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Indice dell’opera
29 aprile 1877
17 marzo 1883
1° luglio 1894
24 ottobre 1896
15 febbraio 1907
24 maggio 1915
21 gennaio 1921
16 agosto 1924
24 aprile 1930
14 agosto 1933
19 giugno 1938
27 giugno 1939
10 giugno 1940
25 luglio 1943
8 settembre 1943
11 gennaio 1944
15 aprile 1944
28 gennaio 1945
28 aprile 1945
2 agosto 1945
31 marzo 1946
2 giugno 1946
18 aprile 1948
14 luglio 1948
4 maggio 1949
10 ottobre 1951
11 aprile 1953
5 maggio 1954
26 maggio 1954
29 aprile 1955
«Chiamiamolo Il Telegrafo!»
La prima volta della Lepanto
E un coltello uccise Bandi
Tiburzi, l’ultimo brigante
Muore Carducci, il Vate
L’ora della Grande Guerra
A Livorno nasce il Pci
«Uccidete Matteotti»
Edda e Galeazzo oggi sposi
Balbo vola e supera l’Atlantico
Gli azzurri bissano, Bartali trionfa
Addio a Ciano, per tutti Ganascia
«Vincere, e vinceremo»
Cade Mussolini, potere a Badoglio
Tutti a casa, è armistizio
Per Ciano due colpi alla tempia
«È lei il senatore Gentile?»
Con la libertà arriva il “Tirreno”
Il giorno di Piazzale Loreto
Muore Mascagni e l’Italia si divide
Ecco la Vespa, due ruote di libertà
Le urne dissero: Repubblica
La DC acchiappatutto
Hanno sparato a Togliatti!
Il Torino scompare a Superga
Con il boom esplodono le tasse
Scandalo Piccioni, droga e politica
I 43 morti di Ribolla
Per Guareschi è la galera
Gronchi sale al Quirinale
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30 aprile 1955
26 novembre 1955
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13 maggio 1999
28 ottobre 1958
14 luglio 1960
15 luglio 1960
11 novembre 1961
27 ottobre 1962
9 ottobre 1963
22 novembre 1963
5 ottobre 1964
12 dicembre 1969
3 settembre 1972
12 maggio 1974
16 giugno 1977
16 marzo 1978
6 novembre 1981
11 aprile 1991
17 febbraio 1992
23 maggio 1992
1 gennaio 2000
1 gennaio 2001
11 settembre 2001
20 marzo 2003
2 aprile 2005
8 luglio 2006
27 settembre 2006
2 febbraio 2007
19 marzo 2007
Ribot, bruttino ma imbattuto
Lascia o raddoppia?
Sangue nelle strade di Budapest
Suona l’ora del Papa buono
Cassola e Bube superstar
L’oro di Livio Berruti
Strage a Kindu
Mattei, incidente o sabotaggio?
Il disastro del Vajont
Tre colpi, e Kennedy è morto
L’autostrada accorcia l’Italia
La bomba di piazza Fontana
Olimpiadi di sangue a Monaco
Vince il divorzio, perde Fanfani
Rinasce il “Tirreno”
«Abbiamo rapito Aldo Moro»
I primi 100 anni dell’Accademia
Moby Prince in fiamme
La chiamarono Tangentopoli
Falcone ammazzato dalla mafia
Il nostro Ciampi al Quirinale
Un millennio di speranze
In tutta Europa una sola moneta
New York colpita al cuore
Per la seconda volta guerra all’Irak
Da Wojtyla a Ratzinger
A sorpresa, campioni a Berlino
E Bettini vince il mondiale
Il calcio finisce ko
Daniele libero
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L’orgoglio del “Tirreno”
di Bruno Manfellotto
S
Finegil Editoriale S.p.A.
“IL TIRRENO”
Livorno, Viale Alfieri, 9
Tel. 0586/220111
Direttore Responsabile
BRUNO MANFELLOTTO
Condirettore
NINO SOFIA
Vicedirettore
ROBERTO BERNABO’
Progetto Grafico
ROBERTO COLONNACCHI
Impaginazione
GRAFICA & IDEE Livorno
Testi
ALDO SANTINI
Foto
ARCHIVIO DEL “TIRRENO”
Stampa
PACINI EDITORE - PISA
ono pochi o tanti 130 anni? Certo, nella storia di una città —
pur giovane come Livorno — sono relativamente pochi. Ma se
questo secolo e (quasi) mezzo di vita abbraccia la nascita dell’Italia moderna e accompagna tutto intero il “secolo breve”
con le sue scoperte, le sue rivoluzioni, le sue guerre, l’esplodere delle sue
mille contraddizioni, allora centrotrent’anni diventano improvvisamente
tanti, e talmente ricchi e complessi da meritare una rilettura, un racconto, una riflessione. Anche diversi dal solito.
Ecco perché questa volta abbiamo pensato di festeggiare il nostro compleanno in modo un po’ diverso, cioè non ripercorrendo solo la straordinaria avventura di questo giornale e dei suoi collaboratori, le sue mille battaglie; ma rileggendo la storia d’Italia, della Toscana e delle sue città attraverso le prime pagine del “Telegrafo” e del suo figlio diretto, il “Tirreno”.
Non potevamo che affidare questo lavoro ad Aldo Santini, garbato memorialista, attento testimone del tempo da sempre legato alla famiglia del
“Tirreno”, giornale nel quale ha lavorato a lungo e con il quale ha conservato un filo tenacissimo anche quando è emigrato verso altre testate.
Certo, lo spazio ristretto (nemico numero uno di tutti i giornali) ci ha
costretto a scelte drastiche, e sintetizzare centrotrent’anni in meno di sessanta capitoli è costato molti sacrifici.
Ma siamo convinti che, nonostante tutto, rivivere attraverso le prime
pagine la morte di Carducci o i kamikaze di Al Qaeda che si schiantano sulle Twin Towers, le nozze di Edda e Galeazzo Ciano o la nascita dell’euro, lo scandalo Piccioni e l’attentato a Falcone, i morti di Ribolla e la
scomparsa di papa Wojtyla, comunichi tuttora interesse, fascino, commozione. E orgoglio.
