta economica, dove occorre saper far vivere al consumatore un momento memorabile di consumo296, rappresenta una forma di promozione dalla quale poter ricavare significativi vantaggi297. E’ vero che la funzione fondamentale di un sistema di KM rimane quella di valorizzare e gestire la conoscenza aziendale, ma è anche vero che acquisire la consapevolezza che esso attraverso il viral marketing (e talvolta il marketing esperenziale) possa diventare un buon sistema di promozione dei prodotti aziendali è fonte di cospicui guadagni aggiuntivi. Perché dunque non sfruttare e mettere a profitto questa opportunità? 3.2.3 Il KM a servizio dell’innovazione e della creatività Le tecnologie di supporto al KM non servono soltanto per amministrare documenti ma sono utili anche per abilitare la gestione della conoscenza finalizzata allo sviluppo di prodotti e servizi innovativi298. Daniele Pagani, partner di Framfab, è convinto che la gestione della conoscenza produce valore quando diventa "trasparente" ovvero quando entra a far parte dei processi operativi aziendali. "Un chiaro esempio", ha sottolineato Pagani, "è il processo di innovazione, in cui le conoscenze ed il saper fare 295 Il fenomeno del marketing sensoriale che verrà citato è un fenomeno del tutto marginale nell’ambito del KM che può essere applicato soltanto per un numero limitatissimo di sistemi di gestione della conoscenza. 296 Cfr. PINE B.J., GILOMORE J.H., “The experience Economy. Work is theatre & every business a stage”, ETAS, 2005, pag. 20. 297 Walt Disney è l’esempio per eccellenza di quanto appena detto: mette in scena una produzione completa di visioni, suoni, sapori aromi e trame che formano un’esperienza unica. rivestono una tale importanza che la loro gestione non può essere separata da quella del processo di sviluppo di nuovi prodotti/servizi"299. Queste le parole che ci sono sembrate più opportune per introdurre il tema di questo paragrafo: il KM a servizio dell’innovazione e quindi della creatività. Anche in questo caso, come nel precedente, vista la scarsa attenzione del mondo imprenditoriale verso la tematica in questione e vista al contempo la centralità della stessa nell’odierno mondo economico abbiamo ritenuto opportuno analizzare come i metodi di gestione della conoscenza possano supportare i processi innovativi e creativi, divenuti ormai nuova materia prima che l’impresa deve saper lavorare. “La creatività è la principale leva dell'innovazione, e l'innovazione è l'arma più efficace che abbiamo per rispondere a molte necessità del presente, prima tra tutte la crisi economica”300. Viene quindi spontaneo chiedersi: esistono degli strumenti per innovare realmente la propria organizzazione o sono disponibili soltanto dei palliativi? Una risposta affermativa a questa domanda è fornita proprio dalle metodologie di KM: la disciplina che studia la conoscenza organizzativa e che si occupa di individuare le metodiche e gli strumenti atti alla sua gestione consente anche un approccio basato sull'innovazione culturale, organizzativa e tecnologica. Vediamo come. Partendo dal presupposto che dal nulla non si inventa nulla la conoscenza è un elemento fondamentale per la creatività. E’ solo conoscendo e studiando cosa ci circonda che si riescono ad avere idee innovative e soluzioni originali, in una parola quello che viene definito il “colpo di genio”. Basti pensare che una delle tecniche più rinomate ed importanti di sviluppo della creatività che è quella del brainstorming che prevede che i partecipanti allo stesso abbiano accesso a tutte le informazioni, dati e saperi relativi al caso che dovranno affrontare e risolvere. Ma oltre a questo c’è qualcosa in più: la creatività produce nuove conoscenze e la conoscenza immagazzinata e gestita è fonte di nuove idee creative, input per la generazione di innovazione. Come dimostra lo schema 2.3. CONOSCENZA CREATIVITA’ INNOVAZIONE Schema 3.3 La reciproca interdipendenza tra conoscenza,creatività e innovazione elaborazione 298 Fonte: nostra Sostiene Carlo Sorge, Chairman Jeckpot, in un’intervista rilasciata nel 2004. Non a caso lo strumento di knowledge warehousing che verrà analizzato nel successivo capitolo è proprio funzionale allo sviluppo di nuovi prodotti. 300 Tratto dalla relazione tenuta dal Dott. LONGO G., Ordinario di teoria dell’informazione alla Facoltà di Ingegneria di Trieste, nel workshop LIBERAMENTE tenutosi a Civitanova Marche, il 18 novembre 2007. Questa citazione mette in luce un particolare aspetto: anche se in maniera molto marginale l’approccio olistico qui proposto aiuta non soltanto le imprese a ricavare maggiori guadagni dai propri sistemi di KM, ma potrebbe contribuire al miglioramento della posizione italiana nel contesto dell’economia della conoscenza. 299 I sistemi di KM sono insomma in grado di portare l’azienda verso quel disequilibrio creativo che non compromette però la sopravvivenza dell’impresa: essi consentono di sviluppare la “fantasia” mettendo a confronto conoscenze diverse, incrociando saperi consolidati e operando un processo di distruzione creatrice di quelli che sono i saperi pregressi e consolidati di un’organizzazione. Di fatto le modalità con cui un sistema di KM è in grado di sviluppare innovazione e pensiero creativo sono molteplici: ricordiamo in quest’ambito le più significative, partendo da quelle legate alla metodologia del KM, per arrivare poi a quelle più strettamente connesse all’aspetto tecnologico. La gestione aziendale che si affida ad un sistema di KM può contare su di una forte motivazione nei collaboratori, i quali sviluppano un certo senso di “partecipazione” al mondo imprenditoriale. Quindi, il fatto di condividere la preparazione della strategia ma anche la sua attuazione è per il management un’opportunità per poter ottenere il massimo rendimento dalle idee, dalle conoscenze e dalla creatività di tutti i partecipanti al mondo aziendale. Il caso Geox Spa ne è la testimonianza evidente301: tra i fattori critici di successo dell’azienda spiccano fra tutti la creatività, l’innovazione e il design. Dopo la brillante intuizione del suo fondatore in merito alla “scarpa che respira”, le successive creazioni non si sono più basate su colpi di genio sporadici ed illuminati. “E’ un metodo che può funzionare una volta, non due”, sostiene Mario Moretti Polegato, titolare di Geox Spa. Attraverso un buon sistema di KM, che implica la condivisione delle conoscenze e la partecipazione ai processi decisionali e attraverso la Geox School per l’apprendimento e la formazione, i progettisti e i designers Geox vengono messi nelle condizioni di tirar fuori il loro talento creativo per la generazione di nuovi prodotti e di nuove soluzioni per l’impresa. Non più intuizione quindi (che ovviamente rimane importante), ma incentivo e metodo per l’inventiva e la fantasia. Attraverso la gestione della conoscenza un’azienda è poi in grado di distaccarsi dal passato, ovvero dai saperi acquisiti, dalle esperienze vissute e dai successi precedenti; questo perché il KM stimola la curiosità, spingendo un’impresa ad affrontare le novità, ad assumersi i propri rischi ed ad accettare anche un ipotetico fallimento. Quando tra gli ingredienti utilizzati per produrre “creatività” sono presenti le informazioni, le conoscenze e il pensiero, l’impresa è sulla strada giusta per sviluppare talenti interni. Raggiungere questo risultato significa saper creare un ambiente in cui si diventa capaci di “imparare ad imparare”, ovvero un ambiente fertile in cui l’organizzazione apprende ed educa ad una nuova “forma mentis”, a un nuovo modo di pensare. Un sistema di KM che tiene conto della sua capacità di influenzare i processi creativi ed innovativi conduce all’ottenimento dei seguenti benefici302: 301 - Mettere in connessione elementi esistenti in modo originale; - Promuovere l’esposizione a stimoli diversi; - Promuovere le capacità di reagire in modo non conflittuale; Cfr AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005, pag. 14-17 - Accettare la diversità, la complessità e i conflitti; - Vedere problemi nuovi; - Accettare la sfida per poi costruire sulla base di questi stimoli in direzioni nuove (divergent thinking); - Rcercare informazioni in modo sistematico; - Tollerare l’incertezza e il rischio di fallimento e destinare risorse certe ad obiettivi di medio e lungo periodo; - Assicurare l’indipendenza degli attori coinvolti nei processi d’innovazione; - Scoprire qualche cosa di nuovo che assicuri una soluzione a questi problemi; - Promuovere lo sviluppo di nuove produzioni e l’innovazione; - Promuovere la capacità di collegare la creatività individuale e la realizzazione della nuova idea; - Promuovere il processo di distruzione creatrice o di dismissione di combinazioni produttive. A conclusione del paragrafo ci sembra utile riportare alcune delle modalità con cui sistema di KM stimola il pensiero creativo e quindi l’applicazione di tecniche e metodi di sviluppo del pensiero laterale303. All’impostazione iniziale che vedeva la creatività come una capacità innata e non certo come una tecnica passibile di insegnamento si è sostituito il principio della “programmabilità” della stessa, nella convinzione che esista un aspetto logico, basato su un processo mentale organizzato, per il quale è possibile utilizzare metodi che favoriscono l’espressione delle idee. E’ l’apollineo che sta prevalendo sul dionisiaco. L’Italia in questo si contraddistingue da sempre grazie alle intuizioni geniali del suo popolo, ma si differenzia anche negativamente per la mancanza di strutture e metodiche rendono più facile la nascita delle nuove idee. L’intento dunque di proporre il KM come metodo di sviluppo della creatività è quello recuperare il ritardo accumulato nello sviluppo di tecnologia, talento e tolleranza (le tre T teorizzate da Florida) attraverso una metodologia che consenta di studiare quell’atto unico e imprevedibile che va sotto il nome di creatività. In termini generali si può dire che la tecnologia porta innovazione ed efficienza alle imprese, arricchisce l’esperienza delle persone, esplora il nuovo, il possibile, il globale, produce idee, visioni e soluzioni inattese. In una parola, genera creatività304. Questo discorso è ancora più vero se si prendono a riferimento i sistemi di KM. Un sistema di document management ad esempio, che permette di archiviare e amministrare tutti i documenti presenti in azienda attraverso la tecnologia web, consente tra le altre cose di applicare una delle tecniche più rinomate e funzionali di sviluppo del pensiero laterale: la “tecnica della 302 Cfr. BARONE N. “Progetto mezzogiorno. Un grande laboratorio di eccellenza per lo sviluppo territoriale basato sull’economia della conoscenza”, RUBBETTINO, 2005, pag. 56-59 303 Il pensiero laterale viene definito da De Bono come quel pensiero che sa riconoscere le idee dominanti che polarizzano la percezione di un problema, cerca maniere differenti di guardare le cose, allenta il controllo rigido del pensiero lineare, usa ogni chance per incoraggiare altre idee bionica”. Tale tecnica prevede la risoluzione di problemi complessi tramite l’associazione degli stessi ad eventi e questioni simili che sono stati già affrontati dall’azienda, dai quali poter prendere spunto per un loro scioglimento. Un’azienda, quindi, che dispone di un sistema di document management cataloga e archivia in modo strutturato e formale tutte le vicissitudini organizzative, nonché le relative risposte. In questo modo sarà possibile quindi consultare ed imitare la tecnica risolutiva tramite un semplice accesso al software di KM, mettendo così in atto una preziosa procedura di sviluppo della creatività. Basti pensare poi al semplice fatto di mettere per iscritto le proprie conoscenze, inserendole ad esempio in una piattaforma e-learning o in un sistema di datawarehouse. Quale metodo migliore per la generazione di idee originali? Anche in questo caso la tecnologia di KM altro non fa che identificarsi con una particolare tecnica di sviluppo della creatività che prende il nome di “scrivere ciò che si sa”. La stessa disposizione grafica dei contenuti inseriti nel software è poi funzionale alla generazione di idee innovative. Lo stesso metodo della “mappa mentale”, che prevede una particolare distribuzione dei contenuti da analizzare, sostiene che ciò possa aiutare nella ideazione di nuove soluzioni305. In definitiva: innovazione e creatività sono elementi importanti sia per le aziende che per l’intero Paese. Trascurarle significherebbe perdere delle grandi opportunità. Il KM dice di sì anche alle nuove prospettive, al “salto” da un ragionamento all’altro e alla spinta della mente verso direzioni raramente esplorate. 3.2.4 Il KM come nodo di legame con il territorio Lo stretto legame che unisce le aziende al territorio in cui esse operano non è semplice da spiegare: è un fenomeno molto ampio e dalle mille sfaccettature che presenta aspetti che talvolta sfuggono all’occhio umano osservatore. Proviamo a spiegarlo con un esempio306. La FAAM (Fabbrica Accumulatori e Autoveicoli di Montetrubbiano) costruisce batterie e veicoli elettrici in un piccolo paese nella provincia di Ascoli Piceno: invece di spostarsi e di localizzare i propri stabilimenti dove ci sono traffico e movimento, invece di aprire le proprie fabbriche guardando al costo del lavoro, si è stabilita ed ha scelto le proprie sedi produttive nel piccolo ma incantevole territorio di origine. FAAM è stata tra le poche aziende a livello nazionale ad aver chiuso un impianto nell’Europa dell’Est per trasferirlo in Italia: serrande giù a Budapest per aprire a Monte Sant’Angelo. Operare, lavorare ed essere legati al proprio territorio è una scelta strategica di difficile attuazione e che tocca in positivo e in negativo molteplici aspetti della realtà d’impresa307: dal reclutamento delle persone, 304 Tratto dalla relazione tenuta da Giovanni Padula, e Creatitivity Group Europe, in occasione del Workshop “LIBERAMENTE” tenutosi a Civitanova marche il 18 novembre 2007. 305 Le tecniche di sviluppo della creatività che sono state qui citate sono tratte da: FLORIDA R., “L'ascesa della nuova classe creativa : stile di vita, valori e professioni”,MONDADORI, Milano, 2003. 306 Cfr. CIANCIULLO A., REALACCI E., “Soft Economy”, BUR, 2005, pag. 201-207. 307 Questo è quanto sostiene il Dott. Ceregioli, responsabile Centro Studi e Ricerca della iGuzzini. alla condivisione della cultura e dei valori, dalle relazioni con le altre aziende, al cambiamento dell’assetto organizzativo308. Che una parte consistente delle conoscenze di un’azienda sia localizzata, ossia legata ai luoghi in cui ha preso forma e in cui viene riprodotta e rinnovata è ormai assodato ed altrettanto accertato è il bisogno di dialogare con queste conoscenze locali309: l’integrazione si attua attraverso le persone che operano in azienda e che provengono dalle aree geografiche limitrofe portando con sé un ricco patrimonio di esperienze, di tradizioni e di umanità locali; nello sviluppare le proprie architetture in sintonia con l’ambiente dove vengono calate, traendone spunti sia nell’elaborazione degli stili sia nell’utilizzo dei materiali e infine nell’implementare la giusta infrastruttura tecnologica che consenta un dialogo aperto e continuo tra aziende e territorio. Ne è un esempio il Gambero Rosso, un gruppo nato da una costola del “Manifesto” che è arrivato a gestire un complesso da 14 milioni di fatturato annuo: La Città del Gusto, 5000 metri quadri coperti e 2500 metri quadri di terrazze collegati da scale mobili, vetrate, grandi finestre sul Tevere, dove trovano spazio le aule e i laboratori della scuole di formazione gastronomica, un teatro della cucina, un negozio di oggettistica specializzata, un sito web, una rivista e la televisione satellitare310. Queste le ragioni che hanno spinto a trattare e ad approfondire un simile aspetto: per consentire ai sistemi di KM presenti in azienda di contribuire ad assodare l’importante legame con la terra d’origine della stessa impresa. Non si vuole in quest’ambito fare riferimento propriamente al concetto di knowledge management territoriale (TKM)311, con il quale si indica invece la valorizzazione del potenziale di innovazione, la competitività e quindi lo sviluppo economico di reti di imprese e cluster locali tramite un’azione sui processi d’apprendimento interattivo e di creazione della conoscenza. Si vuole invece analizzare un progetto di più limitata capacità che riguarda l’estensione e l’adattamento delle procedure di knowledge management presenti in azienda ad un’economia locale, per l’attivazione di uno scambio reciproco tra imprese e tra impresa e ambiente al fine di ottenere mutui vantaggi. Si tratta insomma di prendere coscienza e consapevolezza della rete di relazioni implicite che si instaura tra le imprese appartenenti ad un medesimo contesto: rete nella quale si dovrebbero far transitare informazioni, conoscenze e competenze favorendo così da una parte l’abbandono di modalità troppo implicite, complesse e lente di scambio di informazioni e introducendo dall’altra una prospettiva nuova nelle politiche di trasferimento tecnologico. Un esempio calzante è costituito in quest’ambito dalla 308 Si dice che tocca in positivo e in negativo gli aspetti d’impresa poiché ad esempio se si prende a riferimento la forza lavoro il fatto di non delocalizzare significa costo del personale più alto (aspetto negativo) ma al contempo significa maggior facilità di reperimento dello stesso, unitarietà di valori e cultura, maggiore affidabilità (aspetto positivo). 309 Cfr. RULLANI E., “ Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti”, CAROCCI, Roma, 2004, pag. 126. Il territorio è depositario di conoscenze localizzate, che essendo legate all’esperienza di chi opera o vive nel contesto locale, sono condivise da produttori, lavoratori, consumatori locali. 310 Cfr. CIANCIULLO A., REALACCI E., “Soft Economy”, BUR, 2005, pag. 12-13. 311 Il TKM è tratto da: BARONE N. “Progetto mezzogiorno. Un grande laboratorio di eccellenza per lo sviluppo territoriale basato sull’economia della conoscenza”, RUBBETTINO, 2005. realizzazione di reti extranet: l’imprenditore deve assumere la consapevolezza che dei sistemi strutturati di collegamento con il mondo esterno consentono di soddisfare contemporaneamente due importanti esigenze: sistematizzare e velocizzare il flusso di conoscenze da e verso fornitori e clienti ma anche (come detto sopra) avere un modo nuovo e più efficiente di relazionarsi con il territorio e con le imprese che vi sono collocate. La capacità di guardare anche all’esterno dell’azienda ricorrendo a esperti di altri settori e ai propri partner, la possibilità di alimentare tutto il sistema territoriale con database che lavorino dati provenienti da diverse realtà all’interno dell’azienda, ma anche capire e mettere in gioco le conoscenze implicite nel sistema locale, comprendere ed organizzare le conoscenze acquisibili attraverso la rete e mettere a disposizione della comunità i propri saperi312 rappresentano elementi che un sistema di KM consapevole del suo legame con il territorio non può accantonare. Si sente oggi parlare moltissimo del concetto di capitale relazionale e della sua importanza per l’assetto competitivo d’impresa: il particolare approccio al KM che qui proponiamo implica lo sviluppo e la valorizzazione di questa forma specifica di capitale intellettuale. Il capitale relazionale o capitale sociale rappresenta, appunto, l’insieme dei legami che si instaurano tra l’impresa e tutti i suoi stakeholders. Da qui deriva la necessità per l’imprenditore di comprendere che i sistemi di KM che ha attivato ed implementato nella propria azienda debbano essere utilizzati anche come sistemi di legame con il territorio dai quali poter ottenere numerosi vantaggi. Ne ricordiamo alcuni: - Promuovere “l’apertura esterna” dell’azienda e incentivare i network di conoscenza e innovazione; - Assicurare un accesso veloce alle diverse conoscenze e competenze interne ed esterne; - Promuovere le collaborazioni interdisciplinari; - Investire in capitale sociale; - Promuovere il consenso su una strategia di sviluppo comune; - Mantenere i clienti; - Analizzare in modo più puntuale l’ambiente esterno; - Promuovere la fusione delle conoscenze esistenti; - Promuovere spin off; - Creare joint venture. In tutto questo le tecnologie di KM giocano un ruolo di fondamentale importanza. Per concludere il paragrafo ci sembra utile non dilungarci ulteriormente sul legame tra impresa, KM e territorio anche perché questo presenta una molteplicità di aspetti che esulano dalla trattazione 312 Ovviamente occorre sottolineare il fatto che esistono delle conoscenze che non possono essere assolutamente divulgate all’esterno. In quest’ambito come del resto in tutti gli ambiti del KM si fa pertanto riferimento a quelle informazioni che l’azienda decide di mettere a disposizione. Inoltre quando si parla di sistemi di KM orientati al territorio è ovvio che non si fa riferimento alla totalità dei sistemi di KM: ad esempio un portale aziendale progettato per migliorare lo scambio di informazioni nell’impresa probabilmente non ha senso leggerlo come strumento di legame con il territorio. dell’elaborato313. Ci sembra invece conveniente, anche per chiarire meglio l’argomento in questione, terminare con una serie di esempi che mettono in luce quanto appena citato. Il concetto di un’impresa che deve essere in grado di orchestrare e gestire proficuamente il complesso patrimonio di conoscenze disperse nelle comunità locali in cui opera è ben rappresentato dall’azienda farmaceutica giapponese Eisai. Il successo dell’azienda mostra i vantaggi che derivano dall’apporre la giusta enfasi sulle connessioni locali314. Sia a Boston che a Cambridge Eisai ha istituito laboratori di ricerca e sviluppo diretti da scienziati locali con una buona reputazione nella comunità scientifica e collegati con i laboratori delle eccellenti università locali. Ciò che è derivato da queste tecnologie di connessione è un forte afflusso di conoscenza utile all’organizzazione e un importante miglioramento dei livelli di profitto d’impresa. La Dun&Bradstreet, invece, attua una diversa strategia: essa vende e mette a disposizione ciò che chiama “database informativo delle maggiori aziende del mondo”315. Si tratta di un particolarissimo prodotto costituito dagli archivi dei propri clienti che vuole rappresentare pertanto la trasformazione di un mero dato operativo in una risorsa nuova e di particolare pregio in termini di conoscenza per una molteplicità di aziende. Il progetto Treviso Tecnologia316 nell’ambito del Distretto della calzatura sportiva ha previsto la costituzione di un'infrastruttura di e-Knowledge Management a supporto dello sviluppo delle conoscenze per il design di prodotto. L'obiettivo dell’infrastruttura è anche quello di rivitalizzare e di aggregare il know how e le relazioni disperse fra i soggetti presenti nel territorio ed operanti nel design, che sovente si trovavano anche in stato di sofferenza di comunicazioni. Il progetto ha anche rafforzato il collegamento fra le attività del corso di laurea in Disegno Industriale di Treviso (corso dello IUAV di Venezia) con i differenti soggetti locali. In questo modo è stato possibile, da una parte, valorizzare i saperi taciti del distretto con conoscenze codificate e con nuovi apporti sinergici, dall'altra diffondere e contaminare gli stessi saperi con altre esperienze e conoscenze di realtà e materie diverse per ulteriori sviluppi, sia progettuali che operativi per lo sportsystem. Il progetto viene supportato da un portale e da un sito internet che consentono di svolgere anche delle attività a distanza. Durante la quarta edizione di un forum organizzato a Roma da JEKPOT, Ken Moran, vice presidente internazionale di Meridio, società satellite del gruppo ICL, ha illustrato come esempio il customer web portal di Scottish & Southern Energy (S&SE) del Regno Unito. Un progetto web che permette la visualizzazione automatica dei documenti relativi alla situazione contabile ed amministrativa degli utenti della S&SE. "Il mantenimento dei clienti esistenti", ha dichiarato Moran, "nonché l'incremento della base 313 Quando si parla di territorio si dovrebbe fare riferimento ai network, alla cultura e ai valori, alle risorse umane, etc… scopo di questo paragrafo non è però quello di trattare gli aspetti appena citati quanto quello di manifestare l’importanza di un sistema di KM come fattore di legame con il territorio. 314 Il caso è tratto da: DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P., “Da globale a metanazionale. Le strategie di successo nell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2001 315 Anche questo caso è tratto da: DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P., “Da globale a metanazionale. Le strategie di successo nell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2001 316 Il caso è tratto da: http://www.tvtecnologia.it/innovazione/dettagliEKMDicamo.asp utenti attratti dal nuovo sistema di gestione e la riduzione dei costi erano gli obiettivi della società. E li abbiamo realizzati". Secondo Marco Donnamaria, KM director di Tc System, una soluzione di e-document management permette tra l'altro di "automatizzare i processi di verifica ed integrazione dei documenti tra sede e territorio, monitorare costantemente lo stato dei processi, nonché garantire l'integrazione con il sistema informativo aziendale". Quanto detto basta a giustificare l’importanza che i sistemi di KM hanno come fattori di legame con il territorio. L’imprenditore deve essere consapevole di questi aspetti. Ma non solo317. 3.3 Alcune prospettive future Concludiamo il terzo capitolo con alcune considerazioni di carattere generale. Che i sistemi di KM e la gestione della conoscenza siano diventati elementi imprescindibili per qualsiasi tipo di organizzazione è ormai assodato. I dati citati a tal proposito sono stati numerosi nel corso dell’elaborato. Ma altrettanto consolidata è anche l’ipotesi di un allargamento dei sistemi di KM rispetto alla “mera” gestione della conoscenza: perché non sfruttare un software di document management come mezzo di apprendimento? Perché non consentire ad una piattaforma e-learning di essere strumento di promozione dell’immagine aziendale attraverso il viral marketing? Perché non adoperare una rete extranet come mezzo di sviluppo della creatività e di legame con il territorio d’appartenenza d’impresa? A queste domande abbiamo risposto nel presente capitolo, cercando di far percepire l’importanza di un approccio olistico, multidisciplinare e multidimensionale alla gestione della conoscenza: come sopra citato i benefici potrebbero essere notevoli. Quello che ci preme ricordare ora, però, concerne alcuni particolari aspetti relativi al KM che forse potrebbero essere passati in secondo piano nel corso della trattazione: - In primo luogo il fatto di concepire i sistemi di gestione della conoscenza come sistemi che vanno oltre l’amministrazione dei saperi d’azienda non implica alcun tipo di cambiamento per l’organizzazione: né per quanto riguarda il software di KM (non devono essere introdotti cambiamenti tecnologici), né per ciò che concerne la metodologia di applicazione ed utilizzo dello stesso. L’unico adeguamento che viene richiesto è una presa di coscienza da parte dell’intera organizzazione delle potenzialità intrinseche di un sistema di KM: il che 317 A conclusione del presente paragrafo ci preme sottolineare come gli aspetti appena citati in merito alle potenzialità del KM costituiscono elementi di natura secondaria rispetto al inner core dello stesso, che è appunto quello della valorizzazione della conoscenza aziendale. Nonostante questo essi possono contribuire al raggiungimento di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, rispetto all’impostazione tradizionale al KM. Ribadiamo ulteriormente che non abbiamo la pretesa di aver individuato un nuovo approccio al KM, ma soltanto di aver fatto emergere alcune potenzialità latenti dello stesso: potenzialità che anche gli stessi Azzariti e Rullani (Docenti presso l’Università Cà Foscari di Venezia, nonché autori di numerose pubblicazioni e testi sul KM e sull’economia della conoscenza) hanno considerato interessanti ed originali. significa sapersi avvalere di vantaggi non programmati da uno strumento che è nato per svolgere altre funzioni; - A proposito di cambiamento: molto spesso al termine di KM viene associato quello di change management. Questo accostamento a nostro avviso però non è sempre corretto: il cambiamento non è condizione essenziale per l’introduzione di sistemi di KM318. E’ vero che le organizzazioni devono diventare delle learning organization, i lavoratori dei knowledge workers, ma è anche vero che ciò non implica lo stravolgimento organizzativo dell’impresa. A nostro avviso gli unici cambiamenti che andrebbero apportati riguardano quelli che servono per la rimozione degli ostacoli alla corretta implementazione di un sistema di KM, quale ad esempio potrebbe essere un’adeguata formazione verso quei manager che non sono propensi alla condivisione della loro conoscenza. In questo modo si apportano piccoli mutamenti all’azienda, funzionali al sistema di KM che avrà pertanto una chance in più per essere accettato proprio perché non stravolge l’assetto organizzativo d’impresa; - L’approccio citato nel presente capitolo non è estendibile a tutti i sistemi di KM. Ad esempio, non tutti i software sono elemento di collegamento con il territorio e non tutti gli strumenti rappresentano mezzi di viral marketing. Basti pensare ad esempio ad una rete intranet aziendale: è progettata per essere utilizzata all’interno dell’organizzazione e difficilmente può costituire elemento di legame con il territorio. Occorre quindi saper individuare i sistemi giusti per ciascun approccio, in modo tale da valorizzare per ognuno di essi le proprie “potenzialità nascoste”; - Non bisogna da ultimo dimenticare un importante aspetto: l’elemento core di un sistema di KM è costituito dalla sua capacità di gestire le conoscenze aziendali chiave per il miglioramento dell’organizzazione. Gli elementi citati nel presente capitolo sono pertanto elementi accessori di un sistema di KM che, pur essendo importanti, costituiscono un surplus, un aspetto aggiuntivo rispetto a quello centrale che è dato appunto dalla gestione della conoscenza. Per questo motivo è stato dedicato ampio spazio all’analisi del KM nel senso “classico” del termine ed è stato dedicato soltanto un breve capitolo al nuovo approccio. 