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SCENDINCAMPO
Raccontare di sport
2016
CONCORSO DI SCRITTURA CREATIVA
XI edizione
RACCONTI PREMIATI
Pordenone, 15 ottobre 2016
scendincampo 2016 - racconƟ premiaƟ
Ai
signori Lutman, genitori di Paolo, un
ringraziamento di cuore per la generosità con cui
rinnovano con immutato entusiasmo il sostegno a questa
bella inizia va, di cui il Liceo “G. Leopardi – E. Majorana”
si fa promotore.
Anche quest’anno la partecipazione al concorso
è risultata significa va: tan studen da varie par
d’Italia si sono coinvol e hanno colto l’opportunità di
impegnarsi in un esercizio di scri ura crea va, che ha
prodo o risulta interessan per qualità e quan tà
di elabora pervenu , come accertato dalla giuria
presieduta dal giornalista Gianni Mura.
A lui un grazie speciale e caloroso per essersi fa o
carico, come sempre, di scegliere i vincitori nella rosa
dei raccon finalis , assegnando a questo concorso
il valore aggiunto della sua competenza e del suo
s le inconfondibile, nel segno di un rapporto ormai
consolidato che ci fa par colarmente onore.
Complimen , infine, alle ragazze e ai ragazzi che si
sono cimenta in questa XI edizione 2016.
Il Dirigente Scolas co
Teresa Tassan Viol
scendincampo 2016 - racconƟ premiaƟ
Noi ci credevamo: Italia-Brasile dell’82
“Noi ci credevamo. A quell’età ci si crede per forza. Con il grande “Dino Dio” in
porta (così l’avevamo ribattezzato nei cori che accompagnavano la partita)
non potevamo certo uscire. Il Brasile? Buona squadra, ma noi eravamo noi!
Rossi era il ragazzo che avremmo voluto essere, Gentile aveva affilato le
armi, Oriali correva per mille... Non avremmo mai potuto perdere quella
partita. Come tutte le altre, del resto.... Ad Anna piaceva camminare tenendo
per mano un amico. Non so sinceramente perché, ma a quel tempo non mi
sembrava una cosa strana. Io mi mettevo nel gruppo e sfruttavo la scia degli
altri. Quando era sola, piombavo con un argomento qualunque. Con lei era
facile parlare di tutto. Si poteva parlare di Dio come di Rummenigge. E non
è che ci si confondeva.
La gara fu bellissima. Segnò Rossi, pareggiò Socrates, tornammo avanti
ancora con Rossi e poi Falcao per il due a due. Un goal che non ci voleva. Un
goal evitabile se solo un uomo fosse uscito a difendere, al limite dell’area,
in modo decente. Mancavano 22’ tra noi e la fine di un sogno. «Dino Dio!».
Anna aveva gli occhi scuri ma chiari. Li aveva castani ma facevano molta
luce. Come il sorriso. La carnagione era un po’ olivastra. Era minuta (ma io,
a quel tempo, ero appena più alto di lei, piuttosto magra, con seni e fianchi
normali), però si vedeva che era già donna. Avevamo la stessa età, ma lei era
un po’ più grande.... Non feci nulla, come sempre. Lei a un certo punto mi si
avvicinò e mi baciò sulla bocca. Per me, ma anche per lei (ne sono certo), era
il primo. Ne seguirono almeno altri dieci sino all’atterraggio. Ce li demmo
senza dirci quasi nulla e l’ultimo durò di più. “Dino Dio” parò sulla linea e fu
annullato anche un goal buono ad Antognoni.
Avevamo vinto. Vinto con i più forti del mondo e ora Polonia e Germania
non potevano (e fu così) spaventarci. Eravamo i primi al mondo ma ce ne
sentivamo al di sopra. Come su un aereo, in volo di ritorno, eravamo in
undici, in cento, in milioni di campioni. “
Paolo Lutman
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“Il pallone è una bella cosa,
ma non va dimen cato che è gonfio d’aria.”
cit. Giovanni Trapa oni
QUALCUNO HA FATTO GOAL?
- Buonasera gen li spe atori! E’ il vostro David Moore a parlarvi. Qui a raccontarvi lo
spe acolo di oggi c’è anche Tom Hudsley! Dì un po’ amico, hai qualche pronos co per
la serata? - Buonasera e benvenu , innanzitu o. Beh, che dire, David! Abbiamo l’onore di vedere
professionis di livello, gente che sa me ere in scena commedie e tragedie di squisita
qualità. Credo non resteremo delusi. - Concordo in pieno Tom! Sicuramente gli spe atori non sono venu qui per vedere
qualcosa di ordinario! Stasera c’è stato il tu o esaurito, la s.p.a. proprietaria dello
stadio ha come minimo l’obbligo di offrire una serata da sogno! Dopo tu o, la s.p.a.
Milan © ha fa urato 250 milioni di euro nell’ul mo anno.. - Scusa se interrompo, David, ma è appena iniziato l’inno del Bayern Monaco offerto
da PhoneMe Italia, l’unico serivzio di telefonia mobile che regala 23 gigabyte di
internet gratuito se diven cliente entro un mese, e offre 150 minu di chiamate
gra s se por un amico! Ora godiamoci l’inno.- Come mol sapranno,non ascolteremo l’inno del Milan stasera perché le agenzie di
scommesse lo quotano come squadra sfavorita.- Purtroppo è vero David, ma noi fosi non ci abba amo perché l’importante non è
vincere ma mostrare il proprio sostegno comprando l gadget della società e venendo
alle par te. E poi che importanza ha vincere una par ta quando si può trionfare nella
tecnica di gioco? - Ben de o Tom, ben de o. Ed ecco il fischio d’inizio! Rimessa di Napata che con grande
personalità crea l’occasione per un assist a Modriguez ma poi cambia idea e lo dribbla
passando il pallone a De Riglio. Che spe acolo signori, che spe acolo! E’ per questo
che siamo qui! Tom, che ne pensi di questa azione? -
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- Favolosa amico mio, favolosa. Mostra l’intraprendenza di questo calciatore, il suo
desiderio di creare arte col pallone: rifiuta addiri ura il gioco di squadra. Grintoso,
audace. Ora De Riglio effe ua un passaggio a Napata. Modriguez. Ancora Napata.
