A. Ranzo - Univ. "La Sapienza" - Dipartimento delle Bioscienze di
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A. Ranzo - Univ. "La Sapienza" - Dipartimento delle Bioscienze di
Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. AUTORE: Alessandro Ranzo Dip. ITS-Area Strade/Univ. “La Sapienza” - Roma TITOLO: Applicazioni d’ingegneria virtuale nel progetto dei dispositivi stradali di ritenuta - SOMMARIO – 1. Introduzione .......................................................................................................................................................2 2. La sicurezza d’esercizio di un’infrastruttura ..........................................................................3 3. Criticità e costi delle prove al vero................................................................................................8 4. Necessità di uno strumento progettuale ..................................................................................10 5. L’ingegneria virtuale ................................................................................................................................12 6. I modelli di simulazione ........................................................................................................................13 7. Analisi dei componenti critici: veicolo e supporto...............................................................14 8. Il modello numerico del veicolo leggero.....................................................................................16 9. Modello del veicolo pesante ...............................................................................................................17 10. Modellazione del dispositivo di ritenuta ..................................................................................20 11. Preparazione dei test virtuali..........................................................................................................25 12. Esempio di validazione di crash test virtuale .......................................................................26 13. Altri esempi di crash test riprodotti virtualmente..........................................................32 14. Conclusioni......................................................................................................................................................34 1 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. 1. Introduzione I dispositivi di ritenuta dei veicoli stradali, da fuoriuscite accidentali dalla piattaforma carrabile, costituiscono ancor oggi un sistema strutturale, la cui ideazione e costruzione sfugge alla tradizionale consuetudine ingegneristica del progetto razionale, centrato su schemi applicativi della meccanica classica. Ciò può dipendere dal fatto che, almeno storicamente, sin dalla loro apparizione (fine anni 50’) i dispositivi di ritenuta furono considerati alla stregua d’un accessorio dell’ infrastruttura, a favore di altre componenti ritenute più importanti nei riguardi della sicurezza, come le opere d’arte o i ponti, le opere in terra e le pavimentazioni. Per molto tempo non si è posto, almeno formalmente, il quesito della prestazione strutturale che questi dispositivi dovessero garantire, sicché si procedeva per lo più a sentimento e senza alcun effettivo controllo tecnico organizzato da parte degli Enti gestori. E’ poi venuta l’epoca (fine anni 80’) della minima garanzia, durante la quale si è posto il problema di assicurare, in ogni caso, un minimo livello di contenimento ma senza tener troppo conto dell’esposizione al rischio degli occupanti dei veicoli casualmente collidenti. È giunta poi l’epoca delle norme cogenti (anno 1992), durante la quale, data la complessità dei sistemi da installare, si è preferito sostituire ad ogni eventuale analisi razionale uno strumento pragmatico: le prove sperimentali standardizzate, da eseguire a scala reale su dispositivi prototipo per poi passare a procedure d’omologazione per l’installazione su strada. D’altra parte tale modus operandi era stato già adottato e da parecchio tempo in molti altri Paesi, sia europei, sia extraeuropei, giudicandosi praticamente improponibile qualsiasi procedura di calcolo convenzionale, data la notevole complessità dei sistemi dinamici multicorpo da indagare, a comportamento non lineare dei materiali, corrispondenti a veicoli collidenti contro dispositivi di ritenuta. Attualmente, le procedure d’omologazione dei dispositivi di ritenuta, basate essenzialmente su prove d’urto a scala reale, hanno raggiunto una considerevole diffusione in tutto il mondo, ma rimangono ancora molti i dubbi e le incertezze su questo modo di procedere, specie in relazione alle responsabilità che comunque riguardano i progettisti stradali, i costruttori e i gestori, indipendentemente dalla riuscita o meno delle prove d’urto. Neanche l’introduzione delle Norme CEN 1317/1/2/3 (anno 2000) ha risolto tale problematica, permanendo ancora una serie di quesiti irrisolti, e tuttora in discussione nell’ambito dei lavori del Comitato TC226/CEN. E’ infatti assegnato al progettista stradale, secondo la norma cogente italiana (D.M.3.6.98 e ss.aa.) , il compito della scelta del tipo di dispositivo, della modalità 2 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. d’installazione e di tutti gli adattamenti del prototipo omologato alle tante e diverse situazioni d’impiego, anche parecchio dissimili dalle situazioni standard. La necessità di incrementare e favorire la ricerca scientifica, per offrire strumenti idonei alla progettazione dei dispositivi di ritenuta, è una necessità evidente se si tiene conto del fatto che, ancora oggi, il progetto di questi sistemi strutturali (dal prototipo al dispositivo in opera) si riduce in pratica, nella maggioranza dei casi, ad una mera descrizione di una struttura scaturita da non pochi tentativi e tutti essenzialmente sperimentali o empirici. Ma lo sviluppo abbastanza recente dell’ingegneria virtuale, vale a dire dell’ingegneria che consente di modellare in modo razionale numerico qualsiasi fenomeno fisico, tenendo esattamente conto delle proprietà intrinseche dei materiali che compongono i diversi elementi del sistema, ha aperto nuovi orizzonti anche nel caso dei dispositivi di ritenuta, caratterizzati da una complessità che è legata alla molteplicità delle componenti presenti contemporaneamente sulla scena incidentale nella quale s’inseriscono: il veicolo, l’uomo, la strada, il dispositivo di ritenuta e l’ambiente circostante. Se si punta quindi ad uno sviluppo tecnologico dei dispositivi di ritenuta, non si può fare a meno di favorire un sano sviluppo della ricerca e di una conseguente diffusione dei risultati applicativi. Si vuole proporre, in questa occasione d’incontro tra tecnici e studiosi, l’adozione di una procedura progettuale e cioè di un metodo che, senza nulla togliere al valore delle prove sperimentali standardizzate, consenta però di esplorare una serie di situazioni possibili, generalmente non coperte dalle prove sperimentali, ma che possono figurare determinanti nei riguardi della sicurezza degli utenti e della salvaguardia delle responsabilità assegnate ai progettisti. E’ quindi anche questo un tentativo di rispondere concretamente all’atteso miglioramento delle condizioni di sicurezza della rete stradale esistente e di quella futura non ancora realizzata. 