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dicembre07.febbraio 2008
02
magazine
BRANCACCIO
Ecostyle
RESTYLE
REFRESH RINNOVO
REDESIGN NUOVO
NEW RIFARE REMAKE
RIVEDERE REWIND
RIDISEGNO NEW
RIPROGETTARE
RESTYLE REWIND
RINNOVO REDESIGN
REFRESH NEW RIFARE
REMAKE RIVEDERE
RESTYLE RIDISEGNO
NEW RIPROGETTARE
RIFARE RESTYLE
restyle
NEWS
BRANCACCIO
5 Salerno per me
UNA CHIARA E SERENA BELLEZZA
7 Natale
IL PRESEPE DIPINTO DI MARIO CAROTENUTO
9 Arte
VISIONI TRA CORPI E MATRICI
11 Gusto
UGO TOGNAZZI: AMORE E FORNELLI
13 Natura
MINERVA IN GIARDINO
15 Nuovi linguaggi
DO YOU SPEAK ITALIAN?
Musica
QUANNO NASCETTE NINNO
dicembre07.febbraio 2008
02
BARTOLOMEO BRANCACCIO
17 Moda & modi
ISAIA L'ARTE DEL VESTIRE
_ LE IMMAGINI CHE ATTRAVERSANO IL MAGAZINE NON SONO
SEMPRE IN RELAZIONE CON GLI ARTICOLI.
19 Info
INDIRIZZI DEI NEGOZI BRANCACCIO
EDITORE
Carlo Brancaccio
DIRETTORE RESPONSABILE
Marco Amendolara
CURA REDAZIONALE DEI TESTI E CONSULENZA EDITORIALE
Marlin Editore . Tommaso e Sante Avagliano
DESIGN
Motive . Alessandro De Sio . Bruna Pallante
BRANCACCIO
HANNO COLLABORATO
Alfonso Amendola, Antonello Tolve, Giovanni Giugliano,
Alessia Sozio, Alfredo Nicastri
Ecostyle
MOSTRE
STAMPA
FOTO
Archivio Brancaccio . Motive . Alfio Giannotti
CONTATTI
[email protected]
MODA
DESIGN
TENDENZE
EVENTI
MUSICA
ARTE
GUSTO
CULTURA
ECOSTYLE, il nuovo spazio aperto da Brancaccio
in via Papio, offre un incontro con la fotografia
per raccontare la vita di un poeta: Alfonso Gatto.
E lo fa attraverso gli scatti di cinque giovani
fotografi italiani: Fabrizio Ajello, Antonio Iaccio,
Antonello Novellino, Nicola Sessa, Stefano
Tripodi. Cinque fotografi che hanno attraversato
e reinventato la vita d’un uomo straordinario:
un uomo che ha fatto della propria esistenza
appunto, e della propria corporalità, il centro
di un discorso elegiaco fatto di cose semplici,
di silenzio, di delicata e leggera quotidianità.
NEL SILENZIO DI UNA SIEPE. OMAGGIO AD ALFONSO
GATTO (aperta al pubblico dal dicembre 2007
al febbraio 2008, dalle ore 09.00 alle 20.30
ingresso libero) è il titolo della mostra
organizzata e curata da Antonello Tolve.
Una mostra pronta a far rivivere, in nove scatti
(35x50), un voyage incantato che, tra moda,
tendenza, classe, musica, tecnologia, gusto,
innovazione, sa mostrare e marcare, ancora,
l’emozione e la suggestione dell’infinito
intrattenimento poetico.
PER LA PUBBLICITÀ DI ECOSTYLE
089 564 799 1 > 089 259 163 0
ISCRIZIONE AL TRIBUNALE
N. 7 DEL 10/03 /2007
3
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Degustazione
Vino
MARTEDÌ 18 DICEMBRE.ECOSTYLE.ORE 21,00
Via Toledo in concerto
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GIOVEDÌ 13 DICEMBRE.ECOSTYLE.ORE 21,00
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MARTEDÌ 11 DICEMBRE.ECOSTYLE.ORE 21,00
Ecostyle magazine
DICEMBRE 2007
DICEMBRE 2007
DICEMBRE 2007
DICEMBRE 2007
in vetrina
Via Toledo in concerto
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DOMENICA 9 DICEMBRE.EMPORIO.ORE 18,30
3 Editoriale
NATALE IN CASA BRANCACCIO
BRANCACCIO
NATALE IN CASA BRANCACCIO
Quanti sono i Natali raccontati dagli scrittori napoletani
del ’900? C’è quello, patetico e folle, che Eduardo
inscena in Casa Cupiello. Ma c’è anche quello dei vicoli
oscuri e dei bassi in cui si gioca a tombola, descritto da
Domenico Rea. E quello vissuto nella lontana infanzia,
che Giuseppe Marotta rievoca intingendo la penna
nell’inchiostro della nostalgia. Per non dire del Natale
visto da Michele Prisco attraverso gli occhi e la mano
sapiente di un artista come Mario Carotenuto…
Ma poi c’è il Natale di via San Gregorio Armeno, affollato
di migliaia di pastori e di visitatori. E quello dei sontuosi
presepi sette-ottocenteschi allestiti in alcune chiese
e nelle case di occhiuti collezionisti. C’è il Natale dei
negozi del centro, straripanti di oggetti e beni di lusso.
