Anno_I_numero_05
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Anno 1, n. 5 • Settimanale gratuito di fatti e di opinioni • Reg. Trib. di Siracusa n°1509 del 25/08/2009 • E-mail: [email protected] • Direttore: Franco Oddo • Vicedirettore: Marina De Michele Sabato 31 Ottobre 2009 BOCCADIFUOCO PRIOLO PANTANO CUBA “Questo Comune non coinvolge le competenze” “L’ateneo Cumi nelle Case del Feudo Gargallo” Bono:“La Regione partecipi all’asta giudiziaria” PAG.4 (De Michele) PAG.2 PAG.11 (Perna) Salvatore Lantieri e Anna Floridia (UIL): “Il 60% dei contratti prevede il precariato” Con novanta mila disoccupati potrebbe esserci guerra civile Terremoto Augusta A venti anni dal sisma, Padre Prisutto e Licciardello dicono cosa è cambiato. A PAG. 12 (C. Italia) RISCHIA DI NUOVO IL FERMO Quel maledetto Alberghiero “Toglieremo i ponteggi e non faremo più nulla” Noto “La crisi occupazionale coinvolge ormai anche le nuove forme di lavoro che, se negli ultimi anni hanno comunque rappresentato un’espansione occupazionale offrendo occasioni di impiego, e quindi di reddito, per centinaia di migliaia di nuovi lavoratori, giovani diplomati, laureati e qualificati, oggi hanno determinato una deregulation del mercato del lavoro”. PAG. 6 (De Michele) In atto l’interramento di un’area del Porto Corrado Valvo “Vogliamo un turismo culturale e naturalistico, niente discoteche e chiasso”. A PAG. 9 (Lanaia) Avola L’assessore “Inseguiamo il progetto di una litoranea che colleghi Zuccara e Calabernardo”. A PAG. 8 A PAGINA 14 (Mainenti) “Oltre centomila metri quadrati di mare trasformati in terraferma per gli affari di pochi. Un’estensione pari a più di dieci volte piazza Santa Lucia. Si cementifica il mare nel silenzio dell’istituzione che più di altre dovrebbe vigilare. Cosa fa la Sovrintendenza di Siracusa?” A PAG. 4 L’8 novembre il ballottaggio PD tra Giuseppe Lupo e Giuseppe Lumia PRIMO PIANO SANTI NICITA 13 “Il sindacato superi le divisioni” GIARRATANA 2 Nel commercio rispettare le regole PSICHIATRIA 15 La legge 328 funziona a stento Con la Gelmini classe di 44 alunni Gentile pag. 16 E’ stato fissato per l’8 novembre il ballottaggio per eleggere il nuovo segretario regionale del Partito democratico. Lo ha deciso la commissione regionale per il Congresso che appunto ha convocato per domenica 8, alle ore 10, all’hotel San Paolo Palace l’assemblea del partito. Voteranno, a scrutinio segreto, i 180 delegati che sono così ripartiti: 71 per le liste collegate a Giuseppe Lupo, 56 per le liste che fanno riferimento a Giuseppe Lumia e 53 per quelle collegate a Bernardo Mattarella. Il ballottaggio si svolge tra Lupo, della mozione Franceschini, e Lumia, indipendente. Mattarella, della mozione Bersani, era stato ‘eliminato’ nelle primarie del 25 ottobre, alle quali era giunto terzo. A PAG. 11 2 31 Ottobre 2009 La struttura accoglierà anche una megabiblioteca e due Fondazioni culturali L’Università CUMI nelle Case del Feudo Gargallo a Priolo cedute al Comune in comodato d’uso per trent’anni di TOMMASO GARGALLO DI CASTEL LENTINI Il Consorzio Universitario “Megara Ibleo” realizzerà un nuovo Ateneo nelle Case del Feudo di Priolo Gargallo. Attualmente il C.U.M.I. gestisce due corsi di laurea dell’Università di Messina: Giurisprudenza e Chimica Industriale. Il presidente è Toni Margagliotto; l’amministratore delegato è Nello Caporale; proprietario del Feudo è il sottoscritto, Tommaso Gargallo di Castel Lentini. Giuseppe Santoro è l’architetto che ha redatto il progetto. La stima e l’amicizia che, ormai da tempo, legano il sottoscritto col Sindaco di Priolo Gargallo, Antonello Rizza, e più di recente col presidente e con l’amministratore delegato del Consorzio, sono state determinanti per prendere la decisione di avviare quest’ambizioso programma. Chi scrive ha dato in comodato d’uso gratuito per trent’anni (tempo adeguato per fondare un importante polo universitario) il Feudo al Comune di Priolo Gargallo, che a sua volta lo darà in utilizzo esclusivo al C.U.M.I. Così facendo, il Consorzio potrà accedere ai fondi europei e regionali per l’Università; le Case del Feudo risorgeranno a nuova vita, assicurando, come in origine, prosperità al paese. Certo, anticamente esse servivano principalmente alla difesa e all’organizzazione produttiva di quei fondi, vale a dire soprattutto al benessere fisico e materiale della collettività. Ora saranno utili soprattutto allo sviluppo culturale e sociale dei Priolesi; non vanno dimenticati, infatti, i vantaggi economici che l’Università è in grado di assicurare a tutto il territorio. Io non sono interessato però alla politica, bensì alla cultura: sono figlio di un professore universitario e fratello di altri due. Mio padre insegnava Storia della Storiografia Moderna (da Hegel ai nostri tempi) all’Università “La Sapienza” di Roma. A Lui sarà dedicata l’Aula Magna principale e vorrei far dedicare un’altra Aula Magna al mio caro e anche lui scomparso “zio”, Santi Luigi Agnello. Papà e zio Santi erano molto amici ed era un piacere vederli passeggiare per Ortigia discutendo di fondamentali argomenti di grande interesse storico sotto la loro bandiera della cultura. La famiglia Agnello e la Gargallo sono strette da amicizia ormai da quattro generazioni; anche il figlio di zio Santi insegna all’Università e quindi anche mio “cugino” Giuseppe fa parte della mia famiglia universitaria. Nel Feudo, una volta che sarà inaugurata l’Università, collocheremo le due fondazioni, quella Agnello e quella Gargallo, in locali appositi, unificando inoltre in un solo grande LETTERE AL DIRETTORE Giarratana (Unc): “Nel commercio bisogna darsi regole e rispettarle” Egregio dott.Oddo, ho letto l’articolo di Mazza: ”Sulla grande distribuzione ci vorrebbe il mea culpa di chi fece approvare la legge”. Non so chi dovrebbe dire mea culpa per l’attuale crisi economica e per il calo dei consumi. Mi sa di certo che si continua da parte di alcune Associazioni di Commercianti sulla stessa politica. Vero è che i costi di gestione aumentano. Sulla carta, Mazza dice bene: Aiutare il piccolo commerciante…” consigliando di vendere prodotti di buona e media qualità ma di prezzo contenuto… ; ma nella pratica ciò non avviene. I Centri Commerciali vendono a buon prezzo anche prodotti di marca. Si parla dei piccoli negozi; ché, poi, dobbiamo intenderci se per piccoli negozi s’intendono anche i super-mercati. Si pensi a chi ha 5-6 super-mercati e quindi fa grossi acquisti di merce e può vendere a buon prezzo come i Centri Commerciali. Sta di fatto che la gente è sempre più orientata verso i grossi Centri Commerciali per una serie di motivi: trova più vasta offerta di prodotti, più offerte di merce scontata, sicuri posteggi, servizi aggiuntivi, come il bar e altro. Il consumatore va dove ci sono più servizi, dove trova risparmio, cortesia e rispetto. Prima di parlare di “mea culpa” chiedete a vostra moglie dove fa la spesa, se si può spostare. Certo, le Pubbliche Amministrazioni possono aiutare i piccoli commercianti, ma solo per aumentare i servizi. Non possono spendere denaro pubblico se non per favorire i cittadini. Il commerciante deve capire che il Commercio si fa col capitale e questi deve nascere da un consorziarsi, dall’unità di categoria in un aiuto vicendevole. Con maggiore formazione, altresì, con comprensione delle parti. Il più grosso errore delle Associazioni dei Commercianti è quello di non volersi sedere con le Associazioni dei Consumatori per vedere il da farsi. Eppure noi l’abbiamo proposto sempre, anche dentro la Camera di Commercio che ci rappresenta tutti. Infine vorrei dire che i Commercianti che sono contro i Centri Commerciali, i quali anche loro necessitano di limiti e di regolazioni, soprattutto per l’occupazione, per la vendita del prodotto locale, devono considerare che se non si danno una regolata troveranno presto un ostacolo nella vendita dal produttore al consumatore, che si sta sviluppando sempre di più perché il Consumatore ricava un guadagno e un aiuto vista la crisi attuale. Che diranno? Impediranno la vendita diretta? Inoltre vorrei dire che ogni male viene dalla mancanza di regole. Libero commercio sino ad un certo punto: ma bisogna darsi delle regole e soprattutto rispettare quelle che ci sono, come approvare da parte dei Comuni i “Piani Comerciali“, la mancanza dei quali spesso è causa di contestazioni e fa proliferare esercizi non utili. organismo le considerevoli biblioteche di queste due famiglie, in cui la cultura è stata sempre di casa. La prima è quella più antica, iniziata da Tommaso Gargallo, il poeta e fondatore di Priolo, vanto per oltre due secoli di questa terra; e la seconda è quella della famiglia Agnello, che da tre generazioni sforna libri che costituiscono pietre miliari nella storia degli studi. Quindi, immaginate Priolo con un’Università nella sede più prestigiosa, intitolata al fondatore di Priolo: Tommaso Gargallo, ministro della Guerra, traduttore di Orazio, di Giovenale, illustre poeta, cultore del bello, viaggiatore instancabile, amico e consigliere dei potenti e degli scienziati europei dell’epoca. Questa “Città della Cultura”, costruita sui ruderi dell’antico feudo, sarà attrezzata con strutture all’avanguardia predisposte da un architetto priolese, Giuseppe Santoro, con aule adatte allo scopo per numero ed efficienza, una megabiblioteca di livello europeo, due fondazioni culturali, e ampi spazi per tutte le attività connesse: in conclusione, con questo progetto ci si propone di legare il nome di Priolo Gargallo alla cultura, allo studio, alla formazione dei quadri del futuro, e non più soltanto all’inquinamento industriale. il francosauro Sotto le lenzuola “Vedete, ciascuno ha i suoi peccatucci”, pare abbia confidato Silvio ai suoi più stretti collaboratori dopo lo scandalo Marrazzo. E in effetti l’ammogliato governatore del Lazio, col suo trans da cinquemila euro, ha riportato in pari il piatto della bilancia dove affondava Silvio con le sue escort e le minorenni che lo chiamano papi. “Non so più – mi diceva una signora – se i potenti sono lo specchio di una società profondamente corrotta o se a corrompere è il potere”. Amletico dubbio. Nella permanenza del quale, però, ai nostri politici provinciali diamo un consiglio: prima di coricarvi sbirciate sempre sotto le lenzuola. Può esserci una telecamera nascosta, un registratore, un amperometro, un nanometro (letteralmente inteso)… 3 31 Ottobre 2009 Per complessità di assistenza prestata ai pazienti (DRG) Cardiologia all’Umberto I° in vetta Mossuti: “Soddisfatto ma occorrono più posti letto più personale e almeno due sale per gli interventi” di PINO BRUNO Negli ultimi anni si è sviluppata sempre più in sanità l’idea che è utile, anzi necessario, misurare i risultati. Il concetto lascia perplessi coloro i quali pensano che sulla salute non possano essere applicati criteri cosiddetti “aziendalistici”. Ciò in parte è vero. Non si tratta però di programmare i servizi sanitari solo in base alla “produttività”, ma di tenerne conto in un sistema a risorse date e sempre più ridotte nel tempo, per migliorarne l’utilizzazione in relazione ai bisogni. La ricerca sui migliori indicatori di efficacia ed efficienza si è affinata sopratutto in ambito ospedaliero, che rispetto alla sanità territoriale ha una più facile misurabilità. Per gli ospedali esisteva già peraltro una decennale esperienza negli Stati Uniti, dove l’esigenza di misurare le attività di ricovero aveva avuto un grosso impulso legato al sistema assicurativo che finanzia la sanità di quel paese. Negli USA è infatti nato e si è sviluppato il sistema di remunerazione delle prestazioni ospedaliere a DRG (diagnosis related groups) che classifica i pazienti dimessi dagli ospedali per acuti. Tale sistema individua circa 500 classi statistiche tendenzialmente omogenee per quanto riguarda il consumo di risorse, la durata della degenza e, in parte, il profilo clinico. Con l’introduzione nel nostro sistema sanitario nazionale di questa nuova modalità di finanziamento delle attività ospedaliere basato sulla remunerazione delle prestazioni mediante tariffe predeterminate per ogni DRG, si è cercato di superare la precedente situazione di pagamento a piè di lista. Per ogni DRG esiste un peso relativo che rappresenta il grado di impegno relativo (sia in termini di costi che di impegno clinico) di ciascun DRG rispetto al costo medio standard per ricovero. Questo sistema si può definire isorisorse in quanto è orientato a descrivere la complessità dell’assistenza prestata al paziente, partendo dal principio che malattie simili, trattate in reparti ospedalieri simili, comportano approssimativamente lo stesso consumo di risorse umane e materiali. Tale sistema è stato quindi creato per poter predire la quantità ed il tipo di risorse utilizzate per assistere i pazienti. La lunga premessa era necessaria per chiarire i presupposti da cui siamo partiti per verificare quali reparti nella nostra provincia hanno ottenuto nel corso del 2008 i risultati migliori. Diciamo subito che non si tratta di una graduatoria di merito che comporterebbe la conoscenza anche di dati relativi all’efficacia, cioè all’esito del ricovero in termini di guarigione o di miglioramento della patologia; piuttosto un’analisi solo quantitativa del lavoro svolto dalle varie strutture ospedaliere comprese quelle private, del lavoro del singolo reparto e della complessità dei casi trattati nello stesso, dell’appropriatezza dei ricoveri. L’anno scorso sono stati complessivamente 86.981 i ricoveri effettuati da cittadini della provincia di Siracusa, 53.992 in regime ordinario e 32.989 in day-hospital, rispettivamente il 75% ed il 72% sono stati effettuati in Presidi della nostra provincia, il 25% dei ricoveri ordinari ed il 28% di quelli in day-hospital fuori provincia. Negli ospedali pubblici i ricoveri ammontano a 54.467, nelle case di cura a 15.579. I posti letto effettivamente attivati 889 (di cui 159 in day-hospital) nel pubblico, 385 (51 in day-hospital) nel privato. Nel dettaglio la comparazione che abbiamo fatto si basa sul calcolo del peso medio (cioè del valore medio in termini di complessità) dei ricoveri effettuati per singolo posto letto, sia in ogni Editrice: Associazione Presidio considerato complessiCulturale Minerva vamente che nei Via Simeto, 4 - Siracusa vari reparti che lo compongono. Tel. 0931.462633 La prima considerazione che Direttore: Franco Oddo si può fare, una Vice direttore: Marina De Michele conferma rispetto agli anni preStampa: Tipolitografia Geny cedenti, è l’alto numero di ricoCanicattini Bagni (SR) veri fuori provinRedazione, Amministrazione: cia: ben 19.908 tra ricoveri ordiViale Teocrito, 71 - Siracusa nari e in day-hospital; ulteriore Pubblicità: cell. 333.3344408 conferma è rape-mail: [email protected] presentata dalle “fughe” verso la Reg. Trib. di Siracusa n°1509 provincia di Catania e, ancor più del 25/08/2009 eclatante perchè poco comprensi- bile, verso quella di Ragusa. Il secondo dato riguarda i tassi di occupazione, che sono rispettivamente del 72% nelle strutture pubbliche e del 48% in quelle private; percentuali che non sembra siano state considerate dall’assessorato nell’assegnazione dei posti letto nella nostra provincia. Più articolati i risultati in termini di appropriatezza dei ricoveri ordinari e dei punti ottenuti per singolo posto letto; entrambi mediamente migliori per le strutture pubbliche, ma con buoni indicatori anche in qualche struttura privata: casa di cura “Villa Azzurra”. I ricoveri in day-hospital segnano invece un alto indice di inappropriatezza per le cliniche private, una discreta percentuale di queste prestazioni potevano essere effettuate a livello ambulatoriale ovviamente con una minore remunerazione. Il miglior reparto per i ricoveri ordinari, ripetiamo in termini quantitativi, si dimostra quello di cardiologia dell’ex azienda ospedaliera Umberto I°. Totalizza più di 200 punti per posto letto, con un’alta complessità media delle prestazioni e un tasso di occupazione che supera il 100%, ad indicare evidentemente l’uso anche di ricoveri fuori reparto o dell’aggiunta di posti letto (barelle). Buoni anche i risultati dell’oncologia dell’ospedale di Avola e dell’unità coronarica di quello di Augusta con punteggi superiori a 100. Primo reparto tra le strutture private è il reparto di urologia di Villa Azzurra che totalizza 91,68 punti per posto letto. Non è possibile effettuare analoga comparazione per i ricoveri in day-hospital poichè nelle strutture private i dati forniti dall’assessorato sono cumulativi e non suddivisi per disciplina. Negli ospedali pubblici i migliori risultati sono stati ottenuti dalla chirurgia di Avola, dall’ortopedia di Noto, dalla medicina di Augusta, dalle malattie infettive dell’Umberto I°, dalla chirurgia di Lentini, quest’ultima con la miglior performance in assoluto. Una particolare attenzione abbiamo CLASSIFICA PER STRUTTURA / ORDINARI PRESIDIO POSTI TASSO LETTO OCCUPAZIONE ORDINARI OSP. AVOLA OSP. NOTO OSP. AUGUSTA OSP. LENTINI OSP. UMBERTO I° * C.C. SANTA LUCIA C.C. VILLA MAURITIUS C.C. VILLA SALUS C.C.VILLA AZZURRA C.C. N. VILLA RIZZO * escluso Osp. Rizza 73 79 110 122 301 50 43 165 36 40 72,1 70,4 47,1 68,6 85,9 27,9 71,7 49,2 62,3 35,2 Negli ospedali pubblici i migliori risultati sono stati ottenuti dalla chirurgia di Avola, dall’ortopedia di Noto, dalla medicina di Augusta, dalle malattie infettive dell’Umberto I°, dalla chirurgia di Lentini, quest’ultima con la migliore performance posto sui reparti di oncologia presenti nella nostra provincia, dove sono evidenti le differenze di risultati che giustificherebbero una diversa distribuzione dei posti letto. In conclusione abbiamo chiesto un commento al “primario” della cardiologia dell’Umberto I°, dott. Ernesto Mossuti. “Sono ovviamente soddisfatto dei risultati del reparto che non conoscevo in maniera così analitica. Tra l’altro quest’anno e ancor più con la riunificazione delle aziende vi sono dei ritardi nell’invio dei report con i dati dei ricoveri.” Dai dati dell’assessorato salta subito agli occhi l’alto tasso di occupazione, significa che ricoverate fuori reparto o siete costretti ad aggiungere posti letto? “Entrambi le cose, ma soprattutto dobbiamo far uso di barelle poiché spesso i pazienti, in condizioni serie per l’età avanzata o per la concomitanza di altre patologie, necessitano di costante controllo che non può essere fatto con appoggio in altro reparto. E’ ovvio che avremmo bisogno di più posti letto e di un incremento dell’organico”. In questo eccessivo carico di lavoro per voi influisce anche una carenza nel resto della provincia? “La collaborazione con le altre cardiologie è ottima, cerchiamo di lavorare in rete e in tal senso è già stato fissato un appuntamento con la direzione generale proprio per discutere come è possibile migliorare ulteriormente l’organizzazione. Non c’è dubbio che l’attivazione del reparto di cardiologia dell’ospedale di Avola ridurrebbe il sovraccarico su Siracusa e consentirebbe una più omogenea distribuzione sul territorio degli interventi sulle patologie cardiache acute. Per questo ne auspichiamo al più presto l’apertura, anche per ridurre le fughe verso la provincia di Ragusa”. Una domanda è d’obbligo sull’emodinamica, sappiamo che da aprile è stata attivata l’H24 cioè la presenza o la reperibilità dei medici per l’intero arco della giornata. % INAPPROPRIATE ZZA PUNTI X POSTO LETTO 11 10 16 12 8 17 18 21 4 4 49,34 52,12 40,28 55,17 71,59 40,02 43,94 30,10 78,27 37,15 Esistono ancora criticità per questo tipo di prestazioni importantissime, anche in considerazione che è l’unica struttura in provincia? “E’ giusto che, in risposta alle tante pressioni venute dall’opinione pubblica, si sia data risposta all’esigenza di avere il servizio aperto per l’intera giornata. Questo però comporta che ci sia altrettanto giustamente un congruo adeguamento dell’organico che rimane invece carente. Altrettanto giustamente sarebbe necessario avere almeno due sale per gli interventi con la tecnologia necessaria, per evitare di poterci trovare in seguito ad improvvisi guasti delle apparecchiature a non garantire il servizio. “Quello dell’adeguamento tecnologico è un problema che riguarda comunque non solo l’emodinamica, ma tutto il reparto. Abbiamo necessità ad esempio di un nuovo ecocardiografo, quello attualmente in uso, diciamo con una battuta “la mattina si accende a spinta”. Tutti i letti dell’unità coronarica dovrebbero essere messi fuori uso e gli stessi locali della terapia intensiva sono francamente inadeguati per gli otto posti letto che vi sono collocati”. Il dott. Mossuti ci saluta e torna ai suoi pazienti sottolineandoci che i buoni risultati sono comunque il frutto del lavoro di tanti collaboratori, medici, infermieri e personale di supporto. 