318 Questo concetto verrà anche ripreso nel quarto capitolo. Non a caso l’approccio Nautes prevede per i suoi clienti il mantenimento della esistente struttura organizzativa, senza operare sconvolgimenti. Questo non significa che la tematica del cambiamento non sia importante, anzi tutt’altro; riteniamo però che nell’ambito del KM non debbano essere necessari profondi mutamenti per l’introduzione dello stesso. O meglio: molto dipende da che cosa intendiamo con il termine di cambiamento. Come sopra ribadito se esso significa stravolgimento organizzativo dell’assetto d’impresa, allora si tratta di un fenomeno che non appartiene al mondo del KM. Se con esso invece si intende flessibilità organizzativa e rimozione degli ostacoli ad una sua corretta implementazione allora stiamo parlando di un cambiamento naturale del mondo del KM. 3.3.1 La domanda e l’offerta del KM che verrà Quali prospettive attendono il KM negli anni a venire? Essenzialmente il futuro del KM va analizzato da due differenti punti di vista: quello della domanda e quello legato dell’offerta dei servizi di KM319. Per ciò che concerne il lato della domanda le stime sopra citate (§ 3.1.1) lasciano intendere un forte sviluppo del mercato del KM: nei prossimi anni molte organizzazioni inizieranno a gestire la propria conoscenza, consapevoli della necessità di non lasciare la stessa in forma latente all’interno degli individui e al contempo consci del bisogno di “convogliare” i flussi informativi verso destinazioni proficue all’interno dell’organizzazione. Non si possono fornire dati certi in merito, ma considerando il ritmo di crescita del mercato del KM tutto lascia intendere che si avranno negli anni a venire consistenti investimenti in questa direzione. Punto ancora controverso e incerto è costituito invece dall’offerta di servizi di KM: essi vanno di pari passo con l’evoluzione delle nuove tecnologie e cambiano dinamicamente a seconda dei sistemi software che l’ICT mette loro a disposizione. Pertanto per conoscere in maniera esatta che cosa un sistema di KM ci consentirà di fare in futuro occorre sapere con precisione cosa l’evoluzione dell’IT consentirà di mettere in atto: dato difficilissimo da poter reperire considerato il forte tasso di sviluppo di questo settore che produce innovazioni tecnologiche in maniera continua, ora per ora. Quello che è certo è che sicuramente un avanzamento in campo ICT permetterà di ottenere software di KM più competitivi e funzionali per la stessa azienda, di progredire nel campo della gestione dei saperi, di ottenere risultati eccellenti sotto molteplici aspetti. Il tema sarebbe lungo e difficoltoso da affrontare: citiamo pertanto in quest’ambito alcuni casi esemplificativi delle tendenze in atto320. Attualmente i software per la ricerca di informazioni (come ad esempio i motori di ricerca) rintracciano le pagine web o i documenti ad esse collegati sulla base di un qualche tipo di codice di programmazione, con il risultato di trovare spesso dei file che non centrano nulla o comunque centrano poco con ciò che si voleva ricercare. Da poco tempo è nata quindi una nuova disciplina che va sotto il nome di web semantico321 che ha lo scopo di risolvere o meglio di migliorare l’aspetto appena citato. Il presupposto di base della nuova scienza è quello di chiedersi: perché quando si pone una domanda ad una qualsiasi persona la risposta della stessa è centrata e coerente con quanto richiesto, mentre quando si interroga un motore di ricerca spesso questo trova pagine che non centrano nulla con il quesito formulato? La risposta è che gli esseri umani, a differenza delle macchine, comprendono il significato e quindi il contenuto di quanto viene domandato. Scopo pertanto del web semantico è quello di permettere ad un qualsiasi elaboratore di capire il senso e il significato che viene espresso nelle pagine web, in modo tale che i link vengano formulati non più sulla base di codici di programmazione ma in base alle informazioni effettive 319 Fonte: nostra elaborazione Anche in questo caso l’evoluzione delle tecnologie ICT meriterebbe sezione a parte. Citiamo però due casi esemplificativi che a nostro avviso più degli altri impattano sul mondo del KM. 321 Tratto da: www.websemantico.org 320 richieste dall’utente. In questo modo si potranno fornire all’utilizzatore risposte più mirate e corrette di quanto non avviene oggi. Questo importante sviluppo rappresenterebbe per il KM un significativo passo in avanti nella qualità delle informazioni che vengono gestite: la maggior parte dei sistemi di KM è infatti dotata di un motore di ricerca (basti pensare ai portali, alle intranet, extranet, document management, datawarehousing,…) e modificare lo stesso permettendo l’analisi delle conoscenze in base al loro contenuto, significherebbe per l’utilizzatore avere disponibilità di informazioni più precise e puntuali, con tutti i conseguenti risvolti positivi che esso comporta in termini di tempo e costi. Un’ulteriore innovazione tecnologica che merita di essere citata è quella che fa riferimento allo studio di strumenti di intelligenza artificiale volti a capovolgere il rapporto uomo-informazione: non più il primo alla ricerca della seconda, ma esattamente il contrario. Questa evoluzione permetterebbe di definire un profilo che descriva quale tipo di conoscenza necessita ogni tipo di utente: ancora una volta i sistemi di KM potrebbero beneficiare di questa particolare tecnologia andando a definire non più in maniera casuale le conoscenze più opportune per ciascun tipo di utilizzatore del sistema322. Ricerche e studi sono anche attivi nell’ambito dei metodi di archiviazione della conoscenza. E’ vero che i costi di stoccaggio e di recupero dei dati sono crollati grazie alle moderne tecnologie ma ciò ha comportato anche dei seri problemi legati alla memorizzazione e catalogazione di vecchi documenti323. Oggi è ancora possibile leggere i rotoli di papiro del Mar Morto mentre un CD-ROM vecchio di 15 anni è illeggibile perché non ci sono più programmi e computer adeguati. In questo senso il settore ICT si sta muovendo per risolvere il problema della leggibilità della conoscenza archiviata senza che questo significhi però freno allo sviluppo dell’innovazione324. Con queste parole si conclude il terzo capitolo: nel successivo prenderemo in esame il case history del nostro lavoro. Si tratta di un software di knowledge warehouse: iKnow, elaborato dalla società Nautes srl per l’azienda iGuzzini Illuminazione. 322 QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004 323 Cfr. FORAY D., “L’economie de la connaissance”, IL MULINO, Bologna, 2000, pag. 150 324 Si potrebbe trattare ad esempio di mantenere dei sistemi di lettura speciali per la conoscenza archiviata in modo tale da non avere il problema dell’obsolescenza del supporto. CAPITOLO QUARTO IKNOW: LA FANTASIA CHE DIVENTA REALTA’ Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa. Albert Einstein 4.1 La società Nautes e l’azienda iGuzzini Illuminazione: il successo di una originale collaborazione Trattare il knowledge management soltanto da un punto di vista teorico ci sembrava riduttivo e parziale: siamo convinti che la comprensione degli aspetti più profondi di un sistema di gestione della conoscenza possa avvenire unicamente “stando dentro le organizzazioni” e mettendo in atto le teorie e le tecniche che sono state fin qui descritte. Il semplice racconto e la spiegazione delle stesse non basta più, serve un valore aggiunto che dia concretezza e pragmaticità all’approccio concettuale tratteggiato nei precedenti capitoli325. Per questo motivo abbiamo deciso, nell’ultima parte dell’elaborato, di proporre ed analizzare un interessante caso di studio che completi e valorizzi gli aspetti teorici fin qui delineati. L’esperienza che verrà di seguito descritta concerne la realizzazione di un importante sistema di gestione della conoscenza: iKnow, sviluppato dalla società Nautes Srl per l’azienda iGuzzini Illuminazione. Non si tratta in realtà di un case history “già svolto” del quale ci limitiamo a descriverne le dinamiche, ma di un progetto appena nato e tutt’ora in fase di evoluzione, al quale ho avuto possibilità di partecipare direttamente. Inutile rimarcare l’importanza che questo periodo di attività ha assunto per me e per questo lavoro: non soltanto per la collaborazione che ho potuto instaurare con due splendide realtà locali che sono quella della iGuzzini Illuminazione, ma soprattutto quella di Nautes s.r.l.; ma anche per l’opportunità che ho avuto di comprendere a fondo tutte le implicazioni concernenti la materia del KM. Un ringraziamento speciale va fin da ora alla società Nautes e in particolar modo all’Ing Gialletti per avermi accolto con tanto entusiasmo nella loro struttura, ma soprattutto per avermi dato l’opportunità di vivere una splendida esperienza professionale e personale326: esperienza che abbiamo amato definire come esperienza a “tutto tondo”. 325 Non a caso anche nei precedenti capitoli che erano prettamente teorici abbiamo riportato molti esempi e casi pratici, proprio perché a nostro avviso il KM deve essere “più fatto che spiegato”. Tutte le informazioni contenute nel presente capitolo sono frutto di una nostra elaborazione e di quanto appreso ovviamente durante il periodo di stage. 326 Dopo la laurea riprenderò la collaborazione con la società Nautes, che ringrazio fin da ora per l’opportunità concessami. Infatti, il mio contributo alla realizzazione del progetto iKnow è stato piuttosto particolare: sono stata ospite, come appena detto, delle strutture della società Nautes presso la quale ho effettuato uno stage di due mesi, ma al contempo ho avuto diretto contatto con l’azienda iGuzzini Illuminazione, in occasione dei frequenti incontri e delle riunioni con i manager di area per la presentazione ed illustrazione del progetto. In questo modo ho potuto costruire una visione a 360 gradi dell’intero lavoro, riuscendo da un lato a contribuire e a partecipare alla preparazione dello stesso e dall’altro ad analizzare i fabbisogni e le criticità dell’azienda che si troverà poi ad utilizzare il sistema. Alcune considerazioni meritano di essere chiarite prima di iniziare con la trattazione del capitolo. Come si vedrà anche nel seguito del lavoro iKnow è una nuova struttura di knowledge warehouse realizzata da Nautes per iGuzzini: un metodo e una tecnologia che consentono effettivamente di dar vita ad un reale vantaggio competitivo, che riescono a scavalcare le problematiche descritte nel secondo capitolo, ma soprattutto che si presume saranno in grado di apportare numerosi benefici all’azienda, sia in termini economici che in termini organizzativi. Ed è proprio qui che entra in gioco un’altra considerazione fondamentale: si parla di benefici presunti e non di benefici ottenuti poiché iKnow ad oggi non vede un’effettiva implementazione presso la iGuzzini; “l’inizio dei lavori” (come verrà meglio in seguito descritto) scatterà tra breve, Settembre 2007, per avere un’effettiva operatività del software a Gennaio 2008. Per ora l’applicativo, dopo aver attraversato presso la società Nautes la fase di progettazione preliminare (realizzazione del prototipo), è stato presentato all’azienda, ne sono state illustrate le caratteristiche e le modalità di funzionamento ed è tutt’ora in una fase di preparazione, vista l’imminente operatività che verrà richiesta dopo il periodo estivo. Ne deriva necessariamente che alcune delle considerazioni che verranno effettuate nel seguito del lavoro sono frutto di studi ed analisi in merito a ciò che ragionevolmente si manifesterà in Guzzini, non potendo appunto godere di un riscontro reale dell’impatto di iKnow sull’organizzazione d’azienda. Un ultimo aspetto rimane ancora da considerare: il mio contributo in questa bellissima esperienza non ha riguardato tanto la parte tecnologica del sistema di knowledge warehouse, in quanto per la stessa, Nautes si dota di un team di ingegneri allo scopo dedicati. Mi sono occupata invece, insieme ad un altro team di lavoro, della parte metodologica, strategica ed organizzativa del sistema in questione327. Questa precisazione è di particolare importanza perché spiega le motivazioni per cui si è deciso di trattare soltanto alcuni e non altri aspetti di iKnow. 327 Nei successivi paragrafi, attraverso la trattazione di ciò di cui mi sono occupata, si capirà meglio che cosa significa progettazione metodologica del software. La realizzazione di iKnow ha previsto la costituzione di un team di lavoro (oltre a quello degli ingegneri) che prevedeva fra i membri anche me. Ho collaborato con delle splendide persone che non soltanto mi hanno fatto comprendere ciò che si stava facendo ma mi hanno anche permesso di essere propositiva e di contribuire attivamente al progetto. Il periodo di stage non è stato soltanto finalizzato alla realizzazione della tesi di laurea: mi sono occupata anche di altre attività di routine della società Nautes come ad esempio la preparazione di relazioni per i convegni, la realizzazione del nuovo sito Web che è stato recentemente messo on line, l’analisi della loro piattaforma e-learning,…….. Il capitolo esordisce con una breve introduzione in merito alle realtà aziendali sopra citate e prosegue poi con l’analisi dell’applicativo, evidenziandone le fasi di realizzazione, le funzionalità, i motivi di una sua introduzione, i potenziali benefici e gli elementi distintivi che consentiranno di ottenere successo. Il primo breve paragrafo del presente capitolo si propone di descrivere le due splendide realtà locali da noi prese in esame: quella dell’azienda iGuzzini Illuminazione e quella della società Nautes srl, attraverso una rappresentazione del loro profilo storico e delle attività principali di business. Si passerà poi passare alla descrizione dei progetti di KM che sono già attivi presso l’azienda iGuzzini e per concludere ovviamente con la descrizione dell’applicazione iKnow. 4.1.1 L’azienda iGuzzini Illuminazione La iGuzzini, nata nel 1958, produce apparecchi di illuminazione per interni e per esterni: è la prima azienda italiana, per fatturato, nel settore dell’illuminotecnica nonché una delle più importanti a livello europeo328. Sotto il diretto controllo (insieme a Teuco e F.lli Guzzini) della finanziaria Mariano Guzzini (Fimag), la società si compone ad oggi di 11 filiali, con più di mille dipendenti raggiunti nel 2007, ed un fatturato di 190 milioni di euro ottenuto nel 2006. La missione dell’azienda è ambiziosa: “Non si tratta soltanto di produrre apparecchi di illuminazione al massimo della qualità, ma anche di studiare, capire e far capire la luce, rendendone migliore l’integrazione con l’architettura. Il nostro impegno nel settore illuminotecnico è a 360 gradi”, sostiene Adolfo Guzzini, amministratore delegato della iGuzzini, “ dalla luce per l’arredo urbano, al terziario, fino ai musei, agli spazi commerciali e alle strutture di accoglienza”. Per questo, fin dai primi anni della sua nascita iGuzzini ha collaborato con i più famosi tra gli architetti e i lighting designers del mondo: Giò Ponti, Rodolfo Bonetto, Bruno Gecchelin, Renzo Piano, Richard Rogers, Norman Foster, Gae Aulenti, Piero Castiglioni, Jean Michel Wilmotte, per citarne alcuni. E, siccome progettare la luce non significa soltanto illuminare spazi, ma anche avere consapevolezza di tutti gli aspetti legati alla qualità dell’ambiente luminoso, negli interni come negli esterni, hanno collaborato con iGuzzini anche un bel numero di ricercatori, medici, sociologi, fisici, appartenenti ai più importanti enti di ricerca internazionali: Harvard University, M.I.T di Boston, Università “La Sapienza” di Roma, Politecnico di Milano, Istituto Centrale per il Restauro, CNR. La nascita dell’azienda iGuzzini risale al 1958, come detto sopra, quando i figli di Mariano Guzzini, Raimondo, Giovanni, Virgilio, Giuseppe e Giannunzio, fondano, il 30 giugno, Harvey Creazioni per la produzione di oggetti artistici in rame smaltato. Nel 1964 il salto è notevole: Giancarlo Capici disegna il primo catalogo e si acquisiscono le prime macchine per la lavorazione dei metalli per la produzione di apparecchi illuminanti. Luigi Massoni nello stesso anno viene chiamato a costruire l’immagine complessiva di Harvey per ciò che concerne, in particolar modo i prodotti, il display, l’imballaggio. Nel 1973, anno della crisi del petrolio, i costi delle materie plastiche salgono di tre volte, mettendo fuori mercato molti prodotti dell’azienda. È in quest’anno che Adolfo propone ai fratelli di concentrare l’attenzione sulla produzione di apparecchi illuminotecnici, a discapito di quelli di arredo e decorativi. Ne deriva una profonda ristrutturazione dell’azienda dal punto di vista societario, organizzativo e produttivo. Il 26 ottobre 1973 si inaugura il nuovo stabilimento della iGuzzini (di Raimondo Guzzini e fratelli) a Recanati e il 31 Dicembre si costituisce la iGuzzini Spa. 328 Tutte le informazioni concernenti l’azienda iGuzzini sono tratte la suo sito ufficiale: http://www.iguzzini.com/html/it/index.html Occorrerà aspettare il 1981, il 26 giugno, per la nascita della iGuzzini illuminazione e soltanto l’anno successivo per la venuta della finanziaria di famiglia: Fimag, Finanziaria Mariano Guzzini. Nel 1984 poi la prima filiale estera a Monaco: iGuzzini illuminazione Deutschland. Nel 2001 si completa il progetto dello studio MCA/Architects con l’inaugurazione del nuovo magazzino a gestione informatizzata per un totale di 9.300 metri quadri: nasce la iGuzzini così come oggi la conosciamo329. Per ciò che concerne, invece, la produzione illuminotecnica della iGuzzini, inutile elencare e descrivere le migliaia di prodotti che l’azienda realizza. Sembra però opportuno, in questa sede, richiamare alcuni degli eventi fondamentali e dei successi che hanno caratterizzato la storia dell’azienda. Velocemente proponiamo: nel 1988 l’inizio della collaborazione con Renzo Piano dove viene messo a punto il proiettore Lingotto330, nel 1989 l’illuminazione del Louvre331, nel 2004 un importante intervento al ponte di Mostar in Croazia, realizzato in stretta collaborazione e secondo le indicazioni dell’UNESCO, l’illuminazione poi del Beauborg di Parigi, quella della Galleria Borghese a Roma, del Luxor in Egitto, dell’Expo di Siviglia, del Museo Vaticano. Nel 1991 viene conferito il Compasso d’Oro a tutte le aziende del Gruppo "Per aver sviluppato nel tempo una filosofia progettuale e produttiva di grande coerenza in cui la cultura del design ha rappresentato un comune denominatore e un elemento di distinzione". Nel 2004 cinque tra i prodotti realizzati dall’azienda figurano come icone del Made in Italy alla mostra della storia del design italiano degli ultimi 50 anni a Pechino (50 + 2Y)332. Fra le iniziative più recenti che stanno riscuotendo un enorme successo ricordiamo quella di “Conoscere la forma”333, con la quale l’azienda ha realizzato una fedele riproduzione del satiro danzante di Prassitele che viene illuminato attraverso diverse tecniche e metodologie. Il visitatore di “Conoscere la forma” entra nelle interpretazioni luminose date dagli autori che partecipano al progetto, legge la scultura sotto le diverse luci e i diversi modi di percepire di ognuno di loro e immagina così la sua illuminazione del Satiro. Innovazione e grande passione insomma contraddistinguono l’azienda iGuzzini. Questi i tratti salienti di una splendida realtà locale che ha fatto della luce uno scopo di vita, nella convinzione che la progettazione illuminotecnica svolga un ruolo di grande importanza in tutti gli ambiti dell’attività umana. 4.1.2 La società Nautes s.r.l. Nautes è nata nel Giugno del 2001 come vincitrice del concorso E-capital334 indetto nello stesso anno dalla Camera di Commercio di Ancona. Primo spin off dell’Università Politecnica delle Marche335, 329 La storia dell’azienda è consultabile al sito: http://www.iguzzini.com/html/it/102.html Lingotto è uno dei prodotti di maggior successo dell’azienda. 331 IGuzzini è l’unica tra le aziende italiane del settore a figurare come fornitrice del museo parigino. 332 Altre iniziative: http://www.iguzzini.com/html/it/2360.html 333 Per ulteriori informazioni: http://www.iguzzini.com/html/it/621.html 334 E-capital è un’iniziativa di business plan competition destinata agli universitari marchigiani, che fin’ora ha portato alla nascita di oltre 20 aziende 335 Spin-off è un termine inglese (traducibile, in maniera forse non del tutto propria, con derivativo o derivato, alla lettera significa "ruotato via, al di fuori") che indica: nel mondo economico una società che faceva parte in origine di una più grande, ma che è adesso indipendente; in diritto societario, una spin-off universitaria è una società di capitali sorta dall'idea di dare una ricaduta aziendale e produttiva ad un'idea nata dal contesto della ricerca tecnologica universitaria. La nuova realtà può essere considerata come una riorganizzazione più efficiente del processo produttivo. Quindi, l’essenza dello Spin-off consiste nell’aiutare un aspirante imprenditore a trasformare un’idea, una potenzialità, un’opportunità produttiva, tecnologica o di mercato, che qualcun altro non vuole o non può sfruttare in termini commerciali, in una nuova impresa. Per definire Spin-off la creazione di una nuova impresa si sono proposte a livello europeo delle condizioni che devono essere soddisfatte: creazione di una nuova impresa a partire da unità preesistenti (organizzazioni); generazione di una nuova sorgente di attività (nuova impresa autonoma, produzione di nuovo bene, utilizzo di nuovo processo o nuova tecnologia); presenza di misure di sostegno attivo da parte di un’organizzazione madre. Pertanto non è definibile come Spin-off: 330 Nautes si pone come ponte tra studio e innovazione, come applicazione concreta dei risultati della ricerca universitaria alle realtà aziendali con cui entra in collaborazione336. Fra i partecipanti al capitale sociale Nautes figurano l’Università Politecnica delle Marche (4%) e iGuzzini Illuminazione (20%), da sempre partner d’eccellenza della società. Situata a Jesi, conta ad oggi circa 25 addetti, con un fatturato che nel 2006 si aggirava attorno al milione di euro337. Il Knowledge Management è il core business di Nautes: esso si sostanzia nella fornitura della metodologia di lavoro e della tecnologia adeguata a supporto della sistematizzazione e valorizzazione dei flussi di conoscenza delle organizzazioni con l’obiettivo ultimo di massimizzare l’efficienza e l’efficacia dell’intera azienda. I settori di attività si concentrano pertanto sul corporate knowledge management, sull’e-learning e sul Web services. “La conoscenza è il patrimonio più grande di una organizzazione”, sostiene Marco Gialletti, amministratore delegato di Nautes. “Nostro obiettivo è fornire un utile supporto alla capitalizzazione e alla valorizzazione del know how per l’ottimizzazione degli obiettivi di business”. Nautes vanta un portafoglio clienti che comprende ad esempio Fastnet, Fondodirigenti, Omasud, Banca Marche, Seda ed ha per di più ottenuto nel corso degli anni molteplici certificazioni: ISO9001:2000, certificazione partner Microsoft, accreditamento FSE dalla Regione Marche338, SA8000339. Nautes è anche laboratorio di ricerca accreditato dal MIUR (Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca). Per comprendere meglio la realtà aziendale di cui stiamo parlando e con la quale ho avuto possibilità di collaborare forniamo ora una breve panoramica in merito ai prodotti, o meglio alle soluzioni software e metodologiche che Nautes realizza340. Lighthouse è la piattaforma proprietaria341 di e-learning che Nautes offre per l’erogazione e la fruizione di corsi di formazione a distanza. Svariate sono le piattaforme e-learning realizzate da Nautes: ricordiamo “Lightcampus”, per iGuzzini Illuminazione342; “EmasLearning”, il progetto formativo della scuola Emas di Ancona dove Nautes ha curato la progettazione didattica per la formazione dei futuri consulenti e revisori Emas e infine il progetto formativo della Regione Marche sul D.Lsg 626/96 con l’obiettivo di istruire i dipendenti circa la normativa sulla sicurezza. Compass è lo strumento Nautes di gestione integrata dei processi, che fornisce supporto alle scelte del Management. Un esempio a tal proposito è costituito dall’Integrated Process Management System realizzato in Skycar Project343, dove è stata fornita consulenza al fine di supportare operatori e coordinatori di programma per la realizzazione di un nuovo prodotto. Helix: per la pianificazione collaborativa di progetti complessi e coordinati, in ambito pubblico e privato. Ariel è finalizzato invece alla gestione della comunicazione interna con lo scopo di garantire la diffusione della conoscenza aziendale e la valorizzazione della cultura d’impresa. Un esempio è costituito da “iLive”, progetto realizzato per la iGuzzini che verrà analizzato nel prossimo paragrafo. l’esternalizzazione (in quanto manca il requisito della novità); la filializzazione (in quanto manca il requisito dell’autonomia); i processi di uscita spontanei (in quanto manca il sostegno attivo). L’analisi effettuata sui regolamenti permette di capire che ci sono 3 diverse definizioni o tipologie di Spin-off: Vengono definiti spin-off dell'"Università" esclusivamente quelle società per azioni o a responsabilità limitata alle quali l’"Università" partecipa in qualità di socio; Società di alta tecnologia, costituite o da costituire, previste dal d.lgs. 297/99 e dal D.Murst 593/00; Vengono definiti all’interno del regolamento 2 modelli di spin-off con differenti denominazioni: Spin off universitario è la società per azioni o a responsabilità limitata nella quale l’Università partecipa in qualità di socio mentre lo Spin off accademico è la società per azioni o a responsabilità limitata nella quale l’Università non abbia una quota di partecipazione. Estratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Spin-off 336 Lo stesso termine “Nautes” deriva dal greco e significa esploratore, a simboleggiare che Nautes esplora nuove soluzioni nell’ambito della gestione della conoscenza. 337 I dati che vengono forniti in questo paragrafo sono stati raccolti durante il periodo di stage effettuato presso la società Nautes srl. 338 L'accreditamento è un atto con cui l'amministrazione pubblica competente - la Regione Marche nel nostro caso - riconosce ad un organismo la possibilità di proporre e realizzare azioni di formazione professionale e di orientamento finanziate con risorse pubbliche. 339 E' uno standard internazionale che elenca i requisiti per un comportamento eticamente corretto delle imprese e della filiera di produzione verso i lavoratori. 340 Tratto da: http://www.nautes-ke.com/default.html 341 Tutte le piattaforme tecnologiche sono di proprietà Nautes. 342 Il progetto Lightcampus verrà analizzato nel proseguo del lavoro. 343 Skycar è il nuovo velivolo di Aviazione Generale progettato e sviluppato dall’azienda OMA SUD. Sextant si occupa di capitalizzazione della conoscenza: codifica, consolidamento e utilizzo efficace dei saperi delle organizzazioni344. Il CMS (Content Management System) è rivolto alla gestione dei contenuti dei siti Web. Un bel piano di lavoro in tal senso è stata la realizzazione di un portale per la Camera di Commercio di Ancona, interamente dedicato al tema della responsabilità sociale e dello sviluppo sostenibile. Il sito dell’Istituto superiore E.Mattei di Recanti prevede invece un portale strutturato per aree tematiche ciascuna rivolta ad un target specifico, per soddisfare le richieste di tutti gli attori della scuola: studenti, docenti, genitori, aziende. Il Document Management System: consente di razionalizzare il processo di archiviazione della conoscenza; controllare la revisione dei documenti secondo regole di sistema oramai consolidate presso tutte le organizzazioni (come Iso 9001:2000); gestire e controllare le modifiche dei contenuti che impattano su altri documenti; sostituire ed eliminare gran parte della carta. E’ il caso OmaSud, un’azienda che ha avviato un processo di progettazione, sviluppo, certificazione, realizzazione e commercializzazione di un velivolo di aviazione generale (SKYCAR) di concezione fortemente innovativa in termini di configurazione, prestazioni, tecnologie realizzative ed equipaggiamenti. Questo processo ha reso necessario un adeguamento dell’intera organizzazione. Nautes ha proposto l’introduzione di un sistema di gestione della conoscenza attraverso il quale l’elevato numero di documenti prodotti è coordinato da un Modulo di Document Management con il quale il Manager e gli Operatori controllano le revisioni, gli step di approvazione e le ricadute sui contenuti di altri documenti garantendo la tracciabilità nei confronti della normativa di riferimento. I benefici sono stati notevoli. Il Virtual Community System è la soluzione Nautes per la creazione di una comunità virtuale, una piattaforma web based che permette la creazione di una rete, l’interazione e lo scambio di informazioni tra utenti lontani e dislocati geograficamente. Essa comprende: forum di discussione tematici, ricerca avanzata in base alla tipologia di contenuti, possibilità di effettuare survey e report sui risultati dei questionari, possibilità di allegare programma o file informativi agli eventi. Questo è in poche parole ciò che Nautes realizza: eccellenza nella gestione della conoscenza aziendale. 