riccione 2011: il controllo interno nella gestione del

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riccione 2011: il controllo interno nella gestione del
Riccione
14-17
www.legiornatedellapolizialocale.it
settembre
2011
PALAZZO DEI CONGRESSI
30° edizione
1981-2011
IL CONTROLLO INTERNO NELLA GESTIONE
DEL PERSONALE: ASPETTI RILEVANTI E MODELLI
DI RIFERIMENTO - “CAMPANELLI DI ALLARME”
E RELATIVI RIMEDI
Marco Agostini
già Comandante P.M., Direttore Generale Comune Venezia
SESSIONE ORDINARIA
INSICUREZZA URBANA E NUOVE FORME DI DISAGIO:
RISPOSTE E PROGETTI DI UNA POLIZIA LOCALE AL PASSO COI TEMPI
Mercoledì 14 Settembre, pomeriggio
Il tema del controllo interno, anche nelle forze di polizia è in Italia un tema sostanzialmente marginale
a cui comunemente non viene dedicato grande spazio né dal punto di vista teorico né sotto il profilo gestionale.
Al contrario, negli Stati Uniti d’America il ruolo degli Affari Interni è assolutamente centrale, evidenziato
con scelte logistico-organizzative fortemente simboliche.
È sufficiente accedere alla sede centrale del New York Police Department (N.Y.P.D.), il più grande degli
Stati Uniti con i suoi oltre 38.000 poliziotti e 13.000 impiegati civili, che ha sede non casualmente in
piazza della Polizia, 1 a Manhattan per rendersi conto che la logistica ha un valore simbolico: al 16° ed
ultimo piano si trovano gli uffici, per la verità, estremamente sobri, del Capo della Polizia (Police Commissioner), Raymond Kelly e del suo Vice Vicario, il First Deputy Commissioner Rafael Pineiro, e del Capo
del Dipartimento (Vice Capo Esecutivo) l’italoamericano Joseph Esposito. Al 15° sono ubicati i Deputy
Commissioners (un organismo collegiale, fatto di non-poliziotti, che si occupa dell’alta amministrazione
e coadiuva il Capo della Polizia nell’elaborazione degli indirizzi operativi) mentre al 14° piano hanno sede
gli Affari Interni guidati anche questi da un italoamericano, il Capo Charles V. Campisi, mentre, ad esempio, la Sala Operativa e la Centrale Comunicazioni sono ubicati al 13° e la struttura addetta al Controllo
del Crimine Organizzato, parimenti guidata da un italoamericano, il Capo Antony J. Izzo si trova al 12°.
Se la logistica non fosse sufficientemente simbolica, a chiarire ogni possibile dubbio ci pensa il sito Internet del N.Y.P.D. il quale nell’illustrare i dodici Capi specialità (Direttori Centrali) cita per primo gli Affari
Interni, il responsabile dei Distretti Territoriali, quello del Personale ed a seguire tutti gli altri fino a concludere con il responsabile del Servizio Sanitario.
Il 2 agosto u.s. il Capo della Polizia di Chicago Garry McCarthy ha annunciato la riorganizzazione del dipartimento costituito, da più di 18.000 poliziotti e 5.500 civili, in sei Uffici (che potremmo tradurre in Direzioni Centrali) oltre ai 25 distretti territoriali: ovviamente uno dei sei Uffici è quello degli “Affari Interni”.
Il Los Angeles Police Department (L.A.P.D.) ha una organizzazione che sconta ancora i postumi dei gravi
fatti del 1992 quando, a seguito dell’assoluzione di quattro poliziotti responsabili del violento pestaggio a
un cittadino di colore Rodney King, vi fu una vera e propria insurrezione popolare durata molti giorni che
causò ben 52 morti e 2.500 feriti.
In conseguenza di quei fatti, il L.A.P.D. guidato oggi dal Capo della Polizia Charlie Beck, forte di circa
10.000 poliziotti e 3.000 civili ha fatto della trasparenza la sua linea guida ed ha istituito ben due forme di
controllo interno: gli Affari Interni, struttura dirigenziale sub apicale organizzata su due divisioni (illeciti
disciplinari, illeciti penali compiuti dai membri LAPD) e l’Ispettorato Generale esterno alla struttura del
Dipartimento e subordinato solo al Consiglio di Amministrazione (organo collegiale di natura politica con
compiti di alta amministrazione e di indirizzo e controllo del Capo della Polizia) con compiti di monitoraggio, controllo e supervisione del procedimento disciplinare interno al Dipartimento al fine di garantire
equità ed imparzialità, così come raccomandato dal “Rapporto Christopher” dopo i fatti del 1992.
Questa centralità dei controlli interni nelle forze di polizia americane, in qualche modo discendente diretta del principio di “moralità pubblica” che caratterizza la società americana dai “padri fondatori” ad
oggi, trova una consacrazione mediatica importante in un numero infinito di film e di serie televisive, ove
gli “Affari Interni” svolgono un ruolo fondamentale, anche di protagonisti volti ad individuare corrotti,
violenti e collusi.