2. La sicurezza d’esercizio di un’infrastruttura La sicurezza d’esercizio di una qualsiasi strada dipende da molti fattori, i più rilevanti dei quali sono direttamente riconducibili al comportamento degli utenti, mentre la sua dipendenza dalle condizioni ambientali e da quelle della strada e del veicolo, è subordinata allo sviluppo di fasi progettuali, costruttive e manutentorie delle singole componenti. Affinché si attui un accettabile livello di sicurezza è necessario, ma non sufficiente, che il progetto della strada e anche quello del veicolo siano sviluppati ad un prefissato valore di qualità e che la manutenzione dei due sistemi garantisca la continuità delle originarie prestazioni attese. Resta però al fattore umano e soltanto ad esso il raggiungimento di una minima accettabilità per far sì che la sicurezza, ossia 3 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. la lontananza da stati di crisi, sia sempre presente in ogni momento, a totale protezione degli utenti. Ma è soprattutto la strada, giacché supporto e guida indiretta del veicolo, che assume un ruolo più che importante nella complessa generazione degli eventi incidentali, contribuendo molte volte essa stessa ad instaurare, nel conducente, situazioni d’incertezza percettiva e quindi d’indecisione, immediatamente prima dell’incidente, o a non riuscire, la stessa strada, a contenere in tutto o in parte le conseguenze, anche molto gravi dell’incidente già avvenuto, come è nel caso dei dispositivi di ritenuta che non riescono a produrre le prestazioni attese. Si ritiene che la sicurezza, poiché condizione necessaria per la salvaguardia della vita umana, può essere conseguita soltanto in virtù di principi razionali che, se applicati, consentono di fissare limiti convenienti sia al comportamento degli utenti e sia alle prestazioni del veicolo, ma anche e soprattutto alle caratteristiche geometriche, funzionali e costruttive delle strade. Con il Codice della strada del 1993 il Legislatore, anche in Italia, ha voluto disciplinare la complessa materia della costruzione e gestione delle strade, attraverso norme tecniche cogenti che ”devono essere improntate alla sicurezza della circolazione di tutti gli utenti”. Inoltre, l’emanazione della legge del 17 luglio 1999, numero 144, istituendo il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale, ha consentito di definire gli obiettivi e le caratteristiche di base dei futuri interventi di miglioramento dell’efficienza delle infrastrutture. La sicurezza stradale è quindi un qualcosa che si può costruire per gradi e si può realizzare attraverso un procedimento d’analisi, d’elaborazione e di sintesi che parta da dati concreti ed obiettivi sugli elementi che concorrono al verificarsi degli incidenti. Gli incidenti costituiscono infatti uno stato di crisi del sistema stradale, paragonabile ad uno vero e proprio stato di collasso strutturale. Il progetto di una nuova strada o l’adeguamento alle Norme cogenti di una strada esistente deve essere sviluppato nel pieno rispetto delle regole e dei principi contenuti nelle medesime norme, che consentono di ritenere affidabile l’infrastruttura per un determinato periodo di servizio, avendo prefissato le condizioni di sicurezza per gli utenti ed i terzi. Ciò sta a significare che il Progettista, una volta deciso la tipologia stradale, in termini di sezione e di geometria d’asse, definisce sia il tracciato e sia tutte le opere che potranno realizzarlo, ivi compreso i dispositivi di ritenuta, per ogni specifica situazione. Egli dovrà poi analizzare, sezione per sezione, quale possa essere la probabilità di rischio incidentale, in relazione alle prevalenti condizioni ambientali e di traffico. Il progettista di una strada organizza sempre, nel rispetto di norme, la composizione degli elementi della piattaforma (corsie e banchine laterali) scegliendo opportunamente le dimensioni, in relazione alla domanda di traffico, al tipo di drenaggio e agli altri fattori influenti (caratteristiche superficiali della 4 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. pavimentazione e tipologia dei sistemi di ritenuta) che possono correlarsi ai potenziali rischi d’incidente o di riduzione della severità dei medesimi. Occorre però chiarire che il compito di un Progettista non si esaurisce, ai fini della sicurezza, nel processo di mero dimensionamento di un canale di traffico, ma si estende con pari responsabilità anche al dimensionamento dei cosiddetti margini: centrali interni (spartitraffico) ed esterni (laterali o bordi) di pertinenza, sedi naturali ove vengono installati i dispositivi di ritenuta. La sicurezza dei margini (Figura 1), ancora quasi sconosciuta in Italia, assume un ruolo importante perché è stato dimostrato che gli spazi di margine influiscono sul comportamento dell’utente e quindi prima che si verifichi l’incidente, costituendo inoltre la base necessaria per la prestazione attesa dei dispositivi di ritenuta, ad incidente ormai avvenuto. E’ importante, infatti, riconoscere che per le nuove strade, ma anche per l’adeguamento di quelle esistenti, si dovrebbe incominciare a guadagnare maggiori spazi di margine, al fine anche di consentire non soltanto maggiori margini visuali ma il corretto funzionamento dei dispositivi che necessitano, come è noto e come richiesto dalla norma, di una minima “larghezza di lavoro”. Tale dimensione deve essere sempre presente ai margini delle carreggiate, anche sulle opere d’arte, all’aperto, e in galleria. L’installazione di barriere di sicurezza è pertanto una parte delle scelte progettuali che deve attentamente essere valutata, in relazione a soluzioni alternative che consentano - ad es. - la loro eliminazione, come è già nel caso di rilevati di altezza inferiore ai 2,5m, formati con scarpate massime pari a 1/3. La sicurezza intrinseca di un’infrastruttura stradale, vale a dire quella che riguarda la componente strutturale fissa, concerne in modo particolare le aree poste al di fuori della sede vera e propria (piattaforma e banchine) e costituisce una materia di gran rilievo nello sviluppo delle procedure progettuali e manutentorie. Numerose sono le ragioni che possono causare la fuoriuscita di un veicolo dalla sede stradale, alcune delle quali si connettono direttamente al comportamento dell’utente che, a sua volta, è del tutto dipendente da processi percettivi visuali dello spazio stradale; ma se le aree poste ai margini laterali o nello spartitraffico potessero realizzarsi praticamente molto ampie, pianeggianti e senza ostacoli di sorta (alberi, muri, pali, etc.), le conseguenze di una fuoriuscita accidentale potrebbero ridursi veramente a ben poco e sino ad annullarsi del tutto. 