Cos`è l`arte terapia-1

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Cos`è l`arte terapia-1
COS’É LA TERAPEUTICA ARTISTICA
1 - La nascita e la storia dell’arte terapia.
2 - Cenni storici
3 - Oggi
1 - La nascita e la storia dell’arte terapia.
L’arte-terapia è un nome composto da due sostantivi: arte e terapia. Con il termine Arte, dal latino “ars-artis”, si
intendeva l’abilità di fare, sinonimo quindi di grazia, gusto, ingegnosità. Ora il senso più corrente della parola
arte è quello della produzione estetica: creare cose belle ed anche l’idea di non naturale come appare nei
termini artificiale, artefatto. Il termine Terapia, sinonimo di terapeutica (dal greco therapeia che significa cura,
servizio) racchiude l’insieme delle azioni e delle pratiche dirette a trattare e guarire le malattie. Il termine terapia
ha avuto un’evoluzione considerevole, inizialmente si riferiva, alla cura di patologie mentre oggi è sinonimo di
azione basata su una concezione positiva della salute intesa come ricerca di benessere psicofisico e non
come cura di malattia. L’obiettivo dell’arte-terapia, che da ora chiameremo Terapeutica Artistica dal nome del
corso accademico attivato all’Accademia di Belle Arti di Brera che ci ha formati, è dunque questo: raggiungere
il benessere mediante l’espressione artistica esplorando la propria esperienza interna: sentimenti,
percezione, immaginazione, chiamando in causa la convinzione che il processo del fare artistico abbia in sé un
potere curativo, la creazione artistica possa così divenire un’ occasione per esprimere se stessi, una salutare
esperienza di crescita. L’arte, inoltre, viene considerata mezzo di comunicazione simbolica, mezzo di
comunicazione di problemi, emozioni e conflitti.
2 - Cenni storici
La Terapeutica Artistica è una disciplina che nasce per l’influenza di materie attinenti e tratta di un campo
relativamente nuovo. Le prime forme di arte terapia nascono in Gran Bretagna, negli anni 40, ed inizialmente i
metodi utilizzati furono quelli pedagogici, (a differenza di quelli francesi segnati dagli studi psichiatrici sull’art des
fous) fu infatti Adrian Hill, maestro d’arte, che coniò nel 1945 il termine art therapy.1 Già nell’antichità possiamo
dire che l’arte ha avuto un ruolo fondamentale nella cura. Il simbolo è da sempre considerato un elemento
necessario nei riti di guarigione. L’uomo ha cominciato a comunicare visivamente attraverso segni, simboli
(geroglifici egiziani, scrittura cuneiforme dei sumeri, attualmente ideogrammi cinesi) oltre che ad utilizzarli a
scopo magico o decorativo. I primitivi disegnavano sulle pareti delle grotte scene di caccia per, probabilmente,
poter “catturare” prima le prede, per poi ottenere buone battute di caccia. Oppure l’arte era utilizzata per potersi
proteggere dal male, per controllare le emozioni, l’ansia e la paura (sarcofagi egizi). L’utilizzo delle maschere per
potersi proteggere dai mali e recuperare forze. Ma ancora oggi vi sono popolazioni, esempio i Navajo, che
utilizzano canto, danza e pittura per curare specifiche malattie. I tibetani usano i mandala per concentrarsi nella
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G.Bedoni B.Tosatti, Arte e psichiatria. Uno sguardo sottile, Milano, 2000.
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COS’É LA TERAPEUTICA ARTISTICA
preghiera ed assicurare la guarigione ed il sollievo. Gli sciamani utilizzano rituali ed immagini per poter guarire il
corpo e lo spirito. Inoltre è particolare da notare come l’utilizzo ed il significato di alcuni simboli (spirale,
labirinti…) siano somiglianti nelle diverse culture, ciò accentua come il linguaggio visivo sia un modo comune per
poter comunicare concetti universali. 2 L’arte da sempre è stata la forma di comunicazione in grado di
arrivare dove non poteva la parola.