Finalmente interviene il Bayern Monaco™ - Un avvio decisamente mido per un club di questo calibro, ma vediamo che subito
Roateng prende in mano le regole del gioco. Roateng dribbla De Giglio. Che dribbling
signori e signore! Era un Ronaldo Chop questo! Tom, vuoi spiegare ai nostri spe atori
in cosa consiste questa tecnica coreografica?-Beh David, lo sapranno quasi tu ma la illustrerò comunque: Roateng ha fa o
scivolare il pallone dietro il piede con un’angolazione di 45 gradi per poi scartare il suo
avversario sulla destra.- non sono sicuro che fossero 45 gradi,Tom. Secondo me erano circa 43. Un vero peccato,
non verrà nominato tra i migliori di quest’anno. La tecnica è importan ssima, denota
cara ere e personalità e questo ragazzo deve ancora crescere molto, tecnicamente
parlando.- Sarà diminuito il suo valore di mercato dopo questa mancata esibizione? Vi invi amo
a controllare in dire a con noi, signori e signore. Prendete gli scanner che trovate sul
lato destro del vostro sedile e puntatelo suI codice a barre stampato sulla maglie a di
Roateng! Oh no, David, guarda, avevo ragione.. adesso vale tre milioni di euro in meno.
Per quest’anno niente Ferrari, amico! -Scusa se interrompo Tom, ma abbiamo un’azione spe acolare in corso! Dar nez si
è fermato davan ad Annate con aria concentrata. Dar nez si sporge con una finta e
Abbate accusa il colpo, mentre l’avversario dirige la palla a sinistra con un colpo deciso
e si porta in avan con uno sca o dal lato opposto! Che azioni gente, che azioni!
-Ehi David, l’arbitro sembra avere qualcosa da dire. Sta annunciando un fuori gioco,
che peccato! Ehi, ma che succede? A enzione, clamorosa svolta! Il dire ore ar s co
è sceso in campo per discutere con l’arbitro! Lo stadio sembra essersi indignato con
lui! Che svolta, amico mio, che svolta! L’arbitro sconfi o è costre o ad amme ere
l’azione per il suo alto contenuto spe acolare! Ma tu immagini gli anni in cui tu o
ciò non esisteva, David? Gli anni in cui il pubblico si preoccupava solo dei goal? La noia
che aleggiava sui calciatori? Che meravigliosa cosa il progresso! Fa apparire inu le e
vecchio tu o ciò che lo ha preceduto. Beh, amme amolo, era obsoleto quel po di
calcio,no? Roba da o antenni! -Lo era, lo era. Il calcio non è roba da tu , e finalmente lo si è capito: il calcio è un
lavoro e richiede dei professionis . I bambini che giocano nelle squadre provinciali
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non fanno nulla di diverso dai loro coetanei che imitano goffamente mamma e papà. Il
calcio richiede sensibilità ar s ca e destrezza, e sopra u o capacità di vendersi bene.
Scusa per l’interruzione Tom, è ripreso il gioco?
-Sì sì, ma non preoccupar , non è successo nulla di Interessante. Vai pure avan col
discorso, è bello ricordare i sani principi del nostro calclo.-Aggiornaci pure Tom. - Non preoccupar , amico, con nua pure il discorso... hanno solo fa o goal. -
E
M
Liceo “Leopardi Majorana” di Pordenone
(racconto primo classificato )
scendincampo 2016 - racconƟ premiaƟ
“L’importante non è cadere,
ma sapersi rialzare”
GHEPARDO
8 seƩembre 2091
Tre. Il respiro, regolare come mi hanno insegnato. Sugli spal gremi , bambini e adul
gridano.
Due. I muscoli tesi, fino allo spasmo. So o le dita minuscoli granelli di sabbia e polvere
si mischiano al mio sudore.
Uno. Il sangue mi assorda, mentre romba nelle orecchie. Alzo la testa, verso il traguardo.
Il mio traguardo.
Bang!
Corro.
Insieme allo sparo, esplode tu a l’energia. Tu a la potenza delle gambe, delle braccia,
della schiena. Della mente. Tu a la mia forza si sprigiona verso quella riga bianca e
so le che è il traguardo.
Sono il più veloce del mondo. Quel traguardo… È mio.
Sono il ghepardo che corre dietro la gazzella.
Sono il vento che corre tra le fronde.
Sono il pensiero che corre nella mente.
lo sono l’unico dio di questa pista.
So che vincerò. Tu sanno che vincerò: pubblico, giudici, atle . Già da prima che il
frastuono dello sparo risuonasse nell’aria.
Il traguardo, la vi oria, la corsa, tu o è mio, perché sono il più veloce del mondo.
Perché sono il migliore.
26 novembre
Tre. Gli sguardi degli spe atori punta su di me.
Due. I nervi, percorsi da scariche ele riche, sembrano sul punto di spezzarsi.
Uno. La mente svuotata, completamente, come sempre, nell’ul mo istante che
precede il via.
Bang!
Corro.
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I piedi mangiano la pista, voracemente, sempre più in fre a. Le braccia fendono l’aria,
slanciandomi in avan . Solo correndo sono me stesso. Solo quando mi trasformo
nel ghepardo, scopro la mia vera essenza. Ogni muscolo del mio corpo si muove in
sincronia con tu gli altri, secondo quello schema di perfezione che ho appreso con
anni di allenamento spietato: ogni minuto della mia vita è con nuamente concentrato
e sfru ato per quei nove secondi e trenta, il record del mondo. Tu quei giorni passa
sulla pista, a sforzarmi di divorare quei cento metri nel minor tempo possibile...
30 dicembre
Corro.
Oggi niente gare. Oggi solo l’allenamento. Duro e crudele.
Ma io sono il ghepardo.
lo posso sopravvivere a questa tortura. Anche perché, se non ce la faccio, significa che
non sono il migliore.
Maledico l’allenatore. Lo odio. Eppure, nutro una strana ammirazione per lui: ha
visto in me una potenzialità e l’ha alimentata, trasformata, perfezionata. Senza il
mio allenatore, senza il mio carnefice, io non sarei chi sono. Senza di lui, sarei ancora
immerso nella melma della nullità. Grazie a lui invece sono qualcuno. Sono il ghepardo.
Ormai siamo alla fine dell’anno: a breve si terranno le Grandi Gare, la manifestazione
spor va che inaugura l’anno, nella Regione 8, la mia. Le Regioni sono le 24 zone in cui
è stata divisa la terra emersa. Ognuna può ospitare a turno le Gare.
