AREL-il Mulino - Paris School of Economics
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AREL-il Mulino - Paris School of Economics
INTRODUZIONE L’UNIONE EUROPEA DALLA CONVERGENZA AGLI SQUILIBRI… E RITORNO? di Andrea Garnero e Simona Milio Il sogno europeo è stato finora un lento ma costante cammino di sviluppo e unificazione del continente: in mezzo secolo, l’Europa è diventata la più grande economia mondiale per PIL, esportazioni e importazioni, la terza per numero di lavoratori dietro Cina e India. Lo sviluppo non è stato solo economico, ma anche sociale: pur nelle sue diverse accezioni, il “modello sociale europeo” è guardato con interesse dal resto del mondo, e soprattutto da quei paesi in via di sviluppo che cercano una “terza via” tra statalismo e capitalismo. Tuttavia la crisi, prima finanziaria, poi economica e ora dei debiti sovrani, mette a rischio queste conquiste, tra tagli a servizi ormai ritenuti troppo costosi e il riemergere delle identità nazionali. In gioco non c’è soltanto la sopravvivenza della moneta unica, ma l’idea stessa di Unione Europea con il ritorno strisciante degli egoismi e delle contrapposizioni nazionali, nei confronti dei quali l’Europa ha fino ad oggi costituito un antidoto efficace. La convergenza tra Stati e territori dell’Unione è stata alla base della filosofia comunitaria. La Politica di coesione è fin dagli albori una delle priorità d’azione dell’Unione per portare tutti i territori, anche quelli più marginali, a un livello di ricchezza elevato. L’unione monetaria, poi, si è fondata proprio sul presupposto della convergenza. In assenza di un governo federale dell’economia, la moneta unica sarebbe stata gestibile solo con economie dalle caratteristiche e sviluppi omogenei. Tutta9 via, la crisi in corso è anche (e forse soprattutto) una crisi di asimmetrie e squilibri economici e sociali tra Stati e regioni europei: le politiche di coesione territoriale e sociale assumono, quindi, una rilevanza particolare per favorire l’uscita dalla crisi. Quali sono le cause di questo fallimento? Si è fatta la moneta senza un governo, si dice. In concreto, significa un bilancio europeo quasi inesistente, una mancanza di controllo e supervisione a tutti i livelli, ma soprattutto una mancanza di volontà e forza politica. Nel 1992 si pensava che la moneta unica avrebbe poi portato all’unione politica, ma così non è stato. Anni di relativa crescita e di disimpegno degli Stati hanno arrestato il processo di integrazione. Il sogno europeo si è trasformato in apatia, se non rigetto, come il tormentato cammino di approvazione del Trattato di Lisbona ha mostrato. E allora è ancora possibile immaginare la convergenza europea dopo la crisi? Se sì, quali dovranno essere gli strumenti e le priorità? La strategia Europa 2020 è all’altezza delle sfide che sono poste? Quali lezioni si possono imparare dagli Stati Uniti che pur in situazioni storiche completamente diverse si sono trovati ad affrontare sfide simili? Questo volume prova a rispondere a queste domande partendo da un’analisi di venticinque anni di politiche di coesione e venti di unione monetaria che sono finiti in una crisi di squilibri economici, sociali ma anche culturali e istituzionali. Il testo è diviso in due parti. La prima guarda ai problemi dell’UE mentre la seconda è dedicata alle politiche europee per convergere e per crescere. Il libro parte dalla mancata convergenza in Europa e dalla tensione continua tra stabilità e competitività nella storia della costruzione europea. In particolare nella prima parte due capitoli analizzano nel dettaglio il caso italiano e il caso statunitense, l’elemento di paragone tipico per l’Unione Europea che vuole farsi Stati Uniti d’Europa. La seconda parte, invece, si concentra sulle “infrastrutture” chiave per l’Europa: l’istruzione, la cultura e l’industria. Il libro si conclude con una riflessione sull’identità europea e la convergenza culturale e sui presupposti per uno Stato costituzionale europeo. Per l’Europa ora si apre una nuova fase (ri)costituente. Alcuni Stati come la Germania reclamano una revisione dei 10 Trattati che integri i cambi istituzionali che la crisi ha reso impellenti per creare un meccanismo di stabilità e i primi pilastri di un’unione bancaria. Altri Stati, come l’Olanda, pensano che ormai sia stato fatto il massimo e non sia più possibile concedere altri poteri all’Unione. Altri ancora, come la Gran Bretagna, vogliono ridurre i poteri dell’Unione avendo in mente più una zona di libero scambio che una federazione o confederazione di Stati. Il 2014 rappresenterà un anno chiave con le elezioni europee che vedranno (forse) per la prima volta dei candidati espliciti alla presidenza della Commissione europea, un Mr Europe chiaramente identificabile per gli elettori. Sarà anche l’anno di preparazione ad una Convenzione che appare sempre più inevitabile o auspicabile. Il 2014 sarà anche l’anno della Presidenza italiana dell’Unione Europea. Se l’Italia vi dedicherà sforzi e concentrazione potrà essere un semestre di ripartenza durante il quale gettare le basi dell’Europa dopo la crisi. Altrimenti sarà solo un semestre di nomine in Commissione e Consiglio che passerà in fretta senza nessun contributo sostanziale. L’Italia può giocare il ruolo di honest broker di un accordo per il rilancio dell’Unione. Anche se l’instabilità politica e una gestione delle finanze pubbliche un po’ spensierata non ci rendono sempre credibili, l’Italia può, infatti, essere l’arbitro più efficace tra i grandi paesi e i più piccoli, ma anche tra le sensibilità più liberiste e atlantiche e quelle più sociali e continentali. Per dare un contributo un po’ fuori dagli schemi precostituiti, abbiamo combinato approcci e visioni diverse, mettendo insieme esperti di diverse discipline (economisti, giuristi, scienziati politici e filosofi), di diverso background (accademici, policy makers e consulenti) e diversa esperienza (autori più giovani e senior). Questo libro vuole essere un esperimento di dialogo e riflessione interdisciplinare e intergenerazionale che crediamo fondamentale per ripartire in Europa. Ai lettori il giudizio se si tratti di un tentativo riuscito. 11