A. Piano e progettazione del percorso

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A. Piano e progettazione del percorso
Università di Pavia
Unità di ricerca in Didattica della Fisica
Progetto PRIN (F21 - Percorsi di Formazione in Fisica per il 21° Secolo)
Un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito
Piano della ricerca
Nella presente ricerca, tutti i principali aspetti legati alla progettazione di un percorso
d'insegnamento e apprendimento sono stati studiati e sviluppati.
Abbiamo così voluto realizzare, nella sua molteplicità di apporti, un iter abbastanza
completo di costruzione di un percorso didattico relativo ad uno specifico contenuto:
- Analisi delle problematiche, delle proposte e dei risultati emersi nella ricerca
didattica internazionale sulla progettazione di sequenze d'insegnamento e
apprendimento.
- Riflessione metodologica ed epistemologica sugli strumenti esplicativi, i modelli e le
modalità cognitive da utilizzare.
- Analisi delle concezioni di senso comune, come sono emerse nella ricerca didattica.
- Approfondimento critico del contenuto scientifico, del suo sviluppo storico, delle
conoscenze attuali e delle trattazioni usuali nei libri di testo e nella pratica
d'insegnamento.
- Definizione degli obiettivi generali di riferimento.
- Ricostruzione didattica del contenuto in relazione alla tipologia di destinatari
dell'intervento formativo e agli obiettivi definiti.
- Definizione di una sequenza di progressione cognitiva e di attività didattiche, con
una scelta dei metodi e degli strumenti didattici.
- Progettazione e realizzazione di esperimenti e di materiale didattico per gli studenti.
- Preparazione di un dispositivo di valutazione, con opportuni strumenti di verifica in
itinere e finale.
Il rapporto sulla ricerca è diviso in tre parti, tre documenti separati e collegati fra loro:
A) PROGETTAZIONE DI UN PERCORSO DI INSEGNAMENTO E
APPRENDIMENTO SULL'ATTRITO.
B) DESCRIZIONE DELLA SEQUENZA DI CONTENUTI E DI ATTIVITÀ
PREVISTE NEL PERCORSO.
C) APPROFONDIMENTO DEL CONTENUTO: BREVE STORIA DELLE
RICERCHE E DELLE TEORIE SULL'ATTRITO.
Documento A
PROGETTAZIONE DI UN PERCORSO
D'INSEGNAMENTO E APPRENDIMENTO SULL'ATTRITO
Indice
1. CONTESTO DELLA RICERCA: LE SEQUENZE
D'INSEGNAMENTO APPRENDIMENTO NELLA RICERCA
DIDATTICA. .............................................................................................................................................. 2
Il ruolo degli insegnanti ................................................................................................................ 2
Approcci diversi per la progettazione di TLS................................................................................ 3
Il nostro approccio ........................................................................................................................ 6
BIBLIOGRAFIA DELLA PRIMA PARTE .................................................................................................. 6
2. QUADRO EPISTEMOLOGICO, IPOTESI METODOLOGICHE E
PROBLEMI COGNITIVI ....................................................................................................................... 9
2.1 MODELLI FORMALI E MODELLI STRUTTURALI ............................................................................. 9
2.2 SIGNIFICATO DIDATTICO E STATUTO EPISTEMOLOGICO DEI MODELLI ....................................... 10
2.3 CONCEZIONI E RAGIONAMENTI COMUNI SULL'ATTRITO............................................................. 12
3. RICOSTRUZIONE DIDATTICA DEL CONTENUTO SCIENTIFICO..................................... 14
3.1 ANALISI DEL CONTENUTO, NEL SUO SVILUPPO STORICO E CONCETTUALE ................................ 14
3.2 DAL SAPERE SCIENTIFICO AL SAPERE DA INSEGNARE: SCELTE DIDATTICHE SULL'ATTRITO ...... 15
4. UNA PROPOSTA PER L'INSEGNAMENTO DELL'ATTRITO ................................................. 18
4.1 IPOTESI E OBIETTIVI GENERALI .................................................................................................. 18
4.2 PROGETTO DI UN PERCORSO D'INSEGNAMENTO APPRENDIMENTO SULL'ATTRITO ..................... 19
4.3 INDICAZIONI DIDATTICHE PER LE SINGOLE FASI DELLA SEQUENZA ........................................... 20
4.3.1 Esperimenti ed osservazioni preliminari ............................................................................ 20
4.3.2 Attrito verticale: definizione di grandezze descrittive e prime relazioni qualitative.......... 21
4.3.3 Attrito statico e dinamico: leggi fenomenologiche ............................................................. 22
4.3.4 Attrito statico e rotolamento............................................................................................... 24
4.3.5 Modelli strutturali: topografia delle superfici e meccanismi che producono l'attrito ....... 24
4.3.6 Fenomeni d'attrito dal punto di vista energetico................................................................ 25
5. APPROFONDIMENTI CONCETTUALI: MODELLI MESOSCOPICI
E BILANCI ENERGETICI................................................................................................................... 26
5.1 NECESSITÀ DI MODELLI DELL'ATTRITO A SCALA MESOSCOPICA ................................................ 26
5.2 L'ATTRITO STATICO È VERAMENTE STATICO? ............................................................................ 27
5.3 LAVORO ED ENERGIA IN PRESENZA D'ATTRITO .......................................................................... 28
BIBLIOGRAFIA DELLE PARTI 2-3-4-5 ................................................................................................ 31
Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica.
Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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1. Contesto della ricerca: Le sequenze d'insegnamento
apprendimento nella ricerca didattica.
Negli ultimi anni, nella comunità della ricerca didattica si è particolarmente approfondito ed
arricchito il dibattito sulla progettazione di sequenze d'insegnamento e apprendimento
(Teaching learning sequences, TLS), basate sui risultati ottenuti dalla ricerca degli ultimi
decenni sulle concezioni di senso comune e sui processi di apprendimento relativi a specifici
contenuti scientifici. Ciò nell'ambito di un filone di ricerca volto allo studio di approcci
migliorativi dell'apprendimento a livelli micro o meso, cioè relativi ad un solo argomento o
concetto, trattati in una sequenza di poche ore o anche di un solo incontro, in contrasto con gli
studi a livello macro, di un intero curriculum di uno o più anni di studio.
Alcuni ricercatori (Méheut & Psillos 2004, Méheut 2005) distinguono fra TLS con scopi di
ricerca, cioè per ottenere risultati conoscitivi su particolari aspetti dei processi di
apprendimento relativi ad un argomento scientifico, e TLS con scopi di innovazione, cioè
progettate per migliorare l'efficacia dell'apprendimento o introdurre nuovi contenuti ed
obiettivi in un determinato segmento dell'insegnamento scolastico. Considerano inoltre che
queste due diverse finalità non sono necessariamente incompatibili, anzi le TLS possono
essere progettate in modo da costituire un ponte fra ricerca e sviluppo, ottenendo risultati sia
sul versante della conoscenza dei processi di apprendimento e insegnamento sia su quello
dell'innovazione e del miglioramento del funzionamento scolastico.
Il ruolo degli insegnanti
Si è inoltre studiato il problema della disseminazione su larga scala delle sequenze
d'insegnamento sperimentate nella ricerca didattica (Leach et al 2005), e quindi della
realizzazione di TLS utilizzabili effettivamente in ambienti scolastici ordinari, che tengano
conto dei vincoli posti dal funzionamento reale dei contesti scolastici istituzionali di
riferimento. Per questo scopo è stata sottolineata l'importanza dell'insegnante, e molte ricerche
si sono concentrate sullo studio del ruolo dell'insegnante come trasformatore delle intenzioni
didattiche dei programmi o dei ricercatori (STTIS 1999-2001, Pinto 2003, Hirn & Viennot
2000) e sull'elaborazione di progetti ed esperienze di formazione degli insegnanti (Psillos et al
2005, Borghi et al 2004, Sperandeo-Mineo 2004).
Andersson et al (2005) ritengono che i ricercatori e gli insegnanti debbano lavorare insieme
per progettare le sequenze didattiche e valutare la loro efficacia pratica.
Tytler (2005) valuta che le esperienze di formazione concentrate in un breve ed unico periodo
(one-shot professional development events) sono inefficaci per promuovere cambiamenti nella
pratica d'insegnamento; sono invece necessari interventi di lunga durata, inseriti nella realtà
dell'ambiente scolastico, che permettano di radicare le nuove idee nella personale esperienza
di ciascun insegnante. Tytler descrive un vasto progetto di innovazione, School Innovation in
Science (SIS), in cui un gruppo di ricercatori ha lavorato per tre anni con più di 200 scuole,
primarie e secondarie, in Australia, riferisce dei risultati positivi ottenuti sotto diversi aspetti e
indica i fattori ritenuti determinanti per il successo dell'innovazione.
Morge (2001) e Saint-Georges (2001) sperimentano formazioni centrate sull'analisi e la
gestione delle interazioni fra insegnante ed allievi. Il primo mostra l'importanza cruciale di
tale aspetto nella effettiva e coerente applicazione di TLS che propongono approcci
costruttivisti, comportanti fasi di costruzione da parte degli allievi di ipotesi e soluzioni
personali o di gruppo, da discutere nella comunità scientifica della classe; mostra, infatti,
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come tali fasi sono spesso falsate dalla tendenza spontanea dell'insegnante ad essere troppo
prescrittivo e a concludere precocemente il dibattito su una proposta ritenuta soddisfacente
per sua decisione non motivata e quindi autoritaria (Morge 2005); sperimenta tuttavia una
formazione molto lunga e personalizzata rivolta a pochi insegnanti, di difficile
generalizzazione. Saint-Georges (2001) insiste sulla necessità di rendere consapevoli gli
insegnanti del tipo di interazione che effettivamente realizzano nella loro pratica scolastica,
propone una formazione centrata sull'analisi di dialoghi registrati in classe e insiste sull'utilità
teorica ed operativa della distinzione fra tutela e mediazione nella definizione del ruolo
assunto dall'insegnante nella sua interazione con gli studenti.
Approcci diversi per la progettazione di TLS
La progettazione di una TLS coinvolge molteplici aspetti e punti di vista differenti, e le
ricerche in genere approfondiscono e sottolineano uno o più di tali aspetti, proponendo
approcci e soluzioni originali.
Lijnse e Klaassen (Lijnse 1995, Klaassen 1995, Lijnse & Klaassen 2004) elaborano un
approccio che definiscono di problem posing, in cui gli studenti dovrebbero arricchire le loro
conoscenze costruendole sulla base di ciò che già sanno, incluse le loro concezioni di senso
comune, ed essendo consapevoli di cosa stanno facendo e per quali obiettivi. In questo senso,
gli autori dichiarano di non aderire al movimento delle concezioni alternative (alternative
framework), considerando che le idee degli studenti sul loro mondo quotidiano sono
abbastanza corrette e quindi possono costituire, se correttamente interpretate, una base
comune di un processo d'insegnamento, che utilizza le risorse concettuali, le idee e le
esperienze personali già esistenti, per aggiungere qualcosa, pur modificando alcuni significati
(to add to those, with accompanying changes of meaning). L'approccio risulta dalla
combinazione fra un processo di tipo bottom-up, guidato largamente dalle motivazioni,
domande ed idee degli studenti, ed un processo dall'alto (from above) strutturato in una
sequenza di correlati livelli di sviluppo concettuale. Il processo di insegnamento
apprendimento avviene in tre fasi, in cui si passa successivamente dal livello dell'esperienza
quotidiana al ground level (in cui si crea una struttura condivisa del campo d'indagine, di ciò
che già si sa e ciò che ancora non si sa e si dovrebbe sapere), poi al descriptive level (in cui si
costituisce una rete di concetti ed esperimenti per rispondere alle domande emerse sui fatti
sperimentali) e al theoretical level (che dovrebbe fornire una spiegazione della struttura
concettuale descrittiva del livello precedente, basata sulle teorie scientifiche). Per ogni TLS
gli insegnanti coinvolti ricevono una guida redatta in forma di scenario, in cui si descrive e
motiva una sequenza di attività correlate, insieme con i risultati desiderati e ipotesi su
possibili reazioni e difficoltà. Si lascia così all'insegnante la decisione su adattamenti e
modificazioni, legati alle esigenze di ciascuna situazione.
Gli autori propongono, come risultato delle ricerche empiriche, alcune "strutture didattiche"
(didactical structure), presentate in forma di schemi descrittivi degli aspetti essenziali e
generali dei processi di insegnamento apprendimento realizzati. In tali strutture giocano un
ruolo centrale le fasi di motivazione, in particolare una fase iniziale di motivazione globale
(global motive) e successive fasi di motivazione verso questioni più in dettaglio (local motive)
e verso spiegazioni teoriche o generali (theoretical orientation).