4.1.3 Il knowledge management applicato In questo paragrafo verrà brevemente descritto lo stato dell’arte dei sistemi di KM ad oggi attivi e funzionanti presso la iGuzzini. L’azienda recanatese può essere a buon titolo annoverata tra le più innovative sul territorio marchigiano in merito a politiche di gestione della conoscenza, avendo di fatto attivato una molteplicità di metodi che le consentono di “curare” in modo adeguato il proprio patrimonio di informazioni345. Gran parte di questa eccellenza scaturisce proprio dalla collaborazione che l’azienda ha instaurato con la società Nautes circa sette anni fa e che ancora ad oggi permette di ottenere ottimi risultati346. Partendo dal presupposto (come più volte ribadito nelle pagine di questo lavoro) che viviamo in una Knowledge Era, dove il know how e la conoscenza delle aziende e delle persone in essa presenti sono il valore aggiunto che consente di imporsi sul mercato e di ottenere vantaggio competitivo, è necessario rendersi conto che occorre programmare e saper gestire il valore che la conoscenza di cui si dispone riesce a fornire. 344 In quest’ambito si colloca anche il software iKnow. Le soluzioni descritte fin’ora fanno parte della Suite Nautes. 345 Non esistono dati che possono validare in maniera certa questa affermazione. Sta di fatto che iGuzzini ha attivato ad esempio la prima università di illuminotecnica on line, elemento di forte innovazione tecnlogica, che non è presente in nessuna altra azienda marchigiana. 346 Non tutti questi progetti sono stati implementati dalla società Nautes. Abbiamo comunque ritenuto opportuno ricordare tutte le attività di gestione della conoscenza che sono ad oggi presenti in azienda. In particolar modo Nautes ha realizzato per iGuzzini: Lightcampus, iLive, Il Brief elettronico di prodotto, iKnow. Invece il sito Internet, il CRM, il catalogo on-line, il client data manager sono stati realizzati da altre società di consulenza. Questo discorso è vero e valido per la totalità delle imprese e delle realtà industriali del sistema economico, nessuno escluso ed è ovviamente ancor più significativo per una realtà come quella della iGuzzini, sensibile da sempre a queste tematiche. Il KM in Guzzini si identifica essenzialmente in due diverse tipologie di progetti: i progetti di diffusione della conoscenza e i progetti di gestione della conoscenza. Rientrano tra i primi il sito web istituizionale, il catalogo on line dei prodotti, l’iniziativa Lightcampus e il progetto iLive. Fra i secondi facciamo rientrare il brief elettronico di prodotto, il CRM e il Client data manager. Analizziamo brevemente ognuna di queste iniziative347. Il sito web iGuzzini rappresenta un’interessante forma di interfacciamento dell’azienda con il mondo esterno. Oltre alla parte più tradizionale dedicata ai prodotti, alla storia e agli eventi rilevanti troviamo alcuni aspetti sicuramente più innovativi che permettono ad una qualsiasi tipologia di utente di soddisfare le proprie esigenze. Studenti, imprenditori, clienti, fornitori, curiosi possono scaricare documenti, partecipare ad iniziative o semplicemente essere aggiornati sulle informazioni per loro più rilevanti. Esso può, a buon titolo, essere considerato quale mezzo di legame con il territorio, in coerenza con quanto espresso nel terzo capitolo, in quanto consente di attivare un flusso bidirezionale di conoscenza che va a vantaggio dell’azienda e dell’intero sistema in cui essa si colloca. Qui di seguito vediamo l’interfaccia del sito web iGuzzini. Immagine 1.4 Home page del sito internet iGuzzini Fonte: www.iguzzini.it Da non trascurare è poi il catalogo on line dei prodotti348. L’archiviazione e la comunicazione delle immagini è un tema di grande attualità da quando l’archivio digitale è diventato uno strumento commerciale strategico per le numerose attività cui esso può sovrintendere. Si tratta in questo caso di gestione della “conoscenza 347 Le informazioni riportate in questo paragrafo sono volutamente concise per lasciare più spazio all’analisi del software iKnow. Tali informazioni sono tratte da fonti diverse: materiale interno Nautes messo a disposzione per la formazione dei dipendenti, sito istituzionale iGuzzini, intervista al Dott. Ceregioli e all’Ing Mandozzi dell’azienda iGuzzini Illuminazione. 348 Il catalogo on line dei prodotti è stato realizzato dalla società Bontex srl. Si veda il sito: http://www.bontex.it/AjarisHome.html visiva” iGuzzini che ha permesso all’azienda di ottenere numerosi benefici sotto molteplici punti di vista: - Incremento delle vendite, grazie ad un più facile reperimento dei prodotti; - Riduzione dei tempi gestione clienti, che scelgono direttamente da catalogo; - Miglioramento dell’immagine aziendale, per via dell’introduzione di una nuova tecnologia che va ad efficientare i processi aziendali; - Magguiore visibilità a livello internazionale; - Trasferimento delle vecchie brochure nel sistema on line. Immagine 2.4 Il catalogo on line dei prodotti Fonte: http://catalogo.iguzzini.it Sempre nell’ambito della diffusione della conoscenza ricordiamo l’iniziativa Lightcampus realizzata dalla società Nautes349. Il 20 Febbraio 2002 è stata lanciata la prima Università di illuminotecnica on line della iGuzzini Illuminazione con lo scopo di promuovere i valori propri dell’azienda attraverso la diffusione generalizzata della cultura della luce, intesa come conoscenza di una corretta soluzione illuminotecnica capace di influire sulla qualità della vita, sulla fruizione di oggetti d’arte, sull’immagine di un’attività commerciale. Lightcampus è un software: To enjoy. Un luogo di incontro e dibattito dove poter esprimere opinioni, partecipare alle discussioni e trasmettere la propria conoscenza, acquisendo valori e contenuti. To learn. Per acquisire le basi dell’illuminotecnica, conoscere le soluzioni e formare un bagaglio di competenze costruendo un percorso didattico che si trasforma in esperienza formativa. To innovate. Un luogo per diffondere sapere comune, know how e pratiche consolidate allo scopo di costruire in maniera attiva e consapevole un ambiente di scambio e condivisione To apply. Uno spazio per capire come cultura progettuale e competenze acquisite si applicano a situazioni reali per concretizzarsi in casi di successo. 349 Per maggiori informazioni: http://lightcampus.iguzzini.com Immagine 3.4 Lightcampus Fonte: http://lightcampus.iguzzini.com Il target di riferimento è costituito essenzialmente da: operatori di settore, installatori tecnici, architetti, con un ampio spettro di competenze e di curiosità di livello tecnico universitario, ma tutti con disponibilità di tempo bassa. Infatti la piattaforma (come già anticipato nel terzo capitolo) presenta lezioni sulle tematiche più complesse, simulazioni di ambienti attraverso laboratori virtuali, casi pratici di architettura della luce a cui gli utenti della community possono ispirarsi per le loro attività lavorative. Insomma, non un mero strumento di gestione della conoscenza ma una vera e propria modalità di apprendimento e di comunicazione innovativa, che consente di ottenere vantaggi a 360 gradi grazie ad un approccio non delimitato, ma completo ed esaustivo a quello che risulta essere il KM 350. Da ultimo ricordiamo un altro importante progetto realizzato da Nautes per iGuzzini: iLive. ILive è un software per la gestione della comunicazione interna, nato dall’esigenza di regolare la stessa in maniera più efficace e tempestiva. Si tratta in sostanza della rete Intranet aziendale, all’interno della quale transitano ora in maniera ordinata e vantaggiosa conoscenze di vario tipo ad utilità interna: dall’aggiornamento dei prodotti, alle iniziative cui partecipa l’azienda; dagli eventuali corsi di formazione o convegni importanti per la iGuzzini, agli eventi strategici del territorio351. Anche in questo caso Nautes ha dimostrato di saper gestire nel migliore dei modi il software iLive: esso non si limita alla semplice fruizione delle informazioni, ma è vero strumento di condivisione e di valorizzazione della conoscenza, che permette all’azienda di attivare un vero e proprio processo di apprendimento. Le informazioni contenute nel sistema vengono fruite ed immagazzinate dagli individui per un loro futuro utilizzo. 350 Tratto da LANARI L., “Strutturare il KM per il marketing strategico: il progetto iGuzzini Lightcampus”, in E-learning, ottobre 2005, pag. 58. Nonostante il costo di implementazione iniziale della piattaforma fosse di € 50.000 e il costo di manutenzione annua di € 30.000, iGuzzini sostiene che tali costi sono stati recuperati nel giro di brevissimo tempo, grazie alle potenzialità dello strumento che non è stato più soltanto mezzo di apprendimento ma anche di promozione dell’immagine aziendale. Per fare un esempio: se un architetto ha bisogno di sapere informazioni su come illuminare un museo piuttosto che un centro commerciale, nella piattaforma Lightcampus può trovare tutte le informazioni necessarie, i consigli e i suggeriementi più utili, nonché effettuare prove o demo. Perché è stato introdotto Lightcampus?IGuzzini basa il proprio successo principalmente sulla qualità e sulle caratteristiche del prodotto. Ma affinché ciò possa essere realizzato l’azienda deve fare in modo che il proprio personale e tutti i collaboratori esterni (prescrittori, architetti, designer) abbiano la giusta formazione e le corrette conoscenze per l’espletamento dei loro compiti. Inizialmente i corsi di formazione avevano luogo direttamente in azienda, in luoghi e tempi stabiliti. Con l’aumentare, però, del numero dei partecipanti si è capito che non era più conveniente per l’azienda questo tipo di politica (per motivi di tempo del formatore e anche di spazio). Si è pertanto deciso di sfruttare le potenzialità di internet e di arrivare in maniera diretta presso ciascun fruitore, attraverso una piattaforma che consentisse a ciascun destinatario di svolgere autonomamente il proprio corso di formazione. Ad oggi Lightcampus conta 8000 iscritti e per l’azienda il risparmio e i vantaggi sono stati notevoli. 351 Tratto da un’intervista condotta al Dott. Ceregioli del Centro studi e Ricerca iGuzzini. Ed è qui che forse si riesce a capire meglio che cosa si vuole intendere con la visione a 360 gradi del case history preso in esame: quello che verrà esposto è frutto di una nostra elaborazione da quanto appreso dall’azienda iGuzzini durante i momenti di incontro, ma anche e soprattutto da quanto effettuato all’interno della società Nautes. Immagine 4.4 iLive Fonte: http://ilive.iguzzini.it/ Passiamo ora all’analisi della seconda categoria di metodi di KM: gli strumenti di gestione della conoscenza. Il sistema di CRM presente in Guzzini nasce con l'obiettivo di aiutare l’azienda nella fidelizzazione dei clienti, ma anche col fine di realizzare nuove opportunità intervenendo dove il cliente ha necessità prevedibili e soddisfabili. Fidelizzare il cliente significa conoscerlo, capire e prevederne i bisogni, comprenderne i tempi e rispondere alle sue segnalazioni. Il CRM è lo strumento che consente di avere sempre presente questa situazione, di anticipare le necessità ed in definitiva di mantenere viva nel cliente, l'attenzione per l'azienda352. L’immagine successiva mostra l’interfaccia del sistema CRM iGuzzini. 352 Il sistema CRM è stato elaborato http://www.cdmtc.it/news.php?id=19 dalla società CDM tecnoconsulting. Fonte: Immagine 5.4 CRM Pivotal Fonte: http://www.cdmtc.it/news.php?id=19 Il progetto di Client data Manager invece353 ha lo scopo di dotare l’azienda di strumenti avanzati, ma, al contempo di facile utilizzo per la corretta gestione dei processi di accesso, deduplica, standardizzazione, e bonifica dei dati, anche in tempo reale, indipendentemente dal formato e dalle strutture informative ove vengono quotidianamente prodotti e custoditi. Spesso il più grande scoglio da superare per le aziende è la mole di dati sporchi (campi vuoti, non aggiornati, assenza di standard comuni, ecc…) disseminati in molteplici e complessi sistemi, che ostacolano e/o impediscono lo scambio informativo tra azienda-clienti-fornitori. Nasce per questo motivo l’esigenza di dotarsi di strumenti che consentano di sopperire a questa esigenza andando a gestire i dati associati con le entità fondamentali del business. 353 Il sistema di client data manager è stato sviluppato dalla società COPERON Technologies. Si veda il sito: http://www.coperon.com/clients.php Immagine 6.4 Client Data Manager Fonte: http://www.coperon.com/clients.php Da ultimo prendiamo in considerazione il brief elettronico di prodotto elaborato dalla società Nautes per iGuzzini354. Si tratta di un software in grado di creare una piattaforma di conoscenze comuni per incrementare efficienza ed efficacia nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti. L’obiettivo del brief è: facilitare la comunicazione interna ed esterna355; creare una banca dati aggiornata e consultabile negli anni; convertire il materiale cartaceo in elettronico356. 354 Del brief elettronico di prodotto verranno ripresi alcuni aspetti successivamente. Tra l’ufficio marketing e quello di progettazione, la produzione, ufficio fotometrico, il CdG e il mercato, come citato sopra. 356 Ricordiamo brevemente cos’è un brief di prodotto. Il brief è un documento che raccoglie le informazioni, gli obiettivi e le richieste del cliente, finalizzati al progetto di comunicazione. Il tutto ordinato e razionalizzato da chi lo scrive, in genere l'account o il responsabile di progetto. Scopo del brief è fornire al gruppo dei creativi tutte le informazioni e gli input necessari per sviluppare il progetto. Per usare una metafora, il brief è una mappa che serve a chi legge per capire e orientarsi nelle richieste del cliente. Quindi ha due requisiti essenziali: chiarezza ed esaustività. E naturalmente una serie di sottoregole, che sono per lo più dettate dal buonsenso e dall'esperienza. Tratto da: http://www.mestierediscrivere.com/testi/brief.htm 355 Immagine 7.4 Il brief elettronico di prodotto Fonte: materiale interno della società Nautes Oltre ai sistemi appena citati iGuzzini si dota in realtà di altri strumenti di gestione della conoscenza che non possono essere collocati specificamente nell’una o nell’altra categoria di KM sopra citata, ma che comunque meritano di essere descritti per la loro valenza strategica. Si fa riferimento, ad esempio, al sistema FaultFinder elaborato dalla società Nautes per l’assistenza al post vendita della iGuzzini illuminazione. Il progetto ha l’obiettivo di aumentare le risoluzioni telefoniche di assistenza post vendita e di ridurre gli interventi tecnici in loco. Nautes ha fornito la piattaforma proprietaria Sextant e la consulenza a supporto per l’analisi del processo di gestione reclami: grazie all’utilizzo di Sextant e della rete di conoscenza implementata nel sistema, l’operatore del call center iGuzzini può rispondere in maniera mirata e immediata alle richieste di assistenza. Non si tratta pertanto di un sistema così come descritto nel secondo capitolo357 di mera burocratizzazione della conoscenza volto al miglioramento di singole funzioni aziendali, ma si tratta di un vero e proprio sistema di apprendimento per l’operatore, che genera vantaggio competitivo ed effettiva creazione di valore. Editoria iGuzzini: l’azienda realizza numerose pubblicazioni fra le quali ricordiamo la rivista “Incontroluce”, e “iLibriGuzzini” e mette poi a disposizione di utenti esterni ed interni all’azienda una biblioteca abbastanza fornita. In coerenza poi con quanto affermato nel terzo capitolo l’impresa è promotrice attiva di numerose iniziative di gestione della conoscenza a livello territoriale: basti pensare alla costituzione del Centro Studi e Ricerca diretto dall’Arch. PierGiovanni Ceregioli, per la promozione della cultura della luce e dell’immagine aziendale a livello territoriale. Ricordiamo poi l’iniziativa: “Paesaggio dell’eccellenza” attraverso la quale le più grandi aziende recanatesi (25 per la precisione, fra cui appunto anche iGuzzini) mettono a disposizione il proprio patrimonio industriale all’interno di un museo358. Questi i sistemi di gestione della conoscenza in iGuzzini Illuminazione. Dopo questa breve panoramica in merito agli strumenti di KM già attivi in azienda passiamo ora in rassegna iKnow: il sistema di knowledge warehouse progettato da Nautes per la capitalizzazione della conoscenza iGuzzini. Come ribadito anche in precedenza il caso di studio che verrà di seguito proposto non si esaurisce in una mera descrizione di un processo già avvenuto, ma costituisce un’esperienza nuova ancora in corso di svolgimento: esperienza alla quale ho avuto possibilità di partecipare direttamente359. 357 Vedi paragrafo 2.1. Il sistema Fault Finder così come tutti gli altri software Nautes rispecchiano a pieno quello che viene sostenuto nel presente elaborato: un sistema di KM non deve essere concepito come semplice mezzo di archiviazione delle informazione e ove possibile deve essere invece letto come strumento di apprendimento, di marketing….., come già citato nel capitolo 3. 358 Le ultime due iniziative citate, anche se così potrebbe non sembrare, possono essere considerate a pieno titolo dei sistemi di gestione della conoscenza in quanto rappresentano comunque un patrimonio informativo che è stato catalogato e messo a disposizione dell’azienda e degli utenti esterni. 359 Ribadiamo nuovamente che la trattazione del progetto non è completa. Si tratta di un’iniziativa appena nata che verrà ovviamente descritta per ciò che fin’ora è statorealizzato. 4.2 IKnow: per saper fare uso di ciò che si conosce Il seguente paragrafo prende in esame l’applicativo iKnow: il sistema di Knowledge Warehouse per la gestione e la valorizzazione della “conoscenza iGuzzini”. Il percorso che abbiamo deciso di seguire per l’illustrazione dello stesso è semplice e lineare: si procederà pertanto con l’analisi delle motivazioni che hanno indotto la nascita di iKnow, per poi passare all’esposizione degli obiettivi, della strategia, della tecnologia e della metodologia Nautes. Si andrà, quindi, a concludere con la trattazione degli sviluppi futuri e dei potenziali benefici che il sistema sarà in grado di apportare, senza trascurare ovviamente l’esame degli aspetti più peculiari citati nel terzo capitolo. 4.2.1 Le origini del nuovo strumento di gestione della conoscenza Il paragrafo precedente ha messo in luce i numerosi progetti di gestione della conoscenza che sono attivi ad oggi presso la iGuzzini: inutile ribadire come si tratti di programmi che hanno consentito all’azienda di ottenere significativi risultati sotto molteplici punti di vista. Chiedersi quindi perché introdurre un nuovo sistema di KM, ma soprattutto quali sono i suoi obiettivi è più che legittimo. L’Arch. Piergiovanni Ceregioli, Direttore del Centro Studi e Ricerca iGuzzini, ad inizio 2007, aveva manifestato quanto segue: “I sistemi di gestione della conoscenza già attivi in azienda ci offrono considerevoli vantaggi, ma presentano spesso dei passaggi che sono oscuri e ridondanti. E’ innegabile che le problematiche che gli stessi sistemi hanno consentito di risolvere sono state innumerevoli, ma le esigenze da soddisfare e le questioni da migliorare sono ancora tante”. In linea generale queste sono le motivazioni (già da tempo avvertite anche da Nautes), che hanno decretato la nascita di iKnow. Ed è stato proprio l’input fornito dall’Arch. Ceregioli che ha spinto la società Nautes alla costituzione di un team di lavoro il cui obiettivo era ed è quello di porre rimedio alle questioni appena citate. Il mio periodo di stage, fortunatamente, è iniziato proprio in questo particolare momento, momento in cui il gruppo Nautes si accingeva ad effettuare l’analisi delle esigenze e delle problematiche presenti in Guzzini. Prima di procedere con la descrizione delle stesse, però, ci sembra interessante sottolineare come tale procedura abbia assunto presso la società di consulenza un carattere piuttosto particolare: l’esclusiva collaborazione e il rapporto ormai da tempo instaurato con l’azienda illuminotecnica si sostanzia in frequenti incontri settimanali e regolari “meeting” di aggiornamento, che necessariamente comportano una profonda conoscenza reciproca e una mutua consapevolezza delle specifiche esigenze. Inevitabilmente ciò permette di sviscerare e comprendere tutti gli aspetti positivi e negativi della realtà aziendale e di giungere quindi a comprendere le necessità da soddisfare in modo del tutto naturale ed istantaneo. Non tanto quindi interviste, strumenti di analisi dei fabbisogni o classici studi di mercato, ma colloqui, semplici chiacchierate e frequenti scambi di idee sono stati lo strumento che ha permesso a Nautes (o meglio che ha sempre, anche in passato, permesso a Nautes) di elaborare alcune considerazioni360. Con il team di lavoro di cui facevo parte abbiamo pertanto rilevato quanto segue: - Il bisogno di informazione, di consolidamento e standardizzazione delle conoscenze aziendali si è tradotto spesso, come abbiamo precedentemente visto, nella costruzione di repositories del know how e di mere banche dati documentali in merito a quanto era stato progettato e realizzato. Ad un elogio di questi sistemi in quanto capaci di far emergere e di razionalizzare saperi, esperienze ed informazioni, occorre affiancare il fatto che non hanno consentito, né stimolato l'interazione tra utenti e gestori degli stessi know-how repositories. Basti pensare al brief elettronico di prodotto implementato nell’area marketing e progettazione e al sistema CRM gestito dal commerciale: quante informazioni poter scambiare da un’attenta interazione fra questi strumenti che oggi non vengono scambiate? O ancora: la rete intranet iLive e il sito web istituzionale presentano spesso esposte le medesime conoscenze: perché 360 Occorre in quest’ambito sottolineare come la mancanza di strumenti formali di analisi delle esigenze non significhi scarsa professionalità dell’azienda. Vedremo infatti in seguito come la realizzazione del software iKnow consta di tecniche ed analisi altamente specifiche e tutt’altro che spontanee. Il fatto che le esigenze dell’azienda emergano spontaneamente è sinonimo invece di forte rapporto di reciprocità tra le due realtà. non permettere un reciproco interfacciamento dei software per il reperimento delle informazioni comuni34? - Per quanto fino ad ora si sia cercato di rendere la conoscenza aziendale distribuita e disponibile a tutti si manifestano in realtà ancora troppi problemi a riguardo: accumuli di informazione, difficoltà di reperimento dei documenti, obsolescenza degli stessi, confusione e poca efficienza nel loro utilizzo, non omogeneità dei formati, mancanza di un’esplicitazione delle conoscenze degli individui sono soltanto alcune delle problematiche che si scoprono in Guzzini. Tutto ciò non consente alla risorsa-conoscenza di passare allo stadio in cui si pone e si manifesta come un vero asset intangibile, dotato di una funzione di accelerazione e di moltiplicazione di valore. Per citare un esempio: dove reperire un’intervista a Renzo Piano? Dove poter trovare l’analisi affidabilità clienti? Il nuovo assunto sicuramente brancolerà nel buio, ma anche coloro che sono già da tempo in azienda non sanno spesso a chi rivolgersi. E’ lo stesso Ing. Mandozzi35 a confessarci che ad esempio non sa dove poter rintracciare materiale inerente i fornitori Guzzini che gli torna invece spesso utile nell’espletamento del suo lavoro. E questo non per incompetenza dello stesso ingegnere: in una grande azienda come quella della iGuzzini, che conta più di 1000 persone, è naturale non conoscere chi detiene quel particolare documento piuttosto che un altro. Tutto ciò provoca poi delle enormi perdite di tempo: basti pensare al caso in cui non si riesce ad esempio a reperire il diretto interessato che ci deve dare un’importantissima informazione o magari al caso in cui ci si sbaglia ad inviare un file provocando di fatto danni rilevanti361. Gli esempi da citare anche in questo caso potrebbero essere infiniti. - Nonostante siano stati avviati numerosi progetti di KM, si tratta in realtà di programmi che gestiscono e diffondono una conoscenza di tipo locale e circoscritta. Basti pensare ad esempio al brief elettronico che ha gestito e gestisce tutt’ora soltanto le informazioni inerenti lo sviluppo del nuovo prodotto. Si tratta di un sistema importante certo, ma limitato e parziale rispetto alle migliaia di informazioni presenti in azienda che aspettano di essere valorizzate. E’ a partire dalla constatazione di questi aspetti che si è manifestata l’esigenza di far lavorare iGuzzini in modo migliore: “Nell’era della conoscenza non sono ammesse aziende che operano con queste problematiche”, ha dichiarato Marco Gialletti ad inizio anno. Ed è così che abbiamo deciso di porre rimedio alle questioni anzidette realizzando un sistema di KM in grado di adottare un approccio integrato e collaborativo che sappia diffondere una cultura della condivisione della conoscenza in tutta l’organizzazione. Questo progetto nasce, quindi, come risposta organizzativa e tecnologica alle esigenze operative dell’azienda iGuzzini; al tempo stesso, esso è stato pensato anche come un'occasione di sistematizzazione e coordinamento di una serie di strumenti e metodologie di sviluppo organizzativo e di gestione dei sistemi informativi che già da tempo sono stati creati e fanno parte integrante della cultura e delle pratiche istituzionali d'azienda. Lo sviluppo di un prodotto illuminotecnico richiede una grandissima varietà di conoscenze e solleva questioni su cui è coinvolta tutta l’organizzazione. I manager Guzzini devono, infatti, condividere saperi tecnico-scientifici della più svariata natura: ambientali, tecnologici, sociologici e così via; devono conoscere come sono stati affrontati e risolti i vari problemi nei progetti già sviluppati, acquisire con tempestività informazioni sui temi dell’illumonotecnica a livello nazionale ed internazionale. Si tratta, inoltre, di fare in modo che tale conoscenza possa circolare verticalmente (dai vertici alle strutture operative e viceversa) e orizzontalmente (sia all'interno da progetto a progetto; sia all'esterno tra iGuzzini e i suoi partners). 34 Molto spesso accade che chi gestisce il sito web reperisce un’informazione che viene cercata contemporaneamente dal parte del gestore di iLive. Anche facendo riferimento al brief elettronico e al CRM la situazione che si presenta è la medesima: occorre sottolineare che molte sono le informazioni contenute nel CRM che potrebbero essere d’aiuto al brief elettronico di prodotto e viceversa: ma come scambiare tali informazioni? Gli esempi a riguardo potrebbero essere ancora molti: inutile proseguire con un’elencazione degli stessi. Il messaggio che deve passare è chiaro: non esiste collegamento tra i sistemi di KM ad oggi attivi in Guzzini. 35 L’Ing. Mandozzi è product manager dei prodotti fluorescenza iGuzzini ed è uno dei manager di area con cui avevamo più stretto contatto. 361 Inutile citare altri esempi, anche in questo caso il concetto è chiaro: manca in Guzzini un sistema che gestisca in modo strutturato tutta la conoscenza presente in azienda. A ben vedere si tratta di esigenze complesse e variegate, che in prima istanza potrebbero sembrare di difficile risoluzione da parte di un unico strumento di KM. Abbiamo, però, cercato di rispondere alle stesse con la realizzazione di un sistema organico che consenta di raggiungere i seguenti obiettivi362: - Offrire un “luogo” semplice e trasparente in cui tutti gli utenti autorizzati possano reperire velocemente informazioni, dati, documentazioni aziendali importanti e sempre aggiornate. Si tratta in poche parole di “certificare” la conoscenza posseduta e creare basi di sapere accessibili a tutti; - Dare apporto di efficacia ed efficienza nella gestione e diffusione della conoscenza con lo scopo di favorirne la circolazione e la valorizzazione. Solo così le conoscenze esperte possedute in diversi punti dell’organizzazione garantiranno presidio di mercati e clienti nonché innovazione continua degli assetti d’impresa; - Integrare dove possibile gli strumenti tecnologici ed organizzativi pre-esistenti tramite un struttura che consenta l’interfacciamento e il dialogo tra questi; - Diffondere una cultura della condivisione della conoscenza attraverso una struttura di gestione standardizzata e flessibile. Ricordiamo a tal proposito che KM non significa soltanto introduzione di nuova tecnologia ma esprime anche e soprattutto gestione dei knowledge workers e introduzione di una learning organization363; - Incrementare la produttività attraverso una gestione più razionale delle informazioni rilevanti; in questo modo ogni individuo sarà in grado di reperire velocemente e in modo certo tutte le informazioni di cui necessita andando di fatto a diminuire il tempo di svolgimento dei propri compiti e avendo pertanto più tempo a disposizione per svolgere altre attività; - Evitare occultamento e perdita di conoscenza. Per ciò che concerne l’occultamento, molto spesso si verifica che le tradizionali prassi di lavoro alimentano nei dipendenti comportamenti di tipo individualistico con il conseguente mantenimento della conoscenza in forma segreta. IKnow si pone l’intento di promuovere, invece, meccanismi che facilitano l’accessibilità e la condivisione della conoscenza. La perdita di conoscenza, inoltre, può essere dovuta all’interruzione di collaborazione tra dipendente qualificato e impresa364. In questo caso l’applicativo di KM si pone come obiettivo quello di conservare il patrimonio intellettuale d’impresa archiviando adeguatamente la conoscenza acquisita di ogni lavoratore. Citiamo un esempio. Se l’Ing Mandozzi decide di lasciare l’organizzazione e di portare via con sé tutte le conoscenze che ha appreso durante il rapporto di lavoro, sicuramente provocherà all’azienda gravi perdite difficilmente recuperabili, in termini di profitti, di cattiva gestione del nuovo entrante, etc….; 362 Approccio integrato e collaborativo significa che iKnow deve essere in grado di far dialogare i software ad oggi esistenti in azienda e provvedere alla risoluzione delle suddette problematiche. Una importante precisazione prima di procedere. IKnow è stato per ora progettato per essere introdotto soltanto nell’area marketing e progettazione perché sono le aree che più delle altre sono coinvolte nel processo di sviluppo del nuovo prodotto e considerando l’importanza che questa attività ha per iGuzzini si è deciso dapprima di far partire il sistema in queste aree per poi diffonderlo a macchia d’olio nelle altre funzioni aziendali. Approccio a scaglioni quindi per consentire un passaggio graduale che permetta a Nautes di avere il tempo di progettare ed inserire le conoscenze rilevanti, ma al contempo che consenta a iGuzzini di “prendere mano” con il sistema. Anche tutti gli altri sistemi di KM, ma in generale tutta l’attività iGuzzini è molto incentrata sul prodotto: “Il prodotto è l’elemento chiave, il cardine e il fondamento del nostro successo”, sostiene l’Ing. Mandozzi. Esso incorpora in sé e rende fruibile uno degli elementi fondamentali che fa andare avanti il mondo intero: la luce. Necessariamente si sta parlando di un prodotto che ha una grande responsabilità: quella di governare la vita degli uomini, fissando sensazioni, colori e forme e facendo di volta in volta apparire la realtà in modo diverso. Ecco perché tanta enfasi sul prodotto iGuzzini e ovviamente iKnow non può sfuggire a questo meccanismo. 