Notaio Enrico MATANO - PROFILI SUCCESSORI DELLA 219/2012
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Notaio Enrico MATANO - PROFILI SUCCESSORI DELLA 219/2012
Notaio Enrico MATANO (Testo della relazione tenuta il 12 aprile 2013 al Convegno “Sull’unificazione dello Stato Giuridico dei Figli: quadro generale della riforma e delle sue prospettive.” organizzato dall’Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia, Sezione di Caserta, presso la Biblioteca della Curia Vescovile via Vescovado, Caserta) PROFILI SUCCESSORI DELLA 219/2012 Introduzione. Lo scopo di queste brevi considerazioni è quello di esaminare i profili successori della recente Riforma Legislativa in materia di Filiazione, e di affrontare sulla scorta dei principii generali della Riforma talune delle problematiche che si pongono ne materia in esame. L’approccio problematico è imposto dallo stato attuale dell’evoluzione normativa, che è ancora ferma al livello della Delega Legislativa all’esecutivo per “l’adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio...” (cfr. art. 2 comma primo lett. l della Legge 219/2012). Una delega per la cui attuazione al Legislatore Delegato sono stati concessi 12 mesi dall’entrata in vigore della Legge di Riforma; comprendere se il tempo concesso dalla legge di delega sarà sufficiente è compito arduo, dato che di un Governo al momento in Italia non disponiamo. Ma aldilà delle battute, questa situazione offre un punto di osservazione privilegiato per il civilista, mettendolo nella condizione di immaginare, in prospettiva de jure condendo (si intende), quali saranno le ricadute sulle norme di dettaglio in materia di successione dei principii generali posti dalla Legge di Riforma. Principii fondamentali della Legge di riforma. La Legge in commento giunge all’esito di una lunga evoluzione normativa tutta misurata sul terreno della progressiva parificazione dei figli legittimi ai figli naturali; ora lungi dal voler ne ripercorrere le tappe, compito egregiamente svolto dai relatori che mi hanno preceduto, ciò che interessa ai nostri fini è individuare qual’è il portato finale di quell’evoluzione normativa, che può essere senz’altro individuato nel principio di unicità di stato, e quindi nell’eliminazione di ogni differenza ontologica tra i figli, anche sul piano astratto e formale, e non soltanto sul piano concreto del trattamento giuridico sostanziale. Da un esame delle norme già entrate in vigore della Legge 219/2012 si evincono delle novità a dir poco dirompenti rispetto al precedente assetto normativo. Si pensi all’art. 315 c.c., novellato, che espressamente pone il principio di unicità di stato con riferimento “a tutti i figli” senza distinzione alcuna; all’art. 74 c.c., che ridefinisce i contorni della nozione di parentela, intesa come rapporto tra soggetti discendenti da uno stesso stipite, senza che a tal fine rilevi la circostanza di un precedente matrimonio; o ancora all’art. 258 c.c., che espressamente estende gli effetti del riconoscimento ai parenti del genitore da cui fu fatto, laddove nella precedente formulazione la norma limitava espressamente, e oserei dire rigorosamente, gli effetti del riconoscimento al genitore che lo ha effettuato. Da questo quadro normativo emerge una vera e propria rivoluzione copernicana in materia di successione dei figli, nel momento in cui fissa i principii che definiscono lo status di figlio quale titolo per la successione. In questo processo di parificazione tra la filiazione legittima e quella naturale il Legislatore del 2012 si spinge molto oltre a quanto già fatto dal Legislatore del ’75, con la Riforma del diritto di Famiglia. Il legislatore del 1975, lo si ricorda, aveva eliminato quella ingiusta disparità di trattamento in ambito di successione dei legittimari, ove ai figli legittimi era riservata una quota legittima dell’eredità doppia rispetto a quella riservata ai figli naturali. Con la Legge 151/75, tuttavia, quella sostanziale parificazione tra figli legittimi naturali sul piano del trattamento successorio si fermava ad una tutela piena del figlio nei confronti del proprio genitore, che determinava un rapporto genitore-figlio sostanzialmente omogeneo, nel senso di attribuire gli stessi diritti successori ai figli legittimi e ai figli naturali nel caso di morte del genitore a prescindere dall’esistenza o meno di un matrimonio; ma quel rapporto omogeneo genitori-figli