Tagesmutter, mamme di giorno? Ma le parole hanno un valore

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Tagesmutter, mamme di giorno? Ma le parole hanno un valore
Tagesmutter, mamme di giorno? Ma le parole hanno un valore...
Conosco il nido, da dentro, da 30 anni, ne ho visto i cambiamenti culturali, sociali ed educativi.
Nella legge 1044, istitutiva del nido, si prevedeva personale qualificato a garantire l'assistenza
sanitaria e psicopedagogica del bambino, già con quella legge la progettualità dei nidi si occupava
di costruire contesti di qualità per i suoi destinatari. E ora basta una casa e una donna?
Noi siamo partiti da quel minuscolo articolo citato sopra e tanta strada è stata fatta per connotare il
servizio nido come servizio educativo, che aggiunge valore, senso e significato nei percorsi di
crescita dei bambini e delle bambine da 0 a 3 anni, per le loro famiglie, per il territorio, la comunità
e per le figure professionali che vi operano, dal personale “ausiliario” a quello educativo.
Tanta strada è stata fatta per allontanarsi dalla prospettiva assistenzialistica che da sempre viene
evocata per i bambini piccoli e per illuminare quella socio-educativa.
Credo che occorra molta cautela nel concedere la patente educativa alla proposta della tagesmutter,
che ha una caratteristica inconfutabile, quella di consumarsi in un ambito di solitudine e di
autoreferenzialità.
Una patente educativa ha bisogno di un progetto educativo e formativo, di intenzionalità esplicitata
e di professionalità dotate di strumenti culturali e professionali.
Il sapere professionale accumulato in 40 anni dall'esperienza dei nidi ha messo in luce la delicatezza
e l'importanza dell'azione educativa, azione educativa che pervade la quotidianità del rapporto con
un bambino piccolo in qualsiasi situazione.
La proposta delle tagesmutter, come servizio domiciliare, è inserita in un progetto della ministra
Mara Carfagna. Una proposta che cerca di dare risposta ad una serie di domande sociali e di
educazione. Come al solito, spesso non sono i problemi che hanno colore politico, ma lo hanno le
soluzioni trovate. E questa soluzione veicola significati che non condivido. Perchè danno un colpo
di spugna all'idea che la crescita di un bambino non sia un fatto privato, di cui ci si può lavare le
mani, all'idea che non basti essere donna e madre per fare l'educatrice, all'idea che il concetto di
lavoro porta con sé un'idea di garanzia sindacale, di un sistema formalizzato di diritti e doveri, di
formazione iniziale e in servizio, all'idea che i bambini e le bambine sono soggetti di diritti e non
solo di cura, di tutela o di assistenza, all'idea che la famiglia, la casa e il lavoro di cura sia solo un
compito “donnesco”, all'idea che serva “cultura”, e formazione specifica e continua per fare la
professione dell'educatore. Bastano davvero 250 ore di formazione e un titolo aspecifico?
Voglio fare un po' di domande vista la sicurezza con cui si espone questa soluzione: ma la
tagesmutter con chi concorda un progetto educativo? Con chi condivide lo sguardo sul bambino?
Con chi condivide la fatica del lavoro educativo? In caso di bambino diversamente abile che
succede? Chi prepara i pasti e pulisce?(non si tratterà mica di una figura con mansioni
indifferenziate?) Come gestisce i colloqui con i genitori, la documentazione, la verifica e la
valutazione del suo percorso educativo, le sue scelte pedagogiche? Come sono garantiti i diritti
minimi di lavoro, ferie, malattia...? quale costo ha? Che orario ha questo servizio? Come si tutela un
ente pubblico, in questo caso il comune rispetto alle garanzie che deve fornire rispetto alle famiglie,
rispetto ai contenuti dell'azione educativa, rispetto alle scelte metodologiche, alla sicurezza fisica,
emotiva, affettiva e cognitiva del bambino e della bambina? E la famiglia come la costruisce la
relazione di fiducia? Provate a digitare la parola tagesmutter e leggerete parole che veicolano
“privatezza” della relazione educativa e del patto formativo con i genitori, una privatezza che non
può appartenere al mondo dell'educazione.
Occorre molta cautela nel dare la patente educativa a queste “novità educative” anche perchè i
soggetti a cui vengono dedicate sono ancora oggi soggetti deboli: i minori( non a caso vengono
definiti così) e le donne, occorre fare attenzione, perchè sarebbe a dir poco spiacevole, se dopo
molti anni passati a liberare mani, teste, cuori si costruissero nuove prigioni, più sofisticate e
subdole di quelle del passato.