E c’è il Natale delle squallide periferie, dove la stella
perde la coda e i Magi non sanno a chi domandare la
strada. A tutti questi Natali vuol rendere omaggio il
magazine voluto da Brancaccio per segnare con estrosa
inventiva la sua presenza di azienda leader nel campo
dell’abbigliamento, radicata com’è in una tradizione che
ci riporta ai primi decenni dello scorso secolo.
Una tradizione basata sulla raffinatezza dei capi
d’abbigliamento e sul rispetto per il cliente, a cui
Brancaccio non si limita ad esporre le sue eleganti
creazioni sartoriali, sempre al passo con i tempi e
l’alta moda, ma s’impegna a suggerire caso per caso
le fogge e i colori più idonei, certo di essere ripagato
con un’attenzione e una fedeltà che vanno ben oltre il
freddo rapporto di bottega. E che non vengono mai meno,
perpetuandosi di generazione in generazione.
Ecostyle
9 11 13 18
In questo numero
SA LERNO P ER M E
BRANCACCIO
Ecostyle
EMPORIO
di Mario Carotenuto
BRANCACCIO
Emporio
I NOSTRI MARCHI
AL BAR
DELL'ECOSTYLE
IL CAFFÈ
bella città. Disegnai strade e piazze, case e chiese, ma
mai direttamente il mare, che rimase sempre lo sfondo
favoloso e irraggiungibile di tante mie composizioni.
Un’aria normanna, da un lato, silenziosa e meditativa,
aleggia negli archi, negli anditi bui della parte vecchia
della città, dove, ad ogni angolo, capitelli e frammenti
hanno l’immobilità espressiva e stratificata del tempo;
dall’altro, un’accidia araba e orientale porta al piacere
del riposo, al sonno, ma sempre al silenzio,
che talvolta sembra l’unica cosa presente in questo
posto veramente singolare.
Perché amo questa città?
Perché è discreta e, se lo desideri, ti lascia nel silenzio
e nella quiete: ingredienti utili e talvolta fondamentali
per il lavoro dell’arte.
Qui è facile che ti senta come fuori dal mondo, riuscendo
a caricare ciò che fai delle risonanze derivanti dalla
riflessione e dallo studio.
Ci sono muri alti tra le persone, muri tra le case, muri
dappertutto, che ti chiudono e ti riparano. E tu
vivi la tua vita con la lentezza giusta, a misura d’uomo,
sul ritmo regolare dell’orologio.
Sono trascorsi tanti anni, e ora ho anch’io il mio passato
in questa città e, riandando indietro nel tempo, al di
là di ogni altra considerazione, un sentimento dolce e
familiare circonda il ricordo di case e strade, che si fa
più vivo se mi capita di osservare in fotografie
e cartoline antiche le immagini di una Salerno che quasi
non esiste più.
BRANCACCIO
Ecostyle
BAR
DONNA
Momo Design
Henri Lloyd
Orciani
SALERNO NON È LA CITTÀ IN CUI SONO NATO, ma è quella in
cui ho scelto di vivere, tanti anni addietro, e dalla quale
non ho voluto staccarmi mai. Ho sempre pensato che sia
tra le città più belle d’Italia per la mitezza del clima e
per la splendida posizione geografica, che la pone agli
inizi della Costa di Amalfi.
È indescrivibile il senso di chiara e serena bellezza che
pervade chi arriva a Salerno da Napoli, col treno, dopo il
passaggio tra le colline verdi di Cava e dopo il buio della
penultima galleria. Se poi si arriva a Salerno di notte la
suggestione è anche maggiore.
Io ho pochissimi ricordi della Salerno dei tempi lontani
tra il 1930 e gli inizi del 1940.
Arrivai in questa città nella primavera del 1945, quando
la guerra si era da poco allontanata, lasciando macerie,
lutti ed anche un irrefrenabile desiderio di vita.
Per la prima volta mi accadeva di vivere a contatto con
il mare. La cosa mi sembrò straordinaria. Venivo dalla
campagna dell’Agro nocerino e sentii subito la mancanza
di un paesaggio a me familiare: le distanze verdi a
perdita d’occhio fino al Vesuvio o la calata armoniosa
delle montagne del valico di Chiunzi fino all’apertura
festosa del golfo di Castellammare.
Tutto mi sembrava troppo ristretto e troppo a picco
sull’enorme distesa del mare, allora molto più vicino
alla città, che in tutte le ore ne sentiva
il rumore e il profumo.
Il mare, spesso, più che aprire la prospettiva della
lontananza, la chiude, se è una semplice striscia
azzurra, verde o grigia davanti alle case. Solo se si
anima di barche o natanti in genere crea lo spazio, il
quale è sempre il risultato di una relazione di cose, un
punto di riferimento tra loro: dislocate a varie distanze
su un piano, esse si rimandano proporzioni di grandezze
e toni di luce.
