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SENTENZE IN SANITÀ – CORTE DI CASSAZIONE
Cassazione civile - Sezione Lavoro – sentenza n. 11786 del 7 giugno 2005
Il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di
lavoro, non eserciti il potere medesimo e non usufruisca quindi del periodo di riposo annuale, non ha il
diritto all'indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non provi la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive ostative alla suddetta fruizione.
Svolgimento del processo
La sig.ra Antonietta Falcone, quale erede del rag. Raffaele Fabbrocino, a suo tempo Direttore
generale dell'ISVEIMER, ricorre per Cassazione esponendo tre motivi d'impugnazione contro la
sentenza, descritta in epigrafe, della Corte d'appello di Napoli che, confermando la decisione di
primo grado, ha rigettato la domanda che il marito, licenziato dai Commissari liquidatori della
spa ISVEIMER in liquidazione il 22 gennaio 1997, aveva proposta nei confronti della società
per ottenerne la condanna al pagamento della (residua) complessiva somma di circa 108 milioni
di lire, oltre accessori, a titolo: a) di retribuzione del mese di gennaio 1997, con conseguente rateo di tredicesima; b) d'indennità sostitutiva per ferie non godute, pari a 60 giornate dal settembre '93 al gennaio '97 e, c) d'indennità sostitutiva per festività soppresse.
Circa il mancato riconoscimento dell'indennità sostitutiva per ferie e festività soppresse, la sentenza d'appello ha ritenuto che l'interessato non avesse provato "l'assoluta eccezionalità delle esigenze di lavoro" che gli avrebbero impedito, come vertice apicale dell'ISVEIMER, d'interrompere il servizio per goderne, ciò "non potendo di certo, ritenersi insito nella sola dedotta attività liquidatoria", né risultando che avesse lavorato nei giorni festivi soppressi.
La Corte napoletana ha osservato, inoltre, quanto alla retribuzione del gennaio 1997 (e correlato
rateo di tredicesima), negati dalla sentenza di 1^ grado, che l'intenzione, espressa con fax dal
Fabbrocino a fine dicembre 1996 di voler riprendere, essendo stata revocata la misura cautelare
penale cui era stato sottoposto, la prestazione lavorativa, era stata dedotta per la prima volta in
appello e, quindi, non meritava d'essere valutata, stante il divieto di domande nuove in appello,
incidente anche sulla possibilità di produrre i convergenti documenti diretti ad attestare la circostanza.
Infine, sulla base dello stesso principio, la sentenza ha fondato il rigetto della pretesa, manifestata con l'appello e formulata sotto il profilo dell'intesa prevista dal contratto individuale, di dover
ricevere, in ogni caso, "tutto quanto avrebbe percepito fino alla scadenza del contratto, senza alcuna decurtazione". L'ISVEIMER in liquidazione resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia difetti di motivazione e falsa applicazione degli
artt. 2109 e 2697, cod. civ., e degli artt. 99, 112, 115 e 116, cod. proc. civ., perché la Corte territoriale avrebbe trascurato di prendere in considerazione il motivo d'appello con cui aveva lamentato il mancato accoglimento della domanda relativa alla corresponsione dell'indennità so-
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stitutiva per ferie non godute dal settembre '93 al dicembre '96 e, pro quota, per il gennaio 1997.
Evidenzia, al riguardo, che la sentenza avrebbe erroneamente ritenuto che il Fabbrocino aveva
"solo dedotto e chiesto di provare, d'aver quotidianamente svolta dal 1994 al 1996 la sua attività
di Direttore generale, ., senza tuttavia allegare e dimostrare circostanze idonee a provare l'assoluta eccezionalità delle esigenze di lavoro (non potendo di certo ritenersi la stessa insita nella
sola dedotta attività liquidatoria tale da non consentirgli un'interruzione temporanea per il godimento delle ferie spettanti"); trascurando, così, di prendere in considerazione "il punto 7 degli
elementi di fatto del ricorso introduttivo", dove "s'evince l'esplicita affermazione della mancata
fruizione delle ferie per effetto di 'eccezionali ed obiettive esigenze aziendali ostative a tale godimento".