Artigue (1988), in un'analogia con i processi tecnologici, parla di "ingegneria didattica" per
indicare un quadro di ricerche sull'elaborazione di sequenze d'insegnamento, in cui si parte da
un'analisi a priori a tre dimensioni: epistemologica (cioè del contenuto scientifico, dei
problemi cui tale contenuto vuol rispondere e della sua genesi storica), psico-cognitiva
(caratteristiche degli studenti, concezioni spontanee, tendenze di ragionamento e strutture
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logiche disponibili), didattica (funzionamento dell’istituzione scolastica di riferimento e
dell'organizzazione dell'insegnamento). Su questa base, si cerca di definire accuratamente i
problemi da trattare e di prevedere il tipo di processi cognitivi e conoscenze specifiche che
possono essere attivati dagli studenti per affrontare tali problemi, allo scopo di organizzare
situazioni didattiche efficaci e controllate.
Leach e Scott (2002) si basano su una prospettiva socio-costruttivista e sull'idea di learning
demand come differenza fra la conoscenza scientifica da insegnare e le concezioni e i
ragionamenti utilizzati dagli studenti, nel loro linguaggio quotidiano, sulla stessa area di
argomenti.
Andersson et al (2005) distinguono differenti tipi di programmi di ricerca, secondo il loro
obiettivo: testare o sviluppare una teoria (theory-driven), applicare o sviluppare un metodo
(method-driven), risolvere un problema pratico (problem-driven). Sottolineano l'importanza
delle ricerche dell'ultimo tipo, di cui descrivono un esempio realizzato in Svezia, in cui i
risultati sulle concezioni spontanee, l'analisi del contenuto da insegnare e le motivazioni per
insegnarlo giocano un ruolo centrale nella progettazione delle sequenze didattiche, realizzata
in una collaborazione fra ricercatori e insegnanti (l'interrogarsi non solo sul come ma anche
sul perché si debba insegnare un certo argomento è tipico della tradizione pedagogica svedese
e in generale dei paesi del Nord Europa). Gli autori ritengono necessario andare oltre le
formulazioni generali di pedagogia o teoria dell'apprendimento per elaborare delle teorie
specifiche legate al contenuto particolare da insegnare (domain-specific theories),
promovendo e sviluppando didattiche specifiche con solide basi teoriche e sperimentali,
riprendendo in ciò anche le riflessioni di Lijnse (2000). In una ricerca precedente (Andersson
& Bach 1996), gli stessi autori criticano gli approcci basati sull'esplicitazione delle preconcezioni degli studenti e sul loro superamento, eventualmente con l'attivazione di conflitti
concettuali. Ritengono che tali pre-concezioni non siano idee robuste e tenaci ma piuttosto
supposizioni (guesses) che gli studenti sarebbero pronti ad abbandonare, e comunque
preferiscono utilizzare il tempo a disposizione per creare occasioni per scoprire ed apprezzare
il potere esplicativo dei modelli scientifici. L'insegnante, invece, dovrebbe essere ben
informato su tali pre-concezioni e sulle difficoltà possibili degli studenti. Gli autori ritengono
fondamentale valutare l'efficacia delle TLS anche sugli apprendimenti a lungo termine (nella
loro sperimentazione, dopo sei mesi) e propongono di tenere conto degli effetti sulla metacomprensione delle procedure scientifiche. Parte del percorso è la lettura di un testo, scritto
appositamente per gli studenti, in cui due ragazzi discutono di diversi esperimenti legati alla
loro vita quotidiana e talvolta la loro insegnante interviene, favorendo nuove idee. Con questo
testo, scritto in forma colloquiale e romanzesca, contenente anche elementi extra-scientifici,
come la relazione tra i due personaggi, gli autori vogliono evitare l'effetto negativo, di rifiuto,
che i testi scolastici generano spesso negli adolescenti, a causa del loro stile troppo austero ed
impersonale.
Viennot (2001) insiste sul ruolo dei "dettagli critici" nel determinare l'efficacia di una
sequenza d'insegnamento, cioè di piccoli e apparentemente marginali aspetti della
concatenazione concettuale proposta, che possono spostare l'attenzione e modificare gli
schemi di ragionamento degli studenti (per illustrare quest'idea usa la metafora dei granelli di
sabbia che possono modificare il fluire di un ruscello, ruisseaux et grains de sable, in Viennot
2002). Viennot et al (2005) sottolineano che spesso gli insegnanti non percepiscono il legame
fra certi dettagli critici di una sequenza e la sua logica e finalità fondamentali, tendendo così
ad alterarne lo spirito e l'efficacia. Forniscono inoltre indicazioni per una formazione degli
insegnanti che tenga conto di questo problema e si proponga di superarlo.
Borghi at al (2005) elaborano e sperimentano uno schema di sequenza didattica centrato sulle
relazioni cognitive e l'equilibrio reciproco fra attività sperimentali in laboratorio, simulazioni
al computer, risoluzione di problemi in classe, lezioni teoriche.
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Kattmann e Duit (Kattmann et al 1997, Komorek & Duit 2004) sviluppano un modello di
"ricostruzione didattica" (Didaktischen Rekonstruktion, educational reconstruction), che lega
strettamente l'analisi del contenuto scientifico e del suo significato didattico, la ricerca sui
processi d'apprendimento e lo sviluppo di moduli d'insegnamento. Il contenuto è analizzato
dal punto di vista scientifico, della genesi e del significato dei concetti, e secondo gli scopi
formativi, con una riflessione sulle possibili modalità di presentazione didattica, sul contesto
culturale, sulle applicazioni pratiche e le implicazioni sociali, etiche ed ambientali. Queste
analisi guidano il processo di "elementarizzazione" (elementarization), che conduce a
ricostruire il nucleo delle idee essenziali del contenuto da insegnare. L'idea centrale di questo
approccio è che un contenuto scientifico non può essere semplicemente trasferito, anche solo
in forma semplificata, nell'insegnamento, deve invece essere costruita una nuova struttura del
contenuto specificamente per l'insegnamento (a content structure for science instruction),
tenendo conto anche del significato formativo dell'argomento e delle difficoltà degli studenti.
Un'idea simile ma limitata agli aspetti cognitivi e istituzionali, era già stata elaborata da
Chevallard (1991), secondo cui per passare dal contenuto scientifico al contenuto da
insegnare e poi a quello effettivamente insegnato, si deve operare necessariamente una doppia
"trasposizione didattica", prima "esterna" e poi "interna", che conduce alla rielaborazione di
un vero e proprio nuovo contenuto originale, con un suo contesto, un suo campo di validità,
suoi obiettivi, problemi da risolvere e insiemi di procedure ammesse. Nascono così dei
"contenuti scolastici", che possono deperire, essere abbandonati o ripresi e modificati, per
l'influenza di molteplici fattori esterni ed interni all'istituzione scolastica e alla classe. Questo
processo di trasposizione provoca una decontestualizzazione del contenuto scientifico dal
quadro dei problemi e dei riferimenti culturali in cui esso si è costituito e in cui prende
significato, il che può contribuire a creare quella sensazione di artificiosità e di perdita di
senso così comune nell'insegnamento scientifico usuale.
Tiberghien (1996) propone un approccio basato sulle due idee principali di trasposizione
didattica e di devoluzione agli studenti della responsabilità nella gestione della conoscenza da
apprendere. La devoluzione non può aver luogo sempre, ma solo in alcune fasi. Durante
queste fasi, il ruolo dell'insegnante non è tanto quello di presentare nuove conoscenze, quanto
solo di organizzare le situazioni (to manage situations) in modo favorevole all'assunzione di
responsabilità da parte degli studenti della comprensione dei contenuti coinvolti. Ciò implica
l'ipotesi che la situazione di devoluzione possa offrire condizioni molto favorevoli per
l'apprendimento. L'autrice ritiene inoltre fondamentale operare una chiara distinzione fra
aspetti teorici e descrizione diretta del mondo materiale, ovvero fra "mondo dei modelli e
delle teorie" e "mondo degli oggetti e degli eventi" (Tiberghien 1994), e quindi fare acquisire
allo studente la capacità di collegare correttamente i due mondi (propone allo scopo tre
possibili modalità di collegamento). La gestione del mondo delle teorie e dei modelli
appartiene alla responsabilità dell'insegnante, mentre la descrizione del campo sperimentale e
le relazioni fra i due mondi devono essere devolute alla responsabilità degli studenti. L'autrice
propone anche, insieme al suo gruppo (Buty et al 2004), una griglia d'analisi basata su tale
distinzione, come strumento di ausilio per l'analisi e la progettazione di sequenze didattiche.
Quest'ultimo aspetto è ripreso in parte da Psillos et al (2004), che sviluppano un'analisi
epistemologica dell'evoluzione di una serie di TLS sui fluidi, basata sul tipo di rapporto che si
istituisce fra le attività degli studenti, le idee e i modelli scientifici e le manipolazioni
sperimentali. Gli autori propongono un modello di analisi della pratica scientifica e delle
attività didattiche centrato sul triangolo epistemico Cosmo – evidenze - idee (CEI), ovvero:
entità materiali dell'ambiente di laboratorio; concetti, teorie e modelli; rappresentazioni di
entità o fatti particolari e selezionati del Cosmo.
Méheut (2004, p. 606) propone un approccio costruttivista integrato (integrated
constructivist approach), "che è basato su un'analisi precisa del sapere di riferimento e tiene
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conto delle caratteristiche psico-cognitive degli studenti (concezioni, modi di ragionamento),
per elaborare problemi e situazioni didattiche in cui gli studenti possano trovare le opportunità
per sviluppare nuove conoscenze". La considerazione delle idee spontanee degli studenti e
l'analisi del contenuto conducono l'autrice a prendere in considerazione lo sviluppo storico
dell'argomento scientifico e a proporre come obiettivo didattico lo sviluppo di modelli
successivi progressivamente più precisi e produttivi, come strumenti cognitivi volti a
descrivere, spiegare e prevedere fenomeni.
Il nostro approccio
Nel nostro approccio riprendiamo le idee di Artigue (1988), laddove propone un'analisi a
priori a tre dimensioni (epistemologica, psico-cognitiva e didattica), ma in un quadro generale
e con finalità differenti.
La nostra scelta di condurre un'approfondita analisi critica preliminare del contenuto
scientifico, delle presentazioni usuali, delle difficoltà riscontrate fra gli studenti, per
rielaborare una presentazione strutturata dell'argomento per scopi didattici, ci avvicina alle
idee di ricostruzione didattica di Kattmann e Duit e di trasposizione didattica di Chevallard.
Tuttavia, noi ci siamo soprattutto concentrati sugli aspetti cognitivi, come il rapporto fra gli
studenti, il sapere e il segmento di realtà da studiare, il tipo di strumenti cognitivi proposti per
l'interpretazione e la comprensione della fenomenologia in studio (modelli, concetti, leggi,
rappresentazioni iconiche e grafiche), la concatenazione concettuale ed esplicativa degli
argomenti e delle attività.
Ci troviamo anche vicini all'idea di approccio costruttivista integrato (integrated
constructivist approach) di Méheut (2004, p.606), che è basato su un'analisi precisa del sapere
di riferimento e delle concezioni e dei modi di ragionamento degli studenti, prende in
considerazione lo sviluppo storico dell'argomento scientifico, e propone modelli successivi
progressivamente più precisi e produttivi, come strumenti cognitivi volti a descrivere,
spiegare e prevedere fenomeni.
Riprendiamo inoltre l'idea di struttura didattica di Lijnse e Klaassen, organizzando la
sequenza secondo uno schema in parte simile a quelli proposti da questi autori, ma con le
specificità che esporremo in seguito.
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Viennot L. (avec la collaboration de Besson U., Chauvet F., Colin P., Hirn-Chaine C.,
Kaminski W., Rainson S.) (2002) Enseigner la Physique : ruisseaux et grains de sable,
Bruxelles, De Boeck Université.
Viennot L., Chauvet F., Colin P. and Rebmann G. (2005) Designing strategies and tools
for teacher training: The role of critical details, examples in optics. Science Education, 89(1),
13-27.
Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica.
Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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2. Quadro epistemologico, ipotesi metodologiche e problemi
cognitivi
2.1 Modelli formali e modelli strutturali
La nostra ipotesi, basata su osservazioni e ricerche didattiche (Brown 1992 e 1993, Clement
1993, Psillos & Koumaras 1993; Sherwood & Chabay 1993; Gutwill et al 1996, Besson &
Viennot 2004), è che i modelli formali, in termini di relazioni funzionali espresse con
formule, sono insufficienti per l'apprendimento in età scolare e appaiono insoddisfacenti per il
bisogno di capire dell'allievo, legato all'esigenza di farsi un'idea o un'immagine di quel che
accade.
Questo problema è stato studiato particolarmente per quanto riguarda l'insegnamento della
meccanica e dell'elettromagnetismo.
Brown (1992) mostra l'efficacia di un insegnamento basato su “modelli meccanici
visualizzabili, qualitativi, che possano aiutare gli allievi a dare un senso ai principi più astratti
spesso invocati per spiegare i fenomeni” (p.30). Egli utilizza alcuni semplici modelli
analogici, come ponte fra le intuizioni spontanee e radicate degli allievi e la descrizione che
costituisce l'obiettivo dell'insegnamento.
Secondo Chabay e Sherwood (1999), “Reasoning from a mechanistic mental model
involves ‘running’ the model in one's head, and observing the consequences. An auxiliary
benefit is a concrete sense of the process by which the system moves from one state to
another. Psychologists have found that reasoning from runnable mental models is often more
natural than is constraint-based reasoning”.
Psillos (1995, pp. 67-68) sottolinea che nello studio dei circuiti elettrici in corrente continua
“il ragionamento richiesto agli allievi suppone un punto di vista sistemico ed a-causale... Le
equazioni del circuito non rappresentano un processo fisico attraverso il quale il circuito ha
raggiunto il suo stato stazionario, e non possono essere il supporto di alcun meccanismo
causale… [mentre] il ragionamento degli allievi è causale, nel senso che essi cercano le cause
che possono avere condotto il circuito nel suo nuovo stato”.
Queste tendenze di ragionamento degli allievi dovrebbero essere considerate non soltanto
come ostacoli o difficoltà per l'apprendimento della fisica, ma anche e soprattutto, come
risorse a disposizione dell'alunno (Hammer 2000, Liinse & Klaassen 2004), che
l'insegnamento deve cercare di attivare, coordinare e ristrutturare secondo le situazioni
specifiche, per promuovere un ragionamento fisico più coerente e più ricco.
Inoltre, un approccio basato solo su modelli formali di questo tipo è spesso anche
inadeguato dal punto di vista scientifico. Ciò perché le necessarie, forti semplificazioni
richieste a questi livelli scolastici possono alterare le caratteristiche della fenomenologia in
studio, fino ad entrare in contraddizione con altri aspetti del fenomeno o con leggi e principi
generali della fisica, senza peraltro favorire un'apertura verso ipotesi supplementari accessibili
all'intuizione dello studente. In altre parole, si rischia di rimanere in una descrizione
incompleta, come tutte le descrizioni, ma anche insoddisfacente dal punto di vista psicocognitivo e non produttiva dal punto di vista, epistemologico, della costruzione del sapere.
Per rispondere a tali inadeguatezze e bisogni, riteniamo importante proporre opportuni
modelli strutturali, basati su analogie produttive, che utilizzino anche le intuizioni dell'alunno
e che consentano, pur in ambiti limitati, ragionamenti, previsioni, interpretazioni, a carattere
qualitativo o semi-quantitativo. Il carattere incompleto, provvisorio, del modello deve essere
subito evidenziato, insieme con una discussione critica sui limiti e le potenzialità e sul suo
grado di aderenza alla realtà fisica.
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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In questo contesto, qualche esperimento più raffinato può essere molto utile come
rivelatore di modificazioni non visibili, per mostrare l'evidenza di qualcosa che avviene ad un
livello sottostante, invisibile ad occhio nudo. Tali fenomeni invisibili sono importanti perché
possono essere il supporto per una spiegazione convincente e fertile, basata sull'idea di un
livello più profondo, le cui proprietà e i cui accadimenti costruiscono o realizzano i fenomeni
macroscopici (Halbawchs, 1971, definisce “batigena”, bathigène in francese, questa tipologia
di spiegazioni fisiche). Essi inoltre aiutano a capire la rilevanza in fisica di piccole variazioni,
anche trascurabili nei calcoli ma essenziali per capire il fenomeno.
Esempi: deformazione di un tavolo su cui si poggia un mattone, lieve spostamento locale di
oggetti sollecitati in situazione di attrito statico, osservazione al microscopio di superfici di
corpi apparentemente lisci.
Arons (1992, p.83) ritiene che “Gli studenti necessitano di un aiuto e una guida espliciti
nell'imparare a visualizzare effetti che eludono la percezione diretta da parte dei sensi. La
deformazione di oggetti apparentemente rigidi… è di solito la prima opportunità, in questo
senso, che si incontra in un corso di fisica, e la sua importanza non dovrebbe essere
sottovalutata. In seguito, questa capacità di visualizzazione è essenziale per capire che cosa
accade” in molte situazioni fisiche.
E' chiaro che questi modelli possono fornire solo una spiegazione incompleta o limitata,
parziale, che rimanda ad altre spiegazioni più approfondite e precise, ma non per questo sono
inutili. Anzi, proprio tale rinvio ad ulteriori spiegazioni è positivo in un'ottica di sviluppo
critico e razionale della conoscenza, perché significa che il modello ha alzato il livello
dell'analisi, delle domande e dei problemi, ha stimolato la formazione di nuovi schemi
interpretativi, nuovi modi di vedere, aprendo un nuovo orizzonte d'indagine e di ricerca, con
nuovi interrogativi e modalità esplicative. D'altronde, secondo Popper (1977-2000, p.25) “La
migliore maniera di misurare il progresso conseguito è quella di confrontare i nostri antichi
problemi con quelli nuovi. Se il progresso conseguito è grande, allora i nuovi problemi
assumeranno una grandezza prima non immaginabile. Vi saranno problemi più profondi, e ve
ne saranno di più.”
2.2 Significato didattico e statuto epistemologico dei modelli
I modelli di questo tipo, basati su analogie e sull'intuizione, sono spesso criticati, perché
possono condurre a concezioni erronee, se spinti troppo a fondo o utilizzati in contesti
differenti. Essi rischiano inoltre di generare qualche confusione fra modello e realtà,
attribuendo al modello un eccessivo valore di realtà e di verità. Tuttavia, visti i vantaggi
dimostrati per l'apprendimento, piuttosto che eliminarli dall'insegnamento, ci sembra più
opportuno sfruttarne gli aspetti positivi, prendendo le dovute precauzioni contro usi impropri
e generalizzazioni eccessive. Per esempio, far scontrare lo studente con il fallimento di un
modello parziale in un nuovo contesto, può ben aiutarlo ad evitare i pericoli di una concezione
troppo realista del modello e a sviluppare un atteggiamento basato sulla critica e la revisione,
in vista della costruzione di un modello più perfezionato.
Questo processo di critica, sviluppo o perfezionamento dei modelli, conduce ad un altro
aspetto fondamentale.
In generale, nei modelli basati su analogie, un oggetto, fenomeno, situazione fisica,
costituenti il bersaglio (target, in inglese), sono rappresentati mediante altri oggetti o eventi,
costituenti la sorgente (source, in inglese). Alcune proprietà della sorgente sono proiettate sul
bersaglio, che è visto come molto simile alla sorgente, almeno per certi aspetti e per certi
problemi. Tali modelli saranno tanto più soddisfacenti quanto più possono riprodurre bene il
comportamento del sistema bersaglio.
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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Sorge però una differenza epistemologica, direi anzi ontologica.
Alcuni modelli sono puramente analogici o metaforici, nel senso che istituiscono una
similitudine di comportamento fra oggetti e fenomeni differenti, simulando con il
meccanismo di funzionamento noto della sorgente, quello sconosciuto del bersaglio. Il
processo di perfezionamento del modello tende a rendere il più efficace possibile tale
simulazione, al limite, riproducendo idealmente tutti i comportamenti d'interesse del bersaglio
(il che comunque non accade mai), pur essendo comunque strutturalmente differenti fra loro i
due sistemi in analogia. In questo caso, si tratta di modelli puramente euristici.
Per altri modelli, invece, il processo di affinamento conduce a porre il problema se il
meccanismo del modello non sia effettivamente uguale o simile a quello realmente operante
nel sistema bersaglio e se non esistano realmente in esso degli elementi costitutivi materiali
uguali o simili a quelli del modello. In questo caso, al modello ideale non è richiesto solo di
render conto del comportamento del sistema bersaglio, simulandolo con quello della sorgente,
ma anche di descrivere con buona approssimazione il meccanismo di funzionamento e la
costituzione materiale realmente esistenti e operanti nel sistema bersaglio. Si pretende
insomma di rispondere a domande del tipo “Cosa c'è realmente là, nel pezzo di mondo che
stiamo studiando? Quali meccanismi e processi avvengono effettivamente là dentro?” Il
modello assume allora anche una funzione esplicativa.
Tali modelli esplicativi sono cognitivamente fertili, produttivi, poiché sollecitano una
ricerca sulle entità e i processi supposti esistere nel sistema materiale in studio, stimolando
anche la realizzazione di nuovi esperimenti e l'uso di nuovi strumenti, spesso allo scopo di
osservare l'invisibile.
Si crea così l'esigenza e l'esperienza diretta di quella conoscenza stratificata, tipica della
scienza. Ad un primo livello osservativo si rilevano alcune regolarità, le quali richiedono una
spiegazione. Tale spiegazione è fondata su un meccanismo causale, basato su entità e processi
in genere non osservabili direttamente o nascosti. Ciò stimola ricerche su tali entità e processi,
che evidenziano nuove regolarità, proprie a questo strato conoscitivo, le quali sollecitano una
spiegazione e la ricerca di nuovi meccanismi causali. Il processo di stratificazione continua
fino al livello considerato al momento come il più fondamentale.
L'esempio emblematico è quello del modello atomico, gli atomi e le molecole avendo
funzionato prima come ipotesi euristica, come entità ipotetiche dalle dimensioni e
caratteristiche inaccessibili, per essere poi considerati come effettivamente esistenti e
costituenti la materia, diventando essi stessi oggetto di studio sperimentale (una discussione di
quest'aspetto, con alcuni esempi, si può trovare in Harré 1985, cap.6).
Un modello strutturale esplicativo proposto nell'insegnamento per un particolare e limitato
contenuto, pur appoggiandosi su analogie e metafore, vuole anche porsi il problema di dare
una rappresentazione, che abbia una coerenza con quel che si sa a livello di ricerca scientifica
sulla struttura reale dei sistemi in studio.
A questo proposito, non si deve dimenticare che i modelli proposti nell'insegnamento hanno
un loro statuto specifico. Gilbert e Boulter (1998, p.56) distinguono quattro tipi di modelli
nella didattica: modelli mentali (personali, private rappresentazioni del sistema bersaglio),
modelli espliciti (expressed models, che sono espressi da una persona mediante azioni, parole
o scritti), modelli consensuali (consensus models, modelli espliciti controllati e accettati come
validi o rilevanti da un gruppo sociale, nel nostro caso dalla comunità scientifica), modelli
didattici (teaching models, modelli appositamente costruiti per essere utilizzati come un
ausilio per l'apprendimento di un modello consensuale).
Nel costruire, valutare ed utilizzare modelli per l'insegnamento, ci si deve porre
consapevolmente nell'ultima categoria, come un ponte o una mediazione fra modelli personali
e consensuali, senza pretendere di situarsi tout court nel modello scientificamente accettato, a
livello di ricerca scientifica. Si tratta di essere consapevoli che nell'insegnamento secondario,
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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si deve sempre operare una trasposizione didattica del contenuto scientifico (Chevallard
1991), che prevede ricostruzioni, adattamenti, alterazioni di senso e di scopi.
2.3 Concezioni e ragionamenti comuni sull'attrito
Le ricerche sulle concezioni degli studenti a proposito dell'attrito fra solidi (Caldas 1994 e
1999, Caldas e Saltiel 1995, Besson 1996) hanno evidenziato alcune tendenze predominanti di
ragionamento, di cui le principali possono essere riassunte, per quanto riguarda l'attrito di
strisciamento, come segue:
- Non si considera quasi mai che l'attrito possa avere un ruolo motore: esso è considerato
quasi esclusivamente come resistente.
- L'attrito è rappresentato da una sola forza "situata" alla superficie di contatto tra i due
solidi.
- Questa forza unica è considerata opposta al movimento "effettivo" e non al movimento
relativo fra i due solidi.