In Italia la sola Polizia di Stato, a seguito della Riforma della Pubblica Sicurezza (ex legge 1° aprile 1981,
n. 121) ha istituito un Ufficio Centrale Ispettivo presso il Dipartimento di Pubblica Sicurezza composto
attualmente (ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 96) da un Direttore
(Dirigente Generale – Prefetto) e da 28 dirigenti; articolato in quattro servizi e otto divisioni di cui tre
divisioni aventi funzioni ispettive per le macro aree geografiche e una con funzione di coordinamento
dell’attività ispettiva - disciplinare svolta dai dirigenti delle strutture periferiche.
Fino al 2007 esistevano degli Uffici Ispettivi presso le Direzione Interregionali, ma lo stesso legislatore
si è reso conto della loro sostanziale inutilità e li ha soppressi nel quadro del contenimento della spesa
pubblica previsto dalla legge finanziaria 2007.
Dell’attività svolta in questi trent’anni dall’Ufficio Centrale Ispettivo, l’opinione pubblica non ha alcuna
memoria se non per le tre relazioni redatte da tre Prefetti (Giuseppe Micalizio, Salvatore Montanaro e
Lorenzo Cerneting), all’epoca preposti ad altrettante Direzioni Interregionali e che svolsero l’ispezione
amministrativa subito dopo i gravi fatti del G8 di Genova nel 2001. Queste relazioni che pur rilevavano
gravi irregolarità da parte di alti dirigenti della Polizia di Stato e proponevano, almeno per un dirigente la
destituzione dall’impiego, a dieci anni dai fatti non hanno prodotto alcun effetto in quanto, essendo stato
aperto un procedimento penale attualmente pendente in Corte di Cassazione a seguito della condanna in
appello di molti funzionari e dirigenti, il procedimento disciplinare è rimasto sospeso con il risultato eclatante che, “per la presunzione costituzionale di innocenza fino alla condanna definitiva”, alcuni soggetti
ben attenzionati dagli ispettori ministeriali hanno avuto promozioni ed hanno raggiunto incarichi ai vertici
nella Pubblica Sicurezza e nei Servizi di Sicurezza.
A fronte di questo sostanziale fallimento dell’unica esperienza di una certa rilevanza del controllo interno
in Italia vale la pena provare a dare un inquadramento teorico su qual è la mission, per usare un’espressione alla moda dello stesso controllo interno.
Gli obiettivi del “controllo interno” sono sostanzialmente tre:
þVerifica dell’eticità dell’operato;
þVerifica dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità dell’operato;
þVerifica della trasparenza dell’operato.
Questi tre obiettivi sono comuni a tutti i settori della Pubblica Amministrazione e, in effetti, in tutti i rami
dell’Amministrazione Statale si sono sviluppati, dalla riforma amministrativa del 1865 in poi gli Ispettorati
Generali di Amministrazione.
Il ruolo degli Ispettorati è sempre stato, però, molto limitato per numerose ragioni che si possono così
sintetizzare:
a) Complice la cultura giuridica dominante nel paese si è spesso interpretato il termine “eticità”
come sinonimo di “liceità” se non addirittura di “legittimità” con la conseguenza di trasformare tali
controlli come meramente formali se non, di fatto, duplicando le forme di controllo di legittimità
tipicamente previste dall’ordinamento e senza mai entrare realmente nel merito della sostanza
dell’azione amministrativa;
b) Il non avere mai attivato un reale controllo di gestione ha impedito di fornire ai dirigenti responsabili gli strumenti di conoscenza necessari a “governare” l’organizzazione amministrativa, orientandola a criteri di economicità, efficacia ed efficienza;
c) Esaminare la gestione economica solo sotto il profilo dell’eventuale “danno erariale” ha ancor di
più accentuato gli aspetti formali di legittimità a scapito di quelli di merito essendo comune la preoccupazione di avere le “carte” formalmente a posto anche sotto il profilo economico – gestionale;
d) L’azione disciplinare o riguardava aspetti bagarellari per i quali non meritava sprecare energie
organizzative per sviluppare l’indagine disciplinare, oppure faceva riferimento a fatti che oltre il al
rilievo disciplinare assumevano anche rilievo di natura penale con la conseguenza che non vi era
alcuna necessità di sviluppare un’autonoma indagine disciplinare stante l’obbligo, fino al recentissimo decreto legislativo 150/2009, di sospendere il procedimento disciplinare fino alla definizione
del giudicato penale che ha alla base delle ben più pregnanti indagini probatorie.
Di fatto gli Ispettorati Generali di Amministrazione si sono trasformati in veri e propri “cimiteri degli elefanti” ove collocare alti dirigenti a fine carriera o in attesa di altro incarico ben più gratificante.
Alla luce di tali esperienze a livello statale, le Regioni e gli Enti Locali non hanno, in maggioranza, seguito
il modello organizzativo degli Ispettorati, attivando invece anche interessantissime esperienze di “controllo di gestione” molto rilevanti sotto il profilo economico-gestionale ma meno significative sotto i profili
dell’eticità e della trasparenza.