4 gennaio 2092
Tre. Un martellio costante, rapido, serpeggia nel corpo, fino alle tempie.
Due. Le spalle si rilassano, le gambe si preparano a sca are.
Uno. Un vento freddo sibila e mi... impedisce ... di... concentrami...
Bang!
Corro.
La mente si svuota di colpo. I muscoli iniziano a fle ersi rapidissimamente, in uno sforzo
quasi sovrumano. Quasi, perché io ce la faccio. lo sono il ghepardo, il dio della pista.
Hanno dubitato dell’auten cità della mia potenza. Ma chi erano loro per giudicare me?
Chi? Se non inu li uomini e donne qualunque, che sognavano tu e le no e tu i
giorni di poter cogliere anche solo per un istante l’immortalità che cara erizza la mia
vita?
Taglio il traguardo, travolto da ricordi brucian . Qualcosa mi pizzica gli occhi.
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Forse sono lacrime. Mi volto verso il tabellone. Nove secondi e ven nove.
Sono il migliore del mondo.
29 febbraio
Tre. L’aria entra ed esce dai miei polmoni, in un ciclo con nuo e regolare.
Due. Focalizzo l’obie vo, solo cento metri più in là.
Uno. Intorno a me tu gridano,eccita dai Giochi Regionali.
Bang!
Corro.
Quei pochi secondi che mi servono per raggiungere la fine non sono niente, paragona
a tu e le ore di allenamento. È una cosa stupida, ma è la mia vita.
Forse è la vita ad essere stupida. Per me l’unica cosa che le dà senso è essere il primo.
È una sensazione di totale appagamento: sei tu, solo tu, sul podio, mentre tu
acclamano e invidiano, adoran . Non ho mai sognato altro: che tu mi apprezzassero.
Perchè, amme amolo, chi può apprezzare il ghepardo? Una bes a?
16 marzo
Corro.
Questa no e ho sognato il Prefe o Regionale che mi premiava, come quando avevo
diciannove anni e mia madre piangeva commossa, mentre mio padre ammirava la
targa col mio nome, orgoglioso.
Sono i ricordi a mandarmi avan . Perché quando sei al top, non hai più obie vi: li hai
raggiun tu . Quando sei il migliore, capisci che forse era meglio non diventarlo. In
passato non avrei mai pensato una cosa simile. Ma adesso il ghepardo sta invecchiando.
E io desidero qualcosa di impossibile: sme ere di correre. Perché... ho paura.
9 aprile
Corro.
Mio padre, quando mi portava alle prime gare, diceva sempre che “l’importante non
è cadere, ma sapersi rialzare”. Se solo sapesse quanta paura ho di cadere. Di fallire.
Perché non so se saprò rialzarmi. Forse morirò prima di cadere. In fondo mi sembra
meglio che arrancare sulla pista, con il cuore sconvolto e il respiro mozzato.
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23 aprile
Tre. L’occhio scruta gli avversari.
Due. Il sudore fa scin llare la mia pelle come quella degli dèi.
Uno. Una mano si protende verso il cielo, preme il grille o.
Bang!
Corro.
Una sensazione che amo alla follia: la mia esplosione di forza e potenza. Soffrirei
disperatamente se la offuscassi con sostanze stupefacen . Ho visto alcuni atle
prenderle prima della gara. Non li ho denuncia . Non mi ba eranno comunque. Il
massimo al quale possono aspirare è il secondo posto, sia chiaro: la pista dei cento
metri è il mio territorio. Non sanno che l’unica cosa con cui il ghepardo ha drogato
il suo corpo è stato il pensiero. L’unica sostanza veramente potente. È privilegio di
pochi saper addomes care il pensiero. E io ci sono riuscito, per questo sono diventato
il migliore. Non servono droghe o trucche . Almeno, non a me.
14 giugno
Corro.
Successe qualche anno fa. Era una giovane promessa della Regione 23, quella che circa
cinquant’anni fa corrispondeva all’Africa del Sud. Ora non esistono più Africa, Asia, o
Europa. Solo le Regioni. Il tempo passa e i luoghi cambiano nome, ma la terra resta pur
sempre quella.
Ricordo che aveva assunto di nascosto delle sostanze, ma sopra u o che per alcuni
metri siamo sta testa a testa, e ciò mi procurò un brivido di paura. Potevo perdere. Mi
sembrava che il suo respiro affannoso mi rubasse l’aria. Poi con uno sforzo incredibile
allungò sempre più il passo, aumentando la frequenza dei movimen . E all’improvviso,
stramazzò a terra. Mi fermai, sconcertato. La gara fu annullata. L’atleta venne portato
via. Nessuno lo nominò più.
12 seƩembre
Corro.
Tra poco finiscono i Giochi Olimpici.
Qualche mese fa mi sono fa o tatuare sulla schiena un ghepardo. È un modo per dire
che controllo quella bes a che mi dilania da dentro. Anche se so che non è vero. Per
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me correre è come una droga, che mi esalta avvelenandomi. E mentre mi alleno so o
il sole della Regione 18, sono devastato da un pensiero fisso. Quando crollerò?
13 seƩembre
Corro.
In realtà desidero morbosamente che accada. Voglio così ardentemente che qualcuno
mi soffi per pochi istan il primo posto! Desidero solo essere come tu gli altri.
Conosco un atleta che potrebbe ba ermi. È della Regione 2. In ques ul mi anni l’ho
detestato fino a impazzire. Volevo distruggerlo, sulla pista.
Eppure adesso non ne posso più. La gente non sa quanto è duro resistere. Non ha
idea di quanto sia difficile mantenersi al top. Non può neanche immaginarlo. In questo
momento, mentre ansimo come un animale da soma, mentre l’allenatore sbraita,
mentre ogni fibra del mio corpo ulula di dolore, vorrei che il Prefe o Regionale non mi
avesse mai premiato. Vorrei che l’atleta della Regione 2 mi ba esse. E vorrei dire che
io, il dio della pista, il ghepardo, non... ce... la... faccio...più.
15 seƩembre
Tre. Il respiro, regolare come mi hanno insegnato. Sugli spal gremi , bambini e adul
gridano.