- Nel caso di movimento orizzontale di due oggetti posti uno sopra l'altro, con una forza
esterna applicata ad uno dei due, la forza d'attrito è considerata agire sempre sul solido
posto sopra (effetto sopra-sotto), più raramente anche sull'oggetto posto sotto, nel caso
si tratti dell'oggetto ‘passivo’ (cioè su cui non agisce la forza esterna) messo in moto
dall'altro oggetto.
- Nel caso di movimento verticale (un piccolo oggetto appoggiato sulla parete verticale di
una scatola; un cilindro e un anello, con il cilindro inserito nell'anello, uno dei quali è
tenuto fisso e l'altro è spinto verso l'alto o verso il basso), la grande maggioranza degli
alunni considera l'esistenza di una sola forza d'attrito, agente sull'oggetto in
movimento o sollecitato a muoversi.
- Un solido può essere trascinato da un altro solido per "aderenza" o “adesione”, senza
che sia considerata necessaria la presenza di una forza che agisca esplicitamente su di
esso (effetto di trascinamento).
Quest'ultima idea è ritrovata anche da Di Sessa (1998, p. 1181–1182) in una situazione
simile: si osserva che un foglio di carta, posto su un tavolo, sotto un libro, si muove quando il
libro è spostato. L'allievo intervistato considerava che non fosse necessaria una forza per
mettere in movimento il foglio di carta, spiegando che il libro stava semplicemente
trascinando il foglio con esso. Di Sessa interpreta questo ragionamento come un esempio di
una specifica struttura esplicativa primitiva (phenomenological primitive, p-prim), che chiama
“contact conveys motion” (il contatto porta con sé il movimento), la cui attivazione annulla
l'esigenza di una forza.
Tale idea è connessa con un'altra simile, cioè che un oggetto può ben restare in equilibrio
poggiato su un tavolo, senza che si pensi necessariamente che il tavolo eserciti una forza su di
esso: molti studenti pensano che il tavolo semplicemente faccia da sostegno, impedisca la
caduta del libro, sia un vincolo, un supporto (Ogborn 1993), che non esercita una forza, in
quanto è passivo (Brown 1992, Arons 1992).
Inoltre, spesso gli studenti tendono a considerare la forza normale sempre uguale alla forza
peso e anzi ad identificarla con essa, una tendenza favorita dagli esempi dei manuali, quasi
sempre focalizzati sulle forze d'attrito e i movimenti orizzontali, in situazioni in cui la forza
normale risulta essere effettivamente uguale al peso dell’oggetto posto al di sopra.
D’altronde, la tendenza ad identificare la forza premente su un oggetto posto in basso con la
forza peso è un errore concettuale diffuso: in una ricerca recente (Besson 2004) alla domanda
di indicare le forze agenti su un tavolo su cui era poggiato un libro, la grande maggioranza
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degli intervistati (72% di 154 studenti di liceo) ha indicato anche il peso del libro. La loro
attenzione si è concentrata sul peso, a cui attribuiscono l'innesco di una forza fra il tavolo ed il
libro e, nel contempo, dimenticano le interazioni di contatto fra il libro e il tavolo.
A tal proposito, formulazioni come le seguenti, reperite in manuali scolastici, sono
certamente fuorvianti:
“Osserviamo che la forza d'attrito più in generale è direttamente proporzionale alla forza che
preme il corpo contro il piano di appoggio, nelle esperienze descritte sopra la forza premente
è costituita soltanto dal peso” (Caforio A., Ferilli A. Physica, vol.1, Le Monnier 1994, p.146).
“L'esperienza dimostra che Fa è proporzionale alla forza G che preme l'uno contro l'altro i
due corpi perpendicolarmente alla superficie di contatto: Fa=fG. Nell’esempio considerato G
è ovviamente il peso del blocchetto…” (Toraldo G. et al. Fisica, vol.1, La Nuova Italia, 1983,
p.91).
“La forza d'attrito è proporzionale alla forza N che preme l'una contro l'altra le due superfici
(in questo caso si tratta della forza di gravità).” Si tratta di una didascalia di una figura in cui
si vede un camion e sono rappresentate la forza d'attrito e la forza N applicata nel punto di
contatto fra ruota e strada. (Calvani P., Maraviglia B. Introduzione alla fisica, vol.1, Laterza,
1982, p.90).
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3. Ricostruzione didattica del contenuto scientifico
3.1 Analisi del contenuto, nel suo sviluppo storico e concettuale
Abbiamo condotta un'analisi approfondita delle idee, delle teorie e dei risultati sperimentali
sull'attrito, e delle trattazioni usuali nei manuali e nella pratica dell'insegnamento.
Un ampio documento è stato prodotto, cui si rimanda, in cui le teorie e le ricerche sull'attrito
sono presentati nel loro sviluppo storico: “Approfondimento disciplinare: breve storia delle
ricerche e delle teorie sull’attrito”.
La scelta dell'impostazione storica è legata all'idea di un possibile ruolo positivo della storia
della scienza nell'insegnamento scientifico. L'argomento è stato ampiamente discusso e
studiato nella ricerca didattica. Si considera in genere che la storia della scienza possa
contribuire a dare maggior spessore culturale all'insegnamento scientifico, promuovendo un
apprendimento non limitato ai soli strumenti tecnici, favorendo la formazione di un
atteggiamento più critico e di una concezione della scienza come attività umana in divenire.
La ricerca sulle concezioni di senso comune ha rinnovato questo dibattito da un altro punto
di vista, perché ha mostrato che molte di queste concezioni sono simili alle idee o alle teorie
antiche, storicamente abbandonate. Si è supposto che, confrontati con tali idee e teorie, gli
allievi vi avrebbero riconosciuto elementi delle proprie concezioni, e avrebbero potuto
discuterle e modificarle più efficacemente, con sequenze di cambiamento concettuale in parte
simili a quelle storiche. Tali proposte sono state criticate per il carattere spesso troppo
semplicistico delle analogie proposte fra le teorie antiche ed il pensiero comune. Ciò
nonostante, queste analogie in molti casi esistono, anche se in forme particolari e limitate.
La storia della scienza può, inoltre, contribuire ad arricchire di significato l'apprendimento
scientifico. Infatti, i vincoli della trasposizione didattica impongono di isolare e ristrutturare
gli argomenti, per adattarli al contesto scolastico, nascondendo così quei riferimenti culturali e
sociali che definiscono i problemi in risposta ai quali le teorie scientifiche si sono formate.
Ciò può portare ad un apprendimento frammentario e algoritmico, più che concettuale. Lo
studio di alcuni casi storici, coinvolgenti aspetti scientifici o filosofici significativi, può
contribuire a restituire l'atmosfera dei dibattiti, delle controversie e dell'ambiente tecnico ed
economico, che hanno costituito il contesto reale di sviluppo della scienza.
Per il caso specifico dell'attrito, la questione assume un significato particolare. È diffusa,
infatti, l'idea che si tratti di un argomento da molto tempo acquisito e chiuso, ormai senza
storia. Al contrario, la consapevolezza dello sviluppo storico dell'argomento dovrebbe aiutare
gli insegnanti a ben situare i recenti sviluppi, che hanno aperto nuovi settori e nuove
problematiche di ricerca.
In questo caso, un breve panorama storico, oltre che a volgere lo sguardo ai personaggi e
agli episodi del passato, serve a porre l'attenzione sulle novità recenti e le prospettive future,
concorrendo così a dare il senso di un argomento vivo ed attuale ed ancora oggetto d'interesse
e di ricerca. Esso consente inoltre di farsi un'idea, semplificata ma efficace, delle
problematiche relative all'argomento, acquisendo consapevolezza della sua complessità,
legata alla diversità di materiali e situazioni, e delle incertezze teoriche, manifestatesi in
controversie interpretative, ancora oggi non del tutto risolte. Per questi motivi, la breve storia
presentata è piuttosto orientata verso i tempi più recenti, fino all'attualità.
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3.2 Dal sapere scientifico al sapere da insegnare: scelte didattiche sull'attrito
Una proposta d'insegnamento su un argomento scientifico implica un insieme di scelte,
basate su considerazioni a priori e su risultati di ricerche didattiche e di esperienze sul terreno.
Qualunque argomento scientifico può essere trattato a vari livelli di completezza e
approfondimento, da una breve presentazione qualitativa fino alla più spinta specializzazione,
con tempi e strumenti materiali e cognitivi che possono essere diversissimi. Al limite, ogni
argomento scientifico è per sua natura praticamente inesauribile, anche per le connessioni che
può suggerire.
Scelte drastiche devono essere fatte in funzione del contesto d'apprendimento, della
tipologia e del livello della classe, del ruolo e del peso attribuito all'argomento nel curricolo,
della coerenza e delle relazioni con altri argomenti connessi. Vi sono inoltre le variabili
relative al contesto scientifico, tecnologico e sociale, cioè lo stato della conoscenza e della
ricerca sull'argomento, la rilevanza delle varie applicazioni e utilizzazioni, le domande e le
attese dei soggetti sociali interessati e dei decisori politici (genitori, mondo produttivo,
politici, scienziati, la cosiddetta la noosfera). Infine, si deve tener conto di variabili più
strettamente pedagogiche come la motivazione, gli interessi e le capacità degli studenti.
Rispondere almeno in parte a queste esigenze richiede di operare una vera e propria
ricostruzione dell'argomento per l'uso didattico specifico, cioè fare una prima trasposizione o
ricostruzione didattica (Chevallard 1991, Kattmann et al 1997) che, con scelte di contenuto e
di punti di vista, adattamenti, mutamenti di senso e di scopi, trasformi il sapere scientifico e
tecnico nel sapere da insegnare. In seguito, l'insegnante stesso dovrà essere l'autore di una
seconda trasposizione didattica, che, applicando e adattando il progetto di percorso, realizzi
un sapere insegnato. Il risultato sarà un sapere appreso che si costruirà nella mente dello
studente e nella comunità della classe, in un'interazione attiva con il proprio sapere personale
e le proprie attitudini e interessi.
L'attrito è argomento complesso ed interessante da questo punto di vista. La quasi
onnipresenza dell'attrito nella vita quotidiana e nella tecnica permette e sollecita molti esempi
e collegamenti. D'altro canto non è tema di fisica fondamentale, ma piuttosto è luogo di
utilizzazione e applicazione di altre conoscenze e di leggi più generali. Il suo studio resta ad
un livello di leggi empiriche, casi particolari, modelli parziali e la sua fenomenologia dipende
fortemente dai materiali implicati e dalle condizioni particolari di uso. Se si vuole ottenere
anche un minimo di comprensione dei fenomeni implicati, ci si deve necessariamente
sporcare le mani con la diversità e la complicazione irriducibili della materia, cimentandosi
con regole e modelli validi al più in molti casi e con una certa approssimazione. Nello stesso
tempo, l'argomento ha una sua storia e un'attualità di sviluppi recenti e problematiche ancora
aperte.
In qualche modo, esso può costituire un buon esempio d'interfaccia fra le teorie più astratte
e formalizzate, gli oggetti tecnologici e la realtà variabile e irregolare dell'esperienza
quotidiana. Si tratta di valorizzarne i diversi aspetti: il significato conoscitivo generale di una
classe di fenomeni diffusi e importanti; lo sviluppo attuale della ricerca nel settore; la
presenza in tanti e disparati campi della realtà naturale, quotidiana e tecnologica; le
connessioni con altre discipline; il suo carattere di conoscenza intermedia, che richiede l'uso
di modelli semi-qualitativi, visuali, di limitato campo di validità.
Ciò contrasta abbastanza con le trattazioni usuali dei libri di testo e dell'insegnamento,
basate sulla miracolosa semplicità delle poche leggi classiche sull'attrito radente fra solidi,
statico e dinamico, Fa≤μsFn e Fa=μFn con μs<μ, sull'attrito volvente F=kFn/R e sull'attrito
nei fluidi F ∝ v o F ∝ v 2 .
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Come scrivono Hähner e Spencer (1998): “Benché espresse in modo semplice, le leggi
dell'attrito incapsulano una moltitudine di fenomeni microscopici e nanoscopici la cui
delucidazione è divenuta una delle più affascinanti attività in fisica applicata”.
Si tratta di decidere il livello di approfondimento e di formalizzazione, quali aspetti e parti
privilegiare, l'approccio pedagogico da seguire.
Consultando alcuni moderni trattati di tribologia (Williams 1994, Persson 1998, Bhushan
2002) e il nostro documento “Approfondimento disciplinare: breve storia delle ricerche e
delle teorie sull’attrito”, ci si rende conto della complessità dell'argomento e della vastità dei
problemi, delle ricerche, delle applicazioni, delle teorie. Si tratta ora di distillare da tanto
materiale una scelta di contenuti, modelli, esempi, che siano adatti all'insegnamento
secondario della fisica.
