Un continente da riscoprire

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Un continente da riscoprire
CASANA 04-05:-
14-04-2010
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Primo Piano
Un continente da riscoprire
di Andrea Riccardi
È ora di avere dell’Africa una visione diversa dalle immagini
della cronaca quotidiana. Infatti l’Africa, per le cronache,
è un problema, anzi un ammasso di problemi. Da quelli
del continente, come guerre, pandemie, sino all’emigrazione,
che approda sulle coste dell’Italia.
Una lettura impressionistica e pesSono evidenti semplificazioni, ma
simistica della condizione dell’Afripurtroppo, spesso usate per orienca occulta, dietro a una cortina contarsi in un mondo globalizzato,
fusa di problemi, anche se spesso
complesso, poco decifrabile come il
veri, la realtà: differenziata, articonostro.
lata, con grandi cambiamenti posiSono semplificazioni che stimolano
tivi e pericolosi ristagni. Ma soreazioni di gente spaesata: allontaprattutto occulta le opportunità che
narsi dall’Africa, quasi per protegil continente offre alle economie e
gersi dai suoi problemi e dal loro conalla politica europea. Ma mi piacetagio. È un istinto alimentato da una
rebbe dire anche che offre opporlettura dell’emigrazione come quetunità all’umanità europea.
stione di frontiere e problema della
Una politica di mero contenimennostra sicurezza. Questa prospettito dell’immigrazione ma di allontava, d’altra parte, non risolve alcun
namento politico-economico dalproblema, nemmeno la sicurezza. Si
l’Africa, attraverso carenza di corappresenta l’Africa come terra di
operazione, pensiero e iniziativa,
problemi da cui guardarsi. Verso la
Andrea Riccardi
comporterebbe che sull’Italia e
fine degli anni Novanta, un quotifondatore della Comunità
di Sant’Egidio
l’Europa cadrebbero solo i problediano spagnolo pubblicò emblemami del continente. L’emigrazione ad
ticamente una carta del mondo
esempio. Ma anche le crisi e l’instabilità di taluni paesenza l’Africa. Il mondo poteva farne a meno, perché avesi si scaricheranno in parte sul nostro continente. Ed
va una quota del commercio mondiale minore del 2%.
è da segnalare il rischio che qualche piccolo paese,
Chi resta a occuparsi dell’Africa tra gli europei? Solo
instabile, finisca sotto il controllo di mafie internazioquelli che credono alla solidarietà o al buon cuore? Mi
nali.
sento di dire, dando voce a chi si occupa dell’Africa
La questione migratoria è l’emergenza di qualcosa di
mosso da un profondo senso di solidarietà, che la realprofondo che avviene in parecchie società africane: i
tà del continente è tutt’altro che quella rappresentata
giovani non sentono più di avere lì il loro futuro. Avein modo allarmistico e rapsodico dalle cronache.
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va ragione il grande storico francese, Jean Baptiste Duroselle, per cui, più che di un fenomeno migratorio, si
tratta di spostamenti di popolazioni, quasi invasioni (non
lo dico in modo allarmistico). Il vero grande problema,
di lungo periodo, è cooperare perché i giovani, le società, le economie, ritrovino la speranza del futuro. Anche perché – nonostante il grande ruolo delle rimesse
degli emigrati, veri contribuenti di rilievo dello sviluppo dei loro paesi – milioni di emigrati non risolveranno il problema dell’Africa.
Gli europei prendono le distanze dall’Africa, ma cinesi, malesi, indonesiani, brasiliani, indiani, turchi si avvicinano. Ricordo appena la lunga serie di summit a
partire dal grande vertice Cina-Africa del 2006. Che cosa trovano in Africa?
Forse c’è bisogno di guardare in modo rinnovato all’Africa: non ammasso di problemi, ma terreno di opportunità, più o meno mature.
Oggi l’Africa conta di più. Ci sono anche buone notizie. Gli anni Novanta non sono stati solo una serie di
catastrofi. Si sono dissolte dittature, cleptocrazie, regimi di apartheid . C’è stata la pace in Mozambico nel
1992 dopo un milione di morti, dalla cui vicenda sono stato coinvolto per la mediazione svolta a Sant’Egidio dal ’90 al ’92. La transizione in Sud Africa, la soluzione dei conflitti in Liberia, Sierra Leone, Costa d’Avorio… In Africa è avvenuta la spinta della “terza ondata” democratica, più che in Asia. La “democrazia”
é simpatica agli africani, come la libertà di stampa e
di parola. In molti si recano alle urne. Anche per l’economia ci sono stati segnali favorevoli fino alla recente
crisi.