Aggiunge che tale convincimento è stato distorto dalla mancata ammissione delle prove orali
articolate nel ricorso, reiterate in appello e riferite o riprodotte alle pagg. 8, 13 e 14 del ricorso
per Cassazione, nonché dall'omessa acquisizione della procura, attestante i poteri di firma dal
maggio 1996, rogata dal notaio Mazzocca, conferitagli dall'Istituto, da cui ricavare la dimostrazione, per gli anni '94 e '95, del "mancato godimento delle ferie" e dell'impossibilità di fruire dei
giorni di riposo, per gli incarichi straordinari svolti in aggiunta a quelli di D.G., dovendo "assistere una società di revisione impegnata nella riorganizzazione dell'Ente e per seguire la problematica straordinaria della fusione con altra Società", garantendo, altresì, nella veste di Direttore generale, la collaborazione dell'Ente all'ispezione (1995), promossa dalla Banca d'Italia
sull'Istituto e, successivamente, presiedendo all'attività liquidatoria dell'Istituto, iniziata nel '96,
per cui erano stati evidenziati, infine, i limitati periodi di ferie goduti fra il '93 e il 1996. Il motivo non merita di essere accolto.
Sulla questione, infatti, è appena il caso di ricordare l'ormai consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale, nell'ambito del principio generale d'irrinunciabilità del diritto costituzionale alle ferie per tutti, dirigenti compresi, i lavoratori, tuttavia non spetta l'eccezionale istituto
dell'indennità per ferie non godute a chi, rivestendo una funzione di vertice nell'organizzazione
dell'impresa, non eserciti l'autonomo potere di collocarsi in ferie disponendo del tempo di godimento del riposo annuale in modo indipendente, ovvero senza possibilità d'interferenza datoriale, fatta salva la prova, da parte sua, di particolari e straordinarie esigenze aziendali, che ne abbiano obiettivamente impedito il godimento (v. Cass. 18 ottobre 1975, n. 3390; 6 novembre
1982, n. 5825; 9 novembre 1981, n. 5936; 7 marzo 1996, n. 1793; 27 agosto 1996, n. 7883; 11
giugno 1998, n. 5851; 24 dicembre 1999, n. 14554).
Ciò posto, i giudici del merito hanno escluso il preteso diritto all'indennità sostitutiva delle ferie,
avendo ritenuto riferibile al Fabbrocino, con un apprezzamento di merito insindacabile in questa
sede, l'organizzazione delle sue funzioni "tenuto conto della sua posizione apicale", posto che
egli, quale Dirigente generale della società, gestiva in prima persona i tempi del suo lavoro, con
l'effetto di rendere inopponibile alla società la pretesa in argomento, in considerazione del carattere esclusivo e totalizzante del suo potere di coordinarsi, al di fuori di ingerenze superiori o
contrastanti.
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In questo contesto, pertanto, non può essere condiviso il tentativo della difesa ricorrente di superare detto principio attraverso la sottolineatura, peraltro dedotta genericamente, come osservato
dai Giudici del merito, nel corso dell'esposizione del ricorso originario (v. punto 7);con riferimento ad un impegno "quotidiano", e dunque non immediatamente riferibile anche alla stagione
feriale, di attività ritenute ulteriori e "aggiuntive" (quali la fusione, l'intervento di revisione e l'ispezione accennate) che, proprio per la qualità rivestita dal Fabbrocino, non potevano non coinvolgere "quotidianamente", ovvero in modo normale, al di fuori di problematiche connesse alle
ferie, la sua posizione apicale nella gestione della complessiva attività dell'Ente, tenuto conto
che correttamente la sentenza d'appello ha rimarcato la necessità di una allegazione e di una
prova specificatamente diretta ad evidenziare "l'assoluta eccezionalità delle esigenze di lavoro"
che avrebbero ostacolato, nel corso degli anni di riferimento, il godimento delle ferie (e delle
festività soppresse). Con il secondo mezzo d'impugnazione la parte ricorrente ipotizza la falsa
applicazione degli artt. 2697 e 2702, cod. civ., e degli artt. 99, 112, 115, 345, 414, n. 5, 421 e
437, cod. proc. civ., oltre difetti di motivazione, perché il Giudice d'appello, negando la retribuzione del gennaio '97 e la conseguente quota di "tredicesima", non aveva tenuto conto che il
Fabbrocino aveva messo a disposizione della società la propria attività, interrotta da "provvedimenti restrittivi della libertà personale e dall'intervenuta sospensione cautelare", comunicando
l'intervenuta messa in libertà ai Liquidatori con fax del 31 dicembre 1996, reiterato con raccomandata dell'8 o 10 gennaio '97, e sostiene che l'interessato ne aveva, in ogni caso, diritto, poiché il contratto individuale di lavoro prevedeva, al punto 5, che gli dovesse essere "comunque
corrisposto tutto quanto avrebbe percepito fino alla scadenza indicata al punto 1, (SENZA ALCUNA DECURTAZIONE)".