5 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. MARGINI PIATTAFORMA PIATTAFORMA CORPO STRADALE LA SICUREZZA DEI MARGINI RIGUARDA : •SPARTITRAFFICO •SCARPATE E ARREDO •BORDI LATERALI ESTERNI Figura 1 - La sicurezza dei margini stradali. Nei sistemi aeroportuali, da citare soltanto com’esempio generico e parzialmente comparabile, già da molto tempo le “strisce di sicurezza”, ampie trasversalmente anche un centinaio di metri, fiancheggiano le sovrastrutture pavimentate delle piste di volo e, in minore misura, quelle di rullaggio, al fine di contenere eventuali fuoriuscite accidentali degli aeromobili durante le fasi di decollo e atterraggio. Come pure, negli autodromi, l’affermarsi degli ampi spazi laterali muniti di “letti d’arresto” (altro esempio di dispositivo di ritenuta) come efficace intervento di sicurezza passiva, concorre all’affermarsi d’un convincimento: eliminare per quanto possibile ogni ostacolo rigido laterale, posto sui margini. Alcuni elementi compositivi progettuali e costruttivi del corpo stradale, posti ai margini degli spazi pavimentati, come le pendici dei rilevati, le scarpate degli scavi, lo spartitraffico e tutti gli oggetti fissi e rigidi, gli specchi o corsi d’acqua e le altre infrastrutture intersecate o fiancheggiate, costituiscono i potenziali fattori di rischio che un veicolo dovrà affrontare nel caso di perdita accidentale di traiettoria, con fuoriuscita incontrollata dalla piattaforma stradale. Tutti questi fattori di rischio possono ovviamente presentarsi con diversi gradi di pericolosità per i veicoli in circolazione, e quindi per gli occupanti dei medesimi e per i terzi non utenti eventualmente presenti al di fuori della strada. Purtroppo però le accennate condizioni ideali di disponibilità di spazi liberi posti ai margini che, non solo teoricamente, potrebbero risolvere il problema della sicurezza, superano quasi sempre le usuali ed immediate convenienze economiche costruttive e d’uso del territorio ed allora le possibili misure che conviene prendere in considerazione si riducono sostanzialmente, in ogni caso, a provvedimenti di pura sicurezza passiva; vale a dire d’attenuazione delle conseguenze incidentali. Le misure d’attenuazione delle conseguenze incidentali si riducono, in sostanza, all’accettazione di una modalità di riduzione delle azioni d’impatto (impiegando 6 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. dispositivi d’assorbimento d’energia o simili), da esaminare sempre in relazione alle risorse economiche e di spazio, effettivamente disponibili. Specialmente negli Stati Uniti l’impiego delle barriere di sicurezza e degli attenuatori d’urto è sempre stato analizzato attentamente ed è ancor di più attualmente condizionato ad una dimostrata impossibilità di realizzare misure alternative veramente efficaci (come le “clear zones”, in altre parole spazi laterali molto ampi e liberi da ostacoli con scarpate o pendici molto dolci), com’è chiaramente descritto nel “Roadside Design Guide”, pubblicato dall’AASHTO nel 1994. Resta pertanto valido il principio che, ove possibile, si dovrebbe preferire di non istallare alcun sistema di ritenuta. Infatti, quest’ultimi, per efficaci che siano, rappresentano quasi sempre una sorta di ripiego, vale a dire d’utile compromesso tra domanda ed offerta, sia in termini economici e sia in termini di protezione degli occupanti di un veicolo. Il progetto delle citate “clear zones” è solitamente valutato con molta attenzione, in funzione del tipo di strada (cioè della velocità di progetto e della geometria d’asse e di sezione), del tipo di traffico (con il TGM) e delle condizioni morfologiche dei siti attraversati, ed è per questo che non è poi così troppo facile vedere realizzate le “clear zones”, com’è invece decisamente auspicabile. Tornando alla situazione italiana, una particolare attenzione deve essere rivolta, specie nel caso delle strade e autostrade esistenti, all’analisi dei possibili attraversamenti accidentali dello spazio spartitraffico (definito dal Codice della strada come esattamente “invalicabile”), soprattutto in relazione ai volumi e composizioni di traffico prevedibili e alle dimensioni trasversali utilizzabili, poiché anche in tal caso sarebbe preferibile poter disporre di un ampio spazio (maggiore almeno di 10m d’ampiezza), eccezionalmente pavimentato (con materiali del tipo “letto d’arresto”), e , in ogni caso, libero da ogni qualsiasi ostacolo rigido ed infrangibile. E’ quindi veramente un atto di gran responsabilità, per il progettista della strada o per quello degli interventi d’adeguamento, il dover scegliere una tipologia organizzativa dello spartitraffico, in relazione alle effettive disponibilità di spazio utile e alla salvaguardia degli occupanti dei veicoli, nel caso di urto accidentale di quest’ultimi contro i dispositivi di ritenuta, stabilmente inseriti nello spartitraffico. Infatti, l’efficacia di un moderno dispositivo di ritenuta è tanto maggiore quanto maggiore è lo spazio trasversale di deformazione disponibile (spazio W.W.) per la dissipazione d’energia conseguente all’azione d’urto. Nel caso d’insufficienza di spazio di deformazione utile occorrerà accettare il minore dei mali: vale a dire un aumento della rigidezza del sistema e quindi un aumento, consentito nei casi particolari(D.M.3.6.98/Art.6), delle azioni impulsive sugli occupanti (ASI>1 ma <1,4), a favore di una comprovata resistenza di contenimento del veicolo sulla carreggiata. Inoltre, affinché l’efficacia delle scelte progettuali possa attuarsi pienamente, è ritenuto utile e, in molti casi necessario, delimitare i margini della piattaforma stradale con particolari strisce continue di assegnata funzione acustica (bande 7 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. soniche), capaci d’avvertire immediatamente l’utente disattento o indisciplinato d’aver raggiunto uno spazio improprio per la circolazione. Come pure, ad esempio, lo spartitraffico dovrebbe garantire gli utenti dal pericolo dell’abbagliamento notturno, procurato dai fari dei veicoli circolanti in senso opposto di marcia, che potrà essere tanto più accentuato quanto più ridotta potrà presentarsi la dimensione trasversale intervia, mentre eventuali schermi artificiali potranno aumentare fortemente l’efficacia della funzione antiabbagliante. Tuttavia l’organizzazione dello spazio spartitraffico dovrebbe anche tener conto della domanda, irrinunciabile, di visuale libera per gli utenti, nei tratti curvilinei del tracciato, che potrà essere tanto più soddisfatta per quanto più si possa disporre di banchine ampie e di altezze continue dei sistemi di ritenuta, non eccedenti la posizione media dell’occhio del guidatore, rispetto alla superficie carrabile. Per tutti i suesposti motivi, attualmente si è del parere che una progettazione razionale dei dispositivi di sicurezza passiva (o sistemi di ritenuta) non possa che svilupparsi secondo procedimenti che possono giovarsi dell’ingegneria virtuale e cioè di una procedura di simulazione e che consentano di portare in buon conto non soltanto il comportamento del dispositivo ad un prefissato livello di contenimento ma anche e soprattutto quello del veicolo, costituito com’è da una struttura deformabile e capace di sviluppare velocità e accelerazioni in un campo di variabilità veramente grande, mai esattamente prevedibile in caso d’incidente. Il metodo delle simulazioni numeriche sviluppato per elementi finiti tridimensionali, nell’ipotesi di comportamento non lineare e dinamico dei materiali di corpi liberi deformabili, consente di raggiungere elevati livelli di affidabilità, come d’altra parte può essere utilmente convalidato, attraverso le prove sperimentali d’urto al vero in scala reale. La ricerca effettuata nell’ambito del programma IASPIS – MURST (Cofin 2000/Università “La Sapienza” e Università di Bologna), sui metodi più convenienti di simulazione del comportamento di veicoli leggeri e pesanti durante l’urto contro barriere di sicurezza, costituisce un esempio di come si possa raggiungere un buon livello qualitativo in termini di strumento d’uso, in fase progettuale, per indagare situazioni anche lontane da quelle delle prove sperimentali standard e a relativo basso costo. Inoltre l’impiego di modelli molto dettagliati per EF di veicoli consente di predisporre prove virtuali di crash, utili per passare poi ad un affinamento delle reali condizioni di prova al vero o di situazioni d’impiego su strada, anche molto diverse da quelle convenzionali, previste dalle Norme. 