Tornando alla mission del controllo interno va osservato che, per quanto riguarda l’efficacia, l’efficienza
e l’economicità dell’azione, vi sono numerosi spunti dottrinali sia sotto l’aspetto economico (partendo in
Italia dal libro “il bilancio degli enti pubblici” di Alfredo e Michele Guarini del lontano 1984 che portava
come sottotitolo “gestione, rilevazione, programmazione e controllo1) sia sotto l’aspetto giuridico-amministrativo a partire dagli studi di Feliciano Benvenuti2 che nel 1959 fondò l’Istituto di Scienza dell’Amministrazione a Milano.
1 “Il bilancio degli enti pubblici” di Alfredo Guarini e Michele Guarini, F.Angeli, 1984.
2 È necessario ricordare i fondamentali volumi “L’ordinamento repubblicano” la cui prima edizione risale al 1956 e poi gli “Appunti
di diritto amministrativo” la cui prima edizione risale, a sua volta, al 1959, e gli scritti “L’azione amministrativa tra garanzie ed
efficienza” (1981), “Il nuovo cittadino: tra libertà garantita e libertà attiva” (1994) e “Disegno dell’amministrazione italiana: linee
positive e prospettive” (1996).
Ancor più numerosi, se possibile, sono gli studi in Italia relativi alla trasparenza dell’azione amministrativa a partire dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, come dimostra una semplice ricerca su Internet tramite
il motore di ricerca Google che indica oltre 129.000 voci su “trasparenza amministrativa”.
Molto più limitata è la produzione dottrinale in materia di “etica”: vi è, infatti, un considerevole numero
di studi che associano l’etica alla trasparenza dell’azione amministrativa come numerosi sono nelle amministrazioni e nelle aziende pubbliche i codici etici adottati dai rispettivi organi di governo.
È assai difficile, però, trovare studi che definiscono il concetto di etica nell’azione della pubblica amministrazione; e, se possibile, ancor più difficile trovare studi che definiscano il significato di “etica” nell’azione delle forze di polizia, ivi compresa la Polizia Locale.
In realtà, alcuni studi sono stati pubblicati sul tema in oggetto come i manuali per le scuole di formazione
delle forze di polizia. Vanno ricordati i volumi del Comandante della Polizia Locale di Bologna, Carlo Di
Palma3, del Coordinatore della Scuola del Corpo di Polizia Locale di Milano, Antonio Barbato4, dell’Ufficiale
dei Carabinieri, Alessandro Gentili5 nonché, pur non essendo un manuale per le scuole di formazione,
l’interessante volume del già Comandante della Polizia Locale di Vicenza e Bologna, Enrico Rossi6.
Gli studi citati affrontano in modo assai differente il tema dell’etica pur rapportandolo tutti e direttamente
con il tema della deontologia professionale. Risulta essere assai innovativo l’approccio di Carlo Di Palma
che dedica un intero capitolo all’analisi puntuale del “Codice Europeo di Etica per la Polizia”7.
Il “Codice Europeo di Etica per la Polizia”, adottato come raccomandazione n. 10 del 2001 dal Comitato
dei Ministri del Consiglio d’Europa il 19 settembre 2001, è, infatti il primo strumento transazionale per
dare delle linee guida unificanti per riformare le forze di polizia soprattutto per i paesi di nuova democrazia dopo la caduta del muro di Berlino del 1989.
L’etica, come scrive il prof. Amadeu Recasens y Brunet nel saggio introduttivo al “Codice Europeo di Etica
per la Polizia” pubblicato in Italia dal Forum Italiano per la Sicurezza Urbana8, è quell’insieme di valori
che rendono effettiva l’aspettativa dei cittadini che “l’agente di polizia, come individuo, e la polizia, come
istituzione, facciano il loro dovere”.
Tale aspettativa è frutto della trasformazione della società da quella dell’equilibrio tra interessi contrapposti in conflitto a quella del consenso come espressione della volontà generale.
E il consenso richiede che il popolo ritenga affidabile la polizia, sia come istituzione sia come singolo soggetto; polizia che, in un sistema democratico di tipo europeo, detiene il monopolio dell’uso della forza.
Afferma Recasens y Brunet nel suo saggio che l’etica si trasforma “…in una realtà etica, in una cultura
intesa come «sforzo di ridurre la casualità della condotta umana, di obbligare tale condotta ad attenersi
ad uno schema. La cultura consiste essenzialmente in alcune scelte al di sopra di tutte le altre». Si tratta
di un’etica effettiva (tanto individuale quanto collettiva) che finisce nel trasformarsi in una deontologia,
un’etica del comportamento professionale che si concretizza nel dovere e che, a sua volta, deve materializzarsi in azioni. Il dovere si delinea come guida dell’azione…”9 ed altro non è che la capacità nei casi
concreti di prendere decisioni fondate sulla conoscenza professionale in un ambito ed in un contesto
determinati.
Viene da chiedersi quale sia, in questo quadro culturale la funzione del “Codice Europeo di Etica per la
Polizia”: una prima significativa risposta ci viene dagli stessi estensori che, nel “Memorandum esplicativo”, precisano “…un codice di etica per la polizia aumentano le possibilità che i problemi etici siano più
prontamente identificati , meglio compresi, più attentamente analizzati, più prontamente risolti.”10.