Bisogna cercare un punto d'equilibrio fra due tendenze opposte.
Da un lato l'esigenza di semplificare, schematizzare e accorciare, legata al livello di
competenze e capacità degli studenti, al tempo disponibile, al carattere di formazione generale
e non specialistica della scuola e dell'insegnamento della fisica.
Dall'altro la domanda di modernità, di non obsolescenza dei contenuti proposti, e quindi
l'esigenza di tener conto degli sviluppi recenti della ricerca, che sono stati particolarmente
vivaci e interessanti.
Quest'ultimo è un problema comune alla gran parte degli argomenti scientifici, ma per
l'attrito assume una colorazione particolare, per due motivi.
Il primo è che gli sviluppi e i cambiamenti recenti sono inattesi e sconosciuti per la gran
parte degli insegnanti. Si pensa, infatti, in genere, che si tratti di un argomento ormai
stabilizzato, con risultati fondamentali definiti da lungo tempo e definitivi.
Il secondo è che molti risultati sperimentali e teorici, anche non troppo recenti, sono in
contrasto con le leggi abitualmente proposte nei manuali, anche universitari, di fisica, che
sono ormai entrate in una tradizione consolidata, ripetuta acriticamente e quindi difficile da
mettere in discussione. Di fronte alla complessità e variabilità delle osservazioni sperimentali,
ben nota da tempo, si pone in genere l'attenzione su alcuni comportamenti particolarmente
semplici e regolari che si riscontrano in una certa gamma, limitata ma importante, di
situazioni. Ciò è ben comprensibile, in una prima trattazione elementare. Tuttavia, queste
regole semplificate e di limitata applicazione sono presentate come leggi generali, eliminando
la complessità e la varietà delle situazioni reali.
Le leggi lineari, matematicamente semplici, si prestano bene ad un trattamento mnemonico
e alla risoluzione di quesiti e problemi quantitativi, sono quindi particolarmente adatte alla
situazione scolastica. Tuttavia, un eccesso di schematizzazione può risultare dannoso per una
comprensione dei fenomeni fisici reali e rischia di confinare l'apprendimento della fisica in un
mondo astratto di oggetti ideali o troppo idealizzati, tipo corde senza massa, fili inestensibili,
molle perfettamente elastiche, condensatori ideali, trasformazioni reversibili, gas perfetti…
Ciò può avere due possibili effetti negativi nello studente: scambiare gli oggetti idealizzati per
la realtà effettiva oppure considerare la fisica come insieme di teorie senza aderenza ed
efficacia con il mondo reale. C'è poi il rischio di disattivare il senso critico e di non coltivare
lo sviluppo di quella capacità essenziale nella formazione scientifica, che consiste nel saper
ragionare qualitativamente su situazioni reali, proponendo o valutando appropriate
schematizzazioni e semplificazioni.
Come scrive Peters (2004, p.475): “Molte delle nostre difficoltà teoriche provengono
dall'uso di approssimazioni super-idealizzate nell'insegnamento della fisica elementare. Come
studenti, siamo condotti a riporre una grande fiducia nella matematica lineare, che è elegante,
ma che è inutilizzabile per molti scopi pratici.” Gli sviluppi degli ultimi decenni rendono
ancor più discutibili eccessi di semplificazioni non motivate.
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Ci sembra importante presentare l'attrito come insieme di fenomeni quasi onnipresenti, che
sono determinanti per gran parte delle attività quotidiane.
Da questo punto di vista, è utile iniziare subito il percorso didattico con esempi dove gli
attriti si presentano, dal punto di vista pratico, come fenomeno rilevante e come "risorsa"
positiva, piuttosto che come "ostacolo" o "perdite". Dal punto di vista conoscitivo, tali esempi
iniziali devono proporre l'attrito come oggetto di studio centrale e non solo come "disturbo"
da eliminare per ritrovare i fenomeni importanti nella purezza della "vera fisica". In questo
senso, si tratta di contrastare l'idea che la Meccanica studierebbe le situazioni senza attriti,
visto che nei laboratori scolastici si usano spesso rotaie o dischi a cuscino d'aria e altri
espedienti tecnici per minimizzare gli attriti e fare come se essi non ci fossero.
Si deve presentare l'attrito come un insieme di fenomeni complessi e molto differenti fra
loro, anche se con tratti comuni, proponendo subito uno sguardo generale su tali vaste
fenomenologie, distinguendo fra: attrito fra solidi, resistenza del mezzo, nei gas e nei liquidi,
attrito interno. E' opportuno sottolineare come l'attrito interno sia indispensabile per
l'instaurarsi di un equilibrio dopo una sollecitazione o un movimento (esempi: molla
oscillante, liquido versato in un recipiente).
E' importante contrastare l'idea dell'attrito come azione sempre resistente, generante una
forza che si oppone sempre al moto e agente solo sull'oggetto in movimento o sollecitato al
movimento.
Si dovrebbe cercare di evitare o minimizzare gli errori legati alle generalizzazioni abusive,
basate sulla tendenza, diffusa negli studenti e nel pensiero comune, di estendere a tutti i casi le
caratteristiche di un esempio particolare, anche se importante, che diviene così l'esempio
prototipo di riferimento assoluto (M. Artigue, 1990, indica la generalizzazione abusiva come
uno degli ostacoli epistemologici rilevanti per la didattica).
A tale scopo, bisogna evitare una focalizzazione eccessiva se non esclusiva sulle forze
d'attrito orizzontali, legate alla forza peso, favorita dagli esempi dei manuali, spesso con
l'aggravante di un'identificazione fra forza normale e peso. Proponiamo invece di fare subito
esempi in cui si presenta una forza d'attrito obliqua o verticale, e in cui la forza normale non
abbia alcuna relazione con il peso o non sia uguale al peso.
Inoltre, anche nel caso di forza "premente" uguale al peso, si deve sottolineare che tale forza
è uguale al peso ma non è il peso. In effetti, si tratta di un errore concettuale diffuso: in una
ricerca recente (Besson 2004) alla domanda di indicare le forze agenti su un tavolo su cui era
poggiato un libro, la grande maggioranza degli intervistati (72% di 154 studenti di liceo) ha
indicato anche il peso del libro. La loro attenzione si è concentrata sul peso, a cui
attribuiscono l'innesco di una forza fra il tavolo ed il libro, dimenticando le interazioni di
contatto fra il libro e il tavolo.
Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica.
Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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4. Una proposta per l'insegnamento dell'attrito
4.1 Ipotesi e obiettivi generali
La proposta si basa su due elementi strettamente fra loro:
- un'analisi di contenuto, svolta a più livelli, comprendente anche un'indagine critica
sulle trattazioni in uso nei manuali e nella pratica d'insegnamento;
- le idee, i ragionamenti e le difficoltà più comuni degli studenti come emergono dai
risultati della ricerca didattica.
Cerchiamo un approccio che coniughi correttezza scientifica e coerenza concettuale, pur nei
vari livelli di approfondimento e nei diversi punti di vista scelti, con le esigenze ragionative e
motivazionali degli studenti e che favorisca, con opportune strategie didattiche e strutturazioni
del contenuto, il superamento delle difficoltà e delle concezioni erronee più comuni.
Un processo di “va e vieni” fra il piano dei concetti, delle teorie, delle leggi formali e quello
dei fatti, delle osservazioni, delle applicazioni, è fondamentale:
a) per la motivazione degli studenti, affinché abbiano la sensazione che ciò che stanno
studiando riguarda il mondo reale e può avere una vasta utilità e rilevanza (per la
comprensione del mondo e per le produzioni tecno-pratiche) e che le elaborazioni
astratte (modelli, leggi, concetti) risultano utili ed efficaci per tali scopi conoscitivi e
pratici.
b) per favorire la formazione di un nesso consapevole e fortemente assimilato fra concetti
e fatti, di un'idea della fisica come sapere astratto-concreto, dell'inevitabile
incompletezza delle descrizioni dei sistemi reali, dell'esigenza di un progressivo
raffinamento di tali descrizioni o della scelta del livello d'approfondimento e degli
aspetti da evidenziare o trascurare secondo il tipo di problema in esame.
Le approssimazioni e semplificazioni non devono essere sottaciute o sottintese ma anzi
sottolineate e motivate, anche con precoci contro-esempi semplici e qualitativi, per poi
ritornare alla schematizzazione scelta. Ciò proprio per rendere subito consapevoli del carattere
semplificato della trattazione in corso, aprendo però opportune "finestre" su estensioni,
generalizzazioni, ricerche più avanzate, approfondimenti, questioni tecniche.
Gli obiettivi principali della sequenza sono i seguenti:
A) Superare alcuni errori e difficoltà sull'argomento rilevate dalla letteratura didattica, in
particolare:
A1) tendenza a considerare una sola forza d'attrito, dimenticando quella agente
sull'oggetto passivo (cioè non sottoposto alla forza trainante esterna) e/o
sull'oggetto posto al di sotto;
A2) rifiuto di considerare la forza d'attrito come forza che produce il movimento
invece di frenarlo o impedirlo;
A3) non comprensione del differente ruolo dell'attrito statico nel rotolamento delle
ruote motrici e passive, e quindi del differente verso della forza d'attrito nei due
casi.
B) Correggere alcune tendenze diffuse nelle trattazioni usuali dell'argomento: focalizzazione
eccessiva sui movimenti orizzontali, considerazione dell'attrito quasi esclusivamente come
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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disturbo da minimizzare, presentazione delle leggi di Amontons-Coulomb come leggi
generali. Ci proponiamo, invece, di far comprendere che le classiche leggi dell'attrito radente
di Amontons e Coulomb sono solo leggi empiriche approssimate, da considerare come sintesi
fenomenologiche di complicati processi fisici sottostanti, che funzionano bene in molte
situazioni importanti ma non in tutti i casi.
C) Fare acquisire alcuni elementi di un modello esplicativo, basato su proprietà e processi
relativi ad una scala mesoscopica, non direttamente visibile ad occhio nudo, che permetta di
formarsi un'immagine semplificata ma operativa dei meccanismi che producono l'attrito e di
elaborare ragionamenti, spiegazioni e previsioni qualitative. Il modello proposto vuole
rispondere al duplice requisito di efficacia esplicativa didattica e di adeguatezza alle
conoscenze fisiche attuali sui processi e le strutture materiali coinvolti.
4.2 Progetto di un percorso d'insegnamento apprendimento sull'attrito
La sequenza degli argomenti è organizzata in sei parti, che sviluppiamo nel seguito:
1) Esperimenti ed osservazioni introduttivi;
2) Attrito verticale: definizione di grandezze descrittive e prime relazioni qualitative;
3) Attrito statico e dinamico: leggi fenomenologiche;
4) Attrito statico e rotolamento;
5) Topografia delle superfici e meccanismi che producono l'attrito;
6) Fenomeni d'attrito dal punto di vista energetico.
La concatenazione delle attività prevede fasi di motivazione, esplorazione e
sistematizzazione, organizzate secondo la struttura didattica seguente (per l'idea di struttura
didattica, vedi Lijnse & Klaassen 2004 e la prima parte di questo documento).
ƒ Un iniziale sguardo d'insieme panoramico introduce l'argomento e sollecita una
motivazione globale su di esso.
ƒ Segue una costruzione di problematiche e motivazioni specifiche su aspetti
particolari, con un restringimento del campo d'indagine.
ƒ Una prima sistematizzazione introduce i concetti operativi descrittivi necessari per
parlare in termini di Fisica dei fenomeni e degli esperimenti e prepara indagini
sperimentali più accurate e quantitative.
ƒ Queste sono l'oggetto della fase successiva, di ricerca di regolarità e leggi
fenomenologiche, che favorisce e motiva anche la proposizione di prime ipotesi su
modelli esplicativi.
ƒ Le conoscenze e le leggi acquisite sono quindi applicate a situazioni nuove e più
complicate, così rinforzando la fiducia nell'utilità ed efficacia degli schemi
descrittivi appresi, sostenendo la motivazione per ulteriori approfondimenti
esplicativi.
ƒ La proposizione e sistematizzazione di modelli esplicativi e/o teorie raccoglie e
soddisfa le esigenze di comprensione più approfondita sollecitate nelle fasi
precedenti, ritornando anche su esempi già trattati, rivisitati alla luce delle nuove
acquisizioni.
La sequenza delle fasi 2-6 è ripetuta, in modo abbreviato e rapido, nella trattazione della
parte finale della sequenza sullo studio dei fenomeni d'attrito dal punto di vista energetico.
