Shiva, Il Signore del Sonno

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Shiva, Il Signore del Sonno
Shiva, Il Signore del Sonno
Le origini dello shivaismo
Alcuni degli aspetti più profondi del pensiero indiano sono stati legati, in passato e ancora oggi,
alla filosofia shivaita. Questa filosofia, originariamente distinta da quella dei Veda, appartiene a
uno strato più antico della civiltà indiana che, a poco a poco, venne assimilata dai conquistatori
ariani.
Rudra,
il respiro vitale del cosmo, è l’equivalente vedico di
Shiva
: inizia a prendere il suo posto predominante come dio dell’Oscurità trascendente e
personificazione della tendenza disintegrante (
tamas
), soltanto nelle
Upanishad
, che esprimono il pensiero di un’epoca in cui la visione
vedica
del mondo aveva abbandonato gran parte dell’originaria concezione naturalistica dell’universo,
per impregnarsi di altre nozioni prese dalle culture aborigene del paese indiano. Nei
Veda
l’aggettivo
shiva
, che significa “benefico”, serviva unicamente come epiteto di
Rudra
; a poco a poco sotituì, nell’uso comune, il terribile nome di
Rudra
, che si aveva paura solo a pronunciare. I
Purana
e gli
Agama
, in cui sono raccontati i miti e il rituale del culto di
Shiva
, formano una vasta letteratura che contiene, insieme con interpolazioni relativamente recenti,
alcuni dei più antichi documenti sulla religione dell’India e del mondo. Queste opere, con i miti e
i riti che espongono, ritrovano lentamente, tra i libri sacri degli induisti, un posto che era stato
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contestato per lungo tempo dai primi tre
Veda
e dai testi annessi (il quarto Veda, l’
Atharva
, è di ispirazione diversa ed è più vicino agli
Agama
che non al
Rig Veda
).
Lo shivaismo ha sempre costituito la religione della gente semplice dell’India, per la quale non
vi era nessuno spazio nella società aristocratica degli ariani, ma è rimasto pure la base delle
dottrine esoteriche trasmesse da ordini iniziatici la cui missione era, ed è ancora, di conservare
le forme più elevate della speculazione metafisica attraverso i periodi di conflitto e decadenza,
come quello che seguì alla conquista ariana dell’India, quando cioè i vincitori proclamarono la
superiorità delle proprie concezioni religiose, relativamente grossolane, sulla saggezza senza
tempo delle culture indigene (di cui però i conquistatori finirono gradatamente per impregnarsi).
La documentazione più antica ancora oggi esistente sulla filosofia dello shivaismo si trova negli
Agama shivaiti
, nelle
Upanishad shivaite
e in sei
Purana shivaiti
: il
Linga Purana
, lo
Shiva Purana
, lo
Skanda Purana
, il
Matsya Purana
, il
Kurma Purana
e il
Brahmanda Purana
. Comunque, anche la maggior parte degli altri
Purana
sono basati su vecchissime tradizioni autoctone, in particolare
l’Agni Purana
. Tutti raccontano i miti di Shiva.
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La complessa cosmologia shivaita differisce, nella sua forma ed espressione, dalla cosmologia
vedica
, sebbene abbia visibilmente avuto una grande influenza si tardi testi
vedici
e sulle
Upanishad
. Gradualmente tra la maggior parte dei termini dei due sistemi si andarono stabilendo
equivalenze, tanto che gli induisti credono a stento che originariamente si trattasse di due
filosofie diverse.
Ai nostri giorni la filosofia shivaita rappresenta l’aspetto più astratto del pensiero religioso
indiano. Essa ci porta gli strani e profondi insegnamenti della più antica cosmologia, come pure
i metodi dello yoga che sono la base di ogni concezione di progresso interiore e di realizzazione
spirituale, nell’induismo attuale come lo era nell’india pre-ariana.
La tendenza verso la disintegrazione (tamas)
Ogni cosa che ha un inizio deve necessariamente avere una fine. Tutto ciò che è nato deve
morire. Tutto ciò che esiste deve cessare di esistere. Ecco perché ogni cosa che esiste si dirige
inevitabilmente verso la disintegrazione. Il Potere di distruzione è la via che porta alla
cessazione dell’esistenza e alla cosa più vicina alla non-esistenza, l’Immensità senza attributi,
nella quale tutto si dissolve. Questo potere universale di distruzione per cui termina ogni forma
di vita e da cui scaturisce tutto ciò che vive è denominato Shiva, il Signore del sonno, “colui dal
quale gli esseri nascono, mediante il quale, una volta nati, vivono, nel quale si fondono allorchè
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muoiono” (
3,1).
