Anno_I_numero_05

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Anno_I_numero_05
Anno 1, n. 5
• Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009
• E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele
Sabato 31 Ottobre 2009
BOCCADIFUOCO
PRIOLO
PANTANO CUBA
“Questo Comune
non coinvolge
le competenze”
“L’ateneo Cumi
nelle Case del
Feudo Gargallo”
Bono:“La Regione
partecipi all’asta
giudiziaria”
PAG.4 (De Michele)
PAG.2
PAG.11 (Perna)
Salvatore Lantieri e Anna Floridia (UIL): “Il 60% dei contratti prevede il precariato”
Con novanta mila disoccupati
potrebbe esserci guerra civile
Terremoto
Augusta
A venti anni dal sisma, Padre Prisutto e Licciardello
dicono cosa è cambiato.
A PAG. 12 (C. Italia)
RISCHIA DI NUOVO IL FERMO
Quel maledetto Alberghiero
“Toglieremo i ponteggi e non faremo più nulla”
Noto
“La crisi occupazionale coinvolge ormai
anche le nuove forme
di lavoro che, se negli
ultimi anni hanno comunque rappresentato
un’espansione occupazionale offrendo occasioni di impiego, e quindi di reddito, per centinaia
di migliaia di nuovi lavoratori, giovani diplomati, laureati e qualificati, oggi hanno determinato una deregulation del mercato del lavoro”.
PAG. 6 (De Michele)
In atto l’interramento
di un’area del Porto
Corrado Valvo
“Vogliamo un turismo culturale e naturalistico, niente
discoteche e chiasso”.
A PAG. 9 (Lanaia)
Avola
L’assessore
“Inseguiamo il progetto di
una litoranea che colleghi
Zuccara e Calabernardo”.
A PAG. 8
A PAGINA 14 (Mainenti)
“Oltre centomila metri quadrati di mare trasformati in terraferma per gli affari di pochi.
Un’estensione pari a più di dieci volte piazza Santa Lucia. Si
cementifica il mare nel silenzio
dell’istituzione che più di altre
dovrebbe vigilare. Cosa fa la
Sovrintendenza di Siracusa?”
A PAG. 4
L’8 novembre il ballottaggio PD
tra Giuseppe Lupo e Giuseppe Lumia
PRIMO PIANO
SANTI NICITA
13
“Il sindacato
superi
le divisioni”
GIARRATANA
2
Nel commercio
rispettare
le regole
PSICHIATRIA
15
La legge 328
funziona
a stento
Con la Gelmini
classe di 44 alunni
Gentile pag. 16
E’ stato fissato per l’8 novembre il ballottaggio per eleggere
il nuovo segretario regionale
del Partito democratico. Lo ha
deciso la commissione regionale per il Congresso che appunto
ha convocato per domenica 8,
alle ore 10, all’hotel San Paolo
Palace l’assemblea del partito.
Voteranno, a scrutinio segreto,
i 180 delegati che sono così ripartiti: 71 per le liste collegate
a Giuseppe Lupo, 56 per le liste
che fanno riferimento a Giuseppe Lumia e 53 per quelle
collegate a Bernardo Mattarella. Il ballottaggio si svolge tra
Lupo, della mozione Franceschini, e Lumia, indipendente.
Mattarella, della mozione Bersani, era stato ‘eliminato’ nelle
primarie del 25 ottobre, alle
quali era giunto terzo.
A PAG. 11
2
31 Ottobre 2009
La struttura accoglierà anche una megabiblioteca e due Fondazioni culturali
L’Università CUMI nelle Case del Feudo Gargallo a Priolo
cedute al Comune in comodato d’uso per trent’anni
di TOMMASO GARGALLO DI CASTEL LENTINI
Il Consorzio Universitario “Megara
Ibleo” realizzerà un nuovo Ateneo
nelle Case del Feudo di Priolo Gargallo.
Attualmente il C.U.M.I. gestisce
due corsi di laurea dell’Università
di Messina: Giurisprudenza e Chimica Industriale. Il presidente è Toni
Margagliotto; l’amministratore delegato è Nello Caporale; proprietario
del Feudo è il sottoscritto, Tommaso
Gargallo di Castel Lentini. Giuseppe
Santoro è l’architetto che ha redatto
il progetto. La stima e l’amicizia che,
ormai da tempo, legano il sottoscritto
col Sindaco di Priolo Gargallo, Antonello Rizza, e più di recente col presidente e con l’amministratore delegato
del Consorzio, sono state determinanti per prendere la decisione di avviare
quest’ambizioso programma.
Chi scrive ha dato in comodato d’uso
gratuito per trent’anni (tempo adeguato per fondare un importante polo
universitario) il Feudo al Comune di
Priolo Gargallo, che a sua volta lo
darà in utilizzo esclusivo al C.U.M.I.
Così facendo, il Consorzio potrà accedere ai fondi europei e regionali
per l’Università; le Case del Feudo risorgeranno a nuova vita, assicurando,
come in origine, prosperità al paese.
Certo, anticamente esse servivano
principalmente alla difesa e all’organizzazione produttiva di quei fondi,
vale a dire soprattutto al benessere fisico e materiale della collettività. Ora
saranno utili soprattutto allo sviluppo
culturale e sociale dei Priolesi; non
vanno dimenticati, infatti, i vantaggi
economici che l’Università è in grado
di assicurare a tutto il territorio.
Io non sono interessato però alla politica, bensì alla cultura: sono figlio di
un professore universitario e fratello di altri due. Mio padre insegnava
Storia della Storiografia Moderna (da
Hegel ai nostri tempi) all’Università
“La Sapienza” di Roma. A Lui sarà
dedicata l’Aula Magna principale e
vorrei far dedicare un’altra Aula Magna al mio caro e anche lui scomparso “zio”, Santi Luigi Agnello. Papà
e zio Santi erano molto amici ed era
un piacere vederli passeggiare per
Ortigia discutendo di fondamentali
argomenti di grande interesse storico
sotto la loro bandiera della cultura.
La famiglia Agnello e la Gargallo sono strette da amicizia ormai da
quattro generazioni; anche il figlio
di zio Santi insegna all’Università e
quindi anche mio “cugino” Giuseppe
fa parte della mia famiglia universitaria.
Nel Feudo, una volta che sarà inaugurata l’Università, collocheremo
le due fondazioni, quella Agnello e
quella Gargallo, in locali appositi,
unificando inoltre in un solo grande
LETTERE AL DIRETTORE
Giarratana (Unc): “Nel commercio
bisogna darsi regole e rispettarle”
Egregio dott.Oddo, ho letto l’articolo di
Mazza: ”Sulla grande distribuzione ci
vorrebbe il mea culpa di chi fece approvare la legge”. Non so chi dovrebbe dire
mea culpa per l’attuale crisi economica e
per il calo dei consumi. Mi sa di certo che
si continua da parte di alcune Associazioni di Commercianti sulla stessa politica.
Vero è che i costi di gestione aumentano.
Sulla carta, Mazza dice bene: Aiutare il
piccolo commerciante…” consigliando
di vendere prodotti di buona e media qualità ma di prezzo contenuto… ; ma nella
pratica ciò non avviene. I Centri Commerciali vendono a buon prezzo anche
prodotti di marca.
Si parla dei piccoli negozi; ché, poi, dobbiamo intenderci se per piccoli negozi
s’intendono anche i super-mercati. Si
pensi a chi ha 5-6 super-mercati e quindi
fa grossi acquisti di merce e può vendere
a buon prezzo come i Centri Commerciali. Sta di fatto che la gente è sempre
più orientata verso i grossi Centri Commerciali per una serie di motivi: trova
più vasta offerta di prodotti, più offerte
di merce scontata, sicuri posteggi, servizi
aggiuntivi, come il bar e altro. Il consumatore va dove ci sono più servizi, dove
trova risparmio, cortesia e rispetto. Prima di parlare di “mea culpa” chiedete a
vostra moglie dove fa la spesa, se si può
spostare.
Certo, le Pubbliche Amministrazioni possono aiutare i piccoli commercianti, ma
solo per aumentare i servizi. Non possono spendere denaro pubblico se non per
favorire i cittadini. Il commerciante deve
capire che il Commercio si fa col capitale
e questi deve nascere da un consorziarsi,
dall’unità di categoria in un aiuto vicendevole. Con maggiore formazione, altresì, con comprensione delle parti.
Il più grosso errore delle Associazioni
dei Commercianti è quello di non volersi
sedere con le Associazioni dei Consumatori per vedere il da farsi. Eppure noi
l’abbiamo proposto sempre, anche dentro
la Camera di Commercio che ci rappresenta tutti.
Infine vorrei dire che i Commercianti che
sono contro i Centri Commerciali, i quali
anche loro necessitano di limiti e di regolazioni, soprattutto per l’occupazione,
per la vendita del prodotto locale, devono
considerare che se non si danno una regolata troveranno presto un ostacolo nella
vendita dal produttore al consumatore,
che si sta sviluppando sempre di più perché il Consumatore ricava un guadagno e
un aiuto vista la crisi attuale. Che diranno? Impediranno la vendita diretta?
Inoltre vorrei dire che ogni male viene
dalla mancanza di regole. Libero commercio sino ad un certo punto: ma bisogna darsi delle regole e soprattutto rispettare quelle che ci sono, come approvare
da parte dei Comuni i “Piani Comerciali“, la mancanza dei quali spesso è causa
di contestazioni e fa proliferare esercizi
non utili.
organismo le considerevoli biblioteche di queste due famiglie, in cui
la cultura è stata sempre di casa. La
prima è quella più antica, iniziata da
Tommaso Gargallo, il poeta e fondatore di Priolo, vanto per oltre due
secoli di questa terra; e la seconda è
quella della famiglia Agnello, che da
tre generazioni sforna libri che costituiscono pietre miliari nella storia
degli studi.
Quindi, immaginate Priolo con
un’Università nella sede più prestigiosa, intitolata al fondatore di
Priolo: Tommaso Gargallo, ministro
della Guerra, traduttore di Orazio, di
Giovenale, illustre poeta, cultore del
bello, viaggiatore instancabile, amico e consigliere dei potenti e degli
scienziati europei dell’epoca. Questa
“Città della Cultura”, costruita sui
ruderi dell’antico feudo, sarà attrezzata con strutture all’avanguardia
predisposte da un architetto priolese,
Giuseppe Santoro, con aule adatte
allo scopo per numero ed efficienza,
una megabiblioteca di livello europeo, due fondazioni culturali, e ampi
spazi per tutte le attività connesse: in
conclusione, con questo progetto ci
si propone di legare il nome di Priolo Gargallo alla cultura, allo studio,
alla formazione dei quadri del futuro,
e non più soltanto all’inquinamento
industriale.
il francosauro
Sotto le lenzuola
“Vedete, ciascuno ha i suoi peccatucci”, pare abbia confidato Silvio ai suoi più stretti collaboratori dopo lo scandalo Marrazzo. E in
effetti l’ammogliato governatore del Lazio, col suo trans da cinquemila euro, ha riportato in pari il piatto della bilancia dove affondava
Silvio con le sue escort e le minorenni che lo chiamano papi. “Non
so più – mi diceva una signora – se i potenti sono lo specchio di
una società profondamente corrotta o se a corrompere è il potere”.
Amletico dubbio. Nella permanenza del quale, però, ai nostri politici
provinciali diamo un consiglio: prima di coricarvi sbirciate sempre
sotto le lenzuola. Può esserci una telecamera nascosta, un registratore, un amperometro, un nanometro (letteralmente inteso)…
3
31 Ottobre 2009
Per complessità di assistenza prestata ai pazienti (DRG) Cardiologia all’Umberto I° in vetta
Mossuti: “Soddisfatto ma occorrono più posti letto
più personale e almeno due sale per gli interventi”
di PINO BRUNO
Negli ultimi anni si è sviluppata
sempre più in sanità l’idea che
è utile, anzi necessario, misurare i risultati. Il concetto lascia
perplessi coloro i quali pensano
che sulla salute non possano essere applicati criteri cosiddetti
“aziendalistici”. Ciò in parte è
vero. Non si tratta però di programmare i servizi sanitari solo
in base alla “produttività”, ma
di tenerne conto in un sistema a
risorse date e sempre più ridotte nel tempo, per migliorarne
l’utilizzazione in relazione ai
bisogni. La ricerca sui migliori
indicatori di efficacia ed efficienza si è affinata sopratutto in
ambito ospedaliero, che rispetto alla sanità territoriale ha una
più facile misurabilità. Per gli
ospedali esisteva già peraltro
una decennale esperienza negli
Stati Uniti, dove l’esigenza di
misurare le attività di ricovero
aveva avuto un grosso impulso
legato al sistema assicurativo
che finanzia la sanità di quel
paese. Negli USA è infatti nato
e si è sviluppato il sistema di remunerazione delle prestazioni
ospedaliere a DRG (diagnosis
related groups) che classifica i
pazienti dimessi dagli ospedali
per acuti. Tale sistema individua circa 500 classi statistiche
tendenzialmente omogenee per
quanto riguarda il consumo di
risorse, la durata della degenza e, in parte, il profilo clinico.
Con l’introduzione nel nostro
sistema sanitario nazionale di
questa nuova modalità di finanziamento delle attività ospedaliere basato sulla remunerazione delle prestazioni mediante
tariffe predeterminate per ogni
DRG, si è cercato di superare
la precedente situazione di pagamento a piè di lista. Per ogni
DRG esiste un peso relativo
che rappresenta il grado di impegno relativo (sia in termini di
costi che di impegno clinico) di
ciascun DRG rispetto al costo
medio standard per ricovero.
Questo sistema si può definire
isorisorse in quanto è orientato a descrivere la complessità
dell’assistenza prestata al paziente, partendo dal principio
che malattie simili, trattate in
reparti ospedalieri simili, comportano approssimativamente
lo stesso consumo di risorse
umane e materiali. Tale sistema
è stato quindi creato per poter
predire la quantità ed il tipo di
risorse utilizzate per assistere
i pazienti. La lunga premessa era necessaria per chiarire i
presupposti da cui siamo partiti
per verificare quali reparti nella
nostra provincia hanno ottenuto nel corso del 2008 i risultati
migliori. Diciamo subito che
non si tratta di una graduatoria
di merito che comporterebbe la
conoscenza anche di dati relativi all’efficacia, cioè all’esito
del ricovero in termini di guarigione o di miglioramento della
patologia; piuttosto un’analisi
solo quantitativa del lavoro
svolto dalle varie strutture ospedaliere comprese quelle private, del lavoro del singolo reparto e della complessità dei casi
trattati nello stesso, dell’appropriatezza dei ricoveri. L’anno
scorso sono stati complessivamente 86.981 i ricoveri effettuati da cittadini della provincia
di Siracusa, 53.992 in regime
ordinario e 32.989 in day-hospital, rispettivamente il 75%
ed il 72% sono stati effettuati in
Presidi della nostra provincia,
il 25% dei ricoveri ordinari ed
il 28% di quelli in day-hospital
fuori provincia. Negli ospedali
pubblici i ricoveri ammontano
a 54.467, nelle case di cura a
15.579. I posti letto effettivamente attivati 889 (di cui 159 in
day-hospital) nel pubblico, 385
(51 in day-hospital) nel privato.
Nel dettaglio la comparazione che abbiamo
fatto si basa sul
calcolo del peso
medio (cioè del
valore medio in
termini di complessità) dei ricoveri effettuati
per singolo posto
letto, sia in ogni
Editrice: Associazione
Presidio considerato complessiCulturale Minerva
vamente che nei
Via Simeto, 4 - Siracusa
vari reparti che lo
compongono.
Tel. 0931.462633
La prima considerazione che
Direttore: Franco Oddo
si può fare, una
Vice direttore: Marina De Michele
conferma rispetto agli anni preStampa: Tipolitografia Geny
cedenti, è l’alto
numero di ricoCanicattini Bagni (SR)
veri fuori provinRedazione, Amministrazione:
cia: ben 19.908
tra ricoveri ordiViale Teocrito, 71 - Siracusa
nari e in day-hospital; ulteriore
Pubblicità: cell. 333.3344408
conferma è rape-mail: [email protected]
presentata dalle
“fughe” verso la
Reg. Trib. di Siracusa n°1509
provincia di Catania e, ancor più
del 25/08/2009
eclatante perchè
poco comprensi-
bile, verso quella di Ragusa. Il
secondo dato riguarda i tassi di
occupazione, che sono rispettivamente del 72% nelle strutture
pubbliche e del 48% in quelle
private; percentuali che non
sembra siano state considerate
dall’assessorato nell’assegnazione dei posti letto nella nostra
provincia. Più articolati i risultati in termini di appropriatezza
dei ricoveri ordinari e dei punti
ottenuti per singolo posto letto;
entrambi mediamente migliori
per le strutture pubbliche, ma
con buoni indicatori anche in
qualche struttura privata: casa
di cura “Villa Azzurra”. I ricoveri in day-hospital segnano invece un alto indice di inappropriatezza per le cliniche private,
una discreta percentuale di queste prestazioni potevano essere
effettuate a livello ambulatoriale ovviamente con una minore
remunerazione.
Il miglior reparto per i ricoveri
ordinari, ripetiamo in termini
quantitativi, si dimostra quello
di cardiologia dell’ex azienda ospedaliera Umberto I°.
Totalizza più di 200 punti per
posto letto, con un’alta complessità media delle prestazioni
e un tasso di occupazione che
supera il 100%, ad indicare
evidentemente l’uso anche di
ricoveri fuori reparto o dell’aggiunta di posti letto (barelle).
Buoni anche i risultati dell’oncologia dell’ospedale di Avola
e dell’unità coronarica di quello
di Augusta con punteggi superiori a 100. Primo reparto tra le
strutture private è il reparto di
urologia di Villa Azzurra che
totalizza 91,68 punti per posto
letto. Non è possibile effettuare analoga comparazione per i
ricoveri in day-hospital poichè
nelle strutture private i dati
forniti dall’assessorato sono
cumulativi e non suddivisi per
disciplina. Negli ospedali pubblici i migliori risultati sono
stati ottenuti dalla chirurgia di
Avola, dall’ortopedia di Noto,
dalla medicina di Augusta, dalle malattie infettive dell’Umberto I°, dalla chirurgia di Lentini, quest’ultima con la miglior
performance in assoluto. Una
particolare attenzione abbiamo
CLASSIFICA PER STRUTTURA / ORDINARI
PRESIDIO
POSTI
TASSO
LETTO
OCCUPAZIONE
ORDINARI
OSP. AVOLA
OSP. NOTO
OSP. AUGUSTA
OSP. LENTINI
OSP. UMBERTO I° *
C.C. SANTA LUCIA
C.C. VILLA MAURITIUS
C.C. VILLA SALUS
C.C.VILLA AZZURRA
C.C. N. VILLA RIZZO
* escluso Osp. Rizza
73
79
110
122
301
50
43
165
36
40
72,1
70,4
47,1
68,6
85,9
27,9
71,7
49,2
62,3
35,2
Negli ospedali pubblici i migliori
risultati sono stati ottenuti
dalla chirurgia di Avola, dall’ortopedia
di Noto, dalla medicina di Augusta,
dalle malattie infettive dell’Umberto I°,
dalla chirurgia di Lentini,
quest’ultima con la migliore performance
posto sui reparti di oncologia
presenti nella nostra provincia,
dove sono evidenti le differenze
di risultati che giustificherebbero una diversa distribuzione dei
posti letto.
In conclusione abbiamo chiesto un commento al “primario”
della cardiologia dell’Umberto I°, dott. Ernesto Mossuti.
“Sono ovviamente soddisfatto
dei risultati del reparto che non
conoscevo in maniera così analitica. Tra l’altro quest’anno e
ancor più con la riunificazione
delle aziende vi sono dei ritardi
nell’invio dei report con i dati
dei ricoveri.”