363 Vedi § 2.3.4 364 Basti pensare a quante gravi perdite di conoscenza si verificano ogni qualvolta un dipendente lascia l’organizzazione o ad esempio ai danni derivanti dalla difficoltà delle persone a comunicare e condividere - Risolvere nuovi problemi: con questa espressione indichiamo la volontà e la capacità di iKnow di replica migliore ad ogni incertezza, di reazione in modo efficiente ed efficace ad un contesto complessivamente globalizzato che renderà il mercato molto più dinamico e competitivo; - Creare valore economico: la conoscenza condivisa e capitalizzata crea valore all’interno dell’organizzazione. In questo senso iKnow favorisce lo scambio, la condivisione e il conseguente riutilizzo delle informazioni; - Innovare: ignorare una buona idea è diventato un fatale errore che le imprese non possono più permettersi di compiere. Lo spirito di fondo che deve guidare l’agire di ogni organizzazione deve essere: se c’è bisogno di un nuovo applicativo è necessario adottarlo, perché aspettare? Se un individuo propone qualcosa che possa migliorare anche di poco la vita dell’azienda è indispensabile metterlo in atto. IKnow rappresenta il carpe diem di questo processo365; - Non “reinventare la ruota”: iKnow consentirà di evitare di re-inventare soluzioni e di ripetere gli stessi errori commessi in passato, attraverso il miglior uso possibile della conoscenza esistente. Molto spesso, infatti, i lavoratori appartenenti alla stessa organizzazione possono trovarsi nella situazione di creare e ricreare inconsapevolmente la stessa conoscenza: iKnow rende disponibile un patrimonio di saperi da consultare ogni volta che si intraprende un qualsiasi tipo di attività; - Codificare la conoscenza tacita e organizzare quella precedentemente dislocata sotto diverse forme, ma anche risolvere i problemi di comunicazione tra gli uffici, capitalizzare e valorizzare la conoscenza esistente, incrementare efficienza ed efficacia dei processi. Organizzare quindi sistemi di patrimonializzazione delle informazioni aziendali attraverso la documentazione di processi, progetti, prodotti, ricerche, best practice e così via. - Instaurare relazioni sempre più proficue tra tutti coloro da cui dipende il successo del prodotto; il che significa orientamento alla qualità ed al lavoro di squadra. Aumentare la visibilità e la valorizzazione del proprio capitale intellettuale (in tutte le sue forme: conoscenza tacita, esplicita, esperienze…), attivando un circolo virtuoso di apprendimento e diffusione delle soluzioni e delle innovazioni prodotte sia all'interno che verso l'esterno, significa aumentare l'efficacia e l'efficienza delle persone nei processi knowledge intensive, consentendo a chi è coinvolto sui progetti di raggiungere obiettivi qualitativamente superiori in tempi inferiori. Tutto ciò consentirà di: offrire un supporto alla soluzione di problemi di varia natura per rendere rapidamente operative le persone; valorizzare gli interventi organizzativi, attivare un processo di apprendimento organizzativo basato sull'esperienza via via accumulata nella realizzazione delle singole tratte, definire in modo congiunto le specifiche tecniche ed organizzative per la gestione del sistema e co-progettare con gli utenti la soluzione attraverso progressivi momenti di verifica. Per riassumere: l’obiettivo di iKnow è quello di massimizzare il valore dell'informazione proveniente dall'esterno e valorizzare le conoscenze e i saperi interni. Tutto quello che deve essere conosciuto deve essere messo a disposizione nel modo più semplice possibile e attraverso modelli di classificazione chiari ed univoci. E’ da questo essenziale modello di capitalizzazione del sapere che il progetto si propone di sviluppare, a partire dai sistemi di documentazione e di condivisione dell'informazione, un livello di diffusione progressivamente più ampio, omogeneo e rapido che integri e metta a disposizione di tutti i professional con altri le proprie esperienze. Questi aspetti sono già stati ampiamente trattati nel secondo capitolo: qui vediamo la traduzione degli stessi in realtà. 365 Non a caso iKnow nasce proprio dall’ascolto delle esigenze degli individui in azienda e dalla volontà Nautes di innovare il sistema di gestione dei saperi iGuzzini. diversi tipi di know-how, di conoscenze e di dati all’interno di più strutturati e complessi "information network". Dal punto di vista tecnologico, questo modello si traduce nel passaggio da sistemi di patrimonializzazione che raccolgono, gestiscono e trasferiscono informazioni in maniera localizzata e puntuale a sistemi di diffusione, integrazione e crescita delle conoscenze all'interno di un information network (Knowledge Sharing System), allineando le potenzialità delle tecnologie di connessione con i modelli socioorganizzativi reali all’interno di un’organizzazione366. 4.2.2 Il metodo, la strategia e la tecnologia Nautes “Nautes non vende prodotti e servizi, ma offre soluzioni ad alto contenuto di conoscenza”, sostiene Marco Gialletti, “Ed è questo uno degli aspetti che ci ha consentito di ottenere successo nel mercato”. L’intento degli strumenti Nautes è quello di creare sistemi di metodologie, processi e tecnologie finalizzati a gestire in modo ottimale le conoscenze aziendali chiave, spesso contenute in modo disorganico in documenti, procedure, competenze ed esperienze dei dipendenti. Conoscenze che poi saranno necessarie per conseguire specifici obiettivi di miglioramento di singole attività nel breve termine, o saranno magari utili per sostenere il vantaggio competitivo dell’azienda nel medio-lungo termine. Un nuovo modo di lavorare, insomma, il cui obiettivo è quello di integrare la tecnologia con la cultura e i processi aziendali, usando la prima come veicolo per gestire e far giungere le conoscenze dell’azienda ai singoli dipendenti. Tutto questo è particolarmente vero per iKnow. Con iKnow esiste un unico ed imprescindibile obiettivo condiviso da Nautes e iGuzzini: la voglia di crescere insieme condividendo conoscenze e articolando l’uso delle stesse in modo scientifico, tramite le più avanzate tecnologie di KM. Prima di iniziare la trattazione del presente paragrafo occorre però effettuare alcune doverose premesse che concernono tre particolari aspetti delle realtà coinvolte nel sistema: l’importanza del partner tecnologico e metodologico che viene scelto nella progettazione delle strutture di KM, la specificità dell’organizzazione interna iGuzzini in merito alle funzioni knowledge based ed infine la peculiarità del flusso di conoscenza che caratterizza, percorre e attraversa l’azienda illuminotecnica. Soltanto esplicitando questi aspetti si riusciranno a comprendere poi tutte le successive scelte in merito al nuovo software di knowledge warehouse. Iniziamo con il primo aspetto. Spesso il successo di una soluzione di KM dipende dal partner che si sceglie per lo scioglimento delle proprie problematiche: come tutti sappiamo non esiste risposta unica ed universalmente accettata alle questioni che un sistema di gestione della conoscenza può sollevare. Pertanto, a seconda del soggetto che effettua l’analisi e quindi della sua professionalità che manifesta sul campo, si avranno risposte completamente differenti che possono essere più o meno pertinenti alle esigenze dell’azienda. Nautes da questo punto di vista si pone come partner: complementare alle competenze d’impresa (Nautes interviene quando l’azienda non ne ha le capacità), propositivo di evoluzioni (Nautes sa cogliere gli sviluppi futuri dei sistemi ad oggi esistenti) e capace di fornire soluzioni (Nautes da risposta concreta ai problemi aziendali). “E’ anche e soprattutto grazie a questa brillante collaborazione che iGuzzini ha potuto incrementare il proprio successo di mercato”, sostiene l’architetto Ceregioli, responsabile del Centro studi e Ricerca iGuzzini367, “Non so se con un’altra società di consulenza avremmo ottenuto gli stessi risultati”. Per ciò che concerne il secondo aspetto sopra citato occorre sottolineare che in iGuzzini non esiste un vero e proprio sistema interno di KM, o meglio per dirla in parole povere, guardando l’organigramma aziendale, in staff non è collocata l’area “gestione della conoscenza”. E’ vero che per ciascuna funzione aziendale esistono singoli progetti di intervento guidati dal responsabile di funzione, come è il caso ad esempio del brief elettronico di prodotto che concerne l’aera Marketing e Progettazione, ma di fatto non esiste un ufficio di 366 367 Verrà chiarito meglio in seguito l’aspetto tecnologico di iKnow. Il Dott. Ceregioli era uno dei soggetti con cui ci relazionavamo più spesso. coordinamento generale. E’ ad esempio la società Nautes che per i propri progetti funge da guida e da responsabile di KM. L’aspetto più rilevante però, fra quelli sopra citati, ai fini del nostro lavoro è costituito dall’analisi e dall’identificazione dei flussi di conoscenza in entrata e in uscita presso l’azienda iGuzzini. Sede centrale Marketing iGuzzini C. studi/ricerca Vendita Clienti Progettazione Progettazione Filiali Schema 1.4 Il flusso di conoscenza iGuzzini Fonte: nostra elaborazione Dalle nostre analisi risulta che i principali centri di produzione della conoscenza sono: l’Ufficio progettazione prodotti (concept e progettazione prodotto), l’Ufficio progettazione illuminotecnica (concept e progettazione illuminotecnica), l’Ufficio Marketing (lancio prodotti, formazione, definizione strategie di vendita) e l’Ufficio CSR (comunicazione istituzionale). La conoscenza prodotta viene fruita dalla sede centrale e dalle filiali per lo svolgimento delle attività ordinarie, dai venditori per la promozione dei prodotti e dei progetti aziendali e infine dai clienti/distributori. Il processo di produzione e fruizione della corporate knowledge è illustrato nella figura seguente. Dopo queste doverose premesse andiamo ora ad analizzare il core element di iKnow: ovvero la strategia che abbiamo deciso di adottare, la metodologia di applicazione che intenderemo seguire e quindi la tecnologia che verrà adoperata in azienda. Procediamo però per passi e rispondiamo al primo quesito: qual è la strategia che abbiamo scelto per inserire e diffondere iKnow all’interno dell’organizzazione368? Un'unica parola basta per rispondere a questa domanda: innovazione. La strategia del nuovo sistema di knowledge warehouse è essenzialmente all’insegna dell’innovazione: innovazione sia di tipo tecnologico, che di tipo organizzativo. Per quanto riguarda il primo aspetto, sarà necessario minimizzare l’impatto che le nuove tecniche introdotte avranno sull’organizzazione. Si renderà pertanto necessaria una fase di affiancamento 368 Ribadiamo ancora una volta che quanto viene qui esposto è frutto del lavoro che ho effettuato insieme al team di cui facevo parte durante il periodo di stage, per questo motivo non ci sono riferimenti bibliografici. tecnologico e metodologico piuttosto consistente369, fino a rendere la piattaforma introdotta il vero e proprio “sistema nervoso” dell’organizzazione. Questo è la riprova di quanto affermato nel terzo capitolo: il concetto di KM non va necessariamente “a braccetto” con quello di change management. Anzi molto spesso si rivela che lo scopo ultimo di un sistema di gestione della conoscenza sia quello di impattare il meno possibile sull’assetto d’impresa, proprio per permettere una facile introduzione e un altrettanto semplice utilizzo dello stesso. Iknow, come un qualsiasi altro strumento di KM, non implica necessariamente dei cambiamenti organizzativi: “Si tratta di sistemi già di per sé difficili da far recepire all’impresa; se accanto a questi mettiamo anche stravolgimenti organizzativi, di sicuro non otterremo successo. Il KM richiede un approccio graduale, quasi impercettibile”370. Per quanto riguarda il secondo aspetto, invece, si può fare riferimento alla teoria del Knowledge Management, ovvero al processo di valorizzazione in chiave strategica del sistema di conoscenze di un’organizzazione, secondo cui il governo ingegnoso dei processi di corporate knowledge si sviluppa attraverso tre fasi principali: produzione, gestione e divulgazione della conoscenza371. - Fase di produzione. Nello svolgimento del proprio lavoro i dipendenti creano conoscenza attraverso processi di associazione, collaborazione, scambio ed interazione interpersonale. Per far si che l’utilizzo del capitale conoscitivo diventi una pratica lavorativa accettata e condivisa bisogna creare le condizioni affinché la conoscenza si rigeneri “automaticamente” e con il minimo sforzo. La minimizzazione dei costi e la massimizzazione dell’efficienza si ottengono solamente se la conoscenza viene gestita contestualmente alla sua produzione. IKnow è stato progettato per permettere la realizzazione di questo processo: successivamente vedremo meglio come; - Fase di gestione: per la fase di gestione abbiamo deciso di servirci di contenitori di conoscenza strutturata (modelli) per l’archiviazione e la capitalizzazione della conoscenza prodotta. Questo perché la strutturazione dei modelli di conoscenza offre un duplice vantaggio: la gestione e la raccolta della conoscenza avviene in maniera coordinata e consapevole e inoltre la struttura modellizzata offre già implicitamente una mappa di navigazione della conoscenza che permette la consultazione trasversale dei dati a seconda dei punti di vista più significativi per l’utente. Vediamo nella successiva immagine un esempio di come verrà gestita la conoscenza iGuzzini: a partire dalle diverse attività che vengono svolte in azienda, si riporta l’elenco di tutto il materiale ad esse concernente, con indicazione da chi eventualmente dover reperire lo stesso, della sua disponibilità corrente o meno, della sua rilevanza. 369 Quando si parla di affiancamento si fa riferimento ad una fase iniziale di introduzione del software all’interno della quale tutti i potenziali utilizzatori dovranno essere seguiti, formati e introdotti al nuovo sistema: siamo convinti che iKnow non può essere installato in azienda e poi lasciato a se stesso, si rischierebbe di non sfruttare tutte le potenzialità e ancor peggio di non risolvere le problematiche per cui è stato introdotto. 370 Questo è quanto sostiene la Dott.ssa Lanari, knowledge manager Nautes nonché guida del nostro gruppo di lavoro. 371 Queste fasi potrebbero sembrare in contrasto con quelle citate nel paragrafo 2.3.1. In realtà non è così: a ben vedere si tratta degli stessi identici stadi riassunti però in poche tappe. Occorre anche sottolineare che il ciclo di vita della conoscenza assuma connotati differenti a seconda dell’organizzazione che si sta prendendo in esame e a seconda dell’approccio che la società di consulenza decide di adottare e Macrocategori a Categoria Indice del materiale Link al materiale Indicazioni Intervista dell’architet P. to sul Castiglioni progetto Raccolta delle informazioni preliminari Descrizione degli obiettivi di progetto Progetto Stato del materiale Rilevan Riferimento za (da 1 a 5) Presente Scataglini 5 Foto Foto chiesa Ulteriori immagini da scaricare Poeta 1 Indicazioni del committente CD foto in fatte in fase di prova Presente Poeta 1 Indicazioni del progettista Intervista Giraldi Presente Corsalini 2 Indicazioni sull’effetto da ottenere Effetti luminosi Manca il prima dell’interve nto Corsalini 2 Presente Cinquanta 3 Presente Poeta 4 Presente Corsalini 4 Manca Corsalini 5 Presente Corsalini 5 Da creare Corsalini 4 Da creare Corsalini 2 Presente Corsalini 3 Presente Corsalini 3 presente Poeta 4 CD Progetti presentazi della one Raffronto con concorrenza definitiva la concorrenza Info sulla Spiegazion concorrenza e Giraldi Elenco Foto primo ipotesi sopralluog alternative o Definizione Descrizione delle scelte ipotesi Mancante alternative scartate Spiegazione Presentaz. della Power soluzione point Light Mancante concept Relazione Mancante progetto Progetto di Calcolo massima Piante e illuminotec prospetti nico Tavole Tavole CAD CAD Testo Rendering presentzio Simulazione con ne photoshop definitiva ovviamente dello strumento che si decide di introdurre. In questo caso le tappe salienti sono: produzione, gestione e divulgazione della conoscenza. Analizziamo quindi queste tre fasi calate nel sistema iKnow. Tabella 1.4 Esempio di modalità di gestione della conoscenza Fonte: nostra elaborazione - Fase di divulgazione: la diffusione dei dati archiviati nel sistema può avvenire secondo due modalità principali: direct publishing ovvero accesso diretto alla conoscenza tramite interfacce web e enhanced publishing che significa invece accesso alla conoscenza dopo l’editing “strategico” e finalizzato all’utilizzo che ne farà l’utente (mail, newsletter,…). IKnow consente, a seconda delle esigenze di usare entrambe le tipologie di divulgazione372. La strategia Nautes prevede pertanto di individuare una classe di strumenti per intervenire sul raggiungimento degli obiettivi dell'organizzazione: aumentare l'efficacia e l'efficienza delle persone nei processi knowledge intensive, raggiungere obiettivi qualitativamente superiori in tempi inferiori, offrendo al contempo un supporto alla soluzione di problemi di varia natura e rendendo rapidamente operative le persone. IKnow si basa sulla convinzione che l’efficacia di un sistema di knowledge management dipende dalla capacità di gestire tutti i tipi di conoscenza posseduta dalle organizzazioni. In particolare Nautes fonda il proprio approccio sull’individuazione di quattro diversi tipi conoscenza: quella esplicita (ossia la conoscenza contenuta nei documenti), quella creabile (ovvero quella nascosta nei dati e frutto dell’elaborazione di questi), conoscenza incorporata nei processi aziendali e conoscenza tacita (che risiede nella testa delle singole persone)373. Sulla base di queste considerazioni possiamo pertanto affermare che il nostro sistema di knowledge warehouse assolva ad una triplice ed importante funzione: quella di “gestione documentale”, che consiste nell’ amministrazione di tutti i documenti e di tutte le informazioni aziendali in formato digitale; nella collocazione, archiviazione e ricerca degli stessi, nella loro semplice redazione, rendendo altresì facili tutte le forme di comunicazione e contatto fra gli utenti. Questa particolare funzione favorisce quindi la circolazione e il reperimento della conoscenza esplicita all’interno dell’organizzazione. Si parla poi di “mappatura delle competenze” (vedi tabella 1.4) che, invece, permette di rintracciare la conoscenza tacita presente in azienda. Questa componente della conoscenza è molto difficile da diffondere, in quanto è legata al soggetto che la detiene. Tuttavia, attraverso la costituzione di mappe che individuano “chi fa cosa” e “chi sa cosa”, è possibile rintracciare i soggetti che detengono le conoscenze tacite ricercate, per poter eventualmente apprendere da questi tramite socializzazione, oppure per affidare direttamente ad essi determinati compiti374. La “descrizione dei processi”, infine, permette di individuare e gestire la conoscenza incorporata nei processi aziendali. Essa consente di identificare le singole attività componenti, gli attori preposti allo svolgimento di tali attività e, quindi, le capacità/competenze possedute da questi soggetti375. In questo senso riteniamo che iKnow sia una soluzione che si differenzia dagli altri 372 Questi aspetti della strategia saranno maggiormente chiari quando si tratterà il paragrafo 4.2.4. Vedendo come lavora iKnow emergerà come questi elementi sono stati totalmente rispettati. 373 I diversi tipi di conoscenza richiedono anche una diversa modalità di gestione. Pertanto ogni sistema di KM, pur configurandosi come sistema unico deve in realtà possedere diverse caratteristiche gestionali. 374 Da questa affermazione si coglie l’importanza del modello di Nonaka e Takeuchi, al quale abbiamo infatti dedicato un paragrafo nel secondo capitolo. 375 La mappatura dei processi avviene attraverso quello che nel secondo capitolo abbiamo definito workflow management, il quale consente di esplicitare e rendere visibile i processi aziendali. Per quanto sistemi di knowledge warehouse presenti sul mercato: esso consente attraverso un unico software di integrare le tre componenti appena citate376. Dopo aver analizzato la strategia di introduzione del software iKnow passiamo ora all’analisi del secondo aspetto sopra citato: la metodologia ipotizzata da Nautes per la gestione della “conoscenza iGuzzini”. Anche in questo caso diverse potrebbero essere le soluzioni a riguardo: non esiste, come sappiamo, un’unica risposta all’esigenza di amministrare i propri saperi e pertanto lo stesso iKnow avrebbe potuto assumere una diversa connotazione se fosse stato redatto da un’altra società di consulenza. Dopo attente analisi e dopo numerose prove e tentativi, ma grazie soprattutto all’esperienza e alla professionalità degli altri soggetti del team di lavoro, è stato deciso di articolare il sistema di knowledge warehouse su tre livelli: Knowledge Map, Knowledge Frame e Knowledge Asset. L’analisi dell’organizzazione aziendale verrà effettuata al fine della modellizzazione delle knowledge structures implicate nei processi e nei flussi informativi consolidati all’interno dell’azienda. L’obiettivo dell’analisi sarà la definizione di contenitori strategici, costituiti da una struttura dati gerarchica, che saranno assunti come modelli per l’indicizzazione di tutte le conoscenze, i processi, le attività e in genere le entità rilevanti del dominio di conoscenza indagato. Attraverso la definizione di tali contenitori verrà reso disponibile uno schema descrittivo comune, coerente con il contesto operativo, mediante il quale sarà possibile armonizzare le descrizioni delle informazioni formulate da diversi utenti e costruire una base di riferimento comune per tutte quelle attività che comportano uno scambio di informazioni. Knowledge map Cocept Pre-analisi di marketing In Produ zione Lan Knowledge frame Analisi dei prezzi Analisi delle esigenze Ana Ricerche di mercato Knowledge asset Feed back di catalogo Schema 2.4 La metodologia Nautes Fonte: nostra elaborazione riguarda la conoscenza creabile, questa emerge dall’elaborazione e dalla creazione dei dati presenti nel sistema. 376 Di solito gli strumenti di KM assolvono soltanto ad una delle funzioni citate, trascurando tutte le altre e configurandosi quindi come sistemi parziali alla gestione della conoscenza. La costruzione del sistema su tre livelli è un’ ipotesi arbitraria assunta come prassi metodologica che consente di facilitare la modellizzazione e la strutturazione della conoscenza: in questo modo, infatti, il sistema è di più agevole utilizzo e comprensione poiché va di fatto a “parcellizzare” le conoscenze da archiviare e a suddividere le competenze che ciascun individuo ha nel sistema377. Le Knowledge Map (macro-contenitori ad albero) sono la rappresentazione dei processi strategici di gestione della conoscenza e rappresentano le diverse fasi della catena del valore del prodotto. Ciascuna Knowledge Map include una serie di Knowledge Frame, contenitori di conoscenze dello stesso tipo, modellizzate a priori e strutturate secondo la logica dei processi operativi di gestione della conoscenza. A ciascun contenitore modellizzato (Knowledge Frame) vengono associati i Knowledge Asset pertinenti, ovvero i prodotti di conoscenza risultanti dai processi aziendali. Ogni nodo terminale del sistema (knowledge asset) può contenere: un form di inserimento dati (brief elettronico), un documento allegato (foto, video,…), un applicativo,… Schema 2.4 La metodologia Nautes Fonte: nostra elaborazione Immagine 8.4 La struttura ad albero su tre livelli del metodo Nautes Fonte: nostra elaborazione La figura 9.4 mostra l’esempio di un applicativo articolato su tre livelli tramite una struttura ad albero, secondo la quale la knowledge map (pre-analisi di marketing) contiene un insieme di knowledge frame (tra cui analisi delle esigenze) dal quale a sua volta accedere ai knowledge assets (feed back di catalogo…)378. Procediamo ora con l’analisi dell’ultimo aspetto sopra citato: la tecnologia sviluppata da Nautes per iKnow. Perché è stato scelto proprio uno strumento di knowledge warehouse? Come già analizzato nel secondo capitolo il datawarehouse (DWH) è definito come una piattaforma sulla quale vengono archiviati e gestiti dati provenienti dalle diverse aree dell’organizzazione379; tali dati sono 377 Anche in questo caso si vedrà nel paragrafo 4.2.4 come il metodo sia stato tradotto in realtà. Attraverso la suddivisione su tre livelli si suddividono anche le competenze e i ruoli degli individui: i knowledge manager hanno determinati compiti che sono coerenti con la loro posizione lavorativa, i knowledge executive degli altri,….. In quest’ambito ci preme sottolineare come il software non è di agevole comprensione, ma il tutto rimarrà più chiaro andando a vedere il suo funzionamento nel § 4.2.3. 378 In questo caso così come quando descriveremo il funzionamento del software abbiamo citato esclusivamente elementi riferiti allo sviluppo del nuovo prodotto (area marketing e progettazione). Ricordiamo che iKnow verrà infatti dapprima introdotto soltanto in questi uffici per poi diffondersi su tutta l’azienda. 379 Cfr. QUAGINI L., “Business intelligence e knowledge management. Gestione delle informazioni e delle performances nell’era digitale”, FRANCO ANGELI, Milano, 2004, pag. 111. aggiornati, integrati e consolidati dai sistemi di carattere operativo per supportare tutte le applicazioni di base alle decisioni. Si tratta quindi di una collezione di informazioni non modificabili, organizzati per argomento e per riferimento temporale, finalizzati al supporto del processo decisionale380. Un aspetto però deve essere notato: la definizione appena data parla di sistemi di datawarehouse; iKnow invece si configura come sistema di knowledge warehouse. Di fatto da un punto di vista tecnologico ed organizzativo non cambia nulla tra le due opzioni, ovvero per la seconda valgono gli stessi meccanismi appena descritti, ma ciò che rileva è che quello che viene catalogato da iKnow non è il dato primitivo presente in azienda, ma bensì la conoscenza degli individui e dell’organizzazione, ovvero il dato trasformato ed evoluto a forma utile. Secondo la tassonomia presentata nel primo capitolo i manager nel processo decisionale non hanno tanto bisogno di dati grezzi, quanto di dati elaborati ovvero di conoscenza. Iknow, tramite un processo che raccoglie conoscenze simultaneamente alla loro produzione, permette di consultare fin da subito informazioni utili per il processo decisionale e non dati che dovranno essere ulteriormente elaborati. Per quanto riguarda poi la scelta di un sistema di knowledge warehouse piuttosto che di un’altra tecnologia di KM si è trattato in sostanza di una scelta obbligata: per gli scopi che si intendeva raggiungere e per le problematiche da risolvere in Guzzini, questo sistema era l’unico da poter adoperare381. Vediamo più in dettaglio la piattaforma tecnologica iKnow. La piattaforma tecnologica (Knowledge Warehousing System) sarà una soluzione di tipo distribuito che, gestita a livello centrale, sarà accessibile a diversi condizioni da tutti gli uffici attraverso un apposito applicativo. La conoscenza verrà gestita localmente da unità organizzative autonome che scambieranno dati e informazioni condividendo uno schema concettuale omogeneo, secondo un modello di “federalismo informativo”. Un sistema che, grazie ad un approccio multiutente, sarà in grado di raccogliere, gestire e divulgare tutte le conoscenze dell’organizzazione, anche quelle rappresentate dai dati delle più piccole unità che la compongono. Di seguito illustriamo le caratteristiche tecnico-funzionali del sistema. Dal punto di vista funzionale, il Knowledge Warehousing System sarà composto da quattro macroaree (Interfaces): 380 Con riferimento all’aspetto tecnologico, come sopra citato, ci limitiamo ad esporre i tratti salienti del sistema, non essendo stata di mia competenza la redazione degli stessi. Riportiamo per completezza le componenti di un’architettura di DWH: - Procedure di accesso ai dati (ETL). L’acronimo ETL (extraction, transofmation, loading) si riferisce alle tre attività estrazione, trattamento e caricamento del dato. Quest’ultimo viene quindi estratto da fonti eterogenee quali il sistema informativo d’impresa, gli strumenti di supporto interni (fogli elettronici), conoscenze immagazzinate negli individui (interviste); la fase successiva di trattamento è finalizzata a uniformare i dati tramite un’attività di pulizia: possono infatti essere non omogenei, inconsistenti o semplicemente ridondanti. I diversi formati vengono mappati per mezzo di strumenti parametrici e successivamente filtrati per l’attività di caricamento a regime. Il momento di caricamento implica un processo di ordinamento e di previa aggregazione dei dati, supportato dall’attività di monitoraggio centralizzato dell’invio e della ricezione dei flussi di alimentazione. - Struttura interna dei dati: gli aspetti da definire, relativi alla struttura interna, sono inerenti al modello da utilizzare, relazionale piuttosto che multidimensionale, al livello di dettaglio, dipendente dalla complessità delle realtà specifica, ed al livello di normalizzazione, orientato alla minimizzazione delle ridondanze. Fattore critico è poi la determinazione della dimensione temporale, sia in termini di profondità che di frequenza di aggiornamento. - Metadati: esiste una serie di dati che esplicitano e contestualizzano i dati veri e propri. Si tratta di informazioni relative alla provenienza, alla tipologia, significato e storicità dei dati numerici. Anche iKnow si compone di questi elementi: ad esempio con riferimento all’ETL sappiamo che per gran parte della conoscenza verrà estratta dalla “mente” degli individui (alcuni colloqui sono già iniziati) e dai diversi supporti interni all’organizzazione. La struttura interna dei dati è invece in fase di definizione come verrà analizzato meglio in seguito. 