3. Criticità e costi delle prove al vero Attualmente, e non soltanto in Italia, le prove al vero necessarie per conseguire l’omologazione di un dispositivo da installare su strada sono sempre prove abbastanza 8 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. costose, che richiedono un tempo spesso lungo d’attesa, ma che non sollevano i progettisti dalle loro personali responsabilità. Anche in campo automobilistico la tradizione ha da sempre privilegiato di più lo sviluppo di prototipi reali da sperimentare direttamente su strada e di meno il seguire, almeno preventivamente, la via razionale del progetto e del calcolo. Viceversa, in campo strutturale civile, non potendosi realizzare prototipi, se non in scala molto ridotta, è stato da sempre adottato il metodo razionale del progetto, sia pure con accettabili approssimazioni e attraverso prove convenzionali su campioni di materiale dei componenti. Lo studio di un dispositivo di ritenuta è stato considerato nella maggioranza dei casi soltanto un processo intuitivo iterativo di tentativo, spesso non sostenuto da alcuna minima considerazione d’ingegneria strutturale. Tanto è vero che, ancora attualmente, è abbastanza arduo raggiungere con un dispositivo le prestazioni attese secondo norma, per l’esiguità delle prove effettivamente sostenibili, soprattutto in termini di costo e per mancanza o quasi di modelli di calcolo affidabili. Senza contare il fatto che l’esito di un prova può dipendere fortemente – a parità di classe e condizioni di norma - dal tipo di veicolo impiegato, per la diversità di resistenza all’urto della scocca e per le dimensioni dell’abitacolo, in relazione ai danni provocati sugli occupanti. (Figura 2) Figura 2 - Diversità di conseguenze incidentali per diversi tipi di veicolo 9 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Infine è da sottolineare l’incomunicabilità pratica tra i costruttori dei veicoli e quelli dei dispositivi di ritenuta, entrambi impegnati nella ricerca della migliore sicurezza, ma dipendenti ognuno da due diversi insiemi normativi, di fatto quasi divergenti. Bisogna infatti ricordare che l’esecuzione dei crash test, effettuata secondo le specifiche dell’industria automobilistica, non corrisponde in alcun caso alle modalità di prova dei dispositivi di ritenuta stradale: in queste condizioni, infatti, i veicoli vengono sollecitati secondo direzioni per le quali non sono stati né progettati né verificati e omologati. Per l’esecuzione della prova, al fine di ottenere l’omologazione del dispositivo di ritenuta, in accordo agli standard fissati, occorre in ogni caso procedere all’acquisto di veicoli in buono stato di efficienza, predisporre tutta una serie di attrezzature di rilievo e di memorizzazione dei dati, contare su personale specializzato e soprattutto necessita la disponibilità in tempi accettabili d’un laboratorio, ufficialmente autorizzato a rilasciare certificazione. L’affermarsi dell’ingegneria virtuale e dei suoi impieghi può però consentire un efficace integrazione alle prove al vero, attraverso l’esecuzione di simulazioni in numerose condizioni, coprendo un più ampio spettro di situazioni e garantendo prestazioni molto maggiori in termini di sicurezza. Vi è infatti un numero di situazioni che, non solo per vincoli economici, è impossibile riprodurre con delle prove al vero; inoltre, con lo strumento della simulazione numerica ad elementi finiti, si riesce ad avere informazioni molto più dettagliate sullo stato di sollecitazione globale e locale, utili per la fase di progettazione e per l’ottimizzazione nell’uso dei materiali. 4. Necessità di uno strumento progettuale Lo studio di un nuovo tipo di dispositivo di ritenuta e anche il suo impiego nell’ambito della realizzazione o dell’adeguamento di una strada deve necessariamente passare attraverso una fase di accurata progettazione. Nel passato lo studio era ridotto a valutazioni molto semplificate, inadeguate alla natura complessa del problema, mentre, nella progettazione dell’infrastruttura stradale, la fase dedicata alla sicurezza dei margini era risolta frettolosamente, a posteriori, mediante una scelta da catalogo. Molto era dovuto alla indubbia difficoltà ad affrontare un problema così complesso mediante gli strumenti analitici consueti della meccanica dei solidi e della scienza delle costruzioni. Proprio questo aspetto è stato risolto mediante l’utilizzo della simulazione numerica ad elementi finiti, che consente di impostare il problema suddividendo il continuo in elementi discreti e di demandare la fase di calcolo ad un elaboratore elettronico. 10 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Nello studio dei fenomeni d’urto è necessario, per ottenere risultati validi, utilizzare un codice di calcolo che preveda legami costitutivi complessi e di ottenere la soluzione per integrazioni successive o passi nel tempo, conservando memoria delle sollecitazioni e deformazioni negli stati precedenti. La realizzazione dei modelli di calcolo richiede competenze specifiche, dato che, per la molteplicità delle interazioni tra i componenti, la scarsa cura dei particolari può rendere il risultato della simulazione non rispondente alla realtà fisica del fenomeno. Lo strumento della simulazione non è però utile nella sola fase di studio di un dispositivo nuovo o nel miglioramento dell’esistente, ma viene in aiuto al progettista in tutte quelle situazioni particolari di impiego che non sono previste nella prova di omologazione. Si pensi al semplice fatto che la prova di omologazione, che ha un carattere puramente convenzionale, avviene in piano, su un tratto rettilineo di barriera, secondo modalità ben definite. Dovendo riprodurre una situazione particolare, può accadere che la nuova configurazione si riveli critica per lo stesso tipo di barriera che dai risultati della prova di omologazione sembrava adeguata. Sarà quindi opportuno progettare gli interventi atti a ricreare le giuste condizioni di sicurezza. È da notare che la norma cogente prevede che il progettista delle barriere di sicurezza dell’infrastruttura verifichi queste situazioni. PROCEDURA SPERIMENTALE PROPOSTA 1 Progetto del prototipo 2 Test statici e dinamici sui componenti 3 4 test virtuali al computer (meccanica computazionale) Test reali sulla barriera 5 Verifica, Calibrazione, Validazione del Computer Code 6. PROGETTO ESECUTIVO IN SITUAZIONE REALE Geometria stradale Suolo di fondazione Vehicle crashwortiness Impatto Fuori aderenza 7. SIMULAZIONE PER OGNI SITUAZIONE REALE Figura 3 - Procedura sperimentale e progettuale proponibile 11 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. 