Dai dati dell’assessorato salta
subito agli occhi l’alto tasso di
occupazione, significa che ricoverate fuori reparto o siete
costretti ad aggiungere posti
letto?
“Entrambi le cose, ma soprattutto dobbiamo far uso di barelle poiché spesso i pazienti,
in condizioni serie per l’età
avanzata o per la concomitanza
di altre patologie, necessitano
di costante controllo che non
può essere fatto con appoggio
in altro reparto. E’ ovvio che
avremmo bisogno di più posti
letto e di un incremento dell’organico”.
In questo eccessivo carico di
lavoro per voi influisce anche
una carenza nel resto della
provincia?
“La collaborazione con le altre cardiologie è ottima, cerchiamo di lavorare in rete e in
tal senso è già stato fissato un
appuntamento con la direzione
generale proprio per discutere come è possibile migliorare
ulteriormente l’organizzazione.
Non c’è dubbio che l’attivazione del reparto di cardiologia
dell’ospedale di Avola ridurrebbe il sovraccarico su Siracusa e
consentirebbe una più omogenea distribuzione sul territorio
degli interventi sulle patologie
cardiache acute. Per questo
ne auspichiamo al più presto
l’apertura, anche per ridurre le
fughe verso la provincia di Ragusa”.
Una domanda è d’obbligo
sull’emodinamica, sappiamo
che da aprile è stata attivata l’H24 cioè la presenza o
la reperibilità dei medici per
l’intero arco della giornata.
%
INAPPROPRIATE
ZZA
PUNTI X
POSTO
LETTO
11
10
16
12
8
17
18
21
4
4
49,34
52,12
40,28
55,17
71,59
40,02
43,94
30,10
78,27
37,15
Esistono ancora criticità per
questo tipo di prestazioni importantissime, anche in considerazione che è l’unica struttura in provincia?
“E’ giusto che, in risposta alle
tante pressioni venute dall’opinione pubblica, si sia data risposta all’esigenza di avere il
servizio aperto per l’intera giornata. Questo però comporta che
ci sia altrettanto giustamente un
congruo adeguamento dell’organico che rimane invece carente. Altrettanto giustamente
sarebbe necessario avere almeno due sale per gli interventi
con la tecnologia necessaria,
per evitare di poterci trovare
in seguito ad improvvisi guasti
delle apparecchiature a non garantire il servizio.
“Quello dell’adeguamento tecnologico è un problema che
riguarda comunque non solo
l’emodinamica, ma tutto il reparto. Abbiamo necessità ad
esempio di un nuovo ecocardiografo, quello attualmente
in uso, diciamo con una battuta “la mattina si accende a
spinta”. Tutti i letti dell’unità
coronarica dovrebbero essere
messi fuori uso e gli stessi locali della terapia intensiva sono
francamente inadeguati per gli
otto posti letto che vi sono collocati”.
Il dott. Mossuti ci saluta e torna ai suoi pazienti sottolineandoci che i buoni risultati sono
comunque il frutto del lavoro
di tanti collaboratori, medici,
infermieri e personale di supporto.
4
31 Ottobre 2009
Amministratori spavaldi non temono il giudizio della cittadinanza avveduta
I siracusani espropriati del Porto Grande. Le decisioni
assunte da gruppi di potere consorziati fra di loro
di MARINA DE MICHELE
Il dibattito aperto sul nuovo assetto del porto di Siracusa, al
di là del merito della questione,
evidenzia il male profondo della
nostra vita organizzata, collettiva. È solo un ennesimo tassello che si aggiunge a quello dei
villaggi turistici programmati
sulla costa, a un’espansione incontrollata caotica eppure autorizzata del tessuto urbano, all’assedio dei centri commerciali che
strozzano l’economia locale, al
modello hollywoodiano adottato
per il recupero e la presunta riqualificazione del nostro centro
storico, e via discorrendo.
Un’amministrazione attiva del
tutto autoreferenziale e sorda non
solo alle istanze che provengono
dal basso ma anche ai richiami
di legittimità degli atti che vede
quali promotori associazioni
ambientaliste, comitati spontanei per la difesa paesaggistica,
privati cittadini, che dimostrano,
nei fatti, maggiore competenza
giuridica rispetto a chi, per funzione propria, dovrebbe avere
piena consapevolezza di norme
e regolamenti: il caso della Vas
per il villaggio Acquamarina è
insieme eclatante e preoccupante. “Pochissime (forse meno delle dita di una mano) intelligenze,
che riconosciamo di alto valore,
riescono oggi ad assicurare alla
città quell’aderenza alla legalità
che tutela Siracusa dalle incursioni pirate di amministratori
improvvisati e nullafacenti per
professione, uniti dal cemento
forte degli interessi del mattone
e della speculazione”, osserva
l’avvocato Corrado Giuliano del
Comitato Parchi.
La percezione diffusa è che a
decidere non sia la collettività
attraverso i propri rappresentanti
bensì gruppi di potere consorziati attraverso i propri terminali.
Da un lato gli incontri, i tavoli
tecnici, gli appuntamenti per
condividere quelle che si dicono
essere le scelte strategiche per il
futuro della città (Agenda 21, il
Piano strategico, il Piano di sviluppo sostenibile e molto altro
ancora), dall’altro le decisioni
carsiche che trovano la loro definizione e formalizzazione in
conferenze dei servizi organizzate, per quanto possibile, al riparo dall’attenzione dei media.
Ai question time che vedono la
partecipazione attenta e appassionata spesso soprattutto degli
ingenui, di quelli che ancora
credono nel significato alto della
politica, si risponde con il silenzio, con il sistema della decantazione. Si aspetta semplicemente che passi il clamore, che si
spengano i riflettori per tornare
a operare nell’ombra, senza un
confronto aperto e libero che
I lavori di riempimento di un tratto di mare nel Porto Grande
chiami alla discussione la parte
migliore della cittadinanza.
Non si usa quasi più rispondere
alle interrogazioni dei consiglieri, come quelle rivolte in particolare da esponenti dell’opposizione: Di Giovanni, Richiusa, De
Benedictis, Castelluccio, Garozzo e altri, ma se per un calcolo
ragionato ciò avviene, le risposte sono incomprensibili come i
responsi della Sibilla e lasciano
irrisolti dubbi e perplessità.
Certo va ascritta una buona
dose di spavaldo coraggio agli
amministratori della città che
procedono in scelte per le quali
non sembrano temere il giudizio
della storia, la responsabilità pesante di stravolgere l’aspetto di
una città considerata un gioiello
prezioso del nostro patrimonio
nazionale.
L’assedio sfrontato alle mura
dionigiane, laddove nello stesso
piano regolatore si è fantasticato
un irrealizzabile grandioso parco archeologico, ha nella villa
Frontino (una ristrutturazione!)
l’avamposto più oltraggioso. La
costruzione di cooperative-alveari fino al limite estremo del costone dell’Epipoli sono la tomba
oscena del magnificato sky line
della culla di Archimede.
La splendida baia di un porto
storico viene stravolta da una
smania ingorda di costruire
sull’acqua per maggiori profitti
perché non paghi di realizzazioni altrettanto moderne ed economicamente vantaggiose ma
più rispettose dei luoghi, della
natura. Il porto piccolo, lo stesso che in anni lontani si voleva
colmare, viene intasato da approdi infiniti che precluderanno
per sempre i suoi tesori sommersi. Le ingenti risorse per la
rivitalizzazione di Ortigia stanno
producendo un museo all’aperto senz’anima, senza vera vita,
ancor di più oggi che svanisce il
sogno della cittadella universitaria, per restare sola proprietà dei
nuovi colonizzatori.
Il rag. Alfredo Boccadifuoco: “L’amministrazione non ascolta i consigli di chi ha competenza”
De Benedictis: “100mila mq di mare trasformati in terraferma
per gli affari di pochi. Cosa controlla la Soprintendenza?”
Due punti di vista apparentemente opposti, eppure con punti
di contatto e complementari,
quello del più importante operatore del settore diportistico
a Siracusa, almeno il 90% del
traffico marittimo, e di uno dei
politici più rappresentativi della città. Da una parte la fiducia
in un settore in espansione tale
da portare beneficio all’intera
economia cittadina, dall’altra
la preoccupazione per i possibili danni a un patrimonio
paesaggistico unico al mondo.
Convergente invece la critica
all’amministrazione Visentin:
l’uno per un’autoreferenzialità
che esclude l’apporto di competenze e esperienze sul campo,
l’altro per decisioni che negano
il senso stesso del vivere democratico: la partecipazione dei
cittadini, degli amministrati, degli elettori.
Per Alfredo Boccadifuoco, titolare della principale agenzia
marittima della città, la riqualificazione del porto grande di
Siracusa è un obiettivo necessario per lo sviluppo della città
ed è soprattutto necessario far
presto, “abbandonare le diatribe sui posti di sottogoverno
che rallentano da mesi l’attività
amministrativa e nulla giovano
a un’economia in grave soffe-
renza” e invece dare nuovo input alla realizzazione dei lavori
di adeguamento delle nuove
banchine di attracco. “Un’indecenza che ancora si rinvii il
termine di sistemazione a mare
dei cassoni per le banchine del
Foro Italico: l’ultima ipotesi
di dicembre, con i tanti lavori
ancora da ultimare, appare del
tutto inattendibile. Avevamo
suggerito di realizzare questi
enormi manufatti in calcestruzzo sul molo Sant’Antonio, in
un luogo vicino ma non così
frequentato come quello scelto, non si sa secondo quale logica. Con il pontone acquistato
dall’impresa appaltatrice non si
sarebbe incontrato nessun ostacolo nel trasportarli al momento
opportuno. Per mesi, proprio
nel periodo più importante per
il turismo, con grave danno economico per le attività commerciali e di ristoro, si è impedita
la fruizione di una delle passeggiate più suggestive della città”.
Lavori mal organizzati quindi,
come più volte ripetuto anche
dal presidente della Confesercenti Arturo Linguanti che, nonostante gli sforzi profusi e gli
accordi portati a termine, non è
riuscito a realizzare il suo sogno
di vedere collegamenti stabili
con Malta.
“Tuttavia, nonostante ciò, le tante difficoltà – continua Boccadifuoco –, siamo riusciti a portare
qui, a Siracusa, 40 navi da crociera e oltre 100 megayacht. Un
traffico, quest’ultimo, in crescita progressiva: un’ottantina nel
2007, circa 90 nel 2008 e un
centinaio quest’anno. E si potrebbe anche fare di più se questa amministrazione, con cui la
collaborazione non è quella realizzata con il sindaco Bufardeci,
fosse più aperta e disponibile
ad ascoltare i suggerimenti di
chi ha maggiore competenza, a
cogliere l’opportunità di collaborazioni che invece non cerca,
chiusa nella propria supponenza”. Le possibilità individuate
da Boccadifuoco sono di inserimento nel mercato crocieristico
tramite contatti più proficui con
le fiere specialistiche a livello
mondiale come Miami, “non
il salone di Genova, come si è
fatto, utile semmai a chi voglia
farsi la barca nuova”, evidenzia.
Critico nei confronti delle scelte
dell’amministrazione, colpevole di sudditanza nei confronti
dei poteri forti, l’onorevole Roberto de Benedictis.
“Oltre centomila metri quadrati di mare, patrimonio di tutti,
trasformati in terraferma per gli
affari di pochi. Un’estensione
pari a più di dieci volte piazza
Santa Lucia. Si cementifica il
mare nel silenzio dell’istituzione che più di altre dovrebbe
vigilare sui nostri beni culturali.
Cosa fa la Sovrintendenza di
Siracusa? Cancellati gli attracchi per i pescherecci che erano
stati promessi, quelli che avrebbero dovuto rappresentare la
contropartita per la costruzione
del porto Marina di Archimede.
Una nuova moderna colonizzazione occupa la nostra città”.
Per il deputato regionale vengo-
no disattesi gli stessi strumenti
di pianificazione su cui si è a un
certo punto anche discusso ma
che evidentemente rappresentavano solo inutili studi: il master
plan, il piano strategico, il piano
di sviluppo sostenibile e altri
ancora. Studi nei quali, vale la
pena di ricordarlo, non mancavano osservazioni critiche su
quanto si andava a realizzare
con il porto Marina di Archimede della società Acqua Marcia
di Caltagirone: “E’ da constatare che non sempre le program-
mazioni e le progettazioni in
atto valorizzano queste (di Siracusa) importanti testimonianze storiche, ne è un esempio il
progetto del porto turistico a
Porto Grande, di recente approvato, che ipotizza di localizzare le funzioni previste in nuovi
volumi, senza una connessione
organica con l’esistente”. Queste le osservazioni nel Piano di
sviluppo sostenibile e questa
l’opinione di molti, tranne che
dei nostri amministratori!
Marina De Michele
31 Ottobre 2009
5
Il Porto Spero meglio chiamarlo Porto Di Stefano. L’odore degli affari è fortissimo
Di Lorenzo: “Perchè l’ex presidente Centaro non si occupa
dei futuri servizi portuali? Vigilanza, parcheggi, ristoro...”
Già lo chiamano Porto Spero dal
nome del vecchio oleificio il cui
scheletro è il più evidente simbolo del degrado di uno dei luoghi
più belli di Siracusa. Il litorale
del Porto Grande, abbandonato
all’incuria e alla sporcizia, costellato di edifici abbandonati, di
orribili capannoni industriali, anche di un tentativo di circolo nautico, rappresenta il più struggente
rimpianto dei siracusani, di chi ha
nel cuore questa città. Probabilmente non vi è, tra i cittadini o tra
i visitatori, chi non abbia pensato,
almeno una volta, a quale tesoro
la natura abbia donato ad amministratori da generazioni inetti,
a come sia stato possibile nel
tempo non riqualificare un’area
negata a tutti, espropriata alla libera pubblica fruizione e negletta. Nello studio di fattibilità per
l’attuazione del piano di sviluppo
sostenibile della città di Siracusa
si prevedeva la realizzazione di
una pista ciclabile che collegasse Ortigia con la riserva naturale
orientata dell’Anapo-Ciane anche questa impreziosita da una
strada solo per le due ruote: 34
km complessivi! Un progetto
complesso, un investimento di
750mila euro, ritenuto strategico
e da realizzare in due fasi: la prima, attuata a partire dalla disponibilità di passaggio nelle aree
in uso all’Aeronautica militare,
passando al confine interno della
spiaggia esistente, mediante un
intervento “leggero”, connotato da costi contenuti e facilità di
di MARINA DE MICHELE
rimozione; nella seconda fase un
intervento più ampio, di totale
ridisegno della fascia litoranea
dei Pantanelli con l’eliminazione
delle strutture produttive e commerciali preesistenti e la creazione di una viabilità di scorrimento
interna, atta ad alleggerire dal
traffico la fascia costiera e permetterne la riqualificazione ambientale e paesaggistica. Ma già
in questa progettazione i tecnici
da una parte evidenziavano che il
tratto di pista ciclabile alle porte
dell’area militare come nei piazzali della Capitaneria, del Molo
Sant’Antonio e della zona dei pescherecci non presentava problemi perché era possibile un’ampia
possibilità di passaggio, dall’altra la “criticità” costituita dal
progetto del porto turistico di
Caltagirone “che non prevede un
collegamento pubblico, passeggiata o pista ciclabile, a filo del
litorale”. E infatti precisavano
che, nella successiva definizione
del progetto, l’amministrazione
comunale avrebbe dovuto “concordare tale modifica progettuale
con il soggetto attuatore del porto”. Inutile dire che, per quanto
riguardava l’area Spero, si indicava solo la necessità di modificare la recinzione attuale rifacendone una che, pur garantendo gli
standard di sicurezza, avesse un
minore impatto visivo.
Favole, fantasie, da dare in pasto
ai creduloni, mentre la realtà è
data da quella misteriosa Stu, la
società di trasformazione urbana, che, ne siamo certi, continua
a definirsi nell’ombra e di cui
evidentemente il nuovo porto turistico non è che la prima evidente appariscente manifestazione.
“Porto Spero”: ma se definiamo
il Marina di Archimede come il
porto di Caltagirone, sarebbe opportuno definire questo il Porto
Di Stefano, Alvaro Di Stefano,
che, secondo quanto si dice e si
conferma da più parti, è a capo di
una cordata di imprenditori e di
notabili, locali e non, interessati a
investimenti nell’area. Nomi che
tornano, che abbiamo già sentito,
così come sono sempre le stesse
le operazioni che si propongono.
È del luglio 2008 l’improvviso
e temporaneo infiammarsi sulla
destinazione dell’area dell’aviazione in via Elorina che si diceva fosse in dismissione. Allora
il professore Roberto Fai aveva
messo in guardia da “eventuali
interessi speculativi su un’area
molto vasta, di grande pregio paesaggistico per la posizione sul
mare, e soprattutto in una zona
che, con la costruzione del nuovo porto turistico e con iniziative di trasformazione urbana già
avviate, sarà, senza alcuna ombra
di dubbio, oggetto di grande interesse da parte di imprenditori e
affaristi” e nell’eventualità di una
sua dismissione ne auspicava
“una trasformazione “civile” in
un’ottica di interesse collettivo”.
Il timore dunque è che, come
purtroppo spesso accade, l’intervento dei privati, indispensabile
per assicurare risorse altrimenti
introvabili, sia tale da fagocitare
tutto e non solo quanto costituisca il giusto ed equo profitto per
onerosi investimenti. Il rischio è
ancora una volta la privatizzazione, il muoversi di interessi che restano occulti e che non sono del
tutto leciti. Sembra essere questa
la preoccupazione di Giovanni
Di Lorenzo: “Non basta lamentare la cementificazione del mare.
Le domande devono essere a più
ampio raggio, chiarire il quadro
generale degli interessi che si
muovono all’interno dell’area
portuale, su terreni non privati
ma demaniali, dati in concessione. Il senatore Roberto Centaro,
in quanto ex presidente della
commissione antimafia, perché
non si occupa della futura gestione dei servizi portuali? Della
vigilanza, dei parcheggi, delle attività di ristoro? Perché non si affronta il tema della svendita, del
regalo degli immobili comunali?
L’odore degli affari si fa sempre
più forte come quello della spazzatura e delle fognature di questa città. Va detto anche un’altra
cosa. Le obiezioni del Genio civile opere marittime sono state in
sostanza pregiudiziali, il parere
è stato contrario per una serie di
rilievi tecnici fondamentali. Ma
anche se si dovessero superare
questi ostacoli, dov’è la partecipazione della città? Quest’amministrazione appare del tutto autoreferenziale e prona ai desiderata
dei predecessori”.
Un progetto del tutto discutibile
questo di Porto Spero per il quale
non sappiamo neanche se siano
state effettuate adeguate analisi
geognostiche e delle correnti marine. Il rischio potrebbe essere di
un interramento del porto grande
o in ogni caso di uno sconvolgimento di delicati equilibri. Quale sia l’effetto dell’intervento
umano sui litorali è facilmente
riscontrabile considerando quanto accaduto ad Avola, dove proprietari di stabilimenti balneari
vedono sfumare i propri investimenti proporzionalmente allo
scomparire della sabbia a causa
delle modifiche realizzate sulla
costa, tra l’altro lasciate incomplete, oppure, spingendoci fino
a Marina di Ragusa, constatare
come il nuovo porto turistico,
già in concorrenza con quello
che ancora non è nato nella nostra città, abbia modificato tutto
il litorale a levante formando
una spiaggia profonda laddove il
mare lambiva quasi l’abitato.