È necessario sottolineare che l’arte, come mezzo di cura, è stata influenzata dall’avvento della psichiatria
moderna, infatti nel XX secolo la psichiatria ha iniziato ad interessarsi alle unioni tra le immagini e l’inconscio
sfociando nella convinzione che vi sia un’ unione tra arte e mondo interiore. Già nel 1912 Emil Kraepelin e Karl
Jaspers notarono come i disegni dei loro pazienti fossero utili per la diagnosi della malattia, ma si dovette
aspettare Freud e le sue teorie sull’inconscio e l’immagine onirica
per poter sottolineare il legame tra immagine e mondo interiore,
anche se non impiegò l’arte come strumento terapeutico pur
ritenendo il prodotto artistico come specchio del mondo interno.
Jung elaborò il concetto di un inconscio collettivo, che,
attraverso archetipi universali, si trasmettono attraverso il fare
artistico. Considerava l’arte come una via di accesso ai
sentimenti e all’analisi del sé che risiedono nell’inconscio, e che
Van Gogh - Campo di grano e corvi
devono essere portate alla luce per non avere effetti negativi sul comportamento e quindi entrare in uno stato di
benessere e trasformazione. A differenza di Freud, Jung spingeva i propri pazienti a disegnare le loro immagini
oniriche:
“Dipingere ciò che vediamo davanti a noi è un’arte diversa dal dipingere ciò che vediamo dentro”.3
Inizialmente, i presupposti non furono sostanzialmente terapeutici: l’arte era utilizzata come forma di svago, e di
occupazione del paziente dall’ozio del ricovero. Successivamente si crearono, all’interno degli istituti di cura,
delle vere e proprie esposizioni dei lavori dei pazienti, le quali toccavano città come Londra, Parigi, Berna,
Torino: in alcuni casi attratti della sfera artistica, altri utilizzati come metodo per uso patologico. Come
esempio possiamo citare l’antropologo criminale Cesare Lombroso, il quale si interessò alla natura delle malattie
mentali e al loro legame anatomico e fisiopatologico. Noto per il saggio Genio e follia che pubblicò nel 1872 e
per i suoi studi in campo criminale, fu, inoltre un grande collezionista di opere dei malati che porterà ad una
grande raccolta. 4 Di grande importanza, per l’epoca e per gli sviluppi delle ricerche successive, fu il saggio del
1922 di Hans Prinzhorn (storico dell’arte e psichiatra), Bildnerei der Geisteskranken (L’attività plastica nei malati
2
C.A. Malchiodi, Arteterapia, L’arte che cura, Firenze, 2009.
3
Ivi, p. 34
4
G.Bedoni B.Tosatti, op.cit., p. 183
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di mente). Al termine della prima guerra mondiale egli ricevette l’incarico di curatore della collezione della clinica
psichiatrica di Heidelberg; per due anni si occupò della catalogazione e analisi delle produzioni artistiche, fino al
1921 quando decise di intraprendere una vita nomade. In questo saggio analizzò e raccolse le opere prodotte
da malati di mente ospiti in istituti psichiatrici tedeschi, e non solo, trovando una relazione tra attività artistica e componente schizofrenica di alcuni grandi artisti, tra i
quali Van Gogh e Kokoschka. Il suo interesse era quello di sottolineare come le
opere degli artisti isolati fossero di grande spessore quanto quelle degli artisti
conosciuti, inoltre, criticò le tesi di Lombroso considerandole fonte di pregiudizio
che si allontanano dalla vera comprensione della produzione artistica dei malati,
spostando l’attenzione sul processo di creazione dell’immagine e delle radici
psichiche. 5 Il saggio suscitò l’interesse da parte dei pittori Surrealisti, tra cui S. Dalì
Adolf Wolfli - talentuoso artista
outsider e presente al Museé de
l’Art Brut di Losanna.
e M. Ernst i quali consideravano le opere dei pazienti quali fonte di ispirazione per
le proprie opere. Ma fu l’artista Jean Dubuffet che mise in risalto l’arte degli esclusi,
arte che oggi conosciamo come l’Art Brut. L’arte frizzante (brut dal frizzare del vino
e non brut nel senso di brutto) nata dove nessuno la cerca. Si tratta di forme d’arte spontanee create da
persone estranee ai contesti artistici tradizionali. Dubuffet aprì nel 1947 il Foyer de l’Art Brut e successivamente
fondò la Compagnie de l’ Art Brut. La sua avversione nei confronti dell’arte tradizionale lo portò ad interagire con
le esperienze terapeutiche avvicinandosi sempre più all’arte marginale.