Taittiriya Upanishad
Shiva è la personificazione di tamas, l’inerzia centrifuga, la tendenza verso la dispersione, la
disintegrazione, l’annichilazione. Mentre l’universo si espande indefinitamente, esso si dissolve
gradualmente e cessa di esistere in quanto organismo. Questa dispersione nell’oscurità
dell’insostanzialità causale segna la fine di ogni differenziazione, di ogni luogo e tempo.
Nulla di ciò che esiste può sfuggire a tale processo di distruzione. L’esistenza è solo uno stadio
in un universo che si espande, cioè si disintegra. Dalla distruzione, dalla disintegrazione,
rinasce nuovamente la vita. Per tale ragione la distruzione è la causa ultima, l’origine primaria di
ogni creazione. Alla fine e all’inizio rimane solo Shiva, il potere della disintegrazione. Egli è
descritto come un vuoto infinito, substrato dell’esistenza, ed è paragonato al silenzio e
all’oscurità dell’inconscio di cui abbiamo un’esperienza relativa nel sonno senza sogni, nel quale
è sospesa ogni attività mentale.
Sotto un certo aspetto, Shiva, il Signore del sonno, è dunque identificato con il substrato
dell’immensità; da un altro punto di vista, è in relazione con l’inizio e la fine dell’esistenza. È
perciò il termine che collega l’immensità, il brahman, il substrato neutro, impersonale, al
principio causale o divinità personale (
ishvar
a
). È
lo stato supremo del reale, poiché al di là di esso c’è il non esistente. Le
Upanishad
lo descrivono come un abisso senza fondo.
Il dio terribile e benefico
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Dal punto di vista dell’essere individuale, la distruzione si manifesta sempre in due stadi
successivi. Il primo è la morte fisica, il secondo la dissoluzione dell’individualità sottile. Il primo è
la fine dell’esistenza apparente, il secondo la liberazione dai suoi legami sottili. Dunque, vi sono
due aspetti di Shiva: uno spaventoso, l’altro desiderabile, uno immediato, l’altro trascendente.
Nel suo ultimo atto Shiva rappresenta la morte della morte, cioè la vita eterna.
D’altronde è dalla distruzione che nasce la vita. La vita esiste perché divora la vita. Di
conseguenza, Shiva è l’immagine di colui che dà la morte. In quanto fine di ogni cosa, Shiva è
il dio della morte; in quanto origine di tutto il creato, è la sorgente della vita.
Shiva è quindi rappresentato come il dio terribile che distrugge, che divora tutto, ma anche
come l’essere misterioso e sensuale che erra attraverso foreste e montagne, che dà nascita a
tutte le forme della vita, che crea mondi nuovi ed esseri nuovi tramite il ritmo della sua danza, i
suoni del suo tamburello, le posizioni dello yoga, le gocce del suo seme gettate ai venti.
La sua immagine ci arriva dagli abissi della preistoria. Sembra essere il più antico di tutti gli dei.
Rudra, il Signore delle lacrime, il distruttore
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Nel tardo induismo, Shiva (il Signore del sonno) è il nome dato all’aspetto placido, trascendente
della tendenza disintegrante, mentre
Rudra (il Signore delle lacrime)
rappresenta l’aspetto aggresivo, attivo, visibile della distruzione. Dunque,
Rudra
simboleggia direttamente la tendenza centrifuga, la dispersione, l’oscurità (
tamas)
che nella Trinità è associata alle altre due tendenze: cioè la centripeta (sattva), che crea la luce,
e quella orbitante o dinamica (
rajas
), che crea il tempo e lo spazio, e che sono rappresentate rispettivamente dall’Immanente (
Vishnu
) e dall’Essere immenso (
Brahma
).
Nei Veda, Rudra si manifesta come un dio potente e pericoloso. È la divinità urlante delle
tempeste, padre delle divinità dei venti; oppure, talvolta, è identificato con il fuoco. Non ci si può
fidare di lui. Il suo nome non deve essere pronunciato. Le sue formule magiche sono proibizioni.
Nei riti, il suo posto è separato da quello degli altri dei. L’oblazione che gli spetta è l’offerta con
quella degli anti-dei e degli spiriti del male.
Il Rig Veda definisce Rudra Signore degli inni, Signore dei sacrifici, il Guaritore, Brillante come il
sole, il migliore e il più benefico degli dei. Egli distribuisce la ricchezza e fa prosperare i cavalli, i
montoni, gli uomini, le donne e le vacche. È colui che nutre e allontana il male.