Due. I muscoli tesi, fino allo spasmo. So o le dita minuscoli granelli di sabbia e polvere
si mischiano al mio sudore.
Uno. Il sangue mi assorda, mentre romba nelle orecchie. Alzo la testa, verso il traguardo.
Il mio traguardo.
Bang!
Corro.
La fluidità del movimento incanta gli spe atori, la regolarità del mio passo li strega,
la bellezza del mio fisico li ammalia. Sono un mito, ammirato come un’opera d’arte.
Cinque, sei, se e secondi. Il cronometro corre rapido. Siamo io e l’atleta della Regione
2, tanto vicini che potrei sen re il suo cuore ba ere. Chissà se sarà questa l’ul ma gara
del ghepardo, alle Olimpiadi del 2092...
Accade tu o talmente in fre a che non me ne rendo conto. Manca così poco al
traguardo...
Scivolo.
Inesorabilmente, sono a ra o verso il basso, verso la fine, la mia fine ... Il ghepardo
sta crollando.
Ho in bocca un sapore amaro. Sto per imparare come si fa a cadere. Temo tanto di non
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sapermi rialzare che forse non ce la farò. Forse rimarrò là, sulla pista. La mia amata
pista, per la quale ho fa o sacrifici che un uomo normale non compierebbe. Imparare
a rialzarmi... In confronto, è stato facile correre come il vento.
Ma il ghepardo non cade mai. Vedo la pista farsi sempre più vicina...
Ma il ghepardo non cade mai. Sento la vi oria, i record scivolare via…
Ma il ghepardo non cade mai. Capisco che l’atleta della Regione 2 vincerà, perché è
migliore di me. E questo mi fa male... tremendamente male... Ho voglia, ho bisogno
che accada, ma mi fa soffrire così tanto che, forse, potrei morirne...
Corro. Taglio il traguardo. O forse è il traguardo a tagliare me, tranciandomi in due: i
sogni, che alimentavo correndo, libero come gli uccelli nel cielo e i pesci nel mare; e
i dolori, che alimentavo correndo, prigioniero come gli uccelli nelle gabbie e i pesci
negli acquari. Piangendo quella potenza che mi ha reso una bes a schiava dei miei più
grandi sogni, non corro più perché amo farlo, ma perché devo: non so fare altro.
Corro. Il ghepardo non cade mai.
C
M
Liceo “Leopardi Majorana” di Pordenone
(Racconto secondo classificato)
scendincampo 2016 - racconƟ premiaƟ
“La libertà è una di quelle cose che accorgi
di quanto valgono solo quando le perdi”
PER LA LIBERTÀ
Era un luglio caldissimo, il più caldo della storia. Il sole faceva ribollire le strade romane
e i cavalli si rifiutavano di trainare le bighe. Le strade erano vuote, ma lui era sicuro che
dopo pranzo si sarebbero riempite di gente che andava al Colosseo per vedere la sua
ba aglia. Massimo si trovava su una biga, la stessa biga che lo aveva portato dalla casa
del suo padrone al Colosseo decine di volte.
Il suo padrone non aveva un nome, per lui era semplicemente ‘Sì signore’ o ‘No signore’.
Era uno spietato mercante che si era arricchito principalmente grazie alle ba aglie di
gladiatori, di persone come Massimo vendute come schiave che per diventare libere
dovevano vincere trenta ba aglie di fila. Persone un tempo libere che ora dovevano
comba ere per la vita o la morte, per la libertà o per la schiavitù. Alcune cose, come la
libertà, accorgi di quanto valgono solo quando le perdi.
Scese dalla biga quando era nei pressi del Colosseo. Era ancora presto per la ba aglia,
ma lui si voleva preparare: era il grande giorno in quanto aveva vinto ven nove
ba aglie di fila. Stava entrando nella cosidde a zona preparatoria per i gladiatori,
forse per l’ul ma volta. ‘Zona preparatoria’. Sarebbe stato meglio definirla l’entrata per
l’Ade. Quel luogo era pieno di Gladiatori che si allenavano, studiavano i loro avversari
e pregavano. ‘Come fa un uomo a credere negli dei quando vive in queste condizioni?’
pensava Massimo mentre il più vecchio dei gladiatori, Antonio, gli diceva ‘Che l’unico
Dio sia con te.’ Si riferiva a Gesù, quella nuova moda. Per Massimo era solo una bugia
come gli altri dei e gli sembrava ridicolo che la gente si facesse ammazzare in nome di
un unico Dio, quando c’erano persone che morivano per valori molto più importan ,
come la libertà.
Andò ad affilare la sua spada. Era un gladio, un’arma piccola e leggera che consen va al
comba ente di essere agile e letale allo stesso tempo. Vicino a lui c’era il capitano della
nave ‘Libertas’, che studiava con il suo equipaggio un modo per riuscire ad abbordare
la nave avversaria. Perché a quei porci dei romani non bastavano le ba aglie fra
gladiatori e fra belve, ma volevano pure le ba aglie navali nell’arena. Massimo studiò
l’allenamento del ‘Toro’, il suo avversario, che aveva accumulato ven se e vi orie. Lo
chiamavano ‘Toro’ per via della sua abilità con le armi pesan . Era for ssimo e Massimo
sapeva che giravano un sacco di soldi intorno al suo comba mento. Dopo averlo
osservato, si mise a lucidare la sua armatura, non perché fosse importante a livello
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strategico, ma perché trovarsi di fronte un nemico lucente incute more nell’avversario,
sopra u o se quest’ul mo è religioso. Mentre era intento a lucidare l’elmo ascoltò la
conversazione di due gladiatori che sostenevano che l’unica speranza di un gladiatore
vinto è il pubblico, che può decidere se salvarlo o condannarlo a morte. Sapeva che
avevano ragione e sapeva anche che il Toro era il favorito, probabilmente perché le
sue ba aglie erano lunghe e spe acolari, mentre quelle di Massimo puntavano ad
una vi oria rapida. Era arrivato il momento, lo si poteva sen re dalla confusione che
veniva dagli spal , posiziona sopra la zona gladiatori. Massimo iniziò ad indossare
l’armatura. ‘Cosa farai in caso di vi oria?’ chiese Antonio. ‘Tornerò dalla mia famiglia’,
rispose. Per ul ma cosa si mise l’elmo, il simbolo significa vo di ogni guerriero.