4 31 Ottobre 2009 Amministratori spavaldi non temono il giudizio della cittadinanza avveduta I siracusani espropriati del Porto Grande. Le decisioni assunte da gruppi di potere consorziati fra di loro di MARINA DE MICHELE Il dibattito aperto sul nuovo assetto del porto di Siracusa, al di là del merito della questione, evidenzia il male profondo della nostra vita organizzata, collettiva. È solo un ennesimo tassello che si aggiunge a quello dei villaggi turistici programmati sulla costa, a un’espansione incontrollata caotica eppure autorizzata del tessuto urbano, all’assedio dei centri commerciali che strozzano l’economia locale, al modello hollywoodiano adottato per il recupero e la presunta riqualificazione del nostro centro storico, e via discorrendo. Un’amministrazione attiva del tutto autoreferenziale e sorda non solo alle istanze che provengono dal basso ma anche ai richiami di legittimità degli atti che vede quali promotori associazioni ambientaliste, comitati spontanei per la difesa paesaggistica, privati cittadini, che dimostrano, nei fatti, maggiore competenza giuridica rispetto a chi, per funzione propria, dovrebbe avere piena consapevolezza di norme e regolamenti: il caso della Vas per il villaggio Acquamarina è insieme eclatante e preoccupante. “Pochissime (forse meno delle dita di una mano) intelligenze, che riconosciamo di alto valore, riescono oggi ad assicurare alla città quell’aderenza alla legalità che tutela Siracusa dalle incursioni pirate di amministratori improvvisati e nullafacenti per professione, uniti dal cemento forte degli interessi del mattone e della speculazione”, osserva l’avvocato Corrado Giuliano del Comitato Parchi. La percezione diffusa è che a decidere non sia la collettività attraverso i propri rappresentanti bensì gruppi di potere consorziati attraverso i propri terminali. Da un lato gli incontri, i tavoli tecnici, gli appuntamenti per condividere quelle che si dicono essere le scelte strategiche per il futuro della città (Agenda 21, il Piano strategico, il Piano di sviluppo sostenibile e molto altro ancora), dall’altro le decisioni carsiche che trovano la loro definizione e formalizzazione in conferenze dei servizi organizzate, per quanto possibile, al riparo dall’attenzione dei media. Ai question time che vedono la partecipazione attenta e appassionata spesso soprattutto degli ingenui, di quelli che ancora credono nel significato alto della politica, si risponde con il silenzio, con il sistema della decantazione. Si aspetta semplicemente che passi il clamore, che si spengano i riflettori per tornare a operare nell’ombra, senza un confronto aperto e libero che I lavori di riempimento di un tratto di mare nel Porto Grande chiami alla discussione la parte migliore della cittadinanza. Non si usa quasi più rispondere alle interrogazioni dei consiglieri, come quelle rivolte in particolare da esponenti dell’opposizione: Di Giovanni, Richiusa, De Benedictis, Castelluccio, Garozzo e altri, ma se per un calcolo ragionato ciò avviene, le risposte sono incomprensibili come i responsi della Sibilla e lasciano irrisolti dubbi e perplessità. Certo va ascritta una buona dose di spavaldo coraggio agli amministratori della città che procedono in scelte per le quali non sembrano temere il giudizio della storia, la responsabilità pesante di stravolgere l’aspetto di una città considerata un gioiello prezioso del nostro patrimonio nazionale. L’assedio sfrontato alle mura dionigiane, laddove nello stesso piano regolatore si è fantasticato un irrealizzabile grandioso parco archeologico, ha nella villa Frontino (una ristrutturazione!) l’avamposto più oltraggioso. La costruzione di cooperative-alveari fino al limite estremo del costone dell’Epipoli sono la tomba oscena del magnificato sky line della culla di Archimede. La splendida baia di un porto storico viene stravolta da una smania ingorda di costruire sull’acqua per maggiori profitti perché non paghi di realizzazioni altrettanto moderne ed economicamente vantaggiose ma più rispettose dei luoghi, della natura. Il porto piccolo, lo stesso che in anni lontani si voleva colmare, viene intasato da approdi infiniti che precluderanno per sempre i suoi tesori sommersi. Le ingenti risorse per la rivitalizzazione di Ortigia stanno producendo un museo all’aperto senz’anima, senza vera vita, ancor di più oggi che svanisce il sogno della cittadella universitaria, per restare sola proprietà dei nuovi colonizzatori. Il rag. Alfredo Boccadifuoco: “L’amministrazione non ascolta i consigli di chi ha competenza” De Benedictis: “100mila mq di mare trasformati in terraferma per gli affari di pochi. Cosa controlla la Soprintendenza?” Due punti di vista apparentemente opposti, eppure con punti di contatto e complementari, quello del più importante operatore del settore diportistico a Siracusa, almeno il 90% del traffico marittimo, e di uno dei politici più rappresentativi della città. Da una parte la fiducia in un settore in espansione tale da portare beneficio all’intera economia cittadina, dall’altra la preoccupazione per i possibili danni a un patrimonio paesaggistico unico al mondo. Convergente invece la critica all’amministrazione Visentin: l’uno per un’autoreferenzialità che esclude l’apporto di competenze e esperienze sul campo, l’altro per decisioni che negano il senso stesso del vivere democratico: la partecipazione dei cittadini, degli amministrati, degli elettori. Per Alfredo Boccadifuoco, titolare della principale agenzia marittima della città, la riqualificazione del porto grande di Siracusa è un obiettivo necessario per lo sviluppo della città ed è soprattutto necessario far presto, “abbandonare le diatribe sui posti di sottogoverno che rallentano da mesi l’attività amministrativa e nulla giovano a un’economia in grave soffe- renza” e invece dare nuovo input alla realizzazione dei lavori di adeguamento delle nuove banchine di attracco. “Un’indecenza che ancora si rinvii il termine di sistemazione a mare dei cassoni per le banchine del Foro Italico: l’ultima ipotesi di dicembre, con i tanti lavori ancora da ultimare, appare del tutto inattendibile. Avevamo suggerito di realizzare questi enormi manufatti in calcestruzzo sul molo Sant’Antonio, in un luogo vicino ma non così frequentato come quello scelto, non si sa secondo quale logica. Con il pontone acquistato dall’impresa appaltatrice non si sarebbe incontrato nessun ostacolo nel trasportarli al momento opportuno. Per mesi, proprio nel periodo più importante per il turismo, con grave danno economico per le attività commerciali e di ristoro, si è impedita la fruizione di una delle passeggiate più suggestive della città”. Lavori mal organizzati quindi, come più volte ripetuto anche dal presidente della Confesercenti Arturo Linguanti che, nonostante gli sforzi profusi e gli accordi portati a termine, non è riuscito a realizzare il suo sogno di vedere collegamenti stabili con Malta. “Tuttavia, nonostante ciò, le tante difficoltà – continua Boccadifuoco –, siamo riusciti a portare qui, a Siracusa, 40 navi da crociera e oltre 100 megayacht. Un traffico, quest’ultimo, in crescita progressiva: un’ottantina nel 2007, circa 90 nel 2008 e un centinaio quest’anno. E si potrebbe anche fare di più se questa amministrazione, con cui la collaborazione non è quella realizzata con il sindaco Bufardeci, fosse più aperta e disponibile ad ascoltare i suggerimenti di chi ha maggiore competenza, a cogliere l’opportunità di collaborazioni che invece non cerca, chiusa nella propria supponenza”. Le possibilità individuate da Boccadifuoco sono di inserimento nel mercato crocieristico tramite contatti più proficui con le fiere specialistiche a livello mondiale come Miami, “non il salone di Genova, come si è fatto, utile semmai a chi voglia farsi la barca nuova”, evidenzia. Critico nei confronti delle scelte dell’amministrazione, colpevole di sudditanza nei confronti dei poteri forti, l’onorevole Roberto de Benedictis. “Oltre centomila metri quadrati di mare, patrimonio di tutti, trasformati in terraferma per gli affari di pochi. Un’estensione pari a più di dieci volte piazza Santa Lucia. Si cementifica il mare nel silenzio dell’istituzione che più di altre dovrebbe vigilare sui nostri beni culturali. Cosa fa la Sovrintendenza di Siracusa? Cancellati gli attracchi per i pescherecci che erano stati promessi, quelli che avrebbero dovuto rappresentare la contropartita per la costruzione del porto Marina di Archimede. Una nuova moderna colonizzazione occupa la nostra città”. Per il deputato regionale vengo- no disattesi gli stessi strumenti di pianificazione su cui si è a un certo punto anche discusso ma che evidentemente rappresentavano solo inutili studi: il master plan, il piano strategico, il piano di sviluppo sostenibile e altri ancora. Studi nei quali, vale la pena di ricordarlo, non mancavano osservazioni critiche su quanto si andava a realizzare con il porto Marina di Archimede della società Acqua Marcia di Caltagirone: “E’ da constatare che non sempre le program- mazioni e le progettazioni in atto valorizzano queste (di Siracusa) importanti testimonianze storiche, ne è un esempio il progetto del porto turistico a Porto Grande, di recente approvato, che ipotizza di localizzare le funzioni previste in nuovi volumi, senza una connessione organica con l’esistente”. Queste le osservazioni nel Piano di sviluppo sostenibile e questa l’opinione di molti, tranne che dei nostri amministratori! Marina De Michele 31 Ottobre 2009 5 Il Porto Spero meglio chiamarlo Porto Di Stefano. L’odore degli affari è fortissimo Di Lorenzo: “Perchè l’ex presidente Centaro non si occupa dei futuri servizi portuali? Vigilanza, parcheggi, ristoro...” Già lo chiamano Porto Spero dal nome del vecchio oleificio il cui scheletro è il più evidente simbolo del degrado di uno dei luoghi più belli di Siracusa. Il litorale del Porto Grande, abbandonato all’incuria e alla sporcizia, costellato di edifici abbandonati, di orribili capannoni industriali, anche di un tentativo di circolo nautico, rappresenta il più struggente rimpianto dei siracusani, di chi ha nel cuore questa città. Probabilmente non vi è, tra i cittadini o tra i visitatori, chi non abbia pensato, almeno una volta, a quale tesoro la natura abbia donato ad amministratori da generazioni inetti, a come sia stato possibile nel tempo non riqualificare un’area negata a tutti, espropriata alla libera pubblica fruizione e negletta. Nello studio di fattibilità per l’attuazione del piano di sviluppo sostenibile della città di Siracusa si prevedeva la realizzazione di una pista ciclabile che collegasse Ortigia con la riserva naturale orientata dell’Anapo-Ciane anche questa impreziosita da una strada solo per le due ruote: 34 km complessivi! Un progetto complesso, un investimento di 750mila euro, ritenuto strategico e da realizzare in due fasi: la prima, attuata a partire dalla disponibilità di passaggio nelle aree in uso all’Aeronautica militare, passando al confine interno della spiaggia esistente, mediante un intervento “leggero”, connotato da costi contenuti e facilità di di MARINA DE MICHELE rimozione; nella seconda fase un intervento più ampio, di totale ridisegno della fascia litoranea dei Pantanelli con l’eliminazione delle strutture produttive e commerciali preesistenti e la creazione di una viabilità di scorrimento interna, atta ad alleggerire dal traffico la fascia costiera e permetterne la riqualificazione ambientale e paesaggistica. Ma già in questa progettazione i tecnici da una parte evidenziavano che il tratto di pista ciclabile alle porte dell’area militare come nei piazzali della Capitaneria, del Molo Sant’Antonio e della zona dei pescherecci non presentava problemi perché era possibile un’ampia possibilità di passaggio, dall’altra la “criticità” costituita dal progetto del porto turistico di Caltagirone “che non prevede un collegamento pubblico, passeggiata o pista ciclabile, a filo del litorale”. E infatti precisavano che, nella successiva definizione del progetto, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto “concordare tale modifica progettuale con il soggetto attuatore del porto”. Inutile dire che, per quanto riguardava l’area Spero, si indicava solo la necessità di modificare la recinzione attuale rifacendone una che, pur garantendo gli standard di sicurezza, avesse un minore impatto visivo. Favole, fantasie, da dare in pasto ai creduloni, mentre la realtà è data da quella misteriosa Stu, la società di trasformazione urbana, che, ne siamo certi, continua a definirsi nell’ombra e di cui evidentemente il nuovo porto turistico non è che la prima evidente appariscente manifestazione. “Porto Spero”: ma se definiamo il Marina di Archimede come il porto di Caltagirone, sarebbe opportuno definire questo il Porto Di Stefano, Alvaro Di Stefano, che, secondo quanto si dice e si conferma da più parti, è a capo di una cordata di imprenditori e di notabili, locali e non, interessati a investimenti nell’area. Nomi che tornano, che abbiamo già sentito, così come sono sempre le stesse le operazioni che si propongono. È del luglio 2008 l’improvviso e temporaneo infiammarsi sulla destinazione dell’area dell’aviazione in via Elorina che si diceva fosse in dismissione. Allora il professore Roberto Fai aveva messo in guardia da “eventuali interessi speculativi su un’area molto vasta, di grande pregio paesaggistico per la posizione sul mare, e soprattutto in una zona che, con la costruzione del nuovo porto turistico e con iniziative di trasformazione urbana già avviate, sarà, senza alcuna ombra di dubbio, oggetto di grande interesse da parte di imprenditori e affaristi” e nell’eventualità di una sua dismissione ne auspicava “una trasformazione “civile” in un’ottica di interesse collettivo”. Il timore dunque è che, come purtroppo spesso accade, l’intervento dei privati, indispensabile per assicurare risorse altrimenti introvabili, sia tale da fagocitare tutto e non solo quanto costituisca il giusto ed equo profitto per onerosi investimenti. Il rischio è ancora una volta la privatizzazione, il muoversi di interessi che restano occulti e che non sono del tutto leciti. Sembra essere questa la preoccupazione di Giovanni Di Lorenzo: “Non basta lamentare la cementificazione del mare. Le domande devono essere a più ampio raggio, chiarire il quadro generale degli interessi che si muovono all’interno dell’area portuale, su terreni non privati ma demaniali, dati in concessione. Il senatore Roberto Centaro, in quanto ex presidente della commissione antimafia, perché non si occupa della futura gestione dei servizi portuali? Della vigilanza, dei parcheggi, delle attività di ristoro? Perché non si affronta il tema della svendita, del regalo degli immobili comunali? L’odore degli affari si fa sempre più forte come quello della spazzatura e delle fognature di questa città. Va detto anche un’altra cosa. Le obiezioni del Genio civile opere marittime sono state in sostanza pregiudiziali, il parere è stato contrario per una serie di rilievi tecnici fondamentali. Ma anche se si dovessero superare questi ostacoli, dov’è la partecipazione della città? Quest’amministrazione appare del tutto autoreferenziale e prona ai desiderata dei predecessori”. Un progetto del tutto discutibile questo di Porto Spero per il quale non sappiamo neanche se siano state effettuate adeguate analisi geognostiche e delle correnti marine. Il rischio potrebbe essere di un interramento del porto grande o in ogni caso di uno sconvolgimento di delicati equilibri. Quale sia l’effetto dell’intervento umano sui litorali è facilmente riscontrabile considerando quanto accaduto ad Avola, dove proprietari di stabilimenti balneari vedono sfumare i propri investimenti proporzionalmente allo scomparire della sabbia a causa delle modifiche realizzate sulla costa, tra l’altro lasciate incomplete, oppure, spingendoci fino a Marina di Ragusa, constatare come il nuovo porto turistico, già in concorrenza con quello che ancora non è nato nella nostra città, abbia modificato tutto il litorale a levante formando una spiaggia profonda laddove il mare lambiva quasi l’abitato. “L’avanzamento della costa dinanzi alla Marina restringerà anche gli spazi del molo pescherecci” Ansaldi (Comitato Parchi): “Una jattura la cementificazione dei giardini dell’Aeronautica Militare su via Elorina” di GIUSEPPE ANSALDI* Con la nuova previsione progettuale del secondo Porto Turistico della Spero ai Pantanelli l’assalto al Porto Grande di Siracusa segna un altro punto a favore della speculazione. Dalle cronache si evince che l’opera che andrà ad invadere e cementificare i giardini dell’Aeronautica militare sulla Via Elorina, che andrà probabilmente a scalfire con profondità gli ambiti delicatissimi del Sito di Interesse Comunitario a protezione del sistema dei fiumi Ciane Anapo e Saline, ha già maturato ben tre conferenze di servizi nel silenzio dell’opinione pubblica, nell’assenza dell’opposizione e del confronto cittadino, al