5. L’ingegneria virtuale Al fine di risolvere in modo conveniente il problema della verifica o del calcolo di un dispositivo di ritenuta, si ritiene veramente utile il ricorso all’ingegneria virtuale, vale a dire all’impiego dei metodi di simulazione o di riproduzione artificiale virtuale dei fenomeni fisici e meccanici. Tale procedura è antica, risalendo almeno idealmente a Leon Battista Alberti, famoso architetto, filosofo e pittore genovese, vissuto fra il XIV e il XV secolo, che fu il primo ad affrontare scientificamente il problema di una riproduzione fedele della scena reale, dettando le regole pratiche del disegno prospettico, poi riprese e ampliate sia da Leonardo da Vinci sia da Michelangelo Buonarroti. Lo sviluppo delle scienze matematiche e fisiche, nel XVII e XVIII secolo hanno poi portato all’interpretazione razionale di molti fenomeni fisici, ma è soltanto con la diffusione del calcolo automatico che è stato possibile, nel XX secolo, riprodurre esattamente tanti processi reali, non soltanto da un punto di vista geometrico ma anche da un punto di vista di comportamento dei materiali, attraverso una dettagliata descrizione numerica dei singoli componenti secondo le regole della Scienza delle Costruzioni, meglio nota universalmente come “Strength of Materials”. Geometria 2001 1990 1980 1970 Modelli 3D autocad Fisica materiali Modelli Strutturali 3D Modelli E.F. 3D dinamici Simulazione numerica Disegno Automatico 2D Figura 4 - Evoluzione dell’ingegneria virtuale Tutto è iniziato, in chiave moderna, con l’introduzione dei Codici CAD/CAE/CAM, capaci di automatizzare la descrizione geometrica di qualsiasi oggetto, ma è soprattutto l’evolversi dell’ingegneria strutturale che, mediante l’impiego dei metodi di calcolo per elementi finiti (Zienkiewicz 1967), ha consentito prima la modellazione di sistemi monodimensionali e bidimensionali e poi quella dei sistemi tridimensionali, in campo dinamico, anche con più corpi liberi deformabili in movimento. 12 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Operando in tal modo è possibile produrre artificialmente esperimenti molto complessi e pervenire a risultati confrontabili con quelli corrispondenti ad esperimenti reali. Il caso dei dispositivi stradali di sicurezza è uno dei tanti esempi ove l’ingegneria virtuale può portare un notevole e consistente contributo, nel consentire l’assemblaggio di modelli complessi di simulazione, corrispondenti esattamente a situazioni reali d’impatto di veicoli contro ostacoli fissi o mobili, in un vasto campo di variabilità di condizioni, iniziali e di contorno. 6. I modelli di simulazione Nel modellare virtualmente un qualsiasi fenomeno reale è necessario introdurre alcune approssimazioni, volte a limitare il più possibile i tempi necessari per le elaborazioni. Si trascura, per questo motivo, in una fase preliminare, la descrizione dettagliata degli elementi che risultano essere meno influenti rispetto al comportamento investigato. La scelta degli elementi da trascurare presenta però notevoli difficoltà, in quanto occorre valutare accuratamente l’effetto delle ipotesi poste alla base della modellazione. Per questo, è necessario procedere in maniera graduale, partendo dallo studio di casi facilmente controllabili, almeno negli aspetti principali, sia qualitativi sia quantitativi. La via da seguire parte perciò da casi relativamente semplici, sui quali è possibile provare le diverse ipotesi di modellazione, per poi passare a casi più complessi per i quali risultano disponibili i risultati di test sperimentali, tramite i quali è possibile verificare i risultati ottenuti. Lo strumento analizzato e perfezionato, ad esempio, durante lo svolgimento delle ricerche concluse per il progetto MURST/Iaspis 2000, è consistito nella simulazione numerica di crash test coinvolgenti veicoli leggeri e pesanti e barriere di sicurezza stradali, mediante l’utilizzo del codice di calcolo ad elementi finiti Dyna-3D. I modelli studiati erano costituiti dalle seguenti componenti principali: - Dispositivo di ritenuta o “barriera”. - Veicolo. - Pavimentazione stradale. - Supporti di ancoraggio. Il dispositivo di ritenuta è stato schematizzato in modo che la geometria e gli spessori degli elementi strutturali siano quelli reali, modellando con particolare cura le giunzioni tra i diversi elementi e i materiali utilizzati, descritti con un appropriato legame costitutivo (elasto – plastico, elasto – plastico con rottura, etc.). La modellazione del veicolo è stata realizzata, invece, con un dettaglio che ha tenuto conto della complessa interazione di questo con la barriera, ma che al contempo non appesantisse l’elaborazione numerica. 13 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. È comunque irrinunciabile che il veicolo sia schematizzato correttamente almeno per i seguenti parametri: - Massa. - Posizione del baricentro e distribuzione delle masse. - Dimensioni esterne. - Deformabilità delle parti a contatto con la barriera In particolare, la schematizzazione del veicolo pesante è stata effettuata per fasi successive, partendo da modelli con geometria scatolare, nella quale sia gli spessori, sia la schematizzazione dei materiali, sono stati assunti in modo fittizio ma calibrati in maniera da riprodurre i risultati di prove sperimentali al vero. Nelle fasi successive si è provveduto ad un miglioramento della modellazione, aggiungendo ad esempio le ruote per simulare correttamente il contatto con la pavimentazione stradale, e migliorando la geometria generale, suddividendo il veicolo in più elementi scatolari. Nel caso dei veicoli leggeri e in vista della misurazione dell’indice ASI, è necessario avere a disposizione un modello di veicolo sufficientemente raffinato, da equipaggiare eventualmente anche con un manichino strumentato virtuale (crash test dummy), analogamente a quanto avviene nella realtà. Sono disponibili in libreria alcuni modelli preconfezionati di dummies e di alcuni tipi di autoveicoli, già testati in alcune condizioni particolari (es. urti frontali oppure laterali). La pavimentazione stradale, nello studio dei crash test, assolve a due compiti essenziali: offrire un vincolo unilaterale di appoggio al veicolo e garantire un contatto strisciante con un certo attrito (in modo da potere riprodurre il rotolamento dei pneumatici). Per tali scopi essa può essere modellata con macroelementi shell dotati di notevole rigidezza e vincolati con incastri ai quattro nodi estremi, oppure con superfici infinitamente rigide. La modellazione dei supporti ove la barriera è ancorata viene tradizionalmente omessa, imponendo ai montanti vincoli di incastro perfetto al piede. Questa approssimazione limita la complessità del modello ma non consente di cogliere la reale interazione supporto-montante. Occorre notare infatti che, durante l’urto, la rigidezza offerta dalla barriera è notevolmente differente se si considera un incastro (rigidezza infinita) oppure se si realizza un vincolo cedevole. 7. Analisi dei componenti critici: veicolo e supporto Il problema della progettazione e dell’analisi di nuovi dispositivi di sicurezza può essere affrontato con metodologie che potremmo definire di tipo empirico o razionale. 