Le decisioni di fine vita nella SLA
Transcript
Le decisioni di fine vita nella SLA
Problemi etici delle cure di fine vita Carlo Alberto Defanti Primario neurologo emerito Ospedale Niguarda, Milano I punti principali Informare il paziente (quando? come?) Realizzare un corretto processo decisionale: - scegliere il contesto di cura (domicilio, ospedale, hospice) - prospettare le decisioni mediche di fine vita - promuovere le direttive anticipate (testamento biologico) - identificare un referente nella famiglia Quali decisioni di fine vita nel malato neurologico? sospensione di farmaci (p.es. steroidi nei tumori cerebrali, antibiotici in fase agonica) somministrazione di oppiacei nel malato con dolori intollerabili e nel malato con insufficienza respiratoria, una volta che egli abbia deciso di non sottoporsi alla VAM astensione da misure lifelife-saving – come la nutrizione artificiale e la ventilazione meccanica – se rifiutate dal malato (vedi SLA) omissione della nutrizione artificiale nella demenza in fase terminale sedazione terminale decisione di non rianimare DNR Direttive anticipate e pianificazione anticipata delle cure Le Direttive Anticipate: Advance Directives, Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (CNB) Storia: Natural death act (California 1975), poi graduale diffusione agli altri Stati dell’Unione. Le AD sono la logica conclusione della PAC. Esse sono composte per lo più da due parti: DIRETTIVA DI ISTRUZIONI DIRETTIVA DI DELEGA 1. Direttiva di istruzione Formulazione esplicita da parte del paziente delle sue volontà e dei suoi desideri in relazione a stati patologici presenti o futuri, con indicazione - in particolare - dei tipi di trattamento che egli desidera ricevere o rifiutare in alcune situazioni cliniche specifiche, specie quelle prevedibili in relazione alla sua patologia. 1. Direttiva di istruzione Trattamenti: che cosa si chiede o si rifiuta? Interventi chirurgici d’urgenza Rianimazione cardiocardio-respiratoria Terapie di sostegno vitale (ventilazione meccanica assistita, vasopressori, dialisi, ecc.) Nutrizione artificiale, emotrasfusioni, ecc. Terapia antalgica con oppiacei, sedativi, ev. sedazione terminale 1. Direttiva di istruzione Condizioni cliniche: quando entrano in vigore le disposizioni? Perdita della capacità associata a: Fase avanzata o terminale di varie patologie: degenerative, neoplastiche, infettive Dolore e sofferenze altrimenti intrattabili SVP (stato vegetativo persistente o permanente), demenza avanzata 2. La direttiva di delega: nomina di un fiduciario E’ generalmente un parente o una persona cara al paziente che: Conosce bene i valori e le preferenze del paziente Si impegna a far rispettare le volontà note del paziente incapace (nelle situazioni cliniche più definite o prevedibili) Si impegna a decidere nel modo più simile a come avrebbe deciso il paziente (nelle situazioni cliniche più indefinite o non previste) La Pianificazione Anticipata delle Cure (PAC), Advance Care Planning (ACP) La PAC è il processo in cui il paziente, insieme ai curanti ed ai suoi familiari o persone a lui care, prende delle decisioni circa le cure cui intende consentire o che intende rifiutare in futuro. Fasi del processo di PAC 1. Riflettere sui propri valori morali di riferimento, sulle proprie preferenze; 2. Riflettere sulle proprie condizioni di salute o di malattia sulla base di un’informazione veritiera sulla situazione attuale, sulle più probabili evoluzioni prognostiche, sulle possibili alternative terapeutiche; Fasi del processo di PAC 3. Comunicare ad altri (parenti, persone care, curanti di riferimento) i propri valori e delle proprie preferenze; 4. Documentare le proprie volontà: preparazione di un documento firmato e datato (Direttive Anticipate). Ruolo dei curanti nella PAC Informare il paziente circa le sue reali condizioni di salute o di malattia. malattia. Correggere incomprensioni, errori circa la prognosi ed il rapporto fra oneri e benefici dei vari trattamenti. Ruolo dei curanti nella PAC Aiutare il paziente a chiarire quali sono, dal suo punto di vista, gli obiettivi che vorrebbe che la medicina lo aiutasse a raggiungere. Aiutare il paziente a identificare le sue preferenze circa i trattamenti possibili nel periodo terminale della vita. Le decisioni di fine vita nella SLA Le decisioni di fine vita nella SLA Esse riguardano innanzitutto la respirazione. In presenza di incombente insufficienza respiratoria e di previa (e confermata) o concomitante rinuncia alla ventilazione assistita: liceità di astensione da parte del medico somministrazione di oppioidi (depressione del drive respiratorio) ed eventualmente di ansiolitici (lorazepam, midazolam). Survey of 171 patients: Neudert C, Oliver D, Wasner and Borasio GD (J Neurol 2001, 248: 612612-616): around 90% of the patients died peacefully Le decisioni di fine vita nella SLA Più problematica l’interruzione della ventilazione assistita da parte di soggetti che lo chiedono