Il “Memorandum Esplicativo” identifica, poi, dei «concetti chiave» per la Polizia nei seguenti:
3 “Etica del servizio e deontologia per la Polizia Locale” di Carlo Di Palma, Maggioli Editore, 2007.
4 “Deontologia professionale e servizio della Polizia Locale”, Antonio Barbato, Laurus Robuffo, 2007.
5 “Prolegomeni sull’etica nell’Arma dei Carabinieri”, Alessandro Gentili, Laurus Robuffo, 2001.
6 “La deontologia professionale nell’ambito della Polizia Municipale”, Enrico Rossi, Sapignioli Editore, 2000.
7 “Etica del servizio e deontologia per la Polizia Locale”, citato supra, cap. 6°, pagg. 43 e seguenti.
8 “Codice Europeo di Etica per la Polizia”, Forum Italiano per la Sicurezza Urbana, 2005, pagg. 14 e seguenti.
9 Saggio introduttivo al “Codice Europeo di Etica per la Polizia”, Amadeu Recasens y Brunet, Forum Italiano per la Sicurezza Urbana, 2005, pag. 17.
10 Memorandum esplicativo contenuto in “Codice Europeo di Etica per la Polizia”, Forum Italiano per la Sicurezza Urbana, 2005,
pag. 50.
• lealtà,
• consenso,
• imparzialità,
• discrezione,
• professionalità,
e precisa che il “Codice Europeo di Etica per la Polizia” assegna riferimenti comuni e significati condivisi
a tali concetti11.
Il “Codice Europeo di Etica per la Polizia”, definendo standard minimi, valori e un quadro di riferimento
etico, svolge una funzione di regolarizzazione in almeno quattro sensi:
a) contribuendo al controllo della qualità del personale delle organizzazioni di polizia;
b) contribuendo all’esercizio della leadership, della gestione e della supervisione;
c) rendendo più responsabili i funzionari12 di grado più alto;
d) fornendo una normativa per la risoluzione di difficili controversie interne13.
Nell’impossibilità di analizzare puntualmente i sessantasei articoli che compongono il “Codice Europeo di
Etica per la Polizia” ci si limiterà ad esaminare gli articoli funzionali alla logica del controllo interno.
Va, innanzi tutto, rilevato che il “Codice Europeo di Etica per la Polizia” ha come campo di applicazione
(come precisato nella relativa definizione in premessa allo stesso) non solo le Forze di Polizia dello Stato
ma a tutti i soggetti che in forza delle leggi, sono autorizzati all’uso della forza ed ad altri poteri straordinari (ad esempio di natura sanzionatoria) al fine di far rispettare le stesse leggi e l’ordine nella società
civile.
Ne consegue che in tale ambito rientrano compiutamente le Polizie Locali che hanno il fine di far
rispettare le leggi (ed i regolamenti locali) e di garantire l’ordinata convivenza civile essendo
per ciò autorizzate all’uso della forza e dotate di poteri sanzionatori.
Vanno, poi, richiamati alcuni articoli che riguardano l’organizzazione delle polizie ed il reclutamento del
personale.
Sotto il profilo dell’organizzazione meritano di essere richiamati gli articoli 16, 17, 18, 19, 59, 61 e 62
che recitano rispettivamente:
16.Il personale di polizia di ogni livello deve essere personalmente responsabile e rispondere delle
proprie azioni, omissioni o degli ordini impartiti ai subordinati.
17.L’organizzazione della polizia deve avere al suo interno una chiara catena di comando. Deve essere sempre possibile determinare quale superiore sia in ultima analisi responsabile degli atti o
delle omissioni del personale di polizia.
18.La polizia deve essere organizzata in modo da promuovere buone relazioni tra la polizia e i cittadini e, dove appropriato, l’efficace cooperazione con gli altri enti, comunità locali, o.n.g. e altri
rappresentanti dei cittadini, compresi i gruppi delle minoranze etniche.
19.Le organizzazioni di polizia devono essere pronte a fornire al pubblico informazioni obbiettive sulle
proprie attività, senza tuttavia rivelare informazioni riservate. Devono essere istituite linee guida
professionali per i rapporti con i media.
59.La polizia deve dar conto del proprio operato allo stato, ai cittadini ed ai loro rappresentanti, e
deve essere sottoposta ad un efficiente controllo esterno.
61.Le autorità pubbliche devono assicurare procedure efficaci ed imparziali di gestione delle denunce
nei confronti della polizia.
62.Devono essere promossi meccanismi di responsabilità basati sulla comunicazione e sulla reciproca
comprensione tra cittadini e polizia.
11 Memorandum esplicativo contenuto in “Codice Europeo di Etica per la Polizia”, Forum Italiano per la Sicurezza Urbana, 2005,
pag. 50.
12 Secondo la terminologia europea per funzionari si intendono sia i direttivi che i dirigenti.
13 Memorandum esplicativo contenuto in “Codice Europeo di Etica per la Polizia”, Forum Italiano per la Sicurezza Urbana, 2005,
pag. 51.