Sì, dovremmo essere tutti orgogliosi della storia, della forza e della libertà di questo giornale. E augurargli altri centotrent’anni almeno di vita e di successi.
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Che emozione rileggere 130 anni
di Aldo Santini
I
130 anni del giornale che ha fatto la storia di Livorno, nato il 29 aprile 1877, con la
nuovissima testata “Il Telegrafo” a opera di Giuseppe Bandi, il maremmano aiutante di Garibaldi nella spedizione dei Mille, hanno una svolta il 28 gennaio 1945, quando tra le rovine della città distrutta dalla guerra, esce “Il Tirreno”, il quotidiano dove da allora molti
di noi lavorano con grande orgoglio.
«Il Tirreno» viene fondato da Athos Gastone Banti, il livornese che aveva debuttato nel
«Telegrafo» e meritò la medaglia d’argento nella Grande Guerra in concorrenza agli inviati del «Corriere della Sera» Lugi Barzini, Guelfo Civinini e Arnaldo Fraccaroli.
A.G.B. è una firma storica. I livornesi, caustici, fin dal primo ’900 l’hanno trasformato in «Athos, bastone e guanti». E lui racconta: «A Livorno, nel gennaio ’45 non c’era acqua, né luce. I livornesi che tornavano dallo sfollamento, ricominciavano da zero. L’uscita del “Tirreno” fece epoca. Era una sola pagina, formato tabloid, e costava una lira. Lo
mettemmo insieme in una serata, con le notizie raccolte da una radio scassata. I nostri
ardenti concittadini bevettero come fossero tanti bicchierini di rosolio le 7mila copie che
avevamo stampato».
La carta era del giornalino «Stars and Stripes» della 5ª Armata che si faceva nel palazzo del «Telegrafo» rimasto miracolosamente intatto, e aveva un formato più piccolo
dei nostri tabloid. Tra i suoi redattori c’era un oriundo russo-polacco, Micheal Kamenestsky, che si firmava Ugo Stille e che nel ’46 divenne corrispondente dagli Usa del «Corriere della Sera». C’era Tommaso Giglio che avrei avuto direttore all’«Europeo». E c’era
il giovanissimo Ottorino Rastelli allevato alla scuola del «Telegrafo» di Ansaldo, destinato al «Giorno» di Mattei.
Gli americani occupavano tutte le stanze e per settimane noi del «Tirreno» lavorammo
nei corridoi. Partiti gli americani, «Il Tirreno», si normalizzò. Uscì a 2 e a 4 pagine. Toccò
le 30mila copie. Si diffuse dalla Spezia a Orbetello. La formula del giornale indipendente
piaceva. Salì a 80mila copie.
Noi cronisti, la notte, seguivano i traccianti delle mitragliere americane, in bicicletta
o a piedi, per accorrere nei paraggi dei depositi assaliti dai fuorilegge. Fui io a denunciare che le battaglie erano delle sceneggiate per coprire gli svaligiamenti compiuti in pieno giorno dagli stessi americani in combutta con le bande locali. Successe un quarantotto. La polizia Usa sollevò di peso il direttore, che era Dino Provenzal, un «dantista» illustre amico di A.G.B., e lo condusse al comando in via Roma, chiedendogli la testa dell’autore dell’articolo. Provenzal ebbe la dignità di mettere sotto accusa il personale dei depositi. L’interrogatorio finì con una stretta di mano e tante scuse degli Alleati.
È vero, siamo stati, e lo siamo, la storia del nostro tempo. Questa raccolta dimostra
che un giornale non informa soltanto i cittadini di ciò che avviene intorno a loro, si trasforma nella memoria della vita che abbiamo vissuto. Lo diceva Mino Caudana, il direttore che era stato redattore capo dell’ «Avanti» di Nenni e convinse Edda Ciano, la vedova
di Galeazzo fucilato a Verona, a dettare nel ’47 la sua prima lunga intervista. La convinse
addirittura a lasciare, un pomeriggio, la villa di Ponte a Moriano, dove era morto Costanzo Ciano, per visitare lo stabilimento che ancora le apparteneva. Io ero presente. Quando
Edda entrò nel grande locale delle linotypes e dei banconi d’impaginazione, tutte le maestranze si alzarono in piedi per accoglierla in rispettoso silenzio. Edda impallidì, sussurrò
un grazie a mezza voce, e sul suo volto scarno scesero due lacrime. Anche questa è storia,
mai scritta prima. Che merita, penso, di entrare nella memoria del «Tirreno».
29 aprile 1877
«Chiamiamolo Il Telegrafo!»
Giuseppe
Garibaldi
Giuseppe Bandi
Con questa
macchina si
stampavano
le prime
copie del
nuovo
giornale
Guerrazzi diceva che una città, per essere
importante, deve avere un giornale suo con
un direttore che si fa sentire e si fa leggere.
Livorno era importante fin dal ’600 ma ha
un quotidiano con vero direttore solo dopo
che chiama il maremmano Giuseppe Bandi,
aiutante di Garibaldi nella spedizione dei Mille, a dirigere la nuova «Gazzetta Livornese»,
nel 1872, con uno stipendio mensile di 500
lire. E appena scop- Fu un tipografo a inventare
pia la guer- quel nome. Il giornale usciva
ra tra Russia
e Turchia, il al pomeriggio e fu subito boom
Bandi pensa
a un secondo giornale.
Ai redattori e tipografi dice: «Ragazzi bisognerebbe uscire il pomeriggio col bollettino
della guerra. Venderemo un sacco di copie.
Ma ci vuole una bella testata. Chi di voi ha
un titolo breve, che riassuma i tempi di oggi, facile a gridare?».
Un proto urla: «Il Telegrafo!». «Bello»
esclama il Bandi, che ripete ad alta voce:
«Legghino signori.
Il Telegrafo! Il Telegrafo!». Così «Il Tele-
grafo» debutta il 29 aprile 1877 come giornale del pomeriggio all’insegna della rapidità e del progresso. Costa 5 centesimi e va
subito a gonfie vele.
7
17 marzo 1883
La prima volta della Lepanto
La
corazzata
Lepanto
costruita
nel cantiere
livornese
C
ostruita tutta in ferro su progetto di
Benedetto Brin, la «Lepanto» viene annunciata come la corazzata più veloce e più potente del mondo.