Si trovò nell’arena con il gladio in mano. Il pubblico era in visibilio. Il sole cuoceva
la sabbia dell’arena e risplendeva sull’armatura massiccia del Toro, il quale brandiva
un’ascia da ba aglia enorme in una mano e uno scudo raffigurante un’aquila nell’altra.
Massimo si ricordò di tu a la sua vita, di quando da ragazzo era stato venduto per via
dei tan debi della sua famiglia, del suo addestramento come gladiatore e della sua
ammirazione verso Marco, il suo gladiatore preferito. L’unico gladiatore morto dopo la
trentesima vi oria per via delle ferite causate dall’ul ma ba aglia. Massimo si ricordò
le sue ul me parole ‘Non mi importa di morire. Mi importa di essere morto da uomo
libero.’ È per questo che Massimo comba eva. Per la libertà, l’unico ideale che conta
veramente.
L
M
Liceo “Guglielmo Marconi” di Pesaro
(Racconto terzo classificato)
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‘Il vaso vuoto è quello che rende
il suono più ampio”
(W. Shakespeare)
IL RUMORE DI UPTON PARK
E’ una calda sera di maggio. Siamo rimas solo io, la mia birra e la televisione. Con nuo
a cambiare di canale in canale quando mi fermo su un telegiornale, verso la fine del
programma il condu ore annuncia le no zie spor ve. Comunica la prima con il suo
forte accento scozzese: “Domani sarà un giorno speciale per la squadra West Ham.
Affrontando il Manchester United, infa , disputerà la sua ul ma gara nello storico
stadio londinese Boleyn Ground, meglio conosciuto come Upton Park”. In quella calda
sera di maggio mi addormento so o il suono di quelle parole.
Mi sveglio e apro gli occhi. Sono sul divano e mi ritrovo con lo stesso mal di testa che
mi aveva lasciato quando mi ero addormentato: quella dannata emicrania con nua a
pulsarmi in testa. La televisione ancora accesa, la mia birra ancora in mano. Preparo
la cialda per fare il caffè quando l’ennesima dolorosa fi a alla testa mi fa ricordare le
parole del condu ore del telegiornale, che rimangono scolpite nella mia mente e, per
quanto possa provare a non pensarci, so che non si potranno cancellare.
Prendo giacca, cappello ed esco di casa. Il mio turno al bar coincide con l’inizio della
par ta.
Sto percorrendo “Boundary Road” e sento l’odore di fish and chips e di pollo fri o. Da
qui risalgo a passo spedito “Cave street”, la zona operaia, alzo lo sguardo e vedo un
vecchio muro sul quale è stato scri o con la bombole a “Long live to Boleyn”.lnfine
arrivo a “Castle Road”, dove si trova lo stadio: profumo di calcio.
Saluto con un cenno Ray, il polizio o che da anni presiede la tribuna “Bobby Moore”,
faccio scorrere lentamente il mio cartellino d’ingresso sul le ore del codice a barre e
guardo con fierezza il monitor “Trevor Clarke, barista. Ingressi: 912”.
Apro la porta d’ingresso del personale e mi siedo come sempre sullo sgabello colar
granata nascosto dal lungo bancone su cui si appoggiano i clien . Giungono per primi
dei fosi con la maglia di Paolo Di Canio, poi ne giungono altri ancora e l’atrio comincia
a riempirsi, sempre di più, per poi svuotarsi poco prima del fischio d’inizio, come un
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fiume dopo la piena.
Mi sono sempre chiesto perché tu a questa gente fasse il West Ham. Proviene da un
quar ere di Londra povero e disprezzato, abitato solo da muratori, meccanici e operai,
come anche rappresentato nel logo del West Ham con due martelli incrocia . Il popolo
al grado puro. Come fare una squadra con pochi toli e nessuna gloria, dal nome così
stupido? Tenerezza? Solo semplice simpa a?
Rimango solo nel mio bar. Chiudo gli occhi e ascolto i suoni dello stadio. Devo
confessarvi che non ho mai visto una par ta del West Ham; ho frequentato questa
squadra più di mia moglie eppure in o ant’anni di vita non ho mai visto una sua sola
azione, giocatore o goal. Sono sempre stato qui, sul mio sgabello, a tre passi dal campo,
a due dalla foseria, senza mai assistere.
Negli anni, però, ho imparato a riconoscere i suoni. I rumori che sento sono le emozioni
del pubblico: possono essere can gioiosi dopo un goal, fischi di paura, mormorii di
disapprovazione. I suoni sono colori con i quali immagino la par ta a raverso la mia
mente. Per me la squadra è un’orchestra che ogni due domeniche suona nel suo
teatro. Le par te sono i loro brani, ogni orchestra puo’ suonare diversi pi di musica.
Puo’ essere composta da solis , accompagnatori e dal dire ore dell’orchestra: solo con
buoni musicis , nei quali non spicca il solista, si potrà fare buona musica.
Dallo stadio, che fino ad ora era stato abbastanza silenzioso, sento il rumore della
gente che si alza, il crescere del fo e l’aumentare dell’entusiasmo: è un contropiede.
Ascolto nella mia quiete il rumore dei passi veloci dell’esterno che sfreccia sulla fascia
dopo aver riconquistato il pallone. Destra, sinistra, destra, sinistra. Poom! Sento che il
pallone è stato colpito violentemente e il rumore delle scarpe e sollevarsi da terra da
parte dell’a accante posto all’interno dell’area che impa a, dolcemente, il pallone con
la nuca. Silenzio, ascolto il silenzio che precede ogni goal, la mia parte preferita, e il
rumore della rete che si gonfia. Sussurro: “Goal”, poi travolto da un boato del pubblico
in festa. Intanto un suono roco disturba la mia immaginazione, guardo a destra e vedo
una radiolina lasciata accesa sul bancone. Mi avvicino e alzo il volume ..
.. .il goal del West Hom fru o di una splendida azione, manovrata da Manuel Lanzini e
conclusa da Sakho che impa a di testa e ba e De Gea ...