Questi sette articoli statuiscono questi principi:
§ Responsabilità personale di tutti gli operatori di polizia per le loro azioni ed omissioni;
§ Necessità di una chiara catena gerarchica e conseguente responsabilità di chi ricopre ruoli di comando;
§ Necessità di dialogo e cooperazione responsabile con i cittadini e le loro organizzazioni, comprese
le minoranze etniche;
§ Obbligo di comunicazione obbiettiva sull’attività svolta contemperando le esigenze di riservatezza;
§ Sottomissione della polizia al controllo dei legittimi rappresentanti dei cittadini anche attraverso
strumenti di controllo esterno;
§ Gestione imparziale ed efficace delle denunce nei confronti della polizia e dei suoi singoli appartenenti.
Sotto il profilo del reclutamento merita di essere richiamato l’art. 23 che così recita:
23.Il personale di polizia deve essere in grado di dimostrare solida capacità di giudizio, apertura mentale, maturità, imparzialità, capacità di comunicare e, dove necessario, leadership e competenze
gestionali. Inoltre, deve avere una buona comprensione delle problematiche sociali, culturali e
delle comunità.
L’articolo definisce i requisiti professionali di operatori e funzionari14 assolutamente innovativi rispetto ai
tradizionali canoni di reclutamento delle Forze di Polizia statali stabiliti nel periodo postunitario e giunti
quasi ai nostri giorni pressoché immutati.
Vanno, ancora, richiamati alcuni articoli che riguardano la moralità degli operatori di polizia; in particolare
vanno richiamati gli articoli 21, 24 e 46 che recitano rispettivamente:
21.A tutti i livelli dell’organizzazione della polizia devono essere istituiti misure efficaci per prevenire
e combattere la corruzione al suo interno.
24.Le persone condannate per gravi reati devono essere interdette dall’impiego nella polizia.
46.Il personale di polizia deve contrastare ogni forma di corruzione all’interno della polizia e informare i propri superiori o altri organismi preposti di eventuali casi di corruzione nella polizia.
Non vi è una definizione di corruzione internazionalmente condivisa, come riconosce lo stesso “Memorandum Esplicativo”15, ma esso viene usato per ricomprendere una vasta gamma di comportamenti
illeciti che vanno dalla “corruzione” in senso proprio (artt. 318, 319 e 319-ter del Codice Penale), alla
“concussione” (art. 317 del Codice Penale), all’ “omessa denuncia” (art. 361 del Codice Penale), al
“favoreggiamento personale” (art. 378 del Codice Penale), alla “rilevazione di segreti inerenti un
procedimento penale” (art. 379 bis del Codice Penale), ai “falsi” (artt. 476 e 479 del Codice Penale)
intesi sia in senso proprio si nel senso della soppressione di prove e, più in generale, all’ “abuso in atti
d’ufficio” (art. 323 del Codice Penale).
Il tema della “corruzione – abuso”, o meglio del suo contrasto, è assolutamente centrale se si vuole garantire il consenso dei cittadini all’azione delle forze di polizia.
Il tema è ben presente nei responsabili delle forze di polizia dei paesi di nuova democrazia che si sono
entrati di recente nell’Unione Europea o che attendono a breve di farne parte. Il tema del contrasto alla
“corruzione – abuso” è il tema “numero uno” nell’azione quotidiana dei responsabili di questi paesi.
Molta minor attenzione per la verità viene posta nel nostro paese ove il tema viene normalmente sottovalutato e ritenuto come la “corruzione – abuso” sia il comportamento patologico di poche ed isolate
«mele marce.»
Eppure basterebbe ripercorrere le rassegne stampa degli ultimi mesi per rendersi conto che non è così
nel senso che il fenomeno riguarda tutte le forze di polizia, l’intero territorio nazionale e tutti i livelli gerarchici: dai più alti, al personale a tempo determinato.
È importante che la memoria collettiva non dimentichi alcuni episodi giunti agli onori delle cronache negli
ultimi tempi:
14 Vedi nota 12.
15 Memorandum esplicativo contenuto in “Codice Europeo di Etica per la Polizia”, Forum Italiano per la Sicurezza Urbana, 2005,
pag. 79
vIl comportamento ingiustificatamente violento dei poliziotti di Ferrara che avrebbe causato la morte di un giovane fermato;
vL’analogo comportamento di due carabinieri in provincia di Como che avrebbe causato la morte di
un ubriaco;
vIl capo della Squadra Mobile di Napoli che avrebbe favorito un camorrista rivelando una intercettazione telefonica;
vI 22 operatori della Polizia Locale che sarebbero corrotti e collusi con la camorra in Campania;
vIl generale dei Carabinieri, comandante dei Ros, condannato in primo grado a molti anni di carcere
per operazioni antidroga condotte in modo non ortodosso per ottenere encomi e promozioni;
vIl comandante della Polizia Locale di Parma arrestato per corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio;
vI 16 agenti della polizia stradale di Rovigo che avrebbero taglieggiato gli autotrasportatori;
vI generali della Guardia di Finanza indagati nell’ambito della vicenda P4;
vI 2 agenti della Polizia Locale di Venezia arrestati per concussione;
vI 3 agenti della Polizia Locale di Jesolo condannati in primo grado per i comportamenti violenti e i
numerosi abusi d’ufficio commessi nei confronti di venditori extracomunitari;
vL’operatore della Polizia Locale di Verona che estorceva denaro a commercianti extracomunitari
ambulanti regolari;
vGli agenti della Polizia Locale di Milano che rilasciano, dietro compenso, permessi di transito ingiustificati in ZTL;
vL’agente della Polizia Locale di Roma Capitale che “aggiustava” pratiche dietro compenso;
vLe decine di dirigenti, funzionari e agenti della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria condannati nei diversi processi connessi ai fatti del già ricordato G8 di Genova 2001.