Il sabato 17 marzo, per il varo, è una grande festa, a Livorno. Arrivano re Umberto e la
regina Margherita. Ma il varo si presenta difficile. Gli esperti italiani ed europei sostengono che lo specchio d’acqua prospicente il
Ponte Nuovo è troppo breve in rapporto ai
122 metri e al peso del colosso.
Per frenare la sua corsa l’ing. Salvatore Orlando, figlio di Luigi, il fondatore del Cantiere Orlando, ha teso una ventina di gomene a
metà percorso. Tutta la responsabilità è sua
e corre voce che abbia una pistola in tasca
con il colpo in canna, pronto a spararsi se il
varo finisce in un disastro.
Non è stato facile avere l’appalto.
È la prima volta, in Italia, che una grande
nave viene costruita in un cantiere privato.
Ma il varo riesce perfetto.
Le gomene frenano la corsa della «Lepanto» che si blocca a pochi metri dal molo del
bacino sollevando un’onda gigantesca che
travolge gli spettatori accalcati là sopra.
9
1 luglio 1894
E un coltello uccise Bandi
L
ivorno è divenuta una capitale dell’anarE il 1º luglio, una domenica, il Bandi viechia. E il Bandi non risparmia critiche agli
ne pugnalato come Carnot mentre nella sua
attentati che insanguinano l’Europa.
carrozza si reca al giornale. La ferita è proIl 1º gennaio 1889 una bomba esplode nelfonda
l’edificio di via degli Elisi che ospita «La GazIl fegato è squarciato, i reni perforati. «Bezetta Livornese» e «Il Telegrafo».
ne spese le mie ferite a Calatafimi» mormora
Seconda bomba il 22 maril Bandi prima di morire.
zo 1893 poco distante alla pa«Il Telegrafo» esce in ediIl direttore del “Telegrafo”
lazzina del Bandi, in via delzione straordinaria. Funerapugnalato in carrozza dopo un li imponenti.
la Ville.
duro articolo contro gli anarchici L’attentatore, che è salito
Nel giugno del ’94 quando
Paolo Lega attenta a Crispi,
scalzo sul predellino della
il Bandi scrive un articolo di
carrozza, viene arrestato in
fuoco. E si ripete pochi giorni dopo allorCorsica e condannato a trent’anni. Si chiama
ché Sante Caserio uccide il presidente franOreste Lucchesi. Ergastolo a Rosolino Romicese Carnot.
ti, l’istigatore del delitto.
11
24 ottobre 1896
Tiburzi, l’ultimo brigante
D
omenico
Tiburzi è il brigante leggendario della Maremma che lo storico di Manciano
Alfio Cavoli definisce inesorabile con i traditori, clemente con i carabinieri («poveri figli di mamma»),
disponibile con i
grandi proprietari disposti a pagarlo puntualmente, soccorrevole con i disgraziati ai quali non di
rado tendeva una mano. Insomma: un brigante «buono». Che il questore di Firenze segnalò a una recita di gala alla Pergola,
vestito di nero, in una delle prime file della
platea. «Ma quando andammo per catturarlo era già sparito».
Per 24 anni fu imprendibile. Caduto ufficialmente a 60 anni sotto il piombo dei carabinieri della Marsiliana e di Capalbio, la sua
morte è avvolta nel mistero. Sarebbe stato
il suo vice Fioravanti a ucciderlo, pagato da
un famoso nobile della bassa Maremma, timoroso che della sua cattura e delle sue dichiarazioni emergessero le prove di un lungo favoreggiamento e della continuata sovvenzione di denaro. La scomparsa di Tiburzi
scatena un’ondata di brigantaggio impunito
e non più «frenato».
Domenico
Tiburzi
fotografato
da morto
15 febbraio 1907
Muore Carducci, il Vate
L’Italia è molto cambiata.
Il Novecento si apre con l’assassinio di Re
Umberto I, il 20 luglio 1900, a Monza.
L’autore è l’anarchico pratese Gaetano Bresci rientrato appositamente da Paterson (USA) covo
degli anarchici italiani.
Attende che il re gli passi
davanti in carrozza, avanzando lentamente tra la
folla, e in piedi su una sedia, gli ha sparato tre colpi
di pistola, tutti a segno.
Marconi è già avanti con
i suoi esperimenti radio.
Ha fatto epoca il processo
a Lucca del brigante Musolino. E a 72 anni si spegne
a Bologna Giosuè Carducci.
Ha insegnato letteratura italiana all’università fino al 1904.
Nel 1905 è stato abbracciato dalla regina
Margherita.
Nel 1906 ha ricevuto il Premio Nobel. «Ora sono davvero
soddisfatto», ha detto. Soddisfatto nei confronti di Gabriele
D’Annunzio, è certo, il «nuovo
vate» che comincia a metterlo
in ombra.
Carducci eletto «vate» nazionale quando era ancora giovanetto. D’Annunzio ne ha 44 e
si è già imposto nei salotti e in
letteratura con i suoi romanzi, i
suoi drammi e le sue poesie.
Giosuè
Carducci
13
24 maggio 1915
L’ora della Grande Guerra
L’
attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, dove rimangono uccisi l’arciduSoldati
italiani
ca Francesco Ferdinando e sua moglie Soal fronte
fia, è la scintilla che fa esplodere la guerra
mondiale.
L’ultimatum austriaco alla Serbia è del 23
luglio. Inaccettabile. Il 28 la parola è ai cannoni.
L’Europa s’inUn anno dopo l’attentato
fiammma.
di Sarajevo, l’Italia entra
E l’Italia? Le fein un conflitto che non
rite del tremendo
terremoto di Mesrisolverà niente
sina del dicemVittorio
bre 1908 sono ancoEmanuele III
ra aperte.
E la guerra in Libia
nell’autunno del 1911
è costata molto.
Il 2 agosto 1914 si
proclama neutrale.
Spaccandosi in due:
neutralisti contro interventisti. Più battaglieri, gli interventisti hanno il sopravvento, ma a loro volta sono divisi tra nazionalisti fedeli all’alleanza con l’Austria e
la Germania, e gli irridentisti che vogliono marciare contro
gli imperi centrali.