381 Questa conclusione è stata raggiunta grazie alla profonda conoscenza delle tecnologie di KM che il team di lavoro ha acquisito nel corso del tempo. Inutile in quest’ambito stare ad elencare il perché altri software di KM non sarebbero stati opportuni: per l’obiettivo di archiviare in modo strutturato i saperi aziendali, la tecnologia di supporto è costituita dai sistemi di DWH. 1. Area Configurazione; 2. Area Utenti; 3. Area Knowledge Warehousing; 4. Area Documenti. L’area configurazione permette di delineare i parametri di base che saranno utilizzati nel sistema. Le funzionalità principali sono pertanto: configurazione e gestione utenti ,ovvero creazione, modifica ed eliminazione dei soggetti che possono accedere al sistema; configurazione e gestione documenti, ovvero della conoscenza utile ai processi decisionali; creazione delle tipologie di media associabili a ciascun nodo e gestione delle estensioni dei files382. Come dice il termine stesso, quest’area si propone di strutturare l’intero sistema; L’area utenti. Le funzionalità principali dell’area utente sono: creazione, modifica, ed eliminazione del singolo utilizzatore, dei gruppi di utenti che sono stati creati o dell’intera struttura organizzativa. Le principali tipologie di utente che verranno gestite dal sistema sono: administrator (AD); knowledge manager (KM); knowledge executive (KE) e operatore (OP). Vedremo meglio nel paragrafo 4.2.4 il ruolo di questi soggetti; L’area knowledge warehousing è l’area principale del software, in cui possiamo distinguere due sottoaree: i Modelli e i Knowledge Process. - Sottoarea modelli. Questa sottoarea è finalizzata alla creazione della vera e propria struttura del sistema sulla base della strategia e del metodo precedentemente delineati. Knowledge Map, raggruppamenti di Knowledge Frame e Knowledge Asset verranno visualizzati mediante una struttura ad albero e costituiranno l’indice completo del modello. Le funzionalità principali di questa sottoarea sono pertanto: creazione modifica, eliminazione di Knowledege Map tramite un interfaccia strutturata ad albero, creazione, modifica eliminazione di Knowledege Frame, possibilità di aggregare più Knowledege Frame in un gruppo, possibilità di stampare Knowledge Map, Knowledge Frame e Knowledge Asset, possibilità di assegnare utenti con i diritti di visualizzazione e/o modifica sugli Knowledge Asset383,…. - Sottoarea knowledge process. Partendo da una Knowledge Map (modello pre-caricato nel sistema), viene data la possibilità di creare un Knowledge Process, ovvero di personalizzare lo “scheletro” progettato a seconda del processo di gestione della conoscenza che più si addice alle esigenze dell’utente. Pertanto l’utente che accede all’applicativo visualizzerà un vero e proprio indice ad albero del quale potrà selezionare i soli Knowledge Frame necessari al Knowledge Process di sua competenza; si tratta insomma di adattare il modello alle proprie necessità conoscitive; L’area documenti. Le principali funzionalità di questa area sono essenzialmente la ricerca trasversale dei Knowledge Asset, caricati secondo diversi criteri di screening384. 382 Per ora le funzionalità sono quelle descritte. Sicuramente in futuro potrebbero essere diverse. Anche in questo caso, come prima, le funzionalità future del sistema potrebbero essere differenti. Ricordiamo che iKnow è in una fase di preparazione per una sua applicazione dopo l’estate. 384 Quanto fin qui descritto sarà accessibile dal lato client del sistema, ovvero dal database iKnow. Esiste poi anche un lato web che permette invece di consultare la conoscenza archiviata. 383 Questa la strategia, la metodologia e la tecnologia che abbiamo progettato per iGuzzini. 4.2.3 Le fasi di realizzazione del progetto Prima di analizzare ed illustrare come “funziona” iKnow abbiamo ritenuto opportuno inserire un paragrafo che prenda in esame le fasi di realizzazione del progetto e quindi la tempistica di messa in atto dello stesso, in modo tale da poter comprendere anche lo stato attuale dei fatti e in generale avere un’idea più chiara di tutto il piano di lavoro. Dopo la fase iniziale di diagnosi organizzativa che abbiamo detto sopra essere avvenuta in modo del tutto naturale e dopo un’altrettanto attenta definizione della strategia e del metodo da seguire sono state definite le attività di realizzazione del progetto: in sostanza le fasi che devono essere realizzate per l’implementazione di iKnow. Un primissimo step che è stato già affrontato, una sorta di fase zero del progetto, ha riguardato la progettazione operativa del software, ovvero la costruzione e realizzazione pratica dell’applicativo, per permettere sia a noi che all’azienda di poter vedere concretamente in che cosa consisterà il programma. Ad oggi esiste quindi un prototipo del sistema: diciamo prototipo poiché l’attuale iKnow è praticamente allo stato primitivo, non contenendo ancora le conoscenze iGuzzini, che verranno mappate soltanto a partire dal prossimo settembre385. Ci si potrebbe a questo punto domandare come sia possibile progettare un sistema di KM prima di iniziare le fasi realizzative dello stesso. La risposta è relativamente semplice considerando le informazioni fino ad oggi emerse dalla fase preliminare di analisi: esiste molta documentazione relativa ai progetti, che va resa disponibile in archivi condivisi; esiste un patrimonio di esperienze distintive accumulate nel corso del tempo, in particolare di esperienze informali e conoscenze tacite, in merito al quale è necessario identificare una modalità che consenta almeno in parte di esplicitarle, raccoglierle e riutilizzarle nei nuovi progetti; esiste un bacino di esperti e persone molto qualificate e specializzate, rispetto al quale è necessario riuscire ad identificare e mettere in connessione chi è in grado di fornire un supporto esperto per l'interpretazione della documentazione o per la risoluzione di problemi già affrontati; esistono molti altri strumenti e materiali a disposizione delle persone, ad esempio attraverso l'intranet, o il brief elettronico di prodotto, rispetto ai quali è necessario focalizzare con maggiore chiarezza cosa effettivamente le persone utilizzano e di quali conoscenze e supporti hanno bisogno per lavorare. Si è rilevato, inoltre, che la crescente complessità della società e il conseguente bisogno di flessibilità, ha fatto nascere il bisogno di una razionalizzazione nella gestione delle informazioni il cui esubero ha motivato la stessa all’adozione di tecnologie idonee ad amministrarle386. 385 Ricordiamo ancora una volta che io e il mio team di lavoro non ci siamo occupati della parte tecnologica del sistema. Tralasciamo quindi quest’ambito per concentrarci invece sugli altri aspetti che sono stati oggetto del nostro studio. 386 GRAND R., “The resource based theory of competitive advantage: implication for strategy formulation”, in California management review, primavera, 1991 Rimane pertanto da realizzare la porzione più corposa del lavoro, quella relativa alla gestione del patrimonio conoscitivo. La tabella seguente mostra le fasi di realizzazione del progetto, che abbiamo ipotizzato sia così composto (fasi che inizieranno a partire da settembre 2007)387. Analisi e modellizzazione della conoscenza aziendale Progettazione e sviluppo del knowledge warehousing system Installazione e messa a punto del sistema Tabella 2.4 Le fasi di realizzazione del progetto Incontri e interviste al management Raccolta informazioni sulle attività e raccolta documentazione Studio oggetti da modellizzare Validazione dei modelli Supporto operativo a regime Costruzione area modelli Costruzione area knowledge process Consultazione indicizzata web Personalizzazione grafica Testing della piattaforma Installazione e configurazione del sistema Tuning del sistema integrato Formazione operativa sul software Fonte: nostra elaborazione Analizziamo meglio ognuna di queste fasi. - Analisi e modellizzazione della conoscenza aziendale. Questa importante fase del progetto altro non è che quella che abbiamo definito nel secondo capitolo “mappatura delle conoscenze aziendali”388. Si tratta in sostanza di individuare chi detiene quali conoscenze. Il metodo che abbiamo deciso di utilizzare per l’analisi dell’organizzazione aziendale è il seguente389: - Incontri ed interviste al Management al fine di delineare il contesto di riferimento dell’azienda (dominio di conoscenza); 387 In questo senso la trattazione di iKnow non è completa: poiché le fasi di realizzazione del progetto devono ancora trovare pratica applicazione. 388 Secondo quanto affermato nel capitolo 2 e in coerenza con quanto sopra definito in merito alla strategia aziendale ribadiamo ulteriormente che: la strategia di knowledge management deve essere intrinsecamente legata alla strategia organizzativa aziendale; deve favorire l’acquisizione di una cultura aziendale che consideri la conoscenza e la sua gestione come parte integrante dei processi; l’investimento in capitalizzazione nel Knowledge Management in termini di risorse e tempo delle risorse umane coinvolte deve consentire l’acquisizione di significativi vantaggi di business. 389 I metodi da seguire in quest’ambito sono molteplici. Riportiamo a titolo esemplificativo la metodologia adottata per TAV. Identificazione delle esigenze top-down, attraverso l'individuazione delle priorità strategiche in merito alla gestione delle conoscenze: l'attività è stata realizzata attraverso l'analisi e la valutazione del "portafoglio di conoscenze" (brevetti, competenze organizzative, software, know how, competenze professionali, etc.) per identificare le core competences in relazione alle strategie dell'azienda, e la definizione di un piano d'azione per la manutenzione del portafoglio (azioni di innovazione, codifica, diffusione, dismissionedelle conoscenze).Il metodo utilizzato è lo “Strategic Portfolio Approach" adottato in Italia da Butera e Partners in collaborazione con il Cibit. II portafoglio viene costruito attraverso un processo a cascata (tre/quattro focus group) che coinvolge il Top management ed il management di business. Identificazione delle esigenze bottom-up, attraverso l'analisi delle esigenze di condivisione delle conoscenze e delle effettive pratiche di lavoro delle persone. L'obiettivo di questa attività è di comprendere quali conoscenze le persone utilizzano effettivamente nella pratica quotidiana di lavoro, ossia quali fonti utilizzano, come accedono alle conoscenze necessarie sia all'interno che all'esterno, come scambiano conoscenze e informazioni con i colleghi o con altre funzioni dell'organizzazione. - Raccolta di informazioni relative alle attività svolte e alla documentazione prodotta o utilizzata con successiva rielaborazione e sintesi delle informazioni; - Studio sui possibili oggetti/eventi da modellizzare e sulle relative classi di appartenenza (questi modelli dovranno costituire la base di conoscenza aziendale); - Validazione dei modelli. - Progettazione e sviluppo del Knowledge Warehousing System390. L’obiettivo principale di questa fase è quello di implementare la piattaforma tecnologica iKnow, tenendo conto delle istanze di usabilità e di ergonomia delle interfacce. Lo scopo è quello di realizzare un ambiente software di collaborazione e condivisione tra le risorse dell’organizzazione. Le attività di questa fase sono: - Analisi: Indagine preliminare sul contesto in cui il prodotto software deve inserirsi e sulle caratteristiche che deve esibire. Tali attività prevedono la raccolta dei dati tramite colloqui tra i partner di progetto e gli sviluppatori; - Progettazione. Sulla base della specifica dei requisiti prodotta dall'analisi, si redige il progetto del software in cui si definisce come tali requisiti saranno soddisfatti, entrando nel merito della struttura che dovrà essere data al sistema software. Le attività di progettazione hanno come obiettivo la definizione delle linee essenziali della struttura del sistema da realizzare (progetto architetturale e progetto di dettaglio); - Sviluppo. Le attività di sviluppo hanno come obiettivo l’implementazione o codifica del sistema, ovvero: implementazione dei singoli moduli che costituiscono il sistema, integrazione di tali moduli per formare il sistema complessivo; - Testing. Le attività di testing (test funzionali, test di performance, test d'istallazione) sono finalizzate all’individuazione delle carenze di correttezza, completezza e affidabilità delle componenti software in corso di sviluppo. - Installazione e messa a punto del sistema. Le attività principali di questa fase sono: - Installazione e configurazione del sistema; - Testing del sistema integrato al fine della sua messa a punto (Tuning); - Formazione operativa sul software agli utenti. Vediamo concretamente la tempistica di realizzazione del progetto. Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio 2007 2007 2007 2007 2008 Knowledge warehouse Analisi e modellizz. Interviste al management Raccolta informazioni Oggetti da modellizzare Validazione dei modelli Supporto operativo 390 Ricordiamo che esiste già ad oggi un prototipo del sistema. Progettazione e sviluppo Costruzione area modelli Costrruzione k. process Consultazione web Personalizzazione grafica Testing della piattaforma Installazione Installazione Tuning del sistema Formazione sul software Tabella 3.4 GANT del progetto Fonte: nostra elaborazione Questi i tempi previsti per la realizzazione del progetto. Salvo particolari problematiche si inizierà a lavorare dopo il periodo estivo per concludere il programma ad inizio 2008391. Dopo la laurea mi occuperò personalmente del progetto: ringrazio fin da ora Nautes per l’ooportunità che mi viene concessa. 4.2.4 Come lavora iKnow? In questo paragrafo verrà illustrato il funzionamento e la struttura di base del software: dalla sua modalità di costruzione fino al suo utilizzo per la fruizione di conoscenza. Di fatto questa sezione costituisce la traslazione pratica della strategia e del metodo sopra delineati, ciò che da sostanza alle teorie di gestione della conoscenza esposte nel presente elaborato. Necessariamente però la descrizione di come “funziona” iKnow va di pari passo con la definizione delle figure professionali che devono intervenire, a diverso titolo, nell’implementazione del progetto. Come sopra delineato i “lavoratori della conoscenza” che abbiamo pensato per iKnow sono: amministratore del sistema, knowledge manager, knowledge executive e operatore392. Considerando la scarsità di tempo a disposizione di ogni manager, ma al contempo la necessità di dotarsi di strumenti funzionanti e all’avanguardia, abbiamo deciso di impostare il sistema nella seguente maniera: ad ogni soggetto è stato assegnato uno specifico ruolo al quale corrispondono specifiche competenze (che identificano fin da subito e in maniera chiara l’attività che il manager deve svolgere). L’attività risulta essere ovviamente coerente e in linea con la posizione che l’individuo ha all’interno dell’organizzazione, per agevolare sia la funzionalità del sistema, che le stesse mansioni dei manager nei confronti di iKnow. - L’administrator (AD) IT è l’utente che “tutto può”, è colui che all’interno del sistema ha la capacità di compiere un qualsiasi tipo di operazione e di modifica del software. Nel nostro caso l’AD è rappresentato da tutti i manager Nautes che hanno progettato l’applicativo e che vi devono pertanto accedere in 391 Anche in questo caso il mio contributo non è stato notevole: il timing dell’operazione può essere stabilito soltanto da chi ha esperienza a riguardo. Dopo la laurea, considerando che si sono verificati durante il periodo di stage i presupposti per una prosecuzione del rapporto di lavoro, continuerò ad occuparmi del sistema iKnow. 392 Ricordiamo così come affermato nel secondo capitolo che gli operatori di un sistema, i così detti knowledge worker cambiano da caso a caso. In quest’ambito si è ritenuto opportuno avvalersi delle quattro figure che ora andremo a descrivere: nulla vieta che esistano delle soluzioni migliori di questa. Questo aspetto costituisce la dimostrazione pratica di come KM non significhi soltanto innovazione tecnologica ma anche gestione di knowledge worker e di un’organizzazione knowledge based. qualsiasi modo e momento per verificarne lo stato ed apportare eventuali migliorie393. L’amministratore IT ricopre pertanto prevalentemente un ruolo tecnico che si caratterizza per il possesso di competenze avanzate nella configurazione di tutto il sistema394. - Il knowledge manager (KM) è invece in grado di creare dei modelli di riferimento (lo “scheletro” del sistema, la suddivisione nei tre livelli sopra citata) in base alla visione strategica della corporate knowledge che egli ha. In coerenza con quanto fin qui detto questo ruolo verrà ricoperto sia da manager Nautes che da manager di area iGuzzini (quali ad esempio l’Ing. Mandozzi), che possono beneficiare rispetto ad altri di una panoramica complessiva e di una visione d’insieme di tutti i processi aziendali. In termini pratici il KM è colui che si occupa della creazione di modelli di raccolta dati che dovranno poi essere riempiti dagli altri attori del sistema. - Il knowledge executive (KE) è il responsabile che operativamente adatta il modello precedentemente creato alle specificità aziendali, personalizzandone la struttura e i contenuti. Anche in questo caso saranno KE i capi area iGuzzini, che meglio di altri, proprio per il ruolo che ricoprono, saranno in grado di inserire quegli elementi di conoscenza che sono caratteristici dell’area organizzativa di cui sono parte. - L’operator (OP) è l’utente responsabile della singola porzione di conoscenza (Knowledge Asset), deputato al suo caricamento nel sistema o alla sua produzione secondo le specifiche del Knolwedge Executive. L’OP è rappresentato da managers di area iGuzzini adibiti allo scopo. Passiamo ora a vedere in dettaglio le attività che devono essere svolte da ciascun utilizzatore, potendo attraverso questa descrizione, vedere di fatto il funzionamento del sistema395. La figura seguente ci mostra sinteticamente come il knowledge manager crea il modello di contenitore della conoscenza, lo rende pubblico e fruibile al knowledge executive, il quale dà vita ad un contenitore di conoscenza personalizzato. Il contenitore viene pubblicato e quindi reso visibile all'operatore. L'operatore effettua la compilazione del modello con i contenuti appropriati. Le schede compilate tornano poi al knowledge executive che le controlla e le valuta. Qualora fossero corrette egli provvede poi ad archiviarle rendendo così disponibile, consultabile e fruibile da tutti quella particolare conoscenza, che pertanto si colloca nell'archivio iGuzzini. Schema 2.4 Creazione modello di contenitore di conoscenza Flusso sintetico iKnow Pu Creazione del contenitore Fonte: nostra elaborazione Pub Compilaz. del contenitore Publishing della conoscenza Co 393 Non è prevista ovviamente la stessa cosa per i manager iGuzzini per i quali non avrebbe senso consentire loro di modificare il sistema. KM 394 KE OP KE Tutti Non a caso l’AD non verrà analizzato nel corso del lavoro, proprio perché ricopre un ruolo tecnico e non anche di configurazione delle conoscenze del sistema. 395 Ricordiamo un ulteriore aspetto: i ruoli che sono stati appena citati sono per ora immodificabili. Qualora ad esempio il KM acceda ad attività che non gli sono state assegnate (come ad esempio l’inserimento di file o contenuti) appare una messange box che dichiara l’impossibilità di svolgere l’operazione. Addirittura si potrebbe anche verificare il caso di una impossibilità di accesso alle stesse funzioni. Abbiamo ritenuto importante introdurre questo meccanismo per consentire il miglior recepimento possibile del sistema. Basti pensare alla confusione che si potrebbe generare se ogni manager potesse compiere un qualsiasi tipo di operazione. Oltre a questo, attraverso il nostro metodo, consentiamo a tutti i soggetti presenti in azienda di contribuire alla realizzazione del software: questo condurrà di fatto ad un incremento della motivazione degli individui e all’attivazione di processi di apprendimento. Schema 3.4 Flusso sintetico iKnow Fonte: nostra elaborazione Vediamo più in dettaglio però l’intero processo, anche con l’aiuto di immagini396. Come appena detto l’attività del knowledge manager si sostanzia essenzialmente nella creazione di modelli di raccolta dati su istanza di quanto emerge dalla fase di analisi della conoscenza aziendale397. Il suo compito consiste pertanto nella realizzazione strutturale dei tre livelli di divisione sopra citati (knowledge map, knowledge frame e knowledge asset), dove il termine strutturale significa che il KM si occupa esclusivamente della forma da dare al modello, non anche della personalizzazione dello stesso o dell’inserimento dei contenuti398. La fase di modellizzazione può essere portata avanti, a nostro avviso, soltanto dalle figure di KM da noi designate, in quanto dotate di una visione unitaria e completa dell’attività aziendale, necessaria per la creazione dei tre livelli su esposti. Un esempio di modello di raccolta dati potrebbe essere: materiale di un corso e-learning o anche sviluppo di nuovi prodotti399, come mostra la seguente figura. 396 Le immagini sono tratte dal prototipo di iKnow ad oggi esistente. Bisogna sottolineare come il KM lavora su client ossia sull’applicazione Winows installata sul PC e così pure il Knowledge executive, mentre l’operatore ha soltanto l’interfaccia Web ovvero si connette a internet e compila le schede che gli sono state assegnate. In quest’ambito indichiamo la sigla KM sta per knowledge manager e non per knowledge management. 398 Come ogni strumento di Data Werehouse queste strutture sono immodificabili nel senso che una volta ideate rimangono tali nel corso del tempo. Per questo si dice che sono modelli “a priori” e “una volta per tutte”. Bisogna però ricordare che esse possono essere personalizzate nei contenuti da parte di KM e KE, coloro che hanno accesso al software non come semplici fruitori do conoscenza. 399 Citiamo quelli che ipoteticamente potrebbero essere dei modelli di conoscenza, non avendo ancora effettuato la fase di analisi e modellizzazione della stessa. Un altro aspetto ci preme sottolineare in quest’ambito: la descrizione di iKnow che proponiamo non è particolarmente dettagliata. Questo per evitare di appesantire il lettore con aspetti che a nostro avviso sono trascurabili. Citiamo invece ciò che per noi costituisce elemento meritevole di essere analizzato. Per fare un esempio: oltre al fatto di dire che il KM crea i modelli di conoscenza, si potrebbe anche citare come tali modelli vengono creati (step by step), ma riteniamo che in questa sede non sia opportuno, essendo questi aspetti più interessanti invece per chi dovrà poi utilizzare concretamente il modello. O ancora sulla destra delle immagini che vengono di seguito riportate ci sono dei dettagli, che per il discorso appena effettuato decidiamo di tralasciare. 397 N uova voce di indice N uova scheda M odifica scheda R eperim ento m ateriale corso e Learning D ettagli P ubblica Invia a H om e S TR U TT U R A M O D E L LO E lim ina A D ettag li m od ello L ib reria d i s ch ede R eperim ento m ateriale corso e Learning N om e D escrizio ne E tichette N on pubblicato Stato A u to re D estinatari Ico na P ao lo R o ssi Tutti i K now ledge executive S cegli icona A nnulla Immagine 9.4 Interfaccia di creazione di un modello S alva Fonte: nostra elaborazione Successivamente il modello così creato deve essere strutturato attraverso un indice con una organizzazione ad albero, contenente tutte le voci connesse o comunque più correlate al modello di riferimento. Nel nostro caso al modello di reperimento del materiale del corso e-learning corrisponderanno le seguenti voci di indice: definizione del contesto, raccolta delle interviste, articoli correlati. Al modello di sviluppo di nuovi prodotti assoceremo invece: analisi di mercato, analisi del ciclo di vita dei prodotti, realizzazione proptotipi…400. Come si può notare dalla figura 10.4. N uova voce di indice N uova scheda M odifica scheda R ep erim ento m ateriale corso e Lea rning D ettagli P ubblica Invia a H om e S TR U TTU R A M O D E L LO E lim ina D ettagli ind ice L ib reria d i schede C onte sto Interviste N om e Interviste D escrizione A rticoli Proge tto R ealizzazione Etichette Tipologia Voce di indice Icona Scegli icona 400 Nel periodo di stage mi sono occupata personalmente della realizzazione di alcuni modelli di conoscenza, accedendo al sistema tramite le diverse tipologie di utente. Annulla Salva Immagine 10.4 elaborazione Indice ad albero del modello di contenitore di conoscenza Fonte: nostra Si passa poi alla creazione della struttura del terzo livello di analisi: le “schede” di conoscenza. All’intero delle schede saranno poi consultabili i contenuti veri e propri, (“la conoscenza iGuzzini”) che dovranno essere inseriti successivamente dall’operatore401. La scheda si compone una parte fissa che viene compilata dal KM e che è costituita dal nome scheda, dalla descrizione della stessa, da eventuali etichette di riconoscimento, dall’operatore che dovrà compilarla,… e una parte dinamica che verrà riempita dal KE e che consente di personalizzarla a seconda delle esigenze. La scheda riportata nell’immagine successiva riguarda ad esempio l’intervista ad un architetto (Renzo Piano) che sicuramente si collocherà nell’ambito della voce di indice precedentemente creata che è “interviste”. Allo stesso modo, se si considera il modello di sviluppo di un nuovo prodotto e la voce di indice “analisi di mercato” sicuramente il KM non potrà fare a meno di inserire la struttura delle schede: analisi della concorrenza, analisi dei prezzi. Sarà poi il KE a personalizzare il tutto a seconda delle esigenze. M o d ifica sc h ed a D a t i sch e d a Alle g a t i e lin k So f t w a r e I n t e r vi s t a a l l ’a r c h it e t t o N om e D escrizione C am p o d i te s to lib e ro P er l’inserim ento di testo disposto in una sola riga (m ax 50 caratteri) M o d Eet lilc h e t t e o VTipologia o c e i n d i c e Sc h e d a 1 Operat ore Vo c e i n d ic e 2A utore P aolo R ossi Vo c e i n d i c e Sc e g l i i c o n a 2 . 1Icona D e t t a g li Lib re ria d i sch e d e A rea d i testo lib e ro i n d i c e P er l’inserim ento di testo disposto in m ultiriga S elezion e m u ltip la Vo c e d i i n d i c e 2 .1 P er la selezione di più voci tram ite check S e lezion e s in g o la Vo c e d i in d i c e P er la selezione di una sola voce tram ite bottone M en u a ten d in a P er la selezione di una voce da un m enù a scom parsa C am p o n u m e rico P er l’inserim ento di una quantità tram ite scorrim ento D ata D ata P er l’inserim ento di una data tram ite calendario P er l’inserim ento di una data tram ite calendario Sc e g l i i c o n a D ata P er l’inserim ento di una data tram ite calendario D ata P er l’inserim ento di una data tram ite calendario Trascina gli oggetti in quest’area An n u lla Immagine 11.4 Interfaccia creazione schede elaborazione 401 Sa lva n e lla lib r e r ia Sa lva e ch iu d i Fonte: nostra Le schede possono essere: schede già esistenti che vengono importate all’interno del modello da una “libreria” precostituita (in questo caso accedo alla libreria e con un motore di ricerca trovo quello che mi serve) oppure possono essere generate direttamente in fase di creazione del modello, qualora non ve ne fossero di disponibili nella libreria. La libreria è un archivio contenente diverse strutture di schede. Si arriva quindi in questo modo alla struttura completa del modello, composta da indice e da relative schede correlate. Ne vediamo una rappresentazione nell’immagine 12.4. Il modello viene quindi pubblicato, ovvero reso accessibile a tutti i KE destinatari dello stesso402. Il KM, però, non esaurisce qui le proprie funzioni: può infatti ricercare i modelli da lui creati, ricercare i contenitori di conoscenza, modificare le schede,….. Si tratta in realtà di funzioni secondarie sulle quali non intendiamo dilungarci. Andiamo ora ad analizzare il ruolo del knowledge executive. N u ova vo ce d i ind ic e N u ov a sc he da M od ifica s ch ed a D ettag li P u bb lica In via a H om e D ettagli scheda R eperim ento m ateriale corso e Learning C ontes to Interviste Interv ista all’architetto Interv ista al progettista interno Interv ista al progettista elettrico Interv ista al com m ittente (indic az ioni) A rticoli S TR U TTU R A M O D E LL O E lim in a L ib reria d i sch ed e Intervista all’architetto N om e D escrizione Etichette T ipo logia S ched a O peratore A utore P aolo R ossi Icona Scegli icona P rogetto R ealiz zazione D ati sch eda ... T esto libero S elezio ne singola P rova 1 ... prova 2 P rova 3 P rova 4 S oftw are Lightcam pus Immagine 12.4 Interfaccia modello completo di conoscenza url Fonte: nostra elaborazione Il KE crea contenitori di conoscenza a partire dai modelli costituiti dal KM. I contenitori di conoscenza altro non sono che la personalizzazione e la contestualizzazione dei modelli generici precedentemente creati: il KE, attraverso una procedura guidata (wizard) che lo conduce passo passo nelle operazioni che deve fare, va di fatto ad inserire elementi prettamente specifici della propria realtà aziendale, che fanno pertanto configurare quella conoscenza come conoscenza “tipica” e caratteristica iGuzzini. Il primo step nella creazione di un contenitore di conoscenza è la scelta di un modello, uno tra quelli che gli ha messo a disposizione il KM68. Come mostra la seguente figura. 