Occorre cautela perchè il dubbio è che queste soluzioni creative siano una scappatoia al fallimento
di una certa politica che “fa minori spese” per i servizi educativi, ad esempio tagliando del 10% il
Fondo Nazionale Infanzia e Adolescenza rivolto a sole 15 grandi città del nostro paese e che siano
una risposta al problema solo in termini di costo.
Il dubbio è che questo tipo di servizio sia meno costoso solo se il personale ha un basso profilo
professionale, e se mancano le tutele riguardo ad un sistema di diritti e doveri dei lavoratori.
Il capitolo costo del servizio nido aprirebbe una riflessione molto ampia, figuriamoci se parliamo di
servizi integrativi siano asili domiciliari o altro.
Secondo me l'esperienza dei servizi domiciliari ha un senso solo se inserita in un sistema territoriale
più ampio e diversificato dei servizi socio-educativi 0/3 per garantire confronti, scambi, occasioni di
crescita, coordinamento e governo del sistema a 360, per verificare il procedere dell'esperienza e
superare la solitudine professionale in cui sono situate le figure dell'educatrice familiare e
domiciliare.
Mina Canarini
La mia parola è NIDO
Ho conosciuto il nido a metà degli anni 80 e presuntuosamente mi considero un' educatrice che ha
contribuito alla sua crescita, alla crescita della consapevolezza del nido come luogo dedicato ai
bambini, ai loro bisogni e ai loro desideri, come luogo dove si promuove la cultura dell'infanzia e
della sua educazione. Il nido è cresciuto anche come immagine sociale e culturale, ha conquistato
un posto importante nelle previsioni dei genitori e degli amministratori, soprattutto qui in Toscana, a
Pisa.
Sono cresciute anche le educatrici che si sono costruite un ruolo diffuso, una formazione che spazia
nell'area delle scienze dell'educazione e va a influenzare la formazione del sé persona.
Quindi mi piacerebbe essere qui a dire: il nido, i bambini, le famiglie i lavoratori del nido ce l'hanno
fatta.
Invece non è così...il nido è ancora un servizio a domanda individuale, è ancora raccontato come un
servizio costoso, dove la voce più alta di spesa è il personale. Il personale è ancora totalmente
femminile con tutto quello che ne consegue.
E come conigli dal cilindro escono bonus bebè, asili domiciliari, figure poco chiare come le
tagesmutter, le mamma di giorno o tagli sul fondo destinato all'infanzia, o anticipazioni alla scuola
dell'infanzia?
E noi siamo tornate a domandarci se il nido è solo una necessità, la risposta ad un bisogno sociale di
accudimento, o è una consapevole scelta educativa.
Ma ci sono domande nuove che producono effetti di fragilità sull'immagine del nido, sul suo ruolo,
sulla identità professionale delle educatrici: il nido è un territorio educativo o è un'impresa da
gestire? In un periodo di crisi occupazionale l'impresa nido è in crescita, in termini quantitativi, ma
questo crescita come dialoga col parametro costo del servizio?. Il nido è un servizio costoso?
Niente paura.
Le tendenze parlano di convenzioni "low cost", appalti al ribasso, rette più alte, orari più corti o
orari lunghi. Educatori precari, mal pagati, poco formati, costretti a turni più lunghi, con un numero
di bambini da gestire a volte oltre i limiti di legge.
Sapete quanto costa un posto nido a gestione diretta? Mediamente 1200euro al mese contro 580
euro al mese se il nido è a gestione indiretta. Cosa racconta questa differenza di spesa?
Immaginatelo voi, ma soprattutto immaginate che peso ha sull'immagine, il ruolo, la formazione e
sull'identità di chi lo abita a vario titolo.
Va bene i soldi non ci sono più, occorre un cambio di passo, ma tutto fa presagire un balzo indietro,
che sintetizzo con una domanda: basterà mica essere donne per poterlo fare? La nuova
preoccupazione non è legata alla privatizzazione formale, alla contrapposizione pubblico privato, il
sistema integrato dei servizi può funzionare, ma alla perdita del governo del sistema, che vuol dire
avere il volano della riflessione, discussione e confronto sui modelli educativi, sulla cultura
dell'infanzia, sui sensi e significati del crescere, del vivere e dell'abitare un luogo, un tempo, delle
relazioni. Vuol dire tutela dei lavoratori, anzi lavoratrici. Vuol dire ribadire che la crescita di un
bambino non è un fatto privato, di cui ci si può lavare le mani. Vuol dire pensare ad un ricambio
generazionale delle educatrici che aldilà dei titoli di studio, in un ambito così delicato richiede la
costruzione di un sistema che metta in comunicazione le storie professionali per non perdere quello
che faticosamente è stato guadagnato e che spesso nei libri non ci sta scritto o che nei corsi formali
non viene raccontato. E non si fa a colpi di personale precario.