14 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. I metodi empirici sono costituiti da schemi predeterminati di interazione veicolo-struttura e si basano su equilibri energetici tra l’energia cinetica del veicolo collidente e l’energia dissipata dalla deformazione del dispositivo di ritenuta, con i seguenti: - vantaggi: semplicità di impiego, modesto numero di dati richiesti, rapidità di esecuzione, mezzi di calcolo modesti; - svantaggi: impossibilità di tener conto delle condizioni al contorno e quindi di valutare il reale fenomeno interazione veicolo-struttura; inoltre non forniscono alcuna informazione sulle modalità di rinvio dei veicoli in carreggiata. I metodi razionali prevedono, invece, lo studio di interazione veicolo-struttura e si basano su modelli numerici in grado di simulare gli urti tra solidi, discretizzati col metodo degli elementi finiti ottenendo i seguenti : - vantaggi: possibilità di prendere in considerazione le condizioni al contorno e di valutare l’interazione veicolo-struttura; forniscono le modalità di rinvio dei veicoli in carreggiata, consentono di individuare le caratteristiche cinematiche di ogni punto nel corso dell’intero evento e quindi di calcolare gli indici biomeccanici significativi e consentono di ridurre drasticamente i crash test in vera grandezza e quindi di contenere i costi; - svantaggi: notevole complessità di impiego, elevato numero di dati richiesti, lunghi tempi di preparazione delle mesh e di elaborazione, complessità di interpretazione dei risultati, richiesta di mezzi di calcolo potenti (dalla workstation in su). Per la realizzazione modelli numerici, come quelli illustrati nel presente lavoro si è utilizzato il codice ad ampio raggio agli elementi finiti (LS-DYNA) che è comunemente utilizzato per studiare la risposta dinamica non lineare di strutture inelastiche tridimensionali. La sua capacità di realizzare l’analisi automatica dei contatto tra corpi diversi consentono di risolvere con successo complessi problemi di crash e di metal forming. Il Codice DYNA-3D offre moltissime aree di utilizzo, tra queste si ricordano, in particolare: - la Vehicle Crashworthiness (automobili, aeroplani, navi, treni); - la protezione degli occupanti dei veicoli ed applicazioni biomediche; - il sheet metal forming; - il testing di prodotti - l’analisi sismica; - l’interazione fluidi-struttura e lo studio di deflagrazioni sottomarine; - lo studio di fenomeni termici ed acustici. Un così diffuso utilizzo di questo Codice ne testimonia le capacità: sono presenti infatti più di un centinaio di modelli costitutivi per simulare un ampio spettro di materiali (acciai, materiali compositi, schiume leggere, calcestruzzo, ecc), ivi compreso il materiale definibile dall’utente. Il codice ha, inoltre, una copiosa libreria 15 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. di elementi, tra cui membrane, elementi shell, truss, beam, brick, spring e dumpers, seatbelts elements e rigid bodies. Funzioni speciali riguardano gli algoritmi di contatto automatico, l’airbag inflation, l’utilizzo delle cinture di sicurezza e l’interazione corpo deformabile-corpo rigido. L’introduzione di tecniche risolutive di tipo LagrangianeEuleriane (ALE) ed Euleriane, ha aperto il campo alla modellazione di interazioni fluido-struttura e di problemi con fluidi in generale. Un risolutore termico implicito consente di modellare problemi accoppiati termico-strutturali. 8. Il modello numerico del veicolo leggero Questa fase comporta una vera e propria costruzione del veicolo. Il veicolo deve infatti essere costituito da un numero di elementi finiti tale da garantire una rappresentazione dei particolari paragonabile a quella che si può ottenere nello schematizzare una barriera di sicurezza. Un numero troppo elevato o troppo ridotto di elementi creerebbe disomogeneità all’interno del modello complessivo. Quindi, un livello omogeneo di definizione nella rappresentazione dei due componenti principali è il primo passo verso una corretta simulazione. Il modello di veicolo leggero è stato prelevato, nel caso riportato, dal sito del NCAC (National Crash Analysis Center) statunitense (http://www.ncac.gwu.edu/). Dalla SUZUKI Swift originaria, composta da circa 16000 elementi, si è passati prima ad affinare la mesh nelle parti che sarebbero andate ad urtare la barriera, in modo da evitare i problemi di compenetrazione dei nodi che si possono presentare quando le dimensioni delle mesh non sono omogenee, poi, alla calibratura del peso del veicolo e in modo che non solo il peso complessivo rientrasse nelle tolleranze definite nelle normative, ma anche la posizione del centro di gravità fosse quella prescritta. Si è ottenuto un veicolo con un peso complessivo di 929 kg e con il centro di gravità posizionato ad un’altezza di 0.545 m (). Figura 5 – Parti del modello “wireframe” di veicolo leggero per i crash test virtuali 16 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 6 – modello completo “wireframe” di veicolo leggero TIPO DI NORMATIVA MODELLO REALIZZATO INDICAZIONI DELLE NORMATIVE MASSA STATICA TOTALE (kg) 929 ALTEZZA DA TERRA DEL BARICENTRO (m) 0.545 Italiana ed europea 900? 40 0.49 ? 0.05 Statunitense 895? 25 0.55 ? 0.05 Tabella 1 - Caratteristiche del veicolo leggero secondo le normative vigenti. 9. Modello del veicolo pesante Il modello del veicolo pesante è stato interamente sviluppato nel laboratorio di ingegneria virtuale dell’Area Strade dell’Università di Roma “La Sapienza”. Per l’occasione, è stato scelto un veicolo di tipologia adatta alle prove per classe H4a, quindi un quattro assi con massa complessiva di 30 t. E’ stato accuratamente effettuato un rilievo su di un veicolo Fiat 180 e ne sono state riprodotte le caratteristiche geometriche, strutturali e dinamiche, poi confluite in un modello virtuale. 17 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 7 – Veicolo Fiat 180 riprodotto virtualmente Particolare cura è stata posta nel riprodurre le sospensioni e il cinematismo di assi e ruote. Figura 8 – Dettaglio degli assi e delle ruote 18 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 9 – Dettaglio della struttura portante e delle sospensioni a balestra Figura 10 – Veicolo completo in fase di modellazione, visualizzazione wireframe 19 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 11 – Dati geometrici e dinamici del veicolo reale di riferimento, la secondo scheda di prova (LIER) 10. Modellazione del dispositivo di ritenuta Il dispositivo di ritenuta riprodotto nella simulazione riportata è una barriera da ponte di classe H4, in acciaio; al fine di conoscere il comportamento degli ancoraggi è stato modellato un impalcato da ponte, ipotizzato come cassone unico con uno sbalzo 20 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. laterale di 2.5 m, determinato in base a esempi di ponti già costruiti presenti in letteratura. La barriera è stata modellata con elementi finiti di tipo piano (shell), solo per gli ancoraggi si sono usati degli elementi di tipo lineare (beam); l’intero impalcato è stato realizzato con elementi solidi (brick) a otto nodi, con integrazione completa. Gli elementi “shell” usati sono elementi a quattro nodi con la formulazione di Belytschko – Tsay mentre gli elementi beam degli ancoraggi sono del tipo Hughes – Liu con integrazione sulla sezione. Il materiale utilizzato per la barriera è un materiale elastoplastico con strani softening e rottura, corrispondente ad un Fe430, utilizzato nella realtà per tutti gli elementi. Materiale Elasto plastico con strain softening e rottura 6.00E+02 5.00E+02 MPa 4.00E+02 Materiale 24 3.00E+02 2.00E+02 1.00E+02 0.00E+00 0 10 20 30 40 50 60 ‰ Figura 12 – Materiale elastoplastico (tipo 24) utilizzato per la barriera Per saggiare le proprietà del legame costitutivo utilizzato per modellare l’acciaio sono stati simulati i test di trazione con un provino realizzato con elementi brick. Nella prova vengono correttamente evidenziate le fasi salienti di una prova reale, con la strizione e la rottura finale. 