L’eterogeneità degli episodi sopra ricordati dimostra che il tema della “corruzione – abuso” non può essere liquidato semplicemente come il comportamento isolato di poche mele marce ma deve originare un
sistema di anticorpi all’interno delle stesse forze di polizia.
Va rilevato, infatti, che assai raramente tali comportamenti illeciti vengono scoperti grazie ad indagini
interne (di tutti gli episodi ricordati solo quello di Milano è frutto di una indagine interna) ed addirittura
in alcuni casi, vi sono comportamenti omertosi da parte dei colleghi degli indagati se non degli evidenti
intralci alle indagini.
Alla luce di queste esperienze e delle conseguenti considerazioni è di fondamentale importanza che ogni
Corpo si doti di una struttura permanente di controllo interno guidata da un dirigente sub apicale che
risponda esclusivamente al Comandante del Corpo e che abbia sostanzialmente queste finalità:
a) Il monitoraggio di tutta l’attività svolta periodicamente da ciascuna singola struttura attraverso
la realizzazione di una serie di report quali-quantitativi che devono poi essere confrontati e discussi con i rispettivi responsabili in riunioni collegiali;
b) La verifica periodica delle procedure adottate mediante relazioni dei responsabili delle strutture da verificarsi a campione con indagini sul campo;
c) La verifica approfondita di tutte le segnalazioni o lamentele che pervengono dai cittadini rispetto a comportamenti o omissioni degli operatori e dei funzionari;
d) Il compimento delle indagini di natura disciplinare e se necessario penale sul comportamento degli operatori e dei funzionari;
e) Il monitoraggio di tutti i comportamenti dei dipendenti che possano essere sintomatici di
possibili “corruzioni – abusi”.
Prima di esaminare nel dettaglio le finalità è opportuno osservare che la struttura dedita al controllo interno deve avere caratteristiche di indipendenza, autorevolezza, imparzialità, professionalità e riservatezza.
È infatti un dato consolidato che tutte le forze di polizia, sia a livello statale che a livello locale, siano
caratterizzate da una fortissima sindacalizzazione e che l’appartenenza sindacale venga utilizzata per
agevolare percorsi di carriera; è evidente pertanto, che le logiche sindacali non possono in alcun modo
influenzare l’attività del controllo interno.
In particolare devono essere esenti da tali logiche coloro che sono chiamati a svolgere le indagini disciplinari e quelle di natura penale relative agli operatori per garantire al massimo l’imparzialità, l’autorevolezza e la riservatezza delle indagini.
Il monitoraggio è funzionale sia alla verifica dell’eticità dell’attività svolta sia alla verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità.
Il monitoraggio attraverso il sistema dei report periodici è da un lato, uno strumento di governo secondo
l’antico principio del «conoscere per governare» ma dall’altro, è anche il miglio modo di rapportarsi con
i rappresentanti dei cittadini adempiendo così alle previsioni dell’art. 59 del “Codice Europeo di Etica per
la Polizia”.
Il N.Y.P.D. elabora report settimanali dell’attività svolta a livello dei distretti di polizia e delle analoghe articolazioni delle strutture di staff e li discute in riunioni parimenti settimanali a cui partecipano i massimi
vertici (Capo, Vice Capo, 12 Direttori Centrali) unitamente a tutti i 97 responsabili di distretto.
Nel proprio sito, Il N.Y.P.D. pubblica per ciascun distretto la foto e il nome del responsabile con il recapito
di tutti i responsabili degli uffici dipendenti (detective, crimini domestici, prevenzione del crimine, controllo del territorio, ect.), le statistiche settimanali dei crimini, nonchè il nome ed il recapito del consiglio
di distretto cioè di quell’organismo rappresentativo dei cittadini che con cadenza periodica (mensile o
bimensile) si incontra per discutere con i responsabili del distretto le problematiche attinenti la sicurezza.
I report settimanali devono costituire la base informativa per l’elaborazione delle “mappe territoriali dei
rischi” (di cui ci sono bellissime esperienze anche in Italia ad esempio a Milano, Torino e Verona) che devono essere alla base dei programmi di intervento sia delle forze di polizia ma anche o, forse, soprattutto
dei servizi sociali, della manutenzione urbana, etc..
I report costituiscono anche la base informativa del controllo di gestione che, con l’introduzione del sistema dei costi standard voluti dal legislatore, assumeranno una funzione primaria nel fornire elementi
decisionali fondamentali per le scelte gestionali e nella programmazione dell’attività.