Nella primavera del
1915 il re Vittorio
Emanuele III decide
di passara nel campo
dell’Inghilterra e della Francia.
E il 24 maggio 1915, un lunedì, l’Italia dichiara guerra all’Austria.
Il sanguinoso conflitto non risolverà niente, creando le premesse del secondo conflitto mondiale.
15
21 gennaio 1921
A Livorno nasce il Pci
L ivorno ha il
suo quarto d’ora
di fama nazionale con il congresso straordinario
del Psi. Il campo socialista si spacca. L’ala sinistra abbandona il Teatro Goldoni, sede del
congresso, e sfila per le vie della città sotto
la pioggia cantando l’Internazionale.
Nel Teatro San Marco, dove piove dal tetto, nasce il Partito Comunista Italiano. Il Psi
intendeva fare il congresso a Firenze, ma Firenze non dava garanzie per l’incolumità dei
delegati. Anche a Livorno, però, i fascisti sono minacciosi. Il governo ha ordinato che Livorno venga presidiata da 1.500 soldati, 1.000
guardie regie e 1.000 carabinieri. Il «Corriere
Lo storico
Teatro
Goldoni di
Livorno,
recentemente
restaurato,
dove si
consumò la
scissione del
Psi
della Sera» commenta che si
tratta di una singolare vigilia rivoluzionaria se, per tenere il loro congresso, i rivoluzionari si fanno proteggere dalla polizia dello Stato
che vogliono abbattere. Ma
dal congresso di Livorno,
invece della rivoluzione comunista, nasce la controrivoluzione della destra agraria e industriale.
I fascisti introducono un
elemento nuovo, quello del
sovversivismo di destra, che
ha come bersaglio le organizzazioni operaie.
16 agosto 1924
“Uccidete Matteotti!”
C
on la marcia «ferroviaria» su Roma del 28 ottobre 1922 Mussolini ha
conquistato il potere.
Nel primo governo fascista troviamo anche Costanzo Ciano, eroe della
Marina nella Grande Guerra, che è entrato in politica nel ’21.
Mussolini lo ha nominato sottosegretario alla Marina. Gronchi è sottosegretario all’Industria e Commercio.
Nel ’23 Ciano realizza il suo progetto personale più importante: fare del «Telegrafo»
il suo giornale.
Il 1924 è l’anno della svolta del fascismo.
Il 30 maggio, Giacomo Matteotti, segretario dei socialdemocratici, marito della sorella
Benito
Mussolini
Titta
Ruffo
del grande baritono pisano Titta Ruffo, pronuncia a Montecitorio una durissima requisitoria contro i fascisti.
Mussolini reagisce violento:
«Quest’uomo non dovrebbe più
circolare».
Il 10 giugno Matteotti viene aggredito e rapito sul Lungotevere.
Il suo cadavere viene trovato
il 16 agosto, a 25 chilometri da Roma. Invano Mussolini si dissocia.
Le minoranze d’opposizione si ritirano dalla Camera sperando nell’intervento del re.
Ma il re li delude.
E Mussolini trionfa.
Vara lo Stato fascista definendolo «democrazia autoritaria».
Giacomo
Matteotti alla
Camera dei
Deputati
17
24 aprile 1930
Edda e Galeazzo oggi sposi
Galeazzo, il figlio di Costanzo Ciano, ha
incontrato Edda, la primogenita di Mussolini, si sono piaciuti, si sono sposati.
Un matrimonio politico, certo, perché
Mussolini stima molto Ciano, lo ha nominato
segretamente suo erede, ma è anche un matrimonio d’amore. Nel frattempo c’è stata la
trasvolata atlantica di Lindbergh, nel ’27, la
tragedia di Nobile al Polo Nord con il dirigibile «Italia» nel ’28, e la firma del Concordato tra Mussolini e il Vaticano nel ’29. Dunque è un Mussolini felice quello che il giovedì 24 aprile spalanca le porte di Villa Torlonia, la sua residenza, al bel mondo del fascismo, per le nozze
della figlia che gli somiglia
parecchio.
La moglie Rachele
non lo è affatto. Galeazzo non le piace nemmeno un po’ e lo ha detto. Galeazzo, dopo
un tentativo di farsi largo tra gli intellettuali, è stato messo in riga dal padre e sta facendo carriera in diplomazia.
Ha 27 anni, Edda 20. Vanno in luna di miele a Capri. Poi andranno in Cina, sede dell’incarico di Galeazzo, console generale a
Shanghai.
Rachele Mussolini
Mussolini a
Villa Torlonia
La prima pagina del “Telegrafo”
dedicata alle nozze
19
14 agosto 1933
Balbo vola e supera l’Atlantico
Q
uel giorno Italo Balbo, reduce dalla trionfale
impresa che con 24 idrovolanti e 116 uomini lo ha
portato da Orbetello a Chicago-New York-Roma, 13
tappe e 20mila chilometri per
97 ore di volo, accoglie re Vittorio Emanuele III a Orbetello. E il
re, complimentandosi gli dice che ha segnato
l’inizio di una nuova era per l’aviazione.
Già aveva fatto epoca il volo nel dicembre
1930-gennaio 1931 da Orbetello a Rio de Janeiro con 12 aerei e 48 uomini. L’Italia ha applaudito Balbo il 12 agosto quando con i suoi
idrovolanti è ammarato alla foce del Tevere,
radiocronista Marinetti. Il 13 gli «atlantici»
A sinistra
Italo Balbo
sfilano come gli antichi guerrieri romani sotto l’Arco di Costantino. Balbo riceve da Mussolini il berretto di maresciallo dell’aria. Ma
la sua carriera di aviatore è conclusa. Mussolini, geloso della sua popolarità, lo allontana dall’Italia nominandolo governatore della Libia. A Chicago c’è ancora una General
Balbo Avenue. A chi gli chiedeva di rimuoverla, il sindaco ha risposto: «Perché, Balbo
non ha trasvolato l’Atlantico?».