Di goal ne ho vis anzi, “sen ”, mol . Certamente ricordo il primo che ho sen to, quando
in testa avevo meno capelli bianchi, da parte di Edward Grassman, soprannominato
lo “scozzese volante”, un uomo robusto, forte fisicamente, centravan puro con un
fiuto del goal strepitoso. Aveva una velocità impressionante: da qualunque posizione
del campo prendesse palla, in meno di dieci secondi era già in porta. Oggi farebbe
comodo a molte squadre. Quel giorno prese palla a metà campo e iniziò a correre sulla
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fascia laterale destra. Era così veloce che sen vo il rumore dell’aria che lo sfiorava. Il
difensore tentò di bu arlo fuori dal campo con una spallata così forte che lo spedì
contro la panchina avversaria, ma lui si era allungato la palla e riuscì a riprendere il
controllo e a con nuare a macinare metri. Boato del pubblico. Anch’io mi alzai in piedi
anche se non avevo ancora affilato il mio udito e la situazione mi era poco chiara.
Nessuno riusciva a fermarlo, aveva la palla incollata al piede come se fosse parte del
suo corpo: impossibile da togliere. Sen i i passi del difensore rallentare: aveva capito
che rincorrerlo era inu le. Solo davan al por ere, incrociò il ro con una diagonale
perfe a. Toc. Palo-goal.
Intanto ad Upton Park torna a regnare il silenzio, ma è un silenzio diverso, di delusione,
di scoraggiamento, di paura. Un goal avversario.
.. e il Monchester United pareggia con il sedicesimo goal stagionale di Anthony Mar al
che infila il pallone in rete dopo un assist delizioso di Juan Mata. Par ta frizzante e
divertente qui all’Upton Park. ..
Sento un sibilo e il suo eco sfilare nei corridoi dello stadio. Questo lunghissimo
assordante silenzio viene colmato da dei mormorii di incoraggiamento per il West Ham
che crescono fino a diventare un unico grande coro. Pazzesco. Surreale. L’Upton Park lo
definiscono uno dei più rumorosi d’Inghilterra, ma certo è il più sen mentale. Come il
31 maggio 1986, quando il West Ham perse il tolo per un pareggio all’ul ma giornata
che consegnò il campionato al Liverpool. I fosi del West Ham, nonostante avessero
visto un sogno frantumarsi in mano, con nuarono a cantare l’inno “l’m forever blowing
bubbles!” anche dopo la par ta.
L’ennesimo boato della par ta mi risveglia dai miei ricordi. Avrà segnato Payet, penso.
Ogni goal ha un rumore diverso. Ci sono quelli decisivi, i più rumorosi, quelli che
segnano la storia, i più melodici, e ci sono quelli di Payet. Dimitri Payet è un fantasista,
“un numero 10” vecchio s le, il suo mes ere è far sognare con le sue giocate. I suoi
goal provocano un’esplosione di stupore, incredulità, magia, il pubblico rimane a bocca
aperta. Avrà fa o un’altra delle sue strepitose punizioni, penso tra me e me.
Mezzora dopo l’arbitro fischia tre volte, l’unico suono che gli spe atori sentono durante
i novanta minu . Tan goal come sempre ad Upton Park, il modo migliore per onorare
la fine di questo tempio del calcio. Sento un rumore sordo, sembra acqua che cade ma
non è la pioggia, è il rumore di lacrime. E’ il pianto di migliaia di persone che stanno
assistendo per l’ul ma volta al giro di campo della squadra. In questo momento vorrei
parlare ai giocatori, vorrei dirgli di assaporare questo momento e di vivere ogni minimo
istante, perché hanno la fortuna di essere le ul me persone a toccare l’erba magica di
questo prato. Questa scena mi ricorda quel terribile 31 maggio 1986, ma quello era un
giorno triste, una bru a pagina da scorrere velocemente. Con questo giro di campo,
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invece, si sta scrivendo con un lieto-fine l’ul ma pagina di un libro che è stato iniziato
molto fa. Ascolto i cori vi oriosi del dopo par ta, la voce dello stadio. E’ una melodia.
Sono stato anche in altri stadi, ma il suono di Upton Park è unico. Oggi ha cantato
per l’ul ma volta, ma il suo eco con nuerà a risuonare per ancora mol altri anni nei
corridoi del Boleyn Ground. E’ il momento di chiudere il cancello e bu are via la chiave.
Prendo giacca, cappello ed esco dallo stadio, mi giro e lo guardo per l’ul ma volta. Gli
sorrido, lui fa lo stesso. Mi dirigo verso casa e sento dei fosi ubriachi cantare “Long
live to Boleyn!”
F
C
Liceo “Leopardi Majorana” di Pordenone
(Racconto segnalato)
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“Quando i sogni sono granelli di polvere ... “
NON SONO UN’ATLETA
“lo non sono un’atleta. Mi guardo allo specchio e cosa vedo? Vedo una ragazza che
non si apprezza, una donna piena di rabbia che ogni giorno le logora lo sterno. Sono un
corpo vuoto, se ci urli dentro si forma l’eco, e non se ne va più. Chi suda, chi si rialza,
chi vince anche quando arriva ul mo: quello è un atleta. Eppure della danza non ne
posso fare a meno. Lei mi ha salvato, se non ci fosse stata non sarei qui (e forse per la
mia famiglia sarebbe stato meglio). Dopo quell’ “incidente” ho perso tu o: gli amici,
la scuola, ma se è andata così un mo vo ci deve essere. Ogni tanto penso a quello che
faccio, a quello che ho fa o, a quello che non ho fa o, ed entro in un circolo vizioso
che mi ene sveglia la no e. Ma sono qui. Se fare due lavori strazian ed essere pagata
una miseria significa poter ballare, sono qui a farlo. Ballare significa avere i piedi a pezzi
ma il cuore estasiato, rapito da quello che all’esterno appare solo come un diporto,
accasciarsi sul fondale oceanico e trasformarlo nella cresta di quell’onda perfe a, che
ogni no e sognavi, respirare con i piedi, soffocarsi e ridarsi la vita, toccare il pavimento
ogni giorno accarezzando le schegge beige del parquet consumato, ridere. I miei hanno
sempre odiato la danza: il nostro era un amore proibito. Ogni pomeriggio andavo in quei
quar eri dove il gesto più nobile è bu are la siringa nel ces no apposito; racimolavo
qualche cento e me ne andavo. Papà diceva sempre che non valevo niente, che la
danza era una perdita di tempo, e che il tempo era denaro; una volta mi disse: “E’
colpa tua, è colpa tua se bevo, è colpa tua se ogni giorno che passa voglio morire!” si
mise a piangere, e le sue lacrime pesavano sul mio corpo riducendolo in mille frantumi:
ormai ero abituata, ma la sofferenza è l’unica abitudine a cui non ci si abitua. Mi urlava
sempre contro, ed io ascoltavo in silenzio, come se non avessi niente da dire e lui
avesse ragione: ero sola, ormai non c’ero neppure io. A scuola contavo i granelli di
polvere sulla giacca della prof di italiano, pensavo che in ognuno di loro si nascondesse
una storia, li vedevo ballare nell’aria, a loro non fregava se erano così piccoli e odia
da tu . La prof ci fece fare un tema in tolato “Cosa diventerai da grande”, ed io scrissi
che sarei diventata un granello di polvere, come quelli che danzavano in aria nelle
sue lezioni, inu le dire che mi mise qua ro; anche lei non voleva che io fossi felice.