“L’avanzamento della costa dinanzi alla Marina restringerà anche gli spazi del molo pescherecci”
Ansaldi (Comitato Parchi): “Una jattura la cementificazione
dei giardini dell’Aeronautica Militare su via Elorina”
di GIUSEPPE ANSALDI*
Con la nuova previsione progettuale del secondo Porto Turistico della Spero ai Pantanelli
l’assalto al Porto Grande di Siracusa segna un altro punto a
favore della speculazione.
Dalle cronache si evince che
l’opera che andrà ad invadere e cementificare i giardini
dell’Aeronautica militare sulla
Via Elorina, che andrà probabilmente a scalfire con profondità gli ambiti delicatissimi del
Sito di Interesse Comunitario a
protezione del sistema dei fiumi Ciane Anapo e Saline, ha
già maturato ben tre conferenze
di servizi nel silenzio dell’opinione pubblica, nell’assenza
dell’opposizione e del confronto cittadino, al riparo dalle stesse voci ordinariamente dissonanti lasciate tutte volutamente
all’oscuro di quanto andava cucinandosi negli uffici comunali.
E’ chiaro che sono sempre gli
stessi interessi del mattone a
fare da apripista alle scelleratezze urbanistiche e territoriali,
è chiaro che il nuovo progetto
di Porto Turistico oltre a sovrapporsi al Porto Turistico
Marina di Archimede, addirit-
tura abbracciandone l’intero
perimetro, invade e cementifica
il mare residuo di quell’ansa di
Porto.
Stiamo assistendo all’interramento crescente delle aree
concesse alla Marina di Archimede, un avanzamento di costa
che precluderà per sempre alla
città la fruizione di quel percorso lungo i Pantanelli che da
Ortigia avrebbe potuto snodarsi
sino alla riserva Ciane e Saline,
in un eccezionale contesto che
è oggi in corso di irreversibile
privatizzazione.
Ora alla devastazione in corso
della Marina di Archimede si
aggiungerà anche quella della
Società SPERO, che sembra
avere acquisito in questa progettazione tutte le residue aree
a verde dell’Aeronautica Militare, che avanzerà il profilo costiero interrando quella porzione di Porto sino ad oggi, pur in
degrado, libera da costruzioni
invasive e peraltro contraddittoriamente oggetto delle previsioni “dolci” del programma
del water front.
Sarebbe bastata una manutenzione costiera compatibile con
i valori paesaggistici del sito
per restituire alla città quella
porzione di arenile sino alla Riserva del Ciane; la pista ciclabile di recente realizzazione ne è
una prova manifesta.
Con questa ulteriore proposta
inoltre si mortificano oltre che
gli interessi collettivi anche
quelli della marineria peschereccia; sembra infatti, dalla
rappresentazione grafica, che
il nuovo porto turistico andrà
a prevedere nella parte prospiciente la Marina di Archimede
un avanzamento di costa che
impedirà al costruendo nuovo
molo pescherecci, promesso
da Acqua Marcia, di riceversi
le imbarcazioni per il restringi-
mento radicale dello specchio
d’acqua antistante il progettato
molo, con compromissione di
ogni ragionevole spazio di manovra.
Il Comitato Parchi, in attesa di
migliori approfondimenti, invita il Sindaco e la Capitaneria
di Porto a porre una moratoria
all’iter autorizzativo del nuovo
progetto. Invita le amministrazioni interessate a dare corso
a nuove conferenze di servizio
che consentano una rappresentanza di tutti gli interessi coinvolti, impedendo che nel silenzio vengano consumate scelte
di gravissimo impatto ambientale ed economico per tutta la
cittadinanza e al servizio degli
interessi speculativi più irresponsabili.
Il Comitato Parchi osserva
con crescente preoccupazione
le aggressioni che la città sta
subendo, da Epipoli con la inquietante vicenda della Open
Land, a Tremilia invasa ormai
da edificazione selvaggia priva di qualità, alle iniziative di
invasione costiera al Plemmirio e a Terrauzza, alla deregulation pervasiva delle iniziative in Centro Storico.
Invita le istituzioni chiamate al governo del Territorio
ed alla tutela ambientale ad
adottare quei provvedimenti
di assoluta garanzia per i patrimoni collettivi, che sino ad
oggi hanno stentato ad essere
emessi.
Impegna la Soprintendenza ad
esercitare ogni potere di controllo e di rigore per impedire
l’ulteriore scempio, a dare un
stop alle iniziative edificatorie
in aree sottoposte a vincolo, e
già sature.
Si torni al progetto di corridoio ciclabile da Ortigia sino
alla Riserva Ciane ed al Faro
Carrozzieri, restituendo così a
quell’ansa del porto naturale la
sua eccezionale e naturale destinazione, di fruizione collettiva e di esaltazione dei valori
naturalistici ambientali ed urbanistici della città.
* Comitato Parchi
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31 Ottobre 2009
Salvatore Lantieri e Anna Floridia (Uil): “Siamo al 60% di contratti precari”
“Con 90mila disoccupati dovrebbe esserci una guerra civile
Non accade perché il lavoro c’è ma nelle forme meno regolari”
di MARINA DE MICHELE
Nel settore servizi (turismo
commercio terziario) come nel
comparto edile e metalmeccanico la percentuale del lavoro
cosiddetto atipico, precario,
rispetto ai contratti a tempo
indeterminato, ha raggiunto,
nella provincia di Siracusa,
quota sessanta. Tutto sotto
l’egida della flessibilità quindi, e a goderne i benefici sono
soprattutto le aziende che, dal
ricorso perlopiù fuori controllo
alla vasta tipologia dei contratti
a termine, realizzano risparmi
consistenti. Per il lavoratore
invece, più che la possibilità di
accedere con maggiore facilità
al mondo del lavoro, un futuro
di instabilità e precarietà.
E ad aggravare il quadro una
flessione sempre più marcata
delle stesse “missioni di lavoro”: il 30% in meno come
denuncia Salvatore Lantieri,
responsabile provinciale della
UIL.
“La crisi occupazionale coinvolge ormai anche le nuove
forme di lavoro che, se negli
ultimi anni hanno comunque
rappresentato, per certi versi,
un’espansione occupazionale
offrendo occasioni di impiego,
e quindi di reddito, per centi-
naia di migliaia di nuovi lavoratori, giovani diplomati, laureati e qualificati, oggi hanno
determinato una deregulation
del mercato del lavoro. Si può
dire senza tema di smentite che
ormai nessuno più procede con
vere assunzioni”.
“Il terziario rappresenta forse
l’anello più debole in questo
contesto - evidenzia Anna Floridia, segretaria provinciale
della UILTuCS – La molteplicità delle aziende, spesso
piccole, che lo caratterizzano,
diventa elemento di frantumazione e di debolezza dello stesso movimento sindacale perché
il dipendente è più facilmente
oggetto del mancato riconoscimento dei propri diritti e non
può fare molto per reagire perché rischierebbe di perdere il
posto. Nei grandi stabilimenti
industriali i molti iscritti al sindacato costituiscono una forza
che ha peso nelle trattative e
negli accordi tra le parti, nel
nostro comparto invece sono
tantissimi quelli che elemosinano un qualsiasi impiego
per un qualsiasi salario”. Quasi
impossibile, secondo Floridia,
esercitare un efficace controllo
sulla legittimità dei contratti a
termine, compito che spetterebbe alla guardia di finanza
come all’ispettorato del lavoro.
La presenza di “leggi e leggine” complica il quadro normativo e offre spesso l’occasione
per comode scappatoie, danno
una parvenza di regolarità a ciò
che è invece illegale. È soprattutto la grande distribuzione ad
accedere a piene mani agli strumenti della flessibilità: apprendistato, interinale, contratti di
inserimento e ancora altro. Si
ricorre al lavoro interinale non
solo per sostituire personale
assente per brevi periodi, come
accade spesso nel settore della
ristorazione, o allorquando si
verifichi un’eccedenza di lavoro (altra natura hanno i contratti stagionali), ma anche per
effettuare straordinari, come
accade quando occorre predisporre gli inventari della merce. Se il contratto di apprendistato è fasullo perché non si
accenna nemmeno a un percorso di formazione, il lavoratore
interinale, oggi presente anche
nella pubblica amministrazione, viene utilizzato per mansioni sempre diverse, rinunciando
così al mito della qualità, cioè
della professionalità, o lo si fa
transitare, quando possibile, da
una società all’altra dello stesso gruppo imprenditoriale. Un
metodo invalso nelle strutture
di ristoro è assumere tutti al
livello più basso, quello per le
pulizie, e poi assegnare mansioni diverse: da banconista,
cameriere ai tavoli ecc., mentre
nel turistico si esternalizzano
i servizi in modo che sia più
semplice assumere licenziare e
poi riassumere.
L’insicurezza del posto di lavoro rende il lavoratore più
facilmente sfruttabile anche
perché si coltiva in lui la speranza di poter raggiungere prima o poi, riuscendo gradito al
datore di lavoro, un contratto a
tempo indeterminato. E così gli
si chiede di dare oltre il massimo possibile. Sul momento
si accetta tutto tacitamente,
spesso non sapendo neanche
con esattezza con quale tipo
di contratto si sia stati assunti
dal momento che, con la “comunicazione telematica”, tutti i
passaggi vengono espletati direttamente dallo stesso datore
di lavoro, in genere poco o per
nulla disponibile a chiarire poi
il rapporto contrattuale, né il
lavoratore osa insistere proprio
per non mettersi in cattiva luce
e rischiare di ritrovarsi senza
un mensile. Le vertenze di lavoro si aprono solo dopo che
è subentrato il licenziamento
o non è stato rinnovato il contratto. Per la Uil il trend medio
di cause di lavoro si muove intorno alle 60-70 all’anno, sicuramente meno di quante siano
quelle della più potente Cgil.
E se fino a un paio di anni fa la
sezione lavoro del foro siracusano era abbastanza efficiente
(in genere due anni per ottenere una sentenza) per la presenza di quattro magistrati, oggi,
con l’organico ridotto a solo
due unità, le previsioni di veder riconosciuti in tempi brevi i
propri diritti sono sconfortanti.
A rallentare inutilmente i tempi
interviene anche il passaggio
attraverso il tentativo obbligatorio di conciliazione, perlopiù improduttivo: un’ulteriore
perdita di tempo di almeno 60
giorni.
“Le agenzie di lavoro – aggiunge Lantieri – che tra l’altro
sarebbero tenute a versare una
sorta di fideiussione, 600mila
euro, per garantire eventuali
problemi per i lavoratori, dovrebbero in realtà procedere a
regolari assunzioni, fare attività di formazione e poi facilitare
l’incontro tra domanda e offerta. Ma nella pratica reale hanno
ormai assunto la funzione di
LETTERE AL DIRETTORE
foto di Tiziana Blanco
Gli auguri di Aldo Formosa
Caro Franco, ho letto stamattina il primo numero de
“La Civetta” e in particolare il tuo editoriale. Conoscendoti, da te non potevo aspettarmi di meno. Abbiti i miei
sinceri complimenti, e da cittadino faccio voti che questa tua iniziativa abbia una vita lunga e proficua di successi: nell’interesse della Polis! Ti prego di estendere le
mie felicitazioni ai tuoi soci, alcuni dei quali conosco,
e ai tuoi collaboratori. Un fraterno abbraccio. Con la
stima di sempre,
Aldo Formosa
La lettera è datata 3 ottobre. L’abbiamo ricevuta con
molto ritardo poiché in busta non era citata né l’associazione né la testata del giornale. Ringraziamo il collega
e prestigioso regista siracusano per l’attestazione di stima. Per il successo del giornale ce la metteremo tutta.
Il direttore
una partita di giro del lavoratore e se ne fa un uso strumentale per l’abbattimento del costo
del lavoro, lavoro che viene
visto solo in funzione del costo
stesso e non della sua finalizzazione. I tanti strumenti della
flessibilità dovrebbero essere
usati dalle imprese per migliorare il livello del proprio target
mentre sono utilizzati solo ed
esclusivamente in una logica
di risparmio. Sono ormai tutti
i comparti ad essere dominati
dalla precarietà. Tra gli edili,
se da una parte si va esaurendo il filone dei contratti di apprendistato (esaurito il tempo
previsto dalla legge per l’abbattimento del costo del lavoro
non si può riproporre se non
con l’assunzione a tempo indeterminato), dall’altra aumenta
il ricorso al tempo determinato
che non dovrebbe superare il
25% della forza lavoro a tempo indeterminato ma che, nel
caso di alcune ditte - la Solesi
è una di queste –, sfiora il 50%.
Sono anche sempre più presenti i contratti part-time, anch’essi ammessi, teoricamente, con
una quota del 3% rispetto alla
forza lavoro a tempo indeterminato. Si tratta in effetti di
una tipologia che ha un solo
obiettivo: fare in modo che,
grazie alla flessibilità degli
orari di lavoro, nell’eventualità di un’ispezione degli organismi preposti, il lavoratore
risulti formalmente in regola.
In poche parole diventa quasi impossibile verificare quali
siano le effettive ore di prestazione. Stessa situazione anche
tra i metalmeccanici. Con una
novità: la ditta Sinaservice attraverso la società Manpower
utilizza il personale interinale,
come la Sai8”.
Quali le valutazioni per Lantieri? “Emerge un dato inoppugnabile: le varie forme di flessibilità introdotte dalla legge
30 e dal relativo decreto sono
utilizzate dalle imprese esclusivamente per l’abbattimento
del costo del lavoro e comportano un restringimento oramai
soffocante dei diritti dei lavoratori. Ma non basta condannare la legge e attendere che si
modifichi. Diventa urgente una
risposta del sindacato siracusano al fine di tutelare da subito i
lavoratori.
Lo strumento per un’immediata risposta è stato ampiamente
collaudato nel settore degli edili con l’introduzione del DURC
(Documento Unificato Regolarità Contributiva) che, come ha
evidenziato Severina Corallo,
segretaria della Feneal-UIL,
ha permesso un’emersione del
lavoro nero che ha superato
ogni aspettativa. Occorre ora
migliorare questo strumento
con l’inserimento della congruità che consiste nel mettere
a confronto, per una verifica, la
compatibilità dell’opera realizzata con il numero di persone
impiegate, i costi della sicurezza, i versamenti dei contributi e il margine di profitto
dell’impresa. Un’esperienza
da allargare a tutti i settori e
così, su dati certi, capire come
un grande albergo possa dare
servizi se dispone di un numero esiguo di persone, come
un pubblico esercizio e così le
grandi aziende di distribuzione
(Auchan, Carrefour) funzionino senza lavoratori a tempo
indeterminato, o ancora come
un’impresa metalmeccanica riesca ad aggiudicarsi un appalto
offrendo forti ribassi. E proprio
sugli appalti il sindacato deve
sottoscrivere un protocollo con
la Prefettura grazie al quale,
prima della consegna dei lavori, la Committente sia tenuta a
convocare le organizzazioni
sindacali dei lavoratori interessati e informi della congruità
dei relativi costi.
A fronte di 90mila disoccupati in una provincia di 400mila
abitanti, dovremmo assistere a
una guerra civile; se ciò non
accade significa che il lavoro
c’è ma nelle forme meno regolari.
Non voglio scendere in piazza
per morti e infortuni a causa
della mancata sicurezza, credo piuttosto che il sindacato,
unitariamente, debba valorizzare uno strumento collaudato nella categorie degli edili
per imporlo come metodo per
combattere l’illegalità. Ci saranno mille motivi contro tale
proposta ed allora manifestare, scioperare, per prevenire
le illegalità servirà anche alle
tante aziende sane e rispettose dei diritti dei lavoratori che
dovrebbero scendere a fianco
del sindacato”.
31 Ottobre 2009
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Vitale (Centro per l’Impiego): “Ad Augusta non c’è collaborazione e non capiamo perché”
Lavoro interinale. La Manpower: “I profili che arrivano
dal CPI non spiccano per grandi doti professionali”
di ALESSANDRA PRIVITERA
Flessibilità e dinamicità: sono
queste le parole-chiave richieste oggi dal mercato del lavoro. E sono esplicite in questo
senso le disposizioni della
“Legge Biagi” (L. 14 febbraio 2003 n.30), concepita per
realizzare un sistema efficace
di inserimento professionale dei disoccupati, di quanti
sono in cerca di una prima occupazione, delle fasce deboli
del mercato del lavoro. Sulla
base degli orientamenti comunitari per la promozione di
qualità e stabilità del lavoro,
il mercato del lavoro italiano,
perciò, viene profondamente
riformato attraverso contratti a contenuto formativo e
contratti a orario modulato,
compatibili con le esigenze
delle aziende e le aspirazioni
dei lavoratori; con l’ulteriore
scopo di agevolare l’incontro
tra chi cerca personale e chi
cerca occupazione, la legge
Biagi crea anche una rete integrata ed informatizzata di
sevizi pubblici e privati di
intermediazione tra datori di
lavoro e lavoratori.
I principali intermediari tra
lavoratori e datori restano
ancora, nel nostro territorio,
i Centri per l’Impiego (ex uffici di collocamento) ai quali si affiancano le agenzie di
somministrazione di lavoro a
termine: nei confronti di entrambi gli enti, però, la sfiducia dei lavoratori disoccupati
è grande in questo momento
di crisi.
«Ho 35 anni, un diploma di
geometra – afferma Concetto
Mendola, disoccupato – e ho
lavorato per sette anni come
impiegato in una agenzia marittima, come operaio generico e aiuto magazziniere negli
stabilimenti industriali. Mi
sono rivolto a diverse agenzie
di somministrazione di lavoro
(Manpower, Adecco, Metis,
Just on business) perché non
avevo riscontri dal CPI, ma
anche queste – a parte la compilazione di moduli e l’invio
di mail settimanali con l’invito a partecipare a corsi professionali – non mi hanno offerto nulla».
Concetto non è il solo a pensarla in questi termini, perciò
abbiamo parlato di questo
momento di scoramento che
accomuna molti lavoratori siracusani con il dott. Maurizio
Laganà, direttore della Manpower di Siracusa (agenzia
che si occupa di somministrazione di lavoro a termine), e
con il dott. Mario Vitale, direttore del Centro per l’impiego di Augusta.
«Sarò troppo diretto – afferma
Laganà – ma è il caso di chiarire che le apl (agenzie per il
lavoro, ndr) non sono CPI,
o, meglio, non hanno le stesse finalità. Manpower deve
necessariamente tener conto
durante una selezione di esigenze specifiche del cliente
e di determinati requisiti che
non tutti coloro che entrano
in agenzia per candidarsi possiedono. Al fine di rendere
più veloce il nostro servizio
pubblichiamo periodicamente
nel CPI di Siracusa le nostre
offerte: sinceramente, però, i
profili che da lì arrivano non
spiccano per grandi doti».
Nel basso livello dei profili professionali prodotti dai
CPI, dunque, sembra trovarsi
l’implicita risposta all’interrogativo che sulla assenza di
comunicazione tra il CPI di
Augusta e le apl solleva Vitale: «Il CPI di Augusta non ha
alcun rapporto con le agenzie
di lavoro interinale che insistono sul territorio di Siracusa
e non capiamo il perché: avevamo tentato, in passato, di
instaurarlo; avevamo chiesto
di farci avere le loro proposte
di lavoro e il loro materiale per pubblicizzarli ma non
abbiamo mai avuto risposta.
Dopo quel momento, non abbiamo più cercato contatti».
È spontaneo, allora, chiedere
– sulla base della selezione
che Manpower opera sui curriculum presentati – quanto
incida l’occupazione offerta
dalla Manpower sul dato disoccupazionale siracusano.
«La somministrazione di lavoro offerta dalle Agenzie –
risponde Laganà – incide in
Italia per il solo 4%. È così
anche nel siracusano: in filiale (in via Antioco, traversa di
Corso Gelone) entrano circa
30 candidati al giorno. I nuovi
inserimenti presso le aziende
sono circa 25 al mese: però,
sebbene Manpower operi sul
mercato aretuseo da circa
3 anni, in questo territorio
si predilige ancora la conoscenza personale. Che poi
quest’ultimo metodo dia dei
risultati in termini di produttività all’azienda non ne sono
certo».