Ricordo che allora, per più di un anno, non riuscii né a
disegnare né a dipingere qualche paesaggio.
Le marine non erano soggetti adatti a me e nemmeno lo
erano i vicoli caratteristici tra i ruderi e le rovine. Tornai
spesso con la cassetta dei colori nei posti familiari
della mia adolescenza e solo dieci anni dopo iniziai una
serie di disegni di Salerno ad inchiostro di china e mi
sembrò di aver capito la struttura e lo spirito di questa
5
www.brancaccio.it
Una chiara e serena
bellezza
NA T A LE
BRANCACCIO
Ecostyle
EMPORIO
di Michele Prisco
PRESEPE & DINTORNI
IL PARADOSSO CHE VUOLE LA CANZONE ITALIANA FIGLIA
DELLA CANZONE NAPOLETANA PUÒ ESSERE ALLARGATO
AD ALTRI E PIÙ IMPORTANTI AMBITI CULTURALI. UNO
DI QUESTI È IL NATALE. SE È VERO, AD ESEMPIO, CHE
IL PRIMO PRESEPE FU REALIZZATO NEL 1223 DA SAN
FRANCESCO A GRECCIO, È A NAPOLI CHE PER SECOLI SI
SVILUPPA FINO AI MASSIMI LIVELLI ARTISTICI L'USO DI
RIPRODURLO IN MINIATURA IN OGNI CASA. NAPOLETANE
SONO LE TRADIZIONI GASTRONOMICHE CHE VOGLIONO IL
CENONE DELLA VIGILIA A BASE DI PESCE, IL DOPOCENA
CON LA FRUTTA SECCA ED IL PRANZO DI NATALE RICCO DI
LA DATA PIÙ GENUINA E VERA DELLA STORIA del presepe è la
notte di Natale del 1223, quando San Francesco celebrò
nella grotta di Greccio la messa per la prima volta
davanti a una vera mangiatoia con ai due lati l’asino e il
bue: avvertiti dal suono delle campane, accorsero dalla
valle pastori e cittadini, così che quasi per miracolo,
tra la cornice naturale dei monti, sembrò agli astanti di
rivivere lo straordinario evento di tanti secoli addietro.
Sul finire del Trecento lo schema tipico del presepe si
trasferisce nelle case, aprendo così un nuovo capitolo
della propria storia, quello domestico, che troverà nel
’700 il suo secolo d’oro e avrà artisti - dal Sammartino
al Gori, dal Celebrano ai Bottiglieri, dal Mosca al Somma
e ad altri - che dovevano conferire a questa istituzione
dignità d’arte, sia pure d’arte minore, con le mirabili
sculture dei loro pastori. Non solo: ma l’interesse della
corte sembrò quasi codificare la tradizione, tramite le
dame della nobiltà che personalmente cucivano con i
ritagli degli splendidi tessuti di San Leucio gli abiti dei
magi e dei mandriani e delle popolane, e concorsero a
conferire alla preparazione del presepe una gioiosa e
tutta particolare animazione.
Di tutto questo mondo ancora ingenuo e pacifico restano
gloriose tracce al museo di San Martino a Napoli e alla
Reggia di Caserta con i loro presepi stabili (e in qualche
importante museo straniero, come a Monaco e a Berlino),
oltre che presso antiquari e soprattutto presso famosi
collezionisti che continuano l’antica tradizione facendo
rivivere nelle loro case, con appositi allestimenti, questo
particolare artigianato della Napoli spagnola e borbonica
colta in un’accezione esclusivamente naturalistica (non
sembri una contraddizione in termini) e volta all’analisi
minuta e affettuosa degli aspetti e dei tipi della folla
spicciola della città e del contado.
A consolidare, nei secoli, la fortuna del presepe, è
stato soprattutto il significato ch’esso ha assunto,
di sinonimo di calore umano e di casalinga sacralità.
Probabilmente il divario generazionale oggi si misura
anche da questo: la nostra è stata la generazione del
presepe, quella dei figli è la generazione dell’albero
di Natale. Anche quando era sontuoso e di notevoli
proporzioni, il presepe restava il simbolo di un mondo
patriarcale nutrito del senso del risparmio, anche quando
è minuscolo, e magari artificiale, l’albero è un poco il
simbolo di una società consumistica che nel rito dei doni
impacchettati celebra in fondo solo il gusto edonistico
delle spese superflue e della qualificazione sociale.
Ma il presepe che dall’82 Mario Carotenuto ha allestito
nella Sala San Lazzaro al Duomo di Salerno, di anno in
anno arricchendolo sino alla definitiva sistemazione, ha
caratteristiche proprie e, vorremmo aggiungere, persino
un po’ polemiche, se l’artista tiene a sottolineare,
subito, che si tratta d’un presepe non napoletano ma
salernitano.