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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Le fasi di motivazione avvengono insieme all'acquisizione di nuove conoscenze, perché
riteniamo appunto che la proposizione di osservazioni, fatti, ipotesi, esperimenti, è la molla
che può generare la motivazione cognitiva.
Le domande e le esigenze esplicative sono sollecitate e raccolte precocemente, per stimolare
l'attivazione di meccanismi di riflessione e interrogazione personale degli studenti. Ad esse,
tuttavia, non si risponde subito fornendo soluzioni organiche. Si preferisce lasciarle maturare
per qualche tempo nella riflessione degli studenti e fra gli studenti, per riprenderle solo
quando gli elementi conoscitivi accumulati permettano e rendano necessaria una loro
assunzione completa e una loro soluzione organica.
4.3 Indicazioni didattiche per le singole fasi della sequenza
4.3.1 Esperimenti ed osservazioni introduttivi
Proponiamo subito esempi di situazioni molto differenti, in cui si manifestano le varie
tipologie di attrito e dove gli attriti si presentano, dal punto di vista pratico, sia come ostacolo,
perdita o disturbo sia come risorsa positiva e fenomeno desiderato. Alcuni esperimenti
semplici qualitativi (alcuni anche solo evocati, se relativi a situazioni ben note agli studenti)
possono mostrare in modo immediato i diversi tipi d'attrito e alcune loro caratteristiche. Lo
scopo è presentare l'attrito come una classe di fenomeni molto diversi, il cui legame consiste
nel fatto che tutti tendono ad impedire o estinguere i moti relativi fra corpi in contatto o fra
parti interne. Nel caso dinamico, il fenomeno sarà in seguito descritto in termini di
dissipazione d'energia, cioè trasformazione di energia meccanica macroscopica in energia
interna, legata a gradi di libertà relativi a scale di grandezze più piccole. In questa fase ci si
limita ad osservazioni semi-quantitative e ad interpretazioni non troppo astratte, in termini di
forze, relazioni funzionali empiriche, di semplici modelli strutturali.
È bene sottolineare subito che gli attriti sono indispensabili per il raggiungimento di uno
stato di equilibrio, che sarebbe impossibile senza la loro presenza. Tale osservazione pone
l'attenzione su un aspetto fondamentale di questi fenomeni, la cui rilevanza nella vita pratica è
spesso trascurata o ignorata. Essa inoltre può essere propedeutica al discorso successivo sulla
dissipazione energetica.
Inizialmente, si pongono domande su cosa succederebbe, in situazioni ben note agli allievi,
se non ci fosse l'attrito, come potrebbero svolgersi, in assenza di attrito, semplici attività
quotidiane, come prendere una bottiglia, camminare, pesare usando una bilancia a molla,
versare del liquido in un recipiente, fare una curva con l'automobile, portare bicchieri e
tazzine su un vassoio, giocare a pallone….
L'osservazione di oscillazioni smorzate di liquidi diversi, ad esempio di acqua e di olio o
glicerina, in recipienti trasparenti introduce l'idea di attrito interno dei fluidi e di viscosità,
molto diversa per acqua e olio. Osservazioni analoghe dello smorzamento di oscillazioni di
una molla suggeriscono la presenza di attriti interni anche nei solidi elastici. L'idea di
un'isteresi elastica, con perdite di energia macroscopica a favore di energia interna, è
importante per la comprensione di molti aspetti dell'attrito, oltre che come meccanismo
esplicativo trasversale, che si ripresenta in varie situazioni fisiche.
L'idea della resistenza del mezzo, per oggetti solidi in movimento in un fluido, è introdotta
con un cenno alle forme aerodinamiche dei veicoli e al fatto che un ciclista corre molto più
facilmente dietro un'automobile o ad un altro ciclista, della caduta di oggetti leggeri in aria e
di palline metalliche in tubi pieni d'acqua o di altro liquido come glicerina oppure olio. Un
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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esperimento con una lastrina galleggiante su un liquido, tirata con una molla, mostra la
necessità di esercitare una forza opportuna per mantenere un moto uniforme.
Palline o cilindri che rotolano e rallentano evocano l'attrito volvente mentre il riflettere
sull’uso della ruota e dei cuscinetti a sfera permette di porre l'accento sulla differenza
notevole fra attrito radente e volvente.
Per l'attrito radente fra solidi si propongono alcuni esempi d'attrito “utile”, soffermandosi
sulla distinzione fra i casi in cui l'effetto desiderato è il rallentamento o impedimento del
moto e i casi in cui invece l'attrito rende possibile un movimento utile e costituisce la forza
che produce l'accelerazione del centro di massa.
Per i casi del primo tipo è sufficiente fare riferimento ad esempi ben noti quali i freni, di
bicicletta o di automobile, le viti e i bulloni.
Per i casi del secondo tipo si può considerare: l'azione delle ruote motrici dei veicoli; il
sollevare una matita, un bicchiere o una bottiglia; il portare dei piatti su un vassoio;
camminare. Il problema del camminare presenta in realtà alcune complicazioni, legate alla
complessità delle forze muscolari e dei movimenti delle parti del corpo implicate. Il gesto del
camminare è comunque talmente presente nell'esperienza quotidiana, che un cenno appare
inevitabile. Anche rinunciando ad analizzare il meccanismo della locomozione, si può
riflettere sul ruolo dell'attrito e ricordare come nei casi di assenza o di basso valore dell'attrito,
diventi impossibile o molto difficile camminare (per esempio camminare sul ghiaccio o su
una superficie ricoperta di piccole sferette o di sassolini).
Vi sono poi casi in cui l'impedimento di un moto indesiderato e la produzione di un moto
utile coesistono, e la situazione richiede un attrito di valore opportuno (né troppo basso né
troppo alto) come succede, ad esempio, per il violino o lo sci.
Un discorso a parte meritano i materiali appiccicosi, aderenti, come pongo, stucco, resina,
chiusure a strappo, che presentano attrito anche senza carico o con un carico negativo. Oggetti
costituiti di tali materiali possono non scivolare anche se poggiati su pareti verticali.
Al termine di questa fase introduttiva, lo studente dovrebbe avere acquisito la
consapevolezza della vastità e della rilevanza dell'argomento e la capacità di distinguere fra i
vari tipi di attrito, con la relativa nomenclatura: resistenza del mezzo, attrito interno, attrito fra
solidi, radente e volvente, statico e dinamico. Si vorrebbe inoltre avere suscitato un certo
interesse per uno sviluppo ulteriore dello studio dell'argomento, o anche solo la convinzione
dell'utilità e sensatezza di un approfondimento scientifico e tecnologico di questi fenomeni.
4.3.2 Attrito verticale: definizione di grandezze descrittive e prime relazioni qualitative
Alcune grandezze descrittive sono indispensabili per iniziare un discorso scientifico e non
solo empirico: forza normale o carico, forza d'attrito, coefficiente d'attrito, area di contatto.
È utile fare subito un esperimento con forza d'attrito verticale, per evitare che l'allievo operi
un'identificazione della forza normale con il peso (una tendenza molto diffusa, che si ritrova
anche in alcuni testi). Si può utilizzare un blocchetto spinto contro una parete. L'allievo
osserva che aumentando o diminuendo la spinta orizzontale esercitata, può impedire o
permettere lo scivolamento del blocchetto lungo la parete. Inizialmente, l'allievo esercita la
spinta con il dito, così da avere la sensazione fisica soggettiva della variazione della spinta e
dei suoi effetti sul movimento del blocchetto. La prova è eseguita con blocchetti di diverso
peso e dimensioni e cambiando il materiale (legno, metallo, stoffa, carta) della superficie del
blocchetto in contatto con la parete. Poi l'allievo ripete le prove spingendo con un sensore di
forza in modo da poter leggere con immediatezza, il valore della forza.
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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Questo primo esperimento costituisce un'utile esplorazione del fenomeno: l'allievo lo esegue
senza una raccolta sistematica guidata dei dati, ma annota i valori trovati e le sue osservazioni
in itinere e conclusive. Esso dovrebbe già suggerire alcune idee più precise sul fenomeno e
qualche ipotesi sul comportamento delle grandezze fisiche implicate.
Segue una discussione collettiva, guidata dall'insegnante, dei risultati ottenuti dai vari
gruppi di studenti. L'insegnante fornisce un primo quadro teorico, analizzando gli esperimenti
fatti in termini di forze, sulla base delle leggi della meccanica di Newton (già note agli
studenti). È l'occasione per l'insegnante di introdurre la forza d'attrito, in questo caso diretta
verticalmente verso l'alto, per spiegare l'equilibrio del blocchetto nonostante la presenza della
forza peso agente su di esso. È importante utilizzare accuratamente subito la terza legge di
Newton, considerare anche le forze agenti sul muro e disegnare opportuni diagrammi delle
forze separati per i due oggetti in interazione, blocchetto e parete. Qualche osservazione a
parte può essere fatta sul ruolo dell'attrito fra dito e blocchetto nell'esecuzione
dell'esperimento. L'insegnante sollecita inoltre gli studenti a pensare e proporre, anche con
disegni, modelli schematici delle superfici in contatto che possano aiutare a rendere conto dei
comportamenti osservati.
Tali esperimenti devono indicare alcune proprietà qualitative: l'aumento della forza d'attrito
con la forza premente, la dipendenza dalla natura e dallo stato delle superfici a contatto,
l'indipendenza della forza d'attrito dall'area di contatto. Questi primi risultati forniscono le
ipotesi di partenza e lo stimolo per uno studio quantitativo più preciso, che sarà l'obiettivo
degli esperimenti successivi.
4.3.3 Attrito statico e dinamico: leggi fenomenologiche
Si ritorna in laboratorio per eseguire un esperimento più sistematico e organizzato in una
situazione con movimento orizzontale. Si esegue un classico esperimento con oggetti posati
su un piano orizzontale e tirati con una molla o con un sistema formato da una corda, una
carrucola e un oggetto appeso. La stessa configurazione permette di studiare sia l'attrito
statico sia l'attrito dinamico.
Per quanto riguarda l'attrito statico, si dovrebbe ottenere una relazione quantitativa di
proporzionalità fra forza d'attrito massima e forza normale Fa≤μsFn. Lo statuto e la validità di
questa relazione deve essere subito discussa: legge fenomenologia, valida in moltissimi casi
ma non in tutti, che richiede di essere spiegata sulla base di proprietà dei corpi in contatto e di
fenomeni sottostanti. Si può mostrare un andamento meno semplice osservato in alcuni casi,
come nella figura 1. È utile inoltre insistere sul carattere di disuguaglianza della legge
dell'attrito statico. È l'occasione per discutere il carattere “intelligente” dell'attrito statico, che
produce una forza di intensità e direzione variabili, ma sempre esattamente opposta (modulo
uguale, stessa direzione e verso opposto) alla sollecitazione esterna, in modo da riuscire ad
impedire il moto relativo, purché la forza esterna non superi il valore limite fornito dalla
formula.
Non si deve sottovalutare la difficoltà dello studente a capire quale sia la corretta direzione
della forza d'attrito statico. Opportuni esempi possono aiutare a superare queste difficoltà,
ampiamente dimostrate nella ricerca didattica.
Si può analizzare il caso di una giostra (o disco) ruotante su cui è poggiato un oggetto, che
rimane fermo rispetto alla giostra: qui la forza d'attrito statico funziona da forza centripeta tale
da permettere il movimento circolare uniforme dell'oggetto (è quindi diretta radialmente verso
il centro della giostra).
È interessante l'esempio del rotor, un'attrazione da Luna park, che consiste in una stanza
circolare messa rapidamente in rotazione. Il pubblico si dispone in piedi, appoggiato alla
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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parete. Raggiunta una sufficiente velocità di rotazione, il pavimento della stanza viene
abbassato ma le persone non cadono: rimangono sospese, appoggiate alla parete. In questo
caso, il peso della persona è equilibrato dalla forza di attrito statico che la parete esercita sulla
schiena della persona stessa. La situazione è simile a quella dell'esperimento del blocchetto
spinto contro la parete, solo che nel caso del rotor è l'inerzia a provocare l'attivazione di una
forza normale (qui orizzontale) esercitata dalla parete sulla persona (e quindi anche di una
forza opposta, esercitata dalla persona sulla parete).
Un altro esempio, in cui l'inerzia ha un ruolo d'attivazione del fenomeno d'attrito, si realizza
mettendo in moto rapidamente una cartellina o una lastra di legno cui è appoggiato un
blocchetto con una superficie di stoffa: durante l'accelerazione, il blocchetto non cade, ma
rimane sospeso, appoggiato alla lastra.