Una lunga preghiera a lui dedicata nello Yajur Veda lo chiama benevolo, senza malizia,
liberatore, guaritore celeste, rosso, dal collo blu, dai mille occhi, portatore di mille faretre. In un
altro inno, così come nel Rig Veda, ha tre occhi. È profumato e porta la prosperità. Protegge il
bestiame, tuttavia il suo carattere è violento. Non gli si può nascondere nulla. Non c’è niente
che gli sfugge. È lui che punisce i colpevoli.
In quanto principio attivo di ogni distruzione, il Signore delle lacrime è il Reggente dell’universo.
“Rudra, il terribile, unico e senza secondo, governa tutti i mondi con i suoi poteri. Egli risiede in
ogni creatura. È il protettore. Avendo creato tutti gli esseri viventi, li annichilisce alla fine del loro
tempo” (
Shvetashvatara Upanishad 3,2).
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Il mondo è governato dalla paura. Rudra è “la grande paura, la Folgore che minaccia”. La
collera degli dei è la fonte della paura. In quanto sovrano supremo, il Signore delle lacrime
incarna tutto ciò che spaventa. In esso è venerata la collera stessa.
La prima forma di distruzione è il fuoco. Agni, Signore del fuoco, è dunque una manifestazione
di
Rudra. Tutto ciò che brucia appartiene a Rudra.
Il calore del sole è il respiro di
Rudra
. In quanto personificazione del fuoco sacrificale,
Rudra
è denominato il Padrone del bestiame. In alchimia, il mercurio, che si pensa sia l’energia solare
accumulata negli strati della terra, è definito lo sperma di
Rudra
.
Shiva, il Benefico, Signore del sonno
“Nei Testi Antichi la forma più astratta di Rudra è chiamata Shiva” (Linga Purana 1,3,10). Secon
do gli
Unadi Sutra,
la parole
shiva
deriva dalla radice
shin
che significa sonno. Negli inni dei Veda il termine
shiva
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, nell’accezione di “benefico”, è soltanto un aggettivo che si applica agli aspetti tranquilli di
Rudra
.
Oggi i due nomi Rudra e Shiva sono sinonimi. Tuttavia, in teoria, Rudra rappresenta l’aspetto
terribile e attivo della divinità, mentre
Shiva
è l’aspetto benefico, pacifico, trascendente della tendenza disintegrante, ciò che rimane dopo
che le altre due tendenze hanno finito di esistere.
Questo riposo del sonno esprime la misericordia ultima del creatore. Perfino Indra, il re del cielo
che possiede tutti gli strumenti del piacere, alla fine cerca la pace della non esistenza (
Bhagavata Purana
).
Shiva
, l’ultimo stadio, non differenziato, nella dualità rappresenta la meta suprema dello yogi, il quale
“sa che il signore del sonno rappresenta questo quarto-stato (
turiya
) non duale, non differenziato, che è la pace” (
Mandukya Upanishad
7).
Noi temiamo la morte, il riposo eterno, per la nostra incapacità di comprenderne il significato. In
questo mondo illusorio, l’uomo teme la morte anche se essa rappresenta la liberazione dai suoi
legami, l’unica cosa veramente desiderabile. “Lo stesso yogi la teme, vedendo un soggetto di
terrore in ciò che in realtà è la liberazione della paura” (Gaudapada Karika 3,39).
Il Grande Dio (Maheshvara), Signore della conoscenza
Il Grande Dio, Signore della conoscenza, rappresenta lo stato in cui non sussiste alcuna
differenza, “il luogo dove l’individualità si fonde in questo essere più vasto che è in noi e che
nondimeno esisteva prima della nostra nascita, prima dell’apparizione della creazione. Questo
vero Sé di tutti gli eseri è la divinità trascendente non qualificata, che si chiama Grande Signore
Maheshvara
” (Karapatri
Maheshvara,
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Sanmarga, 1946). Il Dio che è al di sopra di tutti gli dei, che forma l’insieme indivisibile di tutte le
divinità, è il Grande Signore,
Maheshvara
. Questa unità di tutto ciò che esiste è rappresentata dall’unità delle tre funzioni che
costituiscono la natura del cosmo, del sacrificio cosmico: la Potenza (
Indra)
, il Divoratore (
Agni
) e il Divorato (
Soma
), i tre aspetti principali di Shiva.
Nei Purana e nelle Upanishad, il Grande Signore è la divinità della conoscenza trascendente. In
esso sono coordinate le tre energie che formano la natura del sapere: il potere di comprendere (
jinana
), quello di volere (
ichcha
) e quello di agire (
kriya
). Dunque
Shiva
, nell’aspetto di
Maheshvara
, è adorato in quanto Realizzazione attraverso la Conoscenza.