E su questo punto anche Vitale sembra essere d’accordo,
ma con un appunto: «Le assunzioni tramite agenzie di
somministrazione del lavoro
sono praticamente assenti,
nel semestre gennaio/giugno
2009, per i lavoratori disoccupati della circoscrizione di
Augusta-Melilli-Priolo, come
per quella di Noto e di Lentini. D’altra parte poco si è
mosso anche per i lavoratori
disoccupati della circoscrizione di Siracusa: sono in
media un centinaio al mese
quelli che, nel primo semestre
del 2009, hanno lavorato con
assunzione tramite agenzie di
somministrazione del lavoro.
Resta il fatto che, per il lavoratore, qualsiasi tipo di contatto con il mercato del lavoro
può e deve essere sfruttato: il
70% degli occupati in Italia,
infatti, lavora in imprese con
meno di 100 dipendenti, la
maggior parte delle quali non
prevede investimenti nella selezione del personale ma alle
quali le grandi aziende commissionano la produzione.
Oltre ai più noti annunci in tv
Mario Vitale, direttore del Centro
per l’impiego di Augusta:
“Le assunzioni tramite agenzie di somministrazione del lavoro sono praticamente
assenti, nel semestre gennaio/giugno 2009,
per i lavoratori disoccupati della circoscrizione di Augusta-Melilli-Priolo, come per quella
di Noto e di Lentini. D’altra parte poco
si è mosso anche per i lavoratori disoccupati
della circoscrizione di Siracusa: sono
in media un centinaio al mese quelli che,
nel primo semestre del 2009, hanno lavorato
con assunzione tramite agenzie
di somministrazione del lavoro”
e sui giornali, e i più tradizionali CPI e rete di conoscenze
personali, perciò, vanno presi in considerazione i Centri
Servizi, i siti internet (per la
ricerca di aziende e di offerte
di lavoro) e le agenzie per il
lavoro».
Nonostante dai dati emerga
come l’occupazione offerta
dalle agenzie di lavoro interinale sul dato disoccupazionale siracusano influisca in
modo poco irrilevante, Laganà tiene a precisare: «L’introduzione delle agenzie per
il lavoro ha fatto emergere,
specie nella nostra realtà territoriale, il lavoro sommerso, dando così una spinta di
“legalità” in settori specifici,
come la ristorazione ed il settore alberghiero. Il candidato
deve pensare all’agenzia per
il lavoro come a un ulteriore
strumento per l’inserimento
o il reinserimento nel mercato del lavoro, mentre risulta
vantaggioso per i datori di
lavoro avvalersi di professionisti, come è Manpower, nel
settore delle risorse umane a
360 gradi. Alla Manpower si
rivolgono, infatti, aziende del
settore della metalmeccanica
e l’indotto del petrolchimico
che richiedono operai specializzati, e ingegneri. Ma
lavoriamo anche con aziende
della gdo, della ristorazione e
dei servizi e, in questi settori,
i maggiori inserimenti riguardano maitre, cuochi e pasticceri professionisti. Ricerchiamo non di rado anche figure
di responsabilità nel settore
organizzazione e finanziario».
Ma il servizio offerto dalle
agenzie di lavoro temporaneo costa al datore di lavoro,
che ad esse si rivolge, circa il 20-30% dello stipendio
del dipendente per ogni mese
di contratto: e in questo periodo di crisi, comune anche
alle piccole e medie imprese,
sembra davvero un non senso.
O no?
A rispondere è Vitale: «Il da-
tore che si rivolge alle agenzie usufruisce di una serie
di vantaggi non trascurabili:
oltre alla selezione a carico
dell’agenzia e alla velocità
nel reperimento dei candidati, ad allettarlo sono le minime incombenze burocratiche.
Spetta, infatti, alla società per
il lavoro pagare il lavoratore (lo stipendio segue quello
dei dipendenti effettivi nelle
medesime mansioni) e occuparsi di tutta la parte amministrativa e gestionale (malattie, ferie, permessi). Questo
basta a giustificare le spese
dell’agenzia per il lavoro».
Nonostante la crisi?
«Dai dati in nostro possesso
(compresi tra il 31 dicembre
2008 e il 30 giugno 2009) –
continua Vitale – la crisi economica vissuta dall’Italia non
ha inciso particolarmente sulla disoccupazione del territorio di Augusta, Melilli, Priolo
(che è rimasta praticamente
invariata) per il fatto che esso
vive ancora delle risorse offerte dal petrolchimico (e il
prezzo del petrolio, nel semestre di riferimento, non ha più
subito variazioni sostanziali):
ciò spiega la liquidità del polo
petrolchimico e dell’indotto».
8
31 Ottobre 2009
Trend positivo per il turismo a Noto, ad
Si tratta di vecchi e controversi progetti cartacei che faticano a concretizzarsi
Negli stati generali dell’economia previsti
per Avola alcune opere ma è un libro di sogni
Rimini e Riccione, Costa Azzurra e Costa del Sol,
Avola e Noto. L’accostamento vi suona strano? Eppure, il lungomare di Avola e le spiagge dorate di
Lido di Noto non hanno nulla da invidiare, quanto
a bellezza innata, alle altre rinomate località, alle altre mete turistiche conosciute e apprezzate in tutto
il mondo. E vi è di più. Noto possiede un ulteriore
valore aggiunto nelle sue bellezze architettoniche:
il “giardino di pietra” – così è stato definito – è un
teatro a cielo aperto con piazze scenografiche e imponenti scalinate.
E, ancora, possiamo tacere della riserva naturale di
Vendicari o dei suggestivi laghetti di Cavagrande?
Certamente, le infinite attrattive che offre il nostro
territorio non deluderebbero i turisti che, chissà, l’an-
no successivo, potrebbero prediligere la costa siciliana a Saint-Tropez. Purtroppo, nonostante le nostre
incommensurabili risorse, il turismo stenta a decollare e Avola e Noto, rispettivamente segnalate dal Touring club e dall’Unesco in quanto punti di interesse e
patrimonio dell’umanità, non hanno ancora ottenuto
un adeguato prestigio internazionale.
Per quanto concerne la situazione avolese, in più, i
problemi del turismo si intrecciano con quelli economici. Recentemente è stata indetta una riunione
dal nome altisonante, la riunione degli stati generali
dell’economia, e in questo incontro è stato sollecitato
il completamento del centro agro-alimentare, vetusto
progetto mai portato a termine, del porto di Avola,
opera che ha attraversato varie vicissitudini di tipo
giudiziario, e della riqualificazione urbana del lungomare avolese.
Il centro agro-alimentare dovrebbe diventare un centro di raccolta e smistamento dei prodotti agricoli
tipici della zona favorendone, così, la diffusione; il
progetto del porto turistico, invece, si inserisce in una
strategia di sviluppo della nautica da diporto in Sicilia approvata tre anni fa: lo sbocco sul mare consentirebbe ai turisti di accedere facilmente a Vendicari,
Cavagrande, ai musei e ai siti archeologici della zona.
Tutte le iniziative, dunque, sono finalizzate al rilancio del turismo e dell’economia ma, allo stato, si tratta di meri progetti cartacei che, purtroppo, nonostante i buoni propositi delle amministrazioni comunali,
faticano a concretizzarsi.
“Speriamo nei fondi Fas per tre progetti per un importo complessivo di 10 milioni”
L’ass. Morale (LL.PP.): “Abbiamo in progetto
il collegamento Zuccara e Calabernardo”
L’assessore ai lavori pubblici di Avola, Corrado Morale,
ha chiarito ulteriori aspetti degli argomenti chiave presi
in considerazione durante la conferenza degli stati generali dell’economia.
“Per quanto riguarda il centro agro-industriale stiamo
modulando di nuovo i finanziamenti in modo da renderli
adeguati poiché le somme stanziate attualmente sarebbero sufficienti solo a costruire l’infrastruttura, mentre
sono necessari altri fondi per rendere ben funzionante
questo centro; peraltro, abbiamo intenzione, forse, di
fare gestire quest’opera a dei privati. Al tavolo degli stati
generali dell’economia questo progetto del centro agroalimentare ha avuto una rilevanza particolare; Avola si
trova in una posizione strategica e il centro potrebbe servire, addirittura, l’intero comprensorio della zona sud.
Sarà poi il mercato a decidere, quando il centro sarà in
funzione, il tipo di lavorazioni che verranno realizzate e
il tipo di prodotti che saranno commercializzati.
“Abbiamo, inoltre, un progetto ambizioso per il lungomare avolese: pensiamo di collegare, tramite questa litoranea, la contrada Zuccara con la contrada Calabernardo
di Noto. Nel luglio di quest’anno abbiamo presentato ai
lavori pubblici tre progetti, due di 4 milioni di euro e
uno di 2 milioni di euro. Riguardano la riqualificazione del tratto viario nonché la costruzione di un anfiteatro, del quale ho già il progetto pronto, che sorgerà in
una zona turistica; infine, la terza somma servirà per il
lungomare che va dalla strada statale 115 fino alla zona
della tonnara: rifaremo il tratto di marciapiede lungo tale
litoranea. Il progetto è ambizioso e cospicuo, speriamo
che rientri nell’assegnazione dei finanziamenti regionali; l’abbiamo presentato ai piani strategici, al piano
territoriale provinciale e alla conferenza degli stati generali dell’economia e, in tal modo, speriamo di avere
un punteggio elevato così da ottenere i fondi Fas (fondi
per le aree sottoutilizzate) provenienti dalle Comunità
europee.
“La regione ci aveva chiesto, a luglio, di presentare dei
progetti, appunto per ottenere i sussidi; oltre a quelli che
ho già menzionato, abbiamo anche proposto di riqualificare il centro storico di Avola e migliorare la viabilità,
poiché finora abbiamo valorizzato solo le strade principali, il corso Garibaldi e il corso Vittorio Emanuele.
Riqualificheremo anche il museo di Avola e il cinema
Cappello, ma, per questo, saranno necessari ulteriori
fondi perché quelli stanziati finora non bastano.
“Infine, la nota dolente del porto turistico. Questa amministrazione ha dichiarato diverse volte che il progetto
che era stato scelto dalla precedente amministrazione,
quello di cento milioni di euro presentato dalla società
K s.r.l., non può essere portato avanti perché la società
in questione non è proprietaria dell’area in cui dovrebbe
sorgere l’opera né è stata prevista la possibilità di espropriare i terreni ai privati; dunque, se tale società presentasse un progetto che preveda la costruzione di opere
nel solo demanio pubblico, tale progetto potrebbe essere
espletato, ma, allo stato, il loro piano non è fattibile.
“Dovremo convocare, quindi, di nuovo, la conferenza
dei servizi che dovrà annullare la scelta precedente di
approvazione del progetto della K s.r.l..
“Nel frattempo, è stato presentato un altro progetto che
concerne un porticciolo nella zona della Zuccara e, in
merito, è stata già indetta una conferenza dei servizi;
insomma, o va avanti il primo progetto o quest’ultimo:
l’importante è che qualcosa si faccia. In ogni caso, qualsiasi società che si impegni nella costruzione del porto
dovrà prima effettuare uno studio delle correnti finalizzato ad assicurare che tale infrastruttura non arrechi eccessivi danni alle grandi spiagge di Avola”.
“Nel luglio di que
presentato ai lavori
riguardanti Avola, du
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di MONICA LANAIA
Avola si attendono soldi dalla Regione
est’anno abbiamo
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euro. Sono rivolti alla
atto viario nonché alla
anfiteatro, del quale
nto, che sorgerà in una
la terza somma servirà
va dalla strada statale
na della tonnara:
o di marciapiede
litoranea”
Corrado Valvo soddisfatto del trend positivo di turisti anche in periodo di crisi
Il sindaco di Noto: “Non vogliamo diventare
la Rimini del sud cerchiamo un turismo
culturale e naturalistico senza discoteche”
Il sindaco di Noto, Corrado Valvo, illustra il rilancio
turistico della città. “Il turismo di Noto è particolare:
vogliamo che diventi un turismo totalmente culturale
e naturalistico, nel senso che - enuncia il sindaco fermamente - non vogliamo trasformare la nostra città in
una seconda Rimini, ci interessa puntare sulla qualità
piuttosto che sulla quantità”. E prosegue: “Nel periodo
estivo abbiamo una rilevante affluenza turistica, la città
piuttosto che svuotarsi si riempie di gente e, molte volte,
stentiamo nei servizi. In ogni caso non intendiamo puntare sui turisti “mordi e fuggi” che visitano per un giorno la città e vanno via: ci interessa investire sul turismo
straniero, prolungato e stabile in tutti i periodi dell’anno.
Abbiamo avuto un trend positivo anche in periodi di crisi: le nostre strutture ricettive, B&B e ristoranti, hanno
aumentato la loro capacità di accoglienza, non abbiamo
registrato chiusure di locali e, anzi, ne sono stati aperti
di nuovi”.
Il sindaco ci spiega che, a differenza di quanto avviene nella zona ragusana, l’amministrazione comunale
ha scelto di limitare la presenza di discoteche e locali
nelle spiagge; così il richiamo culturale e architettonico
di Noto è più forte di quello delle vicine località marine, quindi c’è una maggiore densità turistica in città
piuttosto che nel litorale. Valvo prosegue: “Esistono
svariate iniziative che contribuiscono a promuovere il
turismo netino: l’infiorata innanzitutto, l’evento sovrano
del nostro comune. Inoltre quest’anno abbiamo aperto al
turismo il palazzo Nicolaci, l’ex convento dei gesuiti e
la caserma di Cassonello all’interno dei quali si esporrà
l’arte contemporanea netina; vi sono già degli incontri
letterari nell’ambito di fondazioni teatrali, e ancora, a
breve, un festival della cultura per ragazzi patrocinato
dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dall’Unesco, “Volalibro”; infine il “Convivio barocco”, un evento che promuove i prodotti agricoli del nostro territorio”.
“Il limite di questa amministrazione è che non sa programmare gli eventi”
Bianca (PD): “Senza piano particolareggiato
del centro sono soltanto pie intenzioni”
Circa la situazione del turismo netino, pensieri diversi
ha espresso Corrado Bianca, consigliere comunale ed
esponente dell’opposizione. “Mi dispiace che molto
spesso mi trovi in contrasto con il sindaco: abbiamo
dei modelli culturali e delle idee di sviluppo differenti.
Il sindaco a volte si “suggestiona” nell’affermare che
Noto è diventato un centro politico e turistico importante nella provincia, mentre io non ritengo che questo sia
ancora avvenuto.
“Parlare del turismo come strumento del miglioramento
di Noto è una frase che suona vuota se non la si riempie
di contenuti; e la stessa circostanza che la nostra città
sia patrimonio dell’Unesco può non significare nulla
senza dei progetti chiari e credibili per la sua riqualificazione. Indubbiamente le potenzialità del territorio,
sia da un punto di vista culturale e architettonico che
paesaggistico, sono enormi; e non mi riferisco solo alla
zona marina, ma anche a quella collinare che, fino ad
oggi, non è stata adeguatamente valorizzata e tutelata
da un punto di vista ambientale”. Bianca continua: “Nonostante l’esperienza di Vendicari, è palese, da tempo,
che vi è stato un abuso dei venti chilometri della nostra
costa, è mancata una razionalizzazione del litorale né
sono stati predisposti dei servizi appropriati; problemi
grossissimi, ad esempio, presenta la viabilità di Lido di
Noto e i primi a soffrire di questa situazione sono gli
operatori turistici.
“Allora, come si fa a parlare di sviluppo del turismo
se, prima, non si creano le condizioni affinché i servizi
siano efficienti? Come si fa a parlare di turismo marittimo se si crea un’antropizzazione selvaggia della costa
a fronte di un’inesistenza di opere adeguate, quali la
rete fognaria, la rete idrica, la rete stradale, i parcheggi? Inoltre, mancano le attrazioni”, sottolinea con enfasi
Bianca. “Non possiamo pensare che la gente si rechi a
Lido di Noto solo perché vi è un bel mare: sono necessari dei diversivi, dei divertimenti, per attirare i turisti.
E, a tal proposito, data l’ampiezza del territorio di Noto,
potremmo creare eventi e attrazioni in tutta l’area netina, sia nella zona collinare che nella zona marittima
che nella città; anche perché l’aumento del perimetro
urbano mal si coniuga con la densità della nostra popolazione che rimane costante: il risultato è che, oggi, la
città appare sempre più vuota.
“E del nostro centro storico, cosa ne vogliamo fare?
Potrebbe, anch’esso, diventare un mezzo per il rilan-
cio del turismo, potrebbe essere utilizzato per inserire
delle strutture alberghiere e dei ristoranti o per valorizzare l’artigianato locale. Senza, però, uno studio particolareggiato che miri alla riqualificazione dell’area
del centro storico, le parole diventano solo ottime e pie
intenzioni senza seguito.
“Alcune delle nostre strutture alberghiere sono state e
sono a rischio di chiusura; pur non avendo colpa di questa crisi l’amministrazione comunale, sarebbero auspicabili delle politiche di coordinamento e di promozione
delle attività turistiche. Si dovrebbe variegare l’offerta
e potenziare il turismo sportivo, quello congressuale,
quello religioso e, soprattutto, promuovere e pubblicizzare attività, eventi e iniziative anche oltre i confini del
territorio netino.
“Purtroppo il limite di questa amministrazione è che, a
causa di problematiche di natura politica, non riesce a
programmare in tempo utile eventi e progetti; è capitato
che il bilancio di previsione annuale venisse approvato
a fine giugno e, anche adesso, a ottobre non si sa ancora
quali iniziative verranno realizzate a Natale: vi sono
ingenti ritardi nelle decisioni delle risorse economiche
da spendere per la nostra città”.
“Sul centro agroalimentare la matassa si è sbrogliata e i soldi vanno in bilancio
Nino Amato (Udeur): “Per il porto turistico
attendiamo l’esito delle indagini”
Antonino Amato, consigliere comunale dell’amministrazione avolese, ci illustra i punti salienti della situazione del centro litoraneo dalla caratteristica forma esagonale, Avola.
“Per quanto riguarda il porto turistico, tempo fa vi era
stata in merito una conferenza dei servizi; fra due progetti che erano stati presentati, quello della F.N. progettazioni e quello dell’associazione temporanea di imprese di Roma K s.r.l., era stato privilegiato quest’ultimo. Si
trattava di un progetto colossale di cento milioni di euro
comprendente opere che sarebbero sorte sia a terra che
a mare; il progetto della F.N., invece, era più modesto e
includeva solo la costruzione del porto e di qualche altra infrastruttura adiacente. In seguito sono state avviate
delle indagini da parte della guardia di finanza e dell’au-
torità giudiziaria per fare luce sui criteri di assegnazione
delle opere pubbliche da parte della amministrazione
comunale; peraltro, le imprese siracusane che hanno
visto bocciato il loro progetto hanno presentato ricorso
contestando che il bando prevedeva un costo ipotetico
di venti milioni di euro, una cifra molto minore rispetto
al dispendio che si sarebbe avuto approvando il progetto
della K s.r.l.. Al contempo è cambiata l’amministrazione comunale. Ora - prosegue Amato - attendiamo l’esito delle indagini e il progetto è in stato di valutazione.
Recentemente un altro privato, Marino, ha presentato
un nuovo piano per la costruzione del porto in un’altra
zona, vicina comunque a quella finora ipotizzata”.