21 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 13 – Fase iniziale della simulazione di prova a trazione Figura 14 – Fase finale (rottura) della simulazione di prova a trazione 22 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Anche per il materiale utilizzato per il calcestruzzo sono state realizzate prove simulate per riprodurre test di laboratorio; in questo caso è stato riprodotto un provino cilindrico di dimensioni normalizzate e sono state controllate le deformazioni durante la prova. Figura 15 – Simulazione di prova di rottura a compressione per il calcestruzzo La barriera da ponte utilizzata è composta di numerosi elementi strutturali, che sono stati tutti modellati tenendo conto delle loro caratteristiche di spessore e di mutua connessione. Figura 16 – Vista frontale della barriera completa di ancoraggi 23 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 17 – Vista assonometrica di un tratto di barriera L’obiettivo principale, per questa classe di contenimento, è quello di contenere i veicoli pesanti, ma allo stesso tempo è necessario controllare che sia impedito il ribaltamento dei veicoli leggeri e che le accelerazioni sugli occupanti siano limitate entro valori accettabili. 24 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. ID Parte Nome Mat. Nome materiale 1 TELAIO 20 NAME:TELAIO 2 PARAURTI 31 NAME:S205JR-R 3 IRR_TELA 20 NAME:TELAIO 4 AMMORT 23 NAME:AMM_WEAK 5 ASSI 26 NAME:ASSI 6 CERCHI_I 20 NAME:TELAIO 7 CABINA 17 NAME:CABINA 8 VANO_POS 21 NAME:V_POST 9 F_ANT 18 NAME:F_ANT 10 F_POST 20 NAME:TELAIO 11 MOTORE 22 NAME:MOTORE 12 CERCHIO 20 NAME:TELAIO 13 PNEUM 19 NAME:PNEUM 14 AMM_2 24 NAME:AMM_STRN 15 CARICO 25 NAME:CARICO 17 AMM-SH 34 NAME:AMM_SH 18 AX-APP 16 NAME:AX-APP 16 PNEUM2 19 NAME:PNEUM 50 MONTF 30 NAME:S235JR-R 51 NASTROF 27 NAME:S235JR 52 DISTINFF 31 NAME:S205JR-R 53 DISTSUPF 30 NAME:S235JR-R 54 DISTCENF 30 NAME:S235JR-R 55 CORINFF 30 NAME:S235JR-R 56 CORSUPF 30 NAME:S235JR-R 56 CORSUPF 30 NAME:S235JR-R 57 DIAGONF 30 NAME:S235JR-R 58 CSUPPOST 30 NAME:S235JR-R 59 ALAMONT 30 NAME:S235JR-R 60 PIASTRA 30 NAME:S235JR-R 62 ANCSUP 32 NAME:ANCOR 63 ANCINF 32 NAME:ANCOR 71 IMPALC 33 NAME:CLS 80 SOLETTA 33 NAME:CLS 81 PAV_RIG 35 NAME:RIGIDO Tipo Materiale *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_ELASTIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_ELASTIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_PLASTIC_KINEMATIC *MAT_RIGID ? 1000 7860 1000 1000 100 1000 1000 40000 1000 1000 3200 1000 800 1000 910 1000 7860 800 7860 7860 7860 7860 7860 7860 7860 7860 7860 7860 7860 7860 7860 7860 2500 2500 2500 E 2.10E+11 1.10E+11 2.10E+11 2.10E+10 2.11E+11 2.10E+11 2.10E+10 2.11E+11 2.10E+10 2.10E+11 2.11E+11 2.10E+11 2.10E+09 4.11E+10 2.00E+05 1.00E+11 2.10E+11 2.10E+09 2.10E+11 2.10E+11 1.10E+11 2.10E+11 2.10E+11 2.10E+11 2.10E+11 2.10E+11 2.10E+11 2.10E+11 2.10E+11 2.10E+11 2.11E+11 2.11E+11 3.10E+10 3.10E+10 3.10E+10 Tabella 2 – Elenco dei materiali e loro caratteristiche 11. Preparazione dei test virtuali Una volta completata la realizzazione numerica del veicolo pesante e della barriera si è passati alla fase di assemblaggio della barriera con ciascuno dei veicoli. La barriera è stata ruotata e traslata in modo che il veicolo andasse ad urtare la stessa con un angolo d’impatto di 20 gradi. Quindi al veicolo sono state imposte le condizioni iniziali di velocità, pari a 100 km/h per il veicolo leggero (prova standard TB11 – EN1317) e pari a 68 km/h per il veicolo pesante (prova standard TB71 – EN1317). La fase che ha richiesto più attenzione è stata quella relativa alla definizione dei vari elementi contatto. Nel modello sperimentale illustrato, sono stati identificati tre tipi di contact interface: ‘sliding’. Dei contatti di tipo sliding, il primo è identificato come “a5: automatic nodes to surface”. Questo tipo di contatto riguarda i nodi del veicolo che vanno ad urtare direttamente con la barriera. Tutti i nodi del veicolo, in particolare quelli del fianco destro, costituiscono gli slave nodes, mentre i nodi della barriera che rientrano nella zone in cui avviene l’urto, costituiscono i contact segment master. Il vantaggio del tipo “a5” rispetto al tipo “5: nodes to surface” risiede nel fatto che non occorre controllare che le normali a queste superfici, indicate come master, siano contrarie alla direzione con cui i nodi slave vanno ad urtare le stesse, perché ciò 25 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. viene fatto in automatico in base alla direzione di provenienza degli slave nodes. Questo comporta un grosso vantaggio che riduce notevolmente le possibilità di compenetrazione dei nodi e conseguentemente i problemi di "snagging" della mesh e di blocco dell'analisi. Il secondo e il terzo tipo di contatto sliding è identificato come “13: automatic single surface” e riguardano rispettivamente tutti i nodi del veicolo e della barriera. Questo tipo di contatto impedisce che le varie parti, deformandosi, penetrino nelle parti adiacenti, compromettendo l’esito della simulazione. Anche in questo caso, la determinazione della normale alle superfici viene fatta in automatico, in base al lato in cui avviene il contatto. Nella Errore. L'origine riferimento non è stata trovata. e Tabella 4 vengono riassunte le caratteristiche della barriera modellata con l’LSDYNA. BARRIERA IN ACCIAIO ELEMENTI MATERIALI LS-DYNA Shell: Belytschko-Tsay Elasto-plastico: tipo 3 Tabella 3 - Caratteristiche della barriera SUPERFICI PENALTY FACTOR MASTE MASTE SLAVE SLAVE R R a5: Automatic nodes to surface Veicolo Barriera 0.05 20 Barriera Barriera 1 1 13: Automatic single surface Veicolo Veicolo 1 1 CONTATTI LS-DYNA: SLIDING Tabella 4 - Superfici di contatto sliding Il modello è stato completato definendo un campo di gravità costante e pari a 9.81 m/s2 (= 9810 mm/s2). Il calcolo è stato sviluppato per un tempo di 0.8 secondi, piuttosto lungo rispetto all’effettiva durata dell’urto, in modo da poter fare considerazioni sulla traiettoria post urto del veicolo. 12. Esempio di validazione di crash test virtuale Una volta costruito il modello di simulazione e risolti i primi problemi di elaborazione, è necessario validarlo mediante il confronto con una prova al vero riguardante lo stesso tipo di barriera e lo stesso veicolo. Nel caso in cui il confronto tra le due situazioni, reale e simulata, mostrasse differenze troppo marcate, sarà necessario studiare le correzioni da apportare al modello di simulazione, affinché ci sia una risposta adeguata. 26 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Nelle figure riportate viene mostrato il confronto visuale prospettico tra la prova reale (LIER 360) e la prova simulata, con veicolo e barriera analoghi. Come si può notare viene riprodotto sia il moto del veicolo sia la deformazione della barriera, con evidente buon grado di attendibilità. 27 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. L’analisi delle tensioni permette di avere informazioni aggiuntive sullo stato tensionale di tutte le parti della barriera, in modo molto più dettagliato di quanto si potrebbe nelle prove reali, in quanto sarebbe necessario predisporre tanti strumenti quanti sono i punti da controllare. 