si presentava ancora come un rapporto univoco, nel senso di esplicarsi nella sola linea retta discendente, in pratica non sorgevano diritti successori nel senso inverso, dal genitore naturale nei confronti del figlio deceduto (salvo quanto disposto dall’art. 578 c.c., per il caso di mancanza di prole o di coniuge), nè sorgevano diritti successori pieni tra fratelli naturali. Le relazioni di parentela che ponevano una certa persona nella condizione giuridica di successibile nei confronti di un’altra persona, dando luogo alla delazione legittima in suo favore, presupponevano, salvo tassative eccezioni, una famiglia nata dal matrimonio. In tal senso si era pronunciata anche la Corte Costituzionale (Corte Cost. 7 novembre 1994) affermando addirittura che non si potesse configurare alcun rapporto di parentela tra fratelli e sorelle naturali. Il principio di unicità di stato introdotto dalla riforma 2012, in questi termini travolge e supera quello della parificazione, anche in materia successoria, nel senso di rompere quella rigidità quasi geometrica dell’effetto successorio, che si esplica ora, nei riguardi della prole naturale, in tutti versi e in tutte le direzioni, e non solo nella linea retta discendente e quindi anche al di fuori della famiglia legittima; al punto che all’art. 2 comma 1 lettera a della Legge di Delega si dispone tout court la sostituzione in tutta la legislazione vigente dei riferimenti ai figli legittimi e ai figli naturali con il riferimento ai figli, terminologia più coerente con lo spirito della nuova Legge, ma che se sembra da subito contraddetta dalla stessa rubrica della Legge 219/2012, intitolata “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”. Aldilà quindi delle considerazioni sulla discutibile tecnica legislativa, ciò che in interessa ai fini della presente relazione è comprendere i possibili riflessi dei principii dettati dalla Riforma sulle norme in vigore in tema di successione. Riflessi sulle norme in materia di successione necessaria. Partendo con l’ordine del codice, nell’esame delle norme che verrano incise dalla riforma un posto di prima piano occupa l’art. 537 c.c., norma che disciplina la riserva in favore dei figli, senza che sia più possibile distinguere tra legittimi e naturali, attraverso il sistema della quota mobile, che con buona probabilità resterà ancora di un mezzo in presenza di un sol figlio e di due terzi nel caso in cui i figli siano più di uno, da dividersi in parti uguali. Di sicuro è invece da ritenersi travolto il terzo comma dell’art. 537 c.c., la norma che disciplinava la facoltà di commutazione dei figli legittimi nei confronti dei figli naturali, concedendo ai primi la facoltà di soddisfare la porzione di questi ultimi in danaro o in beni immobili ereditari, rendendoli così estranei alla comunione ereditaria. La facoltà di commutazione si presentava come un diritto potestativo dei figli legittimi in rapporto ai figli naturali, che potevano soltanto soggiacere a quella dichiarazione di scelta, attraverso un negozio giuridico unilaterale e recettizio; un diritto potestativo ma ad esercizio controllato, in quanto era sempre possibile esercitare l’opposizione giudiziale ed ottenere una valutazione più equa degli interessi in gioco. Il fondamento di quella norma che il presidente Capozzi nelle sue lezioni amava definire come una norma romantica, veniva ritrovato appunto nella preferenza della famiglia legittima in rapporto a quella naturale, rappresentando l’unico privilegio nel campo dei diritti patrimoniali dei figli legittimi, a fronte di un trattamento successorio che per il resto si presentava sostanzialmente identico; una sorta di marchio di fabbrica che lasciava trasparire il favor del legislatore per la famiglia legittima, e che la stessa Consulta (Corte Cost. N.335/2009) ha ritenuta costituzionalmente compatibile nella misura in cui non contraddiceva l’aspirazione alla parificazione tra le due categorie di figli, proprio a voler sottolineare che la parificazione nel sistema previgente era soltanto tendenziale e non piena ed attuale. Avendo quindi quell’aspirazione trovato piena attuazione con Riforma del 2012 attraverso il principio di unicità di status quel privilegio non può che ritenersi decaduto. Riflessi sulle norme in materia di successioni legittime. Proseguendo nell’esame delle norme che verranno di certo modificate in seguito all’attuazione