Per quanto riguarda l'attrito dinamico, l'andamento nel tempo della forza orizzontale
applicata dovrà mostrare che l'attrito di primo distacco è maggiore dell'attrito dinamico e
dovrebbe consentire di ottenere una legge del tipo Fa=μcFn. Anche qui si deve discutere subito
la natura della legge, a validità limitata. Soprattutto, la dipendenza dell'attrito dinamico dalla
velocità dovrebbe essere presentata in modo molto problematico. Si può indicare che per
molti materiali e per ampi intervalli di velocità si trova un coefficiente d'attrito praticamente
costante al variare della velocità. Ma nello stesso tempo si presentano esempi che manifestano
un andamento meno semplice, con grafici sperimentali come quello della figura 2. Si può
anche fare l'esempio dell'attrito fra pneumatico e strada, che aumenta al diminuire della
velocità, come mostrato dalla difficoltà di frenare dolcemente ed in modo continuo, fino
all'arresto del veicolo, evitando lo sbalzo finale in avanti del passeggero, dovuto al forte
aumento dell'attrito a velocità molto basse.
Lo studente ha difficoltà a capire che vi sono due forze d'attrito, l'una agente sull'oggetto
sollecitato dall'esterno, l'altra sul supporto d'appoggio (tavolo, parete…), in particolare tende a
non considerare che l'oggetto trascinato esercita una forza d'attrito sul supporto d'appoggio. A
questo scopo, si realizza un semplice esperimento dimostrativo. Si pone un foglio di carta o di
stoffa sotto l'oggetto, fra l'oggetto ed il tavolo, e si osserva che quando si tira l'oggetto, il
foglio sottostante viene trascinato. Lo stesso tipo d'esperimento può essere eseguito con un
blocchetto poggiato su un carrellino: tirando il blocchetto, anche il carrellino si muove,
trascinato dalla forza d'attrito esercitata dal blocchetto sul carrellino. Agganciando
opportunamente un sensore di forza al carrellino, si può misurare la forza necessaria per
tenere fermo il carrellino mentre si tira l'oggetto sovrastante con una forza.
Per quanto riguarda la regola dell'indipendenza della forza d'attrito dall'area di contatto
(apparente), può essere istruttivo proporre un esperimento in cui tale proprietà non è
verificata. Ciò capita in modo evidente con i materiali “appiccicosi” prima indicati. Si può
ricoprire con uno di tali materiali una faccia di un blocco parallelepipedo e poggiarlo su una
lastra liscia di vetro, in modo da poter direttamente osservare da sotto l'area di contatto
(Ringlein & Robbins 2004). Si tira il blocco mediante una corda fino a farlo strisciare sul
vetro e si misura la forza necessaria, con una bilancia a molla. Si trova che la forza aumenta
con l'area, una proprietà tipica delle situazioni in cui gli effetti adesivi sono rilevanti.
Esempi di questo tipo inoltre mettono in risalto il carattere inatteso e alquanto paradossale
del fatto che invece nella maggior parte dei casi la forza d'attrito è indipendente dall'area di
contatto, almeno in prima approssimazione. Un comportamento che richiede quindi uno
sforzo ulteriore di approfondimento e di spiegazione, che sarà proposto in seguito.
Gli esempi di materiali “appiccicosi” possono suggerire una legge del tipo Fa=μFn+cA, in
cui compare anche l'area di contatto A. Si può far notare che questo tipo di comportamento è
stato osservato spesso nello studio dell'attrito a scale molto piccole, nanoscopiche (Carpick &
Salmeron 1997).
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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La diversità di comportamento dei vari materiali e nelle varie situazioni dovrebbe sollecitare
l'esigenza o la curiosità di capire meglio cosa c'è alla base di tali fenomeni, in altre parole
quali meccanismi e proprietà fisiche generano l'attrito e spiegano le proprietà osservate.
Gli studenti sono invitati a fare alcune ipotesi su possibili meccanismi esplicativi per l'attrito
statico e dinamico, utilizzando anche disegni e facendo riferimento alla struttura ed al
comportamento delle superfici dei materiali in contatto.
4.3.4 Attrito statico e rotolamento
Le conoscenze acquisite fin qui sull'attrito sono ora applicate ad una situazione più
complicata, come il rotolamento. A parte l'interesse in sé dell'argomento, ciò dovrebbe anche
rinforzare la fiducia negli schemi interpretativi appresi, nella loro efficacia e utilità, e al
contempo stimolare la domanda di nuove indagini e di nuove spiegazioni più approfondite.
Mediante semplici esperimenti dimostrativi qualitativi, spiegazioni orali, disegni alla lavagna,
si propone una breve concatenazione logica e didattica che parte dall'analisi del ribaltamento
di un cubo e poi di un prisma ottagonale per condurre ad un'analisi accurata del meccanismo
fisico del rotolamento di un cilindro. In particolare, si insiste sul ruolo della forza d'attrito
statico nel rotolamento e sul verso di tale forza nelle diverse modalità di rotolamento,
utilizzando appositi esperimenti (cf. Borghi et al 2001 e 2005).
4.3.5 Topografia delle superfici e meccanismi che producono l'attrito
Una discussione della topografia delle superfici, con la distinzione fra area apparente (o
nominale) ed area reale è propedeutica ad ogni discorso sui meccanismi dell'attrito (Bowden
& Tabor 1954 e 1964). Si propongono, in modo semplificato ed essenziale, alcuni metodi
d'indagine e risultati di ricerca sull'argomento, anche mostrando disegni di profili e immagini
tridimensionali di superfici, ottenute con metodi ottici o con strumenti più moderni, come
STM e AFM. Si discute il comportamento tipico delle asperità di superficie sottoposte a
carico (aumento dell'area di ciascun contatto e del numero di contatti, piccolo avvicinamento
dei due corpi in contatto), la dipendenza dell'area reale di contatto dal carico e il ruolo delle
deformazioni elastiche e plastiche.
L'analisi della topografia e del comportamento delle superfici a scale micro-metriche è
interessante, anche da un punto di vista della riflessione sul metodo e la natura della fisica.
Essa mostra, infatti, due caratteristiche tipiche della scienza: andare al di là dell'apparenza, di
ciò che si osserva ad occhio nudo, rivelando nuovi dettagli, nuovi mondi invisibili, nuove
entità; cercare la spiegazione dei fenomeni in meccanismi che coinvolgono entità a scale di
grandezza inferiori, siano esse cellule, molecole, batteri, elettroni o asperità di superficie.
Per quanto riguarda i meccanismi che producono l'attrito, si sottolinea che vi è una
molteplicità di fenomeni, la cui rilevanza relativa varia con le situazioni e i materiali
considerati. Presentiamo diversi meccanismi, in forma descrittiva, semplificata ed intuitiva:
l'adesione fra le asperità delle superfici (il modello delle giunzioni adesive di Bowden e
Tabor); la deformazione, solcatura o graffiatura delle superfici; l'urto e l'incastro fra le
asperità; l'usura dovuta al movimento relativo delle due superfici in contatto; la deformazione
e abrasione dovuta a particelle intrappolate fra le superfici (terzo corpo).
Per questi aspetti si è preparato un apposito documento per gli studenti “Modelli esplicativi
per l'attrito radente fra solidi”, in allegato, in cui si presentano, in modo semplificato e
adattato, alcuni elementi della topografia delle superfici e i meccanismi principali che
producono l'attrito radente.
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Progettazione di un percorso d'insegnamento e apprendimento sull'attrito.
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4.3.6 Fenomeni d'attrito dal punto di vista energetico
In questa parte finale, si riprendono alcuni fenomeni già studiati nella prima parte, insieme
ad altri nuovi simili, discutendoli in termini di trasformazione e dissipazione di energia,
invece che in termini di forze. La progressione logica e didattica è simile a quella proposta
nella prima parte. S'inizia con la presentazione di semplici esperimenti qualitativi, alcuni dei
quali già mostrati nella prima parte. La discussione di tali esperimenti, insieme con altri
esempi, solo evocati, tratti dalla vita quotidiana, è guidata verso un'analisi dei bilanci
energetici e delle forme di energia coinvolte. In particolare, si pone l'attenzione sul fatto che
in tutti i casi in cui sono attivi degli attriti dinamici si manifesta un aumento di temperatura e
quindi di energia interna legata a movimenti incoerenti a livello atomico-molecolare.
Si sottolinea che nel caso degli attriti, avviene un processo in due tempi, che fa intervenire
una scala di grandezza intermedia, mesoscopica, e si può dire che avviene un doppio
passaggio di energia, prima da macro a meso, poi da meso a micro (cf. Besson 2005,
Sherwood & Chabay 1993). Questi processi a scala mesoscopica sono complicati ed è
difficile o impossibile seguirli nei loro dettagli individuali; essi possono tuttavia essere
descritti e spiegati mediante modelli semplificati della struttura interna mesoscopica dei
materiali interagenti. Si propongono quindi modelli strutturali semplificati, con successivi
raffinamenti.
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5. Approfondimenti concettuali: modelli mesoscopici e
bilanci energetici
5.1 Necessità di modelli dell'attrito a scala mesoscopica
Il modello più semplice e schematico in meccanica è quello del punto materiale, una specie
di modello zero. Per la meccanica dei solidi e anche per l'attrito, è molto usato il modello del
corpo rigido, che potremmo chiamare modello uno, che tiene conto delle dimensioni e della
forma del corpo, ma dove non succede niente al suo interno, un po' il regno del “deve essere
così” dei ragionamenti formali.
Abbiamo argomentato finora che per una comprensione dei fenomeni d'attrito mediante
spiegazioni in termini di meccanismi causali, è necessario considerare modelli che implicano
irregolarità e deformazioni. Potremmo parlare di modello due, considerando un corpo che
mantiene una sua invariabilità approssimata di forma e dimensioni a livello globale,
macroscopico, ma che ammette piccole deformazioni locali e trasmette i piccoli cambiamenti
locali, con dissipazione interna.
Per far ciò si deve scendere quindi ad una scala di grandezze più piccola, che consideri le
piccole deformazioni, invisibili ad occhio nudo. Ma tale scala non può essere quella
microscopica degli atomi e delle molecole, essa deve situarsi ad un livello intermedio fra
l'oggetto ordinario e l'atomo, tra un millimetro ed un nano-metro, cioè ad un livello
mesoscopico.
In effetti, una spiegazione in termini di molecole sarebbe, in questi casi, troppo complicata,
praticamente inutilizzabile e, alla fine, superflua. È vero che alla base ci sono sempre i
fenomeni atomici, tuttavia il passaggio diretto tra il microscopico ed il macroscopico è
impraticabile, a meno di fare appello a grandi complicazioni di calcolo o rinunciare a dettagli
e possibilità di rappresentazioni che richiedono un livello intermedio. Si sarebbe costretti a
considerare valori medi, semplificazioni, ipotesi supplementari, e le particelle microscopiche
scomparirebbero in fondo alla scena. I casi in cui si può fare facilmente questo passaggio sono
abbastanza rari: ciò è possibile soltanto quando c'è una grande regolarità ed uniformità a
grande scala (nell'ordine o nel disordine), come per i gas o i cristalli.
Del resto, questo passaggio ad una scala intermedia, mesoscopica, si impone ogni volta che
si abbandonano le schematizzazioni, utili ma limitate, dei corpi rigidi, liquidi incompressibili,
fili inestensibili, e ci si trova confrontati ad un'analisi in piccole parti, con deformazioni e
variazioni locali su una scala ridotta (Besson 2005).
Il caso dell'attrito solido è ancora più rivelatore di quest'esigenza di un'analisi su scala
mesoscopica, poiché essa si impone come necessaria proprio per una spiegazione e
comprensione del fenomeno. Vediamo perché.
Le leggi dell'attrito solido stabiliscono che la forza d'attrito è proporzionale alla forza
normale esercitata sulla superficie in contatto e non dipende dall'area di questa superficie.
Si tratta di una proprietà contro-intuitiva, poiché essendo l'attrito un'interazione dovuta al
contatto tra le superfici dei due solidi, sembrerebbe naturale che essa debba diventare più
intensa con l'aumento della superficie in contatto. In effetti, quest'idea non è del tutto
sbagliata, poiché effettivamente i due solidi sono in contatto soltanto su piccole parti e non
sull'intera superficie, a causa delle irregolarità delle asperità delle superfici, con un rapporto
tra la superficie realmente in contatto e quella totale che può essere di 10-2 -10-4. Quando la
forza normale aumenta, i due solidi sono più fortemente compressi uno contro l'altro, il che fa
sì che queste piccole asperità si deformano, si schiacciano e l'area delle superfici in contatto
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aumenta, con risultato netto che la forza d'attrito totale, dovuta a tutti questi piccoli contatti,
aumenta proporzionalmente alla forza normale.