riparo dalle stesse voci ordinariamente dissonanti lasciate tutte volutamente all’oscuro di quanto andava cucinandosi negli uffici comunali. E’ chiaro che sono sempre gli stessi interessi del mattone a fare da apripista alle scelleratezze urbanistiche e territoriali, è chiaro che il nuovo progetto di Porto Turistico oltre a sovrapporsi al Porto Turistico Marina di Archimede, addirit- tura abbracciandone l’intero perimetro, invade e cementifica il mare residuo di quell’ansa di Porto. Stiamo assistendo all’interramento crescente delle aree concesse alla Marina di Archimede, un avanzamento di costa che precluderà per sempre alla città la fruizione di quel percorso lungo i Pantanelli che da Ortigia avrebbe potuto snodarsi sino alla riserva Ciane e Saline, in un eccezionale contesto che è oggi in corso di irreversibile privatizzazione. Ora alla devastazione in corso della Marina di Archimede si aggiungerà anche quella della Società SPERO, che sembra avere acquisito in questa progettazione tutte le residue aree a verde dell’Aeronautica Militare, che avanzerà il profilo costiero interrando quella porzione di Porto sino ad oggi, pur in degrado, libera da costruzioni invasive e peraltro contraddittoriamente oggetto delle previsioni “dolci” del programma del water front. Sarebbe bastata una manutenzione costiera compatibile con i valori paesaggistici del sito per restituire alla città quella porzione di arenile sino alla Riserva del Ciane; la pista ciclabile di recente realizzazione ne è una prova manifesta. Con questa ulteriore proposta inoltre si mortificano oltre che gli interessi collettivi anche quelli della marineria peschereccia; sembra infatti, dalla rappresentazione grafica, che il nuovo porto turistico andrà a prevedere nella parte prospiciente la Marina di Archimede un avanzamento di costa che impedirà al costruendo nuovo molo pescherecci, promesso da Acqua Marcia, di riceversi le imbarcazioni per il restringi- mento radicale dello specchio d’acqua antistante il progettato molo, con compromissione di ogni ragionevole spazio di manovra. Il Comitato Parchi, in attesa di migliori approfondimenti, invita il Sindaco e la Capitaneria di Porto a porre una moratoria all’iter autorizzativo del nuovo progetto. Invita le amministrazioni interessate a dare corso a nuove conferenze di servizio che consentano una rappresentanza di tutti gli interessi coinvolti, impedendo che nel silenzio vengano consumate scelte di gravissimo impatto ambientale ed economico per tutta la cittadinanza e al servizio degli interessi speculativi più irresponsabili. Il Comitato Parchi osserva con crescente preoccupazione le aggressioni che la città sta subendo, da Epipoli con la inquietante vicenda della Open Land, a Tremilia invasa ormai da edificazione selvaggia priva di qualità, alle iniziative di invasione costiera al Plemmirio e a Terrauzza, alla deregulation pervasiva delle iniziative in Centro Storico. Invita le istituzioni chiamate al governo del Territorio ed alla tutela ambientale ad adottare quei provvedimenti di assoluta garanzia per i patrimoni collettivi, che sino ad oggi hanno stentato ad essere emessi. Impegna la Soprintendenza ad esercitare ogni potere di controllo e di rigore per impedire l’ulteriore scempio, a dare un stop alle iniziative edificatorie in aree sottoposte a vincolo, e già sature. Si torni al progetto di corridoio ciclabile da Ortigia sino alla Riserva Ciane ed al Faro Carrozzieri, restituendo così a quell’ansa del porto naturale la sua eccezionale e naturale destinazione, di fruizione collettiva e di esaltazione dei valori naturalistici ambientali ed urbanistici della città. * Comitato Parchi 6 31 Ottobre 2009 Salvatore Lantieri e Anna Floridia (Uil): “Siamo al 60% di contratti precari” “Con 90mila disoccupati dovrebbe esserci una guerra civile Non accade perché il lavoro c’è ma nelle forme meno regolari” di MARINA DE MICHELE Nel settore servizi (turismo commercio terziario) come nel comparto edile e metalmeccanico la percentuale del lavoro cosiddetto atipico, precario, rispetto ai contratti a tempo indeterminato, ha raggiunto, nella provincia di Siracusa, quota sessanta. Tutto sotto l’egida della flessibilità quindi, e a goderne i benefici sono soprattutto le aziende che, dal ricorso perlopiù fuori controllo alla vasta tipologia dei contratti a termine, realizzano risparmi consistenti. Per il lavoratore invece, più che la possibilità di accedere con maggiore facilità al mondo del lavoro, un futuro di instabilità e precarietà. E ad aggravare il quadro una flessione sempre più marcata delle stesse “missioni di lavoro”: il 30% in meno come denuncia Salvatore Lantieri, responsabile provinciale della UIL. “La crisi occupazionale coinvolge ormai anche le nuove forme di lavoro che, se negli ultimi anni hanno comunque rappresentato, per certi versi, un’espansione occupazionale offrendo occasioni di impiego, e quindi di reddito, per centi- naia di migliaia di nuovi lavoratori, giovani diplomati, laureati e qualificati, oggi hanno determinato una deregulation del mercato del lavoro. Si può dire senza tema di smentite che ormai nessuno più procede con vere assunzioni”. “Il terziario rappresenta forse l’anello più debole in questo contesto - evidenzia Anna Floridia, segretaria provinciale della UILTuCS – La molteplicità delle aziende, spesso piccole, che lo caratterizzano, diventa elemento di frantumazione e di debolezza dello stesso movimento sindacale perché il dipendente è più facilmente oggetto del mancato riconoscimento dei propri diritti e non può fare molto per reagire perché rischierebbe di perdere il posto. Nei grandi stabilimenti industriali i molti iscritti al sindacato costituiscono una forza che ha peso nelle trattative e negli accordi tra le parti, nel nostro comparto invece sono tantissimi quelli che elemosinano un qualsiasi impiego per un qualsiasi salario”. Quasi impossibile, secondo Floridia, esercitare un efficace controllo sulla legittimità dei contratti a termine, compito che spetterebbe alla guardia di finanza come all’ispettorato del lavoro. La presenza di “leggi e leggine” complica il quadro normativo e offre spesso l’occasione per comode scappatoie, danno una parvenza di regolarità a ciò che è invece illegale. È soprattutto la grande distribuzione ad accedere a piene mani agli strumenti della flessibilità: apprendistato, interinale, contratti di inserimento e ancora altro. Si ricorre al lavoro interinale non solo per sostituire personale assente per brevi periodi, come accade spesso nel settore della ristorazione, o allorquando si verifichi un’eccedenza di lavoro (altra natura hanno i contratti stagionali), ma anche per effettuare straordinari, come accade quando occorre predisporre gli inventari della merce. Se il contratto di apprendistato è fasullo perché non si accenna nemmeno a un percorso di formazione, il lavoratore interinale, oggi presente anche nella pubblica amministrazione, viene utilizzato per mansioni sempre diverse, rinunciando così al mito della qualità, cioè della professionalità, o lo si fa transitare, quando possibile, da una società all’altra dello stesso gruppo imprenditoriale. Un metodo invalso nelle strutture di ristoro è assumere tutti al livello più basso, quello per le pulizie, e poi assegnare mansioni diverse: da banconista, cameriere ai tavoli ecc., mentre nel turistico si esternalizzano i servizi in modo che sia più semplice assumere licenziare e poi riassumere. L’insicurezza del posto di lavoro rende il lavoratore più facilmente sfruttabile anche perché si coltiva in lui la speranza di poter raggiungere prima o poi, riuscendo gradito al datore di lavoro, un contratto a tempo indeterminato. E così gli si chiede di dare oltre il massimo possibile. Sul momento si accetta tutto tacitamente, spesso non sapendo neanche con esattezza con quale tipo di contratto si sia stati assunti dal momento che, con la “comunicazione telematica”, tutti i passaggi vengono espletati direttamente dallo stesso datore di lavoro, in genere poco o per nulla disponibile a chiarire poi il rapporto contrattuale, né il lavoratore osa insistere proprio per non mettersi in cattiva luce e rischiare di ritrovarsi senza un mensile. Le vertenze di lavoro si aprono solo dopo che è subentrato il licenziamento o non è stato rinnovato il contratto. Per la Uil il trend medio di cause di lavoro si muove intorno alle 60-70 all’anno, sicuramente meno di quante siano quelle della più potente Cgil. E se fino a un paio di anni fa la sezione lavoro del foro siracusano era abbastanza efficiente (in genere due anni per ottenere una sentenza) per la presenza di quattro magistrati, oggi, con l’organico ridotto a solo due unità, le previsioni di veder riconosciuti in tempi brevi i propri diritti sono sconfortanti. A rallentare inutilmente i tempi interviene anche il passaggio attraverso il tentativo obbligatorio di conciliazione, perlopiù improduttivo: un’ulteriore perdita di tempo di almeno 60 giorni. “Le agenzie di lavoro – aggiunge Lantieri – che tra l’altro sarebbero tenute a versare una sorta di fideiussione, 600mila euro, per garantire eventuali problemi per i lavoratori, dovrebbero in realtà procedere a regolari assunzioni, fare attività di formazione e poi facilitare l’incontro tra domanda e offerta. Ma nella pratica reale hanno ormai assunto la funzione di LETTERE AL DIRETTORE foto di Tiziana Blanco Gli auguri di Aldo Formosa Caro Franco, ho letto stamattina il primo numero de “La Civetta” e in particolare il tuo editoriale. Conoscendoti, da te non potevo aspettarmi di meno. Abbiti i miei sinceri complimenti, e da cittadino faccio voti che questa tua iniziativa abbia una vita lunga e proficua di successi: nell’interesse della Polis! Ti prego di estendere le mie felicitazioni ai tuoi soci, alcuni dei quali conosco, e ai tuoi collaboratori. Un fraterno abbraccio. Con la stima di sempre, Aldo Formosa La lettera è datata 3 ottobre. L’abbiamo ricevuta con molto ritardo poiché in busta non era citata né l’associazione né la testata del giornale. Ringraziamo il collega e prestigioso regista siracusano per l’attestazione di stima. Per il successo del giornale ce la metteremo tutta. Il direttore una partita di giro del lavoratore e se ne fa un uso strumentale per l’abbattimento del costo del lavoro, lavoro che viene visto solo in funzione del costo stesso e non della sua finalizzazione. I tanti strumenti della flessibilità dovrebbero essere usati dalle imprese per migliorare il livello del proprio target mentre sono utilizzati solo ed esclusivamente in una logica di risparmio. Sono ormai tutti i comparti ad essere dominati dalla precarietà. Tra gli edili, se da una parte si va esaurendo il filone dei contratti di apprendistato (esaurito il tempo previsto dalla legge per l’abbattimento del costo del lavoro non si può riproporre se non con l’assunzione a tempo indeterminato), dall’altra aumenta il ricorso al tempo determinato che non dovrebbe superare il 25% della forza lavoro a tempo indeterminato ma che, nel caso di alcune ditte - la Solesi è una di queste –, sfiora il 50%. Sono anche sempre più presenti i contratti part-time, anch’essi ammessi, teoricamente, con una quota del 3% rispetto alla forza lavoro a tempo indeterminato. Si tratta in effetti di una tipologia che ha un solo obiettivo: fare in modo che, grazie alla flessibilità degli orari di lavoro, nell’eventualità di un’ispezione degli organismi preposti, il lavoratore risulti formalmente in regola. In poche parole diventa quasi impossibile verificare quali siano le effettive ore di prestazione. Stessa situazione anche tra i metalmeccanici. Con una novità: la ditta Sinaservice attraverso la società Manpower utilizza il personale interinale, come la Sai8”. Quali le valutazioni per Lantieri? “Emerge un dato inoppugnabile: le varie forme di flessibilità introdotte dalla legge 30 e dal relativo decreto sono utilizzate dalle imprese esclusivamente per l’abbattimento del costo del lavoro e comportano un restringimento oramai soffocante dei diritti dei lavoratori. Ma non basta condannare la legge e attendere che si modifichi. Diventa urgente una risposta del sindacato siracusano al fine di tutelare da subito i lavoratori. Lo strumento per un’immediata risposta è stato ampiamente collaudato nel settore degli edili con l’introduzione del DURC (Documento Unificato Regolarità Contributiva) che, come ha evidenziato Severina Corallo, segretaria della Feneal-UIL, ha permesso un’emersione del lavoro nero che ha superato ogni aspettativa. Occorre ora migliorare questo strumento con l’inserimento della congruità che consiste nel mettere a confronto, per una verifica, la compatibilità dell’opera realizzata con il numero di persone impiegate, i costi della sicurezza, i versamenti dei contributi e il margine di profitto dell’impresa. Un’esperienza da allargare a tutti i settori e così, su dati certi, capire come un grande albergo possa dare servizi se dispone di un numero esiguo di persone, come un pubblico esercizio e così le grandi aziende di distribuzione (Auchan, Carrefour) funzionino senza lavoratori a tempo indeterminato, o ancora come un’impresa metalmeccanica riesca ad aggiudicarsi un appalto offrendo forti ribassi. E proprio sugli appalti il sindacato deve sottoscrivere un protocollo con la Prefettura grazie al quale, prima della consegna dei lavori, la Committente sia tenuta a convocare le organizzazioni sindacali dei lavoratori interessati e informi della congruità dei relativi costi. A fronte di 90mila disoccupati in una provincia di 400mila abitanti, dovremmo assistere a una guerra civile; se ciò non accade significa che il lavoro c’è ma nelle forme meno regolari. Non voglio scendere in piazza per morti e infortuni a causa della mancata sicurezza, credo piuttosto che il sindacato, unitariamente, debba valorizzare uno strumento collaudato nella categorie degli edili per imporlo come metodo per combattere l’illegalità. Ci saranno mille motivi contro tale proposta ed allora manifestare, scioperare, per prevenire le illegalità servirà anche alle tante aziende sane e rispettose dei diritti dei lavoratori che dovrebbero scendere a fianco del sindacato”. 31 Ottobre 2009 7 Vitale (Centro per l’Impiego): “Ad Augusta non c’è collaborazione e non capiamo perché” Lavoro interinale. La Manpower: “I profili che arrivano dal CPI non spiccano per grandi doti professionali” di ALESSANDRA PRIVITERA Flessibilità e dinamicità: sono queste le parole-chiave richieste oggi dal mercato del lavoro. E sono esplicite in questo senso le disposizioni della “Legge Biagi” (L. 14 febbraio 2003 n.30), concepita per realizzare un sistema efficace di inserimento professionale dei disoccupati, di quanti sono in cerca di una prima occupazione, delle fasce deboli del mercato del lavoro. Sulla base degli orientamenti comunitari per la promozione di qualità e stabilità del lavoro, il mercato del lavoro italiano, perciò, viene profondamente riformato attraverso contratti a contenuto formativo e contratti a orario modulato, compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori; con l’ulteriore scopo di agevolare l’incontro tra chi cerca personale e chi cerca occupazione, la legge Biagi crea anche una rete integrata ed informatizzata di sevizi pubblici e privati di intermediazione tra datori di lavoro e lavoratori. I principali intermediari tra lavoratori e datori restano ancora, nel nostro territorio, i Centri per l’Impiego (ex uffici di collocamento) ai quali si affiancano le agenzie di somministrazione di lavoro a termine: nei confronti di entrambi gli enti, però, la sfiducia dei lavoratori disoccupati è grande in questo momento di crisi. «Ho 35 anni, un diploma di geometra – afferma Concetto Mendola, disoccupato – e ho lavorato per sette anni come impiegato in una agenzia marittima, come operaio generico e aiuto magazziniere negli stabilimenti industriali. Mi sono rivolto a diverse agenzie di somministrazione di lavoro (Manpower, Adecco, Metis, Just on business) perché non avevo riscontri dal CPI, ma anche queste – a parte la compilazione di moduli e l’invio di mail settimanali con l’invito a partecipare a corsi professionali – non mi hanno offerto nulla». Concetto non è il solo a pensarla in questi termini, perciò abbiamo parlato di questo momento di scoramento che accomuna molti lavoratori siracusani con il dott. Maurizio Laganà, direttore della Manpower di Siracusa (agenzia che si occupa di somministrazione di lavoro a termine), e con il dott. Mario Vitale, direttore del Centro per l’impiego di Augusta. «Sarò troppo diretto – afferma Laganà – ma è il caso di chiarire che le apl (agenzie per il lavoro, ndr) non sono CPI, o, meglio, non hanno le stesse finalità. Manpower deve necessariamente tener conto durante una selezione di esigenze specifiche del cliente e di determinati requisiti che non tutti coloro che entrano in agenzia per candidarsi possiedono. Al fine di rendere più veloce il nostro servizio pubblichiamo periodicamente nel CPI di Siracusa le nostre offerte: sinceramente, però, i profili che da lì arrivano non spiccano per grandi doti». Nel basso livello dei profili professionali prodotti dai CPI, dunque, sembra trovarsi l’implicita risposta all’interrogativo che sulla assenza di comunicazione tra il CPI di Augusta e le apl solleva Vitale: «Il CPI di Augusta non ha alcun rapporto con le agenzie di lavoro interinale che insistono sul territorio di Siracusa e non capiamo il perché: avevamo tentato, in passato, di instaurarlo; avevamo chiesto di farci avere le loro proposte di lavoro e il loro materiale per pubblicizzarli ma non abbiamo mai avuto risposta. Dopo quel momento, non abbiamo più cercato contatti». È spontaneo, allora, chiedere – sulla base della selezione che Manpower opera sui curriculum presentati – quanto incida l’occupazione offerta dalla Manpower sul dato disoccupazionale siracusano. «La somministrazione di lavoro offerta dalle Agenzie – risponde Laganà – incide in Italia per il solo 4%. È così anche nel siracusano: in filiale (in via Antioco, traversa di Corso Gelone) entrano circa 30 candidati al giorno. I nuovi inserimenti presso le aziende sono circa 25 al mese: però, sebbene Manpower operi sul mercato aretuseo da circa 3 anni, in questo territorio si predilige ancora la conoscenza personale. Che poi quest’ultimo metodo dia dei risultati in termini di produttività all’azienda non ne sono certo». E su questo punto anche Vitale sembra essere d’accordo, ma con un appunto: «Le assunzioni tramite agenzie di somministrazione del lavoro sono praticamente assenti, nel semestre gennaio/giugno 2009, per i lavoratori disoccupati della circoscrizione di Augusta-Melilli-Priolo, come per quella di Noto e di Lentini. D’altra parte poco si è mosso anche per i lavoratori disoccupati della circoscrizione di Siracusa: sono in media un centinaio al mese quelli che, nel primo semestre del 