consapevolmente oppure in caso di direttive anticipate in tal senso in pazienti con evoluzione verso la sindrome del locked locked--in. in. Borasio conclude in questo modo: Prevenire le assistenze ventilatorie non volute! La richiesta consapevole di disconnessione dal ventilatore non significa volontà di morire, ma ritiro del consenso a un trattamento medico invasivo Borasio GD, Voltz R: Discontinuation of mechanical ventilation in patients with ALS (J Neurol 1998, 245:717245:717-722) Le decisioni di fine vita nella SLA E’ dovere del team di cura di offrire al paziente la possibilità di una vita significativa pur in presenza di una grave compromissione fisica Se, malgrado questi sforzi, la volontà del paziente appare consapevole, reiterata e non dovuta a una condizione reversibile (come una depressione), sembra moralmente e legalmente giustificato assistere il malato in modo da assicurargli una morte pacifica dopo la sospensione di VAM Borasio GD, Voltz R: Discontinuation of mechanical ventilation in patients with ALS (J Neurol 1998, 245:717245:717-722) Le decisioni di fine vita nella SLA Come realizzare nella pratica la sospensione della VAM? E’ inevitabile il ricorso alla sedazione e in terminale. particolare alla c.d. sedazione terminale. Si tratta di un provvedimento terapeutico proprio delle cure di fine vita, provvedimento particolarmente importante ma al tempo stesso problematico, che è stata proposta nel 1994 – nell’ambito delle CP – da Cherny e Portenoy, i quali hanno suggerito un algoritmo per identificare i sintomi refrattari, refrattari, definendoli per contrasto con i sintomi semplicemente difficili da trattare. Che cosa sono i sintomi refrattari? Secondo Cherny e Portenoy* un sintomo è definibile come refrattario se: - non vi sono altre misure – invasive o non – capaci di dare un sollievo adeguato, ovvero se questo sollievo è accompagnato da effetti secondari eccessivi o intollerabili, ovvero se è improbabile che altre misure siano capaci di dare sollievo entro limiti di tempo ragionevoli. * Cherny NI, Portenoy RK: Sedation in the teatment of refractory symptoms: guidelines for evaluation and treatment (J Palliat Care 1994; 10: 3131-38) Che cosa sono i sintomi refrattari? I sintomi che occorrono nel contesto delle CP e sono stati identificati come le principali indicazioni alla sedazione terminale sono la dispnea il delirium solo raramente il dolore e altre situazioni acute e drammatiche delle fasi terminali delle malattie oncologiche (p.es. sanguinamento massivo o vomito incoercibile). Sedazione terminale: definizione La Sedazione Terminale (ST (ST)) consiste nella riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, eventualmente fino alla perdita di coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo altrimenti intollerabile per il paziente nonostante siano stati messi in opera i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo, che risulta quindi refrattario. Secondo questa definizione non costituiscono ST né la semplice terapia ansiolitica, ansiolitica, né la terapia analgesica con oppioidi,, né infine la terapia di modulazione del sonno, oppioidi sonno, dal momento che possono comportare una riduzione della vigilanza ma solo come effetto collaterale rispetto all’azione sintomatica specifica del farmaco. Sedazione terminale: modalità pratiche Sono diverse, dato che non esistono per ora vere e proprie linee guida da seguire. Di regola la ST è basata sull’uso di BZD ad azione breve quali il midazolam, associato o non ad oppioidi oppioidi,, in perfusione continua, venosa o s.c. ma vi sono alternative più complesse, di competenza tipicamente anestesiologica come la somministrazione di thiopental o di propofol in infusione. Controversie su ST ed eutanasia Nel 1996 Billings e Block*, riferendosi soprattutto all’impiego della ST nelle cure di finefine-vita oncologiche, hanno sostenuto l’equivalenza de facto della ST, o per lo meno di una parte dei casi di ST, con l’eutanasia l’eutanasia ed hanno attribuito il successo di cui questa pratica gode in questo ambito al fatto che essa permette di raggiungere pressappoco lo stesso risultato senza impegnare il medico e la sua famiglia in una decisione forte (e legalmente illecita) come l’eutanasia l’eutanasia.. * Billings JA, Block SD Slow Euthanasia (J Palliat Care 1996;12: 2121-20) Controversie su ST ed eutanasia Si è svolta in letteratura una vivace polemica in proposito, ma, prescindendo dal caso della SLA, oggi però vi sono evidenze* in letteratura di una sostanziale ininfluenza della ST sulla durata della vita nelle sue fasi terminali. Il GdS di Bioetica e Cure Palliative della SIN ha raccolto elementi, sia dalla letteratura che da testimonianze personali di chi opera in strutture per le cure palliative, che porterebbero addirittura ad affermare che l’intervento sedativo sembra prolungare leggermente, anziché abbreviare, la durata della fase finale della vita. * Sykes N, Thorns A. Sedative