I famosi “SavoiaMarchetti S.55”,
a bordo dei quali
Italo Balbo e i
suoi compagni
compirono la
trasvolata
atlantica
19 giugno 1938
Gli azzurri bissano, Bartali trionfa
A
ccusata di aver vinto i «mondiali» del
1934 a Roma per meriti politici, la «nazionale» di Vittorio Pozzo vince alla grande quelli
successivi del ’38 in Francia.
Battuta la Norvegia nei tempi supplementari (rischiando l’eliminazione) a Marsiglia
tra i fischi dei fuorusciti italiani, gli azzur-
La
formazione
italiana
vittoriosa
ri superano la Francia a Parigi
e puniscono, di nuovo a Marsiglia, gli esibizionisti brasiliani.
Finale a Parigi con l’Ungheria: 4 a 2. Formazione: Olivieri,
Foni, Rava, Serantoni, Andreolo, Locatelli, Biavati, Meazza,
Piola, Ferrari, Colaussi. Vittoriosi anche alle Olimpiadi di
Berlino nel ’36, i calciatori «azzurri» di Pozzo hanno confermato la loro supremazia. È
un ’38 magico per l’Italia.
Nearco rimanendo imbattuto (sarà venduto
subito agli inglesi) vince a Parigi il Grand Prix
di galoppo e Gino Bartali si aggiudica il Tour
de France. Il presidente francese Lebrun, porgendo a Meazza la Coppa Rimet, esclama: «Ils
gagnent tout, ces italiens!».
Gino Bartali
21
27 giugno 1939
Addio a Ciano, per tutti Ganascia
Il
popolare «Ganascia», così chiamano
Costanzo Ciano i livornesi che nel 1936 lo
Costanzo
hanno visto a tavola nella memorabile cacCiano
ciuccata di piazza Mazzini, muore nella notte
tra il 26 e il 27 giugno.
Aveva 63 anni ma ne
dimostrava di più.
Ha esalalato l’ultimo
respiro nella sua villa di campagna, a Ponte a Moriano, dopo aver
banchettato ad Antignano, nella casa dei
migliori amici livornesi, i fratelli Baiocchi. Riceve onori solenni.
È il primo grande gerarca ad essere salutato in pompa magna. Il È il primo grande gerarca
primo e l’ulad essere salutato in pompa
timo. Il re
in lacrime magna. Sanguigno e generoso,
davanti alla la Livorno fascista lo amava
sua salma.
Mussolini che accorre dalla Romagna pilotando un trimotore.
La Livorno fascista lo amava perchè era
sanguigno e generoso, ed era rimasto un livornese verace. I funerali richiamano a raccolta l’Italia del consenso. Da Tripoli giunge in
volo Balbo. Quattro corone si impongono sulle
altre: quelle di Hitler, di
Göering, di Ribbentrop e
di Hess.
Unico assente l’ex segretario del partito Giurati, che aveva accusato
Ciano di affarismo.
Due mesi dopo scoppia
la guerra mondiale.
“Il Telegrafo”
annuncia
la morte
I solenni
funerali del
gerarca fascista
nell’attuale
piazza Grande
a Livorno
23
10 giugno 1940
«Vincere, e vinceremo»
Mussolini raggiunge il culmine del con-
do gli italiani sognano di guadagnare mille
lire al mese.
senso il 9 maggio ’36 quando annuncia la
Il dramma incombe. Il 9 giufondazione dell’Impero con la
gno ’37 i fratelli Rosselli venvittoria della guerra in EtioDopo che Hitler ha invaso la
gono uccisi in Francia da un
pia che frutta all’aviatore Gagruppo fascista antisemita.
leazzo Ciano, decorato della Francia, anche l’Italia entra in
Nel ’38 Hitler occupa l’Austria
medaglia d’argento, la nomi- guerra e attacca la Grecia
e nel ’39 la Polonia.
na a ministro degli Esteri.
Scoppia la seconda guerra
Finita la guerra in Etiomondiale.
pia, comincia quella civile in Spagna e il diL’Italia occupa l’Albania, firma il patto
sastro di Guadalajara, una battaglia che opd’acciaio con Berlino e dichiara la non belpone italiani contro italiani, non mette sulligeranza.
l’avviso Mussolini.
Ma il 10 giugno 1940, dopo che Hitler ha
È la prima sconfitta militare del fascismo.
invaso la Francia, entra in guerra e in ottoIntanto il 15 giugno 1936 la Fiat lancia l’utibre attacca la Grecia.
litaria 500 Topolino. Costa 8.900 lire, quan-
Carlo Rosselli
al fronte con un
commilitone
25
25 luglio 1943
Cade Mussolini, potere a Badoglio
D
rammatica seduta del
Gran Consiglio del fascismo.
Mussolini cade a opera di una
fronda interna di gerarchi guidati da Grandi e Bottai. Vi partecipa anche Galeazzo Ciano, il
genero del «duce». E, sciolta la
seduta, Antonino Tringali Casanuova, primo sindaco di Castagneto nel «ventennio», presidente del Tribunale speciale
per la difesa dello Stato, avvicina Galeazzo e gli dice: «Giovanotto pagherete il vostro tradimento col sangue». La battuta
sarà riferita da Edda Ciano al direttore del «Tirreno» Mino Cau-
dana durante una lunga intervista pubblicata sul rotocalco
«Oggi». La fronda mira a una
soluzione monarchico-conservatrice che salvi il regime
lasciando cadere Mussolini.
Ma il regime, privo com’è di
coesione interna e di appoggi, cade travolto dagli avvenimenti militari. L’indomani
il re convoca il «duce» e lo fa
arrestare.
Poi incarica il maresciallo
Badoglio di formare un nuovo governo. Badoglio scioglie
il partito fascista e instaura
una dittatura militare.
Il maresciallo
Badoglio
8 settembre 1943
Tutti a casa, è armistizio
Il 3 settembre il governo italiano firma l’armistizio con gli Alleati a Cassibile, in Sicilia. Hanno completato la conquista dell’isola dove sono sbarcati il 10 luglio. Prevedibile la reazione
dei tedeschi che occupano
i principali punti strategici
d’Italia. Il governo Badoglio
e la famiglia reale al completo, senza nulla predisporre
per la resistenza militare all’esercito nazista, si rifugiano a Brindisi. Di conseguenza le truppe italiane, prive di
ordini, malgrado sporadiche resistenze, e atti di valore, vengono in gran parte
disarmate, fatte prigioniere e
deportate in Germania.