2009, hanno lavorato con assunzione tramite agenzie di somministrazione del lavoro. Resta il fatto che, per il lavoratore, qualsiasi tipo di contatto con il mercato del lavoro può e deve essere sfruttato: il 70% degli occupati in Italia, infatti, lavora in imprese con meno di 100 dipendenti, la maggior parte delle quali non prevede investimenti nella selezione del personale ma alle quali le grandi aziende commissionano la produzione. Oltre ai più noti annunci in tv Mario Vitale, direttore del Centro per l’impiego di Augusta: “Le assunzioni tramite agenzie di somministrazione del lavoro sono praticamente assenti, nel semestre gennaio/giugno 2009, per i lavoratori disoccupati della circoscrizione di Augusta-Melilli-Priolo, come per quella di Noto e di Lentini. D’altra parte poco si è mosso anche per i lavoratori disoccupati della circoscrizione di Siracusa: sono in media un centinaio al mese quelli che, nel primo semestre del 2009, hanno lavorato con assunzione tramite agenzie di somministrazione del lavoro” e sui giornali, e i più tradizionali CPI e rete di conoscenze personali, perciò, vanno presi in considerazione i Centri Servizi, i siti internet (per la ricerca di aziende e di offerte di lavoro) e le agenzie per il lavoro». Nonostante dai dati emerga come l’occupazione offerta dalle agenzie di lavoro interinale sul dato disoccupazionale siracusano influisca in modo poco irrilevante, Laganà tiene a precisare: «L’introduzione delle agenzie per il lavoro ha fatto emergere, specie nella nostra realtà territoriale, il lavoro sommerso, dando così una spinta di “legalità” in settori specifici, come la ristorazione ed il settore alberghiero. Il candidato deve pensare all’agenzia per il lavoro come a un ulteriore strumento per l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro, mentre risulta vantaggioso per i datori di lavoro avvalersi di professionisti, come è Manpower, nel settore delle risorse umane a 360 gradi. Alla Manpower si rivolgono, infatti, aziende del settore della metalmeccanica e l’indotto del petrolchimico che richiedono operai specializzati, e ingegneri. Ma lavoriamo anche con aziende della gdo, della ristorazione e dei servizi e, in questi settori, i maggiori inserimenti riguardano maitre, cuochi e pasticceri professionisti. Ricerchiamo non di rado anche figure di responsabilità nel settore organizzazione e finanziario». Ma il servizio offerto dalle agenzie di lavoro temporaneo costa al datore di lavoro, che ad esse si rivolge, circa il 20-30% dello stipendio del dipendente per ogni mese di contratto: e in questo periodo di crisi, comune anche alle piccole e medie imprese, sembra davvero un non senso. O no? A rispondere è Vitale: «Il da- tore che si rivolge alle agenzie usufruisce di una serie di vantaggi non trascurabili: oltre alla selezione a carico dell’agenzia e alla velocità nel reperimento dei candidati, ad allettarlo sono le minime incombenze burocratiche. Spetta, infatti, alla società per il lavoro pagare il lavoratore (lo stipendio segue quello dei dipendenti effettivi nelle medesime mansioni) e occuparsi di tutta la parte amministrativa e gestionale (malattie, ferie, permessi). Questo basta a giustificare le spese dell’agenzia per il lavoro». Nonostante la crisi? «Dai dati in nostro possesso (compresi tra il 31 dicembre 2008 e il 30 giugno 2009) – continua Vitale – la crisi economica vissuta dall’Italia non ha inciso particolarmente sulla disoccupazione del territorio di Augusta, Melilli, Priolo (che è rimasta praticamente invariata) per il fatto che esso vive ancora delle risorse offerte dal petrolchimico (e il prezzo del petrolio, nel semestre di riferimento, non ha più subito variazioni sostanziali): ciò spiega la liquidità del polo petrolchimico e dell’indotto». 8 31 Ottobre 2009 Trend positivo per il turismo a Noto, ad Si tratta di vecchi e controversi progetti cartacei che faticano a concretizzarsi Negli stati generali dell’economia previsti per Avola alcune opere ma è un libro di sogni Rimini e Riccione, Costa Azzurra e Costa del Sol, Avola e Noto. L’accostamento vi suona strano? Eppure, il lungomare di Avola e le spiagge dorate di Lido di Noto non hanno nulla da invidiare, quanto a bellezza innata, alle altre rinomate località, alle altre mete turistiche conosciute e apprezzate in tutto il mondo. E vi è di più. Noto possiede un ulteriore valore aggiunto nelle sue bellezze architettoniche: il “giardino di pietra” – così è stato definito – è un teatro a cielo aperto con piazze scenografiche e imponenti scalinate. E, ancora, possiamo tacere della riserva naturale di Vendicari o dei suggestivi laghetti di Cavagrande? Certamente, le infinite attrattive che offre il nostro territorio non deluderebbero i turisti che, chissà, l’an- no successivo, potrebbero prediligere la costa siciliana a Saint-Tropez. Purtroppo, nonostante le nostre incommensurabili risorse, il turismo stenta a decollare e Avola e Noto, rispettivamente segnalate dal Touring club e dall’Unesco in quanto punti di interesse e patrimonio dell’umanità, non hanno ancora ottenuto un adeguato prestigio internazionale. Per quanto concerne la situazione avolese, in più, i problemi del turismo si intrecciano con quelli economici. Recentemente è stata indetta una riunione dal nome altisonante, la riunione degli stati generali dell’economia, e in questo incontro è stato sollecitato il completamento del centro agro-alimentare, vetusto progetto mai portato a termine, del porto di Avola, opera che ha attraversato varie vicissitudini di tipo giudiziario, e della riqualificazione urbana del lungomare avolese. Il centro agro-alimentare dovrebbe diventare un centro di raccolta e smistamento dei prodotti agricoli tipici della zona favorendone, così, la diffusione; il progetto del porto turistico, invece, si inserisce in una strategia di sviluppo della nautica da diporto in Sicilia approvata tre anni fa: lo sbocco sul mare consentirebbe ai turisti di accedere facilmente a Vendicari, Cavagrande, ai musei e ai siti archeologici della zona. Tutte le iniziative, dunque, sono finalizzate al rilancio del turismo e dell’economia ma, allo stato, si tratta di meri progetti cartacei che, purtroppo, nonostante i buoni propositi delle amministrazioni comunali, faticano a concretizzarsi. “Speriamo nei fondi Fas per tre progetti per un importo complessivo di 10 milioni” L’ass. Morale (LL.PP.): “Abbiamo in progetto il collegamento Zuccara e Calabernardo” L’assessore ai lavori pubblici di Avola, Corrado Morale, ha chiarito ulteriori aspetti degli argomenti chiave presi in considerazione durante la conferenza degli stati generali dell’economia. “Per quanto riguarda il centro agro-industriale stiamo modulando di nuovo i finanziamenti in modo da renderli adeguati poiché le somme stanziate attualmente sarebbero sufficienti solo a costruire l’infrastruttura, mentre sono necessari altri fondi per rendere ben funzionante questo centro; peraltro, abbiamo intenzione, forse, di fare gestire quest’opera a dei privati. Al tavolo degli stati generali dell’economia questo progetto del centro agroalimentare ha avuto una rilevanza particolare; Avola si trova in una posizione strategica e il centro potrebbe servire, addirittura, l’intero comprensorio della zona sud. Sarà poi il mercato a decidere, quando il centro sarà in funzione, il tipo di lavorazioni che verranno realizzate e il tipo di prodotti che saranno commercializzati. “Abbiamo, inoltre, un progetto ambizioso per il lungomare avolese: pensiamo di collegare, tramite questa litoranea, la contrada Zuccara con la contrada Calabernardo di Noto. Nel luglio di quest’anno abbiamo presentato ai lavori pubblici tre progetti, due di 4 milioni di euro e uno di 2 milioni di euro. Riguardano la riqualificazione del tratto viario nonché la costruzione di un anfiteatro, del quale ho già il progetto pronto, che sorgerà in una zona turistica; infine, la terza somma servirà per il lungomare che va dalla strada statale 115 fino alla zona della tonnara: rifaremo il tratto di marciapiede lungo tale litoranea. Il progetto è ambizioso e cospicuo, speriamo che rientri nell’assegnazione dei finanziamenti regionali; l’abbiamo presentato ai piani strategici, al piano territoriale provinciale e alla conferenza degli stati generali dell’economia e, in tal modo, speriamo di avere un punteggio elevato così da ottenere i fondi Fas (fondi per le aree sottoutilizzate) provenienti dalle Comunità europee. “La regione ci aveva chiesto, a luglio, di presentare dei progetti, appunto per ottenere i sussidi; oltre a quelli che ho già menzionato, abbiamo anche proposto di riqualificare il centro storico di Avola e migliorare la viabilità, poiché finora abbiamo valorizzato solo le strade principali, il corso Garibaldi e il corso Vittorio Emanuele. Riqualificheremo anche il museo di Avola e il cinema Cappello, ma, per questo, saranno necessari ulteriori fondi perché quelli stanziati finora non bastano. “Infine, la nota dolente del porto turistico. Questa amministrazione ha dichiarato diverse volte che il progetto che era stato scelto dalla precedente amministrazione, quello di cento milioni di euro presentato dalla società K s.r.l., non può essere portato avanti perché la società in questione non è proprietaria dell’area in cui dovrebbe sorgere l’opera né è stata prevista la possibilità di espropriare i terreni ai privati; dunque, se tale società presentasse un progetto che preveda la costruzione di opere nel solo demanio pubblico, tale progetto potrebbe essere espletato, ma, allo stato, il loro piano non è fattibile. “Dovremo convocare, quindi, di nuovo, la conferenza dei servizi che dovrà annullare la scelta precedente di approvazione del progetto della K s.r.l.. “Nel frattempo, è stato presentato un altro progetto che concerne un porticciolo nella zona della Zuccara e, in merito, è stata già indetta una conferenza dei servizi; insomma, o va avanti il primo progetto o quest’ultimo: l’importante è che qualcosa si faccia. In ogni caso, qualsiasi società che si impegni nella costruzione del porto dovrà prima effettuare uno studio delle correnti finalizzato ad assicurare che tale infrastruttura non arrechi eccessivi danni alle grandi spiagge di Avola”. “Nel luglio di que presentato ai lavori riguardanti Avola, du e uno di 2 milioni di e riqualificazione del tra costruzione di un a ho già il progetto pron zona turistica; infine, l per il lungomare che 115 fino alla zon rifaremo il tratto lungo tale 31 Ottobre 2009 9 di MONICA LANAIA Avola si attendono soldi dalla Regione est’anno abbiamo pubblici tre progetti ue di 4 milioni di euro euro. Sono rivolti alla atto viario nonché alla anfiteatro, del quale nto, che sorgerà in una la terza somma servirà va dalla strada statale na della tonnara: o di marciapiede litoranea” Corrado Valvo soddisfatto del trend positivo di turisti anche in periodo di crisi Il sindaco di Noto: “Non vogliamo diventare la Rimini del sud cerchiamo un turismo culturale e naturalistico senza discoteche” Il sindaco di Noto, Corrado Valvo, illustra il rilancio turistico della città. “Il turismo di Noto è particolare: vogliamo che diventi un turismo totalmente culturale e naturalistico, nel senso che - enuncia il sindaco fermamente - non vogliamo trasformare la nostra città in una seconda Rimini, ci interessa puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità”. E prosegue: “Nel periodo estivo abbiamo una rilevante affluenza turistica, la città piuttosto che svuotarsi si riempie di gente e, molte volte, stentiamo nei servizi. In ogni caso non intendiamo puntare sui turisti “mordi e fuggi” che visitano per un giorno la città e vanno via: ci interessa investire sul turismo straniero, prolungato e stabile in tutti i periodi dell’anno. Abbiamo avuto un trend positivo anche in periodi di crisi: le nostre strutture ricettive, B&B e ristoranti, hanno aumentato la loro capacità di accoglienza, non abbiamo registrato chiusure di locali e, anzi, ne sono stati aperti di nuovi”. Il sindaco ci spiega che, a differenza di quanto avviene nella zona ragusana, l’amministrazione comunale ha scelto di limitare la presenza di discoteche e locali nelle spiagge; così il richiamo culturale e architettonico di Noto è più forte di quello delle vicine località marine, quindi c’è una maggiore densità turistica in città piuttosto che nel litorale. Valvo prosegue: “Esistono svariate iniziative che contribuiscono a promuovere il turismo netino: l’infiorata innanzitutto, l’evento sovrano del nostro comune. Inoltre quest’anno abbiamo aperto al turismo il palazzo Nicolaci, l’ex convento dei gesuiti e la caserma di Cassonello all’interno dei quali si esporrà l’arte contemporanea netina; vi sono già degli incontri letterari nell’ambito di fondazioni teatrali, e ancora, a breve, un festival della cultura per ragazzi patrocinato dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dall’Unesco, “Volalibro”; infine il “Convivio barocco”, un evento che promuove i prodotti agricoli del nostro territorio”. “Il limite di questa amministrazione è che non sa programmare gli eventi” Bianca (PD): “Senza piano particolareggiato del centro sono soltanto pie intenzioni” Circa la situazione del turismo netino, pensieri diversi ha espresso Corrado Bianca, consigliere comunale ed esponente dell’opposizione. “Mi dispiace che molto spesso mi trovi in contrasto con il sindaco: abbiamo dei modelli culturali e delle idee di sviluppo differenti. Il sindaco a volte si “suggestiona” nell’affermare che Noto è diventato un centro politico e turistico importante nella provincia, mentre io non ritengo che questo sia ancora avvenuto. “Parlare del turismo come strumento del miglioramento di Noto è una frase che suona vuota se non la si riempie di contenuti; e la stessa circostanza che la nostra città sia patrimonio dell’Unesco può non significare nulla senza dei progetti chiari e credibili per la sua riqualificazione. Indubbiamente le potenzialità del territorio, sia da un punto di vista culturale e architettonico che paesaggistico, sono enormi; e non mi riferisco solo alla zona marina, ma anche a quella collinare che, fino ad oggi, non è stata adeguatamente valorizzata e tutelata da un punto di vista ambientale”. Bianca continua: “Nonostante l’esperienza di Vendicari, è palese, da tempo, che vi è stato un abuso dei venti chilometri della nostra costa, è mancata una razionalizzazione del litorale né sono stati predisposti dei servizi appropriati; problemi grossissimi, ad esempio, presenta la viabilità di Lido di Noto e i primi a soffrire di questa situazione sono gli operatori turistici. “Allora, come si fa a parlare di sviluppo del turismo se, prima, non si creano le condizioni affinché i servizi siano efficienti? Come si fa a parlare di turismo marittimo se si crea un’antropizzazione selvaggia della costa a fronte di un’inesistenza di opere adeguate, quali la rete fognaria, la rete idrica, la rete stradale, i parcheggi? Inoltre, mancano le attrazioni”, sottolinea con enfasi Bianca. “Non possiamo pensare che la gente si rechi a Lido di Noto solo perché vi è un bel mare: sono necessari dei diversivi, dei divertimenti, per attirare i turisti. E, a tal proposito, data l’ampiezza del territorio di Noto, potremmo creare eventi e attrazioni in tutta l’area netina, sia nella zona collinare che nella zona marittima che nella città; anche perché l’aumento del perimetro urbano mal si coniuga con la densità della nostra popolazione che rimane costante: il risultato è che, oggi, la città appare sempre più vuota. “E del nostro centro storico, cosa ne vogliamo fare? Potrebbe, anch’esso, diventare un mezzo per il rilan- cio del turismo, potrebbe essere utilizzato per inserire delle strutture alberghiere e dei ristoranti o per valorizzare l’artigianato locale. Senza, però, uno studio particolareggiato che miri alla riqualificazione dell’area del centro storico, le parole diventano solo ottime e pie intenzioni senza seguito. “Alcune delle nostre strutture alberghiere sono state e sono a rischio di chiusura; pur non avendo colpa di questa crisi l’amministrazione comunale, sarebbero auspicabili delle politiche di coordinamento e di promozione delle attività turistiche. Si dovrebbe variegare l’offerta e potenziare il turismo sportivo, quello congressuale, quello religioso e, soprattutto, promuovere e pubblicizzare attività, eventi e iniziative anche oltre i confini del territorio netino. “Purtroppo il limite di questa amministrazione è che, a causa di problematiche di natura politica, non riesce a programmare in tempo utile eventi e progetti; è capitato che il bilancio di previsione annuale venisse approvato a fine giugno e, anche adesso, a ottobre non si sa ancora quali iniziative verranno realizzate a Natale: vi sono ingenti ritardi nelle decisioni delle risorse economiche da spendere per la nostra città”. “Sul centro agroalimentare la matassa si è sbrogliata e i soldi vanno in bilancio Nino Amato (Udeur): “Per il porto turistico attendiamo l’esito delle indagini” Antonino Amato, consigliere comunale dell’amministrazione avolese, ci illustra i punti salienti della situazione del centro litoraneo dalla caratteristica forma esagonale, Avola. “Per quanto riguarda il porto turistico, tempo fa vi era stata in merito una conferenza dei servizi; fra due progetti che erano stati presentati, quello della F.N. progettazioni e quello dell’associazione temporanea di imprese di Roma K s.r.l., era stato privilegiato quest’ultimo. Si trattava di un progetto colossale di cento milioni di euro comprendente opere che sarebbero sorte sia a terra che a mare; il progetto della F.N., invece, era più modesto e includeva solo la costruzione del porto e di qualche altra infrastruttura adiacente. In seguito sono state avviate delle indagini da parte della guardia di finanza e dell’au- torità giudiziaria per fare luce sui criteri di assegnazione delle opere pubbliche da parte della amministrazione comunale; peraltro, le imprese siracusane che hanno visto bocciato il loro progetto hanno presentato ricorso contestando che il bando prevedeva un costo ipotetico di venti milioni di euro, una cifra molto minore rispetto al dispendio che si sarebbe avuto approvando il progetto della K s.r.l.. Al contempo è cambiata l’amministrazione comunale. Ora - prosegue Amato - attendiamo l’esito delle indagini e il progetto è in stato di valutazione. Recentemente un altro privato, Marino, ha presentato un nuovo piano per la costruzione del porto in un’altra zona, vicina comunque a quella finora ipotizzata”. “L’idea del centro agro-alimentare era nata nel 1993; all’epoca erano stati stanziati 42 miliardi delle vecchie lire. La società che doveva occuparsi della costruzione del centro è fallita e, anche in questo caso, vi è stato un lungo contenzioso. Attualmente pare che la matassa si sia sbrogliata e i fondi che non erano stati spesi sedici anni fa dovrebbero essere inseriti nel bilancio del comune di Avola, in modo da ultimare la costruzione del centro. “Infine, per quanto concerne la riqualificazione del litorale e della contrada Zuccara, questa amministrazione ha presentato diversi ottimi progetti che attendono di essere finanziati dalla regione. Il bando regionale è scaduto a luglio: siamo, dunque, in attesa della graduatoria per sapere se la regione sceglierà di assegnarci i sussidi. Ma, in proposito, siamo fiduciosi poiché i progetti che abbiamo presentato sono molto validi”. 