Il capitale umano africano tra l’altro è significativo. L’Africa non è solo un giacimento, ma è ricca di risorse
umane, di giovani, che sono anche risorse demografiche. Perché bisogna guardare non solo alle risorse della terra africana, ma anche agli africani come risorsa.
La manodopera, benché non troppo specializzata, è a
buon prezzo; in alcuni paesi vi sono buone scuole tecniche e ovunque il vantaggio della lingua. I giovani africani sono disposti a muoversi sul territorio e hanno uno
spirito d’intrapresa notevole. C’è una capacità diffusa
di lavoro, di lotta e di sacrificio non minore della tenacia.
Sono valori immateriali che contano. Soprattutto tra le
giovani generazioni si sviluppa uno spirito di intrapresa individuale, meno frenato da una tradizionale visione collettiva e clanica, anzi – in taluni settori – molto
globalizzato.
Non si tratta solo di cooperazione (che è però decisiva anche come volano per altre iniziative), ma di intercettare il nuovo individualismo creativo africano, specie delle giovani generazioni, di cogliere gli spazi significativi offerti dalle società africane.
Certamente non dimentico le note e persistenti debo-
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lezze del continente. In primo luogo la fragilità di Stati, che sono tutti recenti e passati attraverso decenni
turbinosi. I fenomeni di cattiva gestione e corruzione,
l’incidenza terribile della pandemia dell’AIDS, di alcune crisi umanitarie. Entro il 2010, soltanto nell’Africa
sub-sahariana saranno 15,7 milioni i bambini rimasti
orfani a causa dell’Aids. Per questo la Comunità di Sant’Egidio ha ideato un programma di cura gratuita dell’Aids – DREAM – (attualmente operativo in 10 paesi)
per rispondere a tale emergenza. Complessivamente l’Africa resta area fragile, “l’ultimo miliardo” per parafrasare il libro di Paul Collier.
Non voglio però fare un bilancio tra problemi e opportunità. C’è qualcosa di più: l’Europa e l’Africa hanno
alle loro spalle una storia complicata e dolorosa, quella del colonialismo, ma vivono anche una prossimità culturale e geografica, storica, che lega i due continenti.
L’attuale orientamento di fondo spinge a un divorzio o,
almeno, a una chiara presa di distanza.
Voglio affermare che, nella prospettiva di lungo periodo, questo orientamento è sbagliato. Non corrisponde
alle ragioni della giustizia. Non a quelle dell’interesse
europeo. Né a quelle dell’interesse africano. Crea uno
strappo con la storia.
L’Africa deve rafforzarsi come interesse europeo in una
prospettiva di coinvolgimento della società e delle politiche. L’Europa non può pensarsi isolata, perché per
sua natura è un continente non insulare, poroso, fondamentalmente reticolo di relazioni con altri.
Del resto l’Africa contemporanea si sta misurando, pur
tra tante difficoltà, con un processo di unificazione continentale, quello dell’Unione Africana, ponendosi come
un interlocutore di rilievo. Ma vorrei ricordare che, agli
albori del processo di unificazione europea, non mancò una visione euroafricana, che cioè l’Europa unita
avrebbe coinvolto anche l’Africa. Il noto presidente senegalese, Senghor, lanciò la grande idea di Eurafrica,
proprio riconoscendo la diversità, ma la complementarietà dei due mondi. La cultura li unisce più di quanto crediamo. Gli scrittori africani – e si tenne a Roma
nel 1956 il primo congresso degli scrittori neri – usano le lingue europee, tanto che in dieci anni sono stati prodotti 1.500 nuovi titoli.
Sono convinto che un’Europa senza Africa non avrà pace. Le minacce all’ambiente africano, l’inquinamento
delle acque, la desertificazione, finiscono per essere anche minacce al nostro ambiente europeo.
Dobbiamo avere il coraggio di una visione di lungo periodo, capace di valorizzare la storia comune tra Europa e Africa, utilizzando anche le tante reti di connessione e i tanti legami storici e nuovi.
Bisogna discutere tra europei e africani con realismo.
Senza enfasi retorica, ma anche senza il pregiudizio di
immagini scontate.
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