Il 9 settembre gli Alleati
sbarcano a Salerno. Il 27 settembre Napoli insorge contro
i tedeschi.
«Tutti a casa», il film di Comencini con Alberto Sordi,
rievoca bene quei giorni tragici. I soldati cantano: «Non
c’è più firma nè firmamento questo è il momento, a casa si va».
Mussolini è liberato dalla sua prigionia al Gran Sasso con un colpo di mano delle SS tedesche. Trasportato in
Germania crea la Repubblica
sociale italiana di Salò.
Alberto Sordi in
una scena del film
“Tutti a casa”
27
11 gennaio 1944
Per Ciano due colpi alla tempia
Processo di Verona contro i gerarchi
fascisti che hanno votato contro Mussolini
nella seduta del Gran
Consiglio del 25 luglio, e che sono rimasti in Italia. Così solo
sei vengono arrestati,
Ciano, De Bono, Gottardi, Marinelli, Pareschi e Cianetti. I primi
cinque sono condannati a morte dal tribunale speciale. A Cianetti
trent’anni di reclusione. Si conclude dunque in una cupa tra-
gedia l’avventura del «delfino del fascismo»
che di Mussolini dice: «È un uomo vile, non
avrebbe mai osato prendere una qualsiasi iniziativa presso Hitler». Edda rimane vicina a
Galeazzo, affronta il padre, s’illude di poter
liberare il marito grazie a un complotto ordito da Himmler per ricuperare il «Diario»
di Ciano, e si fa aiutare dal marchese Pucci,
suo amico. Ma Ribbentrop scopre il complotto e Hitler blocca Himmler.
Galeazzo viene fucilato, insieme ai suoi compagni di sventura, alle 9,21 nel poligono di
tiro di Ponte Catena. E muore con grande dignità. Per finirlo il comandante del plotone d’esecuzione gli spara due
colpi alla tempia.
A sinistra
Galeazzo Ciano.
Sotto, i suoi
funerali
15 aprile 1944
«È lei il senatore Gentile?»
Il filosofo Giovanni Gentile è condannato a morte dal
comitato fiorentino. L’ordine
parte dal segretario Giuseppe
Rossi e alla discussione prendono parte il futuro sindaco
di Firenze Mario Fabiani, lo
scrittore Romano Bilenchi e
l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli.
Per i comunisti, Gentile
è colpevole di aver fornito
l’ideologia al regime fascista
e di aver aderito alla Repubblica di Salò.
Ma ignorano che Gentile
ha un figlio prigioniero dei
tedeschi e dando ai familiari la sua spiegazione su Salò
ha detto: «Mi può essere utile per riportare a casa un figlio, anche se so di essermi
condannato a morte».
L’esecuzione viene affidata
a un gruppo di partigiani e a
sparare è Bruno Fanciullacci
che uccide il filosofo con sette colpi di pistola. L’attentato avviene alle 13,30. Gentile
è a bordo di un’auto guidata
dall’autista. Entrambi sono
disarmati.
Fanciullacci blocca la macchina, si avvicina al finestrino e chiede: «È lei il senatore
Gentile?».
Sono le ultime parole sentite
dal 69enne filosofo siciliano.
Romano Bilenchi
I funerali di
Giovanni Gentile
nella Basilica di
Santa Croce a
Firenze
29
28 gennaio 1945
Con la libertà arriva il “Tirreno”
L
munisti. Diaz sarà un ottimo
ivorno torna libesindaco.
ra il 19 luglio 1944 con
Sei mesi dopo Livorno sal’ingresso, da nord delluta l’uscita dalle rotative del
la Quinta Armata amepalazzo del “Telegrafo”, rimaricana del gen Clark,
sto intatto, del nostro giore da sud dei partigiani
nale, formato tabloid, una lidel comandante Monra a copia.
telatici.
Livorno ha ripreso a respiLa città è semidistrutrare.
Direttore è il più esperta, dai bombardamento dei giornalisti livornesi, e
ti alleati e dai tedeschi
il più antifascista, Athos Gache ritirandosi, hanno
stone Banti.
raso al suolo le struttuGli alleati hanre portuali.
no
requisito lo
Nel Comune i comunisti sostituiscono i fascisti. E, a sorpre- Sei mesi dopo la liberazione stabilimento per stamparvi
“Stars and Stripes”.
sa, nominano sindaco un giova- Livorno saluta l’uscita del
Il primo giorno “Il Tirreno”
ne intellettuale della buona borsuo
rinato
giornale
stampa 7 mila copie, che vanghesia, Furio Diaz, appena 26enno a ruba.
ne, figlio del penalista numero
E nel ’61 riprenderà la vecchia testata de
uno di Livorno.
“Il Telegrafo”.
Una nomina che tranquillizza gli antico-
Furio Diaz.
A sinistra, il
generale Clark
Una grande
felicità impazza
nelle strade dopo
la liberazione
31
28 aprile 1945
Il giorno di Piazzale Loreto
L’impiccagione
in piazzale Loreto
a Milano
M
ussolini viene catturato mentre fuggivoci sono italiane: sono quelle del Comitato
va verso la Svizzera con una colonna tedesca,
di Liberazione Nazionale del Nord e del pree passato per le armi, insieme a Claretta Pefetto di Milano...».
tacci, e poi appeso in piazMussolini, catturato mentre fuggiva Il 5 dicembre Banti, per mozale Loreto, a Milano.
tivi di salute, lascia la direzioBanti pubblica su «Il in Svizzera, viene ucciso e appeso ne del «Tirreno» a Dino ProTirreno»: L’ingloriosa fi- con Claretta Petracci a Milano
venzal, illustre «dantista».
ne di Mussolini e di taluni suoi complici è sottolineata in tutto il mondo.