“L’idea del centro agro-alimentare era nata nel 1993;
all’epoca erano stati stanziati 42 miliardi delle vecchie
lire. La società che doveva occuparsi della costruzione
del centro è fallita e, anche in questo caso, vi è stato un
lungo contenzioso. Attualmente pare che la matassa si
sia sbrogliata e i fondi che non erano stati spesi sedici
anni fa dovrebbero essere inseriti nel bilancio del comune di Avola, in modo da ultimare la costruzione del
centro.
“Infine, per quanto concerne la riqualificazione del litorale e della contrada Zuccara, questa amministrazione
ha presentato diversi ottimi progetti che attendono di
essere finanziati dalla regione. Il bando regionale è scaduto a luglio: siamo, dunque, in attesa della graduatoria
per sapere se la regione sceglierà di assegnarci i sussidi.
Ma, in proposito, siamo fiduciosi poiché i progetti che
abbiamo presentato sono molto validi”.
10
31 Ottobre 2009
“Chi lo acquista deve sapere che ci sono precisi vincoli ambientali e divieti”
Francesco Rizza (Wwf Sicilia): “Chiederemo alla Regione
al Comune di Pachino e alla Provincia di salvare il pantano Cuba”
di MASSIMILIANO PERNA
“È una cosa che mi stupisce
molto”. C’è spontanea sorpresa nelle parole dell’avvocato
Pier Francesco Rizza, presidente regionale di Wwf Sicilia
e responsabile provinciale della
sezione di Siracusa, quando apprende la notizia della vendita
giudiziaria avente ad oggetto
il pantano Cuba, un’area Sic e
Zps, una delle zone umide naturali più belle d’Europa, luogo di
inestimabile valore paesaggistico e ambientale, in cui trovano
approdo prestigiose specie di
migratori. Una notizia che ha
dell’incredibile, sia per i numerosi vincoli a cui è sottoposto
il pantano sia per la rapidità
della procedura di esecuzione,
iniziata soltanto nel 2007 e già
giunta alla vendita, prevista per
il primo dicembre e, in caso di
esito negativo, in seconda data,
il dieci dicembre prossimo: “Il
dramma – dichiara Rizza – è
che il tempo è veramente poco.
Mi sorprende, soprattutto, che
di questa vicenda non ne sia venuto a conoscenza alcuno degli
enti preposti, come la Provincia
ed in particolare la Sovrintendenza, la quale ha posto i vincoli a queste aree. E poi mi stupisce la rapidità della procedura:
appena due anni. Un record per
Siracusa”.
Parliamo di un pantano attorno a cui esiste una lunga
polemica tra agricoltori e cacciatori, da una parte, ed ambientalisti dall’altra…
“Sì. Questo pantano, così come
il Longarini, doveva entrare in
una riserva naturale protetta che
l’assessorato regionale competente doveva istituire. Peccato
però che da circa sei anni non
vengono più istituite riserve.
Sono cinque le potenziali riserve ancora bloccate, tra cui proprio quella che comprende i due
pantani del pachinese. Riguardo alla polemica con i cacciatori, c’è stata la decisione del Tar
che allo stato sospende la caccia. Sappiamo però che l’assessorato regionale all’agricoltura,
su pressione delle associazioni
dei cacciatori, sta studiando
una nuova regolamentazione
dell’attività venatoria”.
Vogliono aggirare la decisione
del Tar?
“Ci aspettiamo che almeno davanti alla decisione del giudice
si fermino. La settimana scorsa,
insieme a Lipu e Legambiente,
abbiamo chiesto al suddetto assessorato regionale un incontro,
allo scopo di creare le condizioni per un’interlocuzione seria sulla questione. Purtroppo
vediamo che l’assessorato non
demorde, segno che le pressioni dei cacciatori sono notevoli.
Prima ha presentato il calendario venatorio, che noi abbiamo
impugnato subito. Successivamente, ha adottato il decreto
che consentiva la caccia nelle
zone Sic e Zps come i pantani
della Sicilia sud-orientale, tra
cui il Cuba e il Longarini. Contro questa misura abbiamo presentato ricorso al Tar, che poi ha
deciso a nostro favore. Adesso,
pare che si voglia fare un nuovo
decreto. È allucinante”.
Intanto, però, la caccia è sospesa. Ma lo è davvero nei
fatti?
“Questo è un altro grosso problema. Il Tar ha ordinato la sospensione, ma poi bisogna che
qualcuno controlli sul rispetto
di tale disposizione. Il problema è anche di chi deve esercitare un controllo nelle aree interessate. La polizia provinciale
ha poche risorse, i comuni se ne
fregano”.
La precedente amministrazione di Pachino si era schierata dalla parte di cacciatori
e agricoltori. Da quella nuova
che segnali avete percepito?
“La nuova amministrazione comunale ha scelto di restare in silenzio, con tutta probabilità per
non scontentare nessuno”.
Intanto il pantano Cuba, nonostante sia un’area Sic e
Zps, rischia di essere effettivamente venduto e di finire
nelle mani di un privato…
“Io ho molti dubbi. Dubito che
si possa vendere in fretta tale
bene, considerato il prezzo di
vendita, che è abbastanza importante. È chiaro che non si
può prescindere dal rispetto dei
limiti esistenti. Non è possibile
svolgere un’attività imprenditoriale che travalichi tali limiti.
Sono perplesso e credo che chi
acquista deve essere messo a
conoscenza dei vincoli, poiché
l’acquisto di un pantano su cui
non puoi ovviamente costruire
e far qualcosa al di fuori del
vincolo ambientale non costituisce un grosso investimento.
Certo potrebbe anche capitare
che un filantropo, dotato di risorse finanziarie, compri il terreno e vi istituisca una riserva.
Ma sono casi rari”.
Come associazione è percorribile la strada dell’acquisto da
parte, ad esempio, del Wwf?
“Sarebbe molto complesso, per
la difficoltà di reperire fondi tali
da coprire un investimento di
questa portata, ma soprattutto
perché tra i nostri scopi di attività non rientrano le operazioni
immobiliari. Noi possiamo al
massimo ricevere donazioni,
ma non acquistare. L’unica eccezione risale a molti anni fa,
ad Orbetello, in Toscana, in cui
procedemmo all’acquisto solo
perché si trattava di un’operazione molto conveniente. Ma
normalmente noi possiamo solo
partecipare alla gestione. Per il
resto deve essere l’ente pubblico ad intervenire per rilevare il
sito ed istituire la riserva naturale. Purtroppo spesso non si
capisce che l’istituzione di riserve può dar vita ad un circuito
economico virtuoso, che crea
lavoro, valorizza il bene e l’intero territorio. Se si continua a
pensare erroneamente che puntare sull’ambiente e sulla tutela
delle aree naturali sia qualcosa
che freni e ingessi il territorio,
la gente non comprenderà mai e
ci sarà sempre conflittualità tra
cittadini, ambientalisti e istituzioni”.
Ma voi allora cosa potete fare
per impedire la vendita del
Cuba ai privati?
“Avendo preso atto di questa
circostanza, noi solleciteremo
con decisione gli organi competenti, quindi la Provincia
Regionale, l’amministrazione
comunale di Pachino e, soprattutto, l’assessorato regionale.
Ci muoveremo immediatamente perché, ammesso che gli enti
siano in condizione di adottare
una qualsiasi azione amministrativa, dobbiamo avvisarli e
sollecitarli in tempo. Tra l’altro, nella perimetrazione dei
pantani esistono anche delle
serre e bisognerà verificare se
certe colture sono compatibili con l’area. Ecco, la vendita
può essere l’occasione per gli
enti competenti di fare tutta una
serie di verifiche che non sono
ancora state effettuate. Ci attiveremo affinché chi può intervenire lo faccia seriamente. Nel
corso della festa degli Iblei ne
parleremo tutti insieme, anche
se il convegno previsto è stato annullato. Ma ne faremo un
altro a novembre e in quell’occasione questo argomento sarà
centrale”.
LETTERE AL DIRETTORE
Figli e figliastri con i soldi dei contribuenti
Caro direttore, il Comune di Siracusa spende 1.500.000 Euro,
circa tre miliardi del vecchio conio, per riqualificare il campo
di calcio “Nicola De Simone”, una somma, a mio avviso, esorbitante e stratosferica rispetto al realizzo dei lavori medesimi, che saranno ultimati tra qualche mese. Al riguardo ciò che
colpisce è la perenne contraddizione di questa amministrazione,
quando dichiara che in bilancio non ha fondi per risolvere piccole cose; ad esempio, tra queste, il secolare ristagno d’acqua
giacente in piazza Adda, descritto simpaticamente “il lago dei
sogni”. Quindi è più che giusto lamentarsi, dal momento che i
quattrini per il De Simone si trovano, ma se si tratta di realizzare una nuova strada, un nuovo parcheggio, una nuova infrastruttura, che riflette l’interesse generale, non esiste un euro.
Questo modo di gestire la cosa pubblica è immorale e ingiusti-
ficato, un’offesa per il contribuente, che capisce di subire discriminazioni a vantaggio di interessi individuali. Ecco perché
la gente contesta, perché non ne può più di subire soverchierie e
mistificazioni politiche.
Ovviamente nessuna preclusione personale per la riqualificazione del campo in questione ma, ripeto, di pari passo bisogna
realizzare nuove infrastrutture, in particolare arterie stradali, che
Siracusa e i Siracusani attendono da mezzo secolo. Prova ne è
l’attuale caos veicolare e il rischio di inquinamento atmosferico, sotto gli occhi di tutti.
Per i motivi di cui sopra, non vorrei dare ragione a un bravo
giornalista siracusano, di cui non riporto il nome, che spesso e
volentieri ripete la seguente frase: “Siracusa persa era e persa è”.
Giuseppe Marabita
31 Ottobre 2009
11
Il presidente della Provincia Bono: “Spero che la Regione decida di partecipare all’asta giudiziaria”
Il sindaco di Pachino è categorico: “Pronto ad agire
perchè il pantano sia acquisito dalla parte pubblica”
di SALVATORE PERNA
Che la difesa del bene comune
non sia un valore diffuso nella
nostra terra è facilmente verificabile in tanti episodi che hanno segnato e segnano la storia
delle nostre città e del nostro
territorio.
Che particolarismi e corporativismi siano prevalenti sugli
interessi collettivi delle comunità lo dimostra la permanente
incapacità di fare fronte comune sulle grandi questioni della
qualità della vita e del corretto
uso delle nostre risorse.
Quanto sta avvenendo nell’area
sud orientale della nostra provincia, tra i comuni di Pachino
e, in parte, di Ispica e Noto, è
un esempio clamoroso di una
disaggregazione delle popolazioni e delle classi dirigenti
che esse esprimono dalla difesa e dalla valorizzazione di un
bene prezioso come l’integrità
del proprio territorio. Non solo
si è fatto molto poco per preservare il patrimonio naturalistico esistente (la particolarissima rete dei pantani costieri),
per garantire la sopravvivenza
di uno straordinario habitat per
rare specie vegetali e animali
e per non stravolgere anche il
delicato equilibrio climatico
di quelle zone, ma si continua
a rimanere indifferenti ai rischi
di un suo dissolvimento.
La notizia della imminente
vendita all’asta del Pantano
Cuba e dell’area circostante,
prevista per l’1 dicembre prossimo, non sembra aver turbato
più di tanto l’opinione pubblica locale né tantomeno aver
suscitato l’attenzione delle
istituzioni locali. Eppure non
capita tutti i giorni di venire a
conoscenza che un sito già inserito nel piano regionale dei
parchi e delle riserve, già classificato da un decreto regionale del 1999 come oasi naturale,
rientri nella disponibilità di un
privato e diventi oggetto di
una esecuzione immobiliare.
Che un bene di valenza pubblica possa appartenere anche
a un privato è purtroppo nella
realtà delle cose; la storia dei
territori è piena di annessioni
di grandi o piccoli estensioni
di terra più o meno legittime,
diventate diritti reali. La natura
del bene che si sta mettendo in
vendita può solo nominalmente essere considerata di natura
privata ed è classificata come
sito di interesse comunitario e
zona di protezione speciale.
Eppure non è stato registrato
alcun sussulto delle comunità
locali, ma solo l’immediata
reazione delle associazioni
naturalistiche, Natura Sicula,
attraverso le dichiarazioni di
Fabio Morreale presidente di
“Natura sicula”, pubblicate la
scorsa settimana, e del presidente regionale del WWF,
avvocato Pier Francesco Rizza (che riportiamo in questa
edizione). Entrambi convergono sulla necessità che gli enti
pubblici, Regione, provincia e
comuni interessati (in questo
caso il comune di Pachino) si
facciano carico di intervenire
per sottrarre alla sfera privata l’acquisizione di un bene
ambientale, come il Pantano
Cuba, che appartiene all’intera
collettività. Ciò appare tanto
più necessario se si tiene conto
che i rischi di un uso improprio
da parte di un eventuale nuovo
proprietario privato sono latenti. Sul destino della creazione della riserva dei pantani
della Sicilia sud orientale incombono infatti le richieste di
ridimensionamento (avanzate
dai produttori agricoli e dal
comune di Pachino nel 2007)
dell’area territoriale individuata come riserva naturale
dalla regione siciliana. Richieste che in parte possono avere
fondamento, laddove le attività agricole non hanno contaminato o dissestato l’ecosistema
delle aree lacustri, ma che vanno rigettate dove è avvenuto il
contrario. Non sono escludibili
neanche interessi speculativi,
se si considera che il pantano
Cuba sovrasta e lambisce, anche se ne rimane separato, un
disordinato agglomerato di insediamenti abitativi vacanzieri
(Granelli) che da più parti si
vuole consolidare.
Sotto questo aspetto ciò che
lascia sgomenti è l’assoluta
mancanza di responsabilità di
chi, tra politici e cittadini di
Pachino, ipotizza il potenziamento dell’agglomerato sorto
in buona parte a ridosso della
spiaggia, senza neanche porsi
il problema del rischio idrogeologico esistente in quella
zona. Il pantano Cuba, infatti,
si estende a valle di una balza
e il suo argine di sud-ovest, dal
quale si diramava un canale
naturale collegato con il mare,
è in asse con numerose costruzioni; nessuno può escludere,
nonostante la media della piovosità dell’area sia bassa, che
eventuali intense precipitazioni possano determinare l’eson-
dazione del bacino con effetti
deleteri. Tranne che qualcuno
non immagini il prosciugamento dell’area lacustre per
future sperimentazioni!
Sapere che le aree naturali del
pachinese sono inserite in un
programma di protezione comunitario, nazionale e regionale, non elimina i dubbi e le
preoccupazioni sul loro futuro.
I fatti dimostrano che l’antropizzazione selvaggia e lo sfruttamento incontrollato di quelle
zone è avvenuto in pieno regime vincolistico. La necessità
di un impegno immediato per
ripristinare una condizione di
certezza sulle scelte da compiere è inderogabile. Il nuovo
sindaco del comune di Pachino, Paolo Bonaiuto, dichiara
di essere convinto della necessità della valorizzazione paesaggistica del territorio; e sulla
contraddizione tra tutela dei
siti naturalistici e interessi dei
produttori e dei privati mostra
di non avere dubbi: “In quelle
aree – afferma – non può essere consentito l’insediamento di
immobili per uso privato e an-
che le serre devono allontanarsi dagli argini dei pantani. La
regione e lo stato anzi devono
accentuare la loro azione per
la realizzazione della riserva”.
Aggiunge che il dissesto della
crescita caotica di costruzioni
a ridosso o all’interno di zone
tutelate “è una realtà che abbiamo ereditato e che è stata
creata nel tempo. Il nostro
impegno categorico è la lotta
all’abusivismo edilizio. A tale
scopo abbiamo istituito una
squadra di vigili urbani, dotandola di mezzi idonei, sia per
combattere l’abusivismo che
per un più capillare controllo
ambientale contro il fenomeno delle discariche abusive
e dell’abbandono dei rifiuti
nelle aree protette e in tutto il
territorio”.
Sulla vicenda della vendita
all’asta del Pantano Cuba e
sulla possibilità dell’acquisto
pubblico dell’area, pur precisando che il comune di Pachino non ha la possibilità di
farlo, non si sottrae ad un impegno preciso:“Siamo pronti
ad assumere una posizione
netta e chiara affinché l’area
venga acquisita da parte pubblica. La prossima settimana
invierò agli assessori regionali al Territorio e Ambiente e
all’Agricoltura e al ministero
dell’Ambiente una lettera per
sollecitarli ad intervenire”. La
posizione del sindaco Bonaiuto sembra dunque convergere
con le indicazioni degli esponenti delle associazioni naturalistiche, che hanno chiamato
in causa anche il ruolo della
Provincia regionale. E il Presidente della provincia, on.le
Nicola Bono, non si sottrae
alle nostre domande, sottolineando che “non può che essere
la Regione a definire i tempi
di intervento per la istituzione
della Riserva naturale orientata dei pantani. Spetta alla Regione risolvere i problemi della esatta estensione dell’area e
mettere a punto il piano di gestione.” Sulla vendita all’asta
del pantano Cuba ritiene che
anche l’eventuale acquisto da
parte di un privato non compromette la destinazione di
quel bene “tenuto conto che lo
stesso acquirente dovrà essere consapevole che si tratta di
una proprietà che è sottoposta
a vincoli che non potranno essere violati”.
Una valutazione ottimistica,
formalmente non confutabile,
che però si scontra con la dura
realtà di quanto fino ad oggi è
avvenuto. In ogni caso sulla
possibilità dell’acquisizione
pubblica del Pantano Cuba il
presidente della provincia regionale di Siracusa esprime
l’auspicio che “l’assessorato
regionale all’ambiente decida
la partecipazione all’asta giudiziaria”.
Appare chiaro che il delinearsi di posizioni che pongono in
risalto la necessità di un’azione a difesa del territorio ha
bisogno di trovare una più
ampia iniziativa nel territorio
che coinvolga a livello locale e nella realtà dei comuni
interessati ogni espressione
istituzionale, associativa o intellettuale che abbia a cuore
la conservazione e la corretta
fruizione delle risorse territoriali.
In lizza Lupo (Franceschini) e Lumia (indipendente). I risultati di Siracusa
L’8 novembre il ballottaggio
per la segreteria regionale PD
E’ stato fissato per l’8 novembre il ballottaggio per eleggere il nuovo segretario
regionale del Partito democratico. Lo ha
deciso la commissione regionale per il
Congresso che appunto ha convocato per
domenica 8, alle ore 10, all’hotel San Paolo Palace l’assemblea del partito.
Voteranno, a scrutinio segreto, i 180 delegati che sono così ripartiti: 71 per le liste
collegate a Giuseppe Lupo, 56 per le liste
che fanno riferimento a Giuseppe Lumia
e 53 per quelle collegate a Bernardo Mattarella. Il ballottaggio si svolge tra Lupo,
della mozione Franceschini, e Lumia, indipendente. Mattarella, della mozione Bersani, era stato ‘eliminato’ nelle primarie del
25 ottobre, alle quali era giunto terzo.
Intanto sono stati resi noti i risultati delle
primarie del PD siracusano, svoltesi dome-
nica scorsa. Hanno votato 15.371 elettori.
I voti attribuiti sono stati 15.140, 156 le
schede bianche e 75 le nulle.
Su Bersani sono confluiti 6.236 voti (pari al
41,19%), a Franceschini i 6.816 (45,02%)
con la lista a lui intitolata e 662 voti
(4,31%) della lista Borsellino per Franceschini. Totale 7.478 voti, pari al 49,33%.
Infine a Marino sono andati 1436 schede,
ossia il 9,48%.
Questo il voto per i candidati alla segreteria regionale: per Giuseppe Lupo, da
parte delle due liste che lo sostenevano,
6.526 voti (5672 una e 854 l’altra) pari al
43,32%. A Mattarella sono andati 4.698
voti (il 31,19%). A Lumia, anch’egli sostenuto da due liste, 2.601 con la prima e
1.239 con la seconda per un totale di 3.840
voti, pari al 25,54%.