Del resto, per i suoi “pastori”, Carotenuto ha fatto
posare come modelli (e molti di essi si sono poi
convertiti in aiutanti e collaboratori, dando in tal modo
vita a una sorta di laboratorio collettivo) gli abitanti
del quartiere che gravita attorno al Duomo, nel vecchio
centro storico della città, dove nonostante (o forse
proprio per) la fatiscenza anche urbanistica della zona
- aggravata dalle ferite del terremoto e tuttavia restata
come isolata o meglio immune dalle trasformazioni più
o meno vistose e più o meno volgari dei mutamenti
esteriori della nostra società - i nativi meglio serbano gli
attributi dell’homo salernitanus.
Si entra nella Sala San Lazzaro, al Duomo, e si ha
subito la sensazione d’entrare in un villaggio rurale
scarsamente illuminato, a sera inoltrata, e di trovarci
in mezzo a gente comune, di attraversare un universo
non d’innocenza (ch’è probabilmente oggi attributo
ormai impossibile a possedere, o a realizzare) ma di
genuinità; un universo dove gli uomini che ci guardano
- il castagnaro, i contadini, le donne, i vecchi, i
ragazzini, e gli stessi re magi con i loro sontuosi abiti
cinquecenteschi – hanno come per miracolo, forse
toccati dalla suggestione dell’irripetibile evento che si
celebra in fondo alla sala, nella capanna, ciascuno la
capacità d’essere un’altra volta e per sempre uomini,
d’aver recuperato, in altre parole, e ne riflettono sul
volto e negli atteggiamenti la testimonianza, il coraggio
di esprimere quei valori senza dei quali nessun uomo
può più dirsi uomo. E ci sembra, questa, la lezione più
persuasiva e insieme la più alta del “Presepe Dipinto”
di Mario Carotenuto.
CARNI. TUTTO È NAPOLETANO NEL NATALE ITALIANO: DAL
GIOCO DELLA TOMBOLA AI FESTEGGIAMENTI COI FUOCHI
"TU SCENDI DALLE STELLE", NASCE A NAPOLI A METÀ
DEL '700, GEMELLO DI QUANNO NASCETTE NINNO, FIGLI
DEL NAPOLETANO S. ALFONSO MARIA DE LIGUORI.
1982 > 2007 IL PRESEPE DIPINTO DI MARIO CAROTENUTO.
ALL’EMPORIO BRANCACCIO LA RIPRODUZIONE
DI UNA PARTE DEL PRESEPE DEL MAESTRO CAROTENUTO
ALLESTITO NELLA SALA SAN LAZZARO DEL DUOMO
DI SALERNO
UOMO
ARTIFICIALI. ANCHE IL CANTO NATALIZIO PIÙ FAMOSO,
7
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Il presepe dipinto
di Mario Carotenuto
A RT E
BRANCACCIO
Ecostyle
VISIONE, VISIO (nella definizione di Macrobio) è “qualcosa
che accadrà esattamente come era apparsa”. Una
dimensione della “visione”, quindi, come volontà,
apparizione e conferma di un qualcosa di “interiore” o di
“desiderato” che nella sua rappresentazione (realistica o
simbolica, mitica o politica, essenziale per svuotamento
o piena nella elaborazione) torna nello spazio composito
del segno come forza d’interiorità, come sostanza
del tempo (dove l’archetipo – quando presente - ci
indica un punto di profonda consapevolezza critica ed
emozionale).
Le visioni di Marcello Di Donato e quelle di Giuseppe De
Marco, in un nuovo percorso di ricerca denominato “Corpi
& Matrici”, s’incontrano e si confrontano nel desiderio
di raccontare la propria contemporaneità, la temperie
del proprio tempo partendo dal rigore della visione.
Una visione che per De Marco, da un punto di vista
strettamente contenutistico, tende a realizzarsi nello
scenario composito del politico (un tempo si sarebbe
detto “militante”) e riconosce nella radicalità della
composizione e dell’assemblaggio pittorico-digitale dei
suoi Guerrieri la propria tensione espressiva, con precisi
rimandi al ritmo filmico e al “movimento” audiovisivo
(come la ricerca video di De Marco ne è ulteriore
testimonianza e continuità). Mentre Di Donato spinge lo
sguardo del proprio racconto del suo Herculanum verso
l’essenzialità del fotografico, realizzando una fotografia
“tagliata” dove nel riproporre ombre d’arcaico, fabule
dal mitico, nel principiare la frammentazione del suo
bianco e nero o nella costruzione di guerrieri ultramoderni, inscrive la propria visione.
In ambedue il corpo (o la sua ombra o la sua lacerazione
interiore o la sua reinvenzione) trovano esperienza di
racconto. Un corpo che a sua volta diventa matrice
ovvero dimensione del molteplice, inquietudine
identitaria, continua appropriazione e scomposizione
di differenti livelli e sostanze. Una ricerca in cui la
dimensione del corporeo (attraverso un procedere
visionario volutamente scomposto, spezzato, reso
schermo, scarnificato, ripetuto a matrice) con vera forza
si ripropone con la consapevolezza che soltanto nella
definitiva effrazione del magma illusorio del simulacro
(seppur nella ramificata complessità di ogni dire
Amore
i tuoi momenti più belli
artistico) possiamo ritrovare quelle verità in altro
modo inesprimibili.