Giornali e radio di ogni Paese osservano come quella morte sbrigativa e vergognosa, sotto le pallottole di pochi partigiani, che hanno inteso di rappresentare tutto
il popolo esasperato, sia stata proprio la punizione che ci voleva, per chi non soltanto
quel popolo aveva tradito, ma la causa stessa dell’umanità.
I commenti sono concordi.
Se delle voci si sono levate, a ordinare che
ora queste esecuzioni sommarie di criminali fascisti siano interrotte, e la giustizia segua il suo corso nelle forme legali, queste
Claretta
Petacci
33
2 agosto 1945
Muore Mascagni e l’Italia si divide
Il
musicista di «Cavalleria rusticana»
muore a Roma, 82enne, nell’appartamento dell’Hotel Plaza dove abitava. È il primo
grosso personaggio dell’arte che muore nell’immediato dopoguerra.
E diviene un banco di prova per misurare la credibilità antifascista della nuova classe politica.
Pietro Mascagni è stato una figura rappresentativa dell’Accademia d’Italia anche
se ha aperto il Novecento, con la «Cavalleria», nel 1890.
Il governo Parri ignora la sua scomparsa
mentre Russia e Francia lo onorano trasmettendo a lungo le sue musiche.
Il Comune di Livorno decide di partecipare ai funerali con un assessore.
Il prof. Umberto Comi scrive un violento articolo contro Mascagni sul giornale
del Cln.
E nel ’51, quando la salma viene traslata a
Livorno con solenni onoranze, con il sinda-
co Diaz che esprime il suo rammarico per il
silenzio del ’45, il maestro Emilio Gragnani, critico musicale del «Tirreno», tira fuori
dal cassetto l’articolo di Comi biasimandolo
pubblicamente.
Siamo al duello. Sciabola. Si battono sul
lago di Puccini. Ferite lievi.
Una bella
immagine del
musicista da
giovane e,
sotto, i funerali
a Livorno nel
1951
Mascagni sul lungomare a Livorno
35
31 marzo 1946
Ecco la Vespa, due ruote di libertà
«Due ruo-
mezzo che metta l’Italia su due
ruote, però non
voglio la solita
motocicletta».
E D’Ascanio
progetta in un baleno una motoretta da inforcare come una bicicletta da donna, con
il motore coperto, un complesso
unico con il cambio in linea.
Provata nel settembre ’45, adotta al posto
delle ruote quelle dei carrelli per aerei. Nella primavera ’46 le Vespe cominciano a uscire dalla fabbrica di Pontedera rimessa in sesto. E il 31 marzo l’annuncio che in aprile
cominceranno le consegne. È risolto il problema dei trasporti individuali.
te per la rinascita», «Simbolo
del primo miracolo economico», «Un motore, due ruote e
due cuori»: ecco alcuni dei titoli che la Vespa
ha meritato dal
’46 a oggi.
Poco prima
della fine della
guerra, Enrico
Piaggio ha chiamato l’ingegnere Corradino D’Ascanio a Biella e dove ha trasferito il
suo stabilimento di Pontedera distrutta dai
bombardamenti e razziato dai tedeschi. Ora
fabbrica pentole d’alluminio.
A D’Ascanio, che gli aveva progettato un
elicottero geniale, nel 1939, dice: «Voglio un
Il primo modello
di Vespa. Oggi
la Piaggio ne
ripropone una
replica
Enrico
Piaggio
Una delle
pubblicità
più
famose:
divenne
presto un
modo di
dire
37
2 giugno 1946
Le urne dissero: Repubblica
Il
referendum Monarchia-Repubblica
E la monarchia, appoggiata da papa Pio
del 2 giugno segna la fine della storia italiaXII, rimane in vantaggio a lungo.
na dei Savoia. Primo ministro è De Gasperi
Solo il 10 giugno il
e ministro degli Interni il socialista Giuseppresidente della Caspe Romita, piemontese.
sazione, un monarIl 9 maggio Vittorio Emanuele III ha abdichico, legge i risultati:
cato in favore di Umberto che
12.672.767 voti
da luogotenente diviene re.
per la RepubbliBattuta la monarchia.
I «reali di maggio» riemca, 10.668.905
Umberto
lascia
l’Italia
piono la scheda per l’Assemper la Monarblea costituente ma lasciano per l’esilio di Cascais
chia.
in bianco quella per il refeMancano perendum. «Non ci pareva di buon gusto vorò i dati di 100 seziotare per noi stessi» dirà Maria José: «Politini e ci sono dei reclacamente io ho votato per Saragat».
mi monarchici.
L’Italia si apacca letteralmente in due.
Umberto accetta di
partire per l’esilio di
Cascais il 13 e lancia un proclama: «Il
governo ha compiuto un gesto rivoluzionario».
Finalmente il 28
giugno ecco i risultati
definitivi: 12.717.923 voti per la Repubblica e 10.719.284 per la Monarchia.
Vittorio
Emanuele III
accanto al
Prefetto Gaetani
a Lucca
39
18 aprile 1948
La Dc acchiappatutto
Alcide
De
Gasperi
Il titolo a
pagina piena
de «Il Tirreno», domenica 18 aprile è
quello di un
vero giornale d’informazione: «La
grande giornata è venuta per tutti i democratici d’Italia».
Il voto segna il trionfo della Dc.
Il partito di De Gasperi ottiene il 48,5 per
cento dei suffragi contro il 35 ricevuto nel
’46 alle elezioni per la Costituente.
I socialdemocratici scendono dal 40 al 31
per cento. Nella circoscrizione Livorno-Pisa-
Lucca-Massa vanno in Parlamento, per la Dc:
Togni (77.077 voti), Gronchi (69.596), Biagioni, Angelini, Carignani, Fascetti, Negrari. Del Fronte: Scappini, Laura Diaz, sorella
di Furio (39.937), Basso, Baldassarri, Bottai,
Vasco Jacoponi, Bernieri.
Non è facile, nel ’48, pubblicare a Livorno
un giornale anticomunista e insieme antifascista come il nostro. Il Banti, che ha ripreso la direzione del «Tirreno», nel suo fondo
scrive di aver ricevuto questa cartolina: «Fascisti! Ci sarà una piazza anche per voi».
E commenta: «Se si tratta di farci dei monumenti, il mio lo vorrei a cavallo».