12
31 Ottobre 2009
Maturata nella popolazione megarese una nuova coscienza intorno al rischio sismico
Dopo il terremoto del ‘90 ci fu un’onda anomala e alcune parti
del territorio di Augusta si inabissarono per alcuni centimetri
di CATERINA ITALIA
Il terremoto del 13 dicembre
1990 ad Augusta è ricordato
non solo per la sua gravità ma
anche per i suoi misteri. Nei
giorni successivi all’evento
sismico c’è stata una grande
confusione su notizie fondamentali: la localizzazione
dell’epicentro,
l’intensità
della scossa, la presenza di
onde anomale, la quantificazione dei danni effettivi a
cose e persone. A distanza
di quasi vent’anni su molti
di questi argomenti si è fatta
chiarezza, su altri temi è sceso il silenzio. Padre Palmiro
Prisutto, nel 1992, ha scritto un interessante dossier dal
titolo inequivocabile: il terremoto dei silenzi.
Sulla base di una fitta documentazione, il parroco sostiene che il terremoto del
13 dicembre era stato prean-
nunciato da una serie di articoli usciti su alcuni giornali
locali e da servizi televisivi
trasmessi da programmi di
approfondimento. Molti studiosi avevano segnalato già
da tempo l’alto rischio sismico della costa orientale della
Sicilia. Ricordiamo che nel
1693 la stessa zona era stata
colpita da una scossa disastrosa.
Ma se l’informazione preventiva è stata frammentaria,
quella successiva all’evento è
stata ancor più debole. Pochi
sanno, per esempio, che alla
scossa tellurica del 13 dicembre si associò un’onda anomala, per cui Augusta poteva
essere soggetta, in quell’occasione, anche a maremoto.
Proprio a proposito di “tsunami”, il parroco di Brucoli
ha ultimamente raccolto sul
suo blog - www.terremotodeisilenzi.blogspot.com - una
serie di fotografie che potrebbero dimostrare come a
seguito del terremoto, alcune
parti del territorio megarese
si siano inabissate di parecchi
centimetri.
Continuando la navigazione
su internet si trovano altri
spunti interessanti. Forse non
tutti sanno che sulla mappa di
pericolosità sismica elaborata
dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Augusta è identificata come zona
viola, cioè ad alto rischio. La
presenza di un grande polo
petrolchimico a pochi passi
dalla città accresce notevolmente nei cittadini la percezione del pericolo.
Per tutte queste ragioni, è
fondamentale che Augusta
sia costantemente monitorata. Il terremoto di santa Lucia, per i cittadini megaresi,
ha rappresentato un punto di
svolta. La paura ha scosso
le coscienze e, in effetti, da
allora molte cose sono cambiate, molti passi avanti sono
stati compiuti. Adesso occorre non abbassare la guardia e
continuare a investire risorse
sulla sicurezza della città.
“Nonostante i 10.000 senza casa, lo Stato non volle riconoscere la calamità naturale”
Padre Prisutto (Brucoli): “Le vie di fuga dal centro di Augusta
non possono essere le rotonde, inadeguate in caso di emergenza”
Padre Palmiro Prisutto, parroco
della Chiesa S. Nicola di Bari di
Brucoli, già subito dopo la terribile notte del terremoto di Santa
Lucia, è stato uno dei più atti-
vi nei soccorsi alle migliaia di
sfollati dalle case lesionate. Con
lui ricostruiamo alcuni aspetti
del dopo sisma.
Parroco, so che lei è una persona molto attenta alle problematiche del territorio di
Augusta. Lei ha definito il
sisma del 13 dicembre 1990
“terremoto dei silenzi”. Che
fine ha fatto il campo container dove erano alloggiati i
senzatetto?
“Il campo è stato smantellato
dalla Protezione civile che ha
ritirato i container. Alcuni sono
stati riutilizzati per esigenze
locali”.
Tutti gli sfollati che risiedeva-
no all’interno del campo container hanno avuto una nuova
sistemazione?
“Sì. Dopo la prima emergenza, i
terremotati sono andati via e nel
campo sono subentrate alcune
fasce deboli della popolazione.
Perlomeno non tutto il male è
venuto per nuocere”.
Gli appartamenti popolari
sono stati quelli che all’epoca
hanno subito i maggiori danni. Sono stati ristrutturati?
“Sì, sono stati ristrutturati e
rinforzati. Le persone che ci vivevano sono rientrate nei loro
appartamenti”.
All’indomani del terremoto,
lo Stato ha fornito aiuti?
“Ha fornito aiuti ma non ha riconosciuto lo stato di calamità
naturale con la motivazione che
esso ormai non esisteva più. La
settimana successiva però venne riconosciuto agli alluvionati
di un’altra zona dell’Italia”.
Quanti i senzatetto e quanti i
morti?
“I senzatetto circa 10.000. I
morti sono stati diciassette,
dodici dei quali nel comune di
Carlentini. Nessuno nel comune
di Augusta”.
Il terremoto del novanta era
prevedibile?
“Era stato annunciato”.
Però, già pochi giorni dopo,
il terremoto di Santa Lucia
trovò scarsa visibilità sui
media…
“Di terremoto ad Augusta non
se ne parlerà mai. Basta andare sul sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e visionare
l’elenco dei maggiori terremoti
del ventesimo secolo. Ci sono
tutti tranne quello di Augusta.
Quello dell’Umbria, che è stato
sicuramente di intensità minore
e con un numero inferiore di
vittime, risulta. Ma lì c’era la
basilica di Assisi”.
Augusta sarebbe pronta ad
affrontare una nuova emergenza terremoto?
“Se il terremoto non sarà catastrofico, sì. Se il terremoto sarà
quello che si teme… Non so
quanti riusciranno a sopravvivere, senza fare allarmismo”.
Rispetto al novanta, adesso
Augusta ha una via d’uscita
in più: il ponte Federico II.
“Il ponte era stato richiesto già
prima del terremoto. Al momento del sisma era in costruzione. I lavori sono stati accelerati in seguito alla scossa”.
Quindi le vie d’uscita dal centro cittadino adesso sono sufficienti?
“No, le rotonde che sono state
costruite sono sufficienti in caso
di una viabilità assolutamente
normale, non di emergenza”.
Caterina Italia
Sarà depositato (forse) a dicembre il nuovo piano di Protezione civile
Licciardello: “Non basta trovare le aree di raccolta
Bisogna attrezzarle con acqua, luce e fognatura”
Cosimo Licciardello è il responsabile del servizio comunale di
Protezione civile di Augusta,
figura centrale quindi per tentare, a distanza di quasi 20 anni
dal devastante terremoto del 13
dicembre del ‘90, un’analisi dei
danni subiti allora dal comune
megarese e tracciare un bilancio
su come si è attrezzata la città
per affrontare, speriamo mai, un
nuovo evento sismico.
Per iniziare, quali furono i
maggiori danni del terremoto
di Santa Lucia e dove furono
localizzati?
“I danni maggiori sono stati
localizzati nella zona borgata,
dall’ingresso del paese fino ai
“ponti di campagna”.
Come mai, c’è una spiegazione
tecnica?
“Le spiegazioni tecniche sono
emerse successivamente ai monitoraggi. Nella zona Palajonio,
negli ultimi edifici costruiti, le
staffe dei pilastri erano state legate male per cui le abbiamo
trovate alla base del pilastro.
Fortunatamente la tipologia costruttiva delle nostre abitazioni,
rispetto a quella di tanti edifici di
altri comuni, era migliore per cui
i palazzi non sono crollati”.
Qual è stato il contributo della
Protezione civile, in quell’occasione?
“Oltre ad aver creato dei centri di
smistamento dei materiali, localizzati nella struttura tensostatica
del Palajonio, abbiamo contattato tante ditte per la rimozione dei
detriti e abbiamo coordinato tutti
i tecnici provenienti da dentro e
fuori la provincia e li abbiamo
coinvolti nel censimento dei
danni agli edifici, attività durata
circa cinque mesi. Per ogni stabile abbiamo fatto una schedatura delle lesioni, poi abbiamo
consegnato tutto al dipartimento
della protezione civile. Da questa mappatura è emerso che, nonostante l’evento sismico fosse
stato abbastanza forte, le strutture avevano comunque resistito: i
danni maggiori erano sulle tamponature esterne”.
Come mai non è stato dichiarato lo stato di calamità?
“Dopo circa un anno, a seguito
di convegni e riunioni, si costituì
una piattaforma per dichiarare lo
stato di calamità”.
Dopo il terremoto di Santa Lucia, la città di Augusta come è
cambiata?
“Prima del novanta, come protezione civile era esistente un
solo ufficio, ma di fatto vi mancava tutto. Successivamente
all’evento si è costituito l’ufficio
comunale della protezione civile; nel 1993 è stato aggiornato e
depositato il piano di protezione
civile, adesso lo stiamo modificando e dovremmo completarlo
presumibilmente a dicembre.
All’interno del piano, abbiamo
individuato e coordinato i percorsi di esodo della popolazione;
abbiamo pianificato le vie dei
mezzi di soccorso: un anello in
cui i mezzi di soccorso possano
entrare, raccogliere le persone
e condurle nelle aree di raccolta
attrezzate; abbiamo costituito le
aree di prima attesa e di primo
soccorso per i cittadini”.
Svolgete attività di prevenzione nelle scuole?
“Da circa 8 anni ci rechiamo nel-
le scuole per informare il personale scolastico sui rischi del territorio e sui comportamenti idonei
da tenere in caso di un nuovo
evento sismico. Abbiamo predisposto i piani di emergenza per
le scuole e abbiamo svolto ogni
due mesi le prove di evacuazione
nei vari plessi scolastici”.
Sulla base di quanto detto,
possiamo concludere che oggi
la città di Augusta sia più sicura?
“Sicuramente rispetto al novanta abbiamo fatto passi da gigante. Anche se bisogna ancora attrezzare le aree di raccolta della
popolazione. Occorre urbanizzarle con l’acqua, la luce, la fognatura. Non basta individuare
un’area, bisogna anche renderla
funzionale”.
31 Ottobre 2009
13
“Fate un passo indietro, superate le incomprensioni nell’interesse di questa provincia”
Forte appello dell’on. Santi Nicita: “Se oltre alla politica
si divide il sindacato il futuro di Siracusa è tutto in salita”
di SANTI NICITA
La stampa ha dato notizia
dell’avvenuta rottura sindacale fra Cgil, Cisl e Uil nella
nostra provincia. Non ne conosco i motivi, anche se penso
che una decisione così grave
può essere stata provocata da
profonde diversità di strategie. Senz’altro ritengo che ci
siano ragioni e torti validi, che
rendono difficile il percorso
unitario del movimento sindacale, ma sono convinto che il
danno che deriverà da questa
rottura è superiore a qualsiasi
beneficio che ciascun sindacato pensi di ottenere dalla rottura.
La mia lunga esperienza politica si è svolta nella nostra
provincia facendo i conti o
tenendo conto del ruolo che
il movimento sindacale ha
svolto. Un ruolo che ha sempre mirato alla tutela degli
interessi contrattuali delle
varie categorie dei lavoratori,
coniugandoli con altre significative e generali problematiche: la tutela della salute e
della sicurezza nel posto di
lavoro, la difesa dell’ambiente nei suoi complessi aspetti,
l’approfondimento delle varie
problematiche che nel tempo
hanno pesantemente coinvolto la nostra zona industriale
specie nei periodi di crisi, la
difesa dell’occupazione, la
tutela degli interessi dei lavoratori dell’agricoltura e del
commercio, nonché quelli della pubblica amministrazione.
Il movimento sindacale, obiettivamente, è stato un protagonista nella nostra provincia ed
è stato sempre un elemento di
equilibrio politico e sociale,
specie quando la politica è entrata in crisi. Tutti questi motivi ci dicono che l’eventuale
rottura fra i vari sindacati può
provocare conseguenze irreparabili nella vita economica e
sociale della nostra provincia.
Un sindacato unito e forte, oltre ad essere una garanzia per
i lavoratori, è anche una garanzia per il mondo imprenditoriale e per il mondo politico.
E non è un caso se i rapporti
fra il mondo del lavoro e quello della imprenditoria, anche
quando vi sono stati forti e
duri contrasti, alla fine hanno
trovato sempre un punto di incontro e di equilibrio. La lotta
sindacale rappresenta una garanzia per i più deboli, per i
disoccupati, per quelli che lavorano specie nella zona industriale. Noi abbiamo avuto ed
abbiamo nella nostra provincia la presenza di grandi industrie, spesso tentare di fare una
politica “colonialista” ma in
verità il movimento sindacale
ha avuto la forza e la capacità
di evitare o ridurre tale pericolo. E’ avvenuto che spesso, attorno ai problemi della difesa
occupazionale o a quelli dello
sviluppo o alle rivendicazioni
rispetto ai governi regionale e
nazionale, il fronte sindacale e
quello imprenditoriale si siano
trovati su posizioni conver-
genti o compatibili. Anzi, si
può dire che spesso, quando il
mondo politico è stato diviso
o disattento, il movimento sindacale e le associazioni degli
imprenditori hanno dato vita
a piattaforme programmatiche
di alto valore: piano di difesa
ambientale, programma per la
chimica, progetti per la riconversione industriale, interventi
per la bonifica eccetera.
Personalmente non posso dimenticare il ruolo svolto dal
movimento sindacale quando
nella nostra provincia le forze
politiche, nell’interesse delle
nostre popolazioni e per meglio affrontare i problemi della
infrastrutturazione del territorio sconvolto dagli insediamenti industriali, diedero vita
al cosiddetto “Comitatone”.
In quel periodo, come oggi, il
sindacato e l’associazione industriali hanno svolto un ruolo
che è riuscito e riesce tuttora
a coinvolgere le istituzioni e il
mondo politico, anche se diviso e incomunicabile.
Non si tratta, quindi, di auspicare al mondo sindacale
di trovare e superare i motivi
delle incomprensioni esistenti
tra i vari protagonisti ma di un
richiamo alle loro responsabilità nell’interesse generale.
Il momento che attraversa la
nostra provincia è grave: sui
vari problemi esistenti occorre
costruire un movimento sociale e istituzionale unitario quale presupposto per ottenere
dei risultati positivi. Peraltro,
proprio nei mesi scorsi vi sono
stati interventi sulla stampa di
Sanzaro (Cisl), di Carnevale
(Cgil) e di Munafò (Uil) tutti
convergenti, per cui viene difficile comprendere e giustificare l’eventuale rottura.
Per questo, modestamente,
auspico che i responsabili dei
singoli sindacati compiano
uno sforzo per evitare il peggio. Il movimento sindacale è
un patrimonio sociale di alto
valore che non può essere eliminato per qualche, anche giustificato, motivo. La provincia
di Siracusa da anni paga un
alto prezzo per la frantumazione del mondo politico e
per la sua assenza dalle varie
problematiche dello sviluppo
economico e sociale, perchè
i partiti sono impegnati solo
nella gestione ordinaria delle varie istituzioni e dilaniati
dalla lottizzazione del povero
e insignificante sottogoverno.
Se ora alla divisione del mondo politico si aggiunge anche
la divisione del mondo sindacale, la provincia di Siracusa
ha un futuro tutto in salita.
Fate un passo indietro, risolvete i problemi che vi vedono
divisi, nell’interesse dei lavoratori e dell’intera provincia.
Il 30% dei commercianti esposti col Monte Paschi Siena entro dicembre chiuderanno
Linguanti: “Il Comune dovrebbe prevedere in bilancio
il contributo per le attività promozionali dei Cenaco”
E’ un dato di fatto. Il 30% delle attività commerciali
siracusane, tra piccole e medie imprese, che hanno sofferenze debitorie presso la banca monte dei paschi di
Siena entro la fine dell’anno chiuderanno. Si darà infatti inizio a una serie di procedure a quanti non sono
in regola in fatto di pagamenti di contributi e imposte.
A darci la notizia è il presidente della confesercenti di
Siracusa Arturo Linguanti.
Si tratta di un dato grave, il numero delle attività a rischio è troppo alto. In realtà un’avvisaglia della situazione c’era già dall’inizio dell’anno. Ben 62 attività di
una certa importanza della nostra città hanno dovuto
chiudere e a ciò è corrisposta una perdita di forza lavoro
pari a 190-200 persone. A soffrire maggiormente sono
i settori dell’abbigliamento e dell’alimentare. A dire di
Linguanti la causa di questa crisi è da ricercare nelle
difficoltà che la famiglia siracusana incontra da 5 anni
a questa parte. Sono aumentati i costi fissi: infatti tasse,
bollette, contributi, benzina e tutto ciò di cui non possiamo o vogliamo fare a meno hanno un peso sempre
maggiore nei bilanci familiari, che però nella maggior
parte dei casi non godono di una liquidità maggiore.
Bisogna quindi stringere la cinghia da qualche parte.
Consideriamo che, sebbene i negozi di abbigliamento
abbiano due volte l’anno la possibilità di liquidare la
merce accantonata nei magazzini, negli ultimi tre anni
si è registrato un trend negativo e addirittura un 20%
secco di vendita in meno.
Ma le difficoltà economiche della famiglia-tipo siracusana non sono le uniche cause di questa crisi. Bisogna
infatti pensare al grave contributo che viene ad essa
data dalla presenza dei molti, troppi centri commerciali nella nostra città (c’è un’esagerata sproporzione tra
numero di centri commerciali e numero di abitanti) e
alla difficoltà che i commercianti incontrano nell’avere credito dalle banche. Questo insieme di motivi può
creare un disagio estremo per le attività commerciali i
cui proprietari non di rado sono “costretti” in assenza
di alternative e soluzioni a ricorrere all’usura. Inoltre
Linguanti fa notare come per tre giorni della settimana,
quelli del week-end, la città sia completamente spopolata contrariamente ai grandi ipermercati che invece
“scoppiano” di gente.
Ma un tentativo di risanamento della situazione sta per
trovare realizzazione. Si tratta infatti dei cosiddetti centri commerciali naturali, aggregazioni di negozi e pubblici esercizi che si trovano nella stessa area urbana. I
ccn hanno un duplice obiettivo: da un lato lanciare una
nuova politica del commercio e dell’artigianato che trovi realizzazione non nel singolo negozio, bensì nei negozi di uno stesso quartiere, dall’altra rivalutare i centri
urbani e quelle zone della città che possono vivere un
periodo di degrado e abbandono. La formazione dei
ccn non è cosa nuova: già nel 1996 se n’era costituito
uno nel centro di Ortigia e i consorzi esistenti dal 2003
avevano firmato tempo addietro un protocollo d’intesa
con il comune per provvedere all’attività promozionale. Qualcosa quindi è stato fatto nel passato, ma non
è stato sufficiente se la situazione odierna delle attività commerciali è di piena crisi. Oggi queste forme di
aggregazione aumentano costantemente in città come
Fabio Rotondo:
“La Borgata
sta diventando
un ghetto”
di ISABELLA MAINENTI
nella provincia (se ne trovano a Pachino, Augusta, Canicattini, Priolo, Sortino) e soprattutto ne aumentano i
facenti parte.
Linguanti ci informa poi su una legge nata su proposta
della confesercenti circa l’accreditamento regionale di
queste associazioni commerciali. “Compito della regione e del comune è ora prevedere nei propri bilanci una
voce specifica circa il contributo per le attività promozionali dei centri commerciali naturali e preoccuparsi,
laddove questi si siano costituiti, di dare inizio a un’opera di urbanizzazione e rivalutazione del territorio.” Perché è ovvio che la gran parte dei cittadini non sono stimolati ad effettuare le loro compere in città a causa della
mancanza di parcheggi, dell’assenza dei marciapiedi e
a volte della scarsa illuminazione che, sebbene possa
sembrare cosa da poco, ha in realtà un grande peso in
quartieri poco “affidabili” e mal frequentati. Tutto questo spinge necessariamente i cittadini nei grandi centri
commerciali in cui i posti auto non mancano, si può
passeggiare senza temere di essere travolti e la luce non
è certo un problema. Ma tutto questo con la costituzione dei ccn dovrebbe finire: le opere di urbanizzazione
prevedono una serie di interventi nelle più diverse zone
della città, dal quartiere acradina alla borgata.