Quelle poche volte in cui riuscivo ad andare a lezione davo il massimo: era come se
per un ora assumessi mille grammi di cocaina, poi tornavo a casa, e l’unica cosa felice
che trovavo era la foto sorridente di mamma sopra al camino. Quanto mi manca. Mi
portava sempre con lei a vedere dei musical, di cui io ero innamorata, a casa replicavo
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ogni passo davan allo specchio: ero così radiosa e fiera di me stessa. Mamma era
l’unica persona di cui non mi impauriva l’ombra, se fossi andata con lei quel giorno, ora
sarei quella bambina a cui lei accarezzava le guance e spazzolava i capelli. Ma quella
bambina ormai è morta da se e anni. lo non sono la storia a lieto fine che si aspe ano
tu . lo non sono un’atleta.”
E’ così strano rileggere questa le era, è passato così tanto tempo: wow. Oggi non sono
un’atleta. Mi guardo allo specchio e cosa vedo? Vedo una donna che non si apprezza,
una raqazza piena di rabbia che ogni giorno le logora lo sterno. Sono un corpo vuoto,
se ci urli dentro si forma l’eco, e non se ne va più. Chi suda, chi si rialza, chi vince
anche quando arriva ul mo: quello è un atleta. Eppure della danza non ne posso fare
a meno. Lei mi ha salvato, se non ci fosse stata non sarei qui, qui su questo podio. Ed
è così strano vedermi riflessa in questa coppa lucente d’o one e i suoi infini de agli
preziosi. Pensavo che le cose andassero come vuoi tu soltanto nei sogni che fai mentre
dormi, forse non è così. Ce l’ho fa a, sono qui. La danza mi ha cambiata, mi ha fa o
soffrire, mi ha preso per mano, mi ha consumato le ossa, mi ha rigenerato. Devo tu o
a lei, ogni mio passo, ogni mio sorriso, ogni mio sbaglio. Il passato non si cancella, non
si deve cancellare, anzi, va custodito come se fosse un pezzo unico, perché lo è. Ora
papà sorride: sorrido anch’io, forse piango, ma di gioia. Quel tema che avevo scri o si
è avverato, sono diventata uno di quei granelli di polvere, il più maestoso.
lo non sono un’atleta: sono una campionessa.
M
D
Liceo “Leopardi Majorana” di Pordenone
(Racconto segnalato)
scendincampo 2016 - racconƟ premiaƟ
STORIA DI UNA COMMEDIA TRAGICA
Beh, ho sen to che era stato sancito un pa o basato su un segreto,
che un uomo mangiò qualcosa di proibito e poi vinse, ma al Signore non piacque.
Ma tu non interessi veramente di sport, vero?
Beh, funziona così:
alleni, perdi non sei nessuno, alleni, vinci diven qualcuno.
L’uomo perplesso ingoiò il dispiacere del Signore e diventò qualcuno.
Beh, c’è stato un momento in cui mi hai de o ciò che succede veramente so o, ma
ora non me lo dirai, o no? Una volta, quando non sapevi più cosa fare, ha dato una
mano, ha costruito un trono, ma ora proprio davan ai tuoi occhi l’ha distru o e il
castello di carta è caduto su se stesso, lasciando un re senza dimora. Forse c’è un Dio
lassù, ma tu o quello che ho imparato dallo sport è stato come distruggersi per un pò
di celebrità.
E non è qualcosa che puoi sen re stando li fermo,
non è qualcuno che ha vinto sempre.
È un uomo che ha deciso di percorrere una certa strada, illuminata solo da un lontano
lampione al neon.
Una macchia gialla che sfreccia verso una direzione, quale non si sa bene. Con in testa
una bandana, quella bella s’era messa poco prima della partenza. E ora eccola qua,
che con incredibile sorpresa con nua a far girare i pedali, per qua ro ore consecu ve.
Mi chiedo se qualche volta non si annoi... ma forse non è così. Chi glielo fa fare di
pedalare in salita, poi in discesa, poi di nuovo in salita per ore e ore consecu ve ...
forse lo fa per la fama, forse per passione, o forse perché l’unica cosa che sa fare nella
vita è quella di pedalare. Oppure perché è un po a cui piace annoiarsi... per passione
quindi. Intanto la gente si schiera si affaccia si spinge si sporge per vedere meglio si
me ono a correre cercando di stargli dietro, ma ormai è già andato. Una macchia gialla
che sfreccia verso una direzione, quale sia ancora non lo so, ma sicuramente un giorno
quando gli chiederò per l’ennesima volta: “Ma tu, corri a far che?” e lui mi risponderà:
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“ Corro verso una direzione”, “che direzione?” e lui me la dirà. Ne sono sicuro, un
giorno me lo confesserà; mi dirà quel suo piccolo segreto che non ha mai svelato a
nessuno e io sarò a conoscenza di qualcosa d’importante, di qualcosa che nessuno ha
mai sen to, nemmeno nelle osterie non ne avranno mai parlato, neanche un prete non
avrà mai udito nulla del genere in una confessione. Così non faccio altro che rimanere
qui, davan al televisore, fermo ad aspe are che si faccia finalmente sera.
- E quando arriverà quel giorno, quando in una ma na in un bar poco frequentato
leggerà sul Quo diano la no zia, capirà che sguazzare nell’ignoranza alle volte è meglio
che affogare nella conoscenza.