28 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 18 – Diagrammi delle tensioni nella barriera durante la prova 29 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 19 – Diagrammi tensionali della sezione di impalcato modellata 30 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Ai fini dell’omologazione vengono controllate le deformazioni laterali massime dinamiche e statiche residue della barriera; esse sono poi utilizzate per il calcolo della deflessione dinamica (D) e dello spazio di lavoro (W), che sono limitati secondo classi indicate nella norma. Figura 20 – Massima deformazione laterale dinamica Figura 21 - Deformazione laterale residua Gli andamenti delle deformazioni per il nodo che si deforma maggiormente, in testa alla trave superiore della barriera, sono diagrammati nel tempo (time history). In questo modo vengono ben rappresentate le fasi dell’urto, il ritorno elastico e le deformazioni residue. 31 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Def. Lat. (m) 0,04 0,00 0,03 -0,10 0,03 -0,20 0,02 -0,30 Def (m) Def (m) Def. Long. (m) 0,02 0,01 0,01 0,00 0,0 -0,01 - 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 -0,40 -0,50 -0,60 -0,70 0,2 0,4 0,6 0,8 Tempi (sec) 1,0 1,2 1,4 1,6 -0,80 Tempi (sec) Figura 22 – Time histories delle deformazioni in testa alla barriera 13. Altri esempi di crash test riprodotti virtualmente Una volta validati i materiali e i modelli dei veicoli utilizzati, sono stati riprodotti test su differenti tipi di barriere. Figura 23 – Simulazione di test TB71 e barriera in calcestruzzo 32 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 24 – Fase iniziale della redirezione Per alcune simulazioni è stato possibile effettuare un confronto con prove al vero in condizioni molto simili. Figura 25 – Confronto tra simulazione e test TB11 su barriera di calcestruzzo 33 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. Figura 26 – Confronto tra simulazione e test TB11 su barriera in calcestruzzo 14. Conclusioni I risultati fin qui conseguiti attraverso il lavoro di ricerca svolto possono evidenziare come la metodologia di studio proposta sia valida ed efficace e consenta, con costi relativamente contenuti, lo studio di una casistica altrimenti non effettuabile ricorrendo ai costosi test in scala reale. Nell’ambito di una proposta metodologica di verifica razionale dei sistemi di sicurezza, si è illustrato come esista la possibilità di simulare numericamente il complesso fenomeno di un urto fra due solidi articolati quali un veicolo (leggero e/o pesante) ed una barriera di sicurezza, tenendo conto delle reali condizioni al contorno. Con questa metodologia, infatti, le sollecitazioni non vengono imposte dall’esterno ma derivano dall’interazione dei solidi caratterizzati meccanicamente e di cui sono note le velocità iniziali. In particolare è possibile analizzare: ?? la traiettoria spaziale che segue il veicolo durante e dopo l’impatto, tramite i fotogrammi e i filmati che si possono visualizzare; ?? le accelerazioni relative subite dagli occupanti del veicolo, attraverso l’inserimento di uno o più accelerometri virtuali; ?? le deformazioni e le tensioni che nascono nei diversi corpi coinvolti nell’urto; ?? le velocità di ogni elemento del sistema; Questo procedimento, se da un lato non consente di surrogare completamente i crash test reali, che tra l’altro costituiscono un fondamentale strumento di taratura dei modelli, dall’altro è senz’altro in grado di ridurne il numero e quindi l’onere finanziario, consentendo soprattutto d’esplorare quelle situazioni d’impiego su strada, abbastanza diverse da quelle corrispondenti alle prove d’omologazione. 34 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. 15. Bibliografia sommaria 1. Ministero dei Lavori Pubblici (1992) DECRETO 18 febbraio 1992, n.223 Regolamento recante istruzioni tecniche per la progettazione, l’omologazione e l’impiego delle barriere stradali di sicurezza. 2. Ministero dei Lavori Pubblici (1999) DECRETO 11 giugno 1999 - Integrazioni e modifiche al decreto ministeriale 3 giugno 1998, recante: "Aggiornamento delle istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego delle barriere stradali di sicurezza". 3. UNI EN 1317-1 – Barriere di sicurezza stradali – Terminologia e criteri generali per i metodi di prova. UNI, Milano, maggio 2000. 4. UNI EN 1317-2 – Barriere di sicurezza stradali – Classi di prestazione, criteri di accettazione delle prove d’urto e metodi di prova per le barriere di sicurezza. UNI, Milano, maggio 2000. 5. Ministero dei Lavori Pubblici (2000) CIRCOLARE 6 aprile 2000 - Art. 9 del decreto ministeriale 18 febbraio 1992 n. 223 e successive modificazioni: aggiornamento e circolare recante l'elenco degli istituti autorizzati alle prove d impatto al vero ai fini dell'omologazione. 6. Ministero dei Lavori Pubblici (1998) DECRETO 3 giugno 1998 - Ulteriore aggiornamento delle istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego delle barriere stradali di sicurezza e delle prescrizioni tecniche per le prove ai fini dell'omologazione. 7.Ministero dei Lavori Pubblici (1987) CIRCOLARE 11 luglio 1987, n. 2337 - Legge 21 aprile 1962, n.181, art. 1, lettera f). Provvedimenti per la sicurezza stradale. Barriere stradali. Specifica per l’impiego delle barriere in acciaio. 8.Ministero dei Lavori Pubblici (1995) CIRCOLARE 9 giugno 1995, n. 2595 Barriere stradali di sicurezza. Decreto ministeriale 18 febbraio 1992, n. 223. 9.Ministero dei Lavori Pubblici (1996) DECRETO 10 ottobre 1996, n.4621 Allegato 1 - Istruzioni tecniche sulla progettazione, omologazione ed impiego delle barriere di sicurezza stradale. 10. V. Giavotto, C.Caprile: “Barriere di sicurezza stradali” [ed. SINA ,Roma-Milano 1967] 11. E. Chiatante, M.Giubilo, M.Macori :”Prove d’urto al vero mediante vetture radiocomandate per lo spartitraffico dell’autostrada TO-MI”, [Convegno nazionale AIPCR, Venezia 1970] 12. P. Bocchetto, A. Ranzo: "New freeways reserved to trucks" [Symposium on Geometric design for large trucks, Denver 1985] 13. A. Ranzo: "Traffic barriers and safety problems in Italy at present" [Presentation for Annual Meeting TRB, Jan. 1986 Circular n. 341 - 1988] 14. A. Ranzo: "I pesanti stradali e le barriere antisvio: una proposta progettuale" [Rivista "Autostrade", n. 6/1986] 35 Csm1.30.6 INGVIRT/A.R. 15. A. Ranzo: "I pesanti stradali e le barriere antisvio: la simulazione come elemento di calcolo delle sollecitazioni impulsive" [Rivista "Autostrade", n.10/1986] 16. G.Camomilla, M.Malgarini, A. Ranzo: "La sicurezza dell'infrastruttura: le barriere bivalenti" [Rivista "Autostrade", n.2/1987] 17. G.Camomilla, M.Malgarini, A. Ranzo: "Special Guardrails to contain and redirect Trucks and Buses" [S.A.E. Meeting 1/1987 - P. n. 194 - Detroit (USA)] 18. P. Di Mascio, A. Ranzo: "Il calcolo a rottura delle barriere stradali metalliche: sistemi montanti nel suolo/ correnti longitudinali." [Rivista "Autostrade", n.4/1987] 19. F. La Camera, A. Ranzo: "Summary of significants results in Italy by crash testsfor concrete barriers" [Presentation for Annual Meeting T.R.B. 1/1988 Washington] 20. A. Ranzo & AA.VV: "Catalogo generale per barriere stradali di sicurezza" Ministero dei Lavori Pubblici/ Va Sez., Roma 1988 [Stampa a cura della Rivista “Autostrade”] 21. A. 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