della Legge Delega vanno esaminati gli artt. 565 e ss. c.c., che disciplinano appunto le successioni legittime. In virtù del rapporto di parentela che si instaura tra il figlio e i suoi ascendenti, è da ritenersi che nell’art 565 c.c., norma che definisce le categorie dei successibili, siano ora ricompresi gli ascendenti naturali, dovendosi intendere eliminato il riferimento ai soli ascendenti legittimi contenuto nella norma; la linea retta è percorsa dalla successione, quindi, non solo nel verso discendente ma anche in quello ascendente, e ciò accade in virtù dell’inserimento pieno nel quadro delle parentela (art. 74 c.c. novellato) e non per un espressa estensione normativa ai figli naturali di effetti giuridici che altrimenti si produrrebbero solo nei confronti dei figli legittimi. Nello stesso senso si potrebbe affermare che quest’apertura si produce anche nella linea collaterale, determinandosi anche in tal senso un rapporto di parentela a pieno titolo con i fratelli e sorelle naturali, e nei successivi gradi. Dopo la Legge 151/75, una delle principali censure mosse dalla dottrina al legislatore della riforma del Diritto di Famiglia era quello di non aver preso posizione sul problema dell’inserimento dei fratelli e sorelle naturali nei gradi di parentela, con la conseguenza di determinare notevoli dubbi in dottrina sulla legittimità costituzionale di quell’omissione; alla fine prevalse la tesi che, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, tendeva ad ammettere, come unica eccezione al principio della non configurabilità di un rapporto di parentela tra fratelli e sorelle naturali, l’ipotesi di successione dei fratelli e delle sorelle naturali in mancanza di altri successibili entro il sesto grado e prima dello Stato, a patto che vi sia stato il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale di paternità naturale (Corte Cost. 12 aprile 1990 n. 184). La successione tra fratelli unilaterali era quindi tendenzialmente esclusa ed era ammessa in un sol caso sulla scorta non del rapporto di parentela, che doveva ritenersi escluso, ma del vincolo di consanguineità, venendosi quindi a creare indirettamente una nuova e diversa categoria di successibili che si collocava dopo i parenti di sesto grado e prima dello Stato. Più in generale si può, invece, affermare che la devoluzione ereditaria in virtù della pienezza di status che discende dalla riforma, si determina anche nei confronti dei parenti naturali fino al sesto grado, con ciò trovando piena attuazione le istanze di riforma provenienti da alcune recentissime pronunce della Suprema Corte (in particolare Cass. 10 settembre 2007 n.19011), che lamentavano un mancanza nel nostro ordinamento di una disciplina che, partendo dal riconoscimento di un unico stato di filiazione, consentisse il prodursi di un effetto successorio tra parenti naturali fino al sesto grado. Alla luce della riforma tutti i soggetti legati da vincolo di parentela concorrono quindi alla comunione ereditaria, senza che rilevi lo stato di legittimità, con tutte le conseguenze che ne derivano, ad esempio in tema di prelazione ereditaria e conseguente retratto successorio ex art. 732 c.c. E’ difficile immaginare sin da ora la fisionomia di tutte le norme del Capo I, Titolo II, del Libro II del Codice artt. 565 e ss, una volta eseguita la delega, dato che in molte delle disposizioni, per adeguarsi ai principii della Riforma, non ci si può limitare a sostituire la parola figli a quella figli legittimi e figli naturale; ad esempio è ragionevole pensare che verranno eliminate quelle norme che ancora riconoscono una quota di eredità doppia ai fratelli germani in concorso con gli unilaterali, consanguinei o uterini che siano, (cfr. artt. 569 e 570 c.c.), ma anche in questo caso il riconoscimento all’interno della fattispecie della medesima legis ratio è subordinato ad un’opzione di politica legislativa. Deve ritenersi completamente abrogato l’art. 577 c.c nella parte in cui subordina la successione in rappresentazione, del figlio naturale al proprio genitore nella successione dell’ascendente naturale, alla mancanza di altri successibili quali coniuge, figli, ascendenti, fratelli e sorelle, o parenti entro il terzo grado del de cuius. Un discorso a parte merita l’art. 566 c.c., che disciplina la successione dei figli nei confronti dei genitori. La norma in esame con la Riforma del Diritto di