10 31 Ottobre 2009 “Chi lo acquista deve sapere che ci sono precisi vincoli ambientali e divieti” Francesco Rizza (Wwf Sicilia): “Chiederemo alla Regione al Comune di Pachino e alla Provincia di salvare il pantano Cuba” di MASSIMILIANO PERNA “È una cosa che mi stupisce molto”. C’è spontanea sorpresa nelle parole dell’avvocato Pier Francesco Rizza, presidente regionale di Wwf Sicilia e responsabile provinciale della sezione di Siracusa, quando apprende la notizia della vendita giudiziaria avente ad oggetto il pantano Cuba, un’area Sic e Zps, una delle zone umide naturali più belle d’Europa, luogo di inestimabile valore paesaggistico e ambientale, in cui trovano approdo prestigiose specie di migratori. Una notizia che ha dell’incredibile, sia per i numerosi vincoli a cui è sottoposto il pantano sia per la rapidità della procedura di esecuzione, iniziata soltanto nel 2007 e già giunta alla vendita, prevista per il primo dicembre e, in caso di esito negativo, in seconda data, il dieci dicembre prossimo: “Il dramma – dichiara Rizza – è che il tempo è veramente poco. Mi sorprende, soprattutto, che di questa vicenda non ne sia venuto a conoscenza alcuno degli enti preposti, come la Provincia ed in particolare la Sovrintendenza, la quale ha posto i vincoli a queste aree. E poi mi stupisce la rapidità della procedura: appena due anni. Un record per Siracusa”. Parliamo di un pantano attorno a cui esiste una lunga polemica tra agricoltori e cacciatori, da una parte, ed ambientalisti dall’altra… “Sì. Questo pantano, così come il Longarini, doveva entrare in una riserva naturale protetta che l’assessorato regionale competente doveva istituire. Peccato però che da circa sei anni non vengono più istituite riserve. Sono cinque le potenziali riserve ancora bloccate, tra cui proprio quella che comprende i due pantani del pachinese. Riguardo alla polemica con i cacciatori, c’è stata la decisione del Tar che allo stato sospende la caccia. Sappiamo però che l’assessorato regionale all’agricoltura, su pressione delle associazioni dei cacciatori, sta studiando una nuova regolamentazione dell’attività venatoria”. Vogliono aggirare la decisione del Tar? “Ci aspettiamo che almeno davanti alla decisione del giudice si fermino. La settimana scorsa, insieme a Lipu e Legambiente, abbiamo chiesto al suddetto assessorato regionale un incontro, allo scopo di creare le condizioni per un’interlocuzione seria sulla questione. Purtroppo vediamo che l’assessorato non demorde, segno che le pressioni dei cacciatori sono notevoli. Prima ha presentato il calendario venatorio, che noi abbiamo impugnato subito. Successivamente, ha adottato il decreto che consentiva la caccia nelle zone Sic e Zps come i pantani della Sicilia sud-orientale, tra cui il Cuba e il Longarini. Contro questa misura abbiamo presentato ricorso al Tar, che poi ha deciso a nostro favore. Adesso, pare che si voglia fare un nuovo decreto. È allucinante”. Intanto, però, la caccia è sospesa. Ma lo è davvero nei fatti? “Questo è un altro grosso problema. Il Tar ha ordinato la sospensione, ma poi bisogna che qualcuno controlli sul rispetto di tale disposizione. Il problema è anche di chi deve esercitare un controllo nelle aree interessate. La polizia provinciale ha poche risorse, i comuni se ne fregano”. La precedente amministrazione di Pachino si era schierata dalla parte di cacciatori e agricoltori. Da quella nuova che segnali avete percepito? “La nuova amministrazione comunale ha scelto di restare in silenzio, con tutta probabilità per non scontentare nessuno”. Intanto il pantano Cuba, nonostante sia un’area Sic e Zps, rischia di essere effettivamente venduto e di finire nelle mani di un privato… “Io ho molti dubbi. Dubito che si possa vendere in fretta tale bene, considerato il prezzo di vendita, che è abbastanza importante. È chiaro che non si può prescindere dal rispetto dei limiti esistenti. Non è possibile svolgere un’attività imprenditoriale che travalichi tali limiti. Sono perplesso e credo che chi acquista deve essere messo a conoscenza dei vincoli, poiché l’acquisto di un pantano su cui non puoi ovviamente costruire e far qualcosa al di fuori del vincolo ambientale non costituisce un grosso investimento. Certo potrebbe anche capitare che un filantropo, dotato di risorse finanziarie, compri il terreno e vi istituisca una riserva. Ma sono casi rari”. Come associazione è percorribile la strada dell’acquisto da parte, ad esempio, del Wwf? “Sarebbe molto complesso, per la difficoltà di reperire fondi tali da coprire un investimento di questa portata, ma soprattutto perché tra i nostri scopi di attività non rientrano le operazioni immobiliari. Noi possiamo al massimo ricevere donazioni, ma non acquistare. L’unica eccezione risale a molti anni fa, ad Orbetello, in Toscana, in cui procedemmo all’acquisto solo perché si trattava di un’operazione molto conveniente. Ma normalmente noi possiamo solo partecipare alla gestione. Per il resto deve essere l’ente pubblico ad intervenire per rilevare il sito ed istituire la riserva naturale. Purtroppo spesso non si capisce che l’istituzione di riserve può dar vita ad un circuito economico virtuoso, che crea lavoro, valorizza il bene e l’intero territorio. Se si continua a pensare erroneamente che puntare sull’ambiente e sulla tutela delle aree naturali sia qualcosa che freni e ingessi il territorio, la gente non comprenderà mai e ci sarà sempre conflittualità tra cittadini, ambientalisti e istituzioni”. Ma voi allora cosa potete fare per impedire la vendita del Cuba ai privati? “Avendo preso atto di questa circostanza, noi solleciteremo con decisione gli organi competenti, quindi la Provincia Regionale, l’amministrazione comunale di Pachino e, soprattutto, l’assessorato regionale. Ci muoveremo immediatamente perché, ammesso che gli enti siano in condizione di adottare una qualsiasi azione amministrativa, dobbiamo avvisarli e sollecitarli in tempo. Tra l’altro, nella perimetrazione dei pantani esistono anche delle serre e bisognerà verificare se certe colture sono compatibili con l’area. Ecco, la vendita può essere l’occasione per gli enti competenti di fare tutta una serie di verifiche che non sono ancora state effettuate. Ci attiveremo affinché chi può intervenire lo faccia seriamente. Nel corso della festa degli Iblei ne parleremo tutti insieme, anche se il convegno previsto è stato annullato. Ma ne faremo un altro a novembre e in quell’occasione questo argomento sarà centrale”. LETTERE AL DIRETTORE Figli e figliastri con i soldi dei contribuenti Caro direttore, il Comune di Siracusa spende 1.500.000 Euro, circa tre miliardi del vecchio conio, per riqualificare il campo di calcio “Nicola De Simone”, una somma, a mio avviso, esorbitante e stratosferica rispetto al realizzo dei lavori medesimi, che saranno ultimati tra qualche mese. Al riguardo ciò che colpisce è la perenne contraddizione di questa amministrazione, quando dichiara che in bilancio non ha fondi per risolvere piccole cose; ad esempio, tra queste, il secolare ristagno d’acqua giacente in piazza Adda, descritto simpaticamente “il lago dei sogni”. Quindi è più che giusto lamentarsi, dal momento che i quattrini per il De Simone si trovano, ma se si tratta di realizzare una nuova strada, un nuovo parcheggio, una nuova infrastruttura, che riflette l’interesse generale, non esiste un euro. Questo modo di gestire la cosa pubblica è immorale e ingiusti- ficato, un’offesa per il contribuente, che capisce di subire discriminazioni a vantaggio di interessi individuali. Ecco perché la gente contesta, perché non ne può più di subire soverchierie e mistificazioni politiche. Ovviamente nessuna preclusione personale per la riqualificazione del campo in questione ma, ripeto, di pari passo bisogna realizzare nuove infrastrutture, in particolare arterie stradali, che Siracusa e i Siracusani attendono da mezzo secolo. Prova ne è l’attuale caos veicolare e il rischio di inquinamento atmosferico, sotto gli occhi di tutti. Per i motivi di cui sopra, non vorrei dare ragione a un bravo giornalista siracusano, di cui non riporto il nome, che spesso e volentieri ripete la seguente frase: “Siracusa persa era e persa è”. Giuseppe Marabita 31 Ottobre 2009 11 Il presidente della Provincia Bono: “Spero che la Regione decida di partecipare all’asta giudiziaria” Il sindaco di Pachino è categorico: “Pronto ad agire perchè il pantano sia acquisito dalla parte pubblica” di SALVATORE PERNA Che la difesa del bene comune non sia un valore diffuso nella nostra terra è facilmente verificabile in tanti episodi che hanno segnato e segnano la storia delle nostre città e del nostro territorio. Che particolarismi e corporativismi siano prevalenti sugli interessi collettivi delle comunità lo dimostra la permanente incapacità di fare fronte comune sulle grandi questioni della qualità della vita e del corretto uso delle nostre risorse. Quanto sta avvenendo nell’area sud orientale della nostra provincia, tra i comuni di Pachino e, in parte, di Ispica e Noto, è un esempio clamoroso di una disaggregazione delle popolazioni e delle classi dirigenti che esse esprimono dalla difesa e dalla valorizzazione di un bene prezioso come l’integrità del proprio territorio. Non solo si è fatto molto poco per preservare il patrimonio naturalistico esistente (la particolarissima rete dei pantani costieri), per garantire la sopravvivenza di uno straordinario habitat per rare specie vegetali e animali e per non stravolgere anche il delicato equilibrio climatico di quelle zone, ma si continua a rimanere indifferenti ai rischi di un suo dissolvimento. La notizia della imminente vendita all’asta del Pantano Cuba e dell’area circostante, prevista per l’1 dicembre prossimo, non sembra aver turbato più di tanto l’opinione pubblica locale né tantomeno aver suscitato l’attenzione delle istituzioni locali. Eppure non capita tutti i giorni di venire a conoscenza che un sito già inserito nel piano regionale dei parchi e delle riserve, già classificato da un decreto regionale del 1999 come oasi naturale, rientri nella disponibilità di un privato e diventi oggetto di una esecuzione immobiliare. Che un bene di valenza pubblica possa appartenere anche a un privato è purtroppo nella realtà delle cose; la storia dei territori è piena di annessioni di grandi o piccoli estensioni di terra più o meno legittime, diventate diritti reali. La natura del bene che si sta mettendo in vendita può solo nominalmente essere considerata di natura privata ed è classificata come sito di interesse comunitario e zona di protezione speciale. Eppure non è stato registrato alcun sussulto delle comunità locali, ma solo l’immediata reazione delle associazioni naturalistiche, Natura Sicula, attraverso le dichiarazioni di Fabio Morreale presidente di “Natura sicula”, pubblicate la scorsa settimana, e del presidente regionale del WWF, avvocato Pier Francesco Rizza (che riportiamo in questa edizione). Entrambi convergono sulla necessità che gli enti pubblici, Regione, provincia e comuni interessati (in questo caso il comune di Pachino) si facciano carico di intervenire per sottrarre alla sfera privata l’acquisizione di un bene ambientale, come il Pantano Cuba, che appartiene all’intera collettività. Ciò appare tanto più necessario se si tiene conto che i rischi di un uso improprio da parte di un eventuale nuovo proprietario privato sono latenti. Sul destino della creazione della riserva dei pantani della Sicilia sud orientale incombono infatti le richieste di ridimensionamento (avanzate dai produttori agricoli e dal comune di Pachino nel 2007) dell’area territoriale individuata come riserva naturale dalla regione siciliana. Richieste che in parte possono avere fondamento, laddove le attività agricole non hanno contaminato o dissestato l’ecosistema delle aree lacustri, ma che vanno rigettate dove è avvenuto il contrario. Non sono escludibili neanche interessi speculativi, se si considera che il pantano Cuba sovrasta e lambisce, anche se ne rimane separato, un disordinato agglomerato di insediamenti abitativi vacanzieri (Granelli) che da più parti si vuole consolidare. Sotto questo aspetto ciò che lascia sgomenti è l’assoluta mancanza di responsabilità di chi, tra politici e cittadini di Pachino, ipotizza il potenziamento dell’agglomerato sorto in buona parte a ridosso della spiaggia, senza neanche porsi il problema del rischio idrogeologico esistente in quella zona. Il pantano Cuba, infatti, si estende a valle di una balza e il suo argine di sud-ovest, dal quale si diramava un canale naturale collegato con il mare, è in asse con numerose costruzioni; nessuno può escludere, nonostante la media della piovosità dell’area sia bassa, che eventuali intense precipitazioni possano determinare l’eson- dazione del bacino con effetti deleteri. Tranne che qualcuno non immagini il prosciugamento dell’area lacustre per future sperimentazioni! Sapere che le aree naturali del pachinese sono inserite in un programma di protezione comunitario, nazionale e regionale, non elimina i dubbi e le preoccupazioni sul loro futuro. I fatti dimostrano che l’antropizzazione selvaggia e lo sfruttamento incontrollato di quelle zone è avvenuto in pieno regime vincolistico. La necessità di un impegno immediato per ripristinare una condizione di certezza sulle scelte da compiere è inderogabile. Il nuovo sindaco del comune di Pachino, Paolo Bonaiuto, dichiara di essere convinto della necessità della valorizzazione paesaggistica del territorio; e sulla contraddizione tra tutela dei siti naturalistici e interessi dei produttori e dei privati mostra di non avere dubbi: “In quelle aree – afferma – non può essere consentito l’insediamento di immobili per uso privato e an- che le serre devono allontanarsi dagli argini dei pantani. La regione e lo stato anzi devono accentuare la loro azione per la realizzazione della riserva”. Aggiunge che il dissesto della crescita caotica di costruzioni a ridosso o all’interno di zone tutelate “è una realtà che abbiamo ereditato e che è stata creata nel tempo. Il nostro impegno categorico è la lotta all’abusivismo edilizio. A tale scopo abbiamo istituito una squadra di vigili urbani, dotandola di mezzi idonei, sia per combattere l’abusivismo che per un più capillare controllo ambientale contro il fenomeno delle discariche abusive e dell’abbandono dei rifiuti nelle aree protette e in tutto il territorio”. Sulla vicenda della vendita all’asta del Pantano Cuba e sulla possibilità dell’acquisto pubblico dell’area, pur precisando che il comune di Pachino non ha la possibilità di farlo, non si sottrae ad un impegno preciso:“Siamo pronti ad assumere una posizione netta e chiara affinché l’area venga acquisita da parte pubblica. La prossima settimana invierò agli assessori regionali al Territorio e Ambiente e all’Agricoltura e al ministero dell’Ambiente una lettera per sollecitarli ad intervenire”. La posizione del sindaco Bonaiuto sembra dunque convergere con le indicazioni degli esponenti delle associazioni naturalistiche, che hanno chiamato in causa anche il ruolo della Provincia regionale. E il Presidente della provincia, on.le Nicola Bono, non si sottrae alle nostre domande, sottolineando che “non può che essere la Regione a definire i tempi di intervento per la istituzione della Riserva naturale orientata dei pantani. Spetta alla Regione risolvere i problemi della esatta estensione dell’area e mettere a punto il piano di gestione.” Sulla vendita all’asta del pantano Cuba ritiene che anche l’eventuale acquisto da parte di un privato non compromette la destinazione di quel bene “tenuto conto che lo stesso acquirente dovrà essere consapevole che si tratta di una proprietà che è sottoposta a vincoli che non potranno essere violati”. Una valutazione ottimistica, formalmente non confutabile, che però si scontra con la dura realtà di quanto fino ad oggi è avvenuto. In ogni caso sulla possibilità dell’acquisizione pubblica del Pantano Cuba il presidente della provincia regionale di Siracusa esprime l’auspicio che “l’assessorato regionale all’ambiente decida la partecipazione all’asta giudiziaria”. Appare chiaro che il delinearsi di posizioni che pongono in risalto la necessità di un’azione a difesa del territorio ha bisogno di trovare una più ampia iniziativa nel territorio che coinvolga a livello locale e nella realtà dei comuni interessati ogni espressione istituzionale, associativa o intellettuale che abbia a cuore la conservazione e la corretta fruizione delle risorse territoriali. In lizza Lupo (Franceschini) e Lumia (indipendente). I risultati di Siracusa L’8 novembre il ballottaggio per la segreteria regionale PD E’ stato fissato per l’8 novembre il ballottaggio per eleggere il nuovo segretario regionale del Partito democratico. Lo ha deciso la commissione regionale per il Congresso che appunto ha convocato per domenica 8, alle ore 10, all’hotel San Paolo Palace l’assemblea del partito. Voteranno, a scrutinio segreto, i 180 delegati che sono così ripartiti: 71 per le liste collegate a Giuseppe Lupo, 56 per le liste che fanno riferimento a Giuseppe Lumia e 53 per quelle collegate a Bernardo Mattarella. Il ballottaggio si svolge tra Lupo, della mozione Franceschini, e Lumia, indipendente. Mattarella, della mozione Bersani, era stato ‘eliminato’ nelle primarie del 25 ottobre, alle quali era giunto terzo. Intanto sono stati resi noti i risultati delle primarie del PD siracusano, svoltesi dome- nica scorsa. Hanno votato 15.371 elettori. I voti attribuiti sono stati 15.140, 156 le schede bianche e 75 le nulle. Su Bersani sono confluiti 6.236 voti (pari al 41,19%), a Franceschini i 6.816 (45,02%) con la lista a lui intitolata e 662 voti (4,31%) della lista Borsellino per Franceschini. Totale 7.478 voti, pari al 49,33%. Infine a Marino sono andati 1436 schede, ossia il 9,48%. Questo il voto per i candidati alla segreteria regionale: per Giuseppe Lupo, da parte delle due liste che lo sostenevano, 6.526 voti (5672 una e 854 l’altra) pari al 43,32%. A Mattarella sono andati 4.698 voti (il 31,19%). A Lumia, anch’egli sostenuto da due liste, 2.601 con la prima e 1.239 con la seconda per un totale di 3.840 voti, pari al 25,54%. 