Qui, è precisamente in questi aggettivi ‘piccoli, piccole’ che il livello mesoscopico si
manifesta: finché si osserva ad una scala macroscopica, ad una dimensione umana, fino al
millimetro, l'oggetto può sembrare liscio e le proprietà dell'attrito rimangono inesplicabili.
Per comprendere, occorre andare ad una scala più piccola, che non è quella delle molecole,
ma piuttosto intermedia. Nel caso frequente in cui le forze d'attrito sono dovute soprattutto
alle asperità delle superfici, queste asperità e le loro deformazioni, in condizioni usuali di
pulitura, hanno un'altezza media h = 1 ÷10 μm (Baumberger et al. 1994).
Del resto, anche al livello della ricerca moderna avanzata, si pensa che la scala atomica non
sia sempre la più adeguata per la descrizione dell'attrito, poiché “i più importanti meccanismi
d'attrito non hanno la loro origine su scala atomica, ma piuttosto a quella mesoscopica”
(Peters 2004, p.476). Inoltre, si sa ora che le proprietà dell'attrito cambiano, quando si scende
ad una scala nanometrica, come lo mostrano gli studi sull'attrito a questa scala, la nanotribologia (Krim 1996). D'altro canto, se le asperità diventano troppo piccole e dunque i due
oggetti sono in contatto su quasi tutta la superficie, la forza d'attrito può diventare molto
grande, con anche, in alcuni casi, una forza adesiva normale molto intensa. Due superfici di
metallo ben lisce e levigate, messe in contatto sotto vuoto si saldano a freddo ed in aria si
attaccano così fortemente che occorre un grande sforzo di torsione per separarle 1 .
5.2 L'attrito statico è veramente statico?
Se si osserva soltanto ad una scala macroscopica, l'attrito statico sembra avere qualcosa
d'incomprensibile e di magico.
Consideriamo un libro poggiato su un tavolo. Nessuna forza orizzontale agisce sul libro. Se
ora si spinge delicatamente sul libro in una direzione orizzontale, esso non si muove, poiché il
tavolo esercita ora una forza d'attrito orizzontale, di modulo uguale e verso opposto alla forza
della nostra spinta. Ma ci si può chiedere da dove viene questa forza, se niente è cambiato nel
libro e nel tavolo rispetto a prima, quando questa forza non esisteva. Inoltre, come può il
tavolo essere ‘informato’ della direzione e dell'intensità della nostra spinta ? Come può sapere
in quale direzione e con quale intensità esso deve esercitare la forza d'attrito per mantenere
immobile il libro?
Ma giustamente, il libro è veramente rimasto immobile? Apparentemente sì, è ciò che si
legge nei manuali e che si vede ad occhio nudo. Tuttavia, se si osserva ad una scala più
piccola, ci si accorge che non è esattamente così. In realtà, il libro si è mosso nella direzione
della nostra spinta di una distanza molto piccola, mesoscopica, ma che potrebbe essere
misurata. Questo spostamento ha causato una deformazione nelle parti in contatto dei due
solidi, con le forze d'adesione fra queste parti che si oppongono alla rottura dei contatti (si
veda la fig. 1). Ecco spiegata la comparsa della forza d'attrito e la sua ‘intelligenza’ della
giusta direzione nella quale agire e della giusta intensità necessarie per mantenere il libro
1
Le spiegazioni dell'attrito comportanti un'analisi su scala più piccola risalgono ad Amontons e Coulomb
(Coulomb 1785), che proponevano modelli in termini di ‘enclenchement’, incastro meccanico di piccole asperità,
rigide o deformabili elasticamente. Queste teorie sono state in seguito abbandonate, poiché in gran parte
insufficienti, a favore di modelli associati all'adesione molecolare nei contatti tra asperità (Bowden & Tabor
1950 e 1964). Più recentemente, le ricerche sull'argomento hanno messo in evidenza il ruolo delle vibrazioni dei
reticoli atomici, le nuove tecnologie di misura e d'osservazione (microscopio a forza atomica, microbilancia a
cristallo di quarzo, ecc..) hanno permesso di sviluppare studi sull'attrito alla scala atomica, la nanotribologia
(Krim 1996 e 2002). D'altra parte, si è trovato che molti processi che determinano l'attrito hanno la loro origine
in granularità mesoscopiche (difetti di struttura dei materiali, dislocazioni, impurità), che si situano ad una scala
tra 0,1 e10 μm (Peters 2004). Per un’esposizione più dettagliata di questi aspetti, si veda il documento
“Approfondimento disciplinare: breve storia delle ricerche e delle teorie sull’attrito”.
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immobile: sono il piccolo spostamento del libro nel senso della spinta esterna e le
deformazioni che ne derivano nelle zone di contatto, che determinano un insieme di piccole
forze che si oppongono a queste deformazioni e dunque alla spinta esterna. La risultante di
tutte queste piccole forze è la forza d'attrito osservata su scala macroscopica, in senso opposto
alla nostra spinta.
Figura 1. Deformazioni di asperità in situazione di
attrito statico, con l'oggetto superiore spinto verso destra.
Si vede come un'analisi, anche qualitativa e grossolana, su scala mesoscopica, possa chiarire
il fenomeno che sembrava un po' misterioso, fornendo una chiave esplicativa allo stesso
tempo efficace, convincente e semplice.
5.3 Lavoro ed energia in presenza d'attrito
Nello studio di bilanci energetici in presenza d'attrito si presenta un problema di coerenza e
correttezza concettuale.
In effetti, il calcolo del lavoro compiuto dalle forze d'attrito, così come è presentato
abitualmente nei manuali scolastici ed universitari, non è corretto. Il problema è stato
evidenziato già da tempo nella letteratura (Sherwood & Bernard 1984, Arons 1992 cap. 5,
Besson 1999 e 2001); solo recentemente ha iniziato a entrare nei testi universitari (Resnick et
al. 2002, §13.3), ma non in quelli di scuola secondaria.
Un semplice esempio prototipo può bene illustrare il problema.
Si spinge con una forza F orizzontale una valigia appoggiata sul pavimento, facendola
muovere a velocità costante di una lunghezza d. Poiché la velocità è costante, possiamo
affermare che il pavimento esercita sulla valigia una forza d'attrito orizzontale F1=-F.
Facciamo un bilancio energetico della valigia. Il lavoro di F è W=F·d, quello di F1
sarebbe allora W1=F1·d =-W. Dunque il lavoro totale sulla valigia W+W1 sarebbe uguale a
zero, cosa che sembra bene in accordo con il fatto che l'energia cinetica della valigia non
cambia. Tuttavia, si sa che, a causa dell'attrito, la valigia si riscalda un po', dunque la sua
energia interna aumenta. Da dove viene quest'energia?
Passiamo al pavimento. Per la terza legge della dinamica, la valigia esercita sul pavimento
una forza F2=-F1=F. Dato che il pavimento rimane immobile, il lavoro W2 fatto su di esso
sarà uguale a zero. Ancora un problema, perché anche il pavimento si riscalda un po' e non si
comprende da dove può provenire l'energia corrispondente a quest'aumento di temperatura.
Come risolvere questa doppia difficoltà, senza rinunciare al principio di conservazione
dell'energia?
Il problema è generale e si presenta in tutti i casi in cui si vuole calcolare il lavoro delle
forze d'attrito.
La soluzione è ancora nel passaggio ad una scala più ridotta, quella delle asperità delle
superfici in contatto e delle loro deformazioni. In effetti, sono i piccoli spostamenti di queste
asperità durante le loro deformazioni, che occorre considerare per il calcolo del lavoro. Questi
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spostamenti sono piccoli (mesoscopici) ed è difficile, se non impossibile conoscerli in
dettaglio. Nel calcolo del lavoro della forza d'attrito occorre considerare il lavoro su ogni
piccola asperità delle parti in contatto dei due solidi. Ciò non può essere fatto in dettaglio, ma
si può vedere che la somma di tutti questi lavori dà come effetto globale, macroscopico, un
lavoro W1 della forza d'attrito sulla valigia che è uguale a quello che ci sarebbe con uno
spostamento uniforme x più piccolo di quello del centro di massa della valigia intera (vedi fig.
2): x<d. Si avrà dunque W1=F1⋅ x=-|F1|⋅|x| ed essendo W1 negativo, sarà |W1 |<|F1 ⋅d|=W
e W1 >F1 ⋅d.
Figura 2. Movimento di asperità in contatto
Il pavimento anche subirà piccole deformazioni locali delle sue asperità in contatto, tirate
dalla valigia (vedi fig. 2), il che darà un lavoro totale W2 positivo fatto dalla valigia sul
pavimento. Del resto, è incoerente affermare che lo spostamento del punto d'applicazione
della forza d'attrito F1 che agisce sulla valigia sia uguale allo spostamento d del centro di
massa della valigia e quello della forza d'attrito F2 che agisce sul pavimento sia uguale a zero.
Si tratta di forze di contatto, per cui il loro punto d'applicazione è lo stesso, dunque anche lo
spostamento sarà lo stesso. Dovrà dunque essere W2=-W1.
Questa descrizione spiega bene le cose, facendo scomparire le difficoltà indicate e salvando
la conservazione dell'energia. Il pavimento aumenta la sua energia interna di una quantità
W2>0, il che giustifica il suo riscaldamento. La valigia aumenta la sua energia interna di
W+W1=W -⏐W1⏐> 0, il che giustifica bene il suo riscaldamento. La misura relativa di questi
aumenti d'energia interna dipende dalla natura delle due superfici in contatto. La variazione
totale d'energia del sistema valigia + pavimento sarà W+W1 +W2=W, dato che W2=-W1.
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Tutto si tiene dunque, il riscaldamento della valigia e del pavimento ed il fatto che la
variazione totale dell'energia interna, che esprime questo aumento di temperatura, è uguale al
lavoro della forza esterna che spinge la valigia.
Più in generale, si può mostrare che il lavoro totale di una coppia di forze d'attrito è sempre
uguale a zero (Besson 1999). Si può dire che l'attrito è il risultato macroscopico di un gran
numero di brevi interazioni complete mesoscopiche. Mentre a livello macroscopico
l’interazione è ancora attiva, le piccole interazioni mesoscopiche di sui si compone finiscono,
ma altre, nuove, ricominciano. Più che di una sola interazione che continua, si tratta di una
serie di piccole interazioni che si susseguono.
Si vede che un'analisi su scala mesoscopica, anche grossolana e semplificata, è necessaria
ed efficace per stabilire correttamente i bilanci energetici in presenza dell'attrito ed evitare
errori e contraddizioni.
Il problema è legato a quello del calcolo del lavoro nel caso di sistemi deformabili, dove si
crea spesso una confusione fra il lavoro compiuto da una forza, in quanto prodotto scalare
della forza per lo spostamento del suo punto d'applicazione, e il prodotto scalare fra la forza e
lo spostamento del centro di massa del corpo, che non sempre coincide con quello del punto
d'applicazione della forza. Tale seconda quantità, avente le dimensioni di un lavoro, ma che
non è un lavoro, è stata anche definita come pseudolavoro o lavoro sul centro di massa
(Sherwood 1983, Arons 1992 cap.5, Besson 1999). In effetti, in un oggetto soggetto ad attrito
vi sono sempre deformazioni, e la quantità Wa=Fa·d usualmente considerata come il lavoro
della forza d'attrito è in realtà lo pseudolavoro, essendo appunto d lo spostamento del centro
di massa del corpo e non quello del punto di applicazione della forza.
Arons (1992, p.164) esprime alcuni dubbi sull'opportunità di trattare a fondo questo
problema del lavoro della forza d'attrito in un corso elementare: “nei corsi introduttivi, io
esiterei prima di investire del tempo in tale analisi”. Al contrario, il tema è affrontato nel
documento d'accompagnamento dei programmi francesi del 2001 per la première (penultima
classe di liceo), dove si fa, fra l'altro, l'esempio di un ciclista e di un oggetto lanciato su un
tavolo orizzontale (CNDP 2002, p. 39-42).
Noi pensiamo che in qualche modo la questione vada affrontata, per una questione di
coerenza concettuale, in un triennio di scuola secondaria superiore, pur con le dovute
accortezze, anche solo in forma di discussione problematica e critica. Peraltro, non si
presentano particolari ostacoli di ragionamento né difficoltà matematiche.
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