Tra arcaismi e intimità, frammenti estratti dalle tensioni
del politico e ombre del simbolico si dispiega l’indagine
visiva dei due artisti. Indagini dove l’ansia della
perfezione nella costruzione e l’inquietudine del proprio
tempo realizzano uno scenario denso per emozioni,
slancio della sperimentazione, fratture di registri
espressivi precostituiti e stabilendo - con forza d’artista
- la dinamica della contaminazione come cardine
portante per poterlo indicare a piena voce il nostro
contemporaneo.
La ricerca espressiva di Marcello Di Donato e Giuseppe
De Marco convince, non solo perché vorace dialogo
di differenze; non solo perché i temi sono quelli che
ora bisogna raccontare; non solo perché la pienezza
dell’attualità ci deve spingere verso sintesi e totalità
di tecniche e pratiche dell’artistico… ma convince
soprattutto perché il saper fondere assieme l’emotività
e la storia (la malinconia e la cronaca, l’azione teorica
e l’avanzamento del poetico), sono il vivo pulsare
della pratica delle arti. Pratica che può esistere ed
ha valore unicamente se intrisa di sincerità, concreta
sperimentazione e convinzione d’orizzonti di vita.
Una dimensione artistica, questa di Di Donato e
De Marco, che riesce a farci identificare con gusto
d’innovazione stilistica l’atelier d’artista come
mitica “fabbrica di sogni ed immagini” e al contempo
fondamentale “manifattura per le forme” dove poter
con lucidità e vigore essere visionari e raccontarlo
al mondo.
9
DONNA
di Alfonso Amendola
EMPORIO
NELLE OPERE DI MARCELLO DI DONATO
E GIUSEPPE DE MARCO
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Visioni tra corpi
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CONTATTI
GUST O
11
“IL CIBO, PER AVERE POTERE AFRODISIACO, deve anche
essere aiutato dalla nostra fantasia. È indubbio però
che certi cibi quali la cacciagione, le ostriche, il
peperoncino, predispongono meglio di altri al convegno
amoroso. Ricordo i miei primi anni di esperienza teatrale
nella rivista, costantemente in giro per l’Italia, paese
che offre i cibi e i modi di cucinarli più svariati, e potrei
azzardare un parallelo tra le mie performances amorose
e i cibi che mi venivano offerti nelle varie regioni della
penisola. ‘Funzionavo’ meglio in Piemonte, dove mi
nutrivo con abbondanza di animali da piuma e da pelo,
oppure nei dintorni di Taranto, dove facevo grandiose
scorpacciate di ostriche? A ben osservare, quasi tutte
le regioni d’Italia presentano dei piatti afrodisiaci, e
quando al cibo stimolante come l’aragosta si unisce
l’atmosfera magica e il fascino di un’isola come Capri,
luogo ideale per l’amore, il risultato è garantito ed io
posso in tutta onestà confermarlo frugando con piacere
rinnovato nei miei ricordi…”
Questo scrive, quasi ad apertura di libro, Ugo Tognazzi in
Afrodite in cucina, il bel volume di ricordi, disquisizioni
di raffinati buongustai ed estrose ricette sul “potere
afrodisiaco” di certi cibi, pubblicato da Marlin Editore.
Per il piacere del lettore salernitano ecco una delle
ricette più appetitose, magari da sperimentare durante le
prossime festività.
CIERRE
NUOVA
COLLEZIONE
CIERRE
2007 > 2008
Cierre
Rosendahl
Millefiori
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Ugo Tognazzi
> Amore e fornelli
ARAGOSTA ALLA ROMANTICA
Ingredienti per 4 persone
2 aragoste
200 g di scampi schiacciati grossolanamente
insieme con le carcasse
1 carota
1 cipolla
1 rametto di sedano
1 cucchiaino di concentrato di pomodoro
50 g di burro
1/2 litro di panna
1 rametto di rosmarino
1/2 bicchierino di distillato di lampone
alcuni ciuffi di prezzemolo
pepe bianco macinato al momento
sale
Preparazione
Fare appassire le verdure nel burro con il rosmarino.
Unire gli scampi e cuocere 7 minuti. Toglierli dalla
casseruola, aggiungere il concentrato di pomodoro e il
distillato di lampone e ridurre qualche minuto. Mescolarci
bene la panna. Correggere con sale e pepe e passare la
salsa al setaccio. Rimettervi gli scampi per scaldare a
fuoco basso all’ultimo momento.
Tuffare le aragoste in acqua bollente e cuocerle circa
10-15 minuti, quindi scolarle e tagliarle a metà (togliendo
il budello e la sacca della sabbia). Servire le aragoste
su piatti caldi coperti dalla salsa e una manciata di
prezzemolo tritato fine.
BRANCACCIO
Ecostyle
MARCHI
2007 > 2008.