La preoccupazione è legata ad un'emergenza educativa a cui il nido, quello buono ovviamente, può
far fronte. Il nido buono educa, sostiene e facilita la formazione/educazione di persone sociali,
soggetti con un patrimonio personale e sociale di pensieri, idee e azioni, che possono generare
mondi possibili. Chi educa oggi? Gli schermi, le immagini, il canale 620 di ski dedicato niente
meno che ai neonati? Un nido non è solo un'opportunità per un bambino o una coppia genitoriale,
ma lo è anche per la società. In questa società liquida il nido tiene il filo del discorso, prova a
resistere e contrastare la frammentazione, cerca di dare senso al fare, al dire, all'essere e all'esser-ci,
cerca di costruire memoria per sé e per gli altri. Il nido si nutre e nutre la quotidianità, non cerca
sensazionalismi, quando arrivano è un brutto segno!
Il nido costruisce antidoti: nel nido si incontrano culture, mondi, possibilità, si tessono relazioni tra
persone, grandi e piccine accumunati da fatti che rendono ugualissimi: le cacche, l'allattamento, lo
svezzamento, l'addormentamento, imparare a camminare, a non morsicare...i fondamentali
dell'educazione che si sono persi, se ne è persa la trasmissione. Il nido rappresenta, il sociale, il
pubblico che dialoga con il privato, una famiglia. Un dialogo generativo nella costruzione di un
senso di cittadinanza e di appartenenza ad una comunità fatta di persone, di strutture fisiche, di
territorio.
Il nido è un'opportunità, purchè sia pubblico il governo delle regole del gioco, e a volte non basta.
Il nido lascia tracce nell'intimo delle persone grandi e piccine... si diventa quello che si è anche per
come si è stati addormentati, cullati, nutriti.
Mina Canarini
Intervento per Prossima Fermata Pisa 30 Aprile 2011
Quanto sono importanti i bambini e le bambine in una società? Per la politica?
Chi come me lavora nel settore educativo se lo chiede spesso e se me lo chiedo io che lavoro a Pisa,
chissà se se lo chiederà ancora chi lavora in altri posti più difficili.
Ma la domanda è in generale, è culturale e sociale prima di tutto.
Infanzia etimologicamente significa età senza parola
adolescenza come etichetta sociale è stata creata alla fine del XIX sec.
Se parto da qui, trovo imprenscindibile che la politica, la società si occupi dei minori di età, è un
obbligo a cui non si può sottrarre. Ma come ce ne occupiamo, seguendo quali priorità, quale
visione? Diventa la nuova domanda. La pedagogia, le scienze dell'educazione, le neuroscienze ci
vengono in aiuto, ma non basta, non sono scienze esatte, possono essere interpretate. Serve
un'intenzionalità politica che per me può nascere da una riflessione banale come questa.
Per noi è importante la costruzione della nostra identità, ma la nostra identità è anche il frutto di
quello che noi rispecchiamo, degli altri che riflettono messaggi che riguardano noi stessi e quello
che dovremmo essere. I luoghi dove i bambini e le bambine si confrontano da subito con gli specchi
della società, con le risposte della società di fronte a domande fondamentali come: chi sono? chi
posso essere? e posso essere davvero quello che sono? si chiamano asili nido. Luoghi altri rispetto
alla famiglia, al privato. Luoghi sociali e di socialità.
Come sono queste piccole società che abbiamo creato per i nostri bambini e bambine?
Perchè è vero che è importante lavorare per raggiungere gli obiettivi di Lisbona, ma è anche vero
che quelli da soli vanno poco lontano, aggiungono poco ai bambini, alle famiglie e a chi ci lavora.
Costruiscono un futuro zoppo, che presenterà un conto più avanti, quando ci saremo dimenticati da
dove proviene.
Questo ragionamento posso farlo qui in una sede politica confortata dal documento inviato in
settimana da Anna Serafini in vista della conferenza educativa del 20 novembre. Un documento che
descrive i servizi all'infanzia come:
• il vero luogo d'incontro tra famiglie e istituzioni, dove un folto gruppo di adulti ha la
possibilità di giocare ruoli, di esercitare modi di cittadinanza attiva, di mettere in atto buone
pratiche di “governo della cosa pubblica”, siano i bambini, i modelli educativi, i ruoli
genitoriali, come le comunicazioni o la tenuta delle agenzie che a vario titolo girano intorno
a questi servizi, dando per scontata la funzione principale di formazione della persona.