Si cerca così di rendere la nostra città più vivibile, le
strade punti di incontro e le attività commerciali più
attive. Perché è laddove c’è molta gente che il commercio prolifera. Come dice Linguanti “lo stare insieme,
fare attività promozionale nel quartiere, movimenterà
il quartiere stesso e questo porterà a un aumento degli
incassi”. Tra l’altro le spese dei commercianti diminuiranno perché le operazioni di marketing saranno sostenute da tutta l’aggregazione e non più dalla singola
attività. E’ necessario però accelerare l’opera di urbanizzazione perché il rischio è che questa venga compiuta troppo tardi, quando ormai molte attività commerciali abbiano abbassato la saracinesca.
Isabella Mainenti
Parliamo poi con Fabio Rotondo, proprietario di
una macelleria in via Isonzo e consigliere di quartiere della borgata, che ha aderito al centro commerciale naturale costituito in questa parte della
città. Il signor Rotondo, parlando del progetto,
sottolinea innanzitutto il fatto che per farne parte
nessun commerciante abbia dovuto iscriversi alla
confcommercio o alla confesercenti mantenendo
quindi il proprio status di libero commerciante.
Parliamo poi con lui della situazione della borgata
e del modo in cui il centro commerciale naturale
può trovare qui ambientazione e realizzazione. Il
quartiere vive senz’altro un periodo di collasso,
degrado e abbandono. Lo stesso Rotondo ammette la propria insicurezza nel camminare per quelle
strade quando fa buio e ricorda che negli ultimi
dieci anni il quartiere si è spopolato contando una
popolazione di soli 12000 abitanti a fronte dei
28000 prima presenti.
“La borgata si sta trasformando in un vero e proprio ghetto”. Sono parole forti che mostrano un altrettanto forte disagio. Ma il signor Rotondo come
molti altri commercianti non ci stanno a tollerare
ulteriormente questa situazione e tentano di dare
una svolta attraverso il centro commerciale naturale. “Cerchiamo di ripromuovere e riqualificare
il quartiere anche perché il ccn può collaborare
con il comune circa l’urbanizzazione dello stesso
e intrattenere contatti con la Regione. Molti bassi commerciali sono chiusi da anni e nessuno più
investe in borgata. Bisogna promuovere iniziative
tra commercianti come per esempio una raccolta
punti e in questo modo richiamare la gente”. È
importante per Rotondo spendere in città piuttosto
che negli ipermercati innanzitutto per un rapporto
cliente-commerciante umano e di fiducia che non
può esistere nei secondi. Tra l’altro la proporzione
tra qualità e prezzo è senz’altro più equa nei negozi e in questi non viene fatto ciò che il nostro
interlocutore definisce lo “specchio per le allodole” di cui si servono gli ipermercati: cioè mettere
in promozione alcuni prodotti per attirare così la
gente aumentando però il costo di altra merce.
14
31 Ottobre 2009
La nuova proposta alla Provincia: 400 mila euro l’anno per allocarvi i plessi sparsi in città
La lunga storia dell’Alberghiero maledetto. L’impresa:
“Toglieremo i ponteggi e poi non faremo più nulla”
di ISABELLA MAINENTI
C’era una volta un palazzo. Era
un palazzo grande, spazioso,
ampio, al centro della città, costruito per una buona causa. La
sua però non è una bella storia e
il racconto che lo riguarda non
ha un lieto fine. Potrebbe essere questo l’inizio della lunga
e difficile narrazione su quello che doveva essere l’istituto
alberghiero in via Francesco
Crispi, un palazzone enorme,
posto di fronte alla stazione degli autobus, che probabilmente all’epoca in cui fu costruito
doveva fare la sua bella figura
ma che oggi è ridotto a cumulo
fatiscente di mattoni e cemento.
Ci aiuta a ricostruire il passato
di questa costruzione l’ingegner
Andrea Corso, vice presidente
della confesercenti e presidente
dell’assoturismo della provincia
di Siracusa.
La struttura viene realizzata a
cavallo tra gli anni ’50 e ’60.
E’ del ’68 un certificato di collaudo che attesta la conformità
dei lavori al progetto. Il palazzo
nasce in pratica con la legge antisismica che risale al 1964 ed è
quindi in regola per quei tempi
anche da questo punto di vista.
Si tratta di un edificio CAPALC,
anzi per essere più precisi, del
cosiddetto CAPALC 7. I capalc
erano delle vere e proprie scuole
albergo, cioè degli istituti in cui
i ragazzi avevano anche il proprio alloggio e che si diffusero
particolarmente nel dopoguerra,
quando per avere una speranza
di formazione e lavoro i figli dei
più poveri venivano mandati
in queste scuole. Il modello fu
la scuola di Losanna. In pratica accanto al liceo classico e
allo scientifico, che ancora non
aveva però pari dignità con il
primo, c’erano queste scuole
albergo che invece occupavano
nell’idea comune il gradino più
basso dell’istruzione, immediatamente dopo gli istituti tecnici.
La regione si appresta quindi a
costruire questi edifici con fondi provenienti dalla Cassa del
Mezzogiorno e dall’azienda
autonoma del turismo che era
l’ente appaltante per conto della
regione, e a gestire la formazione in ambito turistico con questo
modello convittuale già vecchio
all’epoca se si considera che
la scuola di Losanna risaliva
all’inizio del secolo mentre qui
siamo già alla metà dello stesso.
Succede però poi che, una volta
finiti i lavori e dopo che tutto era
pronto per l’utilizzo del palazzo,
la regione rinunci alla gestione
dell’immobile. Si voleva probabilmente passare la gestione
in mano al comune che però
non si fa trovare pronto e inizia
a passare del tempo. In pratica
quello che non era successo al
Capalc3, ossia alla scuola alberghiera di Taormina, succede a Siracusa. Il comune e la
regione non riescono a trovare
un accordo, invece di un rapido
passaggio di chiavi il tutto viene
lasciato per aria, il tempo passa
e i vandali cominciano a dare il
proprio contributo.
Da qui inizia il vero e proprio
calvario di quello che doveva
essere l’istituto alberghiero. In
poco tempo l’immobile cambia aspetto, tutto ciò che vi era
all’interno viene sottratto, rubato e distrutto e questo contribuisce al fatto che il comune si
senta sempre meno interessato
ad acquisire l’onere di una carcassa di cemento. Siamo già
negli anni ’90; nel 1992 cessa la
sua attività la cassa per il mezzogiorno e i fondi da destinare
al recupero dell’immobile diminuiscono ulteriormente. Si susseguono continui e ripetuti cicli
in cui si alternano vandalismo
e manutenzioni sempre sostenute dall’azienda autonoma per
il turismo. Questa situazione
di stallo dura per una decina di
anni, un’ulteriore decina di anni,
quindi fino alla fine degli anno
’90.
E’ questo il momento in cui
entra in gioco il gruppo rappresentato dall’ing. Corso. Infatti
la confesercenti risponde a un
bando di concessione proponendo di realizzare per ¾ un
albergo e per ¼ una scuola da
dare in gestione all’azienda autonoma del turismo nonché alla
regione. L’albergo sarebbe stato
di 70-75 stanze e la scuola di
1500 m²; certo non sarebbe stata
una grande scuola, ma sufficiente per 150 studenti. Nel 1999
viene presentata l’istanza e nel
2003 viene ottenuta la cessione.
Le condizioni in cui la confesercenti riceve l’immobile sono
drastiche e vengono spesi ben
200.000 euro tra disinfestazione
e pulizia degli interni.
Si passa poi a valutare il fabbricato dal punto di vista strettamente edilizio: all’ultimo piano
si scoprono grossi problemi di
staticità e diventa necessario
rivedere il progetto. I lavori partono tra il 2005 e il 2006
ma nel frattempo le condizioni
e le necessità dell’economia
cambiano. Sostanzialmente il
gruppo imprenditoriale si rende
conto che fare un investimento
alberghiero non è conveniente
in una città come Siracusa in cui
gli alberghi, i B&B, le pensioni
e in genere i posti letto di certo
non mancano. Viene allora cambiata a marzo di quest’anno la
proposta iniziale, ossia quella di
rendere il palazzo parte albergo
e parte scuola, o meglio vengono rovesciate le proporzioni.
Infatti adesso si avanza alla provincia la proposta o di dividere
l’immobile tra le due cose o addirittura di prendere solo ¼ per
l’albergo e la restante parte per
l’istituto scolastico. In pratica
il quarto di scuola sarebbe stato
ceduto come previsto dall’accordo iniziale mentre un’altra
parte sarebbe stata concessa in
affitto “a un prezzo popolare”,
come dice l’ing. Corso.
Si parla di 400.000 euro l’anno
per allocare nello stesso luogo
tutti i quattro plessi dell’istituto alberghiero al momento
sparsi tra viale Scala Greca,
via Lentini, via Freud e via di
Villa Ortisi. Si consideri che al
momento attuale la provincia
spende 250.000 euro l’anno
per una sola succursale. Un
vero e proprio mutuo! Inoltre
l’albergo sarebbe stato completamente asservito alla scuola nel senso che avrebbe assunto come personale i diplomati
dell’istituto che durante la propria carriera avevano potuto
maturare un’esperienza diretta
sul campo, cosa che invece
oggi avviene solo tramite convenzioni che l’istituto stringe
con aziende private pagando.
Cioè si proponeva di realizzare
un albergo di fascia bassa dove
i ragazzi potessero, attraverso
stage, diventare esperti della
professione sotto la tutela di
un direttore esperto. A ciò si
aggiunge la clausola per cui,
trattandosi di immobile pubblico, alla fine della cessione
della confesercenti la provincia
sarebbe divenuta proprietaria
dello stabile.
Ma da marzo tutto tace. La
provincia non ha risposto alle
proposte avanzate nonostante
le lettere e i numerosi incontri tenuti per le trattative che si
sarebbero concluse sulla cifra
di 425.000,00 euro annui. L’ingegnere Corso ci informa però
su una possibile operazione di
“finanza di progetto” (project financing) per la quale i privati si
fanno avanti per finanziare, eseguire e gestire un’opera pubblica in cambio degli utili che poi
derivano dalla corretta gestione
della stessa opera. Generalmente a questo tipo di operazione si
affianca un contratto di “global
service” comprendente una pluralità di servizi integrativi delle
normali attività di manutenzione. Sembrerebbe che alla “finanza di progetto” si sia interessata la Pizzarotti. Ma realmente
a chi conviene costruire un’opera ex novo spendendo non meno
di 15-16 milioni di euro, quando
con 425.000 euro l’anno (per i
trent’anni previsti) si potrebbe
recuperare qualcosa di già esistente? Sempre ricordando che
alla fine della cessione l’immobile diventerebbe di proprietà
della provincia.
Comunque fino a ora tutto è
fermo. Ma un’altra domanda
sorge spontanea: dall’inizio
della vicenda quanto è stato
speso? L’ingegnere Corso non
sa darci una risposta sulle usci-
te dell’istituzione pubblica, ma
ci dice che di sicuro il capitale
privato ha impiegato 3 miliardi
di vecchie lire. Ora, aldilà delle
responsabilità dei singoli enti e
amministrazioni, perché è evidente che ognuno ci ha messo
il proprio, è ancora necessario
continuare a far finta che questa
“casa dei fantasmi” non esista?
E lasciare l’istituto alberghiero
nelle condizioni assurde e intollerabili in cui vive? Vogliamo
dare ai turisti che arrivano alla
stazione o alla fermata dell’autobus e che trovano a dar loro
il benvenuto questa costruzione
fatiscente, l’idea che Siracusa
sia davvero la città delle opere
incompiute?
L’accordo col sindaco: per ora solo il 20% e poi si tornerà alla misura 2007
La Corte: “L’aumento della tassa sui rifiuti urbani del 60%
è immorale con conseguenze devastanti per i pachinesi”
Un aumento della tassa sui rifiuti urbani del 60%: insostenibile per i cittadini
di Pachino già provati da una crisi che
nel centro del ciliegino ha investito soprattutto la produzione agricola, proprio quella che rappresenta la prima
irrinunciabile risorsa per buona parte
della popolazione con serie ripercussioni in tutti i settori economici collegati. A partire dal 1999 l’andamento
della tarsu è stato esponenziale: prima
con l’aumento del 51,79% imposto dal
commissario straordinario del comune, e ora con il 60%. In 10 anni complessivamente il 111,79% in più. Ma
ciò che maggiormente suscita reazioni
sdegnate e spinge a forme plateali di
proteste, quale lo sciopero fiscale minacciato dagli stessi sindacati confederali, è il modo con cui il vertiginoso
aumento è stato deciso: un inganno a
danno di tutti, per cercare solo di risolvere le sofferenze del bilancio co-
munale.
Con quello che viene definito un autentico colpo di mano, Giuseppe Campisi, il sindaco in carica, decretava l’aumento della tarsu il 27 maggio 2008,
lo stesso giorno in cui, secondo i contribuenti in rivolta, entrava in vigore
il decreto legge 93 con cui il governo
sospendeva “il potere delle regioni e
degli enti locali, province e comuni,
di deliberare aumenti dei tributi e delle
addizionali, delle aliquote ovvero delle
maggiorazioni di aliquote di tributi ad
essi attribuiti con legge dello Stato”.
Un provvedimento con cui si è cercato in qualche modo di salvaguardare il
potere di acquisto delle famiglie.
A guidare la protesta dei pachinesi
ancora una volta Gioacchino La Corte, segretario locale del partito dei comunisti italiani, instancabile nella sua
lotta contro ingiustizie e vessazioni.
“Già a settembre ho rivolto al sinda-
co, Paolo Bonaiuto, la richiesta di un
incontro per affrontare i problemi non
più rinviabili del comune: l’aumento
folle e inspiegabile della tassa sui rifiuti così come le precarie condizioni
di una viabilità interna da terzo mondo, indegna di un paese civile. Ritengo
la determina del sindaco Campisi sulla
tarsu, tutta personale, un atto immorale perché distante dai problemi di
sopravvivenza cui devono far fronte
giorno dopo giorno i miei concittadini,
gravissimo per le conseguenze devastanti che ha su economie già fragili e
insufficienti, ma soprattutto illegittimo
perché contrario a quanto stabilito nel
decreto del maggio 2008. Un aumento
assurdo e ingiustificato che non può
sostenere chi fa fatica ad arrivare a fine
mese e, quando arriva la tassa per la
spazzatura, la bolletta dell’acqua, della
luce, del telefono, deve fare la scelta se
mangiare o pagare.
“L’aumento della tarsu, approvato nel
bilancio di previsione 2008 dalla dottoressa Margherita Rizza, commissario ad acta, era stato giudicato insostenibile anche da Paolo Bonaiuto:
durante la campagna elettorale, aveva
promesso, una volta eletto sindaco, di
revocare la determina. Nell’incontro
di lunedì scorso con Bonaiuto siamo
al momento arrivati a un accordo: per
quest’anno un aumento limitato al
20%, rispetto all’aumento previsto del
60% i cittadini risparmierebbero almeno il 40%, e per il prossimo un ritorno
alla tariffa del 2007. Le soluzioni per
diminuire i costi non mancano. Occorrerebbe per esempio sbloccare quanto
prima i lavori di messa in sicurezza
della discarica di contrada Coste Santi
Ippolito completando con la relazione
geologica la documentazione da inviare all’assessorato regionale”.
Marina De Michele
31 Ottobre 2009
15
L’interessante convegno al salone Borsellino “per una psichiatria del territorio”
Zappia (assessorato alla Sanità): “La legge 328 in Sicilia
stenta ad essere attuata o lo è a macchia di leopardo”
di PINO BRUNO
Forse per caso, forse per una
di quelle strane coincidenze
che spesso accadono nei fatti
degli uomini, il convegno “per
una psichiatria del territorio,
buone pratiche a confronto”
che si è tenuto sabato scorso al
salone Borsellino ha coinciso
con il recepimento, avvenuto
pochi giorni prima, da parte
della regione Sicilia delle linee di indirizzo nazionali per
la salute mentale. A darne annuncio durante i lavori è stato
il dott. Zappia della segreteria
tecnica dell’assessorato alla
sanità. Non si tratta di notizia di poco conto, ovviamente
per il settore e altrettanto ovviamente se quanto previsto
dall’atto verrà messo in pratica. Sebbene sia poco illuminata dai riflettori mediatici, tranne nei casi sporadici di azioni
violente da parte dei cosiddetti
“matti”, e per nulla entrata
nell’attenzione che i giornali
hanno dedicato ai dibattiti sulla sanità in Sicilia e segnatamente nella nostra provincia
negli ultimi due anni, l’organizzazione mondiale della sanità ci ricorda che questo tipo
di patologia, o per meglio dire
di patologie, determina nei paesi sviluppati il più alto carico
di disabilità, superiore anche
alle malattie oncologiche e
cardiovascolari.
La circostanza, quindi, che
un importante strumento di
indirizzo di politica sanitaria
sia stato fatto proprio dalla
Sicilia, anche se a distanza di
18 mesi dalla sua emanazione, autorizza a sperare in una
riqualificazione dell’offerta
anche in questo settore della sanità. Speranza fortificata
dalla presenza al meeting del
direttore generale dell’ASP.
Il dott. Franco Maniscalco ha
sottolineato che presterà particolare attenzione a tre aspetti
delle problematiche sollevate
dall’intervento del primo relatore, il dott. Sgarlata organizzatore del convegno insieme
all’associazione dei familiari,
che riguardano la dotazione
organica, la formazione degli
operatori e l’integrazione tra
dipartimento salute mentale ed
enti locali per ciò che riguarda
gli interventi di tipo sociale.
Proprio quest’ultimo argo-
mento è stato quello che più di
altri ha attraversato quasi tutti
gli interventi della giornata,
anche quelli più propriamente
a carattere scientifico. Il contributo più significativo in tal
senso è stato quello della dottoressa Carozza, primario di
psichiatria all’USL di Ravenna e docente di psichiatria sociale all’Università di Chieti.
La sua interessante relazione
sulla riabilitazione psichiatrica ha evidenziato in maniera
brillante come la riappropriazione del “ruolo sociale” sia
fondamentale per la guarigione dei soggetti con disturbo
mentale. Non bastano i farmaci sebbene importantissimi per
il controllo dei sintomi, non
basta l’intervento psicoterapico sebbene possa migliorare
la capacità di resistenza agli
stress, fondamentale diventa la riappropriazione di una
reale “autonomia personale”.
Questo il concetto di guarigione in psichiatria, quello che
tecnicamente viene chiamato
“recovery”. Recuperare, riacquistare, riguadagnare, ma
soprattutto ritrovare, ritrovarsi
persona nella società. Si può
continuare ad avere qualche
sporadica allucinazione, qualche “split” delirante come
lo ha chiamato la dottoressa
Carrozza, qualche caduta nel
buio angosciante e paralizzante della depressione, ma essere
aiutato a ritrovarsi appunto e
nuovamente partecipare della
propria comunità, della propria famiglia. Per fare questo
è necessaria la presa in carico globale della persona con
disturbo mentale, e nei casi
gravi contrastarne le disabilità
sociali, rendere effettivo il diritto di cittadinanza che significa: abitazione, lavoro, relazioni, tempo libero, supporto
alle famiglie e al contesto di
vita.