12 31 Ottobre 2009 Maturata nella popolazione megarese una nuova coscienza intorno al rischio sismico Dopo il terremoto del ‘90 ci fu un’onda anomala e alcune parti del territorio di Augusta si inabissarono per alcuni centimetri di CATERINA ITALIA Il terremoto del 13 dicembre 1990 ad Augusta è ricordato non solo per la sua gravità ma anche per i suoi misteri. Nei giorni successivi all’evento sismico c’è stata una grande confusione su notizie fondamentali: la localizzazione dell’epicentro, l’intensità della scossa, la presenza di onde anomale, la quantificazione dei danni effettivi a cose e persone. A distanza di quasi vent’anni su molti di questi argomenti si è fatta chiarezza, su altri temi è sceso il silenzio. Padre Palmiro Prisutto, nel 1992, ha scritto un interessante dossier dal titolo inequivocabile: il terremoto dei silenzi. Sulla base di una fitta documentazione, il parroco sostiene che il terremoto del 13 dicembre era stato prean- nunciato da una serie di articoli usciti su alcuni giornali locali e da servizi televisivi trasmessi da programmi di approfondimento. Molti studiosi avevano segnalato già da tempo l’alto rischio sismico della costa orientale della Sicilia. Ricordiamo che nel 1693 la stessa zona era stata colpita da una scossa disastrosa. Ma se l’informazione preventiva è stata frammentaria, quella successiva all’evento è stata ancor più debole. Pochi sanno, per esempio, che alla scossa tellurica del 13 dicembre si associò un’onda anomala, per cui Augusta poteva essere soggetta, in quell’occasione, anche a maremoto. Proprio a proposito di “tsunami”, il parroco di Brucoli ha ultimamente raccolto sul suo blog - www.terremotodeisilenzi.blogspot.com - una serie di fotografie che potrebbero dimostrare come a seguito del terremoto, alcune parti del territorio megarese si siano inabissate di parecchi centimetri. Continuando la navigazione su internet si trovano altri spunti interessanti. Forse non tutti sanno che sulla mappa di pericolosità sismica elaborata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Augusta è identificata come zona viola, cioè ad alto rischio. La presenza di un grande polo petrolchimico a pochi passi dalla città accresce notevolmente nei cittadini la percezione del pericolo. Per tutte queste ragioni, è fondamentale che Augusta sia costantemente monitorata. Il terremoto di santa Lucia, per i cittadini megaresi, ha rappresentato un punto di svolta. La paura ha scosso le coscienze e, in effetti, da allora molte cose sono cambiate, molti passi avanti sono stati compiuti. Adesso occorre non abbassare la guardia e continuare a investire risorse sulla sicurezza della città. “Nonostante i 10.000 senza casa, lo Stato non volle riconoscere la calamità naturale” Padre Prisutto (Brucoli): “Le vie di fuga dal centro di Augusta non possono essere le rotonde, inadeguate in caso di emergenza” Padre Palmiro Prisutto, parroco della Chiesa S. Nicola di Bari di Brucoli, già subito dopo la terribile notte del terremoto di Santa Lucia, è stato uno dei più atti- vi nei soccorsi alle migliaia di sfollati dalle case lesionate. Con lui ricostruiamo alcuni aspetti del dopo sisma. Parroco, so che lei è una persona molto attenta alle problematiche del territorio di Augusta. Lei ha definito il sisma del 13 dicembre 1990 “terremoto dei silenzi”. Che fine ha fatto il campo container dove erano alloggiati i senzatetto? “Il campo è stato smantellato dalla Protezione civile che ha ritirato i container. Alcuni sono stati riutilizzati per esigenze locali”. Tutti gli sfollati che risiedeva- no all’interno del campo container hanno avuto una nuova sistemazione? “Sì. Dopo la prima emergenza, i terremotati sono andati via e nel campo sono subentrate alcune fasce deboli della popolazione. Perlomeno non tutto il male è venuto per nuocere”. Gli appartamenti popolari sono stati quelli che all’epoca hanno subito i maggiori danni. Sono stati ristrutturati? “Sì, sono stati ristrutturati e rinforzati. Le persone che ci vivevano sono rientrate nei loro appartamenti”. All’indomani del terremoto, lo Stato ha fornito aiuti? “Ha fornito aiuti ma non ha riconosciuto lo stato di calamità naturale con la motivazione che esso ormai non esisteva più. La settimana successiva però venne riconosciuto agli alluvionati di un’altra zona dell’Italia”. Quanti i senzatetto e quanti i morti? “I senzatetto circa 10.000. I morti sono stati diciassette, dodici dei quali nel comune di Carlentini. Nessuno nel comune di Augusta”. Il terremoto del novanta era prevedibile? “Era stato annunciato”. Però, già pochi giorni dopo, il terremoto di Santa Lucia trovò scarsa visibilità sui media… “Di terremoto ad Augusta non se ne parlerà mai. Basta andare sul sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e visionare l’elenco dei maggiori terremoti del ventesimo secolo. Ci sono tutti tranne quello di Augusta. Quello dell’Umbria, che è stato sicuramente di intensità minore e con un numero inferiore di vittime, risulta. Ma lì c’era la basilica di Assisi”. Augusta sarebbe pronta ad affrontare una nuova emergenza terremoto? “Se il terremoto non sarà catastrofico, sì. Se il terremoto sarà quello che si teme… Non so quanti riusciranno a sopravvivere, senza fare allarmismo”. Rispetto al novanta, adesso Augusta ha una via d’uscita in più: il ponte Federico II. “Il ponte era stato richiesto già prima del terremoto. Al momento del sisma era in costruzione. I lavori sono stati accelerati in seguito alla scossa”. Quindi le vie d’uscita dal centro cittadino adesso sono sufficienti? “No, le rotonde che sono state costruite sono sufficienti in caso di una viabilità assolutamente normale, non di emergenza”. Caterina Italia Sarà depositato (forse) a dicembre il nuovo piano di Protezione civile Licciardello: “Non basta trovare le aree di raccolta Bisogna attrezzarle con acqua, luce e fognatura” Cosimo Licciardello è il responsabile del servizio comunale di Protezione civile di Augusta, figura centrale quindi per tentare, a distanza di quasi 20 anni dal devastante terremoto del 13 dicembre del ‘90, un’analisi dei danni subiti allora dal comune megarese e tracciare un bilancio su come si è attrezzata la città per affrontare, speriamo mai, un nuovo evento sismico. Per iniziare, quali furono i maggiori danni del terremoto di Santa Lucia e dove furono localizzati? “I danni maggiori sono stati localizzati nella zona borgata, dall’ingresso del paese fino ai “ponti di campagna”. Come mai, c’è una spiegazione tecnica? “Le spiegazioni tecniche sono emerse successivamente ai monitoraggi. Nella zona Palajonio, negli ultimi edifici costruiti, le staffe dei pilastri erano state legate male per cui le abbiamo trovate alla base del pilastro. Fortunatamente la tipologia costruttiva delle nostre abitazioni, rispetto a quella di tanti edifici di altri comuni, era migliore per cui i palazzi non sono crollati”. Qual è stato il contributo della Protezione civile, in quell’occasione? “Oltre ad aver creato dei centri di smistamento dei materiali, localizzati nella struttura tensostatica del Palajonio, abbiamo contattato tante ditte per la rimozione dei detriti e abbiamo coordinato tutti i tecnici provenienti da dentro e fuori la provincia e li abbiamo coinvolti nel censimento dei danni agli edifici, attività durata circa cinque mesi. Per ogni stabile abbiamo fatto una schedatura delle lesioni, poi abbiamo consegnato tutto al dipartimento della protezione civile. Da questa mappatura è emerso che, nonostante l’evento sismico fosse stato abbastanza forte, le strutture avevano comunque resistito: i danni maggiori erano sulle tamponature esterne”. Come mai non è stato dichiarato lo stato di calamità? “Dopo circa un anno, a seguito di convegni e riunioni, si costituì una piattaforma per dichiarare lo stato di calamità”. Dopo il terremoto di Santa Lucia, la città di Augusta come è cambiata? “Prima del novanta, come protezione civile era esistente un solo ufficio, ma di fatto vi mancava tutto. Successivamente all’evento si è costituito l’ufficio comunale della protezione civile; nel 1993 è stato aggiornato e depositato il piano di protezione civile, adesso lo stiamo modificando e dovremmo completarlo presumibilmente a dicembre. All’interno del piano, abbiamo individuato e coordinato i percorsi di esodo della popolazione; abbiamo pianificato le vie dei mezzi di soccorso: un anello in cui i mezzi di soccorso possano entrare, raccogliere le persone e condurle nelle aree di raccolta attrezzate; abbiamo costituito le aree di prima attesa e di primo soccorso per i cittadini”. Svolgete attività di prevenzione nelle scuole? “Da circa 8 anni ci rechiamo nel- le scuole per informare il personale scolastico sui rischi del territorio e sui comportamenti idonei da tenere in caso di un nuovo evento sismico. Abbiamo predisposto i piani di emergenza per le scuole e abbiamo svolto ogni due mesi le prove di evacuazione nei vari plessi scolastici”. Sulla base di quanto detto, possiamo concludere che oggi la città di Augusta sia più sicura? “Sicuramente rispetto al novanta abbiamo fatto passi da gigante. Anche se bisogna ancora attrezzare le aree di raccolta della popolazione. Occorre urbanizzarle con l’acqua, la luce, la fognatura. Non basta individuare un’area, bisogna anche renderla funzionale”. 31 Ottobre 2009 13 “Fate un passo indietro, superate le incomprensioni nell’interesse di questa provincia” Forte appello dell’on. Santi Nicita: “Se oltre alla politica si divide il sindacato il futuro di Siracusa è tutto in salita” di SANTI NICITA La stampa ha dato notizia dell’avvenuta rottura sindacale fra Cgil, Cisl e Uil nella nostra provincia. Non ne conosco i motivi, anche se penso che una decisione così grave può essere stata provocata da profonde diversità di strategie. Senz’altro ritengo che ci siano ragioni e torti validi, che rendono difficile il percorso unitario del movimento sindacale, ma sono convinto che il danno che deriverà da questa rottura è superiore a qualsiasi beneficio che ciascun sindacato pensi di ottenere dalla rottura. La mia lunga esperienza politica si è svolta nella nostra provincia facendo i conti o tenendo conto del ruolo che il movimento sindacale ha svolto. Un ruolo che ha sempre mirato alla tutela degli interessi contrattuali delle varie categorie dei lavoratori, coniugandoli con altre significative e generali problematiche: la tutela della salute e della sicurezza nel posto di lavoro, la difesa dell’ambiente nei suoi complessi aspetti, l’approfondimento delle varie problematiche che nel tempo hanno pesantemente coinvolto la nostra zona industriale specie nei periodi di crisi, la difesa dell’occupazione, la tutela degli interessi dei lavoratori dell’agricoltura e del commercio, nonché quelli della pubblica amministrazione. Il movimento sindacale, obiettivamente, è stato un protagonista nella nostra provincia ed è stato sempre un elemento di equilibrio politico e sociale, specie quando la politica è entrata in crisi. Tutti questi motivi ci dicono che l’eventuale rottura fra i vari sindacati può provocare conseguenze irreparabili nella vita economica e sociale della nostra provincia. Un sindacato unito e forte, oltre ad essere una garanzia per i lavoratori, è anche una garanzia per il mondo imprenditoriale e per il mondo politico. E non è un caso se i rapporti fra il mondo del lavoro e quello della imprenditoria, anche quando vi sono stati forti e duri contrasti, alla fine hanno trovato sempre un punto di incontro e di equilibrio. La lotta sindacale rappresenta una garanzia per i più deboli, per i disoccupati, per quelli che lavorano specie nella zona industriale. Noi abbiamo avuto ed abbiamo nella nostra provincia la presenza di grandi industrie, spesso tentare di fare una politica “colonialista” ma in verità il movimento sindacale ha avuto la forza e la capacità di evitare o ridurre tale pericolo. E’ avvenuto che spesso, attorno ai problemi della difesa occupazionale o a quelli dello sviluppo o alle rivendicazioni rispetto ai governi regionale e nazionale, il fronte sindacale e quello imprenditoriale si siano trovati su posizioni conver- genti o compatibili. Anzi, si può dire che spesso, quando il mondo politico è stato diviso o disattento, il movimento sindacale e le associazioni degli imprenditori hanno dato vita a piattaforme programmatiche di alto valore: piano di difesa ambientale, programma per la chimica, progetti per la riconversione industriale, interventi per la bonifica eccetera. Personalmente non posso dimenticare il ruolo svolto dal movimento sindacale quando nella nostra provincia le forze politiche, nell’interesse delle nostre popolazioni e per meglio affrontare i problemi della infrastrutturazione del territorio sconvolto dagli insediamenti industriali, diedero vita al cosiddetto “Comitatone”. In quel periodo, come oggi, il sindacato e l’associazione industriali hanno svolto un ruolo che è riuscito e riesce tuttora a coinvolgere le istituzioni e il mondo politico, anche se diviso e incomunicabile. Non si tratta, quindi, di auspicare al mondo sindacale di trovare e superare i motivi delle incomprensioni esistenti tra i vari protagonisti ma di un richiamo alle loro responsabilità nell’interesse generale. Il momento che attraversa la nostra provincia è grave: sui vari problemi esistenti occorre costruire un movimento sociale e istituzionale unitario quale presupposto per ottenere dei risultati positivi. Peraltro, proprio nei mesi scorsi vi sono stati interventi sulla stampa di Sanzaro (Cisl), di Carnevale (Cgil) e di Munafò (Uil) tutti convergenti, per cui viene difficile comprendere e giustificare l’eventuale rottura. Per questo, modestamente, auspico che i responsabili dei singoli sindacati compiano uno sforzo per evitare il peggio. Il movimento sindacale è un patrimonio sociale di alto valore che non può essere eliminato per qualche, anche giustificato, motivo. La provincia di Siracusa da anni paga un alto prezzo per la frantumazione del mondo politico e per la sua assenza dalle varie problematiche dello sviluppo economico e sociale, perchè i partiti sono impegnati solo nella gestione ordinaria delle varie istituzioni e dilaniati dalla lottizzazione del povero e insignificante sottogoverno. Se ora alla divisione del mondo politico si aggiunge anche la divisione del mondo sindacale, la provincia di Siracusa ha un futuro tutto in salita. Fate un passo indietro, risolvete i problemi che vi vedono divisi, nell’interesse dei lavoratori e dell’intera provincia. Il 30% dei commercianti esposti col Monte Paschi Siena entro dicembre chiuderanno Linguanti: “Il Comune dovrebbe prevedere in bilancio il contributo per le attività promozionali dei Cenaco” E’ un dato di fatto. Il 30% delle attività commerciali siracusane, tra piccole e medie imprese, che hanno sofferenze debitorie presso la banca monte dei paschi di Siena entro la fine dell’anno chiuderanno. Si darà infatti inizio a una serie di procedure a quanti non sono in regola in fatto di pagamenti di contributi e imposte. A darci la notizia è il presidente della confesercenti di Siracusa Arturo Linguanti. Si tratta di un dato grave, il numero delle attività a rischio è troppo alto. In realtà un’avvisaglia della situazione c’era già dall’inizio dell’anno. Ben 62 attività di una certa importanza della nostra città hanno dovuto chiudere e a ciò è corrisposta una perdita di forza lavoro pari a 190-200 persone. A soffrire maggiormente sono i settori dell’abbigliamento e dell’alimentare. A dire di Linguanti la causa di questa crisi è da ricercare nelle difficoltà che la famiglia siracusana incontra da 5 anni a questa parte. Sono aumentati i costi fissi: infatti tasse, bollette, contributi, benzina e tutto ciò di cui non possiamo o vogliamo fare a meno hanno un peso sempre maggiore nei bilanci familiari, che però nella maggior parte dei casi non godono di una liquidità maggiore. Bisogna quindi stringere la cinghia da qualche parte. Consideriamo che, sebbene i negozi di abbigliamento abbiano due volte l’anno la possibilità di liquidare la merce accantonata nei magazzini, negli ultimi tre anni si è registrato un trend negativo e addirittura un 20% secco di vendita in meno. Ma le difficoltà economiche della famiglia-tipo siracusana non sono le uniche cause di questa crisi. Bisogna infatti pensare al grave contributo che viene ad essa data dalla presenza dei molti, troppi centri commerciali nella nostra città (c’è un’esagerata sproporzione tra numero di centri commerciali e numero di abitanti) e alla difficoltà che i commercianti incontrano nell’avere credito dalle banche. Questo insieme di motivi può creare un disagio estremo per le attività commerciali i cui proprietari non di rado sono “costretti” in assenza di alternative e soluzioni a ricorrere all’usura. Inoltre Linguanti fa notare come per tre giorni della settimana, quelli del week-end, la città sia completamente spopolata contrariamente ai grandi ipermercati che invece “scoppiano” di gente. Ma un tentativo di risanamento della situazione sta per trovare realizzazione. Si tratta infatti dei cosiddetti centri commerciali naturali, aggregazioni di negozi e pubblici esercizi che si trovano nella stessa area urbana. I ccn hanno un duplice obiettivo: da un lato lanciare una nuova politica del commercio e dell’artigianato che trovi realizzazione non nel singolo negozio, bensì nei negozi di uno stesso quartiere, dall’altra rivalutare i centri urbani e quelle zone della città che possono vivere un periodo di degrado e abbandono. La formazione dei ccn non è cosa nuova: già nel 1996 se n’era costituito uno nel centro di Ortigia e i consorzi esistenti dal 2003 avevano firmato tempo addietro un protocollo d’intesa con il comune per provvedere all’attività promozionale. Qualcosa quindi è stato fatto nel passato, ma non è stato sufficiente se la situazione odierna delle attività commerciali è di piena crisi. Oggi queste forme di aggregazione aumentano costantemente in città come Fabio Rotondo: “La Borgata sta diventando un ghetto” di ISABELLA MAINENTI nella provincia (se ne trovano a Pachino, Augusta, Canicattini, Priolo, Sortino) e soprattutto ne aumentano i facenti parte. Linguanti ci informa poi su una legge nata su proposta della confesercenti circa l’accreditamento regionale di queste associazioni commerciali. “Compito della regione e del comune è ora prevedere nei propri bilanci una voce specifica circa il contributo per le attività promozionali dei centri commerciali naturali e preoccuparsi, laddove questi si siano costituiti, di dare inizio a un’opera di urbanizzazione e rivalutazione del territorio.” Perché è ovvio che la gran parte dei cittadini non sono stimolati ad effettuare le loro compere in città a causa della mancanza di parcheggi, dell’assenza dei marciapiedi e a volte della scarsa illuminazione che, sebbene possa sembrare cosa da poco, ha in realtà un grande peso in quartieri poco “affidabili” e mal frequentati. Tutto questo spinge necessariamente i cittadini nei grandi centri commerciali in cui i posti auto non mancano, si può passeggiare senza