Avella Dire la fiamma attraverso la cenere

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Avella Dire la fiamma attraverso la cenere
«Dire la fiamma attraverso la cenere».
Nello Avella racconta il Brasile italiano di Teresa Cristina di Borbone
di Fabio Pierangeli
I libri si scrivono per mille ragioni diverse. Questo di Aniello Angelo (Nello)
Avella unicamente per vocazione, raccolta negli anni attraverso la fatica dello
studio e del reperimento dei materiali e con la gioia di incontri, testimonianze,
scoperte che man mano ridavano voce e volto a una personalità sepolta troppo
presto dalla polvere della dimenticanza. Una luminosa chiamata da tempi remoti,
recepita dai segni inequivocabili fin dalla adolescenza, quando l’interesse e la
curiosità dell’ancora giovane studioso si concentra verso il Brasile, con l’arrivo a
Gaeta, portato dal mare, di un amico “brasileiro”.
Comincia allora il viaggio di avvicinamento di Avella alla cultura brasiliana: la
lingua, la letteratura, le amicizie, l’impegno accademico e istituzionale per il
Consolato, le molte pubblicazioni che lo portano, negli ultimi decenni, a essere
cittadino di due mondi, ricoprendo un ruolo chiave nei rapporti Italia-Brasile, in
particolare con scambi di iniziative altamente qualificate tra le Università di Rio
de Janeiro e quella di Roma Tor Vergata, tra le istituzioni geografiche e di turismo
culturale della città carioca e la Società Geografica Italiana. Vale, per la sua opera,
una definizione di Marco Lucchesi riferita ai grandi personaggi italo-brasiliani a
cui certamente Avella appartiene da tempo: «l’uso del termine anfibio per indicare
quella specie di individui che vivono nel loro intimo la complessità di due mondi,
di due culture tanto distanti sul piano geografico tanto vicini nelle loro radici
comuni e secolari».
Il lavoro di Avella, una lenta infaticabile strada di comunicazione, per arrivare
al coronamento di questo volume, consiste proprio nel rilevare radici comuni,
l’identità culturale, tra eguaglianze e differenze, di due popoli affini, per
affrontare con sicurezza il futuro che vede da una parte una avanzata progressiva
del Brasile tra i paesi più solidi e dall’altra la crisi economica dell’Italia e del
Vecchio Continente. Una fase in cui la collaborazione si rende necessaria, per non
ripetere gli errori del passato (vedi gli sperperi e un avanzamento scriteriato
favorito dalle buone condizioni economiche di cui oggi paghiamo le conseguenze)
e collaborare per un futuro migliore, superando le meschine divisioni.
Il bellissimo testo di Avella, Una napoletana imperatrice ai Tropici. Teresa
Cristina di Borbone sul trono del Brasile, 1843-1889, Exorma, Roma 2012, con il
ritmo e il fascino di un romanzo storico, scritto limpidamente, con il supporto di
materiali inediti o semisconosciuti, restituendo insieme alla voce (attraverso le
lettere) la “dignità storica” a Teresa Cristina, «un fantasma, un enigma ancora da
svelare», vuole essere «più che una biografia in senso stretto, il contributo a una
riconsiderazione del periodo nel quale Italia e Brasile ponevano le basi delle
rispettive identità nazionali, con ricadute forti che arrivano fino a oggi. Studiare le
forme e i tempi del processo che ha trasformato il flusso migratorio da azione
individuale in fenomeno di massa riveste particolare rilievo non solo per intendere
meglio il passato ma – soprattutto – per affrontare il presente con strumenti più
sofisticati le problematiche del nostro mondo globalizzato».
Dunque un fantasma, Teresa Cristina di Borbone, un enigma per gli storici del
presente, quanto figura dai molteplici interessi e amatissima ai suoi tempi, nella
cui attività quarantennale è possibile, come in uno specchio, leggere e riassumere
il contributo italiano alla crescita del grande Paese sudamericano. L’appassionata
ricostruzione della sua vita da parte di Avella contribuisce a svelare l’Italia agli
italiani, sprona a riprendere coraggio, a superare le divisioni, a collaborare,
ponendo ponti duraturi, con i paesi lontani, facendo leva sulle nostre doti storiche,
incarnate nella figura della imperatrice dei tropici: creatività, gusto della bellezza,
amore per l’arte, coraggio imprenditoriale, determinazione.
Teresa, come tante altre figure, fa parte di quella schiera di donne e uomini che
«in vita hanno conosciuto la fama e da morti sono stati dimenticati. Qualcuno di
loro è stato anche re o regina» ma le trame, spesso subdole, della narrazione
storica, risentono di «pregiudizi o sono affidate al soffio instabile di mode legate
alle contingenze politiche, ideologiche, o di mentalità».