•
determinanti quando si parla di diversabilità, quando si parla di bambini stranieri, di
multiculturalità, di integrazione, di pari opportunità.
•
colorati da una presenza femminile prevalente, come lavoratrici direttamente impiegate o
come lavoratrici che lo sono a fronte della presenza di questo servizio. Questa caratteristica
non è neutra rispetto a molte questioni spinose ad esempio al costo, alla difficoltà della
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, alla persistenza di fatto di un welfare familistico
Tutto questo posso dirlo qui in Toscana, una regione dove i Comuni hanno dimostrato di credere nei
servizi per l'infanzia, di credere che la loro qualità faccia parte della vita quotidiana dei cittadini,
tanto da averla assunta nel loro pacchetto di diritti da esigere, dove le amministrazioni hanno
dimostrato di credere che la qualità vada mantenuta ai migliori livelli possibili.
È importante rivendicare il merito dei comuni di non aver diminuito, nonostante i noti e pesanti
tagli ai bilanci, le risorse destinate alle scuole e all'educazione, a tutti i servizi che consentano sia
una diffusa e distesa pratica lavorativa delle donne, che l'acquisizione di una personalità armonica ai
bambini e alle bambine attraverso la conquista dell'autonomia, lo sviluppo delle competenze e la
maturazione dell'identità.
L'ultimo dossier di Cittadinanzattiva sui nidi comunali segnala che in Toscana mediamente si sono
mantenuti invariati i costi del servizio. Ci sono oscillazioni minime.
Tutto questo posso dirlo qui a Pisa, una città che ha un sistema articolato di servizi tra nidi a
gestione diretta e indiretta, atelier gioco, scuole dell'infanzia comunali, centri infanzia adolescenza
e famiglie, campi solari e in avvio una casa bambini e genitori.
Una città che ha cercato un punto di equilibrio sostenibile su tutto il sistema dei servizi,
consapevole che non si può fare tutto insieme, consapevole che ci sono ancora dei nodi importanti
da sciogliere, ma che è necessario darsi delle priorità: mantenere il numero dei posti, curare la
qualità rispetto agli indicatori regionali che la definiscono, rendere più equi i costi delle diverse
forme di gestione, mantenere il sistema tariffario e la flessibilità dei servizi attraverso una
diversificazione delle loro tipologie.
Ma non mi sono dimenticata la domanda da cui sono partita: come sono queste piccole società che
abbiamo creato per i nostri bambini e bambine?
• La crisi finanziaria ed economica si trascina dietro una contrazione del mercato del lavoro,
ma spesso in quest’analisi si sottovaluta come l’area infanzia sia anche fertile da un punto di
vista occupazionale. La crescente offerta da parte di cooperative sociali, l’inevitabile tourn
over del personale impiegato nei nidi comunali, il personale precario costituiscono un bel
numero di persone impiegato a vario titolo in questo settore che non risente della crisi,
almeno non in termini di posto di lavoro, mentre ne risente da un punto di vista giuridico, di
precarizzazione diffusa e crescente, di traduzione salariale del lavoro svolto…
• La possibile perdita della titolarità come ente gestore delle A.C. e la progressiva
differenziazione dei modelli di riferimento ( nidi, nidi aziendali, nido di infanzia, centro
gioco educativo, centro dei bambini e dei genitori servizio domiciliare, nidi domiciliari...)
pone l' importante sfida della governance, che sicuramente deve restare nelle mani
pubbliche, ma che deve ancora mettere a punto un sistema realmente integrato dei servizi al
fine di dotare un territorio non solo di una mappa dettagliata dell’offerta, ma anche di un
sistema unitario di parametri qualitativi e quantitativi (dai costi, ai criteri di accesso, agli
orari…) e di un sistema di monitoraggio, di verifica e valutazione che riesca a leggere la
complessità di questi servizi.
• La professione educatore con i temi che vanno di pari passo a quelli “sindacali” sono quelli
della formazione iniziale e in servizio, delle qualifiche professionali, della dimensione dei
gruppi, delle proporzioni tra bambini e adulti.
• Infine, ma non certo ultima delle questioni, il finanziamento pubblico, le risorse finanziarie.
Anche in tempo di crisi ci vorrebbe la volontà di scegliere di non tagliare le risorse, di mantenere un
patto con i cittadini sia grandi che piccini, un patto finalizzato alla costruzione di una comunità, di
un senso di solidarietà sociale e di sussidiarietà.
Se sono gli uomini che producono e costruiscono la realtà sociale, allora trasformare questa realtà è
compito da uomini, diceva Paulo Freire, io aggiungo che spero sia compito degli uomini e delle
donne del PD.
Mina Canarini
29 Ottobre 2011