use on the last week of life and the implications for endend-of of-life decision making (Arch (Arch Int Med 2003;163:3412003;163:341-344 ) Controversie su ST ed eutanasia Nel caso della sospensione della VAM nella SLA – su richiesta del malato – la ST non può essere tacciata di abbreviare di per sé la vita del malato. Si tratta semplicemente di un provvedimento terapeutico sintomatico indispensabile per evitare al malato l’angoscia del soffocamento (inevitabile, a differenza dal caso di mancata istituzione della VAM nella fase terminale della SLA, ove una vera e propria ST per lo più non si rende necessaria). Controversie su ST ed eutanasia: due casi giudiziari La nonnon-equivalenza tra sospensione della VAM ed eutanasia (attiva) è ben chiara sia sul piano etico sia se quello giuridico, come mostra, fra l’altro, il diverso esito di due recenti casi giudiziari britannici: Il caso Diane Pretty: Pretty: una paziente con SLA ancora in grado di respirare autonomamente chiedeva che fosse posto una fine alla propria vita. Il caso di Miss B: B: una paziente tetraplegica da trauma midollare in VAM chiedeva di essere sconnessa dal ventilatore. Un caso italiano: P.G. Welby Qual era la situazione di Welby? Piero Welby era stato colpito nella terza decade di vita da una distrofia muscolare che nel tempo l’ha portato alla quasi completa immobilità e, nove anni fa, all’insufficienza respiratoria. Prima di quel momento, conoscendo quanto sarebbe accaduto, egli aveva chiesto di non essere sottoposto alla tracheotomia e alla ventilazione assistita quando fossero iniziate le difficoltà respiratorie. Ciononostante – come spesso accade e per amore verso di lui – al momento in cui le difficoltà si manifestarono (e accadde in modo abbastanza improvviso) la moglie lo condusse in Ospedale, dove l’intubazione e poi la tracheotomia furono praticate in emergenza, sostanzialmente contro il suo parere. Qual era la situazione di Welby? Se gettiamo uno sguardo d’insieme sulla sua storia, vediamo facilmente quel che è accaduto: la malattia muscolare cronica di cui egli soffriva sin dalla gioventù era entrata, già nel 1997, nella sua fase terminale e in altri tempi l’avrebbe portato a morte in pochi giorni. Il processo del morire era stato invece interrotto dalla decisione, presa dai medici, di praticate la tracheotomia e la ventilazione artificiale. artificiale. La successiva decisione del malato di rinunciare a questo ausilio, presa a distanza di anni e dopo lunga e matura esperienza e riflessione – una volta messa in opera – non ha fatto che consentire a quel processo di concludersi. Qual era la situazione di Welby? In teoria il malato stesso avrebbe potuto spegnere il ventilatore, per esempio con un semplice dispositivo elettromeccanico, ma in questo modo sarebbe andato incontro alla morte per soffocamento. Il ruolo del medico a questo punto è stato molto semplice: egli ha praticato la ST, vale a dire ha sedato il paziente togliendogli la coscienza, in modo che da impedire che provasse la sensazione del soffocamento. Qual era la situazione di Welby? Di per sé la ST non ha accelerato la morte del paziente, che – proseguendo la VAM – avrebbe potuto sopravvivere per molti giorni privo di coscienza; la morte è avvenuta in seguito all’insufficienza respiratoria. Quanto allo spegnimento del ventilatore, esso avrebbe potuto essere eseguito da altri, non necessariamente dal medico, ma questi ha ritenuto di assumersene l’intera responsabilità. Il collega Mario Riccio ha agito secondo quanto viene proposto in documenti pubblici di molte Società scientifiche, fra cui cito il documento della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) e il documento del Gruppo di Studio di Bioetica e Cure palliative della Società Italiana di Neurologia del 2005. [1] SIAARTI Commissione di Bioetica Le cure di fine vita e l’anestesistal’anestesista-rianimatore. Raccomandazioni SIIAARTI per l’approccio al malato morente, dicembre 2006 [2] Bonito V et al The clinical and ethical appropriateness of sedation in palliative neurological treatments Neurol Sci 2005; 26:37026:370-385 Conclusioni del GdS “Bioetica e Cure palliative” sulla ST Il documento del GdS della SIN sulla sedazione terminale, pubblicato nel 2004, conclude che la ST è un mezzo di trattamento appropriato sia sul piano clinico che etico e che non può essere considerata equivalente all'eutanasia. Rileva anzi che spesso pazienti con malattie neurologiche in fase avanzata non ricevano un trattamento adeguato dei loro sintomi. Conclusioni del GdS “Bioetica e Cure palliative” sulla ST Ciò vale per la terapia del dolore e degli altri sintomi disturbanti (trascurata a favore dai trattamenti mirati sulla patogenesi) e ancor più per la ST, pratica poco conosciuta, ma che permette di alleviare sintomi intrattabili. Ciò vale particolarmente per la dispnea nel paziente con SLA, specie quando il paziente sottoposto a VAM chieda di essere disconnesso dal ventilatore.