402 Ci si potrebbe chiedere il motivo per cui la parte tecnica di creazione delle schede o della struttura generale non venga effettuata dalla società Nautes. La risposta è duplice: da un lato perché soltanto chi sta dentro i processi aziendali riesce ad articolare in modo corretto il modello di conoscenza; secondo poi CREAZIONE CONTENITORI Scegli un Modello Personalizza il contenitore Modifica indice Pianifica schede Pubblica il Contenitore Ricerca m odelli Parole chiave Inserire una o più parole chiave Etichette Selezionare una o più etichette Annulla Cerca Reperim ento m ateriale corso e Learning Descrizione: L'e-learning (traducibile come apprendimento elettronico) è un settore applicativo dell’IT che utilizza il complesso delle tecnologie Internet per distribuire online contenuti... Progetto illum inotecnico Descrizione: Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Nullam feugiat. Nam fermentum mi id mi. Proin vitae est. Nullam cursus tincidunt urna. Etiam id metus. Brief prodotto Descrizione: Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Nullam feugiat. Nam fermentum mi id mi. Proin vitae est. Nullam cursus tincidunt urna. Etiam id metus. Progettazione prodotto Descrizione: Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Nullam feugiat. Nam fermentum mi id mi. Proin vitae est. Nullam cursus tincidunt urna. Etiam id metus. M odello 1 Descrizione: Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Nullam feugiat. Nam fermentum mi id mi. Proin vitae est. Nullam cursus tincidunt urna. Etiam id metus. M odello 2 Descrizione: Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Nullam feugiat. Nam fermentum mi id mi. Proin vitae est. Nullam cursus tincidunt urna. Etiam id metus. M odello 3 Descrizione: Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Nullam feugiat. Nam fermentum mi id mi. Proin vitae est. Nullam cursus tincidunt urna. Etiam id metus. M odello 4 Descrizione: Lorem ipsum dolor sit amet, consectetuer adipiscing elit. Nullam feugiat. Nam fermentum mi id mi. Proin vitae est. Nullam cursus tincidunt urna. Etiam id metus. Annulla Non hai trovato il modello? Immagine 13.4 Interfaccia scelta del modello Avanti Fonte: nostra elaborazione Il secondo step del wizard prevede la personalizzazione del contenitore: esso non si chiamerà più genericamente “materiale corso e-learning”, ma ad esempio “corso e-learning del Sole 24 ore”, per continuare con l’esempio sopra citato. La personalizzazione prevede anche la possibilità di inserire immagini o ad esempio eliminare parti che non sono necessarie: il tutto per una migliore contestualizzione dell’oggetto di conoscenza. Ne vediamo una rappresentazione nell’immagine 14.4. Nel terzo e nel quarto step del wizard si procede poi con una ulteriore personalizzazione del modello, andando dapprima a modificare l’indice, ovvero la struttura ad albero precedentemente creata e poi a provvedere ad una corretta pianificazione delle schede, indicando ad esempio la data di consegna, l’operatore che la dovrà compilare, i suggerimenti nella compilazione, (è questa la su accennata parte dinamica della scheda, che consente di adattarla alle specificità aziendali)…. CREAZIONE CONTENITORI Scegli un Modello Personalizza il contenitore Materiale corso e learning Sole24Ore Modifica indice Pianifica schede Pubblica il Contenitore Dettagli contenitore Nom e contenitore Materiale corso e learning Sole24Ore Contesto Interviste Descrizione Intervista all’architetto Intervista al progettista interno Intervista al progettista elettrico sull’utilizzo del software. Non dimentichiamo che l’intento è quello di per responsabilizzare l’azienda Intervista al committente (indicazioni) Imm agine rendere l’azienda iGuzzini pienamente autonoma nell’utilizzo del software. Articoli 68 A questo scopo è previsto un motore di ricerca dei modelli. Ricordiamo che il KE non può creare dei Progetto modelli exRealizzazione novo: se non trova quello che si addice al suo caso invia richiesta al KM. La scelta del wizard per il KE scaturisce dal fatto che spesso i capi area hanno poco tempo e quindi poca pazienza per cercare all’interno del software le attività che devono compiere: è pertanto più utile, per ora, un sistema che li guidi nell’espletamento della loro attività. Etichette Sfoglia Annulla Salva e chiudi Indietro Upload Avanti Immagine 14.4 Interfaccia personalizzazione del contenitore Fonte: nostra elaborazione Con l’avanzamento negli step del wizard e quindi con la personalizzazione della struttura si viene a formare la vera e propria conoscenza iGuzzini. L’ultimo step del wizard previsto per il KE riguarda la pubblicazione del contenitore: il sistema riepiloga tutte le informazioni che sono state introdotte e procede quindi poi con la pubblicazione dello stesso, divenendo così disponibile a tutti gli operatori per la compilazione. Ovviamente il knowledge executive, considerando che è il soggetto deputato al publishing della conoscenza, avrà a disposizione un’interfaccia di monitoraggio e ricerca dei contenitori di conoscenza per vedere “lo stato di avanzamento dei lavori”. In esso potrà controllare se le schede sono state pubblicate, archiviate o semplicemente consegnate, dopodiché provvederà alla pubblicazione della conoscenza, facendola divenire di fatto conoscenza consultabile70. C R E A ZIO N E C O N TE N ITO R I S cegli un M odello P ersonalizza il con tenito re M odifica indici P ianifica schede P ubblica il C ontenitore R iepilo go sch ede M ateriale corso e learning S ole 24O re Interviste Intervista a R enzo P iano Intervista a R enzo P iano O peratore: P aolo R ossi C onsegna : 24 /12/2006 Intervista a C astiglioni O peratore: P aolo R ossi C onsegna : 24 /12/2006 Intervista al progettista elettrico O peratore: P aolo R ossi C onsegna : 24 /12/2006 Intervista al com m ittente O peratore: P aolo R ossi C onsegna : 24 /12/2006 Intervista al progettista C astiglioni Intervista al progettista elettrico Intervista al com m ittente (indicazioni) A rticoli A nnulla Immagine 15.4 Interfaccia pubblicazione del contenitore elaborazione S alva e chiudi Indietro P u bblica Fonte: nostra Vediamo ora il ruolo dell’ultimo soggetto rimasto da analizzare: l’operatore. Come detto prima l’operatore, a differenza degli altri due soggetti che lavorano sul client (ovvero sulla piattaforma iKnow), opera su web, occupandosi di fatto dell’inserimento del vero e proprio oggetto di conoscenza. Essenzialmente la parte web è suddivisa in due sezioni fondamentali: portfolio delivery, che è la parte dove si collocano le schede che devono essere compilate e che sono state precedentemente immesse dal KE (area verde) e archivio conoscenza, che è invece la parte di conoscenza già archiviata, consolidata e messa a disposizione di tutti (area rossa). 70 Si vedrà meglio tra poco la parte relativa alla conoscenza archiviata. Anche per il KE le funzioni di iKnow non si limitano a questo: sarà per lui possibile ricercare contenitori (ricerca semplice o avanzata),…. Immagine 16.4 Interfaccia lato web elaborazione Fonte: nostra Nell’area portfolio delivery l’operatore si trova le schede da compilare, (precedentemente passate in mano a KM e KE), con evidenziate le priorità e le date di consegna. Qui di seguito vediamo l’interfaccia che appare cliccando sopra l’icona “portfolio delivery”. Selezionando una di queste schede l’operatore accede alla parte che egli deve redigere, potendo anche vedere i suggerimenti che sono stati forniti per la compilazione e quant’altro inserito precedentemente. La scheda da compilare si compone di tre parti: quella dedicata all’inserimento di dati, quella indirizzata all’apposizione di allegati e quella rivolta all’interfacciamento con altri software71. Come dimostra la successiva immagine. 71 La parte di interfacciamento ad altri software deve essere ancora messa a punto; da notare come tutto ciò che è stato teorizzato sia stato già fin da ora messo in pratica. Immagine 17.4 Interfaccia compilazione scheda Fonte: nostra elaborazione Da ultimo, dopo aver compilato la scheda, l’operatore dovrà consegnare la stessa al knowledge executive tramite il normale processo di pubblicazione; il KE a sua volta procede al controllo per l’archiviazione di conoscenza. Questi i ruoli dei knowledge workers e le funzionalità di iKnow. Rimane soltanto un ultima sezione da trattare: quella relativa alla consultazione della conoscenza archiviata. La consultazione della conoscenza archiviata può essere effettuata, come visto sopra, da qualsiasi utente interno all’azienda. Accedendo tramite una maschera di log in dove inserire username e password l’utente ha subito evidenziati gli ultimi inserimenti nell’archivio (collocati a sinistra) e le schede informative più visitate (collocate a destra), alle quali si può accedere immediatamente. Ogni scheda è composta da nome, data archiviazione e contenitore d’appartenenza. La figura seguente mostra l’interfaccia che appare all’utente consultatore di conoscenza. Schema 18.4 elaborazione Interfaccia consultazione conoscenza Fonte: nostra Accedendo poi ad un qualsiasi oggetto di conoscenza si apre l’interfaccia che appare in figura 20.4403. La scheda si compone di una parte centrale per una visualizzazione e consultazione veloce delle informazioni (troviamo infatti al centro l’immagine, il responsabile,…), a destra sono collocati i link a tutti i software di KM presenti in azienda che potrebbero tornare utili all’utilizzatore e altri eventuali collegamenti che si ritiene possano servire per avere delucidazioni su quella particolare conoscenza. Infine sulla parte sinistra della scheda troviamo la struttura del contenitore cui essa appartiene. Contenitore dal quale è possibile accedere rapidamente, tramite un semplice click, a tutti i contenuti ad esso appartenenti. 403 La disposizione dei contenuti all’interno del software è un concetto che verrà successivamente ripreso. Schema 19.4 Interfaccia scheda di conoscenza elaborazione Fonte: nostra Si possono inoltre effettuare ricerche trasversali tra le schede archiviate, cliccando sulle parole chiave (responsabile, etichette, operatore) che le caratterizzano: in questo modo vengono visualizzati tutti gli oggetti di conoscenza che hanno la stessa parola chiave selezionata404. I risultati della ricerca possono essere ulteriormente filtrati e ordinati secondo diversi criteri in quanto talvolta le liste selezionate potrebbero essere molto lunghe. Inoltre un motore di ricerca interno permette di selezionare rapidamente tutta la conoscenza archiviata ma anche quella delivery. Questo è iKnow. E’ vero che la parte descritta in questo paragrafo è una parte piuttosto tecnica e forse talvolta di difficile comprensione, ma è anche vero che è di fondamentale importanza per comprendere tutti gli aspetti precedentemente trattati in merito alla strategia e al metodo Nautes, nonché per capire tutti gli elementi che verranno di seguito illustrati: dai benefici del sistema in questione, agli sviluppi futuri dello stesso. Procediamo ora con l’illustrazione degli ultimi e conclusivi aspetti del capitolo. 4.2.5 I benefici attesi dal nuovo sistema di knowledge warehousing Prima di procedere con la trattazione del seguente paragrafo ci sembra utile fornire qualche breve informazione in merito al fattore “costo” del progetto iKnow405. Dalla tabella 4.4 la prima impressione 404 La ricerca può essere effettuata anche secondo altri criteri: ad esempio cliccando su di un qualsiasi contenitore di conoscenza appare una lista di contenitori correlati, ossia di contenitori che derivano dallo stesso modello. Se il contenitore riguarda quindi il corso e-learnig del sole 24 ore, i contenitori correlati saranno costituiti da tutti gli altri corsi e-learning presenti in azienda. 405 In relazione a quanto descritto in precedenza si riporta nel seguito la parametrizzazione economica inerente la proposta, suddivisa per le seguenti voci di prezzo: Prezzi inerenti il supporto consulenziale per la durata del progetto, Prezzi inerenti la progettazione e lo sviluppo della Piattaforma, Prezzi inerenti che si avverte è quella di una spesa piuttosto ingente per l’introduzione del software: certamente la cifra presa di per sé potrebbe sembrare alta e ingiustificata per un progetto di gestione della conoscenza, ma vogliamo citare a riguardo le parole dell’Ing. Mandozzi riferite al brief elettronico di prodotto, concepito da Nautes per i Guzzini nel 2004. Il costo del brief eletteronico ammontava a circa 100.000 €. Alla domanda rivolta in merito al payback period, l’Ing. Mandozzi ha risposto che: “Il periodo di recupero dell’investimento è molto molto breve, seppur non quantificabile in modo preciso. Posso affermare con certezza che il costo è stato riottenuto con una sola linea di prodotto e in meno di un anno. Inoltre il tempo che il software ci permette di risparmiare lo possiamo investire in altro modo, andando di fatto ad incrementare ulteriormente il profitto d’impresa”. installazione, configurazione e tuning di Sistema, Prezzi inerenti servizi di formazione operativa, Prezzi inerenti servizi di assistenza e manutenzione. Abbiamo ragione di ritenere che lo stesso discorso possa essere perfettamente traslato ad iKnow: non andiamo qui a stimare in quanto tempo verrà recuperato l’investimento406, ma siamo fermamente convinti che l’applicativo consentirà di risolvere molte delle problematiche sopra esposte, convenendo di fatto all’ottenimento di numerosi benefici. Senza considerare poi il fatto che al di là dei costi di progetto, come d’altronde tutti gli altri strumenti di gestione della conoscenza introdotti da Nautes, non si tratta tanto di mezzi optional per l’azienda, quanto di vere e proprie necessità, con uno scopo ed una missione ben definiti. La loro introduzione pertanto si configura come un obbligo, facendo passare in secondo piano il fattore costo appena citato. Qui di seguito riportiamo la proposta economica Nautes. PREZZO (euro) AMBITO Supporto consulenziale per la durata del progetto (Sett. 07 – Genn 08) Progettazione e sviluppo della Piattaforma Software Installazione, Configurazione e Tuning di Sistema Servizi di formazione operativa UNA TANTUM 18.700,00 42.730,00 1.000,00 1.850,00 5.500,00 Servizi di assistenza e manutenzione TOTALE Tabella 4.4 Proposta economica Nautes ANNUALE 64.280,00 5.500,00 Fonte: nostra elaborazione Per essa valgono le seguenti considerazioni. Il lavoro di supporto consulenziale per la durata del progetto (5 mesi) vedrà coinvolte figure di tipo Consultant e Professional; il prezzo è stato calcolato considerando due mesi /uomo suddivisi in percentuale uguale per le attività così come indicate nella prima fase del progetto: incontri e interviste al management, raccolta informazioni attività e documentazione, studio oggetti da modellizzare, validazione dei modelli, supporto operativo a regime. Per la progettazione e sviluppo della piattaforma definiti secondo le specifiche riportate in fase due sono state stimate giornate di lavoro distribuite per il livello professionale coinvolto e per voce di dettaglio. Sono state previste cinque giornate di formazione operativa da parte di personale Professional sull’utilizzo del sistema onsite presso la iGuzzini. I servizi di assistenza e manutenzione sono considerati inclusi per la durata di sei mesi dall’installazione del SW presso il cliente da parte di Nautes. Fatta eccezione per i primi sei mesi a decorrere dall’installazione dei 406 Anche se sarebbe interessante stimare il periodo di recupero dell’investimento, si tratta di un’analisi che esula dal nostro lavoro. Un altro aspetto ci preme ricordare in quest’ambito: il mio contributo è stato praticamente minimo nell’elaborazione dei costi del progetto, non avendo l’esperienza per poter decidere i prezzi da applicare. Soltanto con una profonda conoscenza degli strumenti che si andranno ad installare si può capire anche quale prezzo far pagare al cliente. moduli sviluppati, il servizio di manutenzione avrà un canone ricorsivo annuo fissato come da tabella pricing riassuntiva407. Ad oggi, gli uffici della iGuzzini illuminazione utilizzano applicativi diversificati dotati di database spesso ridondanti e non sempre comunicanti tra loro, che danno come risultato finale una gestione non coordinata né integrata della conoscenza aziendale. IKnow ha l’obiettivo di risolvere questi problemi e di permettere all’azienda di lavorare in modo migliore, for a better light408. Dopo questa breve illustrazione sulla dinamica dei costi passiamo ora in rassegna i potenziali benefici che il sistema sarà in grado di apportare all’azienda. Si parla di benefici potenziali poiché, essendo iKnow uno strumento non ancora attivo ed implementato, non si possono di fatto riscontrare concretamente i vantaggi che esso è in grado di offrire. Riprendendo la classificazione riportata nel secondo capitolo (benefici economici, tecnologici ed organizzativi) abbiamo ragione di ritenere che409: iKnow consentirà di ottenere innanzitutto enormi risparmi di tempo e denaro grazie ad un’oculata gestione della conoscenza ad oggi esistente: diffondere le conoscenze all’interno di tutta l’organizzazione avendo un accesso più facile e veloce alle stesse; acquisire maggiore capacità di conservazione delle conoscenze interessate, che divengono così meno soggette alle vicende dell’operatore e meno soggette a usura fisica; ottenere maggiore flessibilità di impiego per la possibilità di modificare più agevolmente le conoscenze in questione e infine avere maggiore trasferibilità all’esterno, utilizzando dei linguaggi adatti sono tutti elementi che consentono di fatto di ottenere significativi vantaggi da un punto di vista economico410. Per ciò che concerne, invece, i vantaggi che vengono addotti dall’introduzione della tecnologia iKnow411 prendiamo in considerazione due diversi punti di vista. Per il dipendente si tratta di beneficiare di un’interfaccia di lavoro migliore che ha un unico punto di accesso a informazioni e strumenti, di disporre di un linguaggio comprensibile ed intuitivo per accedere sia alla conoscenza storica che a quella in tempo reale direttamente utilizzabili, di servirsi di un sistema personalizzato e dinamico che risponde alle esigenze delle diverse categorie di utente. Si tratta anche di trarre profitto da una maggiore collaborazione perché la comunicazione è più veloce, efficiente e diffusa, di conseguire una maggiore produttività perché le informazioni sono quelle rilevanti, di conquistare una maggiore facilità di amministrare e autoamministrarsi in virtù della chiarezza e della semplicità delle informazioni a disposizione e infine di avere un’informazione integrata perché condivisibile con altre applicazioni. Per citare un esempio412: accedendo al programma iKnow l’individuo ha di fatto l'ingresso a tutta la conoscenza presente in azienda, non soltanto quella inerente lo specifico programma, ma anche quella catalogata all’interno degli 407 Modalità di pagamento: 30% al momento della sottoscrizione dell’offerta, il 30% a novembre ‘07, 20% a dicembre ‘07 e il restante 20% a gennaio ’08, a conclusione lavori. L’offerta è stata accettata dal cliente. 408 Per una luce migliore: slogan iGuzzini per una delle loro campagne promozionali. 409 I benefici che vengono di seguito citati consentiranno di fatto di risolvere le problematiche sopra citate e di raggiungere gli obiettivi stabiliti per iKnow. 410 E’ stato già detto nel secondo capitolo come tali vantaggi siano più da analizzare caso per caso che non in termini generali ed è stato già ribadito come non è questa la sede che consente di calcolare il risparmio di costi. Sta di fatto che gli esempi di aziende che hanno ottenuto un significativo risparmio economico è numeroso e iGuzzini con iKnow non si sottrae a questo meccanismo. Qualora si decida di implementare un sistema di KM e qualora tale implementazione sia corretta, i benefici in termini di risparmio di costi sono pressoché certi. 411 Per approfondimenti sulle tecnologie di KM si veda § 2.2.3. 412 Riportiamo in quest’ambito tutti i potenziali benefici che iKnow sarà in grado di apportare. Sarebbe interessante per ognuno di essi fornire un esempio chiarificatore, al fine di comprendere meglio il reale vantaggio che verrà fornito. Per motivi di spazio ma anche di monotonicità del lavoro abbiamo deciso di elencare un esempio per ogni categoria di benefici. In fondo si tratta di aspetti che riprenderebbero quello che è stato già trattato nel precedente paragrafo. altri software come ad esempio il brief elettronico o il CRM. Grazie pertanto all’ interfacciamento previsto dal nostro applicativo che consente di avere un unico “portale”, invece che molti si può ottenere anche un continuo miglioramento nel suo utilizzo, velocizzando di fatto i tempi di svolgimento delle proprie attività. Anche per l’azienda i benefici non sono meno rilevanti: oltre ai “classici” vantaggi di un migliore “raccolto” dagli asset di conoscenza in termini di condivisione e riutilizzo, miglioramento della memoria istituzionale e del mantenimento degli asset corporate, maggiore capacità di controllo sui processi di creazione, archiviazione, accesso e uso dell’informazione, iKnow presenta anche altre caratteristiche che consentono di raggiungere significativi risultati. E’ un sistema scalabile e pertanto supporta architetture con più server distribuiti; alleggerisce le funzioni aziendali da una serie di richieste di elaborazioni standard per la produzione di report; sgrava gli altri sistemi informativi da continue richieste di dati. Inoltre la tempestiva disponibilità delle informazioni consente di avere maggiore efficacia ed efficienza di gestione413. Basti pensare a come sarà di fondamentale importanza per l’azienda disporre di un sistema all’interno del quale possa essere contenuta tutta la conoscenza iGuzzini: non più perdite di tempo nella ricerca dell’interessato che ci deve fornire l’informazione, non più migliaia di documenti presenti sulla scrivania che creano confusione ed errori, non più “momenti morti” per la mancanza di un file per procedere con il lavoro. Rimangono ora da analizzare i benefici in termini organizzativi che iKnow sarà in grado di apportare: - Miglioramento della qualità del prodotto e quindi delle fasi di progettazione e sviluppo dello stesso. Già il brief elettronico, secondo quanto sostiene l’Ing. Mandozzi, aveva consentito di migliorare notevolmente la qualità del prodotto, mettendo di fatto a disposizione un’eccellente conoscenza metodologica ed organizzativa. Necessariamente iKnow consentirà di ottenere il medesimo risultato: catturando i contributi del commerciale, del marketing, della progettazione e di tutte le altre funzioni aziendali, catalogando gli stessi in maniera razionale e lineare e quindi favorendo l’accesso ad una nuova conoscenza “di qualità”, il progetto di creazione del nuovo prodotto avanzerà in modo più rapido ed efficiente grazie appunto alla disponibilità delle “informazioni giuste al momento e nel posto giusto”. Basti pensare all’area marketing e progettazione iGuzzini: quale miglior facilitatore di iKnow? I problemi insiti in queste aree sono molteplici: dalla inefficiente comunicazione, alle incertezze nello sviluppo del prodotto, dalle confusioni documentali alle ridondanze degli strumenti esistenti. Il nuovo applicativo di knowledge warehousing consentirà a tutta l’organizzazione di lavorare meglio; - Miglioramento della pianificazione aziendale. Per una corretta pianificazione aziendale le informazioni devono essere condivise ai diversi livelli e l’autorità decisionale va ampiamente distribuita. IKnow, offrendo un accesso sistematico ai dati aziendali, è strumento di eccellenza per il supporto al processo decisionale: le informazioni di un software di knowledge warehouse sono pertanto fonti preziose da cui attingere nel processo di pianificazione; 413 Iknow è un sistema che per ora è accessibile soltanto ad utenti interni all’azienda. Nonostante questo però esso potrà consentire significativi miglioramenti delle relazioni esterne all’impresa grazie ad una eccellente catalogazione delle informazioni aziendali. - “Abolizione” dei processi di change management: come più volte ribadito nel corso del lavoro l’approccio Nautes, ma in particolar modo iKnow (che si tratta di un sistema che coinvolge tutta l’organizzazione) non implica cambiamenti organizzativi. Certo è che si tratterà di introdurre nuovi compiti e nuove competenze nell’utilizzo del sistema, sicuramente si tratterà di effettuare piccoli cambiamenti per arginare le difficoltà che si potrebbero presentare, ma sta di fatto che il nostro intento è quello di impattare il meno possibile sull’assetto d’impresa, onde evitare che lo strumento venga “rigettato” dall’organizzazione. Non a caso anche lo stesso software è molto semplice da utilizzare414: le giornate di formazione previste sono soltanto cinque e inoltre non ci sono particolari complicanze tecnologiche che richiedono cambiamenti organizzativi; - Sviluppo di un insieme di altri elementi che potrebbero essere così riassunti: differenziazione dai competitors tramite uno strumento che consente di avere nei loro confronti un forte vantaggio competitivo, creazione di un nuovo canale di comunicazione interna, utilità nel tempo dell’applicativo in quanto personalizzabile e modificabile; velocizzazione dell'inserimento di nuovi collaboratori che sono capaci di accedere fin da subito a tutte le informazioni di cui necessitano. Basti pensare al caso in cui un dirigente lascia il suo posto di lavoro. Se egli non ha depositato tutti i propri saperi in azienda, sicuramente il suo successore non avrà “vita facile” nel proseguire l’attività che gli è stata affidata; qualora invece abbia provveduto a documentare tutte le proprie mansioni e tutti i propri saperi il nuovo ingresso dirigenziale sarà sicuramente più agevole. - Avviare processi di co-progettazione con gli utenti, in cui le persone che dovranno operativamente utilizzare il sistema siano coinvolte come parte attiva della progettazione. Questa modalità consente di individuare una soluzione che sia quanto più possibile vissuta come uno strumento di lavoro necessario e imprescindibile, riducendo il rischio di rifiuto da parte delle persone. La sfida in questo caso è di fare in modo che venga progettato uno strumento molto vicino alle pratiche di lavoro attuali ed auspicate delle persone, riducendo la necessità di particolari meccanismi incentivanti per l'utilizzo. Progettare congiuntamente le specifiche tecniche ed organizzative della soluzione di knowledge management significa che: a fianco di uno strumento tecnico è necessario prevedere meccanismi per la sua gestione, alimentazione e sviluppo che tengano conto del contesto organizzativo nel quale la soluzione si colloca, prevedendo la definizione di figure organizzative e processi ad hoc. A testimonianza che la molteplicità dei benefici che abbiamo appena elencato non sia soltanto una “descrizione di un bel sogno che non si avvera”, citiamo alcuni esempi che testimoniano come un sistema di knowledge warehouse, ma in generale un qualsiasi sistema di KM correttamente implementato, possano condurre a risultati eccellenti e all’ottenimento di significativi vantaggi per l’azienda415. La Boehringer Ingelheim, ha inserito di recente il sistema Google GSA: l’impresa impiegava il 15% del suo tempo lavorativo nella ricerca dei documenti e delle informazioni necessarie per l’espletamento delle sue 414 Il fatto che lo strumento sia di facile utilizzo è stato sperimentato proprio su di me, persona esterna e poco pratica di sistemi KM. Entrare nel meccanismo è semplicissimo e si imparano fin da subito anche tutte le particolarità del sistema. 