vittorio coletti lettura di dante

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vittorio coletti lettura di dante
VITTORIO COLETTI
LETTURA DI DANTE
Le letture dantesche sono cominciate nel Trecento, col Boccaccio che "esponeva" la Commedia e poco dopo con Benvenuto da Imola, e non si sono mai
interrotte. La Divina Commedia è uno dei pochi testi di altissima qualità e
cultura che sia sempre stato, contemporaneamente e fin da subito, anche di
grande popolarità. Sono innumerevoli i pubblici commenti e letture del
capolavoro dantesco, già in tempi antichi. E sono continuati fino ad oggi, anche
in forma di "cattedre" libere, di esposizioni pubbliche e popolari. Dalla loro
tradizione sono discesi alcuni degli studi più importanti sull'opera di Dante, i
migliori commenti. Basti pensare alla "lectura dantis scaligera" o a quella della
Casa di Dante o alle "letture classensis" di Ravenna, divenute testi di
riferimento critico. In America ce ne sono in tutte le università (basta interrogare Google) e sono oggi tra le più autorevoli, grazie alla vivacità della
dantistica statunitense. In Italia se ne può trovare una rassegna
impressionante sul sito dell'associazione "Centocanti". Anche a limitarsi a tempi
recenti, lettura d'autore/attore e commento pubblico di Dante sono
documentati ovunque. Tutti ricordano le celebri interpretazioni di Carmelo
Bene o di Vittorio Gassman o di Giorgio Albertazzi, o le importanti letture milanesi di Vittorio Sermonti. Commento e lettura sono sempre stati strettamente
uniti, perché non c'è miglior commento (almeno di primo approccio) di una
buona, intelligente lettura ad alta voce del testo dantesco.
Insomma: chi si stupisce del successo delle letture di Benigni è di memoria
corta. La bravura del comico toscano è notevole. La sua intelligenza della
Commedia bella, e brillante. Ma non è la novità dell'operazione che dovrebbe
colpire. Semmai la sua sempre rinnovata capacità di attrarre pubblico,
passione, interesse. Da sempre il pubblico accorre alle pubbliche letturecommento della Commedia.
La lettura di Benigni ha il pregio di unire la sapienza di una buona e ben
documentata cultura con l'irriverenza formale del comico, in un impasto
particolarmente adatto a un libro eterodosso come la Divina Commedia.
La parola "commedia" del titolo del poema non significa, è forse il caso di
ricordarlo, il genere letterario cui noi immediatamente pensiamo. Indica invece
uno stile, una lingua plurima, una scrittura mossa, una disposizione particolare
della materia. Ma questa costitutiva dimensione linguistica non è troppo
lontana da quella della commedia dei comici, anch'essa appunto caratterizzata
da movimenti imprevedibili della lingua, continui cambi di registro, mescolanza
di alto e basso. La Divina Commedia è perciò già predisposta per la sua lettura
da parte di un "comico". Più precisamente di un attore. Se non è un testo
teatrale, di questo ha però l'intrinseca dialogicità, la motilità linguistica, la
variazione frequente di registro.
Insomma: quando vediamo il successo delle recite dantesche di Benigni non
dovremmo dimenticare che esse vengono da lontanissimo, che sono quasi
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coeve all'opera stessa e che, per di più, ne potenziano e sfruttano il carattere
intrinsecamente comico e teatrale, dialogico e drammatico.
Del resto, quanti sono i passi della Commedia che sono fatti di veri e propri
scambi di battute tra personaggi diversi, spesso concitati, tesi, coloriti? E non
c'è bisogno di pensare solo ai canti più espressivi dell'Inferno. Anche quando
prevale una lingua meno mossa e più dotta (Paradiso), non mancano nel
capolavoro di Dante zone di fattura propriamente drammaturgica.
Per questo il Dante in scena funziona (da sempre) così bene. Non va
sottovalutata, si capisce, la bravura degli attori, la competenza dantesca di chi
"legge". Ma certo la Commedia si presenta già confezionata per una sua
degustazione pubblica e teatrale.