Il richiamo alla legge 328
sull’assistenza è forte e chiaro, come innegabile è la sua
applicazione parziale e disomogenea nella nostra regione. Richiamo presente anche
nell’intervento del dott. Zappia, il quale ha sottolineato “come in Sicilia esistono
due diversi assessorati che
si occupano appunto di inte-
grazione socio-sanitaria, che
non vi è stata fino ad oggi una
vera politica di coordinamento delle prestazioni sanitarie
e di quelle di ambito sociale,
che nonostante si sia arrivati
alla seconda edizione dei piani di zona non si può dire che
vi sia stata una reale integrazione tra gli enti preposti alla
programmazione:
regione,
autonomie locali, aziende sanitarie, servizi pubblici e privati, cooperazione sociale ed
imprenditoriale, volontariato. Insomma, la 328 in Sicilia
stenta ad essere attuata, o lo
è a macchia di leopardo. Per
questo è stato avviato un confronto serrato tra l’assessora-
to alla famiglia e quello alla
sanità. Vi è una sintonia tra i
due assessori, anche probabilmente per la loro amicizia
personale, ma più importante
ancora è l’intesa tra le due
strutture tecniche che stanno lavorando al decreto previsto dalla legge di riforma
sanitaria che dovrà fissare gli
indirizzi operativi finalizzati
ad assicurare le opportune integrazioni fra servizi sanitari
e sociali per migliorare gli
interventi in favore di portatori di handicap, anziani,
famiglie e fasce deboli della
popolazione come sono appunto i pazienti con disagio
psichico”.
“Per il reinserimento dei malati occorre integrazione fra dipartimento ed enti locali”
Sgarlata: “L’abolizione dell’unità di crisi
ha prodotto l’aumento dei ricoveri ospedalieri”
Com’è la situazione nella
nostra provincia? Lo abbiamo chiesto al dott. Sgarlata
che, come abbiamo riferito
nell’altro artiocolo in pagina,
ha sottolineato nel suo intervento, oltre alle problematiche relative alla funzionalità
dei servizi di salute mentale
di cui parleremo più avanti,
proprio la scarsa integrazione
tra le strutture sanitarie preposte all’assistenza dei malati psichiatrici e gli assessorati
alle politiche sociali dei comuni.
Prima di passare la parola al
dott. Sgarlata, qualche annotazione sullo stato dell’organizzazione della vecchia ASL
8 ora ASP in questo settore
è obbligatoria. Forse unica
azienda sanitaria regionale a
non aver creato lo specifico
dipartimento per l’integrazione socio-sanitaria previsto
da uno specifico decreto assessoriale dell’ormai lontano
maggio 2007, sicuramente
unica a non avere un proprio
servizio sociale formalmente costituito benché previsto
dalla legge regionale 30/93
e ribadito dal piano sanitario
del 2000, quasi assente negli
ultimi anni nella discussione
sui piani di zona dei quattro
distretti socio-sanitari della
nostra provincia ed in particolare su quello di Siracusa,
addirittura latitante sugli specifici interventi che hanno
interessato la salute mentale.
Si è trattato di precise scelte
della precedente direzione
aziendale dell’ASL 8, la quale ha ritenuto che gli aspetti
sociali e anche socio-sanitari
riguardavano esclusivamente i comuni. E’ per questo
che non abbiamo ad esempio
un’assistenza domiciliare integrata nella nostra provincia. Diamo comunque credito
al “nuovo corso” dichiarato
dal dott. Maniscalco, permettendoci qualche dubbio perché pure su questo aspetto,
come su altri, i segnali non
sono chiari.
Dott. Sgarlata perchè questo convegno?
“Da circa un anno abbiamo
formato una rete con gran
parte degli attori non istituzionali presenti nel territorio
che si interessano positivamente a vario titolo delle problematiche della salute mentale, associazioni di familiari,
imprese sociali, associazioni
di volontariato, singoli operatori, sindacati. Queste realtà
hanno sempre lavorato autonomamente, abbiamo quindi
pensato che metterci in rete
per portare a Siracusa una
proposta culturale unitaria di
politica sanitaria sulla salute
mentale potesse essere molto
utile e penso che l’obiettivo
sia stato raggiunto”.
Un momento cioè non solo
scientifico, ma di proposta
sull’organizzazione del settore?
“Certamente, abbiamo infatti cercato di indicare quel-
lo che ci sembra necessario
fare a Siracusa per realizzare
una psichiatria coerente con i
dettami legislativi, cioè una
psichiatria del territorio e di
comunità che sposti la sua attenzione dall’intervento medico e dal ricovero in ospedale o in comunità terapeutiche,
all’intervento nel territorio,
al lavoro di équipe e che soprattutto metta al primo posto
i bisogni reali del paziente”.
Vuol dire che questa “rete”
di associazioni formulerà
delle precise proposte al direttore dell’ASP?
“Non solo al dott. Maniscalco, lamento infatti l’assenza
della Provincia regionale e
del Comune di Siracusa, assenze preoccupanti e indicative. Abbiamo comunque
preparato un Manifesto, presentato al convegno, con una
serie di richieste che saranno
nei prossimi giorni formalizzate alle istituzioni. Ci aspettiamo la possibilità di incontri per poterne discutere”.
Può indicarci alcune di queste richieste?
“Di alcune ho già detto nel
mio intervento al convegno,
dotazione organica carente,
formazione degli operatori,
integrazione tra dipartimento
salute mentale ed enti locali per le attività di reinserimento. Problematiche che mi
sembra abbiano incontrato
l’attenzione del direttore generale dell’ASP. Altre sono
più tecniche e riguardano
aspetti organizzativi, ma di
una è giusto accennare per
i risvolti immediati che ha
sull’utenza. Mi riferisco alla
gestione delle emergenze
psichiatriche, cioè in quello
che è conosciuto come trattamento sanitario obbligatorio. Alcuni anni fa era stata
avviata, purtroppo solo per
la città di Siracusa, l’esperienza dell’unità di crisi.
Un’équipe multiprofessionale era sempre reperibile per
intervenire in caso di urgenze
a domicilio del paziente, sia
che la richiesta partisse dal
medico di famiglia sia nel
caso arrivasse direttamente
dai familiari. Tale modalità
d’intervento era riuscita a ridurre la necessità di ricoveri
coatti sempre traumatici per
l’utente. L’abolizione di questa “buona pratica” ha ridotto
notevolmente la qualità degli
interventi ed aumentato ovviamente i ricoveri ospedalieri.
“Oggi ci si limita a convalidare i trattamenti obbligatori
richiesti da altri medici (di
famiglia o del pronto soccorso) quando il paziente si
trova già all’ospedale. Quella
dell’unità di crisi è un’esperienza che continua a funzionare in altre realtà non solo
del resto d’Italia, ma anche
della nostra regione. Tra l’altro è un modello organizzativo indicato anche dalle linee
guida ministeriali, per cui
non si capisce il motivo della
sua interruzione”.
Il convegno ha avuto anche
un carattere più specificatamente scientifico, può dirci
quale aspetto le è sembrato
più significativo?
“Diversi interventi hanno
affrontato l’argomento principale dell’incontro: buone
pratiche a confronto. Sicuramente da sottolineare la relazione della dottoressa Paola
Carrozza, una tra le più importanti esperte italiane di ri-
abilitazione psichiatrica, che
ci ha mostrato come esiste
un paradigma di cura volto
alla guarigione della persona
affetta anche da grave disturbo psichiatrico da perseguire
attraverso un lavoro, qualificato e motivato, nel territorio inteso nell’accezione più
ampia. Lavorare per ridare al
paziente psichiatrico le abilità sociali, spesso perdute,
può restituirlo ad una “normalità”.
16
31 Ottobre 2009
La normativa non è una riforma della scuola ma un provvedimento taglia posti
Con i decreti Gelmini a Siracusa classi di 44 alunni
Disabili senza sostegno o al massimo un’ora al giorno
di GIUSEPPE GENTILE
La normativa emanata dalla
Gelmini sulla scuola non può
essere definita riforma della
scuola ma taglia diritto allo
studio, taglia posti e taglia
scuola pubblica in quanto
non innova ma lede il diritto
allo studio degli alunni e licenzia i precari.
La Riforma citata ha significato: classi con un numero
eccessivo di studenti; riduzione del tempo scuola per
gli alunni; meno ore per alcuni insegnamenti quali lingua
italiana, lingua inglese, informatica (tutti cavalli di battaglia di Berlusconi), chimica,
fisica ed altri ancora; riduzione drastica dei posti di sostegno, dei posti ATA (collaboratori scolastici, assistenti
tecnici ed assistenti amministrativi) accompagnata da aumento di compiti e riduzione
di organico; riduzione degli
stanziamenti per supplenze,
per la gestione amministrativa e per il fondo di istituto.
Chi può pensare che un numero elevato di alunni per
classi, un minor numero di
ore di studio possa migliorare
la qualità dell’insegnamento
e la capacità di apprendimento degli alunni e quindi migliorare i risultati dei nostri
ragazzi? Chi può ritenere che
un minor numero di ore di
sostegno agli alunni diversamente abili possa consentire
una loro integrazione nella
scuola perché vengano restituiti alla società ed al mondo
del lavoro più forti ed in grado di affrontare le difficoltà
che li attendono? La risposta
è: loro due, la Gelmini e Berlusconi.
Il personale ATA vede falcidiare il suo organico in modo
talmente drastico da non
poter rispondere alle sempre maggiori esigenze della
scuola, si avrà, conseguentemente, un peggioramento del
funzionamento amministrativo e tecnico delle scuole e
del servizio di assistenza, di
vigilanza e di supporto alla
didattica.
La Gelmini, di recente, ha
sostenuto che se i collaboratori scolastici facessero le
pulizie nelle scuole si potrebbero risparmiare 150 milioni
di euro. Evidentemente non
sa che essi le pulizie nelle
scuole le fanno già e che nelle poche scuole in cui operano le ditte di pulizie private
l’organico dei c. s. è ridotto
in proporzione.
Ed ancora chi può pensare
che le previste riduzioni delle
sedi scolastiche, la chiusura
di classi nei piccoli centri,
l’aumento delle pluriclassi, la
riduzione dell’istruzione per
gli adulti (si vuol far tornare
l’analfabetismo?), la riduzione del tempo pieno e la riduzione generalizzata delle sovvenzioni alla scuola pubblica
e l’aumento delle stesse alle
scuole private apporti qualità
al sistema? La risposta è sem-
pre la stessa: Berlusconi e la
Gelmini.
Si vuole una scuola povera di
contenuti formativi e didattici con classi affollate e non
in grado di garantire adeguati
processi di apprendimento.
A livello nazionale risultano,
in base ai dati forniti dal ministero, 27.000 precari licenziati oltre a circa 10.000 docenti di ruolo soprannumerari
a cui si aggiunge il blocco del
turn-over. Ma questo è solo
l’inizio, nei prossimi 2 anni
sono previsti tagli per altri
75.000 posti e fra 3 anni addirittura 150.000.
Una discussione a parte merita la scuola primaria (elementare) trasformata da modello
didattico di qualità considerata fra le migliori del mondo a semplice assistenza; ciò
farà scendere anche questo
settore agli ultimi posti della
graduatoria mondiale. A tutto
questo la Gelmini risponde
che in passato si è utilizzata
la scuola come un ammortizzatore sociale. Evidentemente ha confuso la scuola, che è
un luogo di cultura e la vera
ricchezza dei paesi civili, con
la cassa integrazione; inoltre
aggiunge minacce e intimidazioni e con il trucco linguistico occulta i reali effetti sulla
scuola, sugli alunni e sul personale della scuola, della sua
politica di tagli.
A Siracusa la riforma ha significato classi con un numero elevato di alunni, anche
44, in barba a tutte le norme
di sicurezza e salubrità degli
ambienti destinati all’attività scolastica. Moltissimi
ragazzi diversamente abili
non hanno avuto l’insegnante di sostegno o al massimo
solo 6 ore settimanali corrispondenti a un’ora al giorno,
che equivale ad avere nulla.
Come pensa la Gelmini di garantire loro adeguati processi
di apprendimento per la piena
e concreta integrazione?
In totale a Siracusa si sono
persi 600 posti di lavoro oltre
ad almeno 180 i posti di sostegno non istituiti non certo
per le ridotte esigenze degli
alunni diversamente abili ma
per disposizione ministeria-
le; se solo i componenti delle
commissioni presenti presso
l’USP di Siracusa, il GLIP
(gruppo di lavoro interistituzionale provinciale) ed il
GLH (gruppo di lavoro H), in
cui non sono presenti le organizzazioni sindacali, che hanno proposto l’organico degli
insegnanti di sostegno, fossero stati più coraggiosi e invece di inseguire i parametri
del ministero avessero tenuto
conto delle reali esigenze dei
bambini diversamente abili
avremmo potuto richiedere
più posti e rispondere meglio
alle loro esigenze invece di
escluderli dal sostegno.
Che dire della formazione
dell’organico di adeguamento e delle operazioni di utilizzazioni, assegnazioni provvisorie, immissione in ruolo
(pochissime per la verità) e
supplenze? E’ incomprensibile come sia stato possibile effettuare tali operazioni prima
della pubblicazione dell’organico di fatto visto che dipendono dallo stesso; e ne
aspettiamo ancora un altro.
Per quel che riguarda le operazioni prima citate, si sono
svolte nel pieno caos con
continue riconvocazioni, rideterminazioni ed integrazioni dovute, prevalentemente,
a disposizioni ministeriali
spesso errate e contraddittorie ed in parte a responsabi-
Si rinnova la polemica sulla festa pagana, ma esorcizza la morte
Oggi Halloween, per vestirsi da zombie
basta una fodera nera e un po’ di cartoncino
Oggi è il 31 ottobre: se nel tardo pomeriggio qualcuno bussa alla vostra
porta ma, guardando nello spioncino,
non vedete nessuno, aprite lo stesso.
Sicuramente vi troverete di fronte a un
manipolo di nanetti travestiti da streghe, vampiri, fantasmi e zucche che vi
urleranno “Dolcetto o scherzetto!”. Se
però non siete provvisti di cioccolata
e caramelle, fate finta di non esserci
perché i mocciosi moderni sono molto
diversi da come eravamo noi alla loro
età, quindi meglio non sfidare la sorte
accettando uno dei loro scherzetti, sarebbero capaci di buttarvi un secchio
d’acqua addosso, seguito da un altro
secchio di farina.
E’ Halloween cari mamme e papà, preparatevi a un sabato di fuoco. Il nome
deriva da “All Hallows Eve”, cioè “vigilia di tutti i Santi”. Questa festa, che
ormai ha preso piede in Italia, non è
d’origine americana, come credono i
più, ma risale a molti secoli prima della scoperta del Nuovo Continente. Era
infatti, come ci informa Wikipedia, una
festa popolare di origine pre-cristiana,
quando le popolazioni tribali dividevano l’anno in base alla transumanza del
bestiame.
Tra ottobre e novembre, con l’arrivo del
freddo, era necessario portare gli animali al coperto e questo evento segnava
il passaggio da una stagione all’altra. In
Europa pare siano stati i Celti a diffondere Halloween: per loro il Capodanno,
corrispondente all’arrivo dell’inverno,
era un momento in cui la distanza tra
il mondo dei vivi e quello dei morti si
azzerava e si poteva entrare in contatto
con l’aldilà.
I Celti non temevano i morti, anzi lasciavano loro del cibo per accoglierli,
sembra sia questa l’origine del “trick
or treat”, “dolcetto o scherzetto”. Inoltre credevano a fate ed elfi anziché ai
demoni, ma li consideravano pericolosi ugualmente perché perennemente
in collera con gli umani, ecco spiegati
molti racconti terrificanti con strane
creature, creature ricordate nei costumi
dei bambini. Quel che più pare stancante della festa è che per cacciare la sfortuna bisogna bussare a ben 13 porte!
Ogni volta che torna questo periodo
nasce una piccola polemica perché la
Chiesa e le persone di una certa età
brontolano non poco per quella che
considerano una sostituzione della festa
di Tutti i Santi o della commemorazione dei Defunti, che in realtà cadono nei
giorni successivi, con ciò che reputano
l’ennesimo segno di esterofilia, l’ennesima resa di una italica tradizione religiosa.
A ben guardare però, le ricorrenze sono
compatibili, anzi, Halloween è un simpatico modo di esorcizzare la morte,
per i bambini e non solo. Iniziando a
mascherarsi il 31 ottobre, continuando a ricordare i Santi il giorno dopo e
commemorando i defunti il 2 novembre
è una maniera di sottolineare l’altalena
della vita, che ci riserva attimi di pazzia, momenti religiosi e ricordi commoventi, tutto nell’arco di 3 giorni perché
è così che va l’esistenza, un miscuglio
aggrovigliato e imprevedibile di sentimenti diversi.
E se insistete ancora a combattere Halloween perché credete sia solo un altro
modo di far spendere soldi ai genitori,
non avete poi tutti i torti, ma dovreste
anche riconoscere che per vestirsi da
zombie basta qualche fodera nera e un
po’ di cartoncino sbrindellato. E poi ricordatevi di quanto sia diventata commerciale la festa dei bambini per antonomasia, il Natale.
E ora andate a fare provviste di dolci.
Giusy Scarella
lità del dirigente dell’USP di
Siracusa per la rara presenza
presso gli uffici che dovrebbe dirigere: quando c’è, è
irraggiungibile, lo si vede
sfrecciare da un posto all’altro come una saetta, e non
certo per responsabilità del
restante personale che, come
sempre, lavora con professionalità ed abnegazione ma con
grande difficoltà per la mancanza di disposizioni certe, di
indicazioni e coordinamento.
Ciò che succede a Siracusa
è un esempio lampante della
vera difficoltà della pubblica
amministrazione: la dirigenza.
Brunetta, per coprire la responsabilità del Governo,
accusa i dipendenti della
pubblica amministrazione di
assenteismo, di incapacità,
di essere dei fannulloni e li
punisce, riducendo il personale, non applicando il turnover, togliendo parte dello
stipendio per le assenze dovute a malattie ed accusandoli di tutte le nefandezze che
la sua mente contorta possa
immaginare mentre i veri responsabili sono il governo e
la dirigenza.
Inoltre elogia se stesso, nessun altro lo fa, per la riduzione
delle assenze dei dipendenti
pubblici per malattia, anche
se i suoi provvedimenti non
hanno inciso in tale processo
in quanto esiste un trend di riduzione delle assenze sin dal
2005 per provvedimenti presi
da altro governo.
Io ritengo che i contratti di
disponibilità non siano certo la soluzione del precariato perché: non aumentano i
posti, conseguentemente il
prossimo anno il problema
si presenterà ancora in forma più grave; non danno, di
fatto, un’agevolazione per le
supplenze in quanto gli stessi, avendo avuto, nel precedente anno scolastico, una
supplenza annuale, sono già
primi nelle varie graduatorie
d’Istituto e non hanno bisogno di alcuna graduatoria privilegiata; sono esclusi quelli
non inseriti nelle graduatorie
ad esaurimento e quelli che
non hanno diritto alla disoccupazione ordinaria. Per cui
saranno ben pochi gli inseriti
in questa graduatoria.
Inoltre l’indennità pagata a
questi pochi fortunati è costituita al 50% dalla disoccupazione ordinaria, già a carico dell’INPS, a cui i precari
hanno comunque diritto e che
verrà solo anticipata (ma sarà
poi vero?), l’altro 50% è a
carico delle regioni che per
pagare tale indennità saranno
costrette a ridurre i servizi ai
cittadini.
Ad ogni buon conto questa
è stata l’unica proposta del
governo e ritengo che non bisogna rifiutarla perché significherebbe negare ad alcuni
precari il minimo indispensabile per sopravvivere.