415 Gli esempi sono tratti da: http://www.webb.it/event/eventview/5767/1/286,232/ attività, con una conseguente perdita di efficienza e di produttività da parte degli individui. Investire risorse per la risoluzione di questa problematica ha portato notevoli benefici: - Miglioramento delle performance; - Risparmio di tempi e costi; - Semplificazione dei processi; - Miglioramento della qualità interna ed esterna; - Sviluppo della conoscenza aziendale. Anche il progetto MILK ( Multimedia Interaction for Learning and Knowing), progetto a livello europeo che oltre alla gestione documentale si propone di attivare la comunicazione tra persone che si collocano in luoghi e tempi diversi, consentirà alle aziende che decideranno di avvalersene di: - Progettare e realizzare una soluzione di knowledge management che supporti il lavoro dentro e fuori l’organizzazione; - Ridurre tempi di lavoro e i costi ad essi connessi; - Conseguire risultati migliori rispetto al passato in termini di quantità e qualità. Da questi esempi si coglie come i benefici di un sistema di KM416 siano pressoché garantiti quando il progetto è ben concepito e ben utilizzato da parte dell’organizzazione: anche iKnow, pertanto, non può essere avverso a questo destino, considerando la progettazione effettuata e la realtà all’interno della quale si andrà ad inserire. Ovviamente iKnow non è un sistema perfetto e infallibile: sicuramente l’idea di una panacea alla definitiva risoluzione dei problemi organizzativi è bel lontana dall’essere creata e di certo non può essere ravvisata nel software di cui stiamo parlando. Basti pensare che durante la fase di revisione del prototipo ad oggi esistente abbiamo già riscontrato la presenza di alcuni errori e di alcune migliorie che potrebbero essere effettuate417. Ne citiamo qui di seguito alcuni: - Nella fase di creazione delle schede da parte del knowledge manager, esse non possono essere contemporaneamente salvate nella libreria e nel modello che si sta delineando. Sarebbe utile, pertanto, poter apportare questa modifica che consenta di evitare inutili duplicazioni di attività; - Alcuni campi obbligatori del sistema (come ad esempio la data di consegna, l’indicazione dell’operatore), non sono funzionanti, consentendo di fatto la prosecuzione del lavoro anche senza una loro compilazione; - Nell’area della conoscenza archiviata, quando si decide di “filtrare” un particolare contenuto, non tutti i criteri di filtraggio funzionano (ad esempio quando si accede alla scheda “concorrenti di riferimento” e si sceglie di andare a consultare tutte le altre schede che come quella sono state create nell’ultimo mese, il programma non risponde)418; 416 La sigla KM assume in questa parte conclusiva il suo significato originario di knowledge management. 417 Mi sono occupata in prima persona della fase di testing del software. Accedendo con le diverse tipologie di utente avevo il compito di evidenziare eventuali anomalie che si verificavano durante l’utilizzo dello stesso ed apportarvi quindi correzione. Si tratta di errori piuttosto tecnici, ma a titolo esemplificativo ne riportiamo alcuni che con un’adeguata lettura del precedente paragrafo possono essere facilmente compresi. 418 Ricordiamo in quest’ambito come i pochi contenuti inseriti nel software non derivano da un processo di analisi e modellizzazione della conoscenza aziendale, ma bensì da alcune prove che abbiamo effettuato per vedere la funzionalità del prototipo. - Al momento della creazione di un nuovo utente, qualora si verifichi l’ipotesi di inserire una username già usata, il sistema annulla automaticamente tutto ciò che è stato creato fino a quel momento, non consentendo invece la sola modifica della password; - La funzione di invio newsletter non sempre è attiva e pertanto non sempre è possibile contattare gli altri utilizzatori del software; - Rimane da perfezionare tutta la parte relativa al collegamento con gli altri applicativi presenti in azienda419. A queste problematiche si sta ponendo risoluzione. Ciò che ci preme sottolineare a conclusione di questo paragrafo è che il sistema sicuramente presenterà in fase di introduzione delle difficoltà da superare e degli ostacoli ad oggi non previsti (sia per Nautes che per iGuzzini); ma tutto lascia sperare che la situazione evolva per il meglio, garantendo una rapida quanto efficace introduzione del software. Questa visione particolarmente ottimistica della situazione scaturisce dalla considerazione di alcuni elementi postivi che agevolano enormemente l’ingresso di iKnow. Innanzitutto l’azienda con cui si sta lavorando (iGuzzini) è una realtà molto propensa all’innovazione tecnologica: abbiamo già citato come sia una delle poche imprese marchigiane che si sta dotando di strumenti di KM evoluti. Ciò fa presumere che non ci saranno particolari difficoltà di “accoglienza” da parte dei manager iGuzzini: iKnow entra in un terreno già ampiamente collaudato dove problematiche di non condivisione della conoscenza per la perdita di potere o di reticenza all’uso di nuove tecnologie costituiscono questioni superate ormai da tempo. Tutto questo è rafforzato dal fatto che iKnow entra in azienda per rispondere a gravi problematiche che impediscono di lavorare bene: l’idea che un software possa consentire di risolverle è già di per sé un buon biglietto da visita per l’accettazione del sistema. L’unico “timore” che i manager iGuzzini hanno manifestato al momento della presentazione di iKnow è stato quello “Di non avere tempo per l’espletamento delle attività richieste a ciascun ruolo previsto dal sistema”. In realtà si tratta di una problematica di poco conto che verrà immediatamente e naturalmente risolta al momento di utilizzo pratico dell’applicativo: i manager realizzeranno fin da subito che il tempo richiesto per il mantenimento di iKnow è praticamente minimo rispetto al tempo che lo stesso consentirà di risparmiare. Un altro elemento di successo di iKnow concerne il fatto che esso scavalca il rischio, come citato nel secondo capitolo, di introdurre un approccio parziale al KM: come verrà in seguito chiarito e come in parte è stato già detto nell’elencazione dei benefici di iKnow, esso non è un semplice archivio di conoscenza da utilizzare in modo sterile e del tutto spersonalizzato; inutile ribadire ulteriormente questo concetto. Il fatto che sia orientato al lungo periodo poi, consente una sua integrazione nelle strategie d’azienda, con conseguente utilizzazione a supporto dei processi decisionali. Avere insomma una “banca dati” unificata, dove poter reperire in modo semplice e veloce tutte le informazioni di cui si necessita consentirà ad iKnow di ottenere e far ottenere successo. 419 Mentre per ciò che riguarda il funzionamento del software abbiamo per esso mostrato nel precedente paragrafo le immagini relative poiché anche se a livello primitivo esso presenta una struttura ben definita che rimarrà pressoché uguale nel corso del tempo, per la parte dedicata al collegamento con gli altri applicativi, essendo ancora in fase di revisione, abbiamo preferito non mostrare alcuna immagine. 4.2.6 Alcuni segreti da svelare In questo paragrafo prenderemo in considerazione gli sviluppi futuri di iKnow nonchè le sue “applicazioni trasversali”, in coerenza con l’approccio delineato nel terzo capitolo. Occorre fare però una premessa prima di iniziare con la trattazione degli aspetti appena citati: l’evoluzione di iKnow è frutto di una nostra elaborazione sulla base delle esigenze future dell’azienda e della situazione che ad oggi è presumibile prevedere420. Considerando però la dinamicità e la rapidità con cui evolvono contesti e tecnologie, molto probabilmente gli aspetti che vengono qui citati potrebbero essere facilmente disattesi in futuro, magari per il venir meno di alcune variabili che ad oggi sono state considerate importanti421. Elenchiamo qui di seguito alcuni miglioramenti che abbiamo previsto per iKnow negli anni a venire: - Essendo uno strumento di condivisione della conoscenza abbiamo immaginato che possa essere utile consentire l’accesso allo stesso anche a filiali estere iGuzzini e non soltanto quindi a individui interni all’azienda. Siamo fermamente convinti che una buona idea possa provenire da chiunque nell’organizzazione, ma soprattutto che ciascuno di noi sia detentore di preziose informazioni che occorre saper sfruttare: perché non arricchire, quindi, iKnow delle conoscenze depositate nelle filali estere? Per l’attivazione di questo processo si necessiterà pertanto la traduzione multilingua del software e l’introduzione di un sistema che consenta di traslare immediatamente alla lingua italiana quanto inserito ad esempio da iGuzzini Detushland e viceversa422; - L’interfacciamento con altri software è sicuramente uno degli aspetti distintivi di iKnow: esso consente di consultare, a partire da una qualsiasi interfaccia dello stesso applicativo, tutta la conoscenza presente negli altri sistemi di KM. Si pensi però alla possibilità che potrà essere fornita agli utenti, non soltanto di consultare le conoscenze, ma anche di trasferire e spostare le stesse da un sistema all’altro. Pertanto: se ad esempio sono nell’interfaccia di consultazione di una scheda e necessito di accedere ad un’informazione contenuta nel sistema CRM, ad oggi posso entrare e visitare la stessa conoscenza tramite le funzionalità esistenti e previste per iKnow. Con il nuovo applicativo si potrà invece “esportare” tale conoscenza (e non soltanto consultarla) all’interno della scheda che si stava osservando, in modo tale che ad una successiva rivisitazione della stessa l’utente non necessiti di ricercare di nuovo l’informazione nel sistema CRM. Anche qualora non si abbia necessità di questa particolare conoscenza l’utilizzatore trova nella scheda un link che potrebbe essere comunque d’aiuto; - Dotare i motori di ricerca presenti in iKnow (ad esempio quello per la ricerca della conoscenza archiviata, o quello per la ricerca delle schede, dei contenitori o dei modelli,…) di un sistema di web semantico così come descritto nel terzo capitolo. Questo sistema consentirebbe l’individuazione più immediata e mirata della conoscenza che si sta cercando. Se ad esempio si necessita avere informazioni in merito all’illuminazione di strade basterà digitare letteralmente nel motore di ricerca il termine 420 Ci si potrebbe chiedere come mai siano presenti già degli sviluppi futuri del software che però non vengono applicati. Non si tratta di una contraddizione: ad oggi le esigenze dell’azienda non richiedono questi tipi di evoluzioni, che pertanto se introdotte sarebbero praticamente inutilizzate; abbiamo comunque deciso di avanzare delle proposte per avere un comportamento proattivo e propostivo qualora si manifestasse la necessità di apportare modifiche. 421 Proprio per questo motivo non dedichiamo molto spazio a questa sezione. 422 Il sistema viene richiesto per velocizzare la circolazione delle informazioni. Basti pensare a quanto tempo si perderebbe se la sede centrale di Recanati dovesse tradurre tutto ciò che gli deriva dalla filiale tedesca. “illuminazione di strade”. Ad oggi invece il sistema non è così agevole: “l’illuminazione di strade” si trova attualmente catalogata sotto la voce di conoscenza “illuminazione esterna”; pertanto se non si digita la parola “esterno” non si accederà neanche alla conoscenza che si vuole trovare; - Sarebbe poi interessante introdurre nel sistema di knowledge warehouse anche un sistema di data mining: esso consentirebbe di “scavare” nei dati per svelare, attraverso algoritmi statistici, le relazioni che esistono tra gli stessi in modo tale da riuscire a costruire una visione più completa ed esplicativa del proprio business. Un esempio potrebbe consentire di comprendere meglio quanto appena detto: un sistema di data mining può individuare gruppi di clientela con attitudini, gusti e comportamenti simili. Inutile ribadire come l’identificazione e lo studio di questi rappresenterebbe un valido supporto per definire strategie commerciali, di prodotto e promozionali; - Includere applicazioni analitiche che offrano funzionalità predefinite per misurare, da vari punti di vista, l’andamento del business e l’efficacia delle azioni scaturite dal processo decisionale (ad esempio introdurre un insieme di indicatori calcolati automaticamente che poi vengono utilizzati per lo svolgimento di azioni di tipo operativo); - Velocizzare l’attività degli utilizzatori attraverso alcuni accorgimenti quali: inserimento di uno schema riassuntivo della conoscenza contenuta nell’archivio, in modo tale che colui che vi accede riesca ad analizzare fin da subito se si tratta di ciò che sta effettivamente cercando o meno; eliminazione graduale della procedura guidata (wizard) prevista per il KE, per consentire uno svolgimento più rapido delle proprie funzioni (ovviamente ciò va fatto con il trascorrere del tempo e con l’incrementare della manualità con il sistema, altrimenti si rischia di ottenere l’effetto contrario), si potrebbe poi permettere di inserire contenuti (knowledge asset) anche ad altri utenti che non sono operatori, anche in questo caso per rendere più flessibile il sistema423; Prima di passare all’analisi del secondo aspetto sopra citato ci preme fare richiamo ad un argomento ad oggi molto sentito: i sistemi open source. Ormai da tempo sono scaricabili da internet in maniera totalmente gratuita programmi di KM di vario tipo. Viene pertanto da chiedersi: perché spendere 64.000 € per un software di knowledge warehouse quando è possibile prenderlo da internet ed utilizzarlo a costo zero? Quello che vogliamo sottolineare in quest’ambito è che i sistemi open source hanno delle finalità totalmente differenti rispetto ad un sistema di KM che viene progettato ex novo da una società di 423 Da notare come queste evoluzioni (in coerenza con quanto detto prima), non possono essere introdotte fin da subito. Genererebbero confusione e scarsa ”complicità” con il sistema. Per adesso è stato infatti previsto che la modalità migliore di operare è quella della suddivisione in tre livelli (i tre livelli sopra citati), che prevede la ripartizione di compiti e ruoli: in questo modo si consente di approcciare al software in modo graduale. Per il futuro, oltre agli aspetti appena citati, sarebbe interessante creare un applicativo di knowledge warehouse predefinito, ovvero contenente informazioni standard, già predisposte, che riguardano funzioni caratteristiche d’impresa: come ad esempio per gli acquisti si potrebbe prevedere la voce fatture in sospeso, grado adempimento fornitore, tempi di consegna. Per le vendite ad esempio il fatturato per cliente, ordini evasi ed inevasi. Per la gestione merci i resi a fornitore, i margini di acquisto… Si tratta di informazioni che tutte le aziende usano e che spesso necessitano di essere catalogate: perché non creare a priori queste informazioni? In questo modo si potrebbe dar vita ad un sistema utile per una molteplicità di aziende, in quanto contenente informazioni già predisposte. Quello che rimarrebbe da fare è infatti soltanto la fase di personalizzazione del software con le conoscenze tipiche d’impresa. consulenza. Questo perché i primi, essendo “confezionati”, contengono sistemi praticamente standard ai quali l’azienda si deve adattare; il lavoro che invece viene svolto da una società di KM mira a valorizzare le conoscenze specifiche dell’impresa cliente, costruendo una soluzione ad hoc e non standardizzata. E’ difficile trovare imprese con lo stesso sistema di KM. Non vogliamo però in questa sede denigrare i sistemi open source, quanto sottolineare che tutto dipende dalle finalità che l’impresa deve soddisfare: a seconda delle sue esigenze andranno a pennello dei sistemi ad hoc di KM oppure saranno sufficienti delle soluzioni standard tipiche dei sistemi open source. Ad esempio se l’impresa ha bisogno di un semplice archivio dati, non ha senso rivolgersi ad una società di consulenza, andranno benissimo le soluzioni che si trovano in mercato. Viceversa qualora si tratti di risolvere problematiche complesse e di diagnosticare la risposta più giusta a queste problematiche molto probabilmente non sarà sufficiente un semplice archivio dati. Tutto dipende da ciò che si deve fare. Andiamo ora ad analizzare le potenzialità nascoste di iKnow, in coerenza con quanto espresso nel terzo capitolo. Il nuovo applicativo di cui abbiamo fin qui discusso non può dimenticarsi che KM significa anche qualcosa in più rispetto all’attività di gestione della conoscenza. Abbiamo citato precedentemente come negli odierni contesti competitivi occorra saper sfruttare tutti gli aspetti che un sistema mette a disposizione, non soltanto quelli che sono stati progettati e quelli per cui il software è nato, ma anche quelli che sono più celati, non facili da vedere ma che potrebbero apportare numerosi benefici. Questo discorso dovrebbe essere applicato alla totalità dei sistemi di KM che vengono creati, anche per quelli che come iKnow sembrano essere ben progettati, validi e pertanto buoni sistemi già di per sè. Non a caso lo stesso approccio Nautes nell’elaborazione dei propri applicativi prevede sempre e comunque un surplus, un valore aggiunto che non fa configurare i propri sistemi di KM soltanto come strumenti di gestione della conoscenza, ma bensì come metodi per ottenere vantaggi non inizialmente previsti. Il brief elettronico di prodotto ne è un esempio evidente: nato come facilitatore dell’attività dell’ufficio marketing e progettazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, esso si è arricchito nel corso del tempo di strumenti quali ad esempio l’elaborazione del budget delle vendite, la scheda concept di prodotto, le tecniche di fissazione del prezzo,…. Tutto ciò ha consentito al brief elettronico di svolgere mansioni non inizialmente previste, decretando di fatto la nascita di un vero e proprio strumento di apprendimento e di innovazione, così come esposto nel terzo capitolo. La stessa cosa è avvenuta per il già citato Ligthcampus: da piattaforma e-learning esso è divenuto strumento di marketing strategico424. Iknow non sfugge a questo meccanismo: partendo dal presupposto come sostiene Han Fei che “Il difficile non è sapere, ma saper fare uso di ciò che si sa”, occorre far emergere di iKnow “una veste” che fin’ora non abbiamo considerato. Riprendendo la tassonomia proposta nel terzo capitolo occorre fare una prima constatazione: l’utilizzo dell’applicativo è consentito, per ora, soltanto a personale interno all’organizzazione, pertanto è difficile inquadrare lo stesso come strumento di marketing o di legame con il territorio, essendo invece più coerente un suo utilizzo mezzo di apprendimento e di sviluppo dell’innovazione e della creatività. Ovviamente nulla vieta di considerare iKnow come mezzo di promozione dell’immagine aziendale, ad esempio: sta di fatto però che di solito il meccanismo del viral marketing si attiva da parte di personale esterno all’azienda che venendo a contatto con i prodotti e i sistemi della stessa ne rimane colpito e inizia un forte processo di “passaparola” che contribuisce a promuovere i prodotti e la cultura della stessa impresa. Ovviamente questo meccanismo potrebbe scattare anche con iKnow e con il personale interno all’azienda, anche se riteniamo sia poco probabile. In fondo questo automatismo, qualora funzioni, sarebbe già dovuto partire con il berif elettronico o con tutti gli altri sistemi di KM presenti in azienda. Per ciò che riguarda, invece, il legame con il territorio si potrà parlare in questi termini di iKnow soltanto quando esso diverrà accessibile anche a filiali estere: si attiverà in questo modo un network di 424 Non intendiamo dilungarci ulteriormente sul brief elettronico di prodotto, anche se gli aspetti da trattare sarebbero moltissimi. Lasciamo invece spazio ad iKnow, elemento fondamentale del presente elaborato. conoscenze che transitando da un luogo all’altro permetteranno di legare intrinsecamente tutte le unità organizzative d’impresa425. Ci concentriamo pertanto ora sull’analisi di iKnow come strumento di apprendimento e come mezzo di sviluppo dell’innovazione e della creatività. Come già ribadito nel terzo capitolo la condivisione della conoscenza rappresenta l’elemento cardine ed unificatore che lega apprendimento e KM: da un lato, infatti, non si può apprendere ed arricchire il proprio bagaglio di saperi se gli individui non mettono a disposizione la loro conoscenza, dall’altro non si può parlare di KM se lo scopo ultimo dello stesso non è quello della messa in comune delle informazioni di cui si dispone. IKnow è uno strumento di knowledge warehouse che consente di attivare questo meccanismo: attraverso la formalizzazione della conoscenza, il suo inserimento in una struttura reticolare accessibile a tutta l'organizzazione gli individui sono in grado di apprendere mentre usano il software, contribuendo alla creazione di quella che è stata definita learning organization426. Citiamo un esempio chiarificatore: quando il KE controlla le schede che sono state inserite dall’operatore, e pertanto utilizza il software per le attività che gli sono state designate, egli indubbiamente verrà a conoscenza anche del contenuto di queste schede, non potendo di fatto “baipassarle” in modo passivo. In questo modo egli arricchisce la propria base di saperi e autoalimenta un processo di formazione su contenuti a lui anche ignoti. O ancora si potrebbe verificare anche la seguente situazione: quando un qualsiasi utente accede ad iKnow per cercare un’informazione, magari vengono fuori delle interfacce che non sono propriamente pertinenti a ciò che si stava cercando. Nonostante ciò, l’utente può immagazzinare e venire a conoscenza del contenuto che si è presentato, nella convinzione che questo potrebbe magari tornare utile in altre circostanze427. Più di frequente si verifica invece un’altra ipotesi: colui che cerca un’informazione e riesce immediatamente a trovarla, sicuramente studierà a fondo la stessa e si applicherà per una sua comprensione al fine di metterla in atto nelle attività che deve svolgere. Se ad esempio un product manager iGuzzini sta sviluppando un nuovo prodotto per l’illuminazione di un centro commerciale può avvalersi delle conoscenze messe a disposizione da iKnow: questo processo conduce in modo del tutto naturale ad apprendere come si illumina un centro commerciale e pertanto, qualora si riverifichi l’ipotesi di dover illuminare lo stesso edificio, sicuramente lo svolgimento dell’intera operazione sarà più veloce, potendo appunto disporre delle conoscenze che sono state precedentemente apprese428. Richiamiamo da ultimo un importante aspetto prima accennato: la metodologia Nautes prevede la suddivisione di compiti e competenze dei diversi utilizzatori del sistema, per permettere fin da subito un facile e corretto utilizzo dell’applicativo. Un simile approccio consente (oltre al fatto di rendere più comprensibile il software) a tutti i manager di contribuire all’immissione di conoscenza nel sistema: circostanza che già di per sé 425 Con riferimento al legame con il territorio notiamo come l’azienda iGuzzini, sia molto ancorata alla propria terra di origine, ne è stato parlato diverse volte nel corso del lavoro. Questo non significa però che anche i sistemi di KM ad essa appartenenti abbiamo la stessa funzione. 426 Per ulteriori approfondimenti si veda il § 2.2.3. 427 Ovviamente questo è un processo che non sempre può essere attivato, magari il manager non ha tempo di approfondire la questione e quindi decide di oltrepassare l’interfaccia non pertinente. 428 Gli esempi da citare potrebbero essere molteplici: riteniamo però che quelli esposti siano significativi per poter comprendere il concetto. rappresenta una forma di apprendimento di ciò che viene catalogato e inserito nell’applicativo429. In questo modo si attiva una forma di learning by doing dalla quale ciascun individuo può trarre significativi benefici. Anche per questo motivo si dice che sistemi di KM comportano un notevole incremento delle “prestazioni” degli individui: iKnow consente di valorizzare le abilità e le competenze dei manager, offrendo formazione, informazioni aziendali aggiornate e conoscenze utili. Questo processo conduce implicitamente (oltre ad un aumento delle conoscenze aziendali) ad un forte incremento della motivazione degli individui, poiché viene loro garantito maggior coinvolgimento nelle decisioni operative430. Si scatena, insomma, un circolo virtuoso per il quale ad una valorizzazione delle conoscenze aziendali corrisponde di fatto un incremento della motivazione di tutto il personale ed un miglioramento della qualità delle attività che vengono svolte. Lo stesso processo si attiva nel flusso bidirezionale che esiste tra KM e creatività. Riprendendo i concetti del terzo capitolo si può affermare che è solo conoscendo e studiando cosa ci circonda che si riescono ad avere idee innovative e soluzioni originali, in una parola quello che viene definito il “colpo di genio”. IKnow sembra essere studiato appositamente per questo scopo: basti considerare la grafica delle interfacce del software, che prevede il collocamento dell’oggetto principale di conoscenza al centro della pagina431 e disposti attorno allo stesso un insieme di altri elementi correlati che aiutano a fornire risposta a ciò che si sta cercando. Questo sistema altro non è che quello delle “mappe mentali” precedentemente descritto, che prevede appunto un’oculata gestione degli oggetti nello spazio, al fine di generare idee innovative. In figura 20.4 troviamo rappresentata l’interfaccia di una scheda di conoscenza dalla quale è possibile vedere la particolare e non casuale disposizione dei contenuti. Basti pensare poi al fatto che iKnow consente di consultare e quindi anche imitare la tecnica risolutiva che si sta cercando tramite un semplice accesso al software, mettendo così in atto una preziosa procedura di sviluppo della creatività. E’ la “tecnica della bionica” che prevede la risoluzione di problemi complessi tramite l’associazione degli stessi ad eventi e questioni simili che sono stati già affrontati dall’azienda, dai quali poter prendere spunto per un loro scioglimento. Un’azienda, quindi, che dispone di un sistema di knowledge warehousing cataloga e archivia in modo strutturato e formale le vicissitudini organizzative che si susseguono nel corso del tempo e ovviamente anche le relative risposte, alle quali poter accedere per la risoluzione di problemi. Una tecnica molto simile di sviluppo della creatività è quella dei “principi generali”, che viene adoperata quando il problema è di difficile definizione e delimitazione: essa prevede di “accostare” la questione da risolvere ad una generica soluzione che si approssima però al problema soltanto per alcune variabili. 429 Si tratta di un metodo realizzato appositamente da Nautes che consente di apprendere mentre si sta utilizzando il software, oltre che di rendere il sistema più agevole e più in linea con le esigenze del management. 430 Con questa affermazione viene meno anche una delle problematiche insite negli individui che vedono introdotto nella loro postazione di lavoro un sistema di KM. L’introduzione di iKnow, così come quella in passato del brief elettronico non è significato tagli al personale, anzi, il risparmio di tempo che essi hanno apportato, si è tradotto in un aumento della mole di lavoro, poiché ha consentito di svolgere altre attività che prima non venivano effettuate. 431 Le tecniche di risoluzione che vengono qui citate sono tratte da: FLORIDA R., “L'ascesa della nuova classe creativa : stile di vita, valori e professioni”,MONDADORI, Milano, 2003. Immagine 20.4 Interfaccia scheda di conoscenza Fonte: nostra elaborazione Anche in questo caso l’accostamento alla soluzione può essere operato grazie alla presenza di un sistema di knowledge warehouse che consenta, come iKnow, di accedere a tutta la conoscenza risolutiva aziendale. Basti pensare poi al semplice fatto di mettere per iscritto le proprie conoscenze: quale metodo migliore per la generazione di idee originali? Anche in questo caso la tecnologia iKnow altro non fa che identificarsi con una particolare tecnica che prende il nome di “scrivere ciò che si sa”. Citiamo poi il metodo dell’elencazione degli attributi che prevede di esprimere per iscritto tutte le caratteristiche del prodotto o comunque del problema che si è delineato per procedere poi ad una riflessione sullo stesso per trovare l’idea innovativa, l’illuminazione: la base di supporto ancora una volta potrebbe essere costituita da un software di knowledge warehouse. Se ad esempio l’area marketing, dopo alcune analisi di mercato, avverte l’esigenza di creare un nuovo prodotto sarà in questo caso sufficiente accedere ad iKnow per prendere spunto da quanto esistente o magari analizzare elementi differenti e accostamenti inusuali che secondo la tecnica della sinapsi sono fonte di numerose idee innovative432. Per concludere: partendo dal presupposto che iKnow è nato per gestire in modo coerente e strutturato la conoscenza iGuzzini occorre rendersi conto, però, di come esso non sia soltanto un sistema di accesso alla conoscenza d’azienda, ma rappresenti di fatto anche un modo di incrementare i saperi organizzativi 432 Ci fermiamo qui con gli esempi riguardanti iKnow e la creatività, con la consapevolezza però che molto altro potrebbe essere detto. Ci sembra però sufficiente quanto esposto per lasciar comprendere il legame tra i due elementi. Con riferimento all’innovazione d’impresa è stato già citato nel § 4.2.2 come iKnow significhi innovazione tecnologica, strategica ed organizzativa. attraverso processo di apprendimento continuo e attraverso un metodo di supporto nella fase di creazione di nuovi prodotti (dove si necessita di idee creative). E’ vero che si tratta di “elementi accessori” rispetto a quello principale di gestione della conoscenza, ma è anche vero che essi potrebbero determinare il raggiungimento di significativi benefici aggiuntivi, fino a questo momento non considerati. Dunque: perché lasciar fuggire queste opportunità? Perché non permettere ad iKnow di lavorare ancor meglio rispetto alle prospettive delineate? 