Lamenta, pertanto, l'omessa pronuncia sia sul diritto alla retribuzione, sia sulla messa a disposizione dell'attività lavorativa da parte del Fabbrocino, ingiustificatamente negata da controparte,
perché dedotta con l'appello e non sin dal ricorso introduttivo, posto che le prove documentali
precostituite, prodotte in appello (fax, raccomandata, provvedimento di scarcerazione), non introducevano nuovi temi d'indagine o domande nuove, riguardando un semplice ampliamento del
tema conteso ed involgendo mere difese. Il motivo è assolutamente infondato.
Si legge, infatti, in sentenza, a proposito di questo punto, che "la prospettazione dei fatti...è stata
formulata per la prima volta solo in sede di gravame, non risultando, dalla lettura del ricorso di
primo grado l'allegazione di una tale circostanza (messa a disposizione delle proprie energie lavorative)...".
A prescindere, dunque, dal problema delle prove documentali, di cui si dirà, allegate solo in appello a suffragio di questa pretesa retributiva, la questione sollevata con questa censura contesta
quanto affermato dalla Corte territoriale per aver ritenuto non tempestivamente dedotta la "messa a disposizione delle energie lavorative".
Orbene, non si tratta qui, evidentemente, di una semplice emendatio del ricorso di primo grado,
dove era stato preteso genericamente il riconoscimento della retribuzione del gennaio '97, quale
termine finale del rapporto, ma dell'allegazione del fatto costitutivo del preteso diritto invocato
attraverso la comunicazione della cessazione dell'impedimento della prestazione lavorativa, con
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contestuale disponibilità alla sua ripresa, manifestata ai Commissari liquidatori dal Fabbrocino.
Circostanza, questa, che il profilo di ricorso non contesta assolutamente rispetto all'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, di una "prospettazione dei fatti.
... formulata per la prima volta in sede di gravame", che, semmai, avrebbe dovuto indurre a una
specifica denuncia di error in procedendo per omessa valutazione del fatto decisivo costituito
dall'omessa valutazione di questa circostanza. D'altra parte, quanto alla disponibilità in appello
delle prove documentali precostituite, è appena il caso di segnalare che le Sezioni unite di questa Corte, ricucendo finalmente un vulnus processuale emerso in ordine alla producibilità in appello dei documenti precostituiti, hanno statuito, con le sentenze nn. 8202 e 8203 del 20 aprile
2005, i generale divieto di una produzione tardiva di documenti, rispetto all'atto introduttivo del
giudizio, salvo i casi eccezionali dovuti al tempo della loro formazione o all'evolversi della vicenda processuale, che ne giustifichi l'introduzione. Essendosi la Corte partenopea attenuta a tale riconfermato principio di diritto che il Collegio condivide, il motivo deve essere disatteso anche sotto questo aspetto.
D'altra parte, con riferimento al concorrente e alternativo titolo del debito ventilato con questo
profilo d'impugnazione, perché in tesi garantito dal contratto individuale mediante la previsione
di ottenere, come corrispettivo, "tutto quanto dovuto sino alla scadenza, senza decurtazione alcuna", occorre rimarcare che questo profilo non risulta in quali linee fosse stato specificamente
allegato nella fase originaria di merito, dove a ben vedere, s'invocava il contratto di lavoro (v.
pag. 16, secondo alinea, ricorso) e la sua perdurante efficacia, senza considerare che la permanente corrispettività delle reciproche prestazioni, salvi specifiche eccezioni (quali la malattia, le
ferie, ecc.) costituisce la "causa tipica" del contratto di lavoro.