temere di essere travolti e la luce non è certo un problema. Ma tutto questo con la costituzione dei ccn dovrebbe finire: le opere di urbanizzazione prevedono una serie di interventi nelle più diverse zone della città, dal quartiere acradina alla borgata. Si cerca così di rendere la nostra città più vivibile, le strade punti di incontro e le attività commerciali più attive. Perché è laddove c’è molta gente che il commercio prolifera. Come dice Linguanti “lo stare insieme, fare attività promozionale nel quartiere, movimenterà il quartiere stesso e questo porterà a un aumento degli incassi”. Tra l’altro le spese dei commercianti diminuiranno perché le operazioni di marketing saranno sostenute da tutta l’aggregazione e non più dalla singola attività. E’ necessario però accelerare l’opera di urbanizzazione perché il rischio è che questa venga compiuta troppo tardi, quando ormai molte attività commerciali abbiano abbassato la saracinesca. Isabella Mainenti Parliamo poi con Fabio Rotondo, proprietario di una macelleria in via Isonzo e consigliere di quartiere della borgata, che ha aderito al centro commerciale naturale costituito in questa parte della città. Il signor Rotondo, parlando del progetto, sottolinea innanzitutto il fatto che per farne parte nessun commerciante abbia dovuto iscriversi alla confcommercio o alla confesercenti mantenendo quindi il proprio status di libero commerciante. Parliamo poi con lui della situazione della borgata e del modo in cui il centro commerciale naturale può trovare qui ambientazione e realizzazione. Il quartiere vive senz’altro un periodo di collasso, degrado e abbandono. Lo stesso Rotondo ammette la propria insicurezza nel camminare per quelle strade quando fa buio e ricorda che negli ultimi dieci anni il quartiere si è spopolato contando una popolazione di soli 12000 abitanti a fronte dei 28000 prima presenti. “La borgata si sta trasformando in un vero e proprio ghetto”. Sono parole forti che mostrano un altrettanto forte disagio. Ma il signor Rotondo come molti altri commercianti non ci stanno a tollerare ulteriormente questa situazione e tentano di dare una svolta attraverso il centro commerciale naturale. “Cerchiamo di ripromuovere e riqualificare il quartiere anche perché il ccn può collaborare con il comune circa l’urbanizzazione dello stesso e intrattenere contatti con la Regione. Molti bassi commerciali sono chiusi da anni e nessuno più investe in borgata. Bisogna promuovere iniziative tra commercianti come per esempio una raccolta punti e in questo modo richiamare la gente”. È importante per Rotondo spendere in città piuttosto che negli ipermercati innanzitutto per un rapporto cliente-commerciante umano e di fiducia che non può esistere nei secondi. Tra l’altro la proporzione tra qualità e prezzo è senz’altro più equa nei negozi e in questi non viene fatto ciò che il nostro interlocutore definisce lo “specchio per le allodole” di cui si servono gli ipermercati: cioè mettere in promozione alcuni prodotti per attirare così la gente aumentando però il costo di altra merce. 14 31 Ottobre 2009 La nuova proposta alla Provincia: 400 mila euro l’anno per allocarvi i plessi sparsi in città La lunga storia dell’Alberghiero maledetto. L’impresa: “Toglieremo i ponteggi e poi non faremo più nulla” di ISABELLA MAINENTI C’era una volta un palazzo. Era un palazzo grande, spazioso, ampio, al centro della città, costruito per una buona causa. La sua però non è una bella storia e il racconto che lo riguarda non ha un lieto fine. Potrebbe essere questo l’inizio della lunga e difficile narrazione su quello che doveva essere l’istituto alberghiero in via Francesco Crispi, un palazzone enorme, posto di fronte alla stazione degli autobus, che probabilmente all’epoca in cui fu costruito doveva fare la sua bella figura ma che oggi è ridotto a cumulo fatiscente di mattoni e cemento. Ci aiuta a ricostruire il passato di questa costruzione l’ingegner Andrea Corso, vice presidente della confesercenti e presidente dell’assoturismo della provincia di Siracusa. La struttura viene realizzata a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. E’ del ’68 un certificato di collaudo che attesta la conformità dei lavori al progetto. Il palazzo nasce in pratica con la legge antisismica che risale al 1964 ed è quindi in regola per quei tempi anche da questo punto di vista. Si tratta di un edificio CAPALC, anzi per essere più precisi, del cosiddetto CAPALC 7. I capalc erano delle vere e proprie scuole albergo, cioè degli istituti in cui i ragazzi avevano anche il proprio alloggio e che si diffusero particolarmente nel dopoguerra, quando per avere una speranza di formazione e lavoro i figli dei più poveri venivano mandati in queste scuole. Il modello fu la scuola di Losanna. In pratica accanto al liceo classico e allo scientifico, che ancora non aveva però pari dignità con il primo, c’erano queste scuole albergo che invece occupavano nell’idea comune il gradino più basso dell’istruzione, immediatamente dopo gli istituti tecnici. La regione si appresta quindi a costruire questi edifici con fondi provenienti dalla Cassa del Mezzogiorno e dall’azienda autonoma del turismo che era l’ente appaltante per conto della regione, e a gestire la formazione in ambito turistico con questo modello convittuale già vecchio all’epoca se si considera che la scuola di Losanna risaliva all’inizio del secolo mentre qui siamo già alla metà dello stesso. Succede però poi che, una volta finiti i lavori e dopo che tutto era pronto per l’utilizzo del palazzo, la regione rinunci alla gestione dell’immobile. Si voleva probabilmente passare la gestione in mano al comune che però non si fa trovare pronto e inizia a passare del tempo. In pratica quello che non era successo al Capalc3, ossia alla scuola alberghiera di Taormina, succede a Siracusa. Il comune e la regione non riescono a trovare un accordo, invece di un rapido passaggio di chiavi il tutto viene lasciato per aria, il tempo passa e i vandali cominciano a dare il proprio contributo. Da qui inizia il vero e proprio calvario di quello che doveva essere l’istituto alberghiero. In poco tempo l’immobile cambia aspetto, tutto ciò che vi era all’interno viene sottratto, rubato e distrutto e questo contribuisce al fatto che il comune si senta sempre meno interessato ad acquisire l’onere di una carcassa di cemento. Siamo già negli anni ’90; nel 1992 cessa la sua attività la cassa per il mezzogiorno e i fondi da destinare al recupero dell’immobile diminuiscono ulteriormente. Si susseguono continui e ripetuti cicli in cui si alternano vandalismo e manutenzioni sempre sostenute dall’azienda autonoma per il turismo. Questa situazione di stallo dura per una decina di anni, un’ulteriore decina di anni, quindi fino alla fine degli anno ’90. E’ questo il momento in cui entra in gioco il gruppo rappresentato dall’ing. Corso. Infatti la confesercenti risponde a un bando di concessione proponendo di realizzare per ¾ un albergo e per ¼ una scuola da dare in gestione all’azienda autonoma del turismo nonché alla regione. L’albergo sarebbe stato di 70-75 stanze e la scuola di 1500 m²; certo non sarebbe stata una grande scuola, ma sufficiente per 150 studenti. Nel 1999 viene presentata l’istanza e nel 2003 viene ottenuta la cessione. Le condizioni in cui la confesercenti riceve l’immobile sono drastiche e vengono spesi ben 200.000 euro tra disinfestazione e pulizia degli interni. Si passa poi a valutare il fabbricato dal punto di vista strettamente edilizio: all’ultimo piano si scoprono grossi problemi di staticità e diventa necessario rivedere il progetto. I lavori partono tra il 2005 e il 2006 ma nel frattempo le condizioni e le necessità dell’economia cambiano. Sostanzialmente il gruppo imprenditoriale si rende conto che fare un investimento alberghiero non è conveniente in una città come Siracusa in cui gli alberghi, i B&B, le pensioni e in genere i posti letto di certo non mancano. Viene allora cambiata a marzo di quest’anno la proposta iniziale, ossia quella di rendere il palazzo parte albergo e parte scuola, o meglio vengono rovesciate le proporzioni. Infatti adesso si avanza alla provincia la proposta o di dividere l’immobile tra le due cose o addirittura di prendere solo ¼ per l’albergo e la restante parte per l’istituto scolastico. In pratica il quarto di scuola sarebbe stato ceduto come previsto dall’accordo iniziale mentre un’altra parte sarebbe stata concessa in affitto “a un prezzo popolare”, come dice l’ing. Corso. Si parla di 400.000 euro l’anno per allocare nello stesso luogo tutti i quattro plessi dell’istituto alberghiero al momento sparsi tra viale Scala Greca, via Lentini, via Freud e via di Villa Ortisi. Si consideri che al momento attuale la provincia spende 250.000 euro l’anno per una sola succursale. Un vero e proprio mutuo! Inoltre l’albergo sarebbe stato completamente asservito alla scuola nel senso che avrebbe assunto come personale i diplomati dell’istituto che durante la propria carriera avevano potuto maturare un’esperienza diretta sul campo, cosa che invece oggi avviene solo tramite convenzioni che l’istituto stringe con aziende private pagando. Cioè si proponeva di realizzare un albergo di fascia bassa dove i ragazzi potessero, attraverso stage, diventare esperti della professione sotto la tutela di un direttore esperto. A ciò si aggiunge la clausola per cui, trattandosi di immobile pubblico, alla fine della cessione della confesercenti la provincia sarebbe divenuta proprietaria dello stabile. Ma da marzo tutto tace. La provincia non ha risposto alle proposte avanzate nonostante le lettere e i numerosi incontri tenuti per le trattative che si sarebbero concluse sulla cifra di 425.000,00 euro annui. L’ingegnere Corso ci informa però su una possibile operazione di “finanza di progetto” (project financing) per la quale i privati si fanno avanti per finanziare, eseguire e gestire un’opera pubblica in cambio degli utili che poi derivano dalla corretta gestione della stessa opera. Generalmente a questo tipo di operazione si affianca un contratto di “global service” comprendente una pluralità di servizi integrativi delle normali attività di manutenzione. Sembrerebbe che alla “finanza di progetto” si sia interessata la Pizzarotti. Ma realmente a chi conviene costruire un’opera ex novo spendendo non meno di 15-16 milioni di euro, quando con 425.000 euro l’anno (per i trent’anni previsti) si potrebbe recuperare qualcosa di già esistente? Sempre ricordando che alla fine della cessione l’immobile diventerebbe di proprietà della provincia. Comunque fino a ora tutto è fermo. Ma un’altra domanda sorge spontanea: dall’inizio della vicenda quanto è stato speso? L’ingegnere Corso non sa darci una risposta sulle usci- te dell’istituzione pubblica, ma ci dice che di sicuro il capitale privato ha impiegato 3 miliardi di vecchie lire. Ora, aldilà delle responsabilità dei singoli enti e amministrazioni, perché è evidente che ognuno ci ha messo il proprio, è ancora necessario continuare a far finta che questa “casa dei fantasmi” non esista? E lasciare l’istituto alberghiero nelle condizioni assurde e intollerabili in cui vive? Vogliamo dare ai turisti che arrivano alla stazione o alla fermata dell’autobus e che trovano a dar loro il benvenuto questa costruzione fatiscente, l’idea che Siracusa sia davvero la città delle opere incompiute? L’accordo col sindaco: per ora solo il 20% e poi si tornerà alla misura 2007 La Corte: “L’aumento della tassa sui rifiuti urbani del 60% è immorale con conseguenze devastanti per i pachinesi” Un aumento della tassa sui rifiuti urbani del 60%: insostenibile per i cittadini di Pachino già provati da una crisi che nel centro del ciliegino ha investito soprattutto la produzione agricola, proprio quella che rappresenta la prima irrinunciabile risorsa per buona parte della popolazione con serie ripercussioni in tutti i settori economici collegati. A partire dal 1999 l’andamento della tarsu è stato esponenziale: prima con l’aumento del 51,79% imposto dal commissario straordinario del comune, e ora con il 60%. In 10 anni complessivamente il 111,79% in più. Ma ciò che maggiormente suscita reazioni sdegnate e spinge a forme plateali di proteste, quale lo sciopero fiscale minacciato dagli stessi sindacati confederali, è il modo con cui il vertiginoso aumento è stato deciso: un inganno a danno di tutti, per cercare solo di risolvere le sofferenze del bilancio co- munale. Con quello che viene definito un autentico colpo di mano, Giuseppe Campisi, il sindaco in carica, decretava l’aumento della tarsu il 27 maggio 2008, lo stesso giorno in cui, secondo i contribuenti in rivolta, entrava in vigore il decreto legge 93 con cui il governo sospendeva “il potere delle regioni e degli enti locali, province e comuni, di deliberare aumenti dei tributi e delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi ad essi attribuiti con legge dello Stato”. Un provvedimento con cui si è cercato in qualche modo di salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie. A guidare la protesta dei pachinesi ancora una volta Gioacchino La Corte, segretario locale del partito dei comunisti italiani, instancabile nella sua lotta contro ingiustizie e vessazioni. “Già a settembre ho rivolto al sinda- co, Paolo Bonaiuto, la richiesta di un incontro per affrontare i problemi non più rinviabili del comune: l’aumento folle e inspiegabile della tassa sui rifiuti così come le precarie condizioni di una viabilità interna da terzo mondo, indegna di un paese civile. Ritengo la determina del sindaco Campisi sulla tarsu, tutta personale, un atto immorale perché distante dai problemi di sopravvivenza cui devono far fronte giorno dopo giorno i miei concittadini, gravissimo per le conseguenze devastanti che ha su economie già fragili e insufficienti, ma soprattutto illegittimo perché contrario a quanto stabilito nel decreto del maggio 2008. Un aumento assurdo e ingiustificato che non può sostenere chi fa fatica ad arrivare a fine mese e, quando arriva la tassa per la spazzatura, la bolletta dell’acqua, della luce, del telefono, deve fare la scelta se mangiare o pagare. “L’aumento della tarsu, approvato nel bilancio di previsione 2008 dalla dottoressa Margherita Rizza, commissario ad acta, era stato giudicato insostenibile anche da Paolo Bonaiuto: durante la campagna elettorale, aveva promesso, una volta eletto sindaco, di revocare la determina. Nell’incontro di lunedì scorso con Bonaiuto siamo al momento arrivati a un accordo: per quest’anno un aumento limitato al 20%, rispetto all’aumento previsto del 60% i cittadini risparmierebbero almeno il 40%, e per il prossimo un ritorno alla tariffa del 2007. Le soluzioni per diminuire i costi non mancano. Occorrerebbe per esempio sbloccare quanto prima i lavori di messa in sicurezza della discarica di contrada Coste Santi Ippolito completando con la relazione geologica la documentazione da inviare all’assessorato regionale”. Marina De Michele 31 Ottobre 2009 15 L’interessante convegno al salone Borsellino “per una psichiatria del territorio” Zappia (assessorato alla Sanità): “La legge 328 in Sicilia stenta ad essere attuata o lo è a macchia di leopardo” di PINO BRUNO Forse per caso, forse per una di quelle strane coincidenze che spesso accadono nei fatti degli uomini, il convegno “per una psichiatria del territorio, buone pratiche a confronto” che si è tenuto sabato scorso al salone Borsellino ha coinciso con il recepimento, avvenuto pochi giorni prima, da parte della regione Sicilia delle linee di indirizzo nazionali per la salute mentale. A darne annuncio durante i lavori è stato il dott. Zappia della segreteria tecnica dell’assessorato alla sanità. Non si tratta di notizia di poco conto, ovviamente per il settore e altrettanto ovviamente se quanto previsto dall’atto verrà messo in pratica. Sebbene sia poco illuminata dai riflettori mediatici, tranne nei casi sporadici di azioni violente da parte dei cosiddetti “matti”, e per nulla entrata nell’attenzione che i giornali hanno dedicato ai dibattiti sulla sanità in Sicilia e segnatamente nella nostra provincia negli ultimi due anni, l’organizzazione mondiale della sanità ci ricorda che questo tipo di patologia, o per meglio dire di patologie, determina nei paesi sviluppati il più alto carico di disabilità, superiore anche alle malattie oncologiche e cardiovascolari. La circostanza, quindi, che un importante strumento di indirizzo di politica sanitaria sia stato fatto proprio dalla Sicilia, anche se a distanza di 18 mesi dalla sua emanazione, autorizza a sperare in una riqualificazione dell’offerta anche in questo settore della sanità. Speranza fortificata dalla presenza al meeting del direttore generale dell’ASP. Il dott. Franco Maniscalco ha sottolineato che presterà particolare attenzione a tre aspetti delle problematiche sollevate dall’intervento del primo relatore, il dott. Sgarlata organizzatore del convegno insieme all’associazione dei familiari, che riguardano la dotazione organica, la formazione degli operatori e l’integrazione tra dipartimento salute mentale ed enti locali per ciò che riguarda gli interventi di tipo sociale. Proprio quest’ultimo argo- mento è stato quello che più di altri ha attraversato quasi tutti gli interventi della giornata, anche quelli più propriamente a carattere scientifico. Il contributo più significativo in tal senso è stato quello della dottoressa Carozza, primario di psichiatria all’USL di Ravenna e docente di psichiatria sociale all’Università di Chieti. La sua interessante relazione sulla riabilitazione psichiatrica ha evidenziato in maniera brillante come la riappropriazione del “ruolo sociale” sia fondamentale per la guarigione dei soggetti con disturbo mentale. Non bastano i farmaci sebbene importantissimi per il controllo dei sintomi, non basta l’intervento psicoterapico sebbene possa migliorare la capacità di resistenza agli stress, fondamentale diventa la riappropriazione di una reale “autonomia personale”. Questo il concetto di guarigione in psichiatria, quello che tecnicamente viene chiamato “recovery”. Recuperare, riacquistare, riguadagnare, ma soprattutto ritrovare, ritrovarsi persona nella società. Si può continuare ad avere qualche sporadica allucinazione, qualche “split” delirante come lo ha chiamato la dottoressa Carrozza, qualche caduta nel buio angosciante e paralizzante della depressione, ma essere aiutato a ritrovarsi appunto e nuovamente partecipare della propria comunità, della propria famiglia. Per fare questo è necessaria la presa in carico globale della persona con disturbo mentale, e nei casi gravi contrastarne le disabilità sociali, rendere effettivo il diritto di cittadinanza che significa: abitazione, lavoro, relazioni, tempo libero, supporto alle famiglie e al contesto di vita. Il richiamo alla legge 328 sull’assistenza è forte e chiaro, come innegabile