Ci sono opere che vogliono una lettura singola e solitaria. Ad esempio, il
Canzoniere di Petrarca ci sta a suo agio. Altre che si trovano meglio quando
sono recitatate ad alta voce davanti a un pubblico, come l'Orlando Furioso. La
Commedia è capace di entrambe le delibazioni, ma da quella pubblica e
attoriale trae non pochi vantaggi, specie se la propone uno tanto bravo come
attore quanto avvertito come critico. In questo senso, le letture di Vittorio
Sermonti sono state in tempi recenti una ammirevole miscela di capacità di
leggere e di competenza a commentare.
Per di più, la Commedia ammette anche qualche enfasi oratoria, cui facilmente
chi legge in pubblico può indulgere. Non dà fastidio. Dante può anche "parlare"
alto, con un po' di magniloquenza, con accentuazione espressiva. Se è difficile
leggere bene poesie contemporanee, opere stilisticamente sobrie e asciutte,
che escludono per definizione il momento pubblico e comunitario della lettura,
non è difficile leggere bene ad alta voce la Commedia, già fatta proprio per
questo scopo.
Alla gente piace. E se oggi, alle letture di Benigni, per la bravura del comico,
per la copertura mediati-ca degli eventi, ce ne va moltissima, non bisogna
dimenticare che, per restare solo nella nostra città, il compianto Franco Croce
lesse, negli anni Novanta, tutta la Commedia per tre anni consecutivi, in un
teatro genovese sempre affollatissimo. Dunque, la pubblica lettura della
Commedia non è certo una novità, né lo è la formula lettura + commento
adottata da Benigni a suo modo.
Semmai, il successo delle iniziative di Benigni pongono una domanda sul loro
rapporto col mondo degli studi e della ricerca su Dante […]
Se si pensa che, in molte scuole superiori, Dante viene toccato solo nel
terzultimo anno, come un qualsiasi altro autore del Medioevo, si capirà che
quella delle letture d'attore sia parsa una scorciatoia provvidenziale per
avvicinare a Dante anche livelli e tipologie scolastiche che normalmente ne
restano lontani. E in effetti quando ci si trova davanti a curricula che non
hanno né tempo né modo di familiarizzare gli studenti con l'italiano del DueTrecento e con la cultura del Medioevo, la lettura-spettacolo può essere una
buona strada per un primo, piacevole e serio approccio alla Commedia.
Beninteso, non può sostituirne lo studio. Così come il commento per un pubblico di teatro non sospende gli studi per commenti più profondi, documentati,
colti, come quelli che sempre si fanno a livello universitario e autorevolmente
documentati in sedi prestigiose (basti pensare agli "Studi danteschi" o alla
"Rivista di studi danteschi'"
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La scorciatoia dello spettacolo è però più che buona. Consente una panoramica
essenziale e intelligente del capolavoro di Dante, anche se non sostituisce
altri, più pacati e approfonditi percorsi. Tuttavia, in questi tempi di
spettacolarizzazione galoppante, è una soluzione ottima, gradita alla gente,
piacevole anche per i colti. C'è chi storce il naso. Trova da ridire sull'irriverenza
di Benigni. Su certe ardite attualizzazioni del testo di Dante. Invece, il
problema non è quello della irriverenza o della superficialità critica,
dell'attualizzazione frettolosa. Il problema, semmai, è di fermarsi lì, di non
andare oltre e più a fondo.
Le letture d'attore sono solo il primo passo verso Dante. Ma, paradossalmente,
sono più gradevoli per chi già lo ha fatto. Piacciono di più a chi già ben lo
conosce. Sono infatti sì un primo contatto con la Commedia. Ma soprattutto
sono un ritorno ad essa, in modalità e situazioni meno formali e compunte […]
Le Università dovrebbero [a proposito] fare la loro parte, [per esempio]
un'iniziativa per una lettura dantesca di alto livello, che coniughi competenze
d'attore e di critico e si rivolga a un pubblico più ampio di quello delle aule,
potrebbe essere un progetto che esse offrono alle città e in cui coinvolgere le
scuole, la terza età, le associazioni.
In Genuense Athenaeum n. 69-70 settembre - dicembre 2007
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