La verifica periodica delle procedure deve avere una duplice funzione: da un lato verificare l’adeguatezza delle procedure in essere rispetto alle evoluzioni normative ed alle aspettative dei cittadini,
e dall’altro verificare nel merito i risultati dell’attività proceduralizzata, che non necessariamente trova
adeguata verifica con i soli report periodici, nonché la congruità delle risorse economiche ed umane utilizzate e le eventuali implementazioni necessarie.
La verifica delle segnalazioni dei cittadini sui comportamenti degli operatori è fondamentale per
assicurare il consenso dei cittadini all’agire della polizia.
Chi ha esperienza di comando conosce perfettamente che in ogni realtà esistono soggetti dediti alla lamentela ripetuta sia a mezzo messaggi al comando sia con lettere agli organi di stampa; l’attendibilità di
tali soggetti è normalmente assai scarsa ma è quasi mai totalmente infondata.
Vanno quindi verificate tutte le segnalazioni, comprese quelle dei lamentosi recidivi, ma soprattutto
quelle di coloro che fanno segnalazioni puntuali. L’esperienza insegna, che una parte rilevante è originata
da rancore causato da sanzioni subite in precedenza dal segnalante, ma non di meno esse meritano di
ricevere una risposta puntuale e non solo formale.
Tutte le segnalazioni vanno trattate e possibilmente inserite in un “database” che consenta di elaborarle
in modo da poter ricavare, ad esempio, informazioni sugli operatori e sulle strutture che ricevono maggiori segnalazioni. In tal modo sarà possibile effettuare oltre che interventi di natura disciplinare anche
interventi di natura organizzativa.
Se le segnalazioni hanno un riscontro positivo è assolutamente necessario dare avvio ad una indagine
di natura disciplinare onde poter avere tutti gli elementi eventualmente necessari a dar vita a una vera
e propria contestazione disciplinare.
Si è già sottolineato come l’indagine disciplinare debba essere caratterizzata da indipendenza, imparzialità e riservatezza. Va in questo contesto sottolineato come essa debba essere assolutamente rispettosa
delle norme che la regolano, sia sotto l’aspetto sostanziale che su quello formale.
Parimenti è necessario che non vi sia alcuna indulgenza nei confronti degli operatori che si siano resi
responsabili di mancanze disciplinari ed ancor peggio se aventi riflessi penali. Il noto detto che «la legge
si interpreta per gli amici e si applica per i nemici» non può avere alcuna applicazione nelle indagini disciplinari. Lo ricorda anche l’art. 61 del “Codice Europeo di Etica per la Polizia” che prescrive che debbano
essere assicurate procedure efficaci ed imparziali di gestione delle denunce nei confronti della polizia.
Ancor prima è necessario chiedersi quale credibilità avrebbe nei confronti dei cittadini una forza di polizia
che fosse indulgente nei confronti di quei propri appartenenti che si rendono responsabili di comportamenti illeciti, sia pure solo sotto il profilo disciplinare se non anche sotto quello penale.
Senza tale credibilità viene mancare la fiducia sul fatto che la polizia (come organizzazione ma anche
come singoli componenti) faccia, parafrasando l’espressione di Recasens y Brunet, “quello che deve fare”
e conseguentemente riceva il consenso che, in un paese democratico, legittima l’operato stesso della
polizia.
In questo senso è necessario che, contrariamente alla fase istruttoria del procedimento disciplinare che
deve essere caratterizzata dall’assoluta riservatezza, la conclusione del procedimento disciplinare e ancor
più di quello penale (intendendosi per conclusione del procedimento penale non tanto la definizione del
giudicato penale ma la conclusione dell’indagine preliminare) abbiano un adeguato risalto in termini di
comunicazione con l’opinione pubblica. È assolutamente necessario che il cittadino percepisca la capacità
della polizia di sanzionare senza indulgenza ed appropriatamente i propri appartenenti che si sono resi
responsabili di comportamenti illeciti.
Il monitoraggio dei comportamenti sintomatici di possibili “corruzioni – abusi” è in assoluto la
finalità più delicata svolta dal controllo interno: si muove all’interno di uno spazio giuridico assai limitato
compreso tra i limiti posti dallo statuto dei lavoratori e quelli posti dalla normativa sulla privacy.
È, però, assolutamente fondamentale che tale monitoraggio venga effettuato con l’adeguata ponderazione.
Ci sono alcuni comportamenti extra professionali che possono facilmente essere monitorati come ad
esempio il tenore di vita che deve essere congruo con il reddito dell’operatore di polizia e del suo nucleo
familiare.
Se il tenore di vita non fosse congruo evidentemente si dovrebbe sviluppare una verifica assai riservata
per capirne le ragioni e per accertare che non ci siano di riflessi sull’attività professionale.
Evidentemente vi sono altri comportamenti extra professionali che risultano essere molto più difficili da
monitorare: è però di fondamentale importanza avere un quadro adeguato di quei comportamenti che
in tempi passati venivano definiti come “moralità” e che hanno evidenti riflessi sull’attività professionale.