Sino agli anni ’50-’60 i laboratori artistici venivano ancora attivati per
poter tenere occupati i pazienti, ma negli anni ’60-’70 la disciplina verrà
influenzata dal concetto psicanalitico di creatività di Donald
Winnicott: “E’ l’ appercezione creativa, più di ogni altra cosa che fa sì
che l’individuo abbia l’impressione che la vita valga la pena di essere
vissuta. In qualche modo la nostra teoria comprende la convinzione che
vivere creativamente sia una situazione di sanità,e che la compiacenza
Dubuffet la retrospettiva al Centro
Pompidou di Parigi
sia una base patologica per la vita.” 6
Sono, dunque, gli anni del secondo dopoguerra ed i traumi che essa portò con sé che aprirono le porte alla
disciplina arte-terapia vera e propria e successivamente la chiusura dei luoghi manicomiali acconsentì la
costituzione di comunità terapeutiche dove “… gli atelier assumono un ruolo importante rispetto alle dinamiche
d’integrazione con il territorio, diventando uno strumento efficace di dialogo, apertura e lotta allo stigma”.7
5
Ivi, p.41
6
D.W. Winnicott (1971) Gioco e realtà. Tr.it., Roma,1974, P.119
7
L. Tonani, Espressione artistica e cura del disagio psichico in “Psicologia Contemporanea” , Marzo- Aprile 2010, pp.46-51
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COS’É LA TERAPEUTICA ARTISTICA
3 - Oggi
Oggi la terapeutica artistica ha diverse sfaccettature e si trova nel periodo storico in cui le diverse concezioni si
confrontano, dopo aver tanto lottato per vedere riconosciuta la sua importanza. Con certezza possiamo
affermare che i percorsi d’arte nella dimensione terapeutica non curano nel senso di guarigione da un patologia.
Il perché della nomenclatura Terapeutica Artistica e la definizione di artista terapista (e non arte terapeuta o arte
terapista): Il termine Terapeutica deriva etimologicamente dal latino Therapèutica e dal greco Therapeytikè
sottinteso di Tèchne “arte”. Nell’antica Grecia il significato della parola greca teche correntemente tradotta con
"arte” comprendeva sia l’arte, che la tecnica (la capacità, manuale). Essere artisti comporta un saper fare
cioè, una conoscenza, pratica e teorica e allo stesso tempo, una partecipazione consapevole a ciò che si fa:
è un’attività corporea e sensoriale, che si fonda sull'esperienza senso percettiva, progetta attività, produzioni,
forme, passando attraverso un percorso di riflessione.
Il “sentire” costituisce il punto di partenza e la costante di una costruzione della forma e della regola che
determina consapevolezza. L’artista terapista deve bilanciare il suo essere artista, esperto dei linguaggi artistici e
delle tecniche, in parallelo attuare percorsi terapeutici, nel senso di avere cura dell’utente e della suo operato.
Dunque l’operatore deve in primis padroneggiare sapientemente i linguaggi artistici ed esprimersi
autenticamente attraverso forme d’arte. In secondo luogo, i suoi studi e le sue competenze lo porteranno a
condurre l’utente in un percorso di sviluppo delle sue risorse, affinché l’utente stesso metta in atto un processo
trasformativo e benefico per sé. Oggi, negli atelier di terapeutica artistica le persone sono prima di tutto
partecipanti attivi all’interno di un gruppo, dove ogni membro è invitato ad esprimersi liberamente, e
perseguire obiettivi comuni, stabiliti in sede di équipe. L’atelier è un luogo fisico, il laboratorio e mentale perché
ogni uomo ha dentro di sé delle immagini che è invitato a concretizzare attraverso l’opera.
Negli atelier, nella pratica, si incolla, si disegna, si colora, si spruzza, rompe e si ricompone...
A cura di Erika Bettoni e Federica Sandrini
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