Il 2012 è stato un periodo propizio per abbattere tali pregiudizi: si festeggiava
l’anno Italia-Brasile con una serie di iniziative culturali, di cui Avella ha curato la
parte riguardante l’Istituto Italiano di Cultura di Rio e il Consolato italiano in
Brasile.
Nata a Napoli nel 1822, Teresa Cristina, per complessi giochi di alleanze ben
ricostruiti da Avella, nei rispettivi contesti storici, sposa a 21 anni l’imperatore del
Brasile, Don Pedro II che accompagnerà fino alla fine del suo regno, con la
proclamazione della Repubblica del Brasile nel novembre del 1889. Trattati come
criminali, i due sovrani costretti all’esilio di Lisbona, moriranno poco dopo Teresa
Cristina il 28 dicembre, Pedro II due anni dopo a Parigi. A testimonianza
dell’amore profondo tra i due, nato dal solito matrimonio di opportunismo
politico, Avella riporta la lirica composta dal sovrano per la sua compagna
imperatrice, ma soprattutto, in una capitolo entusiasmante, anche dal punto di
vista dell’analisi letteraria della scrittura dell’imperatrice, le lettere d’amore di lei.
In questi quarantasei lunghi anni brasiliani, passa la storia mondiale, con
l’affermarsi degli stati nazionalistici e il declino lento ma inesorabile degli imperi.
Avella li segue dal punto di vista di Teresa Cristina, offrendo un panorama storico
amplissimo, con vasti riferimenti bibliografici.
Sono anni in cui l’arte italiana è seguita in Brasile con estremo interesse per la
mediazione diretta o indiretta dell’imperatrice, come riconosce il più grande
scrittore dell’epoca in Brasile, Machado de Assis.
Intensi i profili di artisti e di attori di cui Teresa Cristina promuove la venuta in
Brasile, come sorprendente la ricchezza e la profondità degli interessi archeologici
della imperatrice che dona agli istituti brasiliani una serie di reperti, provenienti,
in particolare, dal Sud Italia. Mentre, viceversa, dona all’Italia la parte degli scavi
di Vejo, ereditata dal ramo borbonico della famiglia.
Ama il suo popolo e lo dimostra, eroicamente, negli anni in cui il Paese è
colpito da una grave epidemia: rifiutando di lasciare Rio per trasferirsi in una zona
più salutare, aiuta la gente, meritando l’appellativo di “Madre dei brasiliani”.
Inneggia, da sovrana, alla abolizione della schiavitù, altro momento epocale
registrato magistralmente da Avella, e trova il tempo di viaggiare in Europa, verso
gli ultimi anni, anche per la salute instabile del marito, tornando tre volte in Italia.
Epilogo di cui si è detto, è commovente, con l’addio al Brasile e la morte quasi
immediata, documentata attraverso una lunga citazione dallo scrittore Raul
Pompeia.
Una pietas che ritroviamo nelle pagine che documentano la scarsa fortuna
storiografica di Teresa Cristina: emerge dagli inconfutabili dati “scientifici” la
passione e la vocazione dello scrittore, salda e trasparente.
Il Brasile italiano è il titolo-emblema dell’ultimo capitolo. In una sintesi
mirabile, Avella costruisce la mappa del nostro contributo alla storia del più
importante stato del Sud America, raccontando gli episodi più importanti di una
storia affascinante. Protagonisti uomini veri, la cui vita è esempio di dedizione per
un ideale. Tra tutti vorrei ricordare, per la singolarità delle storie, la ballerina
Marietta Baderna, il socialista Antonio Piccarollo, il grande antropologo e
fotografo Ermanno Stradelli, per concludere con il brano finale del volume con le
straordinarie citazioni da Lucchesi e dal grande cineasta portoghese Maonoel de
Oliveira che, perfettamente, descrivono il “metodo” di questo libro:
Ha detto Marco Lucchesi che la poesia è il tentativo di dire la fiamma attraverso la cenere. A
sua volta, il cineasta Manoel de Oliveira, ci ha ricordato che la storia è come un vigneto: i suoi
racconti rappresentano i filari, ciò che è stato affermato da quella o quell’altra auctoritas
diventando verità ufficiale; l’arte invece va a guardare quello che sta nel mezzo dei filari e ricrea,
con linguaggi propri, tutto quanto la storia consacrata non rivela. Per arrivare al cuore degli eventi,
il rigore documentale deve dunque coniugarsi con la creatività dell’immaginazione. È in questo
modo, scavando nella cenere, usando ragione e sentimento, che si è tentato di ricostruire la storia
di Teresa Cristina di Borbone, la napoletana che fu imperatrice del Brasile.