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Il Maheshvara Sutra
Ogni sciena può portare alla fonte comune di tutte le scienze. Tuttavia esistono quattro vie del
sapere che sono considerate come le più dirette per la comprensione della realtà superiore.
L’insegnamento di queste quattro scienze è simbolicamente attribuito a Shiva. Esse sono: lo Yo
ga
o metodo di percezione soprasensoriale della realtà trascendente; il
Vedanta
o teoria metafisica, che è la comprensione intellettuale della realtà trascendente; la Semantica o
studio dei mezzi di trasmissione del sapere, che prende in esame le relazioni delle parole o dei
simboli verbali con le idee o immagini mentali: la Musica, che è la percezione diretta dei rapporti
simbolici dei numeri con le idee e le forme. La teoria di queste quattro forme di conoscenza
viene fatta derivare da una formula misteriosa denominata “filo del Grande Signore” (
Maheshvara Sutra
) che sarebbe scaturito dal suono del tamburello di Shiva durante la danza cosmica tramite la
quale egli creò l’armonia che è l’universo.
Il Maheshvara Sutra comprende tutti i suoni articolati possibili sistemati in un ordine simbolico
che si dice costituisca la chiave della struttura e del significato di ogni linguaggio. Rappresenta
una delle formule verbali esoteriche nelle quali era condensata l’antica saggezza
shivaita
e che viene ritenuta la prima rivelazione. Secondo alcuni adepti estremamente ortodossi dello
shivaismo, il trasferimento dei loro valori magici ai simboli verbali, agli incantesimi e alle
elaborazioni poetiche degli inni vedici rappresenta propriamente una ri-velazione (nel senso di
“coprire con un nuovo velo”) dell’antica saggezza in seguito alla conquista ariana. Il termine
veda (che significa “sapere”, nel suo senso universale, cioè rappresentala legge stessa del
mondo, la pura “conoscenza intellettuale senza inizio né fine”) non si riferisce alle raccolte di
inni dei quattro
Veda
, bensì a queste antiche formule o
mantra
che non appartengono, nemmeno esteriormente, ad alcun linguaggio particolare e che, ancora
oggi, restano la base segreta delle conoscenze esoteriche preservate attraverso la trasmissione
iniziatica degli asceti indù.
Nella teoria del linguaggio bisogna fare una distinzione fondamentale tra le parole e il loro
significato. Shiva, che è la sostanza del sapere, è identificato con il senso delle parole. La
stessa parola, lo strumento tramite il quale afferriamo il significato, è una forma di energia ed è
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quindi assimilata alla potenza di
Shiva, al principio attivo della sua
manifestazione, rappresentata come sua compagna. “
Shiva
è il senso, la compagna la parola” (
Linga Purana
III, 11, 47).
La divinità del Tempo
“Nel Vishnu Purana (1,2) è detto che quando le tre tendenze fondamentali arrivano a uno stato
di equilibrio e si annullano a vicenda, il flusso che costituisce l’universo cessa di esistere. Da
quel momento, la Natura e la Potenza (
Prakriti e Purusha) si separano.
Allora, l’aspetto manifesto dello stato supremo causale, sul quale poggiano Natura e Persona, è
l’Eternità o Tempo assoluto (che è solo presente). Dunque, il Tempo assoluto è la realtà
trascendente che, al momento della creazione, unisce la Natura e la Persona e che le separa
quando l’universo si dissolve. La parola “tempo” (
kala
) è quindi impiegata in un’accezione teologica per rappresentare l’unione del Signore del sonno
(
Shiva
), substrato manifesto, con la sua capacità di agire (o energia), costituita dalla sua sposa (
Shakti
). L’unione è quella dell’Illusionista (
Mayin
) e del suo Potere di illusione (
Maya
)” (Yogatrayananda Kala tattva, Shivaratri, pag. 177).
Quando è identificato con il Signore del sonno o con il Grande Dio (Maheshvara), il tempo
eterno e indivisibile è noto come Tempo-Trascendente o Assoluto, o il Grande Tempo (
maha-kala
).
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Il tempo relativo misura ogni crescita, ogni declino, ogni esistenza. Il potere elusivo che
distrugge tutto è la sola misura della vita. Dunque, il tempo è la potenza di Rudra, la potenza
della morte, il distruttore universale.