Il “Tirreno” del
18 aprile 1948
Un comizio
di De
Gasperi
durante la
campagna
elettorale
nel 1948
41
14 luglio 1948
Hanno sparato a Togliatti!
Le
Il fatto più sanguinoso ad Abbadia S. Saltensioni accese dai risultati del 18
vatore.
aprile non si spengono.
La battaglia intorno al centralino che gaE tre mesi dopo abbiamo l’attentato a Torantisce i collegamenti tra Roma
gliatti con il moto insurrezionale
e il nord provoca due morti: un
esploso nello stesso giorno.
Quattro colpi di pistola
agente e un maresciallo. Gli inAll’uscita dalla Camera, un gioall’uscita della Camera.
sorti deporranno le armi dopo molvane fanatico anticomunista, Antonio Pallante, 25 anni, iscritto al E si rischia l’insurrezione ti giorni.
Per fortuna Togliatti sta meglio.
Msi spara quattro colpi di pistola
E Bartali, vincendo al tour la tappa alpina,
sul segretario del Pci. Sono le 11,40.
fa sbollire la rabbia popolare.
La radio annuncia che Palmiro Togliatti è moribondo. Il paese scende subito in
piazza.
A Torino gli operai occupano tutte le fabbriche e sequestrano Valletta con sedici dirigenti.
Milano è paralizzata. Gli operai di Sesto
S. Giovanni si armano. Scontri con la polizia. Barricate e posti di blocco a Genova, con
morti e ferti.
Gravi episodi a Livorno: un agente ucciso a coltellate.
In basso, il
segretario
del Partito
Comunista
Italiano,
Palmiro
Togliatti
43
4 maggio 1949
Il Torino scompare a Superga
Quota duemila.
Tagliamo su Superga. Sono le ultime
parole del comandante Meroni a bordo di un trimotore
che riporta in patria
18 giocatori granata, cinque dirigenti del Torino, l’organizzatore della trasferta, tre giornalisti e quattro
membri dell’equipaggio, provenienti da Lisbona. Sono le 16.58.
Su Torino è calata una nebbia vischiosa
che acceca. L’altimetro segnava quota duemila. In realtà l’altitudine era quella del colle di Superga.
La collisione, il boato, i Con uno schianto se ne va
rottami spar- la più bella squadra
si in un rag- di calcio del dopoguerra
gio di cento
metri.
Nessun superstite. Così si conclude l’avventura della più bella squadra di calcio italiana
del dopoguerra, una squadra che aveva portato a livelli eccezionali non solo il club torinese ma la stessa nazionale azzurra: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti,
Loi, Gabetto, Mazzola,
Ossola.
E poi: Sergio Ballarin,
Fadini, Operto, l’ungherese Schubert, i francesi
Bongiorno e Grava.
Tra i giornalisti Renato Casalbore. Funerali
imponenti.
E molte polemiche
sul rifiuto di atterrare
a Milano.
Il giornale
annuncia la
tragedia.
In alto a sinistra,
il luogo del
disastro aereo
Il grande
Torino in
una partita
allo Stadio
di Ardenza
contro il
Livorno
45
10 ottobre 1951
Con il boom esplodono le tasse
Il «miracolo economico» è cominciato.
Vanoni ha 48 anni e si considera proletario.
Il nonno era falegname, il padre geometra.
Il reddito nazionale torna a livello di prima
Un proletario più svizzero che italiano: è
della guerra.
nato in un paese a pochi chiGli italiani guadagnano di
L’economia cresce, gli italiani lometri dalla Confederazione
più, mangiano di più, presto
Elvetica.
si avvicineranno agli europei guadagnano di più, e nasce
E loda per iscritto un impiepiù ricchi.
il “modulo Vanoni”
gato che gli notifica l’evasione
E ingrasseranno. Intanto sodelle imposte sul reddito di una casetta di
no chiamati a pagare più tasse.
proprietà dei fratelli Vanoni.
Il ministro delle Finanze Ezio Vanoni è
«Come ministro delle Finanze» scrive Zatdeciso a portare in Italia metodi fiscali moterin «è così bravo che riesce perfino a tasderni e introduce la dichiarazione obbligasare se stesso».
toria dei redditi.
I risultati gli danno ragione: se nel ’49 soNasce il «modulo Vanoni», un fascicono stati dichiarati redditi per 139 miliardi,
lo di 16 pagine distribuito in dieci milionel 1951 sono 309.
ni di copie.
Una copia del
“Tirreno” che con
un articolo a fondo
pagina ricorda la
scadenza della
dichiarazione dei
redditi
46
Il Quartetto Cetra su una
Lambretta, simbolo del
miracolo economico
11 aprile 1953
Scandalo Piccioni, droga e politica
11
Aprile 1953. Una bella ragazza della piccola borghesia, Wilma Montesi, viene trovata morta e discinta sulla spiaggia di
Torvajanica.
E il 4 maggio la rivelazione: non è deceduta per un incauto pediluvio, come stabilito della polizia archiviando il caso, ma durante un convegno nella tenuta di Capocotta, presso Castel Porziano. Per la prima volta si
Eccessivo conmescolano donne e potere.
sumo di stupeContro la vecchia Dc
facenti.
Festino con
uomini politici, nobili, gente bene. Il cadavere viene trasportato sulla spiaggia e abbandonato.
È il primo scandalo per droga, in Italia. Ne
rimane coinvolto Piero Piccioni, compositore di musica jazz,
figlio di Attilio, il vicepresidente del Consiglio.
Si arriva al 1954. Il 24 agosto
muore De Gasperi. E Attilio Piccioni, il suo erede designato, si
dimette il 19 settembre sapendo
Piero
che il figlio sarà arrestato tra breve.
Piccioni
Al processo di Venezia, nel 1957, dominato e Gina
dalle deposizioni di Anna Maria Moneta Ca- Lollobrigida
durante un
ricevimento
glio, tutti gli accusati sono assolti.
Ma la vecchia Dc è stata spazzata via.
L’opinione pubblica rimane convinta che si sia
trattato di uno
scandalo di bassa macelleria politica.
Wilma Montesi
con la sorella
La spiaggia di
Torvajanica
47