Vino consigliato
Pinot bianco Collo, Engelwhite,
Jermann.
NA T URA
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Ecostyle
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di Simona Mandato
G. Del Priore
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Salerno _ Via Parmenide, 260 _ Tel. 089 332700
AL BAR
DELL'ECOSTYLE
LA CIOCCOLATA
NUDO NAPOLETANO
Dopo decenni in stato di abbandono, negli anni ’90
dello scorso secolo, nell’ambito dell’ampio progetto di
recupero del centro storico di Salerno, anche il Giardino
della Minerva è tornato a splendere. Non solo è stata
ripristinata la coltura di alcune piante officinali, ma
si è data un’impostazione dimostrativa all’orto, che
in maniera efficace esemplifica la teoria dei “quattro
umori” su cui, in epoca medievale, si imperniava
tutta la scienza medica.
Oltre che per il suo valore storico e culturale, vale la
pena visitare il Giardino della Minerva per la bellezza
dei suoi orti e delle sue strutture settecentesche. Un
variegato gioco di terrazze dona movimento a questo
piccolo angolo di paradiso terrestre: dalla prima terrazza
parte una lunga scalinata che s’inerpica sulle antiche
mura della città. Due file di pilastri e una pergola
l’accompagnano, quasi a proteggere il visitatore dal
sole. La salita è rilassante, il verde che v’è intorno,
la vista che si gode da quell’altezza, i cinguettii e i
profumi dimenticati nella dimensione cittadina, ripagano
della lieve fatica. Le scale culminano in una terrazza,
anch’essa incorniciata da un pergolato, dalla quale si
domina un suggestivo panorama sul golfo e sull’antico
borgo di Salerno.
13
ORARI DI APERTURA 1 ottobre – 30 aprile
da martedì a domenica: 9.00 > 15.00
sabato e domenica 9.00 > 14.00
1 maggio > 30 settembre: 9.00 > 13.00 e 17.00 > 21.00
INFO Tel. 089 252 423
www.giardinodellaminerva.it
BRANCACCIO
Ecostyle
BAR
ECOSTYLE
UN PROFUMO DI MEDIOEVO avvolge strade e vicoletti del
centro antico di Salerno. Le tracce di quell’epoca,
che per la città fu di benessere e fama, sono ancora
numerose per chi le sa cogliere. Risalendo oltre Largo
Abate Conforti, lungo via Tasso e poi via Porta di Ronca,
si arriva al Giardino della Minerva, uno splendido angolo
di verde e al tempo stesso un importante tassello nella
storia della città: qui fu insediato il primo Orto botanico
d’Europa dedicato alla coltivazione di erbe officinali,
che costituì uno dei luoghi in cui si formò la scienza
medica.
Già nell’VIII secolo era nata la Scuola Medica
Salernitana. A fondarla furono quattro maestri: l’ebreo
Helinus, il greco Pontus, l’arabo Adela e il latino
Salernus, almeno così vuole la leggenda. Vera o no,
di certo dal confluire del sapere in campo medico di
queste quattro culture si formò l’ars medica della
“Schola”, che dall’empirismo s’incamminò verso una
forma più propria di scienza.
Non fu un caso se questa magica confluenza avvenne
a Salerno, città che per i suoi traffici si confrontava
con tutte le culture del Mediterraneo. Nelle costituzioni
che Federico II di Svevia pubblicò a Melfi nel 1231, alla
Scuola Medica Salernitana veniva riconosciuto, unica
istituzione del Regno, l’autorità di formare medici; fino
a quando, agli inizi dell’800, nell’ambito dell’opera
di riorganizzazione dell’istruzione, Gioacchino Murat
attribuì all’Università di Napoli l’esclusiva
facoltà di conferire lauree.
Tra il XIII e il XIV secolo, l’insigne medico Matteo
Silvatico si votò con passione allo studio della
botanica, dedicando particolare attenzione alle piante
medicamentose. Il suo amore per questa scienza e
per le attività della Scuola Medica fu tale, che, oltre a
scrivere una sorta di enciclopedia delle erbe officinali
- la cosiddetta “Pandette” - egli decise di destinare un
terreno di famiglia alla coltivazione dei semplici, come
erano dette le specie vegetali e non, utilizzate a scopo
terapeutico. E così, a ridosso delle mura della città
sorse, agli inizi del 1300, il Giardino dei Semplici: le
piante che vi si coltivavano erano utilizzate dai dottori
della Scuola Medica nelle cure dei loro pazienti, che ne
sperimentarono capacità curative e lenitive.
www.brancaccio.it
Minerva in giardino
NUOV I LINGUA GGI
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QUANNO NASCETTE NINNO
di Ivan Livia
ALFONSO MARIA DE LIGUORI nacque a Napoli da famiglia
nobile nel 1696. Divenne avvocato a sedici anni e a
ventisette lasciò la carriera forense per il sacerdozio. A
trent’anni fu sacerdote e sei anni dopo fondò a Scala la
Congregazione del SS.mo Redentore. Il Papa Clemente
XIII lo volle vescovo a Sant’Agata dei Goti (1762-1775).