Il Maestro della reintegrazione (yoga)
Lo stadio raggiunto dallo yogi che è riuscito a ridurre la mente al silenzio è la sorgente della
conoscenza dove, una volta arrivato, prende coscienza del substrato non manifesto della
manifestazione. Tutti gli insegnamenti della tecnica di reintegrazione (yoga) e il processo stesso
di liberazione sono percepiti dallo
yogi
nella caverna del suo cuore, sotto forma della divinità trascendente, di
Maheshvara
. Il Grande Signore è quindi il Grande
Yogi
, colui che insegna tutto ciò che è al di là dell’esperienza dei sensi. A lui è attribuita la
rivelazione delle tecniche dello yoga agli uomini.
Shiva
perciò viene rappresentato come l’asceta per antonomasia, il Grande
Yogi
(
Maha yogin
) in cui sono riunite le perfezioni dell’austerità, dell’ascesi, della meditazione, attraverso le quali
si ottengono poteri senza limiti. È mostrato nudo, vestito delle direzioni dello spazio (
digambara
), con i capelli scarmigliati (
dhur-jati
) e il corpo strofinato con la cenere.
Siccome i metodi dello yoga, che in questo differiscono dai riti, sono aperti a tutti coloro che ne
seguono le discipline, Shiva, lo Yogi, è accusato nei libri sacri ariani di essere il maestro degli
umili, degli impuri, di essere la divinità che rivela i segreti della più elevata verità a chi non ha
nemmeno le qualifiche per la pratica dei riti.
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Shankara (Dispensatore della felicità) e Shambhu (Luogo di felicità)
Poiché creò (kri)la felicità (sukha o sham), poiché è la fonte della gioia senza limiti, Shiva,
L’essere supremo, senza forma, è denominato Dispensatore della felicità (
Shankara
). Felicità senza limiti è il nome attribuito all’esperienza della conoscenza trascendente, del
Sapere assoluto.
L’Ermafrodita (Ardha-nari-ishvara)
Il substrato neutro improduttivo si divide dapprima in sostanza e in energia, in un principio
maschile e in uno femminile. Quando questi due elementi si uniscono di nuovo, ne scaturisce
una scintilla che costituisce una scintilla che costituisce l’attrazione, il desiderio, la sorgente del
flusso della vita. È questo desiderio a essere l’origine della manifestazione. La teoria della
polarizzazione del substrato unico che si divide in maschile e femminile permette di spiegare la
comparsa nel substrato neutro della scintilla della concupiscenza. L’unione di Shiva (la
sostanza) e di
Shakti
(l’energia) è il fondamento di ogni creazione. Ciò è simboleggiato dall’
ermafrodita
, metà maschio e metà femmina, la cui natura è puro desiderio. “quando l’Esistenza e la
Coscienza si uniscono, la loro unione è una voluttà e in tale voluttà risiede il loro fine. La loro
esistenza separata non è che apparenza” (Karapatri
Lingopasana-rahasya
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Shiva, Il Signore del Sonno
, Diddhanta, volume III, pag. 153).
Il simbolismo dell’ermafrodita è equivalente a quello del linga (il fallo) e della yoni (l’organo
femminile). Dal punto di vista cosmologico, “il potere di deliberazione mentale (
vimarsha
) e il potere di espressione (
prakasha
) si estrinsecano anzitutto nel “determinante spazio”, cioè il punto limite (
bindu
), la prima localizzazione da cui inizia la manifestazione, e nel “determinante tempo”, il primo
ritmo, costituito dalla vibrazione primordiale (
nada
). Lo spazio è considerato femminile, il tempo maschile. La loro unione nell’ermafrodita è nota
come desiderio (
kama
), l’impulso creatore” (Karapatri
Shri Shiva-tattva
, Siddhanta, 1941, pag. 114).
“il principio maschile si identifica anche con il fuoco, il divoratore, mentre quello femminile è il so
ma
, l’offerta divorata. Dunque, l’ermafrodita è l’immagine del sacrificio cosmico, della natura
dell’universo” (
Devata-tattva
).
Shiva si può unire soltanto con se stesso, perché “la bellezza perfetta può contemplare solo se
stessa, riflessa in se stessa. Nessun altro specchio se non la perfezione è in grado di riflettere
la perfezione. Ed ecco che l’Essere divino è “stupito della propria bellezza”. Quando
Shiva
e il suo potere (
Shakti)
si uniscono, si manifesta la scintilla del desiderio e dal sentimento dell’amore scaturisce
l’universo” (karapatri
Linga
Rahasya
, Siddhanta, 1942, pag. 154).
“Egli divise il proprio corpo in due metà, una era maschile e l’altra era femminile. Il maschile
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Shiva, Il Signore del Sonno
dentro questo femminile generò l’universo” (Manu Smriti 1,32).
Tratto da “Miti e dei dell’India”
I mille volti del pantheon induista
Di Alain Daniélou
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