Alla fine si scoprì che la maglie a gialla che correva per passione (o forse per pazzia)
aveva fa o uso di qualcosa di illecito, qualcosa di strano, così tu e le sue vi orie
vennero cancellate e da lì a pochi giorni sparì nel dimen catoio. Ecco il suo segreto,
uno strano segreto. Lui però mica si era dimen cato della macchia gialla, mica si era
dimen cato del loro pa o. Solo che non gli andava giù il fa o che anche altri sapessero
il suo segreto. Voleva conoscerlo solo lui, e ovviamente la maglie a gialla. Poi lui no, non
l’avrebbe de o a nessuno, sarebbe diventato così un suo segreto, ma ora lo sapevano
tu , e tu lo insultavano. E questo non gli andava giù. Gli gridavano contro frasi piene
di disprezzo, lo accusavano di averli imbroglia , di aver fallito come spor vo, di essersi
venduto. Ma questo era solo il loro punto di vista. Gli spe atori si sen rono presi in
causa, col diri o, anzi il dovere di definire l’a o come scorre ezza. Non fecero altro che
insultare l’a ore per il folle gesto che aveva compiuto, ge andogli le più infime cose
che si trovavano ad avere fra le mani. Eppure l’uomo sapeva dentro sé che l’a o era
necessario, quali potessero essere le cause e che da esso ne avrebbe tra o vantaggi,
quali potessero essere. l giudici con nuarono a condannare il reo, se ne andarono
completamente soli, senza lasciare alcun rumore, se non le grida di disprezzo, la rabbia
che li pervase, la tristezza che li assalì e un pensiero annidato, quasi da voler rio enere
indietro il tempo perduto. E il pubblico impazzito si alzò, raggiunse l’a ore, lo picchiò,
lo bu arono a terra, lo spogliarono di tu o ciò che possedeva. Era nudo, si mostrava
nudo davan agli spe atori, così com’era, con le sue piccole imperfezioni, senza un filo
di pudore. Tu o ciò per un gesto - è mai possibile?
E solo adesso aveva capito la direzione che percorreva; e in fondo era anche la sua
direzione; e in fondo non è forse anche la nostra stessa direzione? Pedalava con una
gran furia, quasi come volesse al più presto arrivare alla fine della tappa, alla fine del
tour. Pedalava alle volte con in corpo quelle strane sostanze che lo aiutavano, pedalava
e pedalava senza mai fermarsi a guardare il cielo, le case, e nemmeno l’ora, perché
sapeva che prima o poi sarebbe arrivata, prima o poi sarebbe capitato anche a lui.
Solo che a lui capitò prima del previsto. Arrivò alla meta trionfante, tu o sudato, che si
asciugava con la sua bandana la fronte, poi le mani e intanto la gente che lo fotografava,
era una star, e tu o quello che lui faceva era sorridere.
Un prato verde e in mezzo a questo prato una rosa. E la rosa piano piano si fece avan
e con furia omicida ruppe quell’atmosfera liete che s’era andata a creare. Se e spine
aveva e la più grande era quella della gola.
Con fare assassino s’impadronì dell’aria, della terra e del sole. L’ape a ra a dell’odore
penetrante s’avvicino e si posò, ignara del pericolo che l’aspe ava. Tu o ciò che voleva
era un po’ di quel dolce ne are. Eppure le ali vennero frantumate a un tra o, il corpo
precipitò a stra oni interro e il sangue fu come sbalordito di ritrovarsi in libertà
all’aria aperta; il piccolo cervello sparpagliò i suoi scarsi ricordi preziosi e, instupita,
morì. Finalmente il suo squallido ronzio si spense. I petali della rosa divennero sempre
più belli, imprisi di quel colore misto di amore e di dolore, di ferite e di desideri. E così
la rosa, per mol il più bel fiore con nua ancora oggi ad aspe are altre api.
Quel sorriso via via si smorzò, diventando sempre più serio. Tu o si fece sempre più
strano, finché il sipario si chiuse ponendo fine alla commedia tragica.
M
P
Liceo “Torricelli” di Maniago
(Racconto segnalato)
scendincampo 2016 - racconƟ premiaƟ
SCENDINCAMPO: RACCONTARE DI SPORT
CONCORSO DI SCRITTURA CREATIVA: XI edizione - 2016
REGOLAMENTO
» Possono partecipare al concorso tutti gli studenti regolarmente iscritti per l’anno
scolastico 2015-2016 a scuole secondarie di 2° grado statali, presenti sul territorio
nazionale.
» Ogni studente può partecipare con un solo testo, che deve essere inedito.
» I testi devono essere sviluppati in forma di racconto breve e avere come argomento
centrale un evento sportivo o comunque una situazione connessa allo sport, di qualsiasi
natura esso sia. Gli elaborati, redatti al computer e stampati su fogli A4, non devono
superare la lunghezza di 10.000 battute, spazi inclusi.
» Il Liceo Leopardi - Majorana si riserva la possibilità di utilizzare i testi, che non saranno
restituiti, per una eventuale pubblicazione a stampa.
» A garanzia delle condizioni di riservatezza del concorso, nella busta con il racconto
andrà inserita un’altra busta più piccola e sigillata contenente nome, cognome, indirizzo,
recapito telefonico e scuola di appartenenza. All’esterno di questa busta il partecipante
al concorso indicherà un motto scelto liberamente che riporterà anche accanto al titolo
del racconto.
» Gli elaborati, in duplice copia, dovranno pervenire entro sabato 18 giugno 2016 al
seguente indirizzo:
Segreteria Concorso “Raccontare di sport”
c/o Liceo Leopardi - Majorana
piazza Maestri del Lavoro, 2 - 33170 Pordenone
» La premiazione avverrà nel mese di ottobre 2016. I vincitori del concorso saranno
avvertiti, presso il recapito da loro indicato, mediante comunicazione scritta. Essi
ritireranno personalmente il premio, o ne daranno delega scritta ad un familiare o ad
una persona di fiducia.
» La giuria, composta a cura del Comitato organizzatore, sarà formata da docenti e
giornalisti sportivi e presieduta da Gianni Mura, giornalista di repubblica. Il giudizio
della giuria è insindacabile.
»
Gli elaborati giudicati vincitori riceveranno rispettivamente i seguenti premi:
1° premio 1.500 euro
2° premio 1.000 euro
3° premio 500 euro
» La partecipazione al concorso implica l’accettazione del presente Regolamento.