Pur appartenendo alla nobiltà, Alfonso lesse il vangelo
dalla prospettiva del povero e si fece egli stesso povero.
E tra la gente povera e dimenticata impiegò tutte le sue
possibilità di realizzazione umana ed ecclesiale.
Amante della Madonna e maestro di preghiera, ha scritto
111 opere soprattutto di teologia morale, spirituale ed
ascetica. Ha composto anche canzoncine come “Tu
scendi dalle stelle” e “Quanno nascette Ninno”.
Famosi i suoi dipinti che ritraggono il Crocifisso
e la Vergine Maria. Disegnò egli stesso le prime
case per i congregazionisti.
La sua vita e le sue numerose opere hanno segnato
la cultura religiosa moderna.
Morì a Pagani il 1° agosto 1787. Dichiarato Santo nel 1839,
è annoverato tra i Dottori della Chiesa da Pio IX nel 1871
ed è elevato a patrono dei Confessori e dei Moralisti nel
1950 da Pio XII.
Sant’Alfonso è una figura gigantesca non solo nella
storia della Chiesa, ma della stessa umanità. Egli fu
molto amico degli abitanti dei quartieri poveri di Napoli,
del popolo degli umili, degli artigiani e, soprattutto
della gente di campagna.
Al tema dell’amore per i più deboli e derelitti, caro a
Sant’Alfonso, si ispira l’Associazione culturale-artistica
Via Toledo dando vita ad uno spettacolo musicale dal
titolo Quanno nascette Ninno. L’evento, imperniato sulla
rievocazione della nascita di Gesù, è realizzato con
racconti, storie e musica della tradizione popolare, come
Nascette lu Messia, Rosa d’argento e rosa d’ammore,
Canzone di Razzullo, Quanno nascette Ninno, La leggenda
del lupino, La santa allegrezza. Protagonisti sono i
personaggi e le figure tipiche della cultura partenopea
(il pescatore, l’oste, la capera, lo scugnizzo…). I fatti
narrati attraverso la musica sono stati rielaborati
dai Via Toledo con precisi e caratteristici elementi
della cultura popolare.
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DONNA
di Roberto Gianani
DOPO UNA MATTINATA DI LAVORO al mio catering: food,
computer, internet, e-mail, stavo morendo di noia
davanti a una fiction di Sky. Prendo il cordless. No line.
Fuck you.
Per non sentirmi out esco a fare footing con le scarpe da
trekking. Sulla discesa incontro un Dj, gli ho detto ok.
Fa caldo, scendiamo al California Beach. Io in bikini, lui
in boxer, lecchiamo un ice-cream.
Il ritorno è in salita, prendiamo un mini bus.
Finiamo a fare shopping in un megastore, tanti prodotti
e offerte da outlet, corner pieni di slip e t-shirt: special
price.
All’uscita lui si butta in un hair stylist, io mi stendo in
una beauty farm per un restyling.
Ci vediamo in un winebar, nasce un feeling. Passa Johnny
il play boy, un gin tonic e mille love story, ci salutiamo:
bye bye.
Dietro di lui un manager con un gran look, blazer fashion
e foulard, reduce da uno stage e un coffee break pieno
di marketing e selling out.
Se la ride Thomas, il reporter della Newpress, ha fatto
uno scoop: le foto nude di una diva dello star system:
roba da gossip. Fuori il mondo è una play station, è la
New Generation.
Passano Janet e Denise: gimme five!
Ma ora basta, voglio la privacy. Con il Dj ci rintaniamo
in un living a fare petting e kiss kiss. Lui ha un gran
piercing, gli ho aperto il mio file.
MODA & MODI
BRANCACCIO
Ecostyle
Via dei Principati, 19/21
Salerno
Tel. +39 089 251 866
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Isaia, l’arte
del vestire
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2007 > 2008.
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DELL'ECOSTYLE
LA CIOCCOLATA
NUDO NAPOLETANO
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EMPORIO
ISAIA COME ESPRESSIONE ULTIMA DELL‘"ARTE DEL VESTIRE",
un’espressione che definisce, rinforza e promuove
l’immagine di un uomo con uno spirito giovane e
moderno, sofisticato e, non da ultimo, sexy. La
collezione Isaia, sempre in evoluzione, composta di un
prodotto finemente sartoriale, uno sportswear ricercato
e corredato da accessori preziosi, incarna l’essenza
dell’uomo di successo. La qualità incomparabile e la
capacità di Isaia di combinare un’eccellente innovazione
tecnica con la manualità artigiana, fan sì che il marchio
abbia un posizionamento singolare sul mercato come
UNICO marchio di sartoria moderna.
Il marchio Isaia è riconosciuto per la sua “Unicità” nel
mondo della sartoria, e si colloca su una fascia
di mercato alta.
Isaia esula da un concetto prettamente classico per la
contemporaneità delle forme e l’esclusività dei tessuti
che caratterizzano le proprie collezioni.