Famiglia attuava una sostanziale parificazione del trattamento successorio dei figli legittimi rispetto ai figli naturali; entrambe le categorie di figli succedevano ai genitori in parti uguali; con l’unica differenza, non di poco conto del richiamo dell’art. 537 comma terzo, la norma in materia di facoltà di commutazione. Quel richiamo espresso, che consentiva di estendere la facoltà di commutazione dei figli legittimi nei confronti dei figli naturali. Tale differenza portava la dottrina a ritenere (Mengoni) che in tal modo il Legislatore concedeva ai figli naturali un trattamento successorio solo quantitativamente identico a quello dei figli nati nel matrimonio, mentre la previsione di un trattamento assolutamente identico avrebbe comportato un contrasto troppo netto con le norme degli artt. 29 comma primo (che tutela la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio) e 30 comma terzo (che assicura ai figli nati fuori dal matrimonio una tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima) della nostra Carta Costituzionale. Alla luce dei nuovi principii andrà sicuramente sostituito nel testo della norma in esame il riferimento ai figli legittimi e naturali, sul presupposto che la parificazione si basa sull’unicità dello status di figlio e sul conseguente inserimento anche del figlio naturale nel quadro della parentela, e andrà ritenuto di certo travolto il richiamo alla facoltà di commutazione contenuto nell’art. 566. Il tutto con buona pace dell’opinione espressa dai più illustri autori che si occuparono del problema all’indomani dell’entrata in vigore della Riforma del Diritto di Famiglia (Busnelli, Santoro Passarelli, Costanza), i quali fecero osservare come la norma della’art. 566 fosse in definitiva da ritenersi compatibile con l’art. 29 e con l’art. 30 Cost. (che valorizzano la famiglia nata dal matrimonio) proprio perchè conservava rilievo solo il rapporto tra defunto e successibile, senza riferimento al gruppo familiare e ai diritti dei suoi membri, e soprattutto perchè si manteneva in vita quella piccola ma sostanziale differenza di trattamento tra figli legittimi e naturali che era il diritto di commutazione dei dei primi a danno dei secondi. Posizione dei figli naturali non riconoscibili Un discorso a parte merita inoltre il trattamento successorio dei figli non riconoscibili, ovvero i figli nati da genitori tra loro parenti, i figli incestuosi per intenderci. A questi ultimi il Legislatore, piuttosto che inserirli nelle categorie dei successibili, riservava un assegno vitalizio, quindi una prestazione periodica, di importo pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero avuto diritto se la filiazione fosse stata accertata o riconosciuta (art. 580 c.1), un assegno il cui valore, a scelta dell’avente diritto poteva essere capitalizzato in danaro ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari (art. 580 c.2) con soluzione una tantum quindi. La disciplina in esame riservava quindi ai figli non riconoscibili un trattamento successorio sostanzialmente identico a quello dei figli legittimi solo sotto il profilo della rendita, ma non sotto quello della titolarità della quota ereditaria, sottoponendo comunque i beneficiari dell’assegno anche qui ad una sorta di facoltà di commutazione da parte degli eredi legittimi. L’assegno che non ha di certo natura alimentare (Santoro Passarelli) essendo commisurato alle sostanze ereditarie e non allo stato di bisogno, è qualificato dalla dottrina (Mengoni), sotto il profilo della natura giuridica, come un legato obbligatorio ex lege di rendita vitalizia, e trovava il suo fondamento non certo nel rapporto di parentela col genitore, ma nel solo fatto naturale della procreazione, i figli non riconoscibili non rientravano pertanto neanche nella categoria dei discendenti naturali con la conseguenza che gli stessi non risultavano chiamati alla successione neanche in mancanza di altri parenti prossimi e prima dello stato, analogamente a quanto invece la giurisprudenza costituzionale ammetteva per fratelli e sorelle naturali. Ma la vera particolarità dell’assegno, che allungava ulteriormente le distanza rispetto al trattamento successorio dei figli legittimi, va rintracciata nel fatto che l’obbligo di corrispondere il detto assegno gravasse sugli eredi, legatari e donatari del de cuius in proporzione a quanto gli stessi avessero rispettivamente ricevuto (art. 594 c.c., che non a caso è norma in materia di incapacità di succedere), e non gravava quindi direttamente sull’eredità. Tale particolarità ha portato la dottrina (Capozzi) a inserire il detto assegno nel quadro delle c.d. vocazioni anomale. E’ ragionevole pensare che all’esito della Riforma in materia di filiazione anche questa normativa sia da ritenersi travolta dai nuovi principii in seguito alla rimozione del divieto di riconoscimento dei figli incestuosi, che potranno essere riconosciuti, seppure previa autorizzazione giudiziale (cfr. art. 251 novellato), con la conseguenza che i figli incestuosi si troveranno a partecipare alla comunione ereditaria insieme a tutti altri chiamati con uno status identico a quello degli altri figli del de cuius. E‘ stato tuttavia osservato da uno dei primi commentatori della Legge 219/2012 (Sesta) che le dette norme degli artt. 580 e 594 c.c. dovrebbero mantenere vigore per alcune particolari categorie di soggetti, si tratta di ipotesi del tutto marginali: - si pensi al figlio infraquattordicenne non riconoscibile per mancanza del suo assenso (art. 250, c.2 come modificato dall’art. 1 ella Legge 219); - si pensi al figlio infraquattordicenne non riconoscibile dall’altro genitore, per mancanza di consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva l’autorizzazione del tribunale (art. 250 c.c., commi terzo e quarto, come modificato dall’art. 2 L. 219). Una forma tipica di diseredazione. Un elemento di novità enorme, pur nella marginalità dell’ipotesi regolata, è contenuto nella norma dell’art. 448 bis, introdotto dalla Legge 219/2012. Una norma dettata in tema di alimenti che introduce una piccola rivoluzione in materia di successioni testamentaria. La norma solleva, innanzitutto, il figlio dall’obbligo di prestare gli alimenti nei confronti del genitore rispetto al quale sia stata pronunciata la decadenza dalla potestà, e fin qui sembra che ci si ponga in piena coerenza col resto del sistema, ma poi concede al figlio la possibilità di escludere dalla successione il genitore che si sia reso responsabile di fatti che non integrano casi di indegnità. Questo secondo alinea della norma di nuova introduzione, in un certo senso si collega con la riforma del 2005, che ha introdotto un nuovo caso di indegnità a succedere nei riguardi di chi sia decaduto dalla potestà a norma dell’art. 330 c.c. (cfr. art. 463 n. 3- bis), senza tuttavia dettare un criterio certo per definire l’ambito di applicazione del potere. Soprattutto la norma apre un varco enorme nel sistema della diseredazione, sulla cui ammissibilità si è a lungo dubitato, e fino ad oggi ammessa solo in un senso limitatissimo, e cioè come esclusione dalla successione di un soggetto non legittimario nell’ambito di una disposizione testamentaria che conservi un contenuto positivo, cioè una clausola che escluda un soggetto dalla successione beneficiandone un altro (v. Jeva, Capozzi, ma cfr. di recente Cass. 25 maggio 2012 n. 8352). Questa nuova forma tipica di diseredazione, introdotta surrettiziamente nell’ambito delle norme in materia di alimenti, può riguardare anche la quota di riserva del genitore; il potere si esplica quindi in un senso inverso a quanto consentiva il diritto romano al pater familias, che poteva escludere i propri heredes necessarii (i legittimari appunto) dalla propria successione per le offese ricevute (Burdese), ora questo potere con singolare inversione di tendenza rispetto alla storia è riservato ai figli, attuando quello che i primi commentatori della novella hanno definito lo “spodestamento dei padri”. A me sinceramente, a chiusura di queste brevi considerazioni in materia di filiazione, vengono alla mente, le parole del Profeta di Kahlil Gibran, un visionario autore che in una cupa New York di inizio secolo scorso, dinanzi alla domanda: “Parlaci dei figli...”, come a voler lanciare un monito alle generazioni future, ebbe ad affermare: “...I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sè. Essi non provengono da voi ma per il tramite vostro, E benchè stiano con voi non vi appartengono. ... Perchè la vita non perde tempo con ieri. Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e con la sua forza vi tende affinchè le sue frecce vadano rapide e lontane. Fatevi tendere con gioia dalla mano dell’Arciere; Perchè se egli ama la freccia che vola, ama ugualmente l’arco che sta saldo.” Enrico Matano