4.3 Una possibile visione per gli anni a venire Il presente paragrafo chiude l’iter che abbiamo percorso nell’intero elaborato: esso si limiterà però a descrivere brevemente alcune prospettive future in merito alle realtà aziendali qui raccontate, demandando alle conclusioni il compito di fissare il punto di arrivo del lavoro. Il percorso che abbiamo voluto seguire in questo capitolo è stato piuttosto chiaro e lineare, per consentire anche ad una tematica complessa come quella del KM di risultare di facile comprensione per il lettore: siamo partiti con una breve descrizione della storia e delle attività che vengono svolte da iGuzzini e Nautes, abbiamo proceduto poi con l’elencazione dei sistemi di KM già attivi in azienda, per passare, quindi, alla spiegazione del nuovo progetto di knowledge warehouse, iKnow, del quale mi sono occupata personalmente. Esso è stato quindi declinato nei suoi aspetti fondamentali di: motivazione dell’introduzione, obiettivi del sistema, strategia, tecnologia, funzionamento operativo dello stesso, evoluzioni future…. L’impostazione scelta per l’esplicitazione di iKnow ha in realtà ricalcato le fasi affrontate dal nostro team di lavoro nella progettazione del sistema: fasi che affondano le loro radici su di un approccio del tutto logico e naturale che in genere viene seguito ed attuato per un qualsiasi sistema di KM. Citiamo a titolo esemplificativo un altro progetto di gestione della conoscenza che mette in luce come gli step di realizzazione del sistema siano pressochè uguali a quelli appena descritti per iKnow. Basti pensare ad esempio al progetto di gestione della conoscenza realizzato per lo sviluppo della TAV433 (Treno Alta Velocità). Il primo ed imprescindibile passo è stato quello di rispondere alla seguente domanda: “Perché costruire un sistema di KM per TAV?”. Le motivazioni sono ovviamente molteplici. Lo sviluppo dell'alta velocità in Italia richiede una grandissima varietà di conoscenze e solleva questioni su cui vi è nel paese alta sensibilità sociale ed alta rilevanza politica. Gli attori di TAV devono condividere conoscenze tecnico-scientifiche della più svariata natura: geologiche, ambientali, tecnologiche, sociologiche e così via. Devono conoscere come sono stati affrontati e risolti i vari problemi nei progetti già sviluppati, acquisire con tempestività informazioni sui temi su cui la opinione pubblica è sensibile, essere aggiornati su quello che dicono le forze sociali e politiche sulle materie di pertinenza di TAV, ecc. Dopo aver capito perché dotarsi di un sistema di KM, così come avvenuto per iKnow, si è proceduto con la definizione della strategia e del metodo di lavoro. La metodologia prevede quattro macro-fasi: 1 - mappatura dei processi, 2 - analisi dei processi, 3 - redazione delle procedure, 4 - sperimentazione e validazione delle procedure. Da ultimo si sono ipotizzati i benefici ottenibili dal sistema: valorizzare il capitale intellettuale di TAV e aumentare la visibilità di tale capitale intellettuale, sia verso l'interno che verso il gruppo e il Paese, attivando un circolo virtuoso di apprendimento e diffusione delle soluzioni e delle innovazioni prodotte sia all'interno che verso l'esterno; aumentare l'efficacia e l'efficienza delle persone nei processi knowledge intensive, consentendo a chi è coinvolto sui progetti di raggiungere obiettivi qualitativamente superiori in tempi inferiori (offrendo un supporto alla soluzione di problemi di varia natura e rendendo rapidamente operative le persone); valorizzare gli interventi organizzativi e gli investimenti sul sistema informativo. Nonostante i sistemi di KM siano sempre molto differenti uno dall’altro, in realtà le modalità di attuazione sembrano seguire un iter logico comune: quello che abbiamo descritto nel presente elaborato. A conclusione del paragrafo ci sembra doveroso effettuare alcune considerazioni. Le imprese con cui ho avuto possibilità di collaborare in questo periodo rappresentano a mio avviso esempi di eccellenza in ambito di KM. La partnership che hanno avviato ormai da tempo ha consentito loro l’ottenimento di successi non imitabili, successi che si sono propagati in entrambe le direzioni: l’azienda iGuzzini ha avuto ed ha la possibilità di capitalizzare la propria conoscenza e di veder valorizzato il proprio patrimonio di asset intangibili, con tutti i benefici che ne consegue. Nautes riesce, invece, ad avanzare costantemente nella frontiera delle tecnologie e dei metodi per la gestione di conoscenza, potendo mettere in pratica le proprie soluzioni di KM. Tutto lascia sperare che questa splendida collaborazione continui anche in futuro: l’azienda illuminotecnica è sempre molto propensa all’introduzione di tecnologie innovative e all’avanzamento nel campo della gestione della conoscenza; al contempo la società Nautes essendo uno spin off dell’Università Politecnica delle Marche, mette in atto presso le aziende i risultati delle ricerca universitaria. Come si evolverà questa relazione in futuro è difficile da definire: molto dipenderà dallo sviluppo del mercato delle tecnologie, dalle esigenze che si manifesteranno in azienda, dalle soluzioni che Nautes sarà in grado di proporre. Ma questi sono aspetti che per ora non ci riguardano. Alcuni dati confortanti provengono dall’analisi della situazione di altre relatà del tutto simili a quelle appena descritte. Numerosi sono gli esempi di imprese industriali che hanno attivato, in passato, delle partnership con società di consulenza in ambito di KM e che proseguono, ad oggi, la loro attività con enorme successo. Citiamo fra tutti il caso della società di consulenza Eikom che da sempre collabora con 433 Cfr. FATALI G., “La progettazione di un sistema di KM: il caso TAV”, in Sistemi e impresa, n.1, Gennaio-Febbraio 2002, pag. 34-44 l’azienda Montenegro (specializzata nella lavorazione dei metalli): i sistemi attivati per l’azienda industriale sono stati molteplici nel corso degli anni, fra cui il più recente è costituito da Panor@mix434 per la creazione di un unico punto d'accesso alle informazioni d’azienda e la condivisione di conoscenza fra tutti gli operatori. Lavorare sfruttando le conoscenze di cui si dispone è da sempre l’obiettivo congiunto di queste realtà, obiettivo che ha consentito e consente tutt’ora di continuare una solida collaborazione all’insegna del successo e dell’innovazione. Il caso da noi trattato nel presente elaborato non si discosta molto da quanto appena descritto e tutto lascia sperare positive evoluzioni future nella collaborazione fra Nautes e iGuzzini. 434 Fonte: http://www.eikom.it/articoli/index.html CONCLUSIONI Nel terzo millennio cosa possono ancora imparare le imprese che ancora non hanno imparato? Perché la conoscenza in ambito aziendale è divenuta così importante? Quali sono gli strumenti da utilizzare per raggiungere nuovi vantaggi competitivi sul mercato? A queste ed altre domande abbiamo cercato di dare risposta nel corso della trattazione. La parte conclusiva dell’elaborato, pertanto, si pone un duplice obiettivo: da un lato quello di fissare e di focalizzare l’attenzione sugli aspetti di maggior rilevanza che sono emersi nel percorso che abbiamo effettuato, dall’altro quello di ribadire l’importanza del KM quale approccio complessivo alla gestione d’impresa, anche attraverso il case history prima presentato. Che la gestione della conoscenza sia divenuta un elemento di fondamentale importanza per tutte le organizzazioni è ormai fuori discussione: aziende del calibro di McDonald’s o di Coca-Cola non sono diventate le multinazionali che conosciamo semplicemente vendendo panini o analcolici in tutto il mondo, ma hanno avuto successo trovando modi per valorizzare il loro know how435. Le imprese, in questo ultimo decennio, si sono trovate ad operare in una realtà caratterizzata da profonde rivoluzioni tecnologiche, da una crescente flessibilità, da profondi mutamenti nelle professioni. Sono ormai in molti a sostenere che ci troviamo in una fase di passaggio dall'era industriale all'era neoindustriale o meglio post-industriale, nella quale per le imprese si è affermata l'importanza delle competenze, delle conoscenze, delle capacità e dell'apprendimento continuo. Il segreto per lo sviluppo competitivo risulta sempre più insito nella risorsa umana che si distingue attraverso la capacità degli individui di acquisire, governare e applicare il patrimonio di conoscenze. In tale contesto si assiste ad una progressiva erosione del valore delle tradizionali fonti del vantaggio competitivo: le risorse produttive tradizionali, infatti, non sono più in grado di produrre un beneficio economico stabile e durevole nel tempo. Ed è proprio in tale quadro che l’orientamento dei recenti studi ha evidenziato la centralità della “conoscenza” come risorsa competitiva principale a disposizione delle imprese. Ciò non significa che nel passato le organizzazioni non possedessero conoscenza, tuttavia, essa non era ancora considerata l’importanza della relazione tra conoscenza e valore per l’impresa, in quanto lo sfruttamento dei tradizionali fattori produttivi appariva sufficiente al fine di ottenere prestazioni competitive differenziali. Oggi, al contrario, di fronte all’instabilità ambientale e alla erosione delle fonti competitive tradizionali, una crescente rilevanza viene assunta dalla capacità dell’organizzazione di creare conoscenza e diffonderla al proprio interno e tra organizzazioni diverse, unitamente alla capacità di gestirla e trasferirla in attività che producano valore. “Così come per la produzione di un oggetto si parte dalla materia prima, si elabora un semilavorato ed infine si giunge al prodotto finito, allo stesso modo per produrre la conoscenza nell’ambito di un’azienda si parte dalla materia prima rappresentata dai dati, li si 435 DOZ. Y., SANTOS J., WILLIAMSON P., “Da globale a metanazionale. Le strategie di successo nell’economia della conoscenza”, IL MULINO, Bologna, 2001, pag. 46-56 compongono in modo opportuno per ottenere le informazioni, che distribuite alle persone giuste in tempi rapidi portano alla conoscenza utile ai fini del processo decisionale”436. Scopo del knowledge management è pertanto quello di avviare questo importante processo di trasformazione, per rendere disponibile il contenuto del patrimonio informativo d’azienda, in qualunque forma esso possa essere rappresentato, a coloro che ne hanno bisogno per svolgere la propria attività. Abbiamo anche sottolineato, però, nel terzo capitolo, come KM non significhi soltanto gestione della conoscenza, ma comunichi anche concetti quali: territori, creatività, apprendimento, azioni di marketing. Il quarto capitolo ha tradotto in realtà quanto fin’ora descritto. Ed è proprio a partire dall’ultima sezione del nostro elaborato che prendiamo spunto per la trattazione della seconda parte delle conclusioni. Come più volte ribadito nel corso del lavoro e come speriamo sia trapelato dal case history affrontato, il KM non fa riferimento esclusivamente ad un particolare aspetto organizzativo d’azienda o magari alla semplice introduzione di una tecnologia di archiviazione dei dati: la gestione della conoscenza è un modo nuovo di considerare l’intera organizzazione, in tutti i suoi aspetti. Il KM non deve, inoltre, essere considerato un punto di arrivo, ma un approccio dinamico all’attività d’impresa e quindi un processo evolutivo che si estinguerà solo con la cessazione della stessa. Questo nuovo modello di gestione mette in discussione le certezze di un’organizzazione altamente gerarchizzata, che ostacola la comunicazione aziendale a causa della divisione in compartimenti “stagna” delle varie aree, che mortifica ogni tentativo di attivazione di un’efficiente strategia basata sulla conoscenza. A testimonianza che un approccio parziale al KM non è di per sé sufficiente per parlare di gestione della conoscenza richiamiamo il caso di studio precedentemente affrontato. Dall’analisi svolta con la società Nautes per l’azienda iGuzzini la situazione che ad oggi si prospetta è la seguente: esiste molta documentazione relativa ai progetti, che va resa disponibile in archivi condivisi; esiste un patrimonio di esperienze distintive accumulate nel corso del tempo, in particolare di esperienze informali e conoscenze tacite, in merito al quale è necessario identificare una modalità che consenta almeno in parte di esplicitarle, raccoglierle e riutilizzarle nei nuovi progetti; esiste un bacino di esperti e persone molto qualificate e specializzate, rispetto al quale è necessario riuscire ad identificare e mettere in connessione chi è in grado di fornire un supporto esperto per l'interpretazione della documentazione o per la risoluzione di problemi già affrontati; esistono inoltre molti altri strumenti e materiali a disposizione delle persone, ad esempio attraverso l'intranet, o il brief elettronico di prodotto, rispetto ai quali è necessario focalizzare con maggiore chiarezza cosa effettivamente le persone utilizzano e di quali conoscenze e supporti hanno bisogno per lavorare. Si è rilevato, inoltre, che la crescente complessità della società e il conseguente bisogno di flessibilità, ha fatto nascere il bisogno di una razionalizzazione nella gestione 436 BOISOT M. H., “Knowledge assets: securing competitive advantage in the information economy”, OXFORD UNIVERSITY PRESS, Oxford, 1999 delle informazioni il cui esubero ha motivato la stessa all’adozione di tecnologie idonee ad amministrarle437. Questo processo ha comportato per l’azienda l’emergere di molte conoscenze di cui si ignorava la presenza, semplicemente perché non si sapeva dove cercarle. L’acquisizione, quindi, di un’infrastruttura tecnologica che razionalizzi il processo di conservazione, reperimento e trasferimento delle informazioni dove servono e quando servono è di fondamentale importanza. Ma questo non basta: è inutile disporre di una banca dati contenente preziose informazioni, se non si riesce a valorizzarle attraverso l’adeguata esperienza e competenza di chi le utilizza. In questo caso diventerebbero merce preziosa in mani sbagliate e si perderebbe la possibilità di utilizzarle come fonte di conoscenza. KM non è soltanto tecnologia applicata alle organizzazioni, ma è anche gestione dei knowledge workers, abbattimento delle barriere alla condivisione della conoscenza, creazione di una learning organization. “Sicuramente iKnow, pur essendo stato progettato in modo corretto, non avrà risvolti futuri se i manager Guzzini non credono nel sistema e non sono disposti ad una condivisione delle loro conoscenze”, sostiene Marco Gialletti, amministratore delegato Nautes. Si tratta pertanto di avviare e di intraprendere un triplice processo: quello di maturazione culturale dei dipendenti, orientato alla centralità della conoscenza, allo scambio, condivisione e diffusione delle consapevolezze possedute438, di adottare modelli organizzativi in cui hanno rilevanza non più solo gli aspetti tecnici tayloristici e quelli sociali-relazionali, ma anche quelli relativi alle interazioni intra ed inter aziendali finalizzati alla condivisione di conoscenze (Sorge, 2000) ed infine garantire anche la presenza di infrastrutture tecnologiche in grado di favorire la creazione di un ambiente interconnesso capace di agevolare le comunicazioni tra utenti, lo scambio e la condivisione della conoscenza. Come citato anche in precedenza, non possiamo dire che i sistemi di gestione della conoscenza che si identificano nell’esclusivo impiego della tecnologia non consentono di ottenere vantaggi: l’utilizzo di piattaforme, applicazioni, strumenti e infrastrutture permette all’organizzazione di migliorare, mantenere e sfruttare tutti gli elementi caratteristici della sua base di conoscenza. Tuttavia, la loro introduzione non è, di per sé, sufficiente a determinare un reale orientamento dell’azienda alla gestione dei propri saperi. Affinchè ciò possa avvenire è necessario attuare una gestione della conoscenza che vada oltre i tradizionali strumenti tecnologici e che faccia emergere l’importanza dei fabbisogni conoscitivi, cioè delle conoscenze che un’azienda non ha o non sa di avere e di cui avrebbe bisogno per migliorare le singole attività. Tutto questo ribadisce la significatività di una corretta valorizzazione del proprio patrimonio intellettuale: non basta più adottare un sistema tecnologico, ma intorno a questo deve crescere 437 GRAND R., “The resource based theory of competitive advantage: implication for strategy formulation”, in California management review, primavera, 1991 438 A questo fine, fondamentale è il ruolo svolto dal management nella creazione di un ambiente interno basato sulla fiducia, l’appartenenza, il lavoro di gruppo e in cui possano trovare espressione le caratteristiche e le aspirazioni individuali e in cui le persone possano partecipare attivamente al progetto di KM. la coscienza che solo uno sviluppo mirato, volto ad integrare i sistemi tecnologici con i sistemi aziendali, può supportare la circolazione e la diffusione di conoscenza. “Dobbiamo evitare di restare scatole vuote rispetto all’innovazione”, dichiara Adolfo Guzzini, “Laddove esiste un pensiero innovativo che si prefigga l’obiettivo di adottare una nuova tecnologia o un nuovo metodo organizzativo esiste la concreta possibilità di ottenere risultati positivi. Si tratta di una sfida in cui creatività, competenza, coraggio e lungimiranza rappresentano i fattori centrali”. L’importanza di questa affermazione può essere compresa soltanto guardano i risultati ottenuti dall’azienda: 1000 dipendenti raggiunti nel 2007, con più di 190 milioni di euro di fatturato ottenuto nel 2006. E’ la voglia di guardare avanti, di non fermarsi a ciò che è consolidato, di ricreare in modo originale quanto già esistente che può fare di un impresa un impresa vincente. Sicuramente il KM in tutto questo gioca un ruolo di fondamentale importanza. Questi e molti altri aspetti hanno costituito preziosi insegnamenti che ho potuto ricavare dalla redazione di questa tesi di laurea. Quali altri elementi meritano di essere citati a conclusione dell’elaborato? Qual è la “morale della favola”439? - Per le persone la società della conoscenza ha cambiato la quotidianità. Non si può più fare a meno di domandare il sapere necessario per scegliere bene senza delegare ad altri. - Per le imprese la conoscenza rappresenta il principale fattore produttivo da dover gestire e valorizzare oggi come negli anni a venire. Il sistema della conoscenza costituisce insomma una parte molto importante del più generale e complesso sistema d’azienda: rappresenta una risposta concreta ed efficace al buon funzionamento delle nostre organizzazioni e delle nostre imprese. Per questo motivo abbiamo deciso di approfondire la tematica del KM all’interno della nostra tesi di laurea, per la sua irrinunciabilità e imprescindibilità negli odierni contesti competitivi, per il valore che un suo approfondimento ed una sua applicazione può apportare alle persone e alle imprese. 439 AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge management prossimo e venturo.”, ETAS, 2005 ALLEGATI ALLEGATO N.1 PICO: PIANO PER L’INNOVAZIONE, LA CRESCITA E L’OCCUPAZIONE Quanto segue costituisce la sintesi del Piano italiano in attuazione del rilancio della Strategia europea di Lisbona. 1.1 Premessa Nel 2000, il Consiglio europeo di Lisbona ha individuato nella costruzione della più avanzata società basata sulla conoscenza il fondamento della strategia di sviluppo dell’Unione affidando ai paesi membri il compito di darne piena attuazione entro il 2010. A metà percorso, il Consiglio europeo del giugno 2005 ha manifestato insoddisfazione per i risultati raggiunti e deciso un rilancio della Strategia di Lisbona perfezionando le procedure di esecuzione e coinvolgendo più direttamente la Commissione nel perseguimento dell’obiettivo. Nelle istruzioni impartite dal Consiglio europeo è stato chiesto ai paesi membri di presentare un loro Piano di attuazione tenendo conto delle peculiarità economiche e sociali nazionali e di 24 linee-guida elaborate dagli organi dell’Unione. Partendo da questi presupposti, l’Italia ha elaborato il proprio Piano, innestando alcune scelte capaci di far avanzare la frontiera della conoscenza e della tecnologia su quanto è stato fatto finora in attuazione della Strategia di Lisbona. 1.2 Peculiarità dell’economia italiana L’economia italiana presenta una preponderanza di produzioni tradizionali realizzate da imprese di piccole dimensioni a conduzione familiare vulnerabili alla competizione di prezzo. Le produzioni di elevata qualità (il made in Italy) sono invece vulnerabili alla competizione sleale (contraffazioni). Sono inoltre presenti dualismi territoriali e settoriali accentuati. La nostra società civile è a sua volta caratterizzata da modi di soddisfazione delle esigenze solidaristiche tali da incidere significativamente nella struttura dei bilanci pubblici e nell’azione delle imprese private, peraltro già gravate dai costi della sovraregolamentazione esistente. 1.3 Obiettivi del PICO A seguito delle consultazioni effettuate e dei lavori svolti, le 24 linee-guida indicate dal Consiglio europeo sono state raggruppate in cinque categorie operative prese come obiettivi prioritari del Piano in un quadro di stabilità monetaria e fiscale: l’ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese; l’incentivazione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica; il rafforzamento dell’istruzione e della formazione del capitaleumano; l’adeguamento delle infrastrutture materiali e immateriali; la tutela ambientale. Il Piano proposto indica che cosa lo Stato intende fare per migliorare le condizioni di ambiente economico e sociale al fine di propiziare crescita e occupazione, ma soprattutto si prefigge di ampliare le libertà di scelta dei cittadini affinché essi possano fare ciò che sanno e vogliono fare. I produttori e i lavoratori saranno i beneficiari primi delle scelte, ma saranno i consumatori a essere i maggiori beneficiari finali. 1.4 Strumenti da attivare Il Piano comprende due categorie di interventi: provvedimenti aventi validità generale per il sistema economico e progetti specifici con ricadute positive sulla produttività e competitività dell’economia italiana. 1. I principali provvedimenti aventi validità generale consistono: -in una più ampia liberalizzazione dell’offerta nel settore dei servizi in linea con gli orientamenti e le decisioni che sono in via di definizione in sede europea; una più libera espressione sia del mercato nei settori indicati dall’Autorità garante della concorrenza e dalle Autorità di settore, sia dei prezzi per l’intera economia; una più efficace legislazione per prevenire le frodi in materia comunitaria e per contrastare le contraffazioni al fine di ridurre le distorsioni che esse generano nel funzionamento dei mercati; -in un miglioramento delle prestazioni della pubblica amministrazione e un contenimento dei suoi costi, prendendo come base di riferimento il Codice per l’amministrazione digitale già approvato e il Sistema pubblico di connettività in via di attuazione; nella creazione di un contesto normativo propizio agli investimenti, all’innovazione e allo sviluppo tramite una significativa riduzione della quantità di legislazione esistente ed un miglioramento della sua qualità (better regulation), per incidere sugli oneri regolatori e amministrativi che gravano sulle imprese e sui cittadini; -in una migliore normativa concernente la vita delle piccole imprese e dei distretti produttivi, allo scopo sia di accrescere la consapevolezza dell’importanza delle tecnologie digitali e del loro uso a fini innovativi di processo e di prodotto, sia di promuovere un nuovo equilibrio tra flessibilità e sicurezza del lavoro, sia di proteggere i brevetti e la collocazione dei prodotti e degli investimenti all’estero; nella piena valorizzazione del capitale umano, attraverso una più efficace organizzazione del sistema di istruzione di base e superiore e della formazione professionale, anche per il personale delle pubbliche amministrazioni, che si estenda fino ad assicurare la formazione continua nell’intero ciclo di vita dei cittadini, crei un habitat favorevole al diffondersi della cultura digitale, stimoli e supporti l’attività di ricerca scientifica e, attraverso essa, l’innovazione tecnologica nei processi produttivi; -nella creazione o il completamento di reti infrastrutturali per i collegamenti interni, intraeuropei e internazionali, con un particolare impegno nella realizzazione delle autostrade del mare; -in un’incisiva attuazione della “politica di coesione europea” volta a ridurre le disparità economiche tra aree interne all’Unione, con particolare attenzione al Mezzogiorno d’Italia; -in una più efficace incorporazione nei processi produttivi e nell’attività di consumo della domanda di protezione ambientale. 2. I principali progetti inclusi nel Piano riguardano: il completamento del progetto Galileo per la creazione di una rete satellitare europea; la partecipazione alla realizzazione dei progetti europei Egnos e Sesame per la gestione del traffico aereo; la realizzazione di piattaforme informatiche per la tutela della salute, lo sviluppo del turismo, l’infomobilità, la gestione delle banche dati pubbliche e territoriali; l’attuazione di 12 programmi strategici di ricerca nei settori della salute, farmaceutico e bio-medicale, dei sistemi di manifattura, della motoristica, della cantieristica navale e aeronautica, della ceramica, delle telecomunicazioni, dell’agroalimentare, dei trasporti e della logistica avanzata, dell’ ICT e componentistica elettronica e della microgenerazione energetica; la creazione di 12 laboratori di collaborazione pubblico-privata per lo sviluppo della ricerca nel Mezzogiorno nei settori della diagnostica medica, dell’energia solare, dei sistemi avanzati di produzione, dell’e-business, delle biotecnologie, della genomica, dei materiali per usi elettronici, della bioinformatica applicata alla genomica, dei nuovi materiali per la mobilità, dell'efficacia dei farmaci, dell’open source del software, dell’analisi della crosta terrestre; lo sviluppo di 24 distretti tecnologici, che estendono l’esperienza dei distretti industriali italiani a settori ad alto contenuto tecnologico e potenziale innovativo; l’ampliamento e l’uso razionale delle infrastrutture nel settore energetico e idrico; settori di rilevanza strategica aventi ricadute tecnologiche nei processi produttivi e nel benessere dei cittadini e in condizione di garantire una migliore tutela ambientale, con particolare attenzione alle fonti energetiche alternative. Il PICO non è un Piano “chiuso” perché, oltre a considerare ciò che già è stato fatto in attuazione della Strategia di Lisbona, ha accolto solo provvedimenti e progetti di pronta attuazione, che incidono una tantum sulla spesa pubblica e sono capaci di attrarre risorse private. Il PICO resta aperto ad accogliere nuovi contributi provenienti delle capacità progettuali del sistema economico e politico italiano ed europeo, anche perché il meccanismo di nuovi finanziamenti pubblici è basato sul gettito derivante dalla cessione di attività reali di proprietà dello Stato, secondo una logica di gestione patrimoniale (asset management), e trova attuazione nelle scelte che su queste disponiblità verranno effettuate dal CIPE. 1.5 Risorse a disposizione Le risorse finanziarie pubbliche messe al servizio del Piano sono in parte già incorporate negli stanziamenti di cassa previsti in bilancio fino al 2005 e in quelli di competenza previsti per il triennio 2006-2008, nonché nelle dotazioni aggiuntive per la politica di coesione comunitaria e, per la parte aggiuntiva, da fondi provenienti dalla cessione di attività reali dello Stato stimati nell’ordine dell’1% del PIL per il triennio di Piano (equivalenti a 13 mld di euro), di cui 3 mld nel 2006. Complessivamente, nel triennio 2005-2008, il bilancio statale italiano mette a disposizione, per il rilancio della Strategia di Lisbona, complessivi 46 miliardi di euro, nel rispetto degli accordi raggiunti in sede europea, così suddivisi (le cifre sono espresse in mld di €): 1. Area libera scelta: 0,6/ 0,2/ 1,3/ 2,1 2. Ricerca & sviluppo: 4,3/ 0,9/ 4,1/ 9,3 3. Capitale umano: 1,0/ 0,2/ 0,4/ 1,6 4. Infrastrutture: 23,6/ 2,5/ 5,2/ 31,4 5. Ambiente: 0,4/ -/-/-/ 1,7 2,1 1.6 Risultati attesi L’insieme dei provvedimenti e progetti faranno avvicinare le spese in ricerca e sviluppo (R&S) all’obiettivo del 3% del PIL suggerito dalla Commissione, anche se il PICO avanza riserve sulla significatività di questo parametro in generale e in particolare per una struttura economica come quella prevalente in Italia. Più significativa appare invece la stima effettuata sull’impatto macroeconomico derivante dall’attuazione del Piano: l’innalzamento del reddito potenziale attuale è valutato nell’ordine dell’1%, con effetti disinflazionistici strutturali stimati in 30 centesimi di punto e un parallelo rafforzamento del potere di acquisto salariale. Si valuta inoltre che esso induca un incremento dell’occupazione nell’ordine dei 200 mila posti di lavoro, con una significativa concentrazione tra i giovani. Anche se non in misura quantificabile a priori, questi effetti aumenteranno per le sinergie create dalla simultanea attuazione del rilancio della Strategia di Lisbona negli altri 24 paesi dell’Unione e dell’azione che la Commissione europea espliciterà nei contenuti dopo la presentazione dei Piani nazionali. Ne consegue che gli effetti del rilancio della Strategia di Lisbona potranno essere stimati correttamente una volta valutati congiuntamente i contributi dati dalla Commissione di Bruxelles e dai paesi membri. BIBLIOGRAFIA ABRAMOVITZ M., “Resource and output trends in the united states since 1870”, in American Economic Review, papers and proceedings, n. 46, anno 1956, pag. 5-23 ALAVI M., LEIDNER D.E., “Konowledge management e knowledge management system. Conceptual foundations and research issues”, MIS quarterly, n.25, anno 2000 ALBERTINI S., “I processi organizzativi della conoscenza”, UTET, Torino, 1997 AMATO G. 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