Né si prospettano in questa sede, secondo il noto principio d'autonomia del ricorso desumibile
dall'art. 366, n. 4, cod. proc. civ., i termini della previsione pattizia, per contro solo genericamente enunciati. Inoltre, a conforme conclusione negativa, come detto, deve pervenirsi in relazione alla mancata ammissione di prove vagamente riferite nel corso dell'esposizione di questo
mezzo ed articolate, secondo l'assunto, come "mere difese" in appello.
Infatti, il principio di allegazione, che è sotteso all'enunciazione dei fatti su cui si basa la pretesa, impone, ab origine, una ricostruzione puntuale ed obiettiva del rapporto di lavoro, anche nel
suo divenire, trattandosi di un rapporto di durata, perché solo a fronte di una siffatta chiarificazione sorge, in misura paritetica, l'obbligo vicendevole della contestazione (v. SS.UU. 17 giugno 2004, n. 11353). L'affermazione, pertanto, che la documentazione della ritrovata libertà costituisse una semplice difesa, argomentata in relazione all'eccezione di controparte dell'impossibilità della prestazione per fatto del Direttore, imponeva, secondo l'insegnamento appena detto,
e a tutto concedere, l'immediata prospettazione della circostanza sin dal momento dell'eccezione
d'inadempimento, con le relative dimostrazioni documentali, ma giammai può costituire elemento di "eccezione" o "mera difesa" in appello, trovando la pretesa in questione fondamento
nel fatto (costitutivo) "nuovo" della recuperata disponibilità della prestazione da parte dirigente.
Con il terzo profilo la difesa ricorrente si duole, sotto la consimile, rispetto ai precedenti motivi,
prospettazione di violazioni di legge e vizi di motivazione, del fatto che il Giudice non abbia ri-
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conosciuto la ricompensa per il mancato godimento delle quattro festività soppresse, adducendo
che il Fabbrocino non aveva "neppure allegato e chiesto di provare, articolando specifico capo
di prova, lo svolgimento della prestazione lavorativa in tali giorni".
Reclama, infatti, d'aver offerto di provare, "con apposito mezzo istruttorio (prova testimoniale)..." questo aspetto che, "...il G.U.L. prima e la Corte d'appello poi, immotivatamente, ritenevano opportuno non esperire" e, a questo riguardo, obietta il diritto del dirigente di vedersi corrisposta la retribuzione per tali festività, avendo il contratto individuale richiamato "esplicitamente" il Regolamento del personale direttivo ISVEIMER e il ceni del 1995, ("applicabile ai
dirigenti"), risultandone confermata l'estensione dalle buste paga prodotte, essendone prevista la
debenza per i funzionali.
Al riguardo, va osservato che anche di queste pretese il Giudice d'appello ritenne "l'inammissibilità secondo il principio processuale sopra richiamato", avendo rilevato "che tale deduzione.,
(fu) formulata per la prima volta" nella fase del gravame e di quest'aspetto manca, nel motivo,
una puntuale e rigorosa contestazione. In ogni caso, si può aggiungere che la prospettazione del
motivo si presenta generica rispetto al decisum perché, per concludere definitivamente il tema
dibattuto con questo profilo di ricorso, la pretesa non ha, né dimostra di avere, alcun specifico
riferimento nella precedente fase di merito, essendo la questione del rinvio alla contrattazione
collettiva fuorviante, risultando questa richiesta, in base alla sentenza che non ne affronta le
problematiche specifiche (affrontate, invece, per il premio di rendimento), dedotta per la prima
volta in sede di legittimità e riguardando personale (funzionali) non omologabile con le prerogative di un alter ergo dell'imprenditore, come appariva essere e fu, con i relativi incommoda, il
Fabbrocino. Le spese processuali di questo giudizio di Cassazione seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente alle spese liquidandole in E. 12,10 e
in E. 2.500 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 2 maggio 2005.
Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2005
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