MODELLI I modelli subiscono una continua ricerca
stilistica e tecnica il cui obiettivo, da un lato, è quello
di esaltare le forme del corpo maschile, dall’altro,
di celarne velatamente le eventuali imperfezioni.
L’abbinamento della ricerca con la qualità produttiva
e le competenze artigianali distintive rende rari e unici
sia i modelli che la vestibilità. I due modelli più diffusi
sono la base V (Vesuvio) e la base S (Sirio).
Il Modello V è stato disegnato per enfatizzare il torace
e donare una silhouette più snella. Le spalle sono
“a sigaretta”, il giro-manica molto alto.
Il Modello S è stato disegnato per donare alle spalle una
forma naturale. I “revers” della giacca sono più alti e le
spalle più svuotate.
I modelli in collezione, comunque, sono diversi e
soddisfano target specifici di mercato e fascia d’età
dei consumatori finali.
I TESSUTI Il processo di scelta e di ricerca dei tessuti
è quello che ulteriormente distingue le collezioni.
Isaia collabora con le aziende tessili più prestigiose
al mondo, che non considera solo fornitori ma veri e
propri Partners con cui si sviluppano nuove proposte
e si migliorano o innovano i tessuti. Questo processo
permette di rendere rare e uniche le proposte ai clienti e
di contraddistinguere ulteriormente l’offerta. Si tratta di
un processo perfezionato in 50 anni di esperienza.
La conoscenza del tessuto e delle sue caratteristiche è
la base per il processo creativo di un abito. Ogni tessuto
ha una caratteristica particolare per effetto della materia
prima utilizzata, la lavorazione e il finissaggio che, oltre
a caratterizzare l’applicabilità sui modelli, rendono rara
la qualità del prodotto finito. Alcuni esempi:
AQUASPIDER Un tessuto tra i più innovativi, ottenuto
dalle lane e dai cashmere più pregiati al mondo, che
oltre ad essere trattato in modo da respingere l’acqua,
ha un processo di lavorazione che gli conferisce
caratteristiche di particolare elasticità e duttilità nelle
prestazioni. Infatti il tessuto consente una gran facilità
di movimento, senza alterare la qualità del prodotto e la
sua vestibilità.
SCIAMMERIA Un’altra novità nel mondo tessuti del marchio
Isaia è rappresentata dalla preziosa, nonché unica,
collezione Sciammeria, termine dialettale napoletano
che si traduce in “amore passionale”. La sua esclusività
risiede nella consistenza del filato: una lana merino
il cui diametro è di soli 13,8 micron e il cui peso è
di soli 200 grammi per metro; a testimoniare ancora
una volta il costante impegno dell’azienda nella ricerca
di prodotti di pregio superiore, ma anche di tecniche
di lavorazione all’avanguardia. La complessità di
lavorazione del prodotto rende la collezione Sciammeria
assolutamente unica, disponibile solo per pochi capi in
edizione limitata.
SARTORIALITÀ NAPOLETANA Ogni capo viene completato da
una serie di processi realizzati esclusivamente a mano,
quali il giromanica, le asole, il collo, gli spacchi, lo
stiro e le rifiniture principali. I sarti Isaia possiedono
una inimitabile capacità di cucire la manica attorno al
giromanica, in modo da conferire una maggiore libertà di
movimento, evitando un aspetto rigido e formale. Questa
è la famosa “spalla napoletana”.
I nostri unici filtri di tè in seta sono tutti fatti
a mano, e costituiscono lo strumento ideale
per preparare una tazza di tè nella maniera più
raffinata.
La tessitura traforata permette all'acqua di
trapassare liberamente e alle foglie di tè di
spargersi in modo da far mescolare perfettamente
le fragranze all'interno del filtro. Usiamo solo
raffinati tè a foglia intera ed erbe tagliate
grossolanamente, e il nostro originale design
permette alle delicate miscele di questi pregiati
tè di infondersi nell'acqua. Il risultato è quello
che si avrebbe preparando il tè con la teiera, ma
nel nostro caso lo otteniamo utilizzando solo la
tazza!
Rimuovete la fodera protettiva e adagiate il
filtro nella vostra tazza. Quando versate l'acqua
bollente ed inizia l'infusione dello squisito tè, il
filtro mantiene intatta la sua eleganza e il filo di
cotone con la fogliolina all'estremità vi aiutano
ad impugnarlo. Un piacere per tutti i sensi,
Tea Forté vi fa realizzare il tè più raffinato ed
elegante di tutti i tempi.
I nostri tè sono tutti di altissima qualità, tutti
naturali, a foglia intera. Per le nostre miscele
alle erbe utilizziamo solo erbe appena raccolte
tagliate grossolanamente. I nostri filtri sono
riempiti a mano nei giardini del tè in Asia e
sigillati per preservarne la freschezza. Siamo
certi che provando le fragranze di Tea Forté le
preferirete rispetto a tutti gli altri tè che avete
assaggiato.
Uomo
Corso Vittorio Emanuele, 162
84122 Salerno
Tel. 089 225 603
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