Altrettanto delicato è il monitoraggio del comportamento tenuto dall’operatore durante l’orario di servizio
e che rientrano nelle casistiche della deontologia professionale. Tipico è l’esempio del caffè preso al bar
che, se consumato sempre nello stesso esercizio, potrebbe sottendere atteggiamenti micro-concussivi,
come provati in recenti indagini di alcune Procure della Repubblica.
Ma ancor più delicato è il monitoraggio dell’attività di servizio.
Diceva un vecchio comandante di polizia locale «diffidate dai troppo bravi»: alla prima impressione sembrerebbe una espressione priva di senso, ma se poi si va a verificare l’esperienza concreta, si capisce
che l’espressione sottintende un significato più profondo. Quanti sono i soggetti preparatissimi in qualche
materia professionale che - monitorandoli per qualche tempo - ci si accorge che sono estremamente gelosi delle loro attività professionali, non permettono a nessuno di interagire con loro, etc. etc..
Tali “gelosie” hanno l’effetto di impedire la crescita di nuovi operatori e non sono infrequenti i casi in cui
siano funzionali a comportamenti illeciti: ne è un esempio il caso di concussione recentemente scoperto
a Venezia e che ha portato due operatori della Polizia Locale a lunghi mesi di detenzione in attesa del
giudizio immediato.
Altrettanto da monitorare è l’atteggiamento di coloro che tendono ad occuparsi eccessivamente dell’attività svolta dai colleghi; spesso è solo voglia di imparare, ma non si può escludere a priori che ciò non
sottenda comportamenti illeciti come comunicare anticipatamente dei controlli programmati ai diretti
interessati.
Un discorso a parte va fatto, infine, sul tema della rotazione degli incarichi e dei servizi.
L’opportunità vorrebbe, come è prassi per gli Ufficiali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, che ci
fosse una periodica rotazione negli incarichi in maniera che nessuno ricopra un certo ruolo per più di 3/5
anni: questo se è abbastanza accettato nei livelli più elevati della scala gerarchica, è invece normalmente
fortemente avversato nei livelli inferiori.
Le motivazioni alla base di tali avversità sono numerose:
©La più nobile è in relazione alla professionalità acquisita, nel senso che costituisce uno spreco
cambiare di incarico un soggetto dopo che ha acquisito una professionalità specifica;
©Il cambiamento di incarico molto spesso, se si vuole salvaguardare la professionalità acquisita, si
concretizza con il cambiamento di sede con i conseguenti disagi;
©Il cambiamento di incarico viene ritenuto, soprattutto dalle sigle sindacali, come inutilmente punitivo per tutti e come scarsamente efficace per i disonesti;
©Le stesse sigle sindacali normalmente non tengono conto degli inevitabili cali di produttività derivanti dalla routinarietà.
È evidente che il controllo interno deve concentrare le proprie attenzioni sul personale di maggior anzianità in ciascun incarico, sia per valutarne l’efficacia e l’efficienza dell’azione sia per monitorarne i comportamenti sotto il profilo dell’eticità.
La rotazione nei servizi, in modo che un operatore non faccia squadra sempre con lo stesso numero limitato di colleghi, è un provvedimento di natura organizzativa che, soprattutto nelle realtà più complesse,
consente di aumentare notevolmente il controllo sociale interno alle forze di polizia.
Alla rotazione dei servizi è efficace affiancare la “non predeterminazione” delle squadre e degli equipaggi
in maniera che ciascun operatore venga a conoscenza solo ad inizio turno della composizione dell’equipaggio in cui è stato inserito.
Anche la rotazione dei servizi e la non predeterminazione delle squadre sono spesso avversate dalle organizzazioni sindacali perché comportano necessariamente pesanti ripercussioni sulla vita privata degli
operatori, che difficilmente riescono a programmare con largo anticipo i loro impegni di natura personale
e /o familiare.
Anche in questo caso il controllo interno deve concentrare la sua attenzione su coloro che sistematicamente chiedono cambi turno ovvero chiedono di essere messi in equipaggio sempre con gli stessi colleghi.
Una considerazione finale deve essere fatta in merito ai modelli organizzativi connessi al controllo interno.
Mentre risulta evidente che nelle strutture più piccole le funzioni di controllo interno devono essere concentrate nella figura del Comandante, in tutte le altre realtà è opportuno che venga istituito una struttura
con personale adeguatamente qualificato sotto il profilo della rettitudine morale, dell’esperienza professionale, dell’assoluta indipendenza ed imparzialità, dell’attitudine a percepire i segnali che pervengono
dall’esterno e che ricopra un grado adeguato essendo posto alle dirette dipendenze del Comandante.
Rimane però inevitabilmente il tema di «chi controlla i controllori»: a questo tema vi è una risposta efficace con il modello organizzativo del L.A.P.D. cioè con la creazione di una struttura esterna ed indipendente, che si rapporti direttamente alla massima autorità politica dell’ente, e che valuti i comportamenti
del Comandante e del Controllo Interno. Ma esperienze di questo tipo in Italia ancora non esistono.