è la sua applicazione parziale e disomogenea nella nostra regione. Richiamo presente anche nell’intervento del dott. Zappia, il quale ha sottolineato “come in Sicilia esistono due diversi assessorati che si occupano appunto di inte- grazione socio-sanitaria, che non vi è stata fino ad oggi una vera politica di coordinamento delle prestazioni sanitarie e di quelle di ambito sociale, che nonostante si sia arrivati alla seconda edizione dei piani di zona non si può dire che vi sia stata una reale integrazione tra gli enti preposti alla programmazione: regione, autonomie locali, aziende sanitarie, servizi pubblici e privati, cooperazione sociale ed imprenditoriale, volontariato. Insomma, la 328 in Sicilia stenta ad essere attuata, o lo è a macchia di leopardo. Per questo è stato avviato un confronto serrato tra l’assessora- to alla famiglia e quello alla sanità. Vi è una sintonia tra i due assessori, anche probabilmente per la loro amicizia personale, ma più importante ancora è l’intesa tra le due strutture tecniche che stanno lavorando al decreto previsto dalla legge di riforma sanitaria che dovrà fissare gli indirizzi operativi finalizzati ad assicurare le opportune integrazioni fra servizi sanitari e sociali per migliorare gli interventi in favore di portatori di handicap, anziani, famiglie e fasce deboli della popolazione come sono appunto i pazienti con disagio psichico”. “Per il reinserimento dei malati occorre integrazione fra dipartimento ed enti locali” Sgarlata: “L’abolizione dell’unità di crisi ha prodotto l’aumento dei ricoveri ospedalieri” Com’è la situazione nella nostra provincia? Lo abbiamo chiesto al dott. Sgarlata che, come abbiamo riferito nell’altro artiocolo in pagina, ha sottolineato nel suo intervento, oltre alle problematiche relative alla funzionalità dei servizi di salute mentale di cui parleremo più avanti, proprio la scarsa integrazione tra le strutture sanitarie preposte all’assistenza dei malati psichiatrici e gli assessorati alle politiche sociali dei comuni. Prima di passare la parola al dott. Sgarlata, qualche annotazione sullo stato dell’organizzazione della vecchia ASL 8 ora ASP in questo settore è obbligatoria. Forse unica azienda sanitaria regionale a non aver creato lo specifico dipartimento per l’integrazione socio-sanitaria previsto da uno specifico decreto assessoriale dell’ormai lontano maggio 2007, sicuramente unica a non avere un proprio servizio sociale formalmente costituito benché previsto dalla legge regionale 30/93 e ribadito dal piano sanitario del 2000, quasi assente negli ultimi anni nella discussione sui piani di zona dei quattro distretti socio-sanitari della nostra provincia ed in particolare su quello di Siracusa, addirittura latitante sugli specifici interventi che hanno interessato la salute mentale. Si è trattato di precise scelte della precedente direzione aziendale dell’ASL 8, la quale ha ritenuto che gli aspetti sociali e anche socio-sanitari riguardavano esclusivamente i comuni. E’ per questo che non abbiamo ad esempio un’assistenza domiciliare integrata nella nostra provincia. Diamo comunque credito al “nuovo corso” dichiarato dal dott. Maniscalco, permettendoci qualche dubbio perché pure su questo aspetto, come su altri, i segnali non sono chiari. Dott. Sgarlata perchè questo convegno? “Da circa un anno abbiamo formato una rete con gran parte degli attori non istituzionali presenti nel territorio che si interessano positivamente a vario titolo delle problematiche della salute mentale, associazioni di familiari, imprese sociali, associazioni di volontariato, singoli operatori, sindacati. Queste realtà hanno sempre lavorato autonomamente, abbiamo quindi pensato che metterci in rete per portare a Siracusa una proposta culturale unitaria di politica sanitaria sulla salute mentale potesse essere molto utile e penso che l’obiettivo sia stato raggiunto”. Un momento cioè non solo scientifico, ma di proposta sull’organizzazione del settore? “Certamente, abbiamo infatti cercato di indicare quel- lo che ci sembra necessario fare a Siracusa per realizzare una psichiatria coerente con i dettami legislativi, cioè una psichiatria del territorio e di comunità che sposti la sua attenzione dall’intervento medico e dal ricovero in ospedale o in comunità terapeutiche, all’intervento nel territorio, al lavoro di équipe e che soprattutto metta al primo posto i bisogni reali del paziente”. Vuol dire che questa “rete” di associazioni formulerà delle precise proposte al direttore dell’ASP? “Non solo al dott. Maniscalco, lamento infatti l’assenza della Provincia regionale e del Comune di Siracusa, assenze preoccupanti e indicative. Abbiamo comunque preparato un Manifesto, presentato al convegno, con una serie di richieste che saranno nei prossimi giorni formalizzate alle istituzioni. Ci aspettiamo la possibilità di incontri per poterne discutere”. Può indicarci alcune di queste richieste? “Di alcune ho già detto nel mio intervento al convegno, dotazione organica carente, formazione degli operatori, integrazione tra dipartimento salute mentale ed enti locali per le attività di reinserimento. Problematiche che mi sembra abbiano incontrato l’attenzione del direttore generale dell’ASP. Altre sono più tecniche e riguardano aspetti organizzativi, ma di una è giusto accennare per i risvolti immediati che ha sull’utenza. Mi riferisco alla gestione delle emergenze psichiatriche, cioè in quello che è conosciuto come trattamento sanitario obbligatorio. Alcuni anni fa era stata avviata, purtroppo solo per la città di Siracusa, l’esperienza dell’unità di crisi. Un’équipe multiprofessionale era sempre reperibile per intervenire in caso di urgenze a domicilio del paziente, sia che la richiesta partisse dal medico di famiglia sia nel caso arrivasse direttamente dai familiari. Tale modalità d’intervento era riuscita a ridurre la necessità di ricoveri coatti sempre traumatici per l’utente. L’abolizione di questa “buona pratica” ha ridotto notevolmente la qualità degli interventi ed aumentato ovviamente i ricoveri ospedalieri. “Oggi ci si limita a convalidare i trattamenti obbligatori richiesti da altri medici (di famiglia o del pronto soccorso) quando il paziente si trova già all’ospedale. Quella dell’unità di crisi è un’esperienza che continua a funzionare in altre realtà non solo del resto d’Italia, ma anche della nostra regione. Tra l’altro è un modello organizzativo indicato anche dalle linee guida ministeriali, per cui non si capisce il motivo della sua interruzione”. Il convegno ha avuto anche un carattere più specificatamente scientifico, può dirci quale aspetto le è sembrato più significativo? “Diversi interventi hanno affrontato l’argomento principale dell’incontro: buone pratiche a confronto. Sicuramente da sottolineare la relazione della dottoressa Paola Carrozza, una tra le più importanti esperte italiane di ri- abilitazione psichiatrica, che ci ha mostrato come esiste un paradigma di cura volto alla guarigione della persona affetta anche da grave disturbo psichiatrico da perseguire attraverso un lavoro, qualificato e motivato, nel territorio inteso nell’accezione più ampia. Lavorare per ridare al paziente psichiatrico le abilità sociali, spesso perdute, può restituirlo ad una “normalità”. 16 31 Ottobre 2009 La normativa non è una riforma della scuola ma un provvedimento taglia posti Con i decreti Gelmini a Siracusa classi di 44 alunni Disabili senza sostegno o al massimo un’ora al giorno di GIUSEPPE GENTILE La normativa emanata dalla Gelmini sulla scuola non può essere definita riforma della scuola ma taglia diritto allo studio, taglia posti e taglia scuola pubblica in quanto non innova ma lede il diritto allo studio degli alunni e licenzia i precari. La Riforma citata ha significato: classi con un numero eccessivo di studenti; riduzione del tempo scuola per gli alunni; meno ore per alcuni insegnamenti quali lingua italiana, lingua inglese, informatica (tutti cavalli di battaglia di Berlusconi), chimica, fisica ed altri ancora; riduzione drastica dei posti di sostegno, dei posti ATA (collaboratori scolastici, assistenti tecnici ed assistenti amministrativi) accompagnata da aumento di compiti e riduzione di organico; riduzione degli stanziamenti per supplenze, per la gestione amministrativa e per il fondo di istituto. Chi può pensare che un numero elevato di alunni per classi, un minor numero di ore di studio possa migliorare la qualità dell’insegnamento e la capacità di apprendimento degli alunni e quindi migliorare i risultati dei nostri ragazzi? Chi può ritenere che un minor numero di ore di sostegno agli alunni diversamente abili possa consentire una loro integrazione nella scuola perché vengano restituiti alla società ed al mondo del lavoro più forti ed in grado di affrontare le difficoltà che li attendono? La risposta è: loro due, la Gelmini e Berlusconi. Il personale ATA vede falcidiare il suo organico in modo talmente drastico da non poter rispondere alle sempre maggiori esigenze della scuola, si avrà, conseguentemente, un peggioramento del funzionamento amministrativo e tecnico delle scuole e del servizio di assistenza, di vigilanza e di supporto alla didattica. La Gelmini, di recente, ha sostenuto che se i collaboratori scolastici facessero le pulizie nelle scuole si potrebbero risparmiare 150 milioni di euro. Evidentemente non sa che essi le pulizie nelle scuole le fanno già e che nelle poche scuole in cui operano le ditte di pulizie private l’organico dei c. s. è ridotto in proporzione. Ed ancora chi può pensare che le previste riduzioni delle sedi scolastiche, la chiusura di classi nei piccoli centri, l’aumento delle pluriclassi, la riduzione dell’istruzione per gli adulti (si vuol far tornare l’analfabetismo?), la riduzione del tempo pieno e la riduzione generalizzata delle sovvenzioni alla scuola pubblica e l’aumento delle stesse alle scuole private apporti qualità al sistema? La risposta è sem- pre la stessa: Berlusconi e la Gelmini. Si vuole una scuola povera di contenuti formativi e didattici con classi affollate e non in grado di garantire adeguati processi di apprendimento. A livello nazionale risultano, in base ai dati forniti dal ministero, 27.000 precari licenziati oltre a circa 10.000 docenti di ruolo soprannumerari a cui si aggiunge il blocco del turn-over. Ma questo è solo l’inizio, nei prossimi 2 anni sono previsti tagli per altri 75.000 posti e fra 3 anni addirittura 150.000. Una discussione a parte merita la scuola primaria (elementare) trasformata da modello didattico di qualità considerata fra le migliori del mondo a semplice assistenza; ciò farà scendere anche questo settore agli ultimi posti della graduatoria mondiale. A tutto questo la Gelmini risponde che in passato si è utilizzata la scuola come un ammortizzatore sociale. Evidentemente ha confuso la scuola, che è un luogo di cultura e la vera ricchezza dei paesi civili, con la cassa integrazione; inoltre aggiunge minacce e intimidazioni e con il trucco linguistico occulta i reali effetti sulla scuola, sugli alunni e sul personale della scuola, della sua politica di tagli. A Siracusa la riforma ha significato classi con un numero elevato di alunni, anche 44, in barba a tutte le norme di sicurezza e salubrità degli ambienti destinati all’attività scolastica. Moltissimi ragazzi diversamente abili non hanno avuto l’insegnante di sostegno o al massimo solo 6 ore settimanali corrispondenti a un’ora al giorno, che equivale ad avere nulla. Come pensa la Gelmini di garantire loro adeguati processi di apprendimento per la piena e concreta integrazione? In totale a Siracusa si sono persi 600 posti di lavoro oltre ad almeno 180 i posti di sostegno non istituiti non certo per le ridotte esigenze degli alunni diversamente abili ma per disposizione ministeria- le; se solo i componenti delle commissioni presenti presso l’USP di Siracusa, il GLIP (gruppo di lavoro interistituzionale provinciale) ed il GLH (gruppo di lavoro H), in cui non sono presenti le organizzazioni sindacali, che hanno proposto l’organico degli insegnanti di sostegno, fossero stati più coraggiosi e invece di inseguire i parametri del ministero avessero tenuto conto delle reali esigenze dei bambini diversamente abili avremmo potuto richiedere più posti e rispondere meglio alle loro esigenze invece di escluderli dal sostegno. Che dire della formazione dell’organico di adeguamento e delle operazioni di utilizzazioni, assegnazioni provvisorie, immissione in ruolo (pochissime per la verità) e supplenze? E’ incomprensibile come sia stato possibile effettuare tali operazioni prima della pubblicazione dell’organico di fatto visto che dipendono dallo stesso; e ne aspettiamo ancora un altro. Per quel che riguarda le operazioni prima citate, si sono svolte nel pieno caos con continue riconvocazioni, rideterminazioni ed integrazioni dovute, prevalentemente, a disposizioni ministeriali spesso errate e contraddittorie ed in parte a responsabi- Si rinnova la polemica sulla festa pagana, ma esorcizza la morte Oggi Halloween, per vestirsi da zombie basta una fodera nera e un po’ di cartoncino Oggi è il 31 ottobre: se nel tardo pomeriggio qualcuno bussa alla vostra porta ma, guardando nello spioncino, non vedete nessuno, aprite lo stesso. Sicuramente vi troverete di fronte a un manipolo di nanetti travestiti da streghe, vampiri, fantasmi e zucche che vi urleranno “Dolcetto o scherzetto!”. Se però non siete provvisti di cioccolata e caramelle, fate finta di non esserci perché i mocciosi moderni sono molto diversi da come eravamo noi alla loro età, quindi meglio non sfidare la sorte accettando uno dei loro scherzetti, sarebbero capaci di buttarvi un secchio d’acqua addosso, seguito da un altro secchio di farina. E’ Halloween cari mamme e papà, preparatevi a un sabato di fuoco. Il nome deriva da “All Hallows Eve”, cioè “vigilia di tutti i Santi”. Questa festa, che ormai ha preso piede in Italia, non è d’origine americana, come credono i più, ma risale a molti secoli prima della scoperta del Nuovo Continente. Era infatti, come ci informa Wikipedia, una festa popolare di origine pre-cristiana, quando le popolazioni tribali dividevano l’anno in base alla transumanza del bestiame. Tra ottobre e novembre, con l’arrivo del freddo, era necessario portare gli animali al coperto e questo evento segnava il passaggio da una stagione all’altra. In Europa pare siano stati i Celti a diffondere Halloween: per loro il Capodanno, corrispondente all’arrivo dell’inverno, era un momento in cui la distanza tra il mondo dei vivi e quello dei morti si azzerava e si poteva entrare in contatto con l’aldilà. I Celti non temevano i morti, anzi lasciavano loro del cibo per accoglierli, sembra sia questa l’origine del “trick or treat”, “dolcetto o scherzetto”. Inoltre credevano a fate ed elfi anziché ai demoni, ma li consideravano pericolosi ugualmente perché perennemente in collera con gli umani, ecco spiegati molti racconti terrificanti con strane creature, creature ricordate nei costumi dei bambini. Quel che più pare stancante della festa è che per cacciare la sfortuna bisogna bussare a ben 13 porte! Ogni volta che torna questo periodo nasce una piccola polemica perché la Chiesa e le persone di una certa età brontolano non poco per quella che considerano una sostituzione della festa di Tutti i Santi o della commemorazione dei Defunti, che in realtà cadono nei giorni successivi, con ciò che reputano l’ennesimo segno di esterofilia, l’ennesima resa di una italica tradizione religiosa. A ben guardare però, le ricorrenze sono compatibili, anzi, Halloween è un simpatico modo di esorcizzare la morte, per i bambini e non solo. Iniziando a mascherarsi il 31 ottobre, continuando a ricordare i Santi il giorno dopo e commemorando i defunti il 2 novembre è una maniera di sottolineare l’altalena della vita, che ci riserva attimi di pazzia, momenti religiosi e ricordi commoventi, tutto nell’arco di 3 giorni perché è così che va l’esistenza, un miscuglio aggrovigliato e imprevedibile di sentimenti diversi. E se insistete ancora a combattere Halloween perché credete sia solo un altro modo di far spendere soldi ai genitori, non avete poi tutti i torti, ma dovreste anche riconoscere che per vestirsi da zombie basta qualche fodera nera e un po’ di cartoncino sbrindellato. E poi ricordatevi di quanto sia diventata commerciale la festa dei bambini per antonomasia, il Natale. E ora andate a fare provviste di dolci. Giusy Scarella lità del dirigente dell’USP di Siracusa per la rara presenza presso gli uffici che dovrebbe dirigere: quando c’è, è irraggiungibile, lo si vede sfrecciare da un posto all’altro come una saetta, e non certo per responsabilità del restante personale che, come sempre, lavora con professionalità ed abnegazione ma con grande difficoltà per la mancanza di disposizioni certe, di indicazioni e coordinamento. Ciò che succede a Siracusa è un esempio lampante della vera difficoltà della pubblica amministrazione: la dirigenza. Brunetta, per coprire la responsabilità del Governo, accusa i dipendenti della pubblica amministrazione di assenteismo, di incapacità, di essere dei fannulloni e li punisce, riducendo il personale, non applicando il turnover, togliendo parte dello stipendio per le assenze dovute a malattie ed accusandoli di tutte le nefandezze che la sua mente contorta possa immaginare mentre i veri responsabili sono il governo e la dirigenza. Inoltre elogia se stesso, nessun altro lo fa, per la riduzione delle assenze dei dipendenti pubblici per malattia, anche se i suoi provvedimenti non hanno inciso in tale processo in quanto esiste un trend di riduzione delle assenze sin dal 2005 per provvedimenti presi da altro governo. Io ritengo che i contratti di disponibilità non siano certo la soluzione del precariato perché: non aumentano i posti, conseguentemente il prossimo anno il problema si presenterà ancora in forma più grave; non danno, di fatto, un’agevolazione per le supplenze in quanto gli stessi, avendo avuto, nel precedente anno scolastico, una supplenza annuale, sono già primi nelle varie graduatorie d’Istituto e non hanno bisogno di alcuna graduatoria privilegiata; sono esclusi quelli non inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e quelli che non hanno diritto alla disoccupazione ordinaria. Per cui saranno ben pochi gli inseriti in questa graduatoria. Inoltre l’indennità pagata a questi pochi fortunati è costituita al 50% dalla disoccupazione ordinaria, già a carico dell’INPS, a cui i precari hanno comunque diritto e che verrà solo anticipata (ma sarà poi vero?), l’altro 50% è a carico delle regioni che per pagare tale indennità saranno costrette a ridurre i servizi ai cittadini. Ad ogni buon conto questa è stata l’unica proposta del governo e ritengo che non bisogna rifiutarla